La signora Inger di Östrot

By Henrik Ibsen

The Project Gutenberg eBook of La signora Inger di Östrot
    
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Title: La signora Inger di Östrot

Author: Henrik Ibsen

Translator: Enrico Minneci
        Paolo Rindler

Release date: August 22, 2025 [eBook #76715]

Language: Italian

Original publication: Milano: Treves, 1912

Credits: Barbara Magni and the Online Distributed Proofreading Team at http://www.pgdp.net (This file was produced from images made available by The Internet Archive)


*** START OF THE PROJECT GUTENBERG EBOOK LA SIGNORA INGER DI ÖSTROT ***


                       La SIGNORA INGER di ÖSTROT


                        COMMEDIA IN CINQUE ATTI


                                   DI
                              ENRICO IBSEN


        _Traduzione italiana di Paolo Rindler ed Enrico Minneci_



                                 MILANO
                       FRATELLI TREVES, EDITORI.




                          PROPRIETÀ LETTERARIA

        _Chi intende valersi di questa traduzione per la recita,
        deve assolutamente ottenerne il permesso dalla_ _Società
          Italiana degli Autori_, _Corso Venezia, 16, Milano._

                      Tip. Fratelli Treves — 1900.




PERSONAGGI.


  La signora JNGER OTTISDATTER RÖMER, vedova del Governatore
    del Regno Nils Gyldenlöve.
  ELINA GYLDENLÖVE, sua figlia.
  NILS LYKKE, Consigliere di Corte, cavaliere danese.
  OLAF SKAKTAVL, gentiluomo norvegese.
  NILS STENSSON.
  Signor JENS BJELKE, colonnello svedese.
  BJÖRN, vecchio servo dogli Östrot.
  FINN, servo.
  EJNAR HUK, castellano.

  Domestici, contadini, guerrieri svedesi.

L’azione ha luogo nei possessi di Östrot nel fiord Drontheim nell’anno
1528. Destra e sinistra degli attori.




ATTO PRIMO

  _Attraverso la porta aperta, nel mezzo, si vede la sala dei
  cavalieri illuminata debolmente dalla luna, che di tanto in tanto
  entra da una grande finestra arcuata, che si trova nella parete
  in fondo. A destra, una porta d’uscita e una finestra con tende;
  a sinistra, una porta che conduce nelle stanze interne; vicino
  al proscenio un gran camino che illumina la stanza. È una sera di
  temporale. Destra e sinistra degli attori._


SCENA PRIMA.

  BJÖRN _e_ FINN _siedono al camino; quest’ultimo è occupato a pulire
  un elmo. Diverse armi sono presso di loro e tra queste una spada ed
  uno scudo._


FINN. (dopo una pausa) Chi era Knut Alfson?

BJÖRN. La leggenda dice che egli sia stato l’ultimo cavaliere norvegese.

FINN. Ed i danesi lo uccisero nel fiord di Oslo?

BJÖRN. Domandalo ad un fanciullo di cinque anni, se non lo sai.

FINN. Dunque Knut Alfson fu il nostro ultimo cavaliere? Ed è morto
là? (solleva l’elmo) Sì, adesso tu devi essere lucente, e far la tua
figura bianco e pulito nella sala dei cavalieri; tu adesso non sei che
un vuoto guscio di noce, il cui nocciolo fu divorato dai vermi, durante
l’inverno. Senti Björn, non si potrebbe paragonare la Norvegia ad un
guscio di noce vuoto, come questo elmo, che di fuori è pulito e di
dentro è roso dai vermi?

BJÖRN. Finiscila e continua il tuo lavoro. Hai terminato con l’elmo?

FINN. Luccica come l’argento al chiaro della luna.

BJÖRN. Mettilo da parte, e leva la ruggine alla spada.

FINN. (la prende e la rigira fra le mani) Ma ne val proprio la pena?

BJÖRN. Che cosa vuoi dire?

FINN. Non ha filo.

BJÖRN. Fa niente, dalla a me. Prendi lo scudo.

FINN. (c. s. colla spada) A questo mancano i bracciali.

BJÖRN. (mormora) Sì, vorrei, potrei prender anche te come...

FINN. (lo guarda cantarellando).

BJÖRN. Che c’è di nuovo?

FINN. Un elmo vuoto, una spada senza filo ed uno scudo senza bracciali,
ecco le armi della casa. Io credo che la signora Jnger non avrà a
censurare nessuno, se queste armi sebbene pulite, rimangano nella sala,
invece di rugginirsi nel sangue dei Danesi.

BJÖRN. Queste son chiacchiere; adesso regna nel paese la pace, a quello
che so.

FINN. Pace? Sì, quando il contadino ha consumato l’ultima freccia
e quando il lupo ha rapito l’ultima pecora del greggie, allora ci è
pace fra di loro. Ma questa è una pace ben strana. Lasciamo questi
discorsi, tutto è in ordine, la panoplia splende nella sala. Tu conosci
il vecchio proverbio: _Solo il cavaliere è un uomo_. Or non essendoci
adesso nel paese cavalieri e quindi non veri uomini, è la donna che
deve comandare; perciò vedi...

BJÖRN. Perciò, perciò io ti ordino di smettere con tutte queste
chiacchiere. (si alza) La sera si avvicina, vedi, va dunque a rimettere
le armi nella sala.

FINN. (forzato) No, preferisco farlo domani.

BJÖRN. Non sei mai stato pauroso!?

FINN. Di giorno no, ma quando viene la sera non mi piace star solo. Sì,
tu mi guardi; ma tu devi sapere, che nella camera dei servi si parla
spesso di ciò. (piano) Si dice che ogni notte venga una grande figura
vestita di nero.

BJÖRN. Vecchie chiacchiere di donnicciuole.

FINN. Ma tutti giurano che è la verità.

BJÖRN. Allora lo credo.

FINN. La stranezza sta in ciò, che lo crede anche la signora Jnger.

BJÖRN. (meravigliato) La signora Jnger? Ebbene che cosa crede?

FINN. Questa è una cosa che non sanno molti. Ciò che è certo però è che
la Signora non è troppo tranquilla. Non la vedi di giorno in giorno,
diventare più pallida e magra? (con uno sguardo pauroso) La gente dice
che essa non dorme mai e teme gli spettri.

ELINA GYLDENLÖVE. (appare durante le ultime parole sulla soglia della
porta semi-aperta di sinistra, si ferma ed ascolta inosservata).


SCENA II.

_Detti_, ELINA GYLDENLÖVE (_non vista, attenta_).


BJÖRN. E tu credi a simili stupidaggini?

FINN. Io si. Del resto ci sono delle persone che possono provarlo. Ma
vedi, questa è pura malvagità. Senti, Björn, conosci la canzone del
paese?

BJÖRN. Una canzone?

FINN. Popolarissima. E’ una satira vergognosa, si capisce. Ma è
conosciuta da tutti. Senti: (canta con voce sommessa).

    Donna Jnger a Östrot, nei suoi castelli
    Sta sola, circondata da splendori.
    S’ammanta nel velluto e sui capelli
    Vezzi ha di perle e scintillanti fiori...
    Pur soffre, e per l’angoscia è triste e muta,
    Al danese signore s’è venduta.
    Ha venduto sè stessa e la sua gente
    E si ha il compenso...

BJÖRN. (lo prende pel petto).

ELINA (si ritira non veduta).

BJÖRN. Ed io ti mando senza ricompensa al diavolo, se parli ancora
della signora Jnger.

FINN. (ritirandosi) Ma l’ho composta io quella canzone? (a destra di
fuori si sente un corno).

BJÖRN. Senti? Che è ciò?

FINN. Un corno. Saranno degli altri ospiti che arrivano.

BJÖRN. (alla finestra di dentro) Aprono il portone. Sento il rumore
delle armi nel cortile. Dev’essere un cavaliere.

FINN. Un cavaliere? O che è possibile?

BJÖRN. Perchè no?

FINN. L’hai detto tu stesso. Il nostro ultimo cavaliere è morto (parte
a destra).


SCENA III.

BJÖRN (_solo_).


BJÖRN. Maledetto furfante, egli ha gli occhi dappertutto. Egli ha
guastato tutto quello che io voleva nascondere e dissimulare. Adesso
è sulla bocca del popolo: non passerà molto tempo che ognuno griderà,
che...

ELINA GYLDENLÖVE. (entra da sinistra).


SCENA IV.

BJÖRN, ELINA GYLDENLÖVE.


ELINA. (guarda intorno e domanda con moto represso) Sei solo, Björn?

BJÖRN. Siete voi, signorina Elina?

ELINA. Senti, raccontami una delle tue favole. Io so che tu lo puoi
ancora.

BJÖRN. Raccontare? Adesso, a sera così inoltrata?

ELINA. Se tu stai lì a calcolare il tempo, si farà anche più notte.

BJÖRN. Che avete? Vi è successo qualche cosa? Siete così inquieta.

ELINA. Può essere. Penso che 6 mesi fa morì Lucia, la mia cara sorella.

BJÖRN. Non è per questo... non è per questo che andate attorno sola,
ora pensierosa, pallida e muta, ora anche imprudente e fiera come
questa sera.

ELINA. Non credi? E perchè no? Non era essa bella, dolce e tranquilla
come una notte d’estate? Björn, ti assicuro che amavo Lucia come me
stessa. Hai dimenticato le notti d’inverno che noi ancora bambine,
passavamo sulle tue ginocchia? Tu ci cantavi le canzoni e raccontavi...

BJÖRN. Sì. Allora ero allegro e sereno.

ELINA. Sì, allora! Allora io passava una bella vita, pensando alle
leggende e vagando co’ miei pensieri. E’ possibile che la spiaggia
fosse allora così nuda come adesso? Ed anche se fosse vero, io non
l’avevo osservata. Io andava a passeggiare là a preferenza e pensavo a
tutte le belle favole; i miei eroi venivano da lontani paesi per mare;
io vivevo con essi e li seguivo quando si dipartivano di là. (si siede)
Adesso invece mi sento debole e stanca. Adesso non vivo più delle mie
favole; esse non sono che favole. (si alza rapidamente) Björn, sai
tu ciò che mi ha resa malata? Una verità, una brutta verità, che mi
tormenta giorno e notte.

BJÖRN. Che cosa volete dire con ciò?

ELINA. Ti ricordi, quando talvolta tu ci davi dei consigli sul modo di
vivere? Mia sorella Lucia seguì i tuoi consigli; ma io...... che!

BJÖRN. (consolandola) Ebbene, via!....

ELINA. Lo so, era fiera, coraggiosa! Quando noi giuocavamo insieme
volevo fare sempre la regina, perchè ero la maggiore, la più bella, la
più sapiente.

BJÖRN. È vero.

ELINA. Una volta tu mi prendesti per mano e mi dicesti, guardandomi
severamente: Non essere superba delia tua bellezza e della tua
superiorità; ma sii fiera, come l’aquila sulle alte vette, perchè tu
sei la figlia di Jnger Gyldenlöve.

BJÖRN. Infatti avete ben ragione d’essere fiera.

ELINA. Sì, tu me l’hai detto sovente, Björn. Oh! allora mi raccontavi
tante favole. (essa stringe la sua mano) Grazie per tutte! Raccontamene
ancora una; forse potrei ridiventare allegra come prima.

BJÖRN. Ma adesso non siete più una bambina.

ELINA. Certo! Ma lasciami l’illusione di esserla.

BJÖRN. (si siede sull’orlo del camino) C’era una volta un cavaliere di
nobile stirpe...

ELINA. (che stava ascoltando inquieta, lo prende per il braccio e dice
con violenza, ma a bassa voce) Piano, non gridar tanto. Non sono sorda!

BJÖRN. (piano) C’era una volta un nobile cavaliere, che aveva la
stranezza...

ELINA. (si alza a metà ed ascolta con attenzione paurosa verso la sala).

BJÖRN. Ma signorina, che avete?

ELINA. (si siede di nuovo) Nulla, va avanti.

BJÖRN. Dunque come dicevo, se egli guardava negli occhi una donna
che non fosse sua parente, questa non lo dimenticava mai più, lo
seguiva sempre col pensiero dove andava, dove si trovava e languiva di
desiderio.

ELINA. Questa l’ho già sentita. Del resto non è una favola, che tu
racconti. Poichè il cavaliere di cui parli, è Nils Lykke che ancora
oggi è consigliere di Corte.

BJÖRN. Può essere.

ELINA. Ebbene.... continua.

BJÖRN. Una volta si trovò...

ELINA. (si alza) Ascolta! Taci!

BJÖRN. Che c’è? Che avete?

ELINA. Senti?

BJÖRN. Che cosa?

ELINA. È là! Sì, nel nome di Dio!

BJÖRN. (si alza) Che cosa c’è là? Dove?

ELINA. Lei stessa.... nella sala dei cavalieri (va in fondo).

BJÖRN. (la segue) Come potete credere...? Signorina andate nella vostra
camera.

ELINA. Silenzio. Sta quieto; non muoverti, non farti vedere. Aspetta —
la luna appare. Scorgi la figura nera...?

BJÖRN. Santi del Cielo!

ELINA. Vedi? Ha voltato colla faccia alla parete il ritratto di Knut
Alfson, eh! eh! Ella lo guarda fisso negli occhi.

BJÖRN. Signora Elina — ascoltate.

ELINA. (va verso il camino) Adesso lo so, adesso lo so!

BJÖRN, (tra sè) È dunque vero!

ELINA. Chi era, Björn? Chi era?

BJÖRN. L’avete veduta meglio di me.

ELINA. Ebbene? Chi ho veduto?

BJÖRN. Vostra madre.

ELINA. (quasi fra sè) Notte per notte io ho sentito i suoi passi.
L’ho udita sospirare e gemere, come un’anima irrequieta. Ed il popolo
dice... Ho capito adesso. So che...

BJÖRN. Silenzio!

LA SIG. JNGER. (viene dal mezzo).


SCENA V.

_Detti_, SIGNORA JNGER.


JNGER. (entra in fretta dal mezzo senza osservare gli altri; va
direttamente alla finestra di destra, scosta la tenda e guarda
fissamente fuori per qualche tempo, come se spiasse qualcuno sulla via;
poi si volta e ritorna lentamente nella sala).

ELINA. (piano, seguendola collo sguardo) Errabonda, pallida come una
morta!... (di fuori a destra si sente rumore, come di tumulto ed un
vociare confuso).

BJÖRN. Che succede adesso?

ELINA. Va a vedere, che cosa c’è.

EJNAR HUK. (appare con una banda di contadini e servi).


SCENA VI.

BJÖRN, ELINA, EJNAR HUK, _contadini e servi_.


HUK. (sulla porta) Subito da lei, e non siate timidi!

BJÖRN. Chi cercate?

HUK. La signora Jnger stessa.

BJÖRN. La signora Jnger? A quest’ora?

HUK. Tardi, ma sempre a tempo, credo.

CONTADINI. Sì, sì, adesso ci avrà uditi. (entrano).

JNGER. (si mostra nello stesso momento alla porta della sala).

TUTTI. (fanno silenzio).


SCENA VII.

_Detti_, SIGNORA JNGER GYLDENLÖVE.


JNGER. Che volete da me?

HUK. Vi cercavamo, signora, per...

JNGER. Ebbene, parlate!

HUK. È un affare d’onore. Breve,... veniamo per pregarvi di un
permesso, e di darci delle armi.

JNGER. Permesso ed armi?

HUK. È venuta una nuova dalla Svezia che il popolo a Dalekarlia si è
sollevato contro il re Gustavo.

JNGER. Il popolo si è sollevato?

HUK. Sì, così si dice, e dev’essere certo.

JNGER. Ebbene — se fosse vero — che c’entrate voi colla rivolta dei
Dalekarliani?

I CONTADINI. Vogliamo unirci. Vogliamo essere con loro, e liberare noi
stessi!

JNGER. (piano) Ah! che sia venuto il momento!

HUK. Da tutti i villaggi norvegesi i contadini accorrono a Dalekarlia.
I proscritti, che erano da anni nelle montagne, adesso osano
rivoltarsi, radunano gente ed affilano le loro armi arruginite.

JNGER. (dopo una pausa) Sentite.... Ditemi, avete ben pensato prima
d’agire? Avete calcolato tutto ciò, che vi costerebbe, se vincessero i
soldati di re Gustavo?

BJÖRN. (piano ad Jnger). Pensate ciò che sarebbe dei Danesi, se i
soldati di Gustavo perdessero.

JNGER. (in tono sdegnoso) Questo non mi riguarda. (si rivolge ai
contadini e ai servi) Voi sapete che re Gustavo può contare sopra
l’aiuto della Danimarca. Re Federico è suo amico e non vorrà lasciarlo
solo nel pericolo.

HUK. Ma se tutti i contadini norvegesi si sollevassero!? Se ci unissimo
tutti? Nobili e popolani? Sì, signora Gyldenlöve, adesso credo quasi
che l’occasione propizia sia venuta; approfittiamone e si scaccino gli
stranieri dal paese.

JNGER. (piano) Di coraggio ne hanno — ma, ma...

BJÖRN. (fra sè) È indecisa (a Elina) Sentite, signorina Elina? Voi
avete giudicato male vostra madre.

ELINA. Björn! Io potrei strapparmi gli occhi dalla testa se questi mi
hanno ingannato.

HUK. Vedete, nobile signora, prima di tutto bisogna agire contro
Gustavo; quando lo avremo reso impotente, allora non potranno i Danesi
restare qui lungamente...

JNGER. E poi?

HUK. Allora saremo liberi, non avremo più signori stranieri, e potremo
sceglierci noi stessi un re, come gli Svedesi prima di noi hanno sempre
fatto.

JNGER. Noi stessi un re! Pensate alla famiglia degli Sturi?

HUK. Re Cristiano ed altri dopo di lui si sono occupati per trovare
degli eredi. I nostri migliori signori sono smarriti nelle nostre
montagne; ma potrebbe darsi il caso che qualcuna delle antiche
famiglie...

JNGER. (presto) Basta, Ejnar Huk! Basta! (a parte) O mia cara speranza!
(si volge verso i contadini ed i familiari) Io vi ho sconsigliato
quanto ho potuto. Vi ho detto a quali difficoltà andate incontro. Ma
voi siete fissi nella vostra idea e sarebbe una pazzia da parte mia
l’impedirvi d’agire.

HUK. Abbiamo dunque il vostro consenso?

JNGER. Voi avete la vostra libera volontà. Procurate di servirvene con
prudenza. Come vi dico, sarete tormentati e perseguitati. Io non me ne
intendo di queste cose. Non voglio nemmeno saperne niente. Che cosa
posso fare io donna e sola? Se voi volete saccheggiare la sala dei
cavalieri, vi sono delle armi buone ed utili, voi oggi siete potenti
qui in Östrot. Potete fare ciò che volete. Buona notte. (vuol andare).

LA FOLLA. (emette dei gridi di evviva e urrah! I servi accendono dei
lumi e vanno a cercare le armi).

BJÖRN. (trattiene Jnger) Grazie, nobile e generosa signora! Io che vi
conosco da fanciulla, non ho mai dubitato di voi.

JNGER. Taci, Björn, è un’azione piena di pericoli, quella cui mi
avventuro questa sera. Per gli altri non si tratta che della vita, ma
per me mille volte di più, credimi.

BJÖRN. Come? Voi temete per la vostra potenza?

JNGER. La mia potenza? Dio del cielo!

UN SERVO. (viene dalla sala con una grossa spada) Vedete, ecco un
vero dente di lupo. Con questo io farò la caccia nel sangue dei nostri
nemici.

HUK. (ad un servo) Che cosa hai trovato?

IL SERVO. Una corrazza e uno scudo.

HUK. Per te va bene; vedi, qui ci sono le armi di Steno Sture; appendi
una lancia allo scudo, e ciò sarà il segno più valido di guerra.


SCENA VIII.

_Detti_, FINN (_da sinistra con una lettera va dalla signora Jnger_).


FINN. Vi ho cercato da per tutto.

JNGER. Che cosa c’è?

FINN. (le dà la lettera) L’ha portata un ragazzo di Drontheim con
un’ambasciata.

JNGER. Fate vedere (apre la lettera) Da Drontheim? Che vorrà dire ciò?
(scorre la lettera con un’occhiata) Dio mio! Di lui! E qui nel paese...
(la legge in fretta).

GLI UOMINI. (vanno a cercare delle armi nella sala).

JNGER. (tra sè) Dunque vien qui questa notte. Si tratta di combattere
di prudenza e non colla spada.

HUK. Basta, buoni contadini, basta, credo che adesso siamo armati
abbastanza. Possiamo metterci in cammino.

JNGER. (con modo imperioso) Nessuno lascerà oggi il paese.

HUK. Ma nobile signora, adesso il vento è favorevole e potremo
attraversare il fiord.

JNGER. Si farà come ho detto.

HUK. Dobbiamo aspettare fino a domani?

JNGER. Fino a domani ed anche di più. Nessun uomo armato deve lasciar
oggi Östrot (segni di malcontento).

UN CONTADINO. Noi andremo lo stesso, sig. Jnger.

MOLTI ALTRI. Sì, andremo lo stesso.

JNGER. (si avanza verso di loro) Chi l’osa?

TUTTI. (tacciono).

JNGER. (dopo una breve pausa) Ho pensato meglio. Che ne sapete voi
gente del popolo, delle cose di Stato? Come potete presumere di
saperne più di me? Voi dovete cercare di sopportare per un po’ ancora
l’oppressione ed il giogo. E queste mie parole del resto non possono
affliggervi, nè sorprendervi, se pensate che anche noi signori non
abbiamo al dì d’oggi niente da stare allegri. Riponete le armi nella
sala. Più tardi vi paleserò la mia volontà. Andate.

I SERVI. (portano via le armi).

LA FOLLA. (si ritira per la porta di destra).

ELINA. (piano a Björn) Credi tu ancora, che io mi sbagli nel giudicare
la signora di Östrot?

JNGER. (fa segno a Björn d’avvicinarsi) Preparate una camera.

BJÖRN. Come comandate signora.

JNGER. E la porta aperta per chi vuol venire.

BJÖRN. Ma...?

JNGER. La porta aperta!

BJÖRN. La porta aperta. (va a destra).

ELINA. (si volta a sinistra).


SCENA IX.

SIGNORA JNGER, ELINA.


JNGER. (ad Elina sulla porta a sinistra) Resta!

ELINA. (ritorna).

JNGER. Elina, figlia mia, ho da dir qualche cosa a te sola.

ELINA. Vi ascolto.

JNGER. Tu hai una cattiva opinione di tua madre.

ELINA. Credo quello, che la vostra condotta mi forza con mio dolore a
credere.

JNGER. Ah! tu rispondi come ti suggerisce il tuo pensare cattivo.

ELINA. E chi mi ha resa così? Da quando era bambina io vi consideravo
come una donna grande e di gran cuore, come una di quelle, di cui
parlano le leggende e le vecchie storie. Mi pareva che Dio stesso
avesse impresso il suo segno sopra la vostra fronte, per sorreggere i
paurosi e gli indecisi. Nelle sale dei signori, i cavalieri lodavano il
vostro valore ed il popolo stesso vi chiamava la speranza e la forza
del paese. E tutti pensavano che voi avreste ridato alla Norvegia il
benessere e la felicità. Tutti pensavano che per voi sarebbero risorti
come a nuova vita. Finora è ancora notte però ed io non so se risorgerà
mai un giorno con voi.

JNGER. Le tue sono parole velenose. Qualcuno ti ha riferito ciò; la
folla ignorante mormora di cose, di cui essa non può giudicare.

