I Barbarò: Le lagrime del prossimo. vol. 2

By Gerolamo Rovetta

The Project Gutenberg EBook of I Barbarò vol. II, by Gerolamo Rovetta

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Title: I Barbarò vol. II
       Le lagrime del prossimo

Author: Gerolamo Rovetta

Release Date: September 1, 2014 [EBook #46749]
[Last updated: February 11, 2015]

Language: Italian


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                               I BARBARÒ.

                                  II.




                         DEL MEDESIMO AUTORE:


ROMANZI E RACCONTI.

  _Mater Dolorosa_ (quinta edizione).--Milano, Treves.
  _Sott'acqua_ (terza edizione).--Milano, Treves.
  _Tiranni Minimi_.--Milano, Treves.
  _Montegù_ (seconda edizione).--Milano, Galli.
  _Ninnoli_ (terza edizione).


TEATRO.

  _Gli uomini pratici_, comm. in 3 atti.--Milano, Treves.
  _Collera cieca_, commedia in 2 atti.--Milano, Treves.
  _Scellerata!_, commedia in un atto.--Milano, Treves.
  _Un volo dal nido_, commedia in 4 atti.--Verona, Munster.
  _La moglie di Don Giovanni_, dramma in 4 atti.--Verona, Munster.
  _In sogno_, commedia in 4 atti.--Verona, Munster.
  _La Contessa Maria_, dramma in 4 atti.--Milano, Barbini.




                           GEROLAMO ROVETTA




                               I BARBARÒ

                                   o

                        Le lagrime del prossimo




                                ROMANZO

                              VOLUME II.

                            TERZA EDIZIONE


[Illustration: LOGO]


                                MILANO
                       FRATELLI TREVES, EDITORI
                                 1890




                         PROPRIETÀ LETTERARIA.


                     _Tutti i diritti riservati._




                     Milano, Tip. Fratelli Treves.




                                INDICE


      PARTE TERZA

   CAP.                PAG.

     I.                   3

    II.                  19

   III.                  45

    IV.                  62

     V.                  82

    VI.                 104

   VII.                 138


      PARTE QUARTA

     I.                 155

    II.                 162

   III.                 176

    IV.                 184

     V.                 208

    VI.                 214

   VII.                 231

  VIII.                 240

    IX.                 256

     X.                 270

    XI.                 281

   XII.                 294

  XIII.                 306

   XIV.                 318

    XV.                 331

   XVI.                 343




                              PARTE TERZA


                              GLI ONORI.




I.


Francesco Alamanni conservava ancora nella sua maschia natura di
cospiratore e di soldato le idealità e i poetici entusiasmi dei
vecchi romantici del _quarantotto_. Buono come chi è veramente forte,
indulgente come chi è profondamente onesto, era ottimista fino a
parere ingenuo. Per le molteplici vicende della sua vita avventurosa,
trascorsa fra le cospirazioni, il carcere, l'esilio e le battaglie, non
avea avuto tempo nè agio per imparare a conoscer uomini, specialmente
gli uomini moderni, e per acquistare la pratica, la vera pratica, delle
cose. A sessant'anni, colla bella persona alta e asciutta, col viso
in cui spirava la serenità dolce dei forti, e la lunga barba, d'un
biondo reso chiarissimo dalla canizie, pareva l'uomo di un'altra epoca;
la figura di un eroe magnanimo, che si fosse staccata da un quadro
storico dei tempi epici, e che dovesse trovarsi a disagio in mezzo al
formicolìo basso e minuto della vita usuale. Quantunque parecchie volte
fosse rimasto ingannato dai furbi e dai bricconi, pure l'ipocrisia
e la malizia altrui non avevano giovato alla sua esperienza. Egli
rimaneva sempre lo stesso; i dolori gli potevano spezzare forse, ma non
mutare il cuore. E così era pure del suo carattere, tutto di un pezzo
e di grana nitida e lucente, come una statua di marmo pario; così de'
suoi sentimenti, così delle sue opinioni. Nulla poteva piegarsi, nè
corrompersi in lui; e però se Francesco Alamanni era verso gli altri
assai mite e indulgente, era severissimo con sè stesso; e se, come
imponeva il dovere di vecchio cospiratore, sapea mostrarsi insensibile
alle seduzioni della vita, e dominare e vincere i propri affetti e le
proprie passioni, tuttavia, come un soldato, sentiva eccessivamente il
punto d'onore.

Mentre si trovava ancora ferito, e gravemente, nello spedale
d'Innsbruck, aveva già scritto a qualche suo amico di Milano (gente
dell'altro mondo come lui) per avere informazioni intorno al signor
Pompeo Barbarò. Queste gli erano state mandate assai contradittorie; ma
tali, in ogni modo, da inquietarlo seriamente.

--E Donna Lucrezia,--pensava l'Alamanni fra sè, crollando il capo, dopo
aver ricevute quelle notizie,--Donna Lucrezia che mi vantava tanto
l'operosità e i talenti del signor Pompeo, e la bontà, il coraggio e
il disinteresse del figliuolo?!... Bei talenti davvero!... È proprio
senza testa, Donna Lucrezia, proprio senza testa!...--E le scrisse
subito una lettera di fuoco, imponendole di allontanare i due giovani
quanto più le fosse possibile, e di rimandare ogni risoluzione relativa
al matrimonio della nipote, sino al giorno in cui egli avesse potuto
recarsi a Milano.

Ma la ferita era assai grave, e fu lunghissima la cura e la
convalescenza; l'Alamanni dovette aspettare parecchio tempo prima di
potersi mettere in viaggio, e la Balladoro lasciava intanto che i due
giovani continuassero a vedersi, brontolando che lo zio Francesco non
aveva alcun diritto di mettersi a fare il _sior Todero_; che non si
era mai dato alcun pensiero della Mary; e che bisognava esser matti,
proprio matti da legare, a voler porre ostacoli a un'unione che era
addirittura un.... un vero idillio, per l'amore sconfinato dei _do
tosi_.... e per tutto il resto.

Ma se era lecito brontolare, quanto a concludere il matrimonio, non
c'era verso; bisognava attendere l'arrivo dell'Alamanni. Questi capitò
a Milano che non era ancora interamente rimesso in salute, e sulle
prime cominciò a dubitare che le informazioni avute intorno a Pompeo
Barbarò non fossero veritiere. In fatti i conoscenti, anche i più
lontani, lo fermavano per istrada, congratulandosi e compiacendosi
con lui per le voci che correvano intorno allo splendido partito
che si offriva alla sua bella nipotina. Ma poi, appena ne parlò di
proposito con qualche persona fidata, e venne in chiaro del famoso
processo dei fornitori, non volle saperne di più; andò sulle furie
contro Donna Lucrezia, la rimproverò, la strapazzò per aver messo in
pericolo il buon nome della Mary e di tutta la famiglia, e le intimò
di dichiarare al figlio di quel certo signor Barbetta di smettere
ogni idea, ogni speranza, che avesse potuto concepire sul conto della
signorina Alamanni. Alla Mary non parlò meno risolutamente: "Finchè
sei minorenne" le disse "mi opporrò sempre a una simile unione; dopo
potrai anche accettarla.... qualora ti senti l'animo di far morire
tuo zio di dolore e di vergogna." Poi, infine, colla scusa che la sua
salute aveva bisogno di rinfrancarsi in un clima più dolce, deliberò di
recarsi a Nizza per i mesi d'autunno e d'inverno, e volle che la Mary
lo accompagnasse.

--Mia nipote--pensava il brav'uomo--ha un paio d'anni da aspettare,
prima di essere maggiorenne. E in un paio d'anni si può guarire anche
di una ferita d'amore!

Ma lo zio Francesco in vita sua non aveva avuto altro amore che
l'Italia, e però non era molto pratico di certe cose, e dovette
avvedersene subito, nelle prime settimane che si trovava a Nizza,
perchè mentre lui si rimetteva in salute, la nipote dimagrava e
intristiva ogni giorno.

E appunto per lo stesso motivo, cioè per la sua ignoranza delle donne e
dei misteri e dei bisogni del loro cuore egli, in quell'occasione, non
aveva neppur saputo prendere la Mary per il suo verso; e quantunque le
volesse molto bene, aveva finito col parere, e fors'anche coll'essere,
un po' troppo severo, un po' troppo crudo, nella sua inflessibilità.

Da quel giorno in cui aveva dichiarato alla Mary di opporsi al suo
matrimonio, l'Alamanni, sperando che la fanciulla in tal modo riuscisse
più presto a dimenticare, non le aveva più detto una parola che potesse
riferirsi al suo gran dolore, alle sue speranze distrutte.... Più
nulla; come se Giulio Barbarò fosse morto o, peggio, come se non fosse
mai esistito.--Non lo doveva più sposare; perchè ricordarlo, perchè
parlarne ancora?...--Da quel suo silenzio medesimo, così fiero, così
assoluto, essa doveva convincersi sempre più che ogni tentativo di
nuovi accordi sarebbe stato respinto.

Ma Francesco Alamanni non sapeva intanto che, se lui ragionava colla
testa, sua nipote, invece, ragionava col cuore, e per ciò essa doveva
condursi a risoluzioni meno salde e a conclusioni assai diverse.

La Mary, prima ancora dell'arrivo a Milano dello zio Francesco, e
precisamente all'epoca del _Processo dei fornitori_, aveva cominciato a
non sentirsi più tanto sicura sul conto del vecchio Barbarò. L'ambiente
del salotto, non più giallo, ma cremisi, colla tappezzeria nuova,
rimaneva fedele e molto favorevole al signor Pompeo; ma la fanciulla
era inquieta, impensierita, e spesso, dopo aver fatto animo al buon
Giulietto, che si sfogava con lei lagnandosi delle calunnie infami
che la malignità e l'invidia della gente mettevano in giro contro suo
padre, si ritirava in un cantuccio, dove non potesse esser vista, e
si scioglieva in lacrime, tutta sconsolata. Ma poi, dopo aver pianto
lungamente, il suo cuore medesimo finiva ancora per rassicurarla:
_il figliuolo non doveva portare la pena delle colpe del padre_. E
questa massima umana e democratica essa aveva tentato pure, nel primo
colloquio avuto collo zio, di farla accettare anche a lui; ma lo zio,
pur troppo, non ne era rimasto persuaso.

--Sta bene,--aveva risposto alla ragazza,--sta benissimo, come tu dici,
ma in regola generale. Nel caso presente il figliuolo fa il signore e
si diverte coi danari rubati dal babbo, e se questo matrimonio dovesse
mai succedere, tu, un'Alamanni, una mia nipote, andresti in casa
Barbarò a.... a fare altrettanto!