ELINA. La voce del popolo è quella della verità; lo diceste voi, quando
la vostra voce risuonava nei canti e nei discorsi.

JNGER. Può essere. Ed anche se avessi risoluto di starmene inoperosa,
invece di agire.... credi tu che tale posizione non sia per me anche
troppo pesante perchè tu la debba rendere ancora dippiù?

ELINA. Credete che la vita mi pesa come a voi; io era felice quando
vi credevo. Adesso per poter vivere, devo mostrarmi orgogliosa. Oh! io
sarei ben fiera, se voi foste rimasta quella che eravate prima.

JNGER. Che importa a te ch’io non lo sia? Da chi hai saputo, che tua
madre non agisce secondo i suoi doveri?

ELINA. (prorompendo) Oh! se io lo facessi!

JNGER. Taci; tu non hai il diritto di domandar conto delle azioni di
tua madre. Io con una sola parola potrei... ma è meglio che tu non
sappia, tu devi aspettare gli avvenimenti; può accadere che...

ELINA. (vuol andare) Buona notte, madre.

JNGER. (esitante) No, resta con me; ho ancora qualche cosa da
aggiungere. Avvicinati; tu devi udirmi Elina! (si siede presso il
tavolo, alla finestra di destra).

ELINA. Vi ascolto.

JNGER. Per quanto tu sii di carattere chiuso, e non abbii detto mai
nulla, so di sicuro che tu hai desiderato più di una volta di andar via
da qui. Tu sei troppo sola qui.

ELINA. E ciò vi meraviglia, madre?

JNGER. Dipende da te, perchè siano in avvenire cambiate le cose.

ELINA. Come?

JNGER. Ascoltami, questa notte aspetto un ospite.

ELINA. (avvicinandosele) Un ospite?

JNGER. Un ospite che deve rimanere straniero e sconosciuto. Nessuno
deve sapere nè da dove viene, nè dove va.

ELINA. (le cade in ginocchio davanti, prendendole le mani con un grido
di gioia) Madre mia, madre mia! Perdonatemi se potete, i miei torti
contro di voi!

JNGER. Che intendi dire? Elina, io non ti capisco.

ELINA. Dunque tutti si sono sbagliati! Voi siete ancora fedele!

JNGER. Ma via, alzati e parla.

ELINA. Ebbene, credete che io non sappia chi sia l’ospite aspettato?

JNGER. Tu lo sai? Ebbene?

ELINA. Credete voi che le porte di Östrot siano tanto grosse da non
lasciar passare un lamento? Credete voi che io non sappia che qualche
avanzo di nobile famiglia vada errando qui intorno senza pane e senza
tetto, come un esiliato, nel mentre che i Danesi dispongono delle case
dei suoi padri?

JNGER. Ebbene? Prosegui.

ELINA. So benissimo che alcuni ben nati cavalieri sono cacciati, come
lupi nella foresta. Essi non hanno casa e nemmeno un tozzo di pane.

JNGER. (fredda) Basta! Adesso ti capisco.

ELINA. E perciò voi aprite loro le porte di notte. E perciò egli deve
essere straniero e sconosciuto, questo ospite, del quale nessuno deve
sapere da dove viene e dove va! Voi, malgrado i severi ordini dei
signori, che vi proibiscono di soccorrere i fuggiaschi, li ospitate e
li mantenete.

JNGER. Basta ti dico. (tace per un momento e soggiunge dolorosamente)
Ti inganni Elina, non è uno di questi ch’io aspetto.

ELINA. (si alza) Allora io ho capito male sicuramente.

JNGER. Odimi, figlia mia. Ma con attenzione e procura di capirmi.

ELINA. Avrò capito quando mi avrete parlato.

JNGER. Dunque ascolta quello che ti ho da dire: Per quanto io abbia
potuto, finora ho cercato sempre di renderti inconsapevole di tutti i
dolori e di tutte le angoscie che ci opprimono. A che servirono tutte
le cure ch’io ebbi per la tua giovane anima? Non dobbiamo ora piangere
e lamentarci come donnine, ma abbiamo bisogno di forza e coraggio
virile.

ELINA. E chi vi ha detto che io non ne abbia al bisogno?

JNGER. Taci bambina, potrei prenderti in parola.

ELINA. Come, madre?

JNGER. Potrei chieder tanto da te — potrei! — Ma lasciami finire. Tu
devi dunque sapere che si avvicina il tempo, per il quale i consiglieri
della corte danese tanto hanno lavorato — il tempo voglio dire — in cui
essi daranno l’estremo colpo alla nostra libertà: si tratta per ciò...

ELINA. (vivace) Di cacciarli madre mia?

JNGER. No, di saper tollerare per ora. In Copenhagen il governatore
è stato adesso cambiato, per vedere di sistemare meglio le cose. La
maggioranza deve pensare che le discordie sussisteranno sempre, fino
a che Norvegia e Danimarca non siano un regno unito; poichè quando noi
godremo dei nostri diritti come regno libero e si dovrà trattare della
scelta del re, è probabile che scoppino le ostilità apertamente. Ciò,
vedi, i signori danesi vogliono impedirlo...

ELINA. Lo vogliono impedire?... E noi dovremo soffrirlo? Dovremo star a
vedere tranquillamente che...

JNGER. No, noi non lo soffriremo. Ma noi abbiamo bisogno di armi. Ora,
entrando in aperta guerra, dove ci condurrà il nostro agire? E non è
epoca cattivissima questa di mettersi soli in campagna? No, se vogliamo
tentare qualche cosa, dobbiamo farla prudenti ed in silenzio. Dobbiamo
come dico, guadagnar tempo, prepararci. Nella Norvegia del Sud vi sono
molti partigiani nobili per i Danesi, ma qui nel Nord a Dovrefield c’è
sempre del dubbio. Perciò re Federico ha inviato espressamente un messo
per informarsi, come la pensiamo.

ELINA. (ansiosa) Ebbene e poi?

JNGER. Questo cavaliere sarà questa notte in Östrot.

ELINA. Qui? Questa notte?

JNGER. Un vetturale lo trasportò ieri da Drontheim; da lui seppi che
egli doveva venir qui. Fra qualche ora sarà qui.

ELINA. E voi non pensate a ciò, cui andate incontro, concedendo
all’inviato danese un tal convegno? Il nostro popolo non è forse
abbastanza sospettoso? Come potete sperare che esso si lasci governare
e consigliare, se voi lasciate dire che...

JNGER. Non ti preoccupare. Io ho ben pensato a tutto ciò; ma non c’è
nessun pericolo. La sua venuta qui è un segreto, perciò egli viene
quale straniero e sconosciuto e così dovrà restare.

ELINA. E del suo nome danese?

JNGER. Esso ha una grande influenza, Elina! La nobiltà danese potrebbe
difficilmente vantarne migliore.

ELINA. Ma che avete dunque stabilito? Io non ho ancora capito quale sia
la vostra intenzione.

JNGER. Tu lo saprai ben presto. Quando non si può schiacciare il serpe,
lo si deve legare.

ELINA. Ma si deve ben guardare, che la corda non si rompa.

JNGER. Dipende da te, se sarà ben legata.

ELINA. Da me?

JNGER. Ho osservato da lungo tempo che per te Östrot è una gabbia ed ad
un giovane falco non conviene la prigione.

ELINA. Le mie ali sono tarpate. Anche se mi deste la libertà, mi
servirebbe a ben poco.

JNGER. Le tue ali non sarebbero impotenti, se tu lo volessi.

ELINA. Se io lo volessi? La mia volontà è nelle vostre mani. Se
continuaste ad esser ciò che eravate, anch’io...

JNGER. Basta ti dico. Ascoltami. Il partire da Östrot non credo, che ti
contrarierebbe molto.

ELINA. Può essere, madre mia.

JNGER. Tu mi dicesti una volta che la tua vita era felice, quando
vivevi del pensiero, delle leggende e delle favole. Questa vita
potrebbe ritornare per te.

ELINA. Che dite?

JNGER. Se un possente cavaliere venisse e ti portasse con sè, dove
potresti trovare ancelle, scudieri, abiti di seta e sale dorate?

ELINA. Un cavaliere, dite?

JNGER. Un cavaliere.

ELINA. (piano) Ed il messo danese viene qui questa notte.

JNGER. Questa notte.

ELINA. Se è così, temo di mal interpretare le vostre parole.

JNGER. Non c’è niente da temere, se non vuoi interpretarle male. Certo
non è mia intenzione di forzare la tua volontà. Tu devi scegliere
secondo le tue preferenze e risolvere da te stessa.

ELINA. (avvicinandosele di un passo) Voi avete sentito parlare di
quella madre, che di notte tempo andava in slitta sulla montagna coi
suoi piccoli? Una turba di lupi prese ad inseguirla; si trattava della
vita o della morte ed essa gettò i suoi bambini uno dopo l’altro, per
guadagnar tempo e salvar sè stessa.

JNGER. Favole! Una madre si strappa il cuore dal petto, prima di
abbandonare i suoi figli ai lupi.

ELINA. Se non fossi la figlia di mia madre, vi darei ragione; ma voi
siete quella madre, che gettò le proprie figlie ai lupi, una dopo
l’altra. Prima gettaste la maggiore. Cinque anni fa Merete partì da
Östrot ed ora è là tra i monti sposa di Vincenzo Lung; ma credete voi
ch’essa sia felice come moglie d’un signore danese? Vincenzo Lung è
potente, quasi come un re. Nella sua casa Merete ha ancelle, scudieri,
vesti splendide e sale dorate; ma per lei il giorno è buio e la notte
non ha requie, essa non si è mai trovata bene. Egli venne qui, le
fece la corte, perchè essa era la gentildonna più ricca di Norvegia e
perchè egli aveva bisogno di essere sicuro nel paese. Lo so io, oh!
lo so benissimo. Merete era ubbidiente a voi. Essa seguì il signore
straniero. Ma cosa le è costato! Più lagrime di quelle, che potrebbe
versare una madre al giorno del giudizio per scolparsi!

JNGER. Conosco il mio operato e ciò non mi spaventa.

ELINA. Il vostro operato non finisce qui: dov’è Lucia, la vostra
seconda figlia?

JNGER. Domandalo a Dio che se l’ha presa.

ELINA. A voi lo domando; perchè avete da rispondere della sua vita.
Era allegra e vispa come un uccellino in primavera, quando partì da
Östrot per visitare la sorella Merete. Un anno dopo ritornò qui, il
suo viso era pallido e la morte si era impadronita di lei. Sì, voi vi
meravigliate, madre mia! Voi credevate che queste cose fossero segreti
vostri, ma essa mi disse tutto. Un cavaliere di Corte aveva conquistato
il suo cuore. Egli voleva sposarla; voi sapevate che si trattava del
suo onore. E non ostante foste inflessibile e vostra figlia dovette
morire. Vedete che io so tutto.

JNGER. Tutto? Dunque ti avrà detto anche il nome di lui.

ELINA. Il nome? No, il nome non me l’ha detto. Essa aveva una gran
paura di quel nome, non lo pronunciò mai.

JNGER. (come sollevata) Ah! dunque non sai tutto. Elina ciò che tu
m’hai detto, io lo sapeva da lungo tempo. Ma c’è una cosa, alla quale
tu forse non hai fatto attenzione. Il cavaliere che trasportò Lucia nei
monti era un Danese.

ELINA. Lo so.

JNGER. Ed il suo amore era una menzogna. Egli la conquistò con astuzie
e parole ingannatrici.

ELINA. Lo so; ma tuttavia essa lo aveva amato, e voi madre, non aveste
il cuore di curare sopra tutto il suo onore.

JNGER. Non sarebbe stata felice. Credi tu, ch’io coll’esempio di
Merete sotto gli occhi, avrei voluto dare mia figlia ad un uomo che non
l’amava?

ELINA. Le parole menzognere ingannano molto facilmente; ma io non mi
lascio ingannare. Non crediate, che tutto ciò che mi sta attorno mi
sia straniero. Ora conosco le ragioni del vostro modo di operare. So
benissimo che i signori danesi non hanno in voi un’amica fedele. Voi
li odiate forse, ma li temete. Al tempo di Merete i signori danesi
erano onnipotenti; tre anni dopo, quando proibiste a Lucia di sposare
l’uomo, cui era legata per la vita, sebbene fosse stata sedotta... le
cose erano cambiate. I ministri del re danese avevano commesso delle
infami vessazioni contro il popolo, e voi non trovaste più opportuno
di stringere ancora più saldi legami cogli stranieri oppressori. E
che avete fatto per vendicare quella infelice che morì sì giovane? Voi
non avete fatto niente. Perciò io vorrei agire in vece vostra; vorrei
vendicare tutte le onte, che la nostra casa e il nostro popolo hanno
sofferto.

JNGER. Tu? Che ti viene in mente?

ELINA. Io seguo le mie idee, come voi seguite le vostre. Quello che ho
in mente di fare, non lo so nemmeno io; ma mi sento bastante forza per
osare tutto per il giusto.

JNGER. Dunque tu vuoi combattere una lotta dura. Io feci una volta un
voto che tu... Ed i miei capelli son divenuti grigi senza averlo potuto
compiere.

ELINA. Buona notte, il vostro ospite può venire ed io sono d’impaccio.
Forse siete ancora a tempo. Dio vi aiuti. Non dimenticate che migliaia
di persone vi guardano. Pensate a Merete che piange sulla sua vita
perduta. Pensate a Lucia che dorme nella tomba. Ed ancora: non
dimenticate che in questa notte si deciderà la sorte della vostra
ultima creatura! (va a sinistra).


SCENA X.

JNGER (_sola_).


JNGER. (la guarda) La mia ultima creatura! Tu hai detto il vero più
di quanto non credi! Ma non si tratta solo di mia figlia. Dio aiutami,
questa notte saranno decise le sorti di un regno. (va alla finestra a
destra) Ah! mi par di sentire il trotto di un cavallo. (si sporge) No,
non ancora. È stato il vento; soffia gelato. Perchè Dio mi fece donna,
incombendomi un compito da uomo? Adesso per modo di dire, ho il paese
nelle mie mani. Sta in mio potere il lasciarlo sollevare e ribellarsi.
Essi aspettano il segnale da me. E se io non lo do ora, più tardi non
saremo più in tempo. Esitare? Osteggiare la volontà degli altri? Non
sarebbe meglio se... No, no — non lo voglio — non lo posso! (getta uno
sguardo furtivo nella sala, si volta come spaventata e dice con voce
paurosa) Sono là di nuovo — pallidi spettri — dei miei antenati morti.
Oh! quegli occhi scintillanti, lì negli angoli della sala (batte le
mani ritirandosi e grida) Steno Sture! Knut Alfson! Olaf Skaktavl!
Lasciatemi! Non posso, non voglio!


SCENA XI.

SIG. JNGER, UNO STRANIERO.


UNO STRANIERO. (forte, alto, coi capelli brizzolati, barba, avvolto in
una pelle d’agnello lacera, colle mani incallite, entra dalla sala, si
ferma sulla porta) Salve, signora Jnger Gyldenlöve.

JNGER. (si volta con un grido) Ah! Dio del cielo! Aiutami! (cade sulla
sedia).

LO STRANIERO. (la fissa, imperturbabile, appoggiato sulla sua spada).


  FINE DELL’ATTO PRIMO.




ATTO SECONDO

  _Scena come nel 1.º Atto._


SCENA PRIMA.

SIG. JNGER, OLAF SKAKTAVL.


JNGER. (si siede a destra, al tavolo davanti alla finestra).

OLAF. (sta poco discosto da lei; i visi di entrambi palesano che una
gran commozione li preoccupa) Per l’ultima volta Jnger Gyldenlöve,
siete dunque irremovibile nel vostro proponimento?

JNGER. Non posso agire diversamente ed il mio consiglio è che facciate
come me. È volontà di Dio che la Norvegia debba restare soggiogata e
così sarà, che noi vogliamo o no.

OLAF. E io dovrei accontentarmi della fede? Dovrei starmene tranquillo
ed inoperoso ora, che è giunto il tempo d’agire? Avete dimenticato ciò
che io ho da rivendicare. Essi hanno occupato le mie terre e se le sono
divise. Mio figlio, il mio unico figlio, l’ultimo della mia stirpe,
fu da loro ucciso come un cane. Essi hanno perseguitato me stesso per
i monti e per le selve per venti anni, ho il presentimento di dover
presto morire; ma io ho la fede che essi non riesciranno a pormi nella
tomba, prima che io non sia vendicato.

JNGER. Voi avete molti anni ancora da vivere. Che cosa volete fare?

OLAF. Fare? So io che cosa voglio fare? Non mi sono mai arreso senza
combattere. Per questo dovreste aiutarmi. Avete abbastanza talento per
ciò... Io non ho che le mie braccia e le mie armi.

JNGER. Le vostre armi sono arruginite, Olaf Skaktavl! Tutte le armi
sono arruginite in Norvegia.

OLAF. Dunque si combatterà solo colla lingua? Jnger Gyldenlöve vi siete
molto mutata; una volta batteva un cuor virile nel vostro petto.

JNGER. Non richiamate il passato.

OLAF. Ma io sono venuto per questo da voi. Uditemi e se...

JNGER. Bene; ma fate presto, perchè — sì, io devo dirvelo, non siete al
sicuro in questa casa.

OLAF. L’esiliato non è sicuro nella Corte di Östrot? Lo sapevo da luogo
tempo. Ma dimenticate che l’esiliato è mal sicuro in qualunque luogo!

JNGER. Dunque, parlate; io non ve lo impedisco.

OLAF. Trent’anni fa vi vidi per la prima volta; fu ad Akershus presso
Knut Alfson e sua moglie. Allora eravate ancora quasi bambina; ma
tuttavia eravate coraggiosa come un falco, irrequieta e di natura
indocile. Erano molti che vi corteggiavano. Anche a me eravate cara,
tanto cara, come non lo fu per me nessuna altra donna. Ma avevate un
solo scopo ed una sola idea. Era il pensiero della infelicità e dei
grandi bisogni del regno.

JNGER. Io, pensate, avevo quindici anni! Ed in quei giorni non ci
pareva vero d’essere tutti presi da uno spirito ribelle.

OLAF. Chiamatelo come vi piace; ma io so questo: i nostri vecchi ed
i nostri antenati dicevano essere scritto in cielo, che voi sareste
stata quella che avrebbe scosso il nostro giogo e resi a noi i nostri
diritti.

JNGER. Quello era un pensiero colpevole, Olaf Skaktavl. Era un pensiero
orgoglioso e non l’appello del Signore che parlava a me.

OLAF. Voi avreste potuto essere l’eletta, se l’aveste voluto. Voi
rappresentavate l’antica vostra razza, avevate potenza e ricchezze
bastanti per potere aspettare; e avevate sempre un orecchio pietoso
per i bisognosi, in qualunque tempo. Rammentate che ogni dopo pranzo,
Enrico Krummedike veniva davanti ad Akershus colla flotta danese? I
padroni dei bastimenti pregarono di venire ad un accordo, e Knut Alfson
sicuro del salvacondotto si fece trasportare a bordo. Tre ore dopo noi
lo portavamo alla porta del castello...

JNGER. Morto! morto!

OLAF. Il miglior cuore della Norvegia cessava di battere, ucciso dai
mercenari di Krummedike. Mi pare ancora di vedere il funebre corteo
passare nella sala dei cavalieri. Egli giaceva nella bara col colpo
di scure sulla fronte, bianco come un lenzuolo. Posso dire che quella
notte i migliori cavalieri norvegesi erano là riuniti. La signora
Margherita stava presso al suo defunto e tutti e noi tutti giurammo di
vendicare quell’ultima offesa e tutte le altre. Jnger Gyldenlöve, chi
era quella che si inoltrò nel cerchio degli uomini? Una giovinetta,
quasi una bambina, cogli occhi lucenti e la voce tremante per le
lacrime. Che cosa giurò essa? Devo io ripetere le vostre parole?

JNGER. Giurai ciò che giurarono gli altri; nè più nè meno.

OLAF. Voi parlate del vostro giuramento... e l’avete già dimenticato.

JNGER. E come lo mantennero quelli che giuravano? Non parlo di voi,
Olaf Skaktavl, ma dei vostri amici, di tutta la Norvegia. Non ve ne è
stato uno, che abbia avuto il coraggio di essere uomo in questi anni.
Ed ora rinfacciatemi che sono una donna.

OLAF. So ciò che volete dire. Per qual ragione essi si sottomisero,
invece di sfidare il plenipotenziario fino agli estremi? Verissimo;
oggi i discendenti delle nostre razze sono in esilio; ma se essi
fossero stati tutti uniti, che sarebbe accaduto? E voi avreste potuto
riunirli davanti a voi, tutti si sarebbero inchinati.

JNGER. Potrei rispondervi facilmente; ma voi non terreste conto della
mia risposta. Non parliamo più di quello che è stato. Dite perchè
siete venuto qui ad Östrot. Avete bisogno di un rifugio? Benissimo;
io cercherò di procurarvelo. Se volete altro, parlate, mi troverete
pronta.

OLAF. Da 20 anni sono senza patria. I miei capelli sono incanutiti
sulle roccie dei paesi stranieri. Ho pernottato vicino ai lupi e agli
orsi. Voi vedete signora Jnger, che non sono io che ha bisogno di voi;
ma i nobili ed il popolo.

JNGER. La vecchia storia!

OLAF. Sì, e ciò suona male alle vostre orecchie, lo so bene; ma
tuttavia voi la dovete sempre sentire. Alle corte, vengo dalla Svezia,
essa è in agitazione. La rivoluzione deve scoppiare in Dalekarlia.

JNGER. Lo so.

OLAF. Il cancelliere Pietro è con noi, ma segretamente, voi m’intendete.

JNGER. (meravigliata) Come?

OLAF. È lui che mi ha mandato qui ad Östrot.

JNGER. (si alza) Il cancelliere Pietro?

OLAF. Egli stesso, o forse non lo conoscete più?

JNGER. (quasi fra sè) Bene. Ora ditemi, che messaggio portate?

OLAF. Quando la notizia del malcontento penetrò fino ai monti del
confine, ove io viveva, mi misi subito sulla strada per la Norvegia.
Poteva benissimo pensare che il cancelliere aveva preparato questo
colpo di mano. Lo cercai e gli offrii il mio aiuto. Egli mi conosceva
dai tempi passati. Egli sapeva che si poteva fidar di me e perciò mi
mandò qui.

JNGER. (impaziente) Certo, certo; egli vi mandò per...?

OLAF. (con secretezza) Signora Jnger. Uno straniero arriverà a Östrot
questa notte.

JNGER. Come? Voi sapete che...? (sorpresa).

OLAF. Sì, lo so, so tutto; il cancelliere mi ha mandato qui per
trovarlo.

JNGER. Lui? Impossibile! Olaf Skaktavl. Impossibile!

OLAF. È come dico; se non è già venuto, non starà molto... fino...

JNGER. Sicuro; ma...

OLAF. Voi eravate preparata alla sua venuta?

JNGER. Certo; egli mi ha mandato sue notizie. Perciò vi fu aperto,
appena bussato.

OLAF. (ascolta) Ascoltate! Ecco, qualcuno arriva a cavallo. (va alla
finestra) La porta si apre.

JNGER. (guarda fuori) Un cavaliere col suo scudiero. Discendono in
cortile.

OLAF. È questo? Il suo nome?

JNGER. Voi non sapete il suo nome?

OLAF. Il cancelliere si rifiutò di nominarlo. Disse soltanto, che
l’avrei incontrato qui a Östrot la terza sera della fiera di San
Martino...

JNGER. Appunto questa sera stessa.

OLAF. Egli porterà delle lettere; da queste potrò sapere o dalla vostra
bocca, chi è egli.

JNGER. Allora permettetemi ch’io v’accompagni alla vostra stanza. Avete
bisogno di riposo e ristoro, e dovrete parlar presto collo straniero.

OLAF. Come vi piace. (escono ambedue da sinistra).

FINN. (dopo una breve pausa entra da destra, guarda intorno, ritorna
alla porta e fa segnali a quelli di fuori).


SCENA II.

FINN, NILS LYKKE, JENS BJELKE.


LYKKE. (sottovoce) Nessuno?

FINN. (c. s.) No signore.

LYKKE. E noi possiamo fidarci di te?

FINN. Il comandante di Drontheim mi diede dei certificati di fiducia.

LYKKE. Bene. Me l’ha detto lui stesso. E prima di tutto, questa sera è
arrivato qui uno straniero prima di noi?

FINN. Sì, è venuto un’ora fa.

LYKKE. (sottovoce a Bjelke) È qui. (a Finn) Tu lo riconosceresti? L’hai
visto?

FINN. No. Nessuno fuori del portinaio. Egli fu introdotto subito presso
la signora Jnger.

LYKKE. Ebbene? E lei? Il forestiero non sarà di certo già ripartito?

FINN. No. Ma credo che lo tenga nascosto nelle sue proprie stanze,
perchè....

LYKKE. Va bene.

BJELKE. Prima di tutto sentinella alla porta. Così l’abbiamo sicuro.

LYKKE. (sorridendo) Hum! (a Finn) Dimmi, in questo castello c’è
un’altra uscita oltre la porta?

FINN. (lo guarda meravigliato).

LYKKE. Non guardarmi così stupidamente. Domando, se qualcuno può
uscire, quando è chiusa la porta del castello.

FINN. Io non lo so. Si parla certo di strade secrete nei sotterranei.
Ma nessuno le conosce, eccetto la signora Jnger e forse la signora
Elina.

BJELKE. Al diavolo!

LYKKE. Bene; tu puoi andare.

FINN. Se avete bisogno di me, bussate alla seconda porta di questa
sala, sarò subito ai vostri ordini.

LYKKE. Bene.

FINN. (parte).


SCENA III.

NILS LYKKE E JENS BJELKE.


BJELKE. Ascoltate, fedele amico e fratello; questa è una cattiva
spedizione per noi due.

LYKKE. (ridendo) Oh! per me spero di no.

BJELKE. No? Primieramente c’è poco onore nel far la caccia a Nils
Sture. Devo crederlo un sapiente od un pazzo dal suo modo d’agire?
Prima suscita la rivolta fra i contadini, quindi promette loro aiuto
ed infine scappa e va a nascondersi dietro una sottana. Davvero io mi
pento, lo dico francamente, d’aver seguito il vostro consiglio e non
aver agito secondo le mie proprie intenzioni.

LYKKE. (sottovoce) Il pentimento viene assai tardi, caro fratello.

BJELKE. Non fu mai mia passione quella di scovare i tassi. Io mi
aspettava tutta un’altra cosa. Sono venuto coi miei cavalieri da
Jämteland. Ho ricevuta la lettera del comandante di Drontheim, che mi
ordina di cercare dove mi piace il ribelle. Tutte le traccie indicano
che egli si è nascosto ad Östrot.

LYKKE. È qui, è qui, vi dico.

BJELKE. Niente di più naturale, se avessimo trovato la porta ben
custodita! Io avrei potuto almeno impiegare i miei cavalieri.

LYKKE. Invece di questo ci si apre gentilmente la porta. State attento:
se la signora Jnger corrisponde alla sua fama, non lascierà mancare di
nulla i suoi ospiti.

BJELKE. Per farmi allontanare dalle mie idee, nevvero! Come vi è venuto
in mente di farmi lasciare indietro i miei cavalieri? Se li avessimo
condotti qui...

LYKKE. Essa ci avrebbe ricevuti lo stesso come graditi ospiti,
ma pensate però, che questa visita avrebbe fatto gran chiasso; i
contadini avrebbero visto in ciò un insulto alla signora Jnger. Essa
avrebbe riacquistato il favore della moltitudine e questo non è da
consigliarsi.

BJELKE. Può essere; ma adesso che facciamo? Voi dite che Sture è qui. A
che mi serve? La signora Jnger avrà certamente più d’una via d’uscita.
Noi due possiamo restare qui fin che vogliamo; non scopriremo mai
niente.

LYKKE. Ebbene, caro signore; se non vi piace la piega che la nostra
spedizione ha preso, lasciate a me il campo.

BJELKE. A voi? Che volete fare?

LYKKE. Astuzia e finezza possono fare ciò, che non possono le armi.
Ebbene, parlando francamente, Sig. Bjelke, io avevo già questo
pensiero, quando ci siamo trovati a Drontheim.

BJELKE. Mi avete perciò persuaso a separarmi dai miei uomini?

LYKKE. Così i nostri affari possono essere meglio finiti e poi...

BJELKE. Andate al diavolo... l’avrei quasi detto! Io avrei dovuto
sapere, che voi siete astuto come una volpe.

LYKKE. Sì, ma badate; qui bisogna fare come la volpe, se si vuol
combattere colle stesse armi ed io vi dirò che è per me di una grande
importanza, di disimpegnarmi con prudenza del mio incarico. Dovete
sapere che il re mio padrone, alla mia partenza è stato poco gentile
con me. Egli ha creduto d’avere le sue ragioni quantunque io abbia la
convinzione d’essergli stato utile in più d’una difficile impresa, come
pochi lo furono.

BJELKE. Voi potete credervi. Dio e tutto il mondo sa che voi siete il
più astuto dei tre Regni.

LYKKE. Grazie. Ciò non dice molto. Quel che voglio fare qui, sarà il
mio capolavoro perchè qui si tratta d’ingannare una donna.

BJELKE. In questo caso voi ne avete fatti degli altri capolavori.
Credete che noi non conosciamo anche in Isvezia la canzone:

    «In Norvegia sospiran le vergini pure»
    «Dio volesse che Nils Lykke mi amasse»

LYKKE. Questi versi valgono per le giovinette di venti anni, ma la
signora Jnger ne ha cinquanta ed è astutissima. Sarà difficile il
vincerla, ma riescirò ad ogni costo. Se riesco a procurare al re certi
vantaggi, che egli desidera da lungo tempo, posso calcolare che nella
vicina primavera a me confiderà la legazione di Francia. Voi sapete
bene ch’io passai tre anni alla Università di Parigi. Tutte le mie idee
sono rivolte là; vorrei presentarmivi come ambasciatore del re. Ebbene,
non è vero?... Voi mi lascerete trattare colla signora Jnger. Pensate,
quando voi eravate alla corte di Copenaghen, io vi ho abbandonate molte
damigelle.

BJELKE. Voi sapete che la vostra generosità non è stata molto grande,
perchè avevate in vostra mano tutte quelle ragazze, ma è tutt’uno...
Dal momento ch’io ho sbagliato l’indirizzo della cosa, preferisco che
continuiate voi solo; però voglio la vostra parola che, se il conte
Sture sarà preso, è inteso, che lo rimetterete vivo o morto nelle mie
mani.

LYKKE. L’avrete vivo, io non voglio ucciderlo. Ma adesso ritornate dai
vostri cavalieri; occupate la via. In caso ch’io veda qualche cosa di
sospetto, sarete subito avvisato.

BJELKE. Bene, bene; ma come posso andare via?

LYKKE. Il servitore che ci ha condotti qui, vi aiuterà; ma nel più
grande silenzio.

BJELKE. Va bene. Buona fortuna.

LYKKE. La fortuna non mi ha mai abbandonato nella lotta colle donne.

BJELKE. (parte a destra).


SCENA IV.

NILS LYKKE (_solo_).


LYKKE. (tace un momento, va su e giù per la stanza). Eccomi finalmente
ad Östrot. Il vecchio possesso dei nobili Jnger, del quale una
fanciulla due anni fa mi raccontò tante cose. Sì, due anni fa era
ancora bambina, adesso... adesso... è morta (canticchia a mezza voce)
«Le rose fioriscono e poi muoiono» (guarda intorno) Östrot! Mi pare
di averlo già veduto, come se fosse casa mia. Là c’è la sala dei
cavalieri; e qui sotto sono i sepolcri della famiglia. Di certo anche
Lucia giace là. (più adagio, serio e sforzandosi di scherzare) Se io
fossi un uomo pauroso, potrei immaginarmi che essa si sia rivoltata
nella tomba, quando io ho messo il piede in questa casa. Quando io
traversai il cortile mi sembrò si sollevasse il coperchio dell’avello,
e quando adesso pronunciai il suo nome mi sembrò di udire una voce
chiamarla per uscire dalla tomba. Forse essa monta le scale. Forse il
sudario le impedisce d’andare, ma essa avanza sempre e gradatamente;
essa è là nella sala dei cavalieri forse; si appoggia ad una colonna e
mi guarda. (alza la testa) Vieni Lucia, intrattienti un poco con me.
Tua madre mi fa aspettare. È noiosa l’aspettativa, e tu mi hai fatto
passare la noia di molte ore. (si passa la mano sulla fronte e va in
su e in giù) To’, appunto, ecco la finestra bassa coi panneggiamenti.
Là, Jnger Gyldenlöve suole stare a guardare sulla via, come aspettando
uno che non viene mai. Là (guarda la porta a sinistra) è la stanza
della sorella Elina. Elina? Sì, si chiama Elina. Posso credere che essa
sia così strana, intelligente e coraggiosa come diceva Lucia? Deve
essere anche bella... ma come moglie? Non avrei dovuto scrivere così
apertamente. (vuol sedere alla tavola ma si alza) Come mi riceverà la
signora Jnger? Spero che non farà crollare il castello sopra di noi,
spero che non mi farà cadere in un trabocchetto e nemmeno sorprendermi
con un pugnale.


SCENA V.

NILS LYKKE, SIG. JNGER.


JNGER. (viene dal mezzo freddamente) Vi presento i miei saluti, signor
ambasciatore.

LYKKE. (s’inchina profondamente) Ah! La signora di Östrot!

JNGER. E i miei ringraziamenti per avermi annunciata la vostra visita.

LYKKE. Niente di più del mio dovere. Aveva ben ragione di credere che
la mia venuta vi avrebbe sorpresa.

JNGER. In verità, signor ambasciatore, non avete sbagliato. Non avrei
mai pensato d’aver l’onore di ospitare il sig. Nils Lykke.

LYKKE. E ancora meno che venissi come amico.

JNGER. Come amico? Voi aggiungete anche lo scherno alla vergogna, e
alla miseria, che avete accumulata sulla mia casa! Dopo avermi portato
nella tomba una bambina, osate ancora...?

LYKKE. Perdonate signora Jnger, su questo punto non saremo mai
d’accordo. Voi non considerate ciò che io ho perduto in quella
disgraziata occasione. Le mie intenzioni erano oneste. Io era stanco
della vita disordinata. Io aveva già più di 30 anni e desiderava una
buona e cara moglie; a ciò aggiungete la speranza sulla fortuna di
diventare vostro genero.

JNGER. Siate cauto, signor ambasciatore. Io ho taciuto su ciò che
accadde a mia figlia, ma non crediate che mi sia ignoto nulla. Verrà
forse l’occasione...

LYKKE. Vi avevo offerto la mia mano per un accordo. Voi rifiutaste
d’accettarla e adesso volete fra noi guerra aperta, l’intendete proprio
così?

JNGER. Non ho mai saputo, che sia stato altrimenti prima.

LYKKE. Da parte vostra forse, ma io non sono stato mai vostro nemico.
Quantunque come suddito del re di Danimarca, avessi avuto le mie buone
ragioni.

JNGER. Capisco, io non sono stata abbastanza sottomessa. Non è andato
come desideravate, che io passassi nel vostro campo; ma mi sembra
che voi non avete da lagnarvi di me. Il marito di mia figlia Merete
è vostro compatriota. Più in là non posso andare. La mia posizione è
difficile, Nils Lykke.

LYKKE. Comprendo benissimo. La nobiltà, il popolo credono di avere
delle pretese su voi, pretese che voi non avete soddisfatte che a metà.

JNGER. Scusate signore, io non rendo conto delle mie azioni che a Dio
ed a me stessa. Se vi piace, ditemi che cosa vi conduce.

LYKKE. Subito, signora Jnger. Lo scopo della mia visita non vi può
essere sconosciuto.

JNGER. Io so che compito dovete adempiere. È di grande importanza per
voi l’aver notizie della nobiltà norvegese.

LYKKE. Certo.

JNGER. E per questo venite ad Östrot?

LYKKE. In parte sì. Ma io non vengo per esigere un assentimento da voi.

JNGER. Ebbene?

LYKKE. Ascoltatemi signora Jnger. Voi dicevate or ora che la vostra
posizione è difficile. Voi siete tra due campi nemici, che osano
fidarsi soltanto a metà di voi. Il vostro interesse personale vi lega
necessariamente a noi. D’altra parte siete legata ai malcontenti come
compatriota e forse anche per altre secrete convenzioni.

JNGER. (piano) Secrete convenzioni? Dio! Dovesse egli?...

LYKKE. (vede le sue mosse ed aggiunge con calma) Voi vedete benissimo
che questa posizione non può più durare. Mettete il caso che sia in mio
potere di liberarvi da questa posizione che...

JNGER. In vostro potere, dite?

LYKKE. Prima di tutto signora Jnger, vi prego di non dar importanza
alle parole che vi ho detto, su ciò che riguarda noi due personalmente.
Non crediate che io trascuri un momento il debito che ho verso di voi.
Fu sempre mia intenzione di rimediare all’offesa che vi ho fatta.

JNGER. Spiegatevi esattamente signor ambasciatore, adesso non vi
capisco.

LYKKE. Forse non mi sbaglio, supponendo che vi inquietino le rivolte
che minacciano la Svezia. Voi sapete o l’immaginerete in ogni caso, che
queste rivolte hanno uno scopo più grande, di quello che in generale
s’attribuisce; e voi capirete che il nostro re non può vedere questo
tranquillamente; se tali fatti non cessano... Non è vero?

JNGER. Continuate.

LYKKE. (pensando dopo una breve pausa) Può darsi il caso che il trono
di Gustavo sia in pericolo.

JNGER. (piano) A che vuol venire?

LYKKE. Il caso stesso, che si trovi in Svezia un uomo capace di
sollevare il popolo contro il sovrano.....

JNGER. (indietreggia) La nobiltà svedese è tanto avvilita e degradata
quanto la nostra sig. ambasciatore!... Dove volete andare a cercare...

LYKKE. (sorridendo) Cercare? L’uomo è trovato.

JNGER. Ah! già trovato?

LYKKE. Ed egli è vicino a voi, nobile signora, sebbene i vostri
pensieri non possano cadere su lui. (la guarda impassibile) Il defunto
conte Sture aveva lasciato un figlio.

JNGER. (con un grido) Dio mio, come lo sapete voi?

LYKKE. Calmatevi, nobile signora, lasciatemi finire. Questo giovane
signore ha vissuto fin qui nascosto presso sua madre, la vedova di
Steno Sture.

JNGER. (c. s.) Presso? Ah! sì — sì — certo!

LYKKE. Ora è entrato in azione. In Dalekarlia si è atteggiato a capo
dei contadini. I suoi fatti crescono ogni giorno, e — come voi forse
saprete, essi trovano partigiani nel popolo.

JNGER. (rimettendosi) Signor ambasciatore, voi richiamate tutte queste
cose, sapendo benissimo che io le so. A che scopo lo fate voi? Non lo
so e non voglio saperlo. La mia intenzione è di vivere tranquilla nei
miei possessi; io non stimo i seminatori di discordie, dunque se avete
la mente a ciò, vi prego di renunziarvi.

LYKKE. (impazientito) Vorrete restare estranea ed inoperosa se io
pensassi di parteggiare per voi?

JNGER. Come vi posso capire?

LYKKE. Non avete dunque compreso su che cosa si aggira il mio discorso?
Ebbene, vi dirò tutto apertamente. Sappiate dunque che il re ed il suo
ministro hanno compreso che noi non possiamo essere sicuri in Norvegia,
finchè nobiltà e popolo continuano nelle ribellioni. Abbiamo capito che
questi sarebbero più volentieri alleati che sudditi forzati e noi non
desideriamo di meglio, che sciogliere questo legame, che in fondo ci
opprime come voi. Ma voi riconoscerete facilmente che il sentimento dei
Norvegesi per un tal passo dà molto da pensare — finchè non avremo un
appoggio sicuro.

JNGER. E questo appoggio?

LYKKE. Prima di tutto bisogna cercarlo in Svezia. Ma là non può
succedere finchè governa Gustavo Wasa. Perchè il suo conto colla
Danimarca non è finito e non lo sarà mai. Ma un nuovo re di Svezia
che avesse l’appoggio del popolo e la corona della Danimarca... Sì,
voi cominciate a comprendermi. Allora potremo dire a voi Norvegesi:
«Riprendete i vostri vecchi diritti. Sceglietevi un re di vostro
aggradimento, siate nostri amici nel bisogno tanto, quanto lo siamo
stati per voi!» Osservate signora Jnger questa generosità in fondo, non
è grande come forse pare, perchè vedete voi stessa, che noi diverremo
forti sebbene lontani. Ed ora che ho parlato francamente con voi,
abbandonate ogni sospetto. Dunque (con sicurezza) il cavaliere svedese
che è entrato un’ora prima di me...

JNGER. Allora voi sapete già?

LYKKE. Completamente. È lui che cerco.

JNGER. (fra sè) Strano. Dunque è vero ciò che ha detto Olaf Skaktavl!
(a Lykke) Vi prego d’aspettare qui, signor ambasciatore. Vado per
condurvelo (esce per la sala dei cavalieri).


SCENA VI.

NILS LYKKE (_solo_).


LYKKE. (la guarda meravigliato e trionfante) Lo cerca! Sì certo, lo
cerca! La battaglia è vinta per metà. Non l’avrei mai creduto così
facile. Essa è d’accordo cogli agitatori. Essa si è spaventata, quando
io nominai il figlio di Steno Sture. Ebbene? Hum! ma adesso è caduta
nella trappola, egli non ci farà grande difficoltà. Un giovinotto
senza esperienza e riflessione!... Colla mia promessa di aiuto partirà
e per caso Jens Bjelke lo farà prigioniero sulla strada; così la sua
intrapresa andrà fallita. E poi? Un altro passo per i miei interessi.
Faremo correre la voce che il giovane conte era all’estero e che
l’ambasciatore danese aveva un convegno colla signora Jnger, che ad un
quarto d’ora di distanza dalla Corte egli è stato preso dai cavalieri
del re Gustavo. La benevolenza di cui gode Jnger può essere grande
fin che si vuole, ma non potrà reggere a un tal colpo. (salta in piedi
inquieto) Per tutti i diavoli! Se la signora Jnger avesse indovinato
l’inganno? Forse ce lo farà scappare in questo momento dalle mani!
(ascolta) No, non c’è pericolo. Vengono.


SCENA VII.

NILS LYKKE, SIG. JNGER, OLAF SKAKTAVL _poi un_ SERVO.


JNGER. (a Lykke) Vi conduco quello che aspettavate.

LYKKE. (piano) Diavolo! Che è ciò?

JNGER. Ho detto a questo cavaliere il vostro nome e tutto ciò che mi
avete raccontato.

LYKKE. (titubante) Sì? Ah sì? Ebbene?

JNGER. Ed io non vi voglio nascondere che egli non ha nessuna fiducia
nel vostro aiuto.

LYKKE. No?

JNGER. Vi meravigliereste? Voi conoscete i suoi sentimenti, la sua dura
sorte.

LYKKE. La sorte di questo uomo? Ebbene — sì, sì — sicuramente.

OLAF. (a Lykke) Poichè il cancelliere Pietro ci mandò ambedue qui per
riunirci...

LYKKE. Il cancelliere? (si rimette subito) Sì, è vero, ho un messaggio
da parte del cancelliere.

OLAF. Ed egli deve sapere meglio di noi, di chi si può fidare. Io non
voglio rompermi il capo per riflettervi.

LYKKE. Avete ragione, caro signore; questo no, ad ogni costo.

OLAF. Al fatto.

LYKKE. Sì, al fatto senza raggiri; è sempre stato mio costume.

OLAF. Volete dirmi che ambasciata portate?

LYKKE. Io credo che voi possiate quasi indovinare.

OLAF. Il cancelliere parlava delle carte che...

LYKKE. Carte? Ah! sì, le carte...

OLAF. Le avete con voi?

LYKKE. Certo, e ben custodite, fin troppo quasi, per potervele
presentare così in fretta. (cerca in tasca e dice fra sè) Chi può mai
essere costui? Che faccio io? Potrei fare delle grandi scoperte. (si
accorge che i servi apparecchiano la tavola ed accendono le lampade
nella sala dei cavalieri) (ad Olaf) Ah! vedo che la signora Jnger
fa preparare la cena. A tavola potremo discorrere meglio dei nostri
affari.

OLAF. Bene, come vi piace.

LYKKE. (piano) Tempo guadagnato, tutto vinto. (con grande cortesia alla
signora Jnger) Ed intanto potremo sentire qual partecipazione darà la
signora Jnger ai nostri progetti.

JNGER. Io? Nessuna.

LYKKE _e_ OLAF. (ad un tempo) Nessuna?

JNGER. Voi vi meravigliate, nobili signori, che io non voglia tentare
un giuoco, al quale bisogna arrischiare tutto? Tanto più che nessuno
dei miei alleati osa fidarsi di me?

LYKKE. Questo rimprovero non mi riguarda. Io vi credo ciecamente;
siatene sicura, vi prego.

OLAF. Chi può fidarsi di voi meglio dei vostri compatrioti?

JNGER. Certo, questa fiducia mi onora. (va ad un armadio in fondo e
riempie di vino due coppe).

LYKKE. (piano) Maledizione! Se essa si svincolasse dal laccio!

JNGER. (porge ad ognuno una coppa) E perciò vi offro il bicchiere del
benvenuto ad Östrot. Bevete, nobili cavalieri. Bevete fino all’ultima
goccia. (li guarda, e quando hanno bevuto dice severamente) Ma adesso
sappiate, che una di queste conteneva il benvenuto per il mio alleato,
l’altra la morte per il mio nemico.

LYKKE. (getta in terra il bicchiere) Io sono avvelenato.

OLAF. (brandendo la spada) Ah! perdio, io sono assassinato.

JNGER. (ridendo a Olaf, mentre addita a Lykke) Questa è la fiducia
dei Danesi in Jnger! (a Lykke additando Olaf) E questa la fiducia dei
miei compatrioti! (ad ambedue) Ed io dovrei darmi in vostro potere?
Pazienza, nobili signori, soltanto pazienza. La signora di Östrot ha
ancora le sue facoltà mentali.


SCENA VIII.

_Detti_, ELINA (_da sinistra_).


ELINA. Qual rumore! Che c’è?

JNGER. (a Lykke) Mia figlia Elina.

LYKKE. (fra sè) Non l’avrei mai immaginata così bella!

ELINA. (guarda Lykke sorpresa e si arresta).

JNGER. (le prende il braccio) Figlia mia, questo cavaliere è...