La Mary, in sul primo, n'era rimasta scossa e atterrita; ma poi,
ritornando a ragionare a modo suo, sempre col cuore, andava pensando
che "il figliuolo" avrebbe potuto rinunciare ai danari del babbo,
procurarsi un impiego, vivere del proprio lavoro, e allora.... allora
anche lo zio Francesco non avrebbe avuto più niente da dire!

Ma c'era anche un altro ostacolo, e questo creato dalla Mary stessa, e
che si opponeva alla sollecita effettuazione del suo disegno. Essa non
avea voluto che fosse palesata a Giulio tutt'a un tratto, brutalmente,
la vera cagione per cui lo zio Francesco era contrario al loro
matrimonio.

--Chi sa--pensava spaventata--chi sa come il poveretto resterebbe
colpito da una simile scoperta!--E per ciò volle facessero credere
a Giulio Barbarò che lo zio rifiutava il suo consenso per antipatia
personale, per divergenza d'opinioni politiche, perchè gli era parso
che Giulio Barbarò fosse ancora troppo ragazzo, perchè voleva aspettare
a maritar la nipote che fosse maggiorenne; in somma per una specie
di capriccio: tutte scuse che non persuadevano Giulio, e che invece
impedivano alla Mary di parlar chiaro.

Ma la verità non doveva tardar molto, in ogni modo, a venire a galla,
e la fanciulla medesima lo sperava pur consigliando, per il momento,
di nasconderla al povero giovane. Desiderava solo che il Giulio,
indovinandola a poco a poco, avesse più forza di sopportarla, e di
prendere quell'unico partito che rimaneva loro per essere ancora uniti
e felici.... sì, felici. La buona Mary si sentiva capace di guarire, di
lenire almeno, col suo grande amore, la ferita di Giulio, per quanto
profonda e dolorosa!

E con questa speranza da cui solo traeva coraggio per reggere al
doloroso distacco scrisse, di nascosto dello zio, una lunga lettera al
suo innamorato, prima di partire da Milano; in essa gli diceva aperto
"di sperar molto nell'avvenire," e lo assicurava che "se mai non avesse
potuto essere sua moglie, non avrebbe sposato nessun altro e che,
piuttosto, si sarebbe fatta monaca."

Ma nonostante questi conforti Giulio Barbarò rimaneva accasciato,
come istupidito, sotto quel colpo terribile: non aveva la forza di
reagire, di lottare, di difendersi; soffriva un gran dolore e un
grande avvilimento; si sentiva il cuore rotto, spezzato, e non osava
lamentarsi; aveva vergogna e insieme paura delle sue stesse lacrime.

I pietosi inganni della fanciulla non gli avevano giovato: la verità
gli era subito apparsa, dinanzi agli occhi, inesorabile, spietata,
rendendo vana ogni consolazione, distruggendo ogni speranza.

Donna Lucrezia aveva un bel protestare contro "_quel mato_ che metteva
la politica prima del _cuor_;" aveva un bel gridare il signor Pompeo
che l'Alamanni, "ad onta della sua _rep.... pubblica_ cercava pretesti
e scuse per non imparentarsi col figlio del suo.... di chi, insomma,
non discendeva dalla costola di Adamo." Giulio pallido, stralunato,
li lasciava dire, ma pensava sempre alla risposta dello zio che la
fanciulla gli aveva riferito a Desenzano: "_egli non faceva caso nè
della nascita nè delle ricchezze; voleva soltanto che il nome fosse
di gente onorata._" Dio, Dio! C'era dunque qualche cosa di vero nelle
infamie ch'erano state messe in giro?... E l'infelice si chiudeva in
casa, non voleva più veder nessuno; non osava interrogare suo padre, nè
pretendere una risposta esplicita, nè chieder ragione all'Alamanni....
pensava di partire, di fuggire lontano, ma finiva sempre col non
risolvere nulla e collo struggersi sempre più, chiamando la Mary fra le
lacrime, disperandosi, invocando la morte.

In quanto poi al signor Pompeo, sebbene avesse indovinato il segreto
travaglio del figliuolo, non era molto preoccupato. Gli consigliò, per
distrarsi, di fare un viaggio di piacere, di andar a vedere Parigi e
Londra. Il signor Pompeo sperava nel tempo; era intimamente persuaso
che quel matrimonio, presto o tardi, si sarebbe combinato ugualmente;
ma se poi, non per colpa sua, doveva proprio andare a monte, egli,
tranquillo nella propria coscienza, e sicuro di aver fatto anche più
di quanto avea promesso alla povera Betta, non se ne sarebbe troppo
addolorato.

Adesso Pompeo Barbarò era in auge: dopo il prestito delle ottocento
cinquanta mila lire offerto spontaneamente alla Banca degl'Interessi
Lombardi Provinciali, il Prefetto lo aveva proposto cavaliere e il
Consiglio di Amministrazione, con a capo il marchese di Rho, gli aveva
offerto un pranzo d'onore al _Ristorante della Borsa_. Suo figlio,
dunque, non aveva più bisogno, per mettersi a posto in società,
d'imparentarsi cogli Alamanni e di sposare una ragazza che non aveva un
soldo di dote! Il posto gliel'aveva procurato lui... col sudore della
fronte!

Chi un giorno doveva pentirsi di quello sproposito era il Signor _rep
...pubblicano_: Francesco Alamanni!... Bel matto, davvero!... Ma lì
sotto, in tutto il pasticcio delle informazioni e del rifiuto, vi
doveva entrare anche lo zampino della marchesa Angelica.

--Ah Marchesa, Marchesa!... Bisogna stare in guardia!... Presso la
Banca degl'Interessi Lombardi Provinciali vi sono alcune cambialette
colla firma vostra e del marito, e per quella via forse, chi sa, potrò
avervi ancora fra le mani.... e vendicarmi!

--E... e Giulio?... Giulio che diventa ogni giorno più magro e
sparuto?... Deve mettersi a viaggiare per distrarsi; non c'è altro
rimedio!... Deve andare a veder Parigi e Londra!

Ma invece il povero ragazzo, ostinato a rodersi l'anima da solo e in
silenzio, non volle muoversi da Milano e finì coll'ammalarsi. Poi,
quando cominciò a lasciare il letto, non potè più resistere e scrisse
un'ultima lettera alla Mary, facendole intendere, senza dirle nulla
apertamente, tutte le pene e le angosce del proprio cuore; soggiungendo
che era stanco della vita oziosa e disoccupata, e che avea pensato di
procurarsi un impiego... che voleva avere uno stato indipendente... che
voleva vivere del proprio lavoro.

Era insomma la risoluzione desiderata, sperata, sognata dalla
fanciulla. Essa baciò e ribaciò la lettera cara: si sentì orgogliosa
del suo Giulio, e lo amò in quel punto come tanto non lo aveva amato
mai. No, no! Non si era ingannata nel giudicarlo; sapeva bene che il
suo Giulio era buono, onesto, fiero; che avrebbe tutto sacrificato per
lei; che non avrebbe esitato un momento dinanzi all'idea del dovere e
dell'onore. Chi si era ingannato invece era stato lo zio Francesco; sì,
sì, lo zio Francesco era stato ingiusto... era stato... sì, era stato
cattivo, col suo Giulio; povero Giulio caro!... E così la lettera del
giovanotto ebbe subito in risposta un'altra letterina della Mary che
riuscì, se non a consolarlo, a calmarlo un poco, che gli ridonò un filo
di speranza, che lo fece correre a Nizza, perchè anche la fanciulla gli
scriveva di essere ammalata e che "lo voleva almeno vedere!..."

Lo zio Alamanni, come per lo più succede in simili casi, non ne avea
saputo niente di questi nuovi disegni; soltanto cominciò in breve a
tranquillarsi a proposito della Mary, vedendo che riprendeva a poco a
poco i bei colori e che tornava a mostrarsi espansiva, colla sua solita
allegrezza, piena di brio e di vivacità.

--Abbiamo vinto!... Abbiamo vinto!...--mormorava il buon vecchio fra
se, pienamente soddisfatto.--Lo dicevo io che il tempo doveva risanare
anche le ferite del cuore!

E tanto più l'Alamanni si compiaceva di questo ottimo esito avendo
ricevuto da Milano, appunto in que' giorni, nuove rivelazioni
importantissime e non meno edificanti delle altre sul conto "di quella
buona lana del cavalier Barbetta!"

--Donna Lucrezia deve proprio aver perduta la testa--mormorava fra
sè--per consigliare un simile matrimonio. È troppo di buona fede e
troppo facile agli entusiasmi, quella benedetta donna!... si lascia
commuovere dalle romanticherie sentimentali e intanto fa continui
spropositi per eccesso di buon cuore!... Ma per fortuna sono capitato
ancora in tempo.

E contentissimo della risoluzione presa, e soddisfatto assai per il
contegno della Mary, una sera, appena ritornato a casa, dopo aver
fatto con essa una piacevole passeggiata lungo la spiaggia, mentre la
ragazza stava preparando il thè entrò, per la prima volta dopo tanto
tempo, a parlare ancora di quel matrimonio, quasi coll'aria di voler
ricambiare la sua docile arrendevolezza con altrettanta confidenza.

--Sai, Mary cara, devi proprio ringraziarmi di aver fatto la parte del
tiranno, e puoi chiamarti ben fortunata di avermi dato retta.

--Perchè, zio?--domandò la ragazza cogli occhi scintillanti, in cui
pareva ci fosse ancora un riflesso della deliziosa passeggiata fatta in
riva al mare e al chiaror delle stelle.--Perchè, zio?--e gli offrì la
tazza fumante del thè.

--Perchè quel cavalier Barbetta-Barbarò è più canaglia ancora di quanto
si credeva. È proprio vero che teneva per suo conto un'Agenzia di
prestiti in cui strozzava la gente!... Ma tutto ciò è ancora poco...
è un niente in confronto del resto che ho saputo.... Sai come ha
incominciato a mettere insieme i primi soldi?... Col far la spia!

--La spia?!--esclamò la fanciulla senza poter reprimere, in sul primo,
un moto di ribrezzo e quasi di terrore. Ma poi si calmò prontamente,
mormorando:--Non è possibile, zio mio, non è possibile!... Sono
esagerazioni, non bisogna credere a tutte le ciarle.

In quel punto, dalla strada, e proprio sotto alle loro finestre, si udì
lo strisciare del ferro di un bastone contro il marciapiede. La Mary
arrossì leggermente, i suoi occhi scintillarono di nuovo, e cominciò a
mostrarsi un po' nervosa e distratta.

--Eppure--continuò lo zio Francesco--quanto ti dico è la pura verità.
Il signor cavaliere ha cominciato la propria carriera facendo la spia
all'Austria. Per il momento ci mancano i particolari del fatto; ma
c'è chi li sta raccogliendo e gli avremo in breve, e allora... allora
faremo la festa a questo imbroglione che ci ha mandato a combattere
in Tirolo con fucilacci rugginosi, da comparse! È ora di finirla;
e di questo signor cavaliere, appena avrò in mano le prove, me ne
incaricherò io stesso!

--Ah no, zio, te ne supplico!

--No?... Perchè no?--esclamò l'Alamanni fermandosi a mezzo dal sorbire
il thè, colla tazza alzata in una mano, il piattino nell'altra, e
fissando attentamente la ragazza.--Perchè no?

Ci fu un momento di silenzio; la Mary pareva confusa, impacciata.... Lo
zio crollò il capo, vuotò la tazza d'un fiato, e la posò con un atto di
stizza sul vassoio.

--Per Dio, non ci vogliono debolezze verso le canaglie; e ripeto e
sostengo che me ne incaricherò io, io stesso, del signor cavaliere!

--No, no, zio mio, sii buono!... Te ne prego, sii buono!... Intanto
vedrai... non sarà vero che abbia fatto la spia....

--È verissimo: lo abbiamo saputo da buona fonte!

--In tal caso... gli devi perdonare.--E la fanciulla lo guardava
supplichevole, cogli occhi atterriti. Adesso non era più nervosa, nè
distratta, quantunque lo stridore del bastone strisciante sul lastrico
della strada, che si era un poco allontanato, ritornasse un'altra volta
ad avvicinarsi, e a ripassare sotto le finestre.

--Perdonare?... Gli devo perdonare?!--domandò l'Alamanni maravigliato e
crucciato insieme....--Perdonare?... A una spia?!

La casetta era posta in riva al mare, e il buon vecchio udiva solo
il rumore monotono delle onde che si rompevano contro la scogliera.
All'altro rumore, a quello del ferro del bastone, non ci aveva badato.

--A noi, in fine,--riprese la fanciulla balbettando nel cercare una
scusa attendibile, e senza pensar bene a quanto stava per dire,--a noi,
in fine, non ha fatto niente di male!

--Niente di male... a noi?... E sei tu, la Mary, che parli in tal
modo?... Ma dove hai la testa, per ragionar così?... A che cosa pensi
in questo momento? Appunto, s'egli avesse fatto del male soltanto a
noi, direttamente, allora gli si potrebbe perdonare: ma invece no.
È un dovere, un sacro, un imperioso dovere lo smascherare i falsi
amici, i mercanti della patria. Noi abbiamo l'obbligo di bollare col
ferro infocato questi vermiciattoli che fanno piaga e le infettano
il sangue. Le canaglie come il Barbarò sono più dannose e pericolose
degli stessi Tedeschi! Questi infine erano nemici aperti, dichiarati;
volevano opprimere la patria, opponevano la forza della tirannide alle
ribellioni della libertà; ma combattevano alla luce del sole, soldati
contro soldati. Costoro invece, dopo averla tradita nell'ombra per
arricchirsi, adesso sfrontatamente, sicuri dell'impunità che loro
accorda la debolezza, la vigliaccheria e l'interesse altrui, vorrebbero
fare della patria nostra il mercato delle loro cupidigie; il porto
franco delle loro ladrerie!... Ma noi, gente onesta, noi, come abbiamo
combattuto quegli altri, dobbiamo levarci a combattere i nuovi, i più
esosi nemici: li dobbiamo combattere all'ultimo sangue, a viso aperto,
a costo della nostra pace, dei nostri interessi, del nostro cuore,
della nostra vita. Il Barbetta che faceva la spia, o il Barbarò che ci
frodava, che ci tradiva durante la guerra è uno di costoro?... Ebbene,
lui per il primo, alla berlina!... Alla berlina!...

--Ah no!--gridò la Mary con impeto, sempre più spaventata dalla collera
e dalla terribile minaccia dello zio.--No, per carità; abbi compassione
di me....

--Di te?!

--Di Giulio. Egli ne morrebbe!...

--E che importa?--rispose l'Alamanni fuori di sè.--Meglio così. Sarà
dispersa, sarà distrutta la razza maledetta degli spioni!

--Ebbene--proruppe la fanciulla non più supplichevole nè tremante, ma
pallida, risoluta, forte e fiera del suo amore--ebbene, fa ciò che
vuoi, ma pensa che io pure sarò disonorata con Giulio, pensa che io
pure morrò con lui!

--Tu?... Con lui?... Con Giulio Barbarò?--domandò l'Alamanni rimanendo
come oppresso e atterrito.

--Sì,--rispose la Mary semplicemente; ma c'era tutto il sacrificio
della sua vita, tutta la più ferma volontà del suo cuore in questa sola
parola.

--Ma... ma non sai....

--So ch'egli non è colpevole delle colpe di suo padre, e non ne deve
rispondere.

--Sì, ne deve rispondere perchè ne gode i frutti, ed è quasi come se ci
tenesse mano!

--Egli ha sempre fatto il suo dovere: è stato soldato: s'è battuto;
è un valoroso.... Adesso vuol procurarsi col suo lavoro uno stato
indipendente, decoroso.... Quando ci sarà riuscito... ci sposeremo.

--Sposar... te?!

--Sì... e avrò diritto di andar superba del suo amore.

--Ma questi sono romanzi!--esclamò l'Alamanni soffocando la collera
e il dolore per trovar modo di persuadere la ragazza.--Come vuoi che
da un giorno all'altro possa procurarsi uno stato se non ha mai fatto
nulla, se ha sempre vissuto col capo nel sacco?... Sono romanzi,
ti ripeto; assurdità, stupidaggini! È Donna Lucrezia, colle sue
fanfaluche, che ti riscalda la testa.

--No, la zia non c'entra. È stato Giulio che m'ha fatto questa
promessa, e la manterrà.

--Giulio?... Quando?

--La prima volta che mi ha scritto, dopo di essere stato ammalato, e
gravemente.

--Ma come?... Ti ha scritto ancora?

--Sempre, zio.

--Se credevo tutto finito fra voi due?

--No, zio.

--Dunque le tue promesse....

--Io ti ho obbedito, ma non ho promesso nulla. In casa del signor
Pompeo non ci devo andare, nè ci andrò. Noi vivremo del nostro lavoro
colla zia e con te... se vorrai.

Ci fu un altro po' di silenzio: poi l'Alamanni mormorò, crollando il
capo e sospirando:

--Ed io, povero illuso, che ti credevo guarita....

--No, zio,--rispose la fanciulla sorridendo;--ammalata... peggio di
prima.

L'Alamanni, cupo, imbronciato, non disse più una parola e si ritirò
nella sua camera prima del solito, senza nemmeno abbracciare la Mary,
come faceva sempre ogni sera.

Passeggiò su e giù per un'ora, e a mano a mano il dolore vinceva la
collera. In fine si confortò un poco pensando che la battaglia non era
ancora perduta, che aveva quasi due anni di tempo dinanzi a sè, e che
certo, per quanto dipendeva da lui, non avrebbe mai avuto il rimorso
di aver ceduto d'un punto. Occorrendo avrebbe anche trovato il modo di
dare una buona lezione al signorino!

Intanto, era ciò che più premeva per il momento, voleva continuare a
tenere la Mary a Nizza... lontana dalle chiacchiere di Donna Lucrezia
che le facevano perdere il cervello... e lontana, specialmente, da
Giulio Barbarò.

--Che coraggio, per altro, in quella ragazza! E quanta fermezza!

Poi, prima di andare a letto, pensò di scrivere appunto alla Balladoro,
lagnandosi anche con lei per quanto era accaduto, e ingiungendole
d'imporre in suo nome, al signor Giulio Barbarò, di tralasciare
immediatamente di corrispondere anche per lettera, colla signorina
Alamanni.

Bisognava tentare ogni via per dividerli quei due ragazzi, e per fare
in modo che finissero col dimenticarsi.

Mentre l'Alamanni scriveva a Donna Lucrezia era tutto quiete e
silenzio, dentro e fuori della piccola casetta. Solamente fra mezzo
al gorgoglìo incessante delle onde del mare si udiva ancora, a volte
vicino vicino, a volte più lontano, lo stridore del ferro di un bastone
che strisciava sul lastrico della strada... e c'era sempre lume alla
finestra della Mary.




II.


Il giornale _Il Moderatore_ aveva già cominciato, in breve tempo, a
diffondersi e ad accreditarsi, e il merito di questo buon successo
spettava in parte anche al professore Eugenio Zodenigo che, caso raro,
era un uomo saggio e fortunato. In fatti, se la fortuna, più che altro,
lo aveva messo a capo di un giornale, vi rimase poi, acquistando ogni
giorno maggiore autorità per solo merito della propria prudenza.

Col trascorrere degli anni, mentre si inaridiva nel professore Eugenio
la fonte poetica, due altre fonti invece, e assai più proficue,
cominciarono a scaturire nel suo individuo: quella dell'agitatore
elettorale, e l'altra del buon _amministratore_.... cioè di colui
che per fas o per nefas riesce sempre a trovar danari quando gli
abbisognano.

Ora, appunto come agitatore elettorale, egli aveva contribuito
efficacemente alla rielezione dell'onorevole Silvio Caldarelli, uno dei
comproprietari del giornale _Il Rinnovamento_, in cui lo Zodenigo era
scrittore per la parte letteraria, e cronista. Tale rielezione pareva
in sulle prime assai pericolante, per ciò il Caldarelli non solo fu
grato al Professore del servizio prestatogli, ma lo prese a ben volere
e quando, in seguito ad alcune divergenze nelle opinioni politiche, il
Caldarelli uscì dal _Rinnovamento_ per fondare il _Moderatore_, chiamò
presso di sè lo Zodenigo, e lo fece amministratore di fatto e direttore
di nome del nuovo giornale.

Silvio Caldarelli era uno degli uomini più onesti e simpatici della
vecchia Destra; uno di coloro che avrebbero potuto far valere, e non
avevan fatto valer mai, tutta una vita spesa in pro del proprio paese.
Ma fra molte doti singolari c'era in lui anche un grosso difetto: il
_codino_ dell'oggi conservava, come Francesco Alamanni, la buona fede,
l'ingenuità, gli entusiasmi dell'antico _mazziniano_. Pessimista in
teoria, era ottimista nella vita pratica, e tutti gli altri giudicava
da sè stesso... compreso lo Zodenigo.