ELINA. (fa un movimento di repulsione, guardando fissamente Lykke) È
inutile, lo indovino; egli è il nobile Nils Lykke.

LYKKE. (piano a Jnger) Come? Essa mi conosce? Forse Lucia? Che
sappia....?

JNGER. (sottovoce) Silenzio! Essa non sa nulla.

ELINA. (fra sè) Lo sapevo bene, me lo sono immaginato così.

LYKKE. (si avvicina) Ebbene, Elina Gyldenlöve, voi avete indovinato, e
poichè io sono conosciuto in certo modo da voi, e sono ospite di vostra
madre, spero non mi rifiuterete il mazzolino di fiori, che portate sul
vostro seno. Fino a che essi saranno freschi e profumati io possederò
un’immagine di voi stessa.

ELINA. (fiera, guardandolo fissamente) Perdonate, signor cavaliere,
questi fiori li ho colti nella mia stanza e là non vi sono fiori per
voi.

LYKKE. (distaccando il mazzo che esso ha sul petto) Allora non
rifiuterete questo piccolo dono. Una onorata signora me lo diede
alla mia partenza questa mattina da Drontheim. Credete pure nobile
damigella, se dovessi farvi un regalo degno di voi, sarebbe una corona
regale.

ELINA. (prendendo i fiori contro la sua volontà) Anche se mi
presentaste la corona di Danimarca, prima che io l’avessi a dividere
con voi, la spezzerei colle mie mani e ve la getterei ai piedi! (gli
getta ai piedi i fiori e va nella sala).

OLAF. (fra sè) Ardita come sua madre alla tomba di Knut Alfson.

JNGER. (sottovoce dopo aver guardato Elina e Lykke) Si può ammaestrare
il lupo, adesso non c’è altro a fare che incatenarla.

LYKKE. (riprende i fiori e guarda Elina) Per Dio, come è superba e
bella!


  FINE DELL’ATTO SECONDO.




ATTO TERZO

  _Sala dei cavalieri._

  _In fondo della scena una finestra alta ad arco; a destra sul
  davanti una piccola finestra; alcune porte d’ambo le parti. Il
  soffitto, pel suo spessore, sarà appoggiato su colonne di legna,
  staccate, le quali, come le pareti, sono adorne di ogni sorta di
  trofei d’armi. Dalle pareti, pendono quadri di santi, cavalieri e
  dame in lunghe file. Dal tetto pende un lampadario a molte candele
  accese. Sul davanti a destra un’alta sedia antica intagliata;
  in mezzo alla sala una tavola apparecchiata con su i resti della
  cena._


SCENA PRIMA.

ELINA GYLDENLÖVE (_sola_).


ELINA. (entra pensierosa e lentamente dalla sinistra; l’espressione
del suo volto tradisce chiaramente come ella pensi alla scena avuta
con Nils Lykke; in fine fa un movimento colle braccia, come per buttar
via il mazzo di fiori, quindi a voce sorda) Ed allora egli raccolse
gli sparsi pezzi della corona di Danimarca... questi eran fiori; e...
«Per Dio come è superba e bella!» Se egli avesse sussurrato queste
parole, in sito segreto, lontano le mille miglia da Östrot... l’avrei
non ostante sentito! Come l’odio! Come l’ho sempre odiato questo Nils
Lykke! La gente dice che non vi è uomo uguale a lui. Egli scherza con
le donne e le calpesta sotto i piedi. E mia madre, che mi voleva dare
a lui in moglie!.... Come l’odio! Dicono che Nils Lykke non rassomigli
a nessuno. Non è vero! In lui non trovo nulla di strano. Vi sono molti,
molti come lui! Nelle favole, che mi raccontava Björn, tutti i principi
sono tanti Nils Lykke. Quando io sedevo qui sola nella sala e sognavo
le mie leggende ed i miei cavalieri andavano e venivano... tutti,
tutti rassomigliavano a Nils Lykke. Come è strano tutto ciò e come è
dolce l’odiare. Fino a questa sera non sapevo quanto ciò fosse dolce!
No! dacchè l’ho veduto, non potrei nemmeno per mille anni di vita,
cedere il momento che trascorro adesso. «Per Dio come essa è...» (va
lentamente in fondo, apre la finestra e guarda fuori).

LYKKE. (entra per la prima porta a destra).


SCENA II.

_Detta e_ NILS LYKKE.


LYKKE. (a parte) «Dormite bene in Östrot, signor cavaliere» m’ha detto
Jnger Gyldenlöve, andandosene. Dormite bene? Sì, è presto detto;
ma...! Là fuori, cielo e terra in convulsione; sotto, nei sepolcri
sotterranei, il giovin sangue sulla bara; in mia mano, il destino
di due Regni e sul petto un appassito mazzo di fiori, che una donna
mi buttò ai piedi. Affè, temo assai, che il sonno si farà lungamente
aspettare.

ELINA. (abbandona la finestra e fa per andare dalla sinistra).

LYKKE. (la scorge, fra sè) Eccola. Il suo fiero sguardo è pieno di
pensieri. Ah, se io osassi azzardare... (forte) Signorina Elina!

ELINA. (si ferma sulla porta) Che cosa volete? Perchè mi perseguitate?

LYKKE. Sbagliate. Io non vi perseguito. Sono io stesso perseguitato.

ELINA. Voi?

LYKKE. Da molti pensieri. Perciò accade a me col sonno, quel che a voi
stessa accade... mi sfugge.

ELINA. Affacciatevi alla finestra, ci troverete gusto... un mare in
tempesta...

LYKKE. (ridendo) Un mare in tempesta? Questo posso trovarlo in voi.

ELINA. In me?

LYKKE. Il nostro primo incontro me ne ha dato la certezza.

ELINA. E ve ne dolete?

LYKKE. No, in nessun modo; ma io desidererei tuttavia di vedervi
prevenuta più benevolmente.

ELINA. (fieramente) Credete voi, che vi porterà fortuna?

LYKKE. Di questo ne son certo; epperò io vi do una gradita nuova.

ELINA. Quale?

LYKKE. Il mio saluto d’addio.

ELINA. (s’avvicina d’un passo) Il vostro saluto d’addio? Lasciate
Östrot... così presto? (sembra un momento indecisa, quindi dice
freddamente) Allora abbiatevi i miei saluti di congedo, signor
cavaliere! (s’inchina e fa per andare).

LYKKE. Elina Gyldenlöve... io non ho alcun diritto per trattenervi; ma
non è da pari vostra, se vi rifiutate di sentire, ciò che ho da dirvi.

ELINA. Ascolto, signor cavaliere!

LYKKE. So, che mi odiate.

ELINA. La vostra perspicacia non è infiacchita, a quanto osservo.

LYKKE. Ma io so pure, che quest’odio l’ho di gran lunga meritato.
Assai mediocri e niente lusinghiere erano le parole, colle quali vi
menzionavo nella mia lettera alla signora Jnger.

ELINA. Sarà benissimo, io non l’ho letta.

LYKKE. Ma ne conoscerete per lo meno il contenuto. Io so che vostra
madre non vi ha lasciata su questo nell’ignoranza, essa vi ha in ogni
modo detto, che io mi sarei stimato l’uomo più felice, il quale... sì,
voi sapete quale speranza nutrissi.

ELINA. Signor cavaliere, se voi pensate di parlare di questo...

LYKKE. Insisto a parlarvene, per giustificare il mio operato. Per
nessun altro motivo... ve lo giuro. Poichè la mia fama è arrivata a
voi,... come ho motivo sventuratamente di sospettare... prima ch’io
stesso arrivassi in Östrot, è d’uopo che conosciate per intera la
mia vita, affinchè non vi meravigli, che io venga così arditamente al
fatto. Io mi sono incontrato in molte donne, Elina Gyldenlöve. Non ne
ho ancora trovata alcuna inespugnabile. In tali casi si fa un po’ il
proprio comodo. Si perde anche l’abitudine, di allungare la strada...

ELINA. È possibile. Io non so di che razza eran quelle donne. Del resto
voi v’ingannate pensando, che sia la lettera a mia madre, che abbia
destato l’odio del mio cuore e l’amarezza contro di voi. Avevo più
antiche ragioni!

LYKKE. Antiche ragioni? (inquieto) Che cosa volete dire con questo?

ELINA. È come voi presumete... La vostra fama è pervenuta qui in
Östrot, come in tutta la Norvegia prima di voi. Fin da quando ho
sentito pronunziare il nome di Nils Lykke, l’ho sentito sempre insieme
con quello di una donna, che egli aveva sedotta e repudiata. Alcuni lo
dicevano con pena, altri con sorriso di scherno e con facile ludibrio
su quella debole creatura. Ma il vostro nome suona dolore, scherno,
ludibrio che sbalordisce e provoca l’ira, nello stesso modo che un
canto di vittoria del nemico. Tutto questo ha fatto nascere il mio
odio contro di voi. Voi siete stato continuatamente presente al mio
pensiero e mi ha attirato un forte desiderio di stare faccia a faccia
con voi per provarvi, che vi sono delle donne colle quali sprechereste
invano le vostre insinuanti parol... se vi venisse la voglia di tentare
d’usarne...

LYKKE. Voi mi giudicate ingiustamente, attenendovi a quello che la
fama vi ha di me tramandato. Probabilmente vi è della verità in quello
che avete udito; ma voi non ne conoscete il motivo. Avevo 17 anni,
quando incominciai a condurre vita allegra. Sono passati d’allora
15 anni. Donne leggere mi concessero ciò che desideravo... anche
prima di esternarne il desiderio; e quello che io offrivo, veniva da
loro accettato a mani aperte. Voi siete la prima donna, che m’ha con
disprezzo gittato a’ piedi il mio dono. Non crediate ch’io me ne dolga.
Io vi ammiro, al contrario, anche dippiù, come non ho fatto mai con
alcuna donna. Ma quel che io rimpiango e mi rimorde come un gran dolore
dell’animo, è il destino, che non mi vi ha fatto incontrare prima.
Elina Gyldenlöve, vostra madre mi ha parlato di voi. Mentre la mia
vita faceva lontano da qui il suo corso turbolento, voi trascorrevate
il vostro tempo nella solitaria Östrot, silenziosa, tra le vostre
meditazioni ed i vostri sogni. Vedete, da ciò potete capire, quel che
ho da dirvi. Sappiate dunque, che anch’io ho vissuto una vita come
voi qui! Io pensavo, entrando nel grande e vasto mondo, d’incontrarmi
in una nobile ed onesta donna, che mi avrebbe accennata e mostrata
una meta ricca di gloria. La mia speranza doveva essere delusa,
Elina Gyldenlöve! Mi sono, è vero, incontrato in molte donne; ma essa
non era tra quelle. Prima ancora di diventare uomo, avevo appreso a
disprezzarle tutte. È mia la colpa se le altre non vi rassomigliavano?
Io so, che il destino della vostra patria preoccupa gravemente l’animo
vostro. Voi conoscete la mia influenza sulle cose attuali. Si dice
ch’io sia falso, come la spuma del mare. È possibile; ma se io son
tale, me l’hanno insegnato le donne. Se avessi trovato prima, ciò che
ho cercato, se mi fossi imbattuto in una donna fiera, nobile, piena di
cuore come voi, la mia strada sarebbe stata un’altra. Forse starei in
questo momento difensore al vostro fianco di tutti gli oppressi del
Regno norvegese. Poichè io credo assolutamente, che una donna ha un
potere grandissimo nel mondo e che dipende da essa di condurre un uomo
là, dove Dio lo ha destinato.

ELINA. (a parte) Potesse essere, com’egli dice! No, no, i suoi occhi
tradiscono la menzogna e la falsità è sulle sue labbra. Eppure...
Nessun canto mi agita, quanto le sue parole!

LYKKE. (s’accosta sommesso e confidenziale) Come potete rimanere tanto
spesso sola con i vostri neri pensieri? Vi si scorge l’affanno nel
vostro cuore. I tetti e le mura si son gravati su voi allo stesso tempo
ed hanno oppresso l’animo vostro. Allora avete desiderato d’esserne
fuori; allora avete voluto fuggire, magari senza saper neppure dove.
Quante volte non siete andata solitaria sul Fiord? Un bastimento
tutto adorno, con a bordo cavalieri e dame, con canti e suoni, passava
veleggiando lontano, lontano; una cupa voce di grandi fatti percuoteva
il vostro orecchio; allora sentivate nel vostro petto un desiderio,
una brama indomabile di sapere, quello che vi era di là del mare. Ma
non avete capito, quello che voi stessa bramavate. Avete pensato alle
volte, che fosse il destino della vostra patria, che vi desse tanti
tristi pensieri. V’ingannavate voi stessa; una giovinetta della vostra
età ha da almanaccare su altra cosa. Elina Gyldenlöve! Avete mai
creduto al potere occulto, a quel forte ed occulto potere, che lega
i destini degli uomini l’un coll’altro? Quando sognavate della vita
dai molti colori, là, fuori, nel mondo lontano, quando sognavate i
giuochi dei cavalieri e le allegre feste... allora non vedeste mai nei
vostri sogni un cavaliere che se ne stava col sorriso sulle labbra e
l’affanno nel cuore in mezzo a tanto baccano... un cavaliere, che altre
volte aveva fatto anch’egli dei sogni rosei come voi, su d’una donna
nobile ed onesta, ch’egli ha cercato invano fra tutte quelle, che lo
circondavano?

ELINA. Chi siete voi, che potete vestire di parole i miei più riposti
pensieri? Come potete indovinare quel ch’io porto nel più intimo del
mio petto, senza ch’io stessa lo sappia? Donde sapete voi...?

LYKKE. Ciò che vi ho detto, l’ho letto nei vostri occhi.

ELINA. Nessun uomo mi ha mai parlato, come voi. Vi ho capito soltanto
truce... e tuttavia... tutto, tutto mi sembra cambiato d’allora. (a
parte) Adesso intendo, perchè dicono che Nils Lykke non è un uomo come
tutti gli altri.

LYKKE. Una cosa vi è nel mondo, la sola che possa scompigliare i
pensieri d’un uomo, se egli vuol rifletterci sopra, ed è il pensare ad
una cosa, come se fosse avvenuta, quando tutto fosse disposto piuttosto
in un modo, che in un altro. Se vi avessi incontrata sulla mia via,
quando l’albero della vita era ancora verde e lussureggiante, voi
sareste a quest’ora... Ma scusatemi, nobile damigella! Questa breve
divagazione mi ha portato lontano, tanto da dimenticare la nostra
reciproca posizione. È stato, come se una segreta voce m’avesse detto
dal principio, ch’io potevo parlare francamente, senza lusinghe e senza
finzione.

ELINA. Potete ancora farlo.

LYKKE. Ebbene... e questa franchezza ci ha forse a metà riconciliati
l’un l’altra. Sì, nella mia speranza sono ancora più ardito. Forse
verrà anche il tempo, in cui dentro di voi ricorderete del cavaliere
straniero senza odio e senza affanno. Ma, aspettate...! vogliatemi
non fraintendere! Non dico proprio ora... ma un giorno, più tardi! E
per rendervi questo meno difficile... e poichè ho incominciato già a
parlarvi franco ed onesto, lasciatemi ancora dire...

ELINA. Signor cavaliere...!

LYKKE. (sorridendo) Ah, m’accorgo che la mia lettera vi spaventa
ancora, sempre. Ma siate del tutto tranquilla. Darei tutto, perchè
non fosse stata scritta; poichè... ma sì; ora che so, che non vi
arrecherà alcun special dolore a sentirlo, posso parlare chiaramente e
liberamente... io non vi amo e non vi amerò mai. Siate quindi su questo
punto del tutto tranquilla, come v’ho detto. Non cercherò mai di...

ELINA. (si mostra irrequieta).

LYKKE. Che avete?

ELINA. Io? Nulla, nulla! Ditemi soltanto: perchè tenete ancora questi
fiori? Che cosa vi debbono importare?

LYKKE. Questi fiori? Non sono essi un guanto di sfida, che voi a nome
di tutte le donne, avete lanciato contro quel tristo di Nils Lykke?
Non dovevo raccoglierlo? Mi domandate, che cosa voglio io con ciò?
(sottovoce). Ritornando ancora in mezzo alle belle dame di Danimarca,
quando saranno cessati i suoni e ristabilito il silenzio nella sala,
prenderò questi fiori e racconterò una novella di una giovinetta, che
solitaria siede in un vecchio castello, nella lontana Norvegia,...
(s’interrompe inchinandosi rispettoso) Ma io ho paura d’aver
intrattenuto già troppo a lungo la bella figlia del castello. Non ci
vedremo più, poichè parto prima dello spuntare del giorno. Vi presento
quindi i miei saluti.

ELINA. Ed abbiatevi i miei, signor cavaliere! (piccola pausa).

LYKKE. Voi ridivenite pensierosa, Elina Gyldenlöve! È ancora il destino
della vostra patria, che vi tormenta?

ELINA. (crollando il capo e fissando distrattamente davanti a sè) La
mia patria? non ci penso.

LYKKE. Allora dunque è il presente colle sue lotte, e co’ suoi bisogni
che vi affanna?

ELINA. Il presente? Adesso lo dimentico. Voi andate in Danimarca? Non
mi avete detto così?

LYKKE. Sì, vado in Danimarca.

ELINA. Poss’io vederla da questa sala?

LYKKE. (addita fuori dalla finestra a sinistra) Sì, da quella finestra.
Là, al sud, c’è la Danimarca.

ELINA. Ed è lontana da qui? Più che cento miglia?

LYKKE. Molto dippiù. Fra voi e la Danimarca vi passa il mare.

ELINA. (a parte) Il mare? Il pensiero ha l’ali del gabbiano. Il mare
non lo può trattenere! (via dalla sinistra).


SCENA III.

NILS LYKKE (_solo_).


LYKKE. (le guarda dietro un po’, quindi dice) Se io me ne potessi
occupare due giorni od almeno uno... essa cadrebbe certamente in mio
potere, come tutte le altre. Questa giovinetta è una strana natura.
Essa è fiera. Potevo realmente risolvermi? No, meglio umiliarla, (va
su e giù). Veramente non credo ch’ella abbia messo del fuoco nel mio
sangue! Chi l’avrebbe ancora creduto possibile?... Io devo uscirne da
tutto questo imbroglio, in cui mi son perduto! (siede a destra). Come
debbo regolarmi? Olaf Skaktavl, come pure Jnger Gyldenlöve pare non
s’accorgano della male interpretazione, cui si espongono, se correrà
la voce che io sono pure nella lega. O che abbia la signora Jnger
conosciuta veramente la mia intenzione? Che abbia indovinato che tutte
le promesse su ciò erano soltanto calcolate, per far uscire Nils Sture
dal suo nascondiglio? (salta in piedi). Dannazione! Sarei io stesso
realmente l’ingannato? È assai probabile che il conte Sture non sia
affatto in Östrot. Forse la voce della sua fuga è stata soltanto uno
strattagemma. È facile, che egli in questo momento se ne stia ben
conservato presso i suoi amici di Svezia, mentre io... (va di nuovo
irrequieto su e giù). Io, che dovevo esser anche così sicuro del fatto
mio! Se ora non effettuassi nulla! Se la signora Jnger indovina le
mie intenzioni... e non fa sul fatto mio alcun segreto... Schernito
e beffato qui, come in Danimarca! Voler attirare nell’insidia la
signora Jnger... e poi invece promuovo le sue cose nel miglior modo,
da innalzarla nel favore del popolo...! Ah, sarei tentato d’impegnarmi
anche col diavolo, se questi mi volesse aiutare a por la mano sul conte
Sture... (viene spalancata la finestra del fondo).

NILS STENSSON. (si mostra dalla stessa).


SCENA IV.

NILS LYKKE _e_ NILS STENSSON.


LYKKE. (mettendo mano alla spada) Che c’è?

STENSSON. (che è saltato nella stanza) Affè! Sono anch’io qui,
finalmente!

LYKKE. (Sommesso) Che vuol dir ciò?

STENSSON. La pace di Dio sia con voi, signore!

LYKKE. Grazie, signore! Voi avete per altro scelto un bizzarro ingresso.

STENSSON. Sì, per tutti i diavoli! Che mi rimaneva del resto? Il
portone era già chiuso. Qui nel castello la gente deve avere un sonno,
come l’orso in inverno.

LYKKE. Dio sia ringraziato! Una coscienza retta è un cuscino soffice,
come voi sapete.

STENSSON. Sì, dev’esser come voi dite; poichè per quanto io martellassi
e bussassi...

LYKKE. Non ostante non vi è stato aperto.

STENSSON. Proprio così. Dissi dunque a me stesso: Poichè stasera
devi trovarti in Östrot anche dovendo passare in mezzo al fuoco ed
all’acqua, puoi benissimo scivolare anche per una finestra.

LYKKE. (sotto voce) Ah, se egli...! (avvicinandosi di un paio di passi)
V’importava d’arrivare in Östrot giusto stasera?

STENSSON. Se m’importava! Sicuro, l’ho dovuto almeno pensare. Dovete
sapere ch’io mi faccio aspettare raramente.

LYKKE. Ah... Dunque la signora Juger Gyldenlöve vi aspetta?

STENSSON. La signora Jnger Gyldenlöve? A questo non posso precisamente
rispondere (con un fino sorriso). Ma vi è forse un altro qui...

LYKKE. (pure sorridendo) Ebbene, vi è fors’anche un altro qui...

STENSSON. Dite su. Appartenete alla casa voi?

LYKKE. Io? Quasi, poichè da questa sera sono ospite della signora Jnger.

STENSSON. Così? Io credo, che noi siamo alla terza notte dopo la festa
di S. Martino.

LYKKE. La terza notte dopo... Sì, voi avete ben ragione... Desiderate
forse di esser condotto subito alla presenza della padrona del
castello? Per quanto io sappia, non si è ancora ritirata. Tuttavia
non vorreste sedervi e riposarvi, mio caro gentiluomo? Vedete, qui è
rimasto ancora un boccale di vino; troverete pure un po’ di mangiare;
servitevene liberamente, dovete aver bisogno di rifocillarvi.

STENSSON. Avete ragione. Questo non sarà male. (siede, mangia e beve
mentre seguita) Arrosto e focaccia dolce! Voi conducete qui una vita da
signore. Se si avesse dormito come me sulla nuda terra, e vissuto con
solo pane ed acqua per 45 giorni...

LYKKE. (lo osserva sorridendo) Sì, questo deve essere assai difficile
per chi è abituato a sedere sull’alta sedia nella sala dei Conti

STENSSON. Nella sala dei Conti...?

LYKKE. Però, ora potete riposarvi qui in Östrot per tutto il tempo, che
vi piacerà.

STENSSON. Ah, lo posso realmente? Non debbo ripartire subito?

LYKKE. Non lo so. A questo potete voi stesso rispondere meglio d’ogni
altro.

STENSSON. (sottovoce) O per tutti i diavoli! (siede comodamente) Sì,
vedete... la cosa non è ancora decisa del tutto. Per conto mio non
avrei niente in contrario per accomodarmi qui pel primo; ma...

LYKKE. Ma voi non siete in tutto e per tutto padrone di voi stesso?
Avete altre commissioni, altre cure...?

STENSSON. Sì, là sta appunto il nodo della questione. Se stesse in me,
mi riposerei senz’altro qui in Östrot per passarvi l’inverno. Io ho
trascorso il tempo per la massima parte sul piede di guerra, quindi...
(s’interrompe d’un tratto, si versa un bicchier di vino e beve). Alla
vostra salute, signore!