Tuttavia, col tempo, e specialmente dopo certi elogi del signor
Barbarò apparsi nel _Moderatore_, il brav'uomo cominciava a modificare
un poco la propria opinione sul conto del Professore... quando,
improvvisamente, morì a Roma di tifo, e così il giornale restò in piena
balìa dello Zodenigo che lo fece uscire per tre giorni listato di nero,
e che cominciando a mostrare la sua abilità di buon _amministratore_,
mentre il cadavere era ancor caldo, e la commozione degli amici più
viva, raccolse alcune migliaia di lire per pagare certi debiti del
_Moderatore_ di cui nessuno prima d'allora aveva mai sentito parlare,
e che Silvio Caldarelli, sebbene fosse morto, com'era sempre vissuto,
poverissimo, non si era mai sognato di fare.

Eugenio Zodenigo aveva subito compreso che il _Moderatore_ poteva
diventare nelle sue mani una fattoria e che il Caldarelli morto
gli poteva giovare fors'anche più che vivo. Per ciò si pose con
grande impegno a sostenere la parte dell'amico e del discepolo
dell'illustre defunto, pretendendo di aver diritto alla proprietà
del giornale, come alla eredità politica e morale del _compianto_
fondatore. Ma (e qui mostrò la sua saggezza) diventato proprietario
e direttore assoluto del _Moderatore_, lo Zodenigo continuò a
lavorare molto nell'amministrazione e pochissimo nel giornale, dove
di suo pubblicava solo di tanto in tanto, nei periodi delle elezioni
politiche ed amministrative, alcuni brevi e succosi articoletti, dalla
punta avvelenata, di cui egli aveva la specialità. Del resto se non
scriveva nel giornale lo leggeva però sempre, e tutto, attentamente,
per assicurarsi che non contenesse nulla che potesse urtare contro
gli interessi dell'_amministrazione_, sopprimendo qua e là qualche
aggettivo, aggiungendo all'occorrenza qualche elogio o qualche biasimo,
accorciando o arrotondando qualche periodo. Chi scriveva da capo a
fondo, chi faceva tutto il _Moderatore_, versandovi la parte migliore
del suo sangue sano e rigoglioso, era il dottor Nicomede Carpani,
il _redattore-capo_; uno di quegli uomini rari che intendono il
giornalismo davvero come un sacerdozio, e che al trionfo dei principii
e degli ideali sacrificano interamente la propria persona, nulla
domandando, nulla volendo per sè.

E anche Nicomede Carpani, con tutto il suo ingegno e la sua scienza,
era un uomo di ingenua buona fede. Sempre sprofondato nel lavoro,
colla vita esteriore limitata al pezzo di strada che faceva due
volte al giorno dall'ufficio del _Moderatore_ alla sua cameretta
al quarto piano del _Corso Garibaldi_, non aveva nè tempo nè modo
di fermarsi a osservare e a studiare chi lo toccava più da vicino.
Egli che conosceva a fondo la mente, la vita, il valore di tutti
gli uomini politici più notevoli, non conosceva ancora lo Zodenigo,
il suo direttore. Sapeva bene che era un uomo più di apparenza che
di sostanza, ma lo reputava un galantuomo dal momento che era stato
l'amico del "compianto Caldarelli." Riconosceva che possedeva in
sommo grado il tatto e il sussiego dell'uomo politico, e ciò pensava
che tornasse utile al giornale e conveniente al partito; onde lo
serviva sgobbando in vece sua, giorno e notte, e gli dava autorità e
riputazione col proprio lavoro, vivendo miseramente col magro stipendio
che riceveva a spizzico, mal vestito, mal nutrito, facendo colazione
sul tavolino dell'ufficio, fra le bozze da correggere, soltanto con
un pezzo di pane e una fetta di salame, mentre il direttore stava due
ore al _Caffè Cova_ a rinforzarsi lo stomaco con buoni _beefsteaks à
la Chateaubriand_, e a godersi l'ammirazione e il rispetto della gente
dabbene.

Però ben presto, quantunque il _Moderatore_ continuasse a prosperare,
lo Zodenigo invece, appunto per la vita da signore che menava, e per le
spese proprie del giornale, tornò a trovarsi colla cassa vuota. Appena
morto Silvio Caldarelli egli aveva chiamato a raccolta gli uomini del
partito, formandone una società di azionisti, la quale aveva versata
una certa somma che secondo i preventivi doveva assicurare la vita al
giornale almeno per tre anni... Ma invece, come quasi sempre succede in
simili casi, tutto il capitale era già sfumato allo spirare del primo.

Che fare?... Lo Zodenigo tornò a picchiare alla porta dei soliti
amici, e ricordando i meriti e le virtù del compianto Caldarelli,
"il suo secondo padre, il suo maestro," domandò un nuovo versamento,
"perchè il _Moderatore_, che poteva chiamarsi il suo testamento
politico, che era uscito direttamente dal pensiero e dal cuore di
_Lui_.... non dovesse sospendere, dopo tanti sacrifici, e dopo l'ottimo
frutto ottenuto, le sue pubblicazioni." E a forza di chiacchiere,
di promesse riuscì ancora a racimolare una discreta sommetta... ma
appena sufficiente per i bisogni del momento, mentre nella testa del
professore Eugenio andavano formandosi nuovi disegni di splendidi
allettamenti e migliorie da introdursi nel giornale per invogliare il
pubblico ad abbonarsi essendo prossima la fine dell'anno. E pensava
di ampliare la tipografia, e avrebbe voluto acquistare una macchina
celere di ultimo modello che, rendendo più sollecita e meno costosa la
tiratura, gli dovesse assicurare un vantaggio notevole sopra gli altri
giornali e un nuovo _slancio_ nella diffusione.

Allora pensò e ripensò al modo di trovare dell'altro danaro, molto
danaro, tutto il danaro che ancora gli occorreva per il giornale e per
sè; pensò, ripensò, e più volte, sebbene crollando il capo, mormorò il
nome di Pompeo Barbarò.

"Ah, se avesse potuto ficcar le mani nella cassa forte del neo
cavaliere!"

Ma quel villan rifatto, colle cambiali sue che aveva in portafoglio,
e che ormai coll'aumento continuo dei frutti e delle spese di
rinnovazione, rappresentavano una somma considerevole, pretendeva che
il _Moderatore_ gli facesse la _réclame_ a ufo, senza nè manco pagare
l'abbonamento!... Eppure che colpo da maestro, sarebbe stato...
cavargli fuori le cambialette e fargli snocciolare anche i bei marenghi
per la macchina celere!... Che colpo da maestro sarebbe stato avere i
danari, e insieme vendicarsi di quell'avaraccio tirchio e indelicato!

Ma come fare?... Se il Barbarò non aveva la scienza infusa, era
per altro astuto e furbo più del diavolo.... Attaccato al danaro
non si sarebbe indotto a spendere nemmeno per la lusinga d'essere
creato... commendatore!... Poi gli era andato bene il tiro colla
_Banca degl'Interessi Lombardi Provinciali_, e sebbene, in fin dei
conti, non avesse fatto altro che un buon affare per lui, guadagnava
terreno ogni giorno nell'opinione pubblica, e del _Moderatore_, quasi,
poteva infischiarsene.... Lo avevano nominato consigliere alla _Banca
Popolare_, membro della _Congregazione di Carità_... Presidente del
Comitato Promotore per le _Case operaie_ e...

"Ma appunto," pensò d'un tratto lo Zodenigo picchiandosi la fronte
colle dita, "se giovandosi del vento medesimo che il signor _Cavalice_
aveva in poppa egli lo avesse saputo spingere in sulle secche... e gli
fosse occorso l'aiuto del giornale per rimettersi a galla?"

".... Ma in che modo si poteva?... In che modo?... Per Dio, non
ci sarebbe stato altro che fare col suo nome una grande campagna
elettorale: portare il Barbarò candidato alla Deputazione!..."

A questo punto il professore Zodenigo sorrise seco stesso della propria
idea, ma poi, subito, borbottò con un'alzata di spalle:--E perchè
no?... Se ne son visti di più asini, di più ignoranti assai... e di
egualmente bricconi!... In fine poi, il cavalier Barbarò è un uomo
serio, positivo, un uomo pratico... un eccellente amministratore....
Suo figlio è stato con Garibaldi in Tirolo... Il _Moderatore_ può
ignorare benissimo il suo passato, e proporlo candidato e sostenerlo
in buona fede... Poi, nel calore della polemica, se gli avversari
susciteranno qualche scandalo bisognerà difenderlo per l'onore del
partito... ma intanto l'_orang-outang_ sarà nelle mie mani.... E, per
Dio, la pagherà salata la deputazione!

Del resto la prima idea della candidatura Barbarò non era venuta in
mente del tutto a caso al professore Eugenio. In quel tempo, per
l'appunto, il deputato del collegio di Panigale era stato compreso in
una infornata di senatori; il collegio, in conseguenza, dichiarato
vacante, e le nuove elezioni indette per il diciotto del prossimo
mese di gennaio. Si era allora alla fine di dicembre; lo Zodenigo non
aveva dunque che una ventina di giorni, all'incirca, dinanzi a sè,
e urgeva non perdere tempo. Indossò l'abito nero, quello proprio di
parata più lungo e più abbottonato degli altri, mise un cappello a
tuba nuovissimo, che splendeva al sole, e dopo aver fatto colazione
al _Caffè Cova_, come al solito, ma più del solito serbando fra gli
ammiratori suoi che gli facevano corona durante il pasto, il grave
silenzio _monosillàbico_ dei momenti solenni, ordinò un _brum_ con voce
forte, e si fece condurre dal cavalier Barbarò.

Pompeo, che anch'egli aveva appena finito di far colazione, lo
ricevette colla sua cordialità sforzata e chiassosamente volgare; ma
siccome non ignorava le visite fatte in que' giorni dal Professore agli
azionisti credette, a buon conto, di parare la stoccata assicurandolo
subito "che le cambiali in scadenza colla fine dell'anno sarebbero
state ugualmente rinnovate per quanto il momento fosse piuttosto
critico... " Ma lo Zodenigo, a tanta generosità, rispose appena con
un sorriso a fior di labbra e con un cenno del capo quasi più di
protezione che di ringraziamento.

--Diavolo,--pensò Pompeo fra sè,--che cosa c'è di nuovo?--e cominciò a
provare un po' d'inquietudine.

--Ho sentito che il _Moderatore_,--disse poi per tastare il
terreno,--promette di diventar un affar d'oro per il nostro illustre
direttore: bravo!... bravo!... bravo!...--E siccome tutti e due
erano seduti l'uno accanto all'altro, sul canapè, così il Barbarò
ad ogni "bravo" battè col palmo della mano, per dar maggior forza
all'entusiasmo, sulle ginocchia dello Zodenigo. Questi rimase un
momento senza rispondere, poi stirandosi sul canapè e abbassando
le palpebre con una cert'aria di mezzo tra il diplomatico e
l'addormentato:--D'_oo_ no--soggiunse--perchè un giornale in Italia
non potrà mai essere un _afface_; ma si è raggiunto il nostro scopo
e ormai il _Moderatore_ ha guadagnato il suo posto ed è una forza.
Tuttavia--continuò dopo una breve pausa--devo dire a _onooe_ del vero
che gli azionisti non hanno mai indietreggiato dinanzi ai più gravi
sacrifici, e anche in questi giorni hanno versato la somma che ci
occorreva per metterci in grado di vincere le varie concorrenze e poter
entrare fidenti e sicuri nel nostro secondo anno di vita. Insomma anche
dal lato pecuniario lo stato del _Moderatoee_ non potrebbe essere
_migliooe_.

Una tale e così esplicita dichiarazione, che avrebbe rassicurato
chiunque, rese invece maggiormente inquieto e sospeso il Barbarò, che
non potè trattenersi dal lanciare un'occhiata alla sfuggita sul suo
compagno.

--Dove diamine vuol andare a parare....--pensò tra sè.

Ma lo Zodenigo si mostrava imperturbabile. Sdraiato, colle braccia
stese sui guanciali del canapè, cogli occhi semichiusi, soffiava un
poco, perchè cominciava a ingrassare. Adesso ch'egli non scriveva più
versi aveva rinunciato alla zazzera, al ricciolo alla rubacuori, ed
anche all'etisia.

Ci fu un'altra pausa ancora più lunga delle precedenti: Pompeo Barbarò,
oltre all'essere inquieto, cominciava a sentirsi anche un po' seccato
da quel gran sussiego.

--In fine--ripigliò sdraiandosi alla sua volta e ficcandosi le mani in
tasca--si può sapere lo scopo di questa vostra visita?

L'altro aprì gli occhi, fissò Pompeo sorridendo con astuzia, e
battendogli, a sua volta, confidenzialmente sulle ginocchia, gli
domandò avvicinandosi:

--Vi sentite l'animo di _faae_ un gran colpo?

--Fare un gran colpo?... Che colpo?... Di che genere?... Non vi capisco!

--Un colpo tale da soddisfare pienamente la vostra legittima ambizione.

Pompeo indovinò che cosa lo Zodenigo gli stava per proporre: ebbe
un guizzo di foco negli occhietti furbi, arrossì, si confuse; ma fu
un attimo, riprese subito il suo sangue freddo e cominciò a fare lo
svogliato.

--Caro Professore, vi prego, innanzi tutto, di non venire a rompermi le
scatole!... Io amo la mia quiete, la mia pace. Sapete pure che io sono
un uomo d'affari; nient'altro che un uomo d'affari; e come tale la mia
ambizione ormai è soddisfatta.... il mio fine è raggiunto.

--_Excelsioor_... _Excelsioor_... caro cavaliere!

--Andiamo, parlate chiaro: fuori la bomba!

L'altro continuò a sorridere e ritornò a sdraiarsi sul canapè, a
chiuder gli occhi e a soffiare.

--Avanti!... Sentiamo!

--Sapete che il collegio di Panigale è vacante?

--Sì... ebbene....

--Ebbene.... Abbiamo pensato a voi.

--A me?... Per che cosa?

--Accettate?

--Ma che cosa?

--La _candidatuua_.

--La candidatura!--esclamò Pompeo scattando in piedi e fingendo la più
alta meraviglia.--Siete matto?

--No, niente affattissimo.

--La candidatura... a me?!

--A voi, appunto. Siete il più ricco possidente di Panigale; avete in
mano vostra il collegio... dovete rendere questo _seevizio_ al paese...
al _paatito_.

Il Barbarò dal primo stupore passò alla collera... quindi si calmò un
poco, esponendo i grandi, gl'insormontabili ostacoli che si sarebbero
opposti alla riuscita della sua elezione; ma vedendo che l'altro
continuava a sorridere e a soffiare cogli occhi chiusi, senza ribattere
quelle difficoltà, gli si sedette nuovamente accanto sul canapè e
cominciò lui medesimo a trovare talune circostanze in favore: "
...certo che a Panigale aveva molto credito... certo che avrebbe potuto
disporre di un buon numero di voti... " ma lo Zodenigo rimaneva sempre
impassibile.

--Infine parlate una buona volta!... Sentiamo!--esclamò il Barbarò
perdendo la pazienza--da chi sarei presentato, portato, appoggiato?

--Da noi.--Lo Zodenigo, a questo punto, aprì del tutto gli occhi e
fissò serio Pompeo Barbarò.

--Adagio... adagio.... Bisogna andar adagio.... Non sono cose da
risolvere così su due piedi, colla fretta!

Il Barbarò era doppiamente spaventato: spaventato dalla proposta
medesima; spaventato dalla paura di lasciarsela scappare.

Deputato!.. Era un bel salto davvero!... Lusinghiero per la sua
ambizione; ottimo per l'andamento de' suoi affari. Ma... se invece
fosse andato a mettersi in un ginepraio... per avere il gusto di fare
un fiasco? Se... No, no, non ci voleva fretta. Bisognava andare adagio,
molto adagio!

Invece lo Zodenigo dichiarò esplicitamente che non c'era proprio tempo
da perdere, e che per riuscire si doveva aprir subito il fuoco finchè
il nemico non si era ancora _peepaato_. Del rimanente egli aveva
pensato al suo nome per il collegio di Panigale, spinto da due motivi.
Uno di sentimento: perchè il _Modeeatore_ doveva gran parte della sua
fortuna al cavaliere Barbarò; l'altro, e non glielo voleva nascondere,
per opportunità. Visto le aderenze e l'autorità e i molteplici
interessi che rendevano onnipossente il cavalier Barbarò a Panigale,
la vittoria sarebbe stata facile, e al _Moderatore_, per affermarsi
stabilmente, occorreva appunto di ottenere il trionfo in una campagna
elettorale.

--I giornalisti sono come i soldati: non si formano altro che alla
_gueea_.

E tante ne disse e ne ripetè, sempre con un sorrisetto che significava
lo sprezzo per gli altri e la sicurezza di sè medesimo; sempre
con un'aria olimpicamente infallibile, che il Barbarò finì col
maravigliarsi di una cosa sola: che non gli fosse venuto in mente anche
prima, di farlo deputato.

--Ma... e il padre Cammaroto?--esclamò a un tratto il Barbarò tornando
a mostrarsi inquieto.--Che contegno avrebbe tenuto il padre Cammaroto?

--Il Cammaroto è un mattoide: la gente di buon senso, le persone
oneste, e aliene dagli scandali, lo hanno abbandonato: La _Colonna di
fuoco_ ha _oomai_ fatto il suo tempo...--rispose lo Zodenigo chiudendo
del tutto gli occhi e storcendo la bocca in atto di nausea.--È uno
sconcio zibaldone senza misura, senza stile, senza _gaammatica_.

La _Colonna di fuoco_ era un giornale politico che si pubblicava allora
a Milano, diretto da un ex frate catanese: Salvatore Cammaroto.

Al primo momento Pompeo Barbarò, sedotto dall'idea della deputazione,
aveva obliato il frate e il suo giornale, ma adesso invece,
rammentandolo, stentava a rassicurarsi, e fissando lo Zodenigo mormorò,
mentre impacciato intrecciava le dita grosse e nocchiute nel catenone
d'oro:

--Capirete bene... non vorrei... non vorrei aver dispiaceri... ho
molti nemici... troppi nemici.

--Tutta invidia...

--Sicuramente; ma intanto... riderebbero alle mie spalle. I Collalto,
specialmente!... Adesso, sapete?... mi han messo contro anche quel
vecchio gonzo dell'Alamanni. Se riusciranno a impedire il matrimonio
sarà tanto di guadagnato per me e per Giulio, ma.... Ma pure,
scommetterei, dev'essere stata la marchesa Angelica, istigata dal
Capitano, che mi ha dipinto coi colori dell'orco allo zio Francesco!

--Quel _maachese_... quel _maachese_... non _muoee_ mai?

--Lo desiderano troppo, e ciò gli allunga la vita!--rispose il Barbarò
con una sghignazzata.--Ma... ritornando alla _Colonna di fuoco_ vi
confesso che... per le ragioni che v'ho detto e... in questo momento...
mi fa... mi fa... mi fa paura!

Lo Zodenigo sorrise appena, sprezzantemente, senza scomporsi.

Salvatore Cammaroto, il direttore della _Colonna di fuoco_, era un uomo
d'ingegno straordinario e di svariata coltura, ma al quale mancavan,
per disgrazia sua... _due dita di criterio_, di quel certo criterio
senza cui, a sentir la gente di buon senso, riescono vane tutte le più
grandi virtù della mente e del cuore.

Da ragazzo era stato messo in un collegio presso Catania, diretto dai
Padri Scolopi, e subito leggendo la vita di San Giuseppe Calasanzio
si accese di un ardore tale per le pratiche religiose da sembrare
certe volte un allucinato e da far temere anche per la sua salute.
Poi, crescendo cogli anni, s'infervorò nello studio delle discipline
religiose diventando un seguace ardentissimo della dottrina dei
_Minoriti_, e però schierandosi fra gli avversari più acerrimi e più
battaglieri della scuola teologica dei Domenicani, come se avesse
in animo di rinnovare per proprio conto, in mezzo allo scetticismo
e alla indifferenza del secolo decimonono, le dispute e le lotte
accanite del medio evo. In fine quando i suoi parenti, che dopo essere
stati edificati dalla pietà del fanciullo e inorgogliti dal sapere
del giovinetto si preparavano a levarlo di collegio, egli dichiarò
esplicitamente che si sentiva la vocazione, e che voleva farsi frate.

Frate, il padre Salvatore Cammaroto diventò presto popolare per la foga
veemente e colorita delle sue prediche, e per la profonda carità del
suo cuore e delle sue opere. Ma ben presto anche nell'interpretare,
e specialmente nello spiegare i libri sacri, mise fuori il solito
difetto; volle farsi rigido banditore della legge del Vangelo, e urtò
contro gli interessi medesimi della Chiesa, suscitando un grosso
scandalo, ond'ebbe a risentirsi un abate, appartenente ad un'illustre
famiglia dell'aristocrazia romana, il quale non godeva fama di aborrire
i piaceri e i beni terreni come il poverello d'Assisi.