LYKKE. Sul piede di guerra? Hem!

STENSSON. Non volevo dir questo. Da lungo tempo ho nutrito il desiderio
di vedere la signora Jnger Gyldenlöve, di cui tanto si parla. Essa deve
essere una eccellente donna. L’unica cosa, dov’io non mi racapezzo, è
che ella non si voglia di buon grado distaccare...

LYKKE. Distaccare?

STENSSON. Sicuro, voi mi capite bene: io penso che essa farà
malvolentieri qualcosa, per discacciare i cavalieri stranieri dal
paese.

LYKKE. Sì, per questo avete ragione. Ma ora dovete fare tutto quel che
potete, chi sa che non otteniate forse lo scopo.

STENSSON. Io? Dio buono! Gioverebbe di molto, se io...

LYKKE. Allora è pur strano, che la ricerchiate, se non nutrite migliori
speranze.

STENSSON. Che cosa intendete dire? Sentite, conoscete la signora Jnger?

LYKKE. Certamente... poichè sono suo ospite...

STENSSON. Con questo non è ancor detto, che voi la conosciate. Alla mia
volta sono anch’io suo ospite e non ho ancora vista la sua ombra.

LYKKE. Ma voi sapete tuttavia di raccontare...

STENSSON. Quel che tutti sanno? Naturalmente, su ciò ho spesso udito
abbastanza dal cancelliere... (si ferma confuso e incomincia a mangiare
in fretta).

LYKKE. Volevate dire ancora qualcosa.

STENSSON. (mangiando) Io? O no,... niente d’importante.

LYKKE. (ride).

STENSSON. Di che ridete voi, signore?

LYKKE. Di nulla, signore!

STENSSON. (beve) Voi qui bevete un vino di fuoco.

LYKKE. (accostandosi famigliarmente) Non sarebbe ora tempo di metter
giù la maschera?

STENSSON. (ridendo) La maschera? Potete tenerla, come meglio vi piace.

LYKKE. Da banda la finzione. Voi siete riconosciuto, signor conte Sture!

STENSSON. (con una risata) Conte Sture? Anche voi credete ch’io sia il
conte Sture? (s’alza). Sbagliate, cavaliere. Io non sono quel che dite.

LYKKE. Veramente no? Ed allora chi siete?

STENSSON. Mi chiamo Nils Stensson.

LYKKE. (lo guarda ridendo) Hem! Nils Stensson? E voi non siete Nils,
figlio di Steno Sture? Il nome coincide perfettamente.

STENSSON. È vero. Ma Dio può sapere con qual diritto io lo porti! Io
non ho conosciuto mai mio padre, mia madre era una povera contadina,
la quale in una delle prime ostilità fu saccheggiata ed uccisa. Il
cancelliere Pietro era appunto in quel tempo nelle vicinanze, mi prese
con sè, mi nutrì, e mi ammaestrò nel maneggio delle armi. Come voi
sapete, egli fu per molti anni inseguito dal re Gustavo, ed io l’ho
fedelmente accompagnato, là dove egli è andato.

LYKKE. Il cancelliere Pietro non vi ha insegnato soltanto il maneggio
delle armi, a quanto sembra. Ebbene! Voi dunque non siete Nils Sture?
Voi venite tuttavia dalla Svezia; il cancelliere Pietro vi manda qui,
presso uno straniero, il quale...

STENSSON. (accenna scaltramente) Egli è già trovato.

LYKKE. (un po’ incerto) E voi non lo conoscete?

STENSSON. Così poco quanto voi conoscete me; poichè vi giuro per Dio,
che non sono il conte Sture.

LYKKE. Sul serio, signore?

STENSSON. Per quanto è vero ch’io vivo! Perchè dovrei negarlo, se lo
fossi?

LYKKE. Ma dov’è allora il conte Sture?

STENSSON. (sottovoce) Sì, questo è appunto il mistero...

LYKKE. (mormorando) Che voi conoscete? Nevvero?

STENSSON. (accenna) Ed io debbo parteciparvelo.

LYKKE. A me? Ebbene... dov’è egli?

STENSSON. (addita in alto).

LYKKE. Lassù? Che la signora Jnger lo tenga nascosto nel granaio?

STENSSON. No, davvero; voi non mi capite. (guarda intorno cauto) Nils
Sture è in cielo!

LYKKE. Morto? Dove?

STENSSON. Nel castello di sua madre... già da tre settimane.

LYKKE. Ah! Voi m’ingannate! Da cinque o sei giorni entrava nei confini
della Norvegia.

STENSSON. Oh, quegli ero io.

LYKKE. Ma poco tempo prima il conte si era mostrato in Dalekarlia.
Il popolo, che di già era inquieto, si mise in aperta ribellione e lo
voleva proclamare re.

STENSSON. Ah, ah, ah! quegli ero io!

LYKKE. Voi?

STENSSON. Adesso vi voglio raccontare, come è avvenuto. Un giorno il
cancelliere mi chiamò a sè e mi diede ad intendere che si preparavano
grandi avvenimenti. Egli mi comandò di partire per Östrot in Norvegia,
dove mi sarei trovato in un tempo stabilito...

LYKKE. (accenna) Il terzo giorno dopo la fiera di San Martino?

STENSSON. Là, io avrei trovato uno straniero...

LYKKE. Giusto... quello sono io!

STENSSON. Da lui avrei saputo, quel che mi rimarrebbe a fare. Io debbo
dire a lui, che il conte è morto improvvisamente; ma che nessuno lo
sa ancora, fuori che sua madre e la contessa, e con loro alcuni vecchi
servitori dello Sture.

LYKKE. Capisco. Il conte era il capo dei contadini. Se la sua morte
vien conosciuta, essi si dividono e tutto l’affare va in malora.

STENSSON. Può essere. Io non sono molto in dentro nella cosa.

LYKKE. Ma come vi è potuto accadere di esser preso per il conte?

STENSSON. Come mi è potuto accadere? Per quel che so!... Mi è
accaduto già altre volte nella vita questa stupidaggine. Non è
del resto invenzione mia; quando andai in Dalekarlia, mi venne il
popolo unitamente incontro e mi salutò come conte Sture. Non giovò
a nulla quel che anche ho potuto loro dire per dissuaderli. Essi mi
raccontarono che il conte era stato tra loro due anni prima, ed il più
piccolo dei bambini mi riconosceva. Ebbene, sia pur così, pensai: tu
non sarai mai conte in tua vita, provalo una volta, che cosa può essere
un conte.

LYKKE. Ebbene, eppoi come faceste?

STENSSON. Io? Mangiai e bevei e mi feci trattare bene. Peccato però
ch’io dovetti andar subito via. Quando fui al confine... ah, ah,
ah... Allora promisi loro, che io sarei tosto ritornato con tre o
quattro mila uomini, o come più sarebbe stato possibile e poi avremmo
ricominciato davvero.

LYKKE. E non vi è capitato mai più di agire storditamente?

STENSSON. Di poi, sì, capitò, ma veramente era già tardi.

LYKKE. Mi duole per voi, mio giovine amico; ma sentirete presto le
conseguenze della vostra stoltezza. Io posso avvertirvi che voi siete
stato inseguito. Una divisione della cavalleria svedese vi sta alle
calcagna.

STENSSON. A me? ah, ah, ah. Ma, questa è splendida. E se essi vengono e
presumono di aver nelle unghie il conte Sture... ah, ah, ah!

LYKKE. (serio) Allora sarebbe finita per voi.

STENSSON. Per me...? Io non sono il conte Sture.

LYKKE. Ma voi avete chiamato il popolo alle armi. Avete fatta una
promessa ribelle; voi avete fomentata la discordia.

STENSSON. Ma questo è stato per scherzo soltanto.

LYKKE. Il re Gustavo vedrà la cosa sott’altro aspetto.

STENSSON. Affè, vi è qualcosa di vero, in quel che dite. Ch’io abbia
potuto essere così stolto? Ebbene, mi discolperò! Voi prenderete a
cuore il mio affare, e del resto i cavalieri non mi sono ancora alle
calcagna.

LYKKE. Che cosa avete ancora da dirmi?

STENSSON. Io? Nulla! Quando vi avrò consegnato questo pacchetto...

LYKKE. (inconsideratamente) Un pacchetto?

STENSSON. Sicuro, voi sapete...

LYKKE. Ah, giusto; le carte del cancelliere...

STENSSON. Vedete, eccole insieme e molte (egli porge a lui un pacco che
aveva tratto fuori prima dal farsetto).

LYKKE. (sommesso) Lettere e pergamene al signor Olaf Skaktavl!? (a
Stensson) Il pacco è aperto, come vedo. Voi quindi ne conoscete il
contenuto.

STENSSON. Nossignore, io non leggo volentieri lo scritto: ciò ha anche
il suo motivo.

LYKKE. Capisco. Voi vi siete occupato di più del maneggio delle
armi. (siede colla sedia a destra della tavola e scorre le carte)
ah! Schiarimenti più che sufficienti per comprendere ciò che si sta
operando. Questa piccola lettera con un cordoncino di seta intorno...
(esamina la soprascritta). Anche al sig. Olaf Skaktavl. (apre la
lettera ed esamina rapidamente il contenuto). Del cancelliere Pietro.
Me lo dovevo immaginare (legge mormorando): «Io sono in grande affanno,
poichè...» Sì, perfettamente, qui sta così «il giovine Sture è andato
segretamente da’ suoi parenti, proprio nel momento, quando doveva
scoppiare la ribellione... ma ancora tutto può rifarsi bene.» Ma che
cosa sarà ciò? (s’interrompe e legge avanti) «Voi dovete adesso sapere,
sig. Olaf Skaktavl, che il giovane, che vi porta questa lettera, è
un figlio di...» Cielo e terra! questo sta scritto qui. Sì, per il
sangue di Nostro Signore Crocifisso, è qui scritto! (con uno sguardo
a Stensson) Egli sarebbe...? Ah, se ciò fosse! (legge avanti) «Io
l’ho cresciuto fin dai suoi primi anni; ma fino al giorno d’oggi mi
son sempre ricusato di restituirlo, poichè ho pensato di aver in lui
un sicuro ostaggio, che ci assicura la fedeltà della signora Jnger
Gyldenlöve per noi e per i nostri amici. Però egli ci ha giovato poco
a questo scopo finora. Voi dovete esser meravigliato che io non vi ho
confidato questo segreto, quando foste mio ospite qui, poco tempo fa,
ed io voglio confessarvi onestamente, ch’io temetti lo poteste ritenere
come me per lo stesso motivo. Adesso invece che vi siete trovato colla
signora Jnger, vi sarete probabilmente accertato, come essa abbia
poca volontà di approvare il nostro affare; riconoscerete che sarà
molto savio di rendere a lei, quel che le appartiene. Potrebbe essere
probabile forse, che la gioia e la riconoscenza... questa è la nostra
ultima speranza» (siede un po’ come vinto dalla sorpresa, quindi d’un
tratto, a parte). Ah, qual lettera! Essa vale tant’oro!

STENSSON. A quanto mi sembra, il messaggio che v’ho portato è ben
importante. Sì, sì, il cancelliere ha parecchi di tali ferri al fuoco,
come suol dirsi.

LYKKE. Che farò io di tutto questo? Si possono prendere mille vie...
Se io...? No, questo sarebbe molto incerto. Ma se...? Ah, nel caso
che io...? Bisogna essere audaci. (straccia la lettera per mezzo,
conservandone le parti nel farsetto, ripone le altre carte nel
pacchetto e se l’infila nella cintola, ed alzandosi dice). Una parola
ancora, mio giovine amico.

STENSSON. Ebbene, avete letto come il giuoco va bene?

LYKKE. Sì, lo dovevo immaginare. Voi mi avete dato del buon giuoco in
mano.

STENSSON. Ma io, che v’ho portato tutte queste buone notizie, non ho
piò da far nulla?

LYKKE. Voi? Dovevo pur pensarlo. Voi entrate nel giuoco. Voi siete il
Re e per soprappiù il trionfo.

STENSSON. Io? O sì, ora vi capisco; voi pensate forse all’elevazione...

LYKKE. Qual’elevazione?

STENSSON. Se la gente di re Gustavo riescisse a prendermi, voi mi
profetate che... (fa il segno di chi viene impiccato).

LYKKE. È pur vero... ma non vi lasciate più a lungo tentare; a voi sta
adesso, se prima della fine del mese vorrete cingere il vostro collo di
un nodo scorsoio, ovvero d’un’aurea catena.

STENSSON. Un’aurea catena? E questo dipende da me?

LYKKE. (accenna di sì).

STENSSON. Allora, ci penserà pure il diavolo! Ditemi soltanto, come mi
debbo comportare.

LYKKE. Ecco. Prima però prestatemi sacro giuramento che nessuno al
mondo saprà, quel che io vi confiderò.

STENSSON. Altrimenti nulla? Se volete, ve ne faccio dieci dei
giuramenti.

LYKKE. Un po’ di serietà, signore! Io non scherzo con voi.

STENSSON. Bene, bene: eccomi serio.

LYKKE. In Dalekarlia vi hanno chiamato figlio del conte...; non è egli
vero?

STENSSON. Eh, adesso ricominciate daccapo. V’ho già onestamente
confessato...

LYKKE. Non mi capite. Quel che avete detto là, era verità.

STENSSON. Verità? A che volete riescire? Ma tuttavia mi dite...!

LYKKE. Prima il giuramento! Per tutto ciò che avete di più sacro ed
inviolabile.

STENSSON. Ne avete tutto il diritto. Là, dalla parete pende il ritratto
della Vergine Maria...

LYKKE. La Vergine Maria in quest’ultimi tempi ha perduto molto del suo
credito. Non avete sentito, ciò che afferma il monaco di Wittemberg?

STENSSON. Via! Come potete prestar fede al monaco di Wittemberg. Il
cancelliere dice, che egli è un eretico.

LYKKE. Non litighiamo ora su questo. Però vi voglio qui mostrare un
preziosissime santo, sul quale dovete giurare. (addita ad un quadro
attaccato ad una colonna del muro). Venite qua... e promettetemi il
silenzio, fintantochè io stesso non vi sciolga dal vostro giuramento.
Silenzio per tutto quello che voi sperate di felicità nel cielo per voi
stesso e per quello che è nel quadro...

STENSSON. (avvicinandosi al quadro) Lo giuro... e che Dio e la sua
santa parola mi sovvenga! (tirandosi indietro sorpreso). Ma Cristo, mio
Redentore!...

LYKKE. Che avete?

STENSSON. Quel quadro là,... quello è il mio ritratto!

LYKKE. Egli è il vecchio Steno Sture al tempo della sua giovinezza.

STENSSON. Steno Sture! Ed il presentimento...? E... Ditemi, ho detto la
verità quando mi son chiamato figlio del conte? Non è vero?

LYKKE. Appunto.

STENSSON. Ah, ecco, ecco! Io sono...

LYKKE. Voi siete figlio di Steno Sture, signore!

STENSSON. (rimane vinto da muta sorpresa) Io figlio di Steno Sture!

LYKKE. E da parte di madre siete nobile. Il cancelliere non vi ha
detto il vero, quando vi ha affermato, che vostra madre era stata una
contadina.

STENSSON. Strano, meraviglioso! Posso mai crederci?

LYKKE. Potete credere tutto quel che vi dico. Ma pensate bene, che
questo sarà la vostra rovina, se dimenticate quel che avete giurato
sulla salute di vostro padre.

STENSSON. Dimenticarlo? No, siatene sicuro, non lo farò mai! Però voi,
cui ho data la mia parola chi siete? Dite!

LYKKE. Il mio nome è Nils Lykke.

STENSSON. (sorpreso) Nils Lykke? Non però il consigliere di Stato
danese.

LYKKE. Appunto quello.

STENSSON. E voi dovete...? Strano! Come c’entrate voi...?

LYKKE. A ricevere il messaggio del cancelliere? Vi meraviglia?

STENSSON. Non posso negarvelo. Egli vi ha chiamato sempre il suo più
acerrimo avversario...

LYKKE. E per questo diffidate di me?

STENSSON. No, niente affatto; ma... affè, il diavolo mi danni!

LYKKE. Avete ragione. Se seguite ciò che vi dice la vostra testa, la
corda di canape non vi mancherà certamente, nello stesso modo che non
vi mancherà il nome di conte e l’aurea catena, se vi fidate di me.

STENSSON. In tutto e per tutto! Eccovi la mia mano, caro signore!
Consigliatemi, finchè ce ne sarà di bisogno. Se capitasse di battermi,
saprò ben io difendermi.

LYKKE. Bene. Seguitemi adesso in quella stanza, là vi dirò, come tutto
è combinato e ciò che vi resta a fare. (via dalla destra).

STENSSON. (con uno sguardo al ritratto) Io figlio di Steno Sture!
Meraviglioso come un sogno! (segue Lykke).


  FINE DELL’ATTO TERZO.




ATTO QUARTO

  _La sala dei Cavalieri, come nell’atto precedente. La tavola da
  pranzo è via._


SCENA PRIMA.

  _Il cameriere_ BJÖRN _fa luce con un candeliere a più bracci alla
  signora_ JNGER GYLDENLÖVE _e ad_ OLAF SKAKTAVL; _essi entrano
  dalla seconda porta a sinistra, la signora Jnger ha alcune carte in
  mano_.

JNGER. E tu sei sicuro che mia figlia ha parlato in questa sala col
cavaliere?

BJÖRN. (che ha posato il candeliere sulla tavola a sinistra)
Perfettamente sicuro. Io l’ho incontrata appunto, quando essa entrava
in quel corridoio.

JNGER. E ti è sembrata commossa? Non è così?

BJÖRN. Ella aveva l’aspetto pallido e turbato. Io le ho domandato,
se si sentisse male, ma invece di rispondere alla mia domanda, mi
ha detto: «Va da mia madre e dille che il cavaliere partirà avanti
lo spuntar del giorno; se essa ha da dargli delle lettere, ovvero
da fargli delle ambasciate, pregala di non cagionargli nessun non
necessario ritardo.» Quindi ha detto ancora qualcosa, ch’io non ho
potuto esattamente capire.

JNGER. Ma non hai potuto afferrarne nemmeno il senso?

BJÖRN. Sì, qualcosa come questo: «Credo quasi, che egli sia stato già
troppo lungamente in Östrot»

JNGER. Ed il cavaliere dove è?

BJÖRN. Io credo nella sua stanza, sopra il portone.

JNGER. Bene. Io ho pronto, ciò che penso di dargli. Va da lui e digli,
che l’aspetto qui in sala.

BJÖRN. (via dalla destra).


SCENA II.

LA SIGNORA JNGER _e_ OLAF SKAKTAVL.


OLAF. Sapete, signora Jnger, di simili cose io sono del tutto al buio
come una talpa...; ma ciò mi vuol sembrare come se... hem!

JNGER. Ebbene?

OLAF. Come se Nils Lykke ami la vostra figliuola.

JNGER. Allora voi non siete del tutto cieco; poichè io dovrei molto
ingannarmi, se voi non aveste ragione. Non avete osservato, come egli a
cena ascoltasse avidamente ogni parola, che si riferisse ad Elina?

OLAF. Egli dimenticava anche di mangiare e bere.

JNGER. E fin’anco i nostri segreti affari.

OLAF. E quel che più anche... le carte del cancelliere.

JNGER. E da tutto questo voi conchiudereste quindi...?

OLAF. E da tutto questo io conchiudo primieramente che voi, che
conoscete Nils Lykke e sapete quale fama goda in fatto di donne...

JNGER. Debba esser contenta, se lo so di nuovo via?

OLAF. Sicuro; più presto è, tanto meglio.

JNGER. (ride) No, al contrario, Olaf Skaktavl.

OLAF. Che pensate allora?

JNGER. Se la cosa stesse, come noi due crediamo, Nils Lykke non
dovrebbe a nessun costo abbandonare così presto Östrot.

OLAF. (la guarda disapprovando) Vi mettereste di nuovo su strade a noi
ignote signora Jnger? A quali nuovi progetti pensate? Vi è qualcosa che
la vostra potenza potrebbe sviluppare a nostro danno e...?

JNGER. O piccolezza di mente, che rende tutti ingiusti verso di me!
Io vi osservo, voi credete sia mia intenzione di fare di Nils Lykke il
marito di mia figlia. Se io volevo questo... perchè mi sarei ricusata
di prender parte alle cose che adesso si preparano in Svezia e che Nils
Lykke e la volontà di tutta la fazione svedese sembra di sostenere?

OLAF. Se non è dunque vostro desiderio, di guadagnare Nils Lykke e di
cattivarvelo... che avete dunque in mente riguardo a lui?

JNGER. Voglio spiegarvelo in poche parole. In una lettera Nils Lykke mi
domandava in favore di poter entrare a far parte della nostra famiglia
ed io... voglio onestamente confessare, per un momento ho veramente
presa in esame la cosa.

OLAF. Ebbene, vedete bene!

JNGER. Imparentandomi con Nils Lykke, sarebbe stato un potente mezzo
per appianare molte discordie qui nel paese.

OLAF. L’unione di vostra figlia Merete con Vincenzo Lunge, mi sembra,
v’abbia dovuto mostrare ciò che tali mezzi producono. Appena il sig.
Lunge ebbe piede sicuro da noi, quando egli si fu impossessato dei beni
e dei privilegi...

JNGER. Ah, lo so, Olaf Skaktavl! Ma alle volte varii pensieri si
incrociano nella mia mente. Io non posso confidarmi pienamente nè a
voi, nè ad altri. Spesso non so, che cosa meglio mi convenga. E non
ostante... scegliere per la seconda volta per marito di mia figlia un
signore danese è un’uscita, alla quale io potrò ricorrere soltanto in
un estremo caso di bisogno e, grazie a Dio, a tal punto non ci siamo
ancora.

OLAF. Adesso ne so quanto prima, signora Jnger. Perchè volete
trattenere in Östrot Nils Lykke?

JNGER. (a bassa voce) Perchè nutro contro di lui un segreto rancore.
Nils Lykke mi ha offesa gravemente, come nessun altro. Io non
posso dirvi l’offesa. Ma io non troverò pace, fintantochè non mi
sarò vendicata di lui. Non mi capite? Ammettete che Nils Lykke sia
innamorato di mia figlia; mi sembra che sia ammissibile. Io voglio
indurlo a rimaner qui. Egli deve imparare a conoscere Elina più da
vicino. Essa è bella e saggia allo stesso tempo. Se egli più tardi,
coll’ardente amore di un giorno nel cuore mi venisse innanzi e
supplicante me la domandasse in sposa, allora... lo discaccerò via
come un cane, con scherno, con ludibrio, con disprezzo, e farò noto
per tutto il paese che Nils Lykke invano cercò in Östrot una sposa. Io
vi dico, che darei 10 anni della mia vita per poter godere di una tale
ora!

OLAF. La mano sul cuore, signora Jnger Gyldenlöve, sarebbe questa la
vostra vera intenzione?

JNGER. Questa e non altra, come è vero che vi è un Dio! Voi potete
credermi, Olaf Skaktavl, io tratto onestamente co’ miei compatrioti.
Ma io sono così poco padrona di me! Vi sono certe cose, che debbono
rimaner segrete, pena la mia vita. Lasciate ch’io sia una volta sicura
da ogni parte, allora vedrete se io ho dimenticato, ciò che giurai
sulla bara di Knut Alfson.