Il Priore dell'Ordine chiamò allora a sè il padre Salvatore e lo ammonì
severamente, esortandolo a voler temperare colla prudenza (_prudentia
est virtus directiva_, secondo san Tommaso) la sua indole troppo
vivace e battagliera. Ma il frate indignato di sentirsi rimproverare
di ciò che reputava il più santo dovere del proprio ministero, si
rivolse invocando giustizia e protezione al generale dei Francescani;
poi, redarguito anche da questo savio prelato che gli ricordò con san
Gregorio:... _fortissimus qui seipsum vincit_, ricorse direttamente
al Papa, il quale gli fece rispondere imponendogli per castigo della
sua insubordinatezza certi esercizi spirituali da compiersi in un
piccolo monastero presso Trapani. Il padre Cammaroto ubbidì al supremo
comando più rassegnato che convinto; a poco a poco lo scoramento, il
dubbio turbarono, vinsero l'animo suo; pensò che i preti di Cristo,
non erano migliori dei sacerdoti di Caifasso, e appena scoppiata la
rivoluzione del _sessanta_ corse a raggiungere Garibaldi, e gli si pose
ai fianco soccorrendo i feriti, confortando i moribondi, incitando
i volontari alla pugna, mettendo Garibaldi in compagnia di Cristo e
di Mosè, riunendo in un solo martirologio i martiri della Chiesa e
i martiri della patria, e facendosi sospendere _a divinis_.... Al
che il padre Cammaroto rispose scomunicando alla sua volta il Papa
con una lettera violentissima che corse i giornali, indirizzata "_al
Pastore fattosi lupo del proprio gregge_"; quindi buttò via la tonaca
e s'infervorò nello studio della filosofia. Da prima s'innamorò delle
opere postume del Gioberti, e compose un commento alla _Protologia_ e
alla _Riforma_, rimasto inedito per mancanza d'editore; poi, traversato
l'heghelianismo, fu attratto dal positivismo di Augusto Compte, della
seconda maniera, che innestò a modo suo con idee e simboli della
Bibbia, ormai divenuta sangue del suo sangue. In fine scrisse le sue
_Confessioni_ al Padre Passaglia, che nessuno lesse in Italia, ma che
furono tradotte in tedesco; e continuò imperturbabilmente a combattere
il dogmatismo antico per sostituirne uno di nuovo conio, esagerando
ancora il misticismo umanitario delle ultime opere del filosofo
francese, e scaraventando contro i propri avversari d'ogni specie un
profluvio di dottrina e di insolenze.... Dopo aver seguìto Garibaldi
a Sarnico, ad Aspromonte, in Tirolo, essendosi ammalato di vaiuolo a
Firenze, sposò la serva della sua affittacamere, che lo aveva assistito
con pericolo della propria vita.

Fu allora che cominciò a guadagnarsi il pane scrivendo pei giornali,
e dando lezioni private di greco e di latino. Ma non potè stare
tranquillo un pezzo. Visto che i grandi filosofi, quelli morti
specialmente, non rispondevano alle sue epistole, fondò un giornale
per combattere la corruzione invadente in ogni ordine dello Stato. Si
professava apostolo audace e coraggioso della verità e della giustizia;
voleva strappare la maschera ai farisei della patria, ai tartufi della
politica, ai _Mercadet_ della finanza, agli ipocriti di tutte le caste,
di tutte le classi, di tutti i mestieri: e si pose all'opera senza
pensare ad altro, con tutta la sua mente, con tutto il suo cuore,
persuaso che il mondo non avrebbe più potuto camminare se non si
metteva lui, colla _Colonna di fuoco_, a rischiarargli la via.

E in fatti, in sulle prime, la _Colonna di fuoco_ maravigliò, sbalordì
la gente, più per la novità della cosa, che per la luce stessa.

--Per Dio, aveva fegato quel frate smesso!.... Come sapeva cantarla
chiara, sul muso, a tutti quanti, senza lasciarsi intimorire dalle
influenze, dalle aderenze, dalle minacce, dai sequestri!...

Bravo, bravissimo, evviva il padre Cammaroto che si era lanciato
coraggiosamente, a capofitto nella morta gora della corruzione,
sollevando un tanfo di putridume che ammorbava!... Evviva l'apostolo
della verità: il braccio forte della giustizia!... E mentre il buon
pubblico batteva le mani soddisfatto, era da per tutto un rimescolìo
continuo, un brontolìo sommesso, ma invadente, dei colpiti e dei
minacciati, finchè nel più forte del combattimento, e sempre per quelle
due dita di criterio.... che gli mancavano, il direttore della _Colonna
di fuoco_ cominciò a perdere del campo, a incespicare, a rovinarsi
colle proprie mani.

Nell'attacco Salvatore Cammaroto era troppo violento e personale, nelle
botte a fondo non sapeva conservare _la forma nè la misura_.

Invece di dire soltanto _certe verità_ e a certa gente, s'era messo a
urlare ai quattro venti, a squarciagola, _tutte le verità_ e a tutti
quanti, e perciò le persone di giudizio cominciarono a mormorare che la
_Colonna di fuoco_ sdrucciolava nel libello.

--Come?... Quel mattoide non era contento di svelare le marachelle
dei ministri, degli _uomini pubblici_, ma metteva in ballo anche i
privati?... Le persone che vivono all'ombra lontane da ogni rumore... e
che perciò hanno il diritto che nessuno vada a ficcare il naso nei loro
affari?... Altro che apostolo!... Altro che braccio della giustizia!
Era un pezzo da forca quel frataccio smesso! Alla larga! Alla larga!
puzzava di ricattatore!

E allora ognuno temendo per sè, e volendo premunirsi, si affrettò a
dichiarare che quel giornalaccio poteva offendere soltanto colle lodi,
e che chiunque si rispettasse non doveva più leggerlo... Per il che
tutti lo leggevano più che mai; e lo stesso Barbarò il quale gridava
ai quattro venti che i biasimi del Cammaroto facevano onore, prima
di risolversi ad accettare la candidatura voleva essere sicuro che
la _Colonna di fuoco_ non lo avrebbe combattuto, e rispondeva alle
obiezioni ed ai sorrisi sprezzanti dello Zodenigo, dichiarando che...
per conto suo... avrebbe fatto magari anche qualche sacrificio pure...
pur di chiudere la bocca a quel _Cerebro_.

--_Ceerbero_--suggeriva il Professore fingendo di non capire dove
l'altro voleva arrivare. Egli sapeva benissimo che con Salvatore
Cammaroto i quattrini non avevano presa e, d'altra parte, aveva appunto
fatto assegnamento per la riuscita dei propri disegni sopra gli assalti
della _Colonna di fuoco_. Era Salvatore Cammaroto che gli doveva dare
in piena balìa, con mani e piedi legati, il cavalier Barbarò!

--Non credo,--rispose lo Zodenigo,--che la _Colonna di fuoco_ voglia
battersi a tutta _oltaanza_ per il Collegio di Panigale. È troppo al
di fuori della zona dei suoi _inteessi_, quasi esclusivamente locali.
Poi, voi non avete ancora un colore spiccato in politica: siete un uomo
nuovo e ciò è bene, perchè non potete sollevare nè odii nè _aancori_
eccessivi.

Ma il Barbarò non pareva convinto nemmeno da tante buone ragioni
e facendosi più vicino al Professore, sempre sdraiato sul canapè,
"tuttavia... tuttavia... se si potesse... " balbettò guardandolo fisso
e fregando tra loro l'indice e il pollice con un certo movimento troppo
chiaro e significativo perchè l'altro potesse continuare a fingere di
non capir nulla.

--Non si può, non sarebbe prudente: il frate in questi giorni non ha
bisogno di danaro, e potrebbe approfittare della nostra offerta per
fare del chiasso, vantandosi di essere un puritano.

Pompeo rimaneva perplesso. Avea timore di mettersi in un qualche
impiccio, ma d'altra parte il riuscir deputato era per lui una
forte tentazione. In fine, dopo molte altre chiacchiere, dichiarò
che assolutamente ci voleva pensare... che non si sentiva di potersi
risolvere affrettatamente, su due piedi, in un affare di così gran
momento... che la risposta esplicita l'avrebbe data in capo a tre
giorni.... Ma Eugenio Zodenigo se ne andò sicuro che il tiro gli era
andato benone.

Quel giorno a pranzo Pompeo Barbarò rimase muto, concentrato e mangiò
meno del solito. La sera andò a passeggiare solo fino in fondo al
_Corso Venezia_.

"Che cosa era saltato in testa a quel _Dulcamara_ dello Zodenigo di
volerlo cacciare in quell'imbroglio?... Perchè non lo lasciava vivere
in pace?... Tanto se sperava aver quattrini da lui, stava fresco: era
già molto che continuasse a rinnovargli le cambiali!... Il _paatito_...
il _paese_... scilinguato maledetto!... Il paese gli doveva essere
riconoscente: la sua parte lui l'aveva fatta, e aveva diritto
finalmente di godersi il riposo e la pace.... Ma... pure... se fosse
stato sicuro di essere eletto... certo... la condizione di deputato
offriva molti vantaggi.... Onorevole?... I suoi nuovi amici che gli
sorridevano ancora a denti stretti sarebbero crepati dalla rabbia!...
Poi... avrebbe certo acquistato maggior autorità e anche per gli affari
sarebbe stato assai utile.... Ma... e se invece doveva essere un
fiasco?..."

Il giorno dopo lesse più attentamente la _Colonna di fuoco_ e vi trovò
un articolo che pareva fatto apposta per lui. Salvatore Cammaroto
dichiarava, a proposito dell'elezione di Panigale, che era ormai tempo
di mutar sistema e che gli elettori non dovevano più mandare alla
Camera "nè i gaudenti dall'epa rotonda, che sonnecchiavano nello stallo
di deputato, dove la loro ambizione soddisfatta faceva il _chilo_
eruttando pappagallescamente il _sì_ o il _no_ all'appello nominale;
nè gli oziosi titolati, i _damerini coll'occhialino_, che aspiravano
alla medaglietta come a un distintivo qualunque dello _sport_, e tanto
meno le nullità vane e presuntuose, che arrestavano a mezzo le più
gravi discussioni per balbettare i loro imparaticci sconclusionati,
rendendosi colpevoli del bizantinismo che sgovernava in Babilonia!"

--Gaudenti dall'epa rotonda?--pensava il Barbarò, tutto consolato,--io
sono magro come un'acciuga!... Oziosi titolati?... io ho lavorato tutta
la vita!... Imparaticci sconclusionati? Io non sarò mai così bestia di
aprir bocca, lo giuro!

Lo stesso giorno il professore tornò a fargli un'altra visita... poi
la mattina dopo trovò il modo di incontrarlo mentre usciva dalla
_Banca_.... Pompeo si faceva sempre pregare... finalmente lasciò
capire che se fosse stato proprio costretto... forse... per il bene
del paese si sarebbe sacrificato.... E lo Zodenigo allora, senza più
interrogarlo, diede fuoco alla mina.... cioè presentò nel _Moderatore_
la candidatura del cavalier Pompeo Barbarò.

Il _Moderatore_ usciva la sera: Pompeo lo ricevette che era ancora a
tavola. Appena scorse il suo nome POMPEO BARBARÒ, stampato in carattere
grosso, in testa di un articolo, si sentì venir freddo, e gli cominciò
a ballar la vista; smise subito di pranzare e sebbene fosse solo, andò
a chiudersi col giornale nel suo studio.... Si sedette allo scrittoio
pallido, colle gocciole di sudore sulla fronte... spiegò il foglio
lentamente, e trattenendo il respiro scorse prima tutto l'articolo, poi
con un'occhiata guardò la chiusa... poi, facendosi rosso di piacere lo
lesse adagio adagio e attentamente da capo a fondo... A lettura finita
era tutto rassicurato: sentiva di essere un uomo di merito.

Il _Moderatore_ faceva in succinto l'apologia del cavalier Barbarò,
dipingendolo come un _uomo moderno_. "Uno di quegli uomini," scriveva
lo Zodenigo, "che gli Americani chiamano _self-man_, cioè che si
è fatto da sè. Un uomo operoso e sommamente pratico; che aveva
l'intelligenza limpida e soda, non ottenebrata da teorie inattuabili,
e che di principii prudentissimo sapeva manifestare all'occorrenza,
insieme con un tatto non comune, una energia singolare, di cui
appunto aveva dato splendide prove anche durante la _crisi_,
tanto grave e pericolosa, attraversata dalla Banca degl'Interessi
Lombardi Provinciali." Accennava alle sue ingenti ricchezze, "le
quali garantivano nel Barbarò il candidato dell'ordine, fedele alle
istituzioni, singolarmente interessato al buon assetto delle finanze,
al miglioramento dell'agricoltura, all'incremento dei commerci."
Ricordava di volo le molte opere di beneficenza, e i larghi soccorsi
prodigati agli ospedali militari dopo le guerre del _cinquantanove_
e del _sessantasei_. "E se" continuava l'articolo "molte azioni
filantropiche e generose, la modestia del Barbarò voleva si tenessero
nascoste, tuttavia lo scrittore imparziale era costretto a ricordare,
per amore di giustizia, che nei momenti supremi della Patria, il
candidato del _Moderatore_ le aveva offerto ben più del danaro; ma la
miglior parte del sangue!... Suo figlio; il suo unico figlio, Giulio
Barbarò, il quale nella non ingloriosa campagna del sessantasei si era
battuto da valoroso con Garibaldi." Assicurava pure che al Candidato
stavano "molto a cuore i bisogni delle classi povere, e specialmente
dei contadini; che studiava di continuo per trovare il modo di portare
un _vero_ e _reale_ miglioramento alle loro misere condizioni, e che a
Panigale appunto sarebbero stati i primi a risentire i vantaggi di tali
studi." E, infine, concludeva col dire che anche tutti coloro i quali
non volevano che la deputazione fosse data ai gaudenti sonnacchiosi,
e tanto meno alle nullità ridicole e vane che aspiravano alla
medaglietta del deputato come ad un gingillo da _sportman_ "dovevano,
se leali, applaudire alla scelta fatta spontaneamente e serenamente
dal _Moderatore_ dopo un lungo, coscienzioso e spassionato esame della
situazione, tenuti a calcolo i bisogni del collegio di fronte ai più
alti interessi del paese."

Pompeo Barbarò lesse l'articolo due volte, tutto d'un fiato.... poi si
alzò per tornare nella sala da pranzo; ma quando fu sull'uscio dello
studio lo rilesse un'altra volta in piedi, col lume in mano.

--Adesso sono in ballo, e bisogna ballare,--mormorò.

Tornato a tavola non mangiò più. Si fece portare subito il caffè, ma ne
prese appena due o tre sorsi; era troppo caldo, e non aveva pazienza di
aspettare che freddasse.

Prese il cappello, il soprabito e uscì a passeggiare... Gli pareva che
lungo il Corso _Vittorio Emanuele_ ci fosse più gente, più luce, che
tutti lo guardassero, e che parlassero tutti della sua candidatura.
Passando vicino a un'edicola di giornali cercò il _Moderatore_ colla
coda dell'occhio e lo scorse subito fra tutti gli altri: aveva preso
un aspetto nuovo e simpatico. Gli strilloni che correvano gridando il
_Moderatore_ lo facevano arrossire: lo gridavano tanto forte, proprio
sotto il suo naso, perchè sapevano che c'era quel tale articolo?

Quando incontrava persone di conoscenza, le salutava un poco
impacciato: avevano letto sì o no il _Moderatore_?... E se lo avevano
letto perchè non si fermavano per congratularsi? Gli pareva che lo
salutassero meno gentilmente delle altre sere.... Se ridevano si
sentiva una stretta al cuore. "Certo, ridevano di lui!... Com'era
ingiusto il mondo e cattivo!... Era per invidia che non volevano
riconoscere i suoi meriti!" E la sua contentezza sparì a un tratto e
tornò a sentirsi un po' inquieto.

--Era proprio una stupidaggine il perdere la pace per tutta quella
gentaglia che non valeva due soldi! Lo Zodenigo avea avuto troppa
fretta!

E continuavano a passare, a tirar dritto, salutandolo senza
fermarsi.--Buona sera, Barbarò!... Buona sera, cavaliere!...--e niente
più. Erano cretini, o invidiosi.

In fine volle uscire ad ogni costo da quella incertezza penosa; volle
proprio sapere come la pensava la gente intorno alla sua candidatura.
Possibile che nessuno avesse letto il _Moderatore_?

Dinanzi al _Caffè delle Colonne_ incontrò appunto un suo collega
della _Congregazione di Carità_. Lo fermò, e dopo averlo salutato si
accompagnò con lui. Ma l'amico cominciò a parlare del più e del meno
indifferentemente, senza nè manco nominare il _Moderatore_.

--Lo ha letto o non lo ha letto?--pensava il Barbarò, mentre gli
camminava accanto, senza badare a ciò che gli diceva.--È capace di non
averlo letto!... È un tanghero costui!... Un uomo dell'altro mondo.--E
allora, tanto per assicurarsene meglio, fece cadere il discorso sulla
_Colonna di fuoco_.

--È diventato un giornalaccio libello.... Non si può più leggere.

--Io non l'ho letto mai--rispose l'altro.

--Davvero?

--Mai!... Non leggo giornali!

--Allora nemmeno il _Moderatore_--pensò Pompeo tra sè.--Che asinaccio!
Pure lo Zodenigo....

--Per me lo Zodenigo vale il Cammaroto e viceversa. I giornalisti son
tutti uguali: gente che vende bugie per far quattrini.

--Sì... generalmente...--e il Barbarò si sforzò di sorridere.--Pure il
_Moderatore_... almeno... non è scritto male....

--Non me ne intendo.

--Oh, nemmeno io, e nemmeno lo leggo sempre. Qualche volta a pranzo....

--A pranzo io mangio....

--.... Oppure a letto, la sera....

--A letto dormo!

Pompeo lo salutò presto e lo lasciò andare per la sua strada.

"Era un ignorantaccio!... Era uno zoticone insopportabile!..."

Ma pure la freddezza del collega aveva finito per sconcertarlo
interamente.

"Quel maledetto _Dulcamara_ aveva avuta troppa fretta!..." e intanto
tornò a pensare con inquietudine alla _Colonna di fuoco_.

"Chi sa come il padre Cammaroto avrebbe preso tutti quegli elogi! Forse
lo Zodenigo non era stato furbo.... Trattandosi del primo articolo
doveva contentarsi di tastare il terreno... senza metterlo a quel modo
sul candeliere!" Se a Milano non ci fosse stato altro giornale che il
_Moderatore_... sarebbe stata una gran bella cosa!

La _Colonna di fuoco_ usciva alle quattro del pomeriggio. Pompeo
cominciò ad aspettarla al tocco; poi alle tre mandò a vedere se era
in vendita.... Ma quel giorno, per combinazione, arrivò più tardi del
solito. Pompeo, appena l'ebbe fra mani, andò ancora a chiudersi nello
studio, come aveva fatto la sera prima col _Moderatore_.... Adesso
che l'aveva finalmente, e dopo averla tanto attesa e desiderata, non
si risolveva a spiegarla... aveva paura di leggerla.... Finalmente si
fece animo.... Diede un'occhiata in fretta alla prima pagina... alla
seconda... alla terza... non c'era niente! Di primo acchito si sentì
subito sollevato... poi provò quasi un senso di dispetto.

"Che si affettasse di non pigliarlo sul serio?... Che non si volesse
nè manco combatterlo?... Che ordissero contro di lui la congiura del
silenzio?..." Ma guardando meglio la gazzetta, scorse il suo nome in
fondo all'ultima colonna della seconda pagina!

--Ohi, ohi!... ci siamo!

Era un articoletto di cronaca intitolato: _Amenità elettorali_.

"Il serio, il grave, il mastodontico _Moderatore_" così diceva
"presentando, non si sa in nome di chi, nè di che cosa, il cavalier
Pompeo Barbarò, quale candidato al collegio di Panigale, ci dirige la
parola, al solito loiolescamente, facendoci l'onore di non nominarci, e
cita una nostra frase a proposito delle medagliette dei deputati. Noi,
con quella franchezza ignota al _Moderatore_, e con quel coraggio che
il suo direttore conosce... di nome, gli risponderemo una cosa sola: se
non vogliamo abbassato il distintivo dei legislatori fino ad essere un
ciondolo da _sportman_, tanto meno poi vorremo permettere si avvilisca
al punto di diventare un _gettone... una medaglia di presenza_. E ciò
basti per ora. La candidatura Barbarò è tanto poco seria, che non
val la pena... di prenderla sul serio, e noi, prima di combatterla,
aspettiamo di conoscere i nomi dei componenti il Comitato elettorale,
che scenderà in campo per sostenere Pompeo Barbarò. Che se poi il
famoso cavaliere dalla trista figura dovesse proprio rimanere, come
crediamo, soltanto il candidato del _Moderatore_, allora non perderemo
con lui il nostro tempo, e, punto invidiosi della gloria di Maramaldo,
gli risparmieremo il colpo di grazia. Del resto è lunga la via di
Damasco... e il _Moderatore_ potrà ancora convertirsi alla prudenza, se
non alla _buona fede_!"