OLAF. (le scuote la mano) Grazie per le vostre parole! M’avrebbe
rincresciuto di dover pensare male di voi. Tuttavia in quanto riguarda
il disegno col cavaliere, mi sembra, che voi giuochiate un giuoco
arrischiato... Se voi vi foste sbagliata adesso ne’ vostri calcoli?
Se vostra figlia...? Poichè si dice, che nessuna donna abbia potuto
resistere a questo scaltrissimo diavolo.

JNGER. Mia figlia? Credete voi che essa...? No, siate tranquillo. Io
conosco Elina meglio di voi. Tutto ciò, che essa ha sentito sul conto
di lui, ha in lei destato un odio grandissimo. Voi stesso del resto
avete visto co’ vostri proprii occhi...

OLAF. Sì, sì... del cuore delle donne pur troppo non ci si può fidar
molto. Ma voi dovete però prendere le vostre cautele prima.

JNGER. Questo lo farò pure: io vigilerò su tutti e due. E se dovesse
riescirgli pure di attirarla nella sua rete, mi basterà soltanto di far
cadere nell’orecchio di mia figlia una sola parola e lei...

OLAF. E lei...?

JNGER. Lei fuggirà, davanti a lui come davanti al diavolo in persona.
Ma silenzio, Olaf Skaktavl, egli viene. Siate cauto.

NILS LYKKE. (viene dalla prima porta a destra).


SCENA III.

_Detti e_ NILS LYKKE.


LYKKE. (rivolgendosi gentile alla signora Jnger) Mi avete fatto
chiamare, nobile dama?

JNGER. Da mia figlia ho saputo, che voi pensate già di lasciarci questa
notte.

LYKKE. Sventuratamente, le mie faccende in Östrot sono adesso finite.

OLAF. Non prima, ch’io abbia ricevute le lettere.

LYKKE. Perfettamente. Quasi quasi, dimenticavo il più importante della
mia missione. Ma la colpa è della padrona di casa. A tavola seppe essa
sì bene saviamente e briosamente intrattenere i suoi ospiti...

JNGER. Che voi dimenticaste, il motivo che vi aveva qui condotto? Me
ne rallegro, poichè questa era appunto la mia intenzione. Ho pensato:
Se il mio ospite Nils Lykke si dovesse trovar bene in Östrot, egli
dovrebbe...

LYKKE. Che cosa, eletta dama?

JNGER. Dimenticare pria di tutto il suo mandato... e tutto ciò, che è
accaduto pria della sua venuta.

LYKKE. (ad Olaf, nel mentre tira fuori il pacco e glielo porge) Ecco
le lettere del cancelliere. Voi vi troverete tutti gli schiarimenti sui
nostri partigiani in Svezia.

OLAF. Questo va bene. (Ei siede su d’una sedia a sinistra, apre il
pacco e sfoglia le carte).

LYKKE. Ed ora, signora Jnger Gyldenlöve, non saprei qual cosa mi resti
ancora da far qui.

JNGER. Voi potreste aver forse ragione, se unicamente i soli affari di
Stato vi avessero qui condotto. Questo non vorrei però crederlo.

LYKKE. Voi pensate...?

JNGER. Io penso, che Nils Lykke non sia venuto ospite da me, soltanto
come consigliere di Stato o alleato del cancelliere. Mi sarei
ingannata, figurandomi, che voi laggiù in Danimarca avete udito alcune
cose, che vi hanno fatto desiderare di conoscere la signora di Östrot?

LYKKE. Lontano da me il negarlo...

OLAF. (cercando nelle carte) Strano! Nessuna lettera.

LYKKE. La fama della signora Jnger Gyldenlöve si è sparsa dapertutto.
Il che mi ha fatto desiderare di conoscerla personalmente.

JNGER. L’ho pensato bene. Però non credo sia sufficiente un’ora
passata alla tavola della sera, per conoscerla. Noi vogliamo cercare
di dimenticare quel che tra noi prima è accaduto. Il Nils Lykke, ch’io
conosco, voglia stendere un velo sopra il rancore, ch’io portai contro
chi non conoscevo. Prolungate il vostro soggiorno tra noi per qualche
tempo ancora, signor consigliere di Stato! Io non tenterò di persuadere
Olaf Skaktavl. Egli ha i suoi incarichi per la Svezia. Al contrario
per quanto riguarda voi, avrete sicuramente tutto in anticipazione
così saggiamente combinato, che la vostra presenza non sarà necessaria.
Credetemi, il tempo non vi parrà lungo presso di noi; in ogni modo io e
mia figlia faremo il possibile, per farvi affettuosa compagnia.

LYKKE. Io non dubito, nè delle vostre buone intenzioni, nè di quelle di
vostra figlia verso di me. Di ciò ho avuto prova a profusione. E se io
debbo non ostante dichiarare adesso, che mi è impossibile di prolungare
il mio soggiorno in Östrot, capirete da ciò che la mia presenza è
assolutamente necessaria altrove.

JNGER. Ebbene! Sapete voi, signor consigliere di Stato, che, s’io fossi
maliziosa, potrei quasi credere, siate venuto in Östrot, per azzardare
una lotta con me. Questa lotta voi credete di averla perduta, e per
questo vi spiace d’indugiarvi più lungamente sul campo di battaglia e
presso il testimone della vostra sconfitta.

LYKKE. (ridendo) A tale spiegazione ci sarebbero parecchie ragioni
da opporre: ma il certo si è, che io non ritengo ancora perduta la
battaglia.

JNGER. Come che sia, se voi vi trattenete con noi un paio di giorni
ancora, potete eventualmente riguadagnarla. Del resto vedete voi
stesso, com’io sia titubante e irrisoluta nel bivio... di persuadere
il mio pericoloso assalitore a non abbandonare il campo. Ebbene,
parlandoci chiaro, la cosa è così: la vostra alleanza coi malcontenti
in Svezia mi sembra anche un po’... come debbo chiamarla... ecco un po’
strana, signor consigliere di Stato! Io vi dico questo senza giro di
parole, caro signore! Il pensiero che ha spinto il consigliere del re a
questo passo clandestino, mi sembra molto prudente; ma contraddice coi
precedenti dei vostri compatrioti durante l’anno scorso. Non dovete per
questo avervela a male, se la mia fiducia nelle vostre belle promesse,
ha bisogno di più forti garanzie, prima che io metta in vostra mano la
mia sicurezza ed i miei beni.

LYKKE. A questo scopo una più lunga dimora in Östrot sarebbe di poca
utilità, poichè io penso di non fare alcun altro tentativo per smuovere
la vostra decisione.

JNGER. Allora vi compiango sinceramente di cuore. Sì, signor
consigliere di Stato, è ben vero che io sono una vedova priva di
consiglieri, ma bisogna che crediate alle mie parole, se io vi
profetizzo che dal vostro viaggio in Östrot nasceranno delle cose poco
piacevoli per voi.

LYKKE. (con un sorriso) Mi profetizzate ciò, signora Jnger?

JNGER. Certamente. Che cosa si dirà, nobil cavaliere? Gli uomini
al giorno d’oggi malignano così volentieri! Più di un bello spirito
scriverà su voi delle canzoni ingiuriose. In meno di mezzo anno sarete
sulla bocca di tutti: la gente si fermerà per via, vi guarderà dietro
e dirà: «Vedete, vedete; ecco il cavaliere Nils Lykke, che è andato in
Östrot per sorprendere la signora Jnger Gyldenlöve ed invece è rimasto
preso nella sua stessa rete.»

LYKKE. (fa un movimento d’impazienza).

JNGER. Bene, bene signor cavaliere, non siate così impaziente! Questa
non è la mia opinione, però i cattivi ed i maligni giudicheranno così.
E di questi per disgrazia ve ne sono anche troppi. Sì, questo è il
male; ma è sicuro e vero che la vostra ricompensa sarà lo scherno.
Scherno, perchè una donna fu più accorta di voi. «Scaltro come una
volpe, egli s’introdusse in Östrot» si dirà; «ritornò da quel luogo
vergognoso come un cane.» Ed ancora una: Credete voi che il cancelliere
ed i suoi amici vi ringrazieranno per la vostra assistenza, se si dirà,
ch’io non oso combattere sotto la vostra bandiera?

LYKKE. Voi parlate saggiamente, nobile signora! E per non espormi allo
scherno, e più ancora, per non alienarmi l’appoggio di tutti i buoni
amici di Svezia, sono costretto...

JNGER. (gaia) Di prolungare il soggiorno in Östrot?

OLAF. (che ha ascoltato, a parte) Adesso casca egli nell’agguato!

LYKKE. No, nobile signora; io sono costretto, di conchiudere con voi un
concordato.

JNGER. E se non vi riescisse?

LYKKE. Riescirò.

JNGER. Siete sicuro del fatto vostro, a quanto pare!

LYKKE. Che cosa scommettiamo che voi consentirete alla proposizione mia
e del cancelliere?

JNGER. Il castello di Östrot contro la vostra testa!

LYKKE. (si batte sul petto e chiama) Olaf Skaktavl... vedete in me il
signore di Östrot!

JNGER. Signor consigliere di Stato!...

OLAF. (alzandosi) Ebbene, che cosa c’è?

LYKKE. (alla signora Jnger) Io non accetto la scommessa, poichè fra
momenti mi regalerete volentieri Östrot ed anche dippiù, per tirarvi
fuori dalla rete, nella quale voi siete caduta, non io.

JNGER. Il vostro scherzo incomincia a diventare assai divertente,
signor cavaliere.

LYKKE. E lo sarà più ancora... almeno per me. Voi vi siete insuperbita,
per avermi soperchiato. Voi minacciate perciò di accumulare su me
il ludibrio e lo scherno di tutti gli uomini. Ah vi dovete piuttosto
guardar voi, dal risvegliare la mia brama di vendetta, poichè con due
parole io vi posso costringere a cadermi in ginocchio.

JNGER. Ah, ah...! (essa s’arresta subitaneamente, come presa da un
presentimento). E queste due parole, Nils Lykke? queste due parole...?

LYKKE. Sono il segreto del figlio vostro e di Steno Sture.

JNGER. (con un grido) Oh Dio!...

OLAF. Il figlio di Jnger Gyldenlöve! Che dite voi mai?

JNGER. (cadendo per metà in ginocchio davanti a Lykke) Perdono! Siate
pietoso...!

LYKKE. (l’alza) Tornate in voi e discorriamo posatamente insieme.

JNGER. (con voce sommessa, come lontana) Avete sentito, Olaf Skaktavl?
Od è stato soltanto un sogno? Avete sentito ciò che egli ha detto?

OLAF. Non è stato un sogno, signora Jnger!

JNGER. (batte le mani insieme) E voi lo sapete! Voi... voi...! Però
dove l’avete nascosto? Dov’è? Che cosa ne volete fare? (gridando) Non
l’ammazzate, Nils Lykke! Restituitemelo! Non me lo ammazzate!

OLAF. Ah, incomincio a capire...

JNGER. E quest’affanno... e questa paura che mi tormenta! L’ho tenuto
nascosto per tanti lunghi anni... ed adesso tutto ad un tratto si svela
ed io debbo sopportare tanta pena e tormento! Signore Iddio, è giusto
quello che fai? Non me l’hai dato tu? (raccoglie tutte le sue forze e
con penosa, abbattuta voce dice) Nils Lykke, ditemi soltanto... Dove lo
tenete? Dov’è egli?

LYKKE. Presso il suo bailo.

JNGER. Ancora dal suo bailo! O quest’uomo è inesorabile! Egli me lo ha
sempre ricusato!... Ma così non può restare più lungamente. Aiutatemi,
Olaf Skaktavl!

OLAF. Io?

LYKKE. Non ne avrete affatto di bisogno, se voi soltanto...

JNGER. Uditemi, signor consigliere di Stato. Ciò che voi sapete, voglio
che lo sappiate pienamente. E voi pure vecchio e fedele amico! Ebbene!
Voi mi ricordaste poco fa lo sventurato giorno, in cui fu ammazzato
presso Oslo Knut Alfson. Voi mi ricordaste un giuramento ch’io feci,
quando io, circondata dai più valorosi uomini della Norvegia, stavo
presso la sua bara. Allora io era quasi una bambina. Ma allora sentivo
in me la potenza di Dio ed io credetti, ciò che molti dopo di me hanno
creduto, che lo stesso Signore mi avesse impresso il suo segno sulla
fronte, e mi avesse scelta, per combattere avanti tutto pel paese e pel
Regno. Era questa una temerità ovvero era una rivelazione dall’alto?
Io non l’ho mai approfondito. Però guai a chi ha da compiere una
grande opera! Durante sette lunghi anni, posso dire d’aver mantenuto
fedelmente la parola. Nei momenti di bisogno e nelle angustie mi
mantenni fedele ai miei compatrioti. Tutte le mie compagne erano
divenute mogli e madri. Solo a me non era permesso di prestare orecchio
a nessun amante, a nessuno. Questo lo sapete assai bene, Olaf Skaktavl!
Fu allora che vidi per la prima volta Steno Sture. Io non avevo giammai
veduto per lo innanzi un uomo più bello.

LYKKE. Adesso mi si fa tutto chiaro. Steno Sture si trovava in Norvegia
in missione segreta. Noialtri Danesi non potevamo sapere che egli
pensasse bene dei vostri partigiani.

JNGER. Travestito da semplice soldato, passò tutto un inverno con me
sotto il mio tetto. Durante quell’inverno ho pensato poco, poco alla
prosperità del Regno... Un uomo più bello non l’avevo per lo innanzi
mai veduto! Ed avevo quasi venticinque anni!... L’autunno dopo,
Steno Sture ritornò e quando andò via, portò seco un tenero bambino,
segretamente. Non che io non paventassi la mala lingua degli uomini —
ma avrebbe nuociuto al nostro affare, se fosse diventato pubblico che
Steno Sture mi era stato così vicino. Il bambino fu consegnato, per
esser allevato al cancelliere Pietro. Io sperai in tempi migliori, che
dovevano venir presto; ma non vennero mai! Steno Sture si ammogliò due
anni dopo in Svezia, e quando egli morì, lasciò una vedova...

OLAF. E con lei un legittimo erede del suo nome e dei suoi diritti.

JNGER. Scrissi innumerevoli volte al cancelliere, supplicandolo di
ridarmi il mio bambino. Ma egli si è ricusato sempre: «Stringetevi a
noi con nodo saldo ed indissolubile» rispondeva egli «ed io manderò
in Norvegia a voi vostro figlio, prima no.» Come potevo io arrischiare
questo? Noi malcontenti eravamo allora guardati di traverso dai molti
paurosi qui in paese. Essi ricevevano notizie delle cose... o io lo so
bene! per colpire la madre, avrebbero preparato al bambino la stessa
sorte, incontrata dal re Cristiano, se questi non si fosse salvato con
la fuga. Ma oltre a ciò i Danesi non perdevano il loro tempo. Essi non
tralasciavano nè minaccie, nè promesse per tirarmi dalla loro...

OLAF. Ben inteso. Tutti gli occhi erano rivolti su voi come sopra una
banderuola, verso la quale essi volevano far vela.

JNGER. Allora accadde la ribellione di Herulf Hydefad. Ricordate quel
tempo, Olaf Skaktavl? Fu, come se un’aprica primavera fosse venuta
su tutto il paese! Moltissime voci mi gridarono di farmi innanzi,
ma non ne ebbi il coraggio. Io rimasi irresoluta, lontana dal campo,
nella mia solitaria Corte. Alle volte mi pareva, come se Dio stesso mi
chiamasse; ma d’allora mi rivenne quella mortale angoscia, che fiaccò
ogni mia volontà. «Chi vincerà?.» Vedete, questa era la domanda che
continuamente mi risuonava all’orecchio. Ma, hai! durò poco quella
primavera, allora in Norvegia. Herulf Hydefad e molti altri con lui
il mese seguente furono arrotati. Da me nessuno potè pretender nulla.
E non ostante la Danimarca non tralasciò di minacciare per altra via.
Come se essi sapessero del segreto? In conclusione io non potevo che
pensare a questo. In quel momento pieno di tormenti capitò qui in
Östrot il governatore del Regno Gyldenlöve e mi chiese in matrimonio.
Mettete al mio posto una madre addolorata come me! Un mese dopo ero
la moglie del governatore del Regno... e da’ miei compatrioti creduta
senza più affetti di patria. D’allora scorsero gli anni tranquilli. Non
si sollevò più nessuno. I potenti ci poterono opprimere nel modo più
severo ed avvilente che a loro piacque. Venne un momento, in cui ebbi
disgusto di me stessa. Perchè? Che cosa avevo io fatto? Niente, fuor
che tormentarmi con affanni, farmi schernire, e dare al mondo delle
figlie. Le mie figlie! Dio mi voglia perdonare se non ho per loro alcun
cuore di madre. Il dovere della moglie era per me una servitù imposta.
Come potevo amare le mie figlie? O con mio figlio era tutt’altro!
Egli era il figlio prediletto dell’anima mia! Egli era l’unico che mi
ricordava il tempo felice, poichè io ero donna, nient’altro che donna.
E me lo avevano preso! Egli cresceva in mezzo a gente estranea, che
forse gli stillava nell’anima il seme della corruzione! Olaf Skaktavl,
se io avessi dovuto, come voi, cacciato co’ bracchi e solitario,
correre per monti e valli, in mezzo al vento e alla tempesta ed avessi
avuto con me il mio bambino in braccio, credetemi, non avrei sparse
tante lagrime amare, quanto ne ho sparse per lui dal giorno della sua
nascita fin’oggi, nè mi sarei tanto addolorata.

OLAF. Qua la mano. Io vi ho giudicato troppo severamente, signora
Jnger. Disponete di me sempre, come fin’oggi. Io vi obbedirò. Sì, per
tutti i Santi, io so che cosa sia portare il lutto pel proprio figlio!

JNGER. Le vostre violenze lo hanno ucciso. Ma che cosa è la morte in
confronto al tormentoso dolore per tanti lunghi anni?

LYKKE. Ebbene, dipende da voi di por fine a questo tormento. Conciliate
i partiti combattenti, ed allora a nessuno di loro verrà più in mente
di trattenere vostro figlio in ostaggio, in garanzia della vostra
fedeltà.

JNGER. (a parte) Questa è una vendetta del cielo! (guardandolo) Dite
breve e chiaro che cosa pretendete!

LYKKE. Prima desidero che chiamiate al Nord sotto le armi il popolo,
per sostenere i malcontenti in Svezia.

JNGER. E poi...?

LYKKE. Che voi vi adoperiate in modo, che il giovine conte Sture sia
messo nel diritto della sua discendenza come sovrano di Svezia.

JNGER. Egli? Voi volete che io...?

OLAF. (sommesso) È il desiderio di molti Svedesi. Ciò sarebbe anche
utile a noi.

LYKKE. Voi esitate, nobile dama? Voi tremate per la sicurezza di vostro
figlio? Che cosa potete desiderare di meglio dal vedere sul trono suo
fratello?

JNGER. (pensierosa) È ben vero... è ben vero!...

LYKKE. (la guarda severamente) Se doveste maturare voi un altro
progetto...

JNGER. Che cosa credete voi?

LYKKE. Che Jnger Gyldenlöve mediti sopra... di diventare madre di re.

JNGER. No, no! Restituitemi il figlio mio, e date pure la corona a chi
volete. Tuttavia, sapete voi per caso se il conte Sture ha intenzione,
di...

LYKKE. Su questo può darvene la certezza egli stesso.

JNGER. Egli stesso? E quando?

LYKKE. Anche adesso.

OLAF. Come ciò?

JNGER. Che dite?

LYKKE. In una parola, il conte Sture si trova in Östrot.

OLAF. Qui?

LYKKE. (a Jnger) Vi sarà stato forse riferito ch’io cavalcavo insieme
con un altro, venendo verso il castello. Il mio compagno era il conte
Sture.

JNGER. (sottovoce) Io sono in suo potere! Non mi rimane alcuna scelta.
(lo guarda e dice) Ebbene, signor consigliere di Stato... vi garantisco
il mio appoggio.

LYKKE. Per iscritto?

JNGER. Come desiderate. (va al tavolo a sinistra, siede e alza il
coperchio della cassetta del _necessaire_ da scrivere).

LYKKE. (a destra della tavola, a parte) Finalmente la vittoria è mia!

JNGER. (dopo un momento di riflessione, si volta prontamente e mormora
ad Olaf Skaktavl fra il tavolo) Olaf Skaktavl, adesso son sicura che
Nils Lykke è un traditore.

OLAF. (sottovoce) Come? voi credete?

JNGER. Ei medita un inganno. (mette in ordine la carta ed intinge la
penna).

OLAF. (vuole andare).

JNGER. No, rimanete e udite ancora... (essa parla sottovoce con lui).

OLAF. E voi vorreste dargli per iscritto questa assicurazione, che
potrebbe essere la vostra rovina?

JNGER. Zitto, lasciatemi fare.

LYKKE. (la guarda negli occhi, quindi sottovoce) Ah, consultatevi pure,
quanto volete. Adesso ogni pericolo è passato. Colla sua promessa
scritta in tasca, io posso ad ogni ora sollevare di nuovo l’accusa.
Tuttavia questa notte manderò un messo segreto a Jens Bielke... Io non
mancherò alla mia parola, se io lo assicuro che il giovane conte Sture
non è in Östrot. E poi domani, se la strada è libera, verso Droutheim
col giovine gentiluomo. Di là per mare verso Copenaghen con lui,
come prigioniero. Quando egli sarà in prigione, potremo ordinare alla
signora Jnger ciò che più ci piacerà. Ed io... dopo ciò, penso, che il
Re in nessun’altra mano che la mia affiderà l’ambasciata di Francia.

JNGER. (sempre conferendo con Olaf Skaktavl) Ebbene, mi avete dunque
capito?

OLAF. Perfettamente. Sia dunque fatto come volete. (via dalla porta in
fondo a destra).

STENSSON. (viene avanti dalla prima porta a destra, senza esser visto
dalla signora Jnger).


SCENA IV.

LA SIGNORA JNGER, NILS LYKKE, NILS STENSSON.


STENSSON. (con voce smorzata) Signor cavaliere, signor cavaliere!

JNGER. (non l’osserva, scrive).

LYKKE. (va a lui; a mezza voce come tutto il seguito) Imprudente! Che
volete voi qui? Non vi avevo detto di aspettarmi là dentro, fintanto
che non vi avessi chiamato?

STENSSON. Come lo potevo? Adesso che mi avete confidato che Jnger
Gyldenlöve è mia madre, adesso non posso star più dall’impazienza di
vederla di faccia a faccia! (s’accorge della signora Jnger) È lei! Come
è fiera e sublime! Io me la sono sempre immaginata così. Non temete,
caro signore, io non mi tradirò. Dacchè ho appreso questo segreto, mi
sento quasi più vecchio e quasi canuto. Io non sarò più nè un selvaggio
nè uno spensierato; io voglio diventare un nobile gentiluomo come gli
altri. Sentite, ditemi però, sa lei che io son qui? L’avete preparata?

LYKKE. Naturalmente, però...

STENSSON. Ebbene?

LYKKE. Essa non vi vuole riconoscere per figlio.

STENSSON. Non riconoscermi? Ma è pure mia madre! O se non vi è
nient’altro... (egli mette fuori un anello che per un filo ha legato
intorno al collo) mostratele questo anello. Io lo porto fin da quando
ero bambino. Essa lo deve riconoscere.