--Rinnegato!... Canaglia!--borbottò Pompeo fra sè, dopo letto
l'articolo. Aveva le labbra pallide dalla bile, era pieno di rabbia e
di paura. Quelle poche righe della _Colonna di fuoco_ avevano distrutto
il buon effetto della lunga apologìa del _Moderatore_.




III.


Mentre lo Zodenigo sfruttava gli amici del _Moderatore_, quelli della
_Colonna di fuoco_ sfruttavano invece, colla medesima disinvoltura,
Salvatore Cammaroto.

La _Colonna di fuoco_ non era sostenuta, com'è di solito, da un
manipolo di uomini politici, ma apparteneva a un editore, che ne
ricavava un sufficiente utile, e retribuiva con un onorario fisso
l'ex frate catanese, al quale lasciava per altro piena ed assoluta
indipendenza nella direzione del giornale.

Gli amici dunque della _Colonna di fuoco_ erano amici platonici... ma
la grazia di quel platonismo!

Più scaltri e prudenti del Cammaroto, che infervorato della sua
vanagloria d'apostolo, in mezzo all'affaccendarsi di un lavoro
incessante e turbinoso, e allo scatenarsi violento delle passioni,
aveva sempre la testa in gran subbuglio e si lasciava facilmente menar
per il naso da chi lo secondava e gli dimostrava ammirazione, essi,
col pretesto di illuminarlo sopra uomini e avvenimenti milanesi, che
il Cammaroto, forastiero, non poteva conoscere a fondo, gli svisavano
quella stessa verità che gli era tanto cara, facendolo molte volte
servire ai propri fini, e sfogando, per mezzo suo, odi e rancori di
parte, o anche soltanto personali.

Ma il direttore della _Colonna di fuoco_ non sospettava nemmeno di
essere vittima di quei raggiri. Si credeva l'uomo più indipendente del
mondo, e non voleva ricevere inspirazione e consiglio altro che dalla
propria coscienza, e in secondo luogo "dalla sua signora," l'Apollonia
Cammaroto.

L'ex frate, dopo la trista solitudine del chiostro, dopo i faticosi
sconvolgimenti di una vita avventurosa, dopo tante persecuzioni, si
era in singolar modo affezionato a quella sua compagna un po' burbera
e rozza, ma bonacciona, che gli recava il nuovo conforto della casa e
della famiglia, che viveva della sua vita e delle sue lotte, che gli
dava spesso del _somarone_ perchè non sapeva farsi pagare abbastanza
dall'editore cane (la signora era pratese e diceva _'ane_, aspirando la
_c_), ma che gli dimostrava la fede più cieca, l'ammirazione più calda
e costante, mentre sapeva alternare praticamente le alte attribuzioni
di Ninfa Egeria alle altre più modeste di cuoca e di fattorino.

Per tutto ciò, naturalmente, anche gli amici della _Colonna di fuoco_,
sebbene non godessero le simpatie della signora Apollonia, le dovevano
fare un po' di corte per rispetto al Cammaroto, e sopportarne i musi e
gli sgarbi. E non c'era verso di liberarsene!... La signora Apollonia
e il direttore (com'essa chiamava il marito) erano sempre insieme
in casa, in ufficio e fuori. Peraltro c'era questo di buono, che
sebbene la signora fosse poco divertente non era, in compenso, niente
affatto da temersi, e con quattro complimenti e un po' di furberia la
rimorchiavano anche lei dietro al direttore.

Era verissimo che il Cammaroto non pubblicava due righe nel giornale
senza prima leggerle "alla sua signora;" ma le domandava un consiglio
perchè era sicuro di ricevere in cambio un applauso; e tutt'al più
l'Apollonia inebriata dai periodoni risonanti e dalla potenza degli
aggettivi, mentre gli esprimeva col faccione volgare, sempre gonfio
per un qualche bitorzolo in suppurazione, l'ammirazione la più
entusiastica, lo eccitava a volerci mettere anche una _'annonata_
contro que' _'ani_ de' preti e contro le moderne Bersabee... i due odii
innocenti della signora Apollonia, e che medesimamente non incutevano
alcun timore agli amici del giornale.

Povera donna!... Essa odiava i preti perchè attribuiva alle loro
persecuzioni palesi e occulte le varie peripezie del direttore, e
odiava quelle _schifosacce_ (l'aggettivo era proprio suo) che tradivano
i loro mariti quasi per un sentimento di riconoscenza verso il
matrimonio. Dacchè era divenuta moglie legittima adorava con ardore di
neofita l'istituzione che l'aveva come rimessa a nuovo, e difendeva le
prerogative coniugali con una virtù arcigna e spietata.

Del resto, _'annonate_ a parte, la Ninfa Egeria della _Colonna di
fuoco_ faceva umilmente da serva al suo caro Numa.

Così la mattina dopo ch'era uscito il _Moderatore_ colla candidatura
del cavalier Barbarò, mentre il Cammaroto preparava l'_originale_
per la _Colonna di fuoco_, la sua signora invece di inspirarlo e
consigliarlo era, come al solito, tutta affaccendata a mettere in
ordine l'ufficio: uno stanzone a terreno, umido e tetro. Col suo
cappello di forma straordinaria, e che non si levava mai, forse nemmeno
di notte, collo scialle a colori appuntato sul petto da uno spillone
col ritratto di Ugo Bassi, essa spazzava lentamente l'ufficio,
cercando di fare il meno strepito possibile per non disturbare il
direttore, e fermandosi ogni poco per raccattare le penne e i mezzi
foglietti che ancora potevano servire.

Ma poi, quando a un tratto udì battere con un fascio di carte alla
finestra che dava sulla strada, nascose subito la granata in un angolo,
e si mise a sedere maestosamente vicino al direttore.

--L'avvocato Gian Paolo!...--esclamò Peppino Casiraghi, un giovanottino
lungo, giallo, senza barba, seduto al tavolino di faccia al Cammaroto,
di cui si professava il più caldo ammiratore. Correttore di bozze e
cronista dilettante, era appassionato del giornalismo fino al punto
di far debiti a babbo morto per imprestar quattrini all'editore della
_Colonna_.--Cominciano presto, stamattina!...

--Scaldapanche maledetti!--borbottò la signora Apollonia chinandosi e
spingendosi fin sotto il tavolino per prendere il fazzoletto turchino
che il direttore perdeva sempre, o dimenticava in qualche posto.

--Cascassero morti que' chiacchieroni!--continuò poi mettendo il
fazzoletto sul tavolino, vicino al bicchier d'acqua.--A sentirli,
promettono sempre Roma e toma, e poi non sono stati boni nemmeno a
persuadere quel _'ane_ del sor Urbano (era il nomo dell'editore) di
mettere la direzione in un posto più da cristia....

Ma si fermò a mezzo con la parola: in quel punto, sbacchiato l'uscio,
con violenza entrava in ufficio precipitosamente l'avvocato Gian Paolo
Serbellini, il quale, senza levarsi il cappello, senza salutar nessuno,
cogli occhi spiritati si fermò dinanzi al tavolino del Cammaroto
esclamando:

--Hai letto il _Moderatore_?

Ma il Cammaroto continuò a scrivere in fretta, col naso sulle
_cartelle_, senza risponder nulla.

--Ha letto il _Moderatore_?--chiese allora l'avvocato alla signora
Apollonia, che seria, imbronciata, non si voltò nemmeno a guardarlo.

--Avete letto il _Moderatore_?--domandò in fine per la terza volta il
Serbellini, rivolgendosi a Peppino Casiraghi che gli accennò col capo
di sì.

L'avvocato Gian Paolo era uno dei frequentatori più assidui della
_Colonna di fuoco_. Da molti anni egli era dominato da un desiderio
innocente, e sempre insoddisfatto: voleva entrare nel Consiglio
comunale. Ma per essere eletto dimostrava troppa smania, e gli
elettori lo mettevano in ridicolo, eleggendo poi sempre qualcun altro
in vece sua, e che magari valeva anche meno. Una simile ingiustizia
aveva reso l'avvocato Gian Paolo malcontento di tutto e di tutti;
astioso, maldicente, pettegolo; avversario sistematico e accanito
di ogni candidato amministrativo e politico. Per farsi mettere in
lista era passato dalla Destra, che accusava di _servilismo_, alla
Sinistra, che accusò poi di _partigianeria_, terminando, in seguito
a tali voltafaccia, col rovinarsi moralmente perdendo il credito, e
finanziariamente, perdendo anche i clienti.

--Spero bene--ricominciò a gridare voltandosi di nuovo verso il
Cammaroto--che gli risponderai per le rime!

L'altro continuava a scrivere, riempiendo le _cartelle_, come una
macchina.

--È una sfacciataggine, un'impudenza inaudita!... Vorrei scriverlo io,
un articolo tale, da levar la pelle al Barbarò! E sarei capace di
firmarlo col mio nome e cognome!

La signora Apollonia alzò le spalle infastidita da una tale proposta,
facendo segno col capo di non disturbare il direttore.

Ma Gian Paolo era troppo fuori di sè per calmarsi, e battendo forte sul
tavolino col grosso fascio di carte, che portava sempre in giro per far
credere di aver molte cause da trattare, esclamò con voce ancora più
concitata:

--Per Dio, bisogna dare una lezione, ma in piena regola!... Devi dire
che è l'usura, il furto patentato che invadono il Parlamento!...
Scrivi, scrivi, Salvatore, ti detterò io: scrivi che nel corpo
elettorale c'è del putrido... più che in Danimarca.

A questo punto il Cammaroto si alzò di scatto; prese in mano i due
ultimi foglietti che aveva appena finito di scrivere, e guardando la
signora Apollonia dette in una sghignazzata.

Salvatore Cammaroto rideva sempre a quel modo prima di leggere la roba
sua; pareva un cavallo che nitrisca mettendosi in ardenza.

La signora Apollonia si rizzò più impettita che mai per ascoltare:
Peppino Casiraghi, cacciata la penna dietro l'orecchio, si sdraiò sulla
seggiola e alzò, sorridendo, il viso scialbo, pregustando la prosa del
direttore.

Era l'articolino che più tardi dovea recare tanto dispetto e tanta
paura al Barbarò.

Letto il titolo _Amenità elettorali_, il Cammaroto fece una prima
pausa, guardando la signora Apollonia a traverso gli occhiali
per vederne l'effetto. Quindi, soddisfatto, cominciò la lettura,
lentamente, colla voce squillante e nasale dei predicatori, spiccando
ogni sillaba, sottolineando ogni frase, fermandosi ancora alla stoccata
dei _gettoni, delle