LYKKE. Via quell’anello, incauto! Via, dico. Voi non mi capite. La
signora Jnger non dubita affatto, che voi siate suo figlio, però...
sì, guardatevi intorno, vedete tutte queste ricchezze, tutti questi
potenti antenati, il parentado, di cui i ritratti pendono pomposamente
da per tutto, su tutte le pareti e finalmente guardate lei stessa, la
fiera donna, abituata, come prima fra le gentildonne, a comandare nel
paese. Credete voi, che essa possa essere contenta di mostrare agli
occhi della gente un povero e rozzo garzone e dire: «Ecco, questo è mio
figlio!»

STENSSON. Sì, avete ben ragione. Io sono un povero rozzo. Io non posso
offrirle nulla in ricambio di quel che da lei desidero. Oh non ho mai
sentito l’oppressione della povertà, come in questo momento. Tuttavia
suggeritemi: Che cosa credete ch’io possa fare, per conquistare il suo
affetto? Ditemelo, prezioso amico, voi dovete pure saperlo...

LYKKE. Voi dovete conquistare il paese ed il Regno. Però prima che
ciò vi venga fatto, dovete guardarvi bene d’offendere il suo orecchio
con un’indiscrezione sopra il vostro parentado. Essa farà mostra di
considerarvi pel vero conte Sture, finchè non vi mostriate d’esser
degno di chiamarvi suo figlio.

STENSSON. O, ditemi tuttavia...

LYKKE. Silenzio, silenzio.

JNGER. (si alza e gli porge lo scritto) Signor cavaliere... eccovi la
mia promessa.

LYKKE. Grazie.

JNGER. (osservando Stensson) Ah... questo giovane è...

LYKKE. Sì, signora Jnger, questi è il conte Sture.

JNGER. (lo guarda rapita, a parte) Tratto per tratto, sì per Dio,
questi è il figlio di Steno Sture! (gli s’avvicina e gli dice con
fredda cortesia) Siate il benvenuto sotto il mio tetto, signor conte.
Sta a voi, se noi dovremo prima della fine di questo anno benedire o no
questo incontro.

STENSSON. A me? Oh, ordinatemi, quel che debbo fare. Credetemi, io ho
volontà e coraggio.

LYKKE. (ascolta inquieto) Che cosa è questo correr di gente, questo
fracasso, signora Jnger? Si vuole entrare qui. Che significa ciò?

JNGER. (a voce alta) Sono gli invitati, che si svegliano!

OLAF SKAKTAVL, EJNAR HUK, BJÖRN, FINN, _contadini e servi vengono dalla
porta in fondo a destra_.


SCENA V.

_Detti_, OLAF SKAKTAVL, EJNAR HUK, BJÖRN, FINN _contadini e servi_.


CONTADINI _e_ SERVI. Salute a voi, signora Jnger Gyldenlöve!

JNGER. (ad Olaf) Avete detto loro, quel che si sta facendo?

OLAF. Tutto quello che è d’uopo che essi sappiano, l’ho detto.

JNGER. (alla moltitudine) Sì, miei fedeli servi e contadini, adesso vi
potete armare come meglio potete. Quel che vi ho ricusato questa sera,
vi sia adesso in piena regola concesso. E qui pongo alla vostra testa
il giovine conte Sture, futuro conduttore degli Svedesi ed anche dei
Norvegesi, che Dio lo voglia!

LA MOLTITUDINE. Salute a lui, salute al conte Sture!

(Movimento generale).

CONTADINI _e_ SERVI. (scelgono in mezzo ad un grande baccano le armi e
si mettono le corazze e le cuffie d’acciaio).

LYKKE. (sommesso ed inquieto) Gli ospiti si svegliano, diceva lei? In
apparenza io ho risvegliato il diavolo della ribellione. Dannazione, se
mi piombasse sulla testa!

JNGER. (a Stensson) Incominciate a ricevere da me il primo aiuto, 30
contadini montati che vi seguiranno e vi difenderanno. Credetemi, prima
ancora che voi giungiate al confine, molte centinaia si saranno riuniti
intorno a voi ed alla mia bandiera. Ed adesso andate con Dio!

STENSSON. Grazie, signora Jnger Gyldenlöve, grazie e siate sicura, che
non avrete mai a vergognarvi del... conte Sture! Quando mi vedrete di
nuovo, avrò conquistato il paese ed il Regno!

LYKKE. (a sè) Sì, se la rivedrai.

OLAF. I cavalli aspettano voi, buona gente... Siete pronti...?

CONTADINI. Sì, sì, sì!

LYKKE. (inquieto, alla signora Jnger) Come, non avrete però
l’intenzione questa notte...?

JNGER. Anche in questo momento, signor cavaliere!

LYKKE. No, no, è impossibile!

JNGER. È come io dico.

LYKKE. (sottovoce a Stensson) Non l’ascoltate!

STENSSON. (sottovoce) Come posso io altrimenti? Lo voglio!

LYKKE. (sottovoce) Sarà la vostra rovina di sicuro...

STENSSON. (sottovoce) È tutt’uno! Essa impera su me...

LYKKE. (comandando sottovoce) Ed io?

STENSSON. (sottovoce) Manterrò la mia parola, fidatevene. Il segreto
non mi sfuggirà dalle labbra, prima che voi stesso non mi abbiate
sciolta la lingua... Ma essa è mia madre!

LYKKE. (a parte) E Jens Bielke, che sta in agguato sulla strada!
Dannazione! Egli mi toglie la preda dalle mani... (alla signora Jnger)
Aspettate fino a domani!

JNGER. (a Stensson) Conte Sture... mi ascoltate o no?

STENSSON. A cavallo! (egli va in fondo).

LYKKE. (a parte) Sventurato! Egli non sa quel che si fa! (alla
signora Jnger) Ebbene, se deve esser così... vivete sana. (s’inchina
rapidamente e fa per andare).

JNGER. (lo trattiene) No, rimanete! Non così, signor cavaliere, non
così!

LYKKE. Che volete?

JNGER. (con voce sommessa) Nils Lykke... Voi siete un traditore!
Silenzio! Che nessuno s’avvegga che nel campo dei capi si siano
manifestate discordie! Voi vi siete guadagnata la fiducia del
cancelliere con un’arte diabolica, ch’io non potevo prevedere. Voi
mi avete costretta ad un’aperta ribellione... non per appoggiare la
nostra causa, ma per promuovere i vostri proprii interessi, pensando
con questo mezzo d’aiutarli. Io non posso tirarmi più indietro. Ma non
crediate però di aver vinto! Io saprò pur rendervi innocuo...

LYKKE. (porta involontariamente la mano alla spada) Signora Jnger!

JNGER. Siate calmo, signor consigliere di Stato! Non vi si minaccia la
vita! Ma non uscirete dalla porta di Östrot, pria che la vittoria non
sia nostra.

LYKKE. Morte e dannazione!

JNGER. È vana qualunque resistenza. Voi non ci sfuggirete. Mantenetevi
calmo quindi, è la cosa più saggia, che possiate fare.

LYKKE. (tra sè) Oh... io sono sconfitto! Essa è stata ancora più
accorta di me! (gli viene un’idea) Ma se io tuttavia...

JNGER. (sottovoce ad Olaf) Seguite la gente del conte Sture fino al
confine. Quindi recatevi senza perdere un minuto dal cancelliere e
conducetemi qui mio figlio. Adesso il cancelliere non ha più motivo di
ritenere quel che è mio.

OLAF. (fa per andare).

JNGER. (aggiunge) Aspettate... Un mezzo di riconoscimento! Egli deve
avere l’anello di Steno Sture.

OLAF. Per tutti i santi, lo avrete!

JNGER. Grazie, grazie, mio fedele amico!

LYKKE. (a Finn, ch’egli ha chiamato di nascosto, e col quale discorre
sottovoce) Dunque... cerca di svignartela. Non ti far vedere. Un quarto
d’ora lontano da qui trovansi gli Svedesi in imboscata. Avverti il loro
condottiero che è morto il conte Sture. A quel giovine non sia torto
un capello. Questo lo dirai al capo. Digli che la vita del giovine
gentiluomo ha un grandissimo valore.

FINN. Sarà fatto come ordinate.

JNGER. (che frattanto ha fissato Nils Lykke negli occhi) Ed adesso
andate tutti con Dio! (additando Nils Lykke) Questo nobile cavaliere
non sa decidersi ad abbandonare sì presto i suoi amici di Östrot. Egli
vuole trattenersi presso di me, finchè arriva la nuova della vittoria.

LYKKE. (a sè) Satana!

STENSSON. (gli prende la mano) Fidatevi di me. Non avrete bisogno di
aspettare molto.

LYKKE. Bene, bene! (a parte) Non è ancora tutto perduto. Se soltanto la
mia ambasciata arriva a tempo a Jens Bielke...

JNGER. (al castellano Ejnar Huk, additando Finn) E quell’uomo sia
condotto sotto buona guardia nelle prigioni del castello.

FINN. Io?

HUK _e_ SERVI. Finn?

LYKKE. (sottovoce) Ecco perduta la mia ultima speranza.

JNGER. (imperiosa) Nelle prigioni del castello.

TUTTI GLI ALTRI. Via, a cavallo, a cavallo! Salute a voi, signora Jnger
Gyldenlöve!

HUK, BJÖRN, _ed alcuni_ SERVI (conducono via Finn dalla sinistra).

JNGER. (passa rasente davanti a Lykke mentre segue gli altri che vanno
via) Chi è il vincitore adesso? (via).


SCENA VI.

NILS LYKKE (_solo_).


LYKKE. Sì, guai a te, tu compri cara la vittoria. Io me ne lavo le
mani, sono innocente. Non sono io che lo ammazzo. Ma non ostante la
mia preda mi sfugge! E la rivolta germoglia e si estende! È stato
temerario e pazzo il giuoco, al quale io mi sono abbandonato! (ascolta
alla finestra a destra) Ecco essi galoppano fuori della porta del
castello... Adesso la si chiude dietro di loro... ed io rimango dentro
prigioniero. Nessuna possibilità di scampo. Fra mezz’ora gli Svedesi
lo sorprenderanno. Egli ha con sè 30 cavalieri bene armati. Sarà una
battaglia di vita e di morte. Se egli cadesse tuttavia vivo nelle loro
mani? Se io fossi almeno libero, potrei andare incontro agli Svedesi,
prima che essi giungessero ai confini, e me lo farei consegnare vivo.
(va alla finestra in fondo e guarda fuori) Dannazione! Dapertutto
guardie! Che non ci debba essere nessuna via di scampo? (va in fretta
di nuovo per la sala, d’un tratto si ferma ed ascolta) Che cosa è
questo? Qualcuno canta di là, accompagnandosi colla mandola! Ma questo
vien ben dalla stanza della signorina Elina. Sì, è lei che canta!
Su dunque. (gli sembra d’afferrare un pensiero) Elina... Ah, se ciò
riescisse... se si lasciasse persuadere...! E perchè no? Non sono più
io lo stesso? Lo dica la canzone:

    «Di là sospira derelitta ogni donzella
    «Volesse Iddio che Nils Lykke mi amasse.»

E lei...? Sì, Elina Gyldenlöve mi salverà! (va presto e con precauzione
per la prima porta a sinistra).


  FINE DELL’ATTO QUARTO.




ATTO QUINTO

  _La stessa sala dei Cavalieri._

  _È ancora notte: la sala è languidamente illuminata da un
  candelabro a bracci, che sta sulla tavola in fondo a destra._


SCENA PRIMA.

LA SIGNORA JNGER _sola_.


JNGER. (siede presso la tavola immersa in pensieri, dopo una breve
pausa) Tutti dicono che io sia la donna più prudente della Norvegia.
Lo credo, lo sono anche. La più prudente... Nessun sa però perchè io
la sia. Da più di dieci anni combatto, lotto per la salvezza del mio
figliuolo. Questa è la chiave dell’enigma! Questo aguzza l’ingegno!
L’ingegno? Dov’è andata a finire stanotte la mia prudenza? Dov’è
rimasta la mia accortezza? Mi sento risuonare e fischiare gli orecchi!
Vedo passarmi davanti delle figure così vive, che potrei toccarle.
(scatta in piedi) O mio Redentore... che cosa è ciò? Non sono più
padrona della mia mente. Dovrebbe capitare, che io... (si preme con
le mani la testa, quindi si risiede e dice più calma) Non è nulla...
Via. Non ci è alcun bisogno... Passa... Come tutto è tranquillo per le
sale questa notte. I miei antenati, i miei maggiori non mi guardano
più minacciosi. Io non ho più bisogno di voltarli contro la parete.
(torna ad alzarsi) È stato bene d’essermi fatta finalmente coraggio.
Noi vinceremo... così avrò raggiunta la meta. Riavrò il mio figliuolo.
(prende il lume per andare, ma si ferma e dice fra sè) Alla meta? alla
meta? Averlo restituito? Soltanto questo... e nient’altro? (posa di
nuovo il lume sulla tavola) Quella parola, per quanto rapida, che Nils
Lykke mi ha lanciato... Come potette egli indovinare il mio non ancora
nato pensiero? (più sottovoce) Madre di Re!... Madre di Re! disse egli.
E perchè no? Non hanno i miei maggiori dominato come Re, sebbene non
ne portassero il nome? Non ha anche mio figlio la stessa pretenzione
ai diritti della famiglia Sture, come quell’altro? Davanti a Dio egli
li ha... come è vero che v’è giustizia in cielo! Ed a questi diritti
io ho per lui renunziato per iscritto in un’ora d’affanno! Con prodiga
mano li ho regalati via, come riscatto della sua libertà. Se potessero
essere riscattati? S’adirerà il cielo, se io...? Debbo io pensare, che
mi verrebbe scongiurata una nuova calamità, se io...? Chi sa... chi
sa! Forse è meglio renunziare. (ripiglia il lume) Mi si restituisca
il figlio, questo mi deve bastare. Io voglio adesso riposarmi. Voglio
abbandonare tutti i pensieri temerarii. (va in fondo, si ferma e dice
marcatamente) Madre di Re! (via dal fondo a sinistra, lentamente).

LYKKE. (con una piccola lanterna ed Elina vengono, dopo poca pausa,
cautamente per la prima porta a sinistra).


SCENA II.

NILS LYKKE _ed_ ELINA GYLDENLÖVE.


LYKKE. (facendo luce e spiando intorno, mormora) Tutto è silenzio. Ora
debbo andar via.

ELINA. O, lascia ch’io ti guardi ancora una volta negli occhi, pria che
t’allontani.

LYKKE. (abbracciandola) Elina!

ELINA. (dopo breve pausa) Non ritornerai più in Östrot?

LYKKE. Come puoi dubitarne? Non sei tu fin da ora la mia fidanzata? Ma
mi sarai anche tu fedele, o Elina? Ti dimenticherai di me, finchè non
ci rivedremo?

ELINA. Se io ti sarò fedele? Ho io una volontà ancora? Poss’io
tradirti, se anch’io stessa lo volessi? Tu venisti di notte da me, hai
bussato alla mia porta ed io t’ho fatto entrare. Tu mi parlasti. Che
m’hai detto? Mi fissasti negli occhi. Quale potenza enigmatica è stata,
che mi ha abbagliata ed incantata come una malia? (s’appoggia colla
faccia per metà sulla spalla di lui) O, non mi guardare, Nils Lykke! Tu
non ardisci più guardarmi, dopo quanto è accaduto. Fedele, tu dici? Tu
mi hai già. Io son tua... così devo essere... per tutta l’eternità.

LYKKE. Ebbene, per la mia fede di cavaliere, prima che termini l’anno,
tu sarai mia sposa nel castello de’ miei padri.

ELINA. (scuotendo melanconica il capo) Nessun giuramento Nils Lykke,
non giurare!

LYKKE. Che cos’hai? Perchè scuoti la testa così melanconicamente?

ELINA. Perchè io so che quelle dolci parole, che m’hanno abbagliato,
di già le hai tu sussurrate a tante altre, prima di me. No, no, non
t’adirare, mio adorato! Io non ti rimprovero più, come facevo, quando
non ti conoscevo ancora! Adesso m’accorgo, come tu stai al di sopra di
tutti. Ma com’è possibile che l’amore debba essere per te nient’altro
che un giuoco e la donna un trastullo?

LYKKE. Elina... ascoltami!

ELINA. Fin dai miei primi anni m’ho sentito risuonare nell’orecchio il
tuo nome, che io senza volerlo, odiai, perchè mi sembrava un insulto ed
una sfida a tutte le donne. E tuttavia... strano, se io, sognando sul
mio proprio avvenire facevo dei progetti, tu eri sempre il mio eroe,
senza volerlo. Adesso capisco tutto. Che cosa ho provato tuttavia! Era
un’ingenita, inesplicabile brama, che mi spingeva verso di te, che un
giorno dovevi venire per farmi conoscere tutte le gioie della vita.

LYKKE. (a parte, posando la lucerna sulla tavola) Che cosa succede in
me? Quale vertiginosa ed irresistibile potenza! Se è l’amore, non l’ho
mai provato così fin’oggi. Non dovrebbe essere anche tempo...? Ah,
ma l’orribile caso di Lucia!.... (si lascia andare sospirando sulla
sedia).

ELINA. Che hai? Un penoso sospiro...

LYKKE. O niente... niente! Elina, voglio adesso confessarmi a te
onestamente. Ho ingannato molte donne con parole e con sguardi, come
stanotte ti ho detto; ma credimi...

ELINA. Silenzio. Non più di ciò. Il mio amore non è che una piccola
ricompensa in confronto a quello che tu mi regali. O no, io ti amo,
perchè ogni tuo sguardo è un ordine da re, che m’impone. (s’inginocchia
innanzi a lui) Lascia che quest’ordine regale mi s’imprima ancora
una volta profondamente nell’anima, quantunque io sappia, che esso è
scolpito qui da tempo e per sempre. O buon Dio, com’ero cieca contro
di me! Anche stasera dicevo a mia madre: «Per poter vivere, debbo
conservarmi la mia fierezza.» Dov’è il mio orgoglio? Saper liberi i
miei compatrioti, ovvero la mia stirpe rispettata nel paese e pel
regno? O no, no! Il mio amore è il mio orgoglio. È fiero il cane,
quando può sedere ai piedi del suo padrone ed afferrare le briciole
di pane dalle mani di lui. Così io pure sono fiera, se posso sedere a’
tuoi piedi, mentre le tue parole ed i tuoi sguardi mi alimentano come
il pane della vita. Per questo, vedi, io dico a te, quel che prima
ho detto a mia madre: «Per poter vivere, io debbo conservarmi il mio
amore;» poichè in esso consiste il mio orgoglio ora e sempre.

LYKKE. (se la stringe al petto) No, non ai miei piedi; ma al mio
fianco è il tuo posto... per quanto in alto mi possa anche collocare
il destino. Sì, Elina, tu m’hai condotto su d’una via migliore; e se
mi sarà ancora un giorno concesso, di riparare con una gloriosa opera,
a tutto il male che ho fatto nella mia selvaggia gioventù, non dovrò
questo onore a me solo, ma anche a te.

ELINA. O, tu mi parli, come se io fossi ancora quell’Elina, che nelle
prime ore della sera ti ha gettato a’ piedi il mazzo di fiori. Ho
letto ne’ miei libri della vita dai bei colori in lontani paesi. Al
suono dei corni va il cavaliere per i verdi boschi col falco sul pugno.
Anche tu corri così attraverso la vita. Il tuo nome ti precede, dove
tu vai. Tutto ciò ch’io desidero del tuo splendore, è, di poter posare
sul tuo braccio come il falco. Anch’io sono stata come lui priva di
vita e di luce, finchè tu non m’hai strappata la benda dagli occhi e
m’hai lasciata salire in alto, per le verdeggianti foreste. Ma credimi,
se anche coraggiosa distendo le ali, ritornerò però sempre nella mia
gabbia.

LYKKE. (alzandosi) Così io sfiderò anche il passato! Guarda, prendi
questo anello e sii mia davanti a Dio ed agli uomini... mia... anche se
i morti dovessero per ciò avere sogni irrequieti!

ELINA. Tu mi affliggi. Perchè dici...

LYKKE. Non è nulla. Vieni adesso, lasciamiti porre l’anello al dito.
(eseguisce) Così... eccomi tuo sposo!

ELINA. Io, la sposa di Nils Lykke? Tutto ciò che è accaduto in questa
notte, mi pare un sogno! Oh! ma è un bel sogno! Mi è così lieve al
cuore. La mia anima non porta più nè odio, nè amarezza. Io voglio
riparare a tutti i miei torti. Io non sono mai stata affettuosa con mia
madre. Domani andrò da lei, essa mi dovrà perdonare il male che le ho
fatto.

LYKKE. E dare il consenso alla nostra unione.

ELINA. Questo essa lo farà. Oh, lo credo per certo. Mia madre è buona;
tutti gli uomini son buoni; io non odio più nessuno... soltanto uno...

LYKKE. Soltanto uno?

ELINA. Ah! è una triste istoria. Io avevo una sorella...

LYKKE. Lucia?

ELINA. La conoscevi?

LYKKE. No, no, la ho sentita nominare soltanto.

ELINA. Anch’essa, aveva dato il suo cuore ad un cavaliere. Egli
l’ingannò... ora essa è in cielo.

LYKKE. E tu...?

ELINA. Io l’odio colui.

LYKKE. Non l’odiare! Se pietà alberga nel tuo animo, perdonagli il
male, che ha fatto. Credimi, egli porta la punizione nel suo proprio
petto.

ELINA. Non gli perdonerò mai! Io non posso, anche se lo volessi; poichè
ho fatto tale giuramento... (orecchia) Ascolta! Non senti nulla?

LYKKE. Che cosa? Dove?

ELINA. Fuori... in lontananza. Molti cavalieri galoppano sulla strada
maestra.

LYKKE. Ah, son loro! Ed io ho potuto dimenticare... Essi vengono qui.
Vi dev’essere pericolo. Io devo andar via!

ELINA. Ma dove? O Nils Lykke, che mi nascondi?

LYKKE. Domani, Elina... poichè, nel nome di Dio, io ritornerò allora. E
di’ su, presto... dove è l’uscita segreta, di cui mi parlasti?

ELINA. Attraverso i sotterranei! Vedi, qui c’è la botola...

LYKKE. I sotterranei! (a sè) È tutt’uno; io lo devo salvare!

ELINA. (alla finestra a destra) I cavalieri saranno presto qui... (gli
dà la lanterna).

LYKKE. E sia! (incomincia a scendere).

ELINA. Vai avanti diritto pel corridojo fino alla bara con la testa di
morto e la croce nera; là riposa Lucia...

LYKKE. (risale frettoloso e chiude la botola) Lucia! mai, mai!

ELINA. Che dici tu!

LYKKE. O nulla. Il puzzo dei cadaveri m’ha dato le vertigini.

ELINA. Ascolta. Adesso bussano alla porta!

LYKKE. (lascia cadere la lucerna) Ah! troppo tardi!

BJÖRN. (viene precipitoso dalla destra con un lume).


SCENA III.

_Detti_, BJÖRN, _quindi due_ SERVI _e la_ SIGNORA JNGER.


ELINA. (va incontro a Björn) Che c’è Björn? Che è successo?

BJÖRN. Sorpresi! Il conte Sture...!

ELINA. Il conte Sture? Che gli è accaduto?

LYKKE. Ucciso?

BJÖRN. (ad Elina) Dov’è vostra madre?

DUE SERVI. (si precipitano avanti dalla destra) Signora Jnger, signora
Jnger!

JNGER. (viene con un lume a molti bracci in mano per la prima porta a
sinistra, e dice premurosa) So tutto. Verrò abbasso nella corte del
castello con voi! Tenete aperto il portone per i nostri amici, ma
chiuso per tutti gli altri. (Posa il lume sulla tavola a sinistra).

BJÖRN _ed i due_ SERVI. (vanno dalla destra).

JNGER. (a Lykke) Questo era dunque l’agguato, signor consigliere di
Stato!

LYKKE. Jnger Gyldenlöve, credetemi...!

JNGER. Un’imboscata, che lo doveva sorprendere, non appena avete
ricevuto la promessa, che mi può annientare!

LYKKE. (nel mentre leva lo scritto e lo fa in pezzi) Eccovi la vostra
promessa. Io non ho più nulla, che possa testimoniare contro di voi.

JNGER. Che fate?

LYKKE. Io vi difendo da tempo. Se io ho mancato verso di voi... ebbene,
per il cielo, tenterò anche di riparare a’ miei torti. Ma adesso
debbo partire, anche se dovessi farmi largo colla spada. Elina, di’
tutto a tua madre! E voi, signora Jnger, fate che i nostri torti siano
dimenticati! Siate generosa e muta! Credete a me, prima che incominci a
spuntare il giorno, me ne sarete grata. (via in fretta dalla destra).


SCENA IV.

LA SIGNORA JNGER _ed_ ELINA GYLDENLÖVE.


JNGER. (lo guarda dietro trionfante) Appunto così, io lo capisco!
(rivolgendosi verso Elina) Nils Lykke...? Ebbene...?

ELINA. Egli ha bussato alla porta della mia stanza, e m’ha posto
quest’anello al dito.

JNGER. E ti ama molto?

ELINA. Me lo ha detto ed io gli credo.

JNGER. Accortamente agito, Elina! Ah, ah, mio signor cavaliere, adesso
incomincio io!

ELINA. Madre mia... Voi siete strana. Oh, lo so pure che il mio fare
niente affettuoso vi ha sdegnata.

JNGER. No di certo, cara Elina! Tu sei una figlia ubbidiente. Tu gli
sei piaciuta, tu hai udite le sue dolci parole. Io comprendo che cosa
ti avrà dovuto costare, perchè io conosco il tuo odio...

ELINA. O madre mia!

JNGER. Silenzio! Noi siamo riusciti nel nostro disegno. Com’hai tu
incominciato mia saggia figliuola? Io ho visto splendere l’amore ne’
suoi occhi. Adesso tienlo sodo! Stringi la rete intorno a lui stretta,
stretta, ed allora... Ah, Elina mia, se gli potessimo strappare dal
petto quel cuore spergiuro!

ELINA. Guai a me... che dite?

JNGER. Non perderti d’animo. Ascoltami! Io so la parola, che ti deve
sostenere. Sappi dunque... (ascolta). Adesso combattono dinanzi la
porta. Su, su! Ecco giunto il momento... (rivolgendosi di nuovo ad
Elina) Sappi dunque che Nils Lykke è stato quello che ha condotto alla
tomba tua sorella.

ELINA. (con un grido) Lucia!

JNGER. Fu lui, per come è vero che vi è un Dio vendicatore sopra di noi!

ELINA. Allora che il cielo mi sia clemente!

JNGER. (atterrita) Elina...!?

ELINA. Io son sua davanti a Dio.

JNGER. Disgraziata fanciulla... che hai tu fatto?

ELINA. (con voce soffocata) Ho perduto la pace del mio cuore. Buona
notte, madre mia! (via dalla sinistra).


SCENA V.

LA SIGNORA JNGER _sola_.


JNGER. Ah, ah, ah! La va male con la famiglia di Jnger Gyldenlöve!
Essa era l’ultima mia figlia. Perchè non potevo tacere? Se non l’avessi
informata, forse sarebbe stata fortunata a suo modo. Doveva esser così.
Lassù negli astri sta scritto perpetuamente, che io debba staccare l’un
dopo l’altro i verdi rami finchè il ceppo rimanga sfogliato. Sarà per
questo, sarà per questo! Adesso riavrò mio figlio. Agli altri, a mia
figlia non voglio pensare più... Render conto? Ah questo succederà nel
gran giorno del giudizio. Ci vorrà tempo finchè giunga.


SCENA VI.

LA SIGNORA JNGER _e_ NILS STENSSON.


STENSSON. (chiamando fuori a destra) Ehi! chiudete la porta!

JNGER. La voce del conte Sture...!

STENSSON. (senz’armi e con gli abiti lacerati si precipita dentro,
chiamando con disperato riso) Dio sia lodato, Jnger Gyldenlöve!

JNGER. Ebbene, avete perduto?

STENSSON. Sì, tutto, il mio regno e la mia vita!

JNGER. Ed i contadini? I miei servi... dove li avete lasciati?

STENSSON. I cadaveri li troverete lungo la via maestra. Chi li ha presi
del resto, io non so dirvelo.

OLAF. (da dentro a destra) Conte Sture dove siete?

STENSSON. Qui, qui!

OLAF. (entra dalla destra colla mano diritta bendata).


SCENA VII.

_Detti e_ OLAF SKAKTAVL.


JNGER. Ah, Olaf Skaktavl, anche voi...!

OLAF. Era impossibile, farsi largo in mezzo alle schiere.

JNGER. Vedo, siete ferito?

OLAF. Ho un dito di meno e nient’altro.

STENSSON. Dove sono gli Svedesi?

OLAF. Ci sono alle calcagna. Essi danno l’assalto al portone.

STENSSON. O Dio! Ma no, no! Io non posso... io non voglio morire!

OLAF. Un nascondiglio, signora Jnger! Non vi è un buco, dove possiamo
nasconderlo?

JNGER. E se essi visitano il castello...?

STENSSON. Sì, sì, mi troveranno! E mi condurranno in prigione od al
patibolo...! O no, Jnger Gyldenlöve, io so certamente, che voi non lo
permetterete.

OLAF. (ascoltando) Adesso rompono la serratura.

JNGER. (alla finestra a destra) Molti uomini danno l’assalto alla corte.

STENSSON. E dover morire adesso! Adesso, quando stavo per incominciare
a vivere. Adesso quando ho appena saputo, ch’io ho uno scopo alla vita?
No, no, no! Non crediate ch’io sia un poltrone, Jnger Gyldenlöve! Se mi
fossero soltanto accordati ancora pochi giorni di vita, così che io....

JNGER. Io li sento già sotto nelle stanze dei servi, (decisa ad Olaf)
Egli dev’essere salvato... qualunque cosa questo ci possa costare.

STENSSON. (prendendole la mano) Oh, lo sapevo bene... voi siete nobile
e buona!

OLAF. Ma come? Se non lo potessimo nascondere...

STENSSON. Ah, ecco, ecco! Il segreto...!

JNGER. Il segreto?

STENSSON. Sicuramente; vostro e mio.

JNGER. Pel Dio del cielo... voi lo conoscete?

STENSSON. Dal principio alla fine. Ed adesso, che la vita è in
giuoco.... Dov’è il signor Nils Lykke?

JNGER. È fuggito.

STENSSON. Fuggito? Allora, che Iddio mi assista, poichè soltanto il
cavaliere mi poteva sciogliere dal giuramento... Tuttavia la vita è più
preziosa d’un giuramento. Quando il condottiero svedese verrà...

JNGER. Ebbene? Che vorreste fare allora?

STENSSON. Riscatterò la mia vita e la libertà... palesandogli tutto.

JNGER. No, no, siate pietoso.

STENSSON. Non vi è altro scampo. Quando gli avrò raccontato, quel che
so adesso...

JNGER. (guardandolo con repressa emozione) Credete che sareste salvo?

STENSSON. Sì, sì, Nils Lykke dirigerà il mio affare. Vedete, è l’unico
mezzo di salvezza.

JNGER. (contenendosi, con energia) L’unico mezzo? Avete ragione...
nei casi disperati si deve azzardare i mezzi estremi. (additando a
sinistra) Vedete, potete intanto nascondervi là dentro.

STENSSON. (intenerendosi) Non avrete mai, credetemelo, a pentirvi della
vostra buona azione.

JNGER. (per metà fra sè) Dio voglia, che diciate la verità!

STENSSON. (via presto dalla prima porta a sinistra).

OLAF. (vuol seguirlo).

JNGER. (lo trattiene).


SCENA VIII.

LA SIGNORA JNGER _e_ OLAF SKAKTAVL.


JNGER. Avete voi capito il suo pensiero?

OLAF. Il miserabile! Egli tradirà il vostro segreto. Egli vuole
sacrificare vostro figlio per salvare sè stesso.

JNGER. Quando è in giuoco la vita, egli disse, dev’esser tentato il
mezzo estremo. Ebbene! Olaf Skaktavl... succeda, com’egli ha detto!

OLAF. Che pensate voi?

JNGER. Vita per vita! Uno di loro deve perire.

OLAF. Ah... voi volete...?

JNGER. Se egli non sarà reso muto là dentro, prima che possa parlare al
capo degli Svedesi, mio figlio è perduto per me. Se egli al contrario
sarà messo da parte, col tempo pretenderò a tutti i diritti pel bene
e la tranquillità dell’unico figlio mio. Allora vedrete che vi è
pure un termine per Jnger Ottisdatter. Abbiate fiducia, non dovrete
più aspettare lungamente la vendetta, alla quale agognate già da 20
anni..... Udite? Adesso salgono le scale. Olaf Skaktavl, dipende da
voi, se domani sarò io priva del figlio, ovvero...

OLAF. Avvenga che può! Mi rimane ancora un pugno mutilato. (porgendole
la mano). Jnger Gyldenlöve, per causa mia il vostro nome non si
estinguerà. (via nella camera da Stensson).


SCENA IX.

LA SIGNORA JNGER _sola_.


JNGER. (pallida e tremante) Potevo io esitare...? (si sente rumore
nella stanza; affrettandosi con un grido verso la porta) No, no, non
può essere! (si ode un tonfo sordo di dentro; si tura gli orecchi con
le mani e si scosta in fretta dalla porta e con lo sguardo turbato va
su e giù per la sala; dopo breve pausa si leva le mani dalle orecchie,
torna ad ascoltare e dice) Ora è finito. Là dentro è ritornato tutto in
silenzio... Tu hai visto o mio Dio... io ho esitato! Ma Olaf Skaktavl
ha fatto troppo presto.

OLAF. (torna silenzioso nella sala).


SCENA X.

LA SIGNORA JNGER _ed_ OLAF SKAKTAVL.


JNGER. (dopo breve pausa, senza guardarlo) È fatto?

OLAF. Da parte sua potete essere tranquilla... egli non tradirà più
alcuno.

JNGER. È dunque morto?

OLAF. Con sei dita di lama nel petto. L’ho trafitto colla mano sinistra.

JNGER. Sì, sì... La mano destra sarebbe stata per lui troppo onore.

OLAF. Questo è affar vostro; il pensiero era vostro. Ed ora agli
Svedesi! La pace sia con voi intanto! Quando ci vedremo in Östrot la
prossima volta, non sarò più solo. (via dalla prima porta a destra).


SCENA XI.

LA SIGNORA JNGER, _quindi_ BJÖRN _con alcuni_ SOLDATI _svedesi dalla
prima porta a destra_.


JNGER. Nelle mie mani c’è sangue. A questo si doveva dunque venire! Mi
costa assai caro!

BJÖRN. (con alcuni soldati svedesi dalla destra).

UN SOLDATO. Perdonate, se siete la signora del castello...

JNGER. Cercate il conte Sture?

SOLDATO. Appunto.

JNGER. Allora siete sulla buona strada. Il conte ha cercato asilo
presso di me.

SOLDATO. Asilo? Perdonate, nobilissima donna, non avevate facoltà
d’accordarglielo, poichè...

JNGER. Ciò che voi dite, l’ha ben riconosciuto lo stesso conte prima di
voi, e perciò... perciò si è ucciso.

SOLDATO. Ucciso?

JNGER. Assicuratevene voi stesso. Là dentro troverete il cadavere.
E poichè egli adesso è di già dinanzi ad un altro giudice, io prego
che sia trasportato con tutti gli onori, che son dovuti alla sua
nobile nascita, al suo grado. Björn, tu sai, nella mia camera vi è la
mia propria bara, già da molti anni preparata. (al soldato) In essa
trasporterete in Svezia il corpo del conte Sture.

SOLDATO. Sarà fatto come desiderate. (ad uno degli altri compagni)
Presto, va a dare questa nuova al signor Jens Bielke. Egli aspetta con
gli altri cavalieri sulla strada maestra. Frattanto noi entreremo là
e...

_Uno dei_ SOLDATI. (va dalla destra).

_I rimanenti con_ BJÖRN. (entrano nella stanza a sinistra).


SCENA XII.

LA SIGNORA JNGER _sola_.


JNGER. (va su e giù un pezzo silenziosa e turbata) Se il conte Sture
non avesse detto addio al mondo in sì gran fretta, lo si sarebbe nel
corso del mese mandato al patibolo, o pel tempo della sua vita gettato
in prigione. Sarebbe stato questo uno scioglimento migliore? Ovvero
egli si sarebbe liberato, consegnando mio figlio in potere de’ miei
nemici. Son’io dunque, che l’ho ucciso? La lupa stessa non difende
i suoi piccini? Chi mi potrà condannare, se io ho lacerato colle mie
unghie quella stessa carne, che mi voleva rubare la mia propria carne
ed il mio sangue? Doveva esser così. Ogni madre avrebbe fatto come
me. Adesso però non vi è tempo da perdere in oziosi pensieri. Bisogna
agire. (siede nella sedia a sinistra) Voglio scrivere a tutti gli amici
dell’intera Norvegia. Ecco il momento d’insorgere tutti e appoggiare il
grande affare. Un nuovo re... da principio vicario dell’Impero e quindi
re! (incomincia a scrivere, s’arresta riflessiva e dice sottovoce)
Chi eleggeranno al posto del morto?... Madre di re...? Questa è una
parola orgogliosa. Vi è soltanto un _ma_... l’odiosa vicinanza con
un’altra parola. Madre di re, e... regicida. Regicida, così si chiama
chi toglie la vita ad un re. Madre di re... è chi dà la vita ad un
re... (si alza) Ebbene, io voglio offrire il compenso per quello ch’io
ho preso. Mio figlio dev’esser re! (si mette di nuovo al lavoro, posa
tuttavia di nuovo la penna e s’appoggia alla sedia) Si ha sempre paura
quando vi è un cadavere in casa. È anche per questo. (gira la testa
da un lato, come se parlasse a qualcuno) No? Da dove dovrebbe venire?
(sottilizzando) Vi è poi una sì grande differenza tra l’uccidere il
proprio nemico o l’assassinarlo? Knut Alfson aveva spaccato più di
una fronte colla sua spada e tuttavia la sua era pura come quella d’un
bambino. Perchè allora vedo io sempre questo... (fa un movimento come
se colpisse col coltello) questo colpo nel cuore... e poi la rossa
fiumana di sangue? (suona e prosegue a parlare, nel mentre cerca in
mezzo alle carte) Da ora in avanti non voglio più saperne di sì brutte
visioni. Voglio occuparmi giorno e notte e dopo la fine del mese...
dopo la fine del mese mio figlio sarà qui con me...

BJÖRN. (entra dalla sinistra).


SCENA XIII.

_Detta e_ BJÖRN.


BJÖRN. Avete suonato, nobile donna?

JNGER. (scrivendo) Porta dei lumi. D’ora in avanti voglio avere molta
luce.

BJÖRN. (via di nuovo dalla sinistra).

JNGER. (dopo una pausa si alza con veemenza) No, no, no, questa notte
non posso tenere la penna! La mia testa brucia e lavora... (ascolta
spaventata) Che è questo? Ah, là dentro inchiodano il coperchio sulla
bara... Quand’io ero ancora fanciulla, mi raccontavano le favole del
cavaliere Age, che andava colla bara sulle spalle. Se quegli di là
dentro avesse il capriccio una notte, con la bara sulle spalle, di
venirmi a ringraziare per quello che gli ho fatto! (ride sottovoce)
Hem! Alla nostra età non abbiamo nulla da fare colle credenze dei
bambini. (impetuosa) Ma tali favole non ostante non servono a nulla!
Esse fan fare sogni irrequieti. Quando mio figlio sarà re, debbono
essere proibite. (va un paio di volte su e giù, quindi apre la
finestra) Che tempo ci vorrà ordinariamente, perchè incominci la
putrefazione? Si deve dar aria a tutte le camere! Altrimenti non è sano
il vivere qui.

BJÖRN. (entra dalla sinistra con due candelabri, che posa sulla tavola).


SCENA XIV.

LA SIGNORA JNGER _e_ BJÖRN.


JNGER. (che ha ripreso le carte in mano) Così va bene. Non dimenticare
ciò che io t’ho detto. Molte candele sulla tavola. Che fanno adesso di
là?

BJÖRN. Inchiodano ancora più saldamente il coperchio della cassa.

JNGER. (scrivendo) Lo inchiodano però ben forte?

BJÖRN. Quanto basta.

JNGER. Sì, sì... tu non sai, quanto sia questo necessario. Guarda che
la bara sia chiusa diligentemente. (va da lui con le mani piene di
fogli e gli dice con grande mistero) Björn, tu sei un vecchio, ma io ti
do il primo posto nel mio cuore. Sii sempre vigile davanti a tutti...
davanti a quelli che son morti ed agli altri che devono morire. Ora va
dentro... va dentro e cura che inchiodino il coperchio della bara ben
saldamente.

BJÖRN. (sottovoce, scuotendo la testa) Che ha essa mai, mio Dio! (via
dalla sinistra).


SCENA XV.

LA SIGNORA JNGER _sola_.


JNGER. (comincia a suggellare una lettera, la getta via mezza finita,
va un po’ su e giù, quindi con violenza) Se io fossi stata paurosa, non
avrei fatto questo. Mai e poi mai! S’io fossi stata paurosa, mi avrei
gridato: Cessa; mentre rimane ancora alla tua anima una speranza di
felicità! (il suo sguardo cade sul ritratto di Steno Sture, lo storna e
dice sottovoce) Quale sogghigno mi fa! Ah, via (volta contro la parete
il ritratto senza guardarlo) Perchè hai sogghignato? Forse perchè ho
agito male con tuo figlio? Ma l’altro... non è anche tuo figlio? Ed è
mio nello stesso tempo; poni bene mente a questo! (guarda sott’occhio
verso la rimanente fila di quadri) Così feroci come questa notte, non
mi era capitato ancora di vederli. Mi seguono con lo sguardo, là dove
io vada e stia. (pesta i piedi) Non ne voglio saper nulla! Io voglio
aver pace in casa mia. (incomincia a voltare contro la parete tutti i
ritratti) E se fosse anche la Santa Vergine stessa... Pensi tu, che sia
ora tempo...? Perchè non hai esaudita mai la mia preghiera, quand’io
ti pregavo sinceramente, di farmi restituire il mio bambino? Perchè?
Perchè il monaco di Vittenberg ha ragione: Nessun vi è tra Iddio e gli
uomini! (respira penosamente, proseguendo sempre con crescente ferocia)
Ed è bene ch’io sia pratica di queste cose. Nessuno ha visto, ciò che è
successo là dentro, nessuno può testimoniare contro di me. (d’un tratto
apre le braccia sussurrando) Figlio mio, mio amato bambino! Vieni
da me. Io son qua! Ascolta! Ti voglio dire qualcosa. Io sono odiata
lassù... di là degli astri... perchè ti ho partorito! Ero predestinata
per ristabilire nel Regno la fede di Dio Signore. Ma io ho seguito il
mio proprio cammino. Per questo ho sofferto molto e lungamente.

BJÖRN. (viene dalla stanza a sinistra).


SCENA XVI.

LA SIGNORA JNGER _e_ BJÖRN.


BJÖRN. Nobile signora, devo avvertirvi... ma Dio mio Redentore! Che
vedo mai?

JNGER. (che siede sull’alta sedia, che sta a destra al muro) Silenzio,
silenzio! Io sono la madre del re. Hanno eletto re mio figlio. La lotta
è stata difficile, ma abbiamo vinto... non ostante io abbia dovuto
combattere con Dio!

LYKKE. (anelante dalla destra).


SCENA XVII.

_Detti_, NILS LYKKE _e_ SOLDATI.


LYKKE. Egli è salvo. Io ho l’assentimento di Jens Bielke! Signora
Jnger, sappiate...

JNGER. Silenzio, dico. Udite il tumulto? (dalla camera a sinistra
s’intona un salmo dei morti) Adesso s’avanza il corteggio
dell’incoronamento. Quanta gente! Tutti s’inchinano davanti alla madre
del re. Sì, sì, essa ha pur lottato pel suo figliuolo, così a lungo,
che le sue mani son diventate rosse di sangue. Dove sono le mie figlie?
Non le vedo.

LYKKE. In nome di Dio, che cosa è qui accaduto?

JNGER. Mie figlie, mie adorate figlie! Io non le ho più, me ne era
rimasta una e l’ho perduta, quando volle andare al talamo. Il cadavere
di Lucia riposa colà. Non v’era posto per due.

LYKKE. Ah! siamo dunque a questo punto! La vendetta del signore mi ha
colpito!

JNGER. Lo vedete? Vedete, vedete! Ecco il re. Esso è il figlio di Jnger
Gyldenlöve! Lo riconosco alla corona, all’anello di Steno Sture ch’egli
porta al collo. Ei s’avvicina. Presto lo stringeranno le mie braccia.
Ah, ah!... Chi trionfa Dio ovvero io?

I SOLDATI. (s’avanzano colla bara).


SCENA XVIII.

_Detti_, SOLDATI, JENS BIELKE.


JNGER. (si tocca la testa e grida) Il cadavere! (mormorando) Oibò!
Questo è un brutto sogno. (si lascia cadere all’indietro sulla sedia
alta).

BIELKE. (entra dalla destra, si ferma e sorpreso grida) Morto dunque!...

UN SOLDATO. Si è ucciso.

BIELKE. (con uno sguardo su Lykke) Egli stesso?

LYKKE. Silenzio!

JNGER. (languidamente, ricordandosi) Sì, certo, adesso mi ricordo di
tutto.

BIELKE. (ai soldati) Mettete giù il cadavere. Questi non è il conte
Sture.

UN SOLDATO. Perdonate signor cavaliere... tuttavia questo anello, che
egli traeva al dito...

LYKKE. (gli stringe il braccio) Taci, taci!

JNGER. (va in su) L’anello? L’anello! (s’affretta là e lo tira a sè)
L’anello di Steno Sture! (con un grido) O Gesù Cristo! Mio figlio! (si
getta sulla bara).

I SOLDATI. Suo figlio?

BIELKE. (contemporaneamente) Il figlio di Jnger Gyldenlöve?

LYKKE. Appunto.

BIELKE. Ma perchè non me lo avete detto?...

BJÖRN. (cercando di alzarla) Aiuto aiuto! Padrona che avete?

JNGER. (con voce spenta, alzandosi a metà) Che ho? Muoio. Ancora
un’altra bara! Una fossa accanto al mio bambino! (cade di nuovo senza
forze sulla bara).

LYKKE. (via dalla destra in fretta) (generale commozione nei restanti).


  FINE DEL QUINTO ED ULTIMO ATTO.





Nota del Trascrittore

Ortografia e punteggiatura originali sono state mantenute, correggendo
senza annotazione minimi errori tipografici.





*** END OF THE PROJECT GUTENBERG EBOOK LA SIGNORA INGER DI ÖSTROT ***


    

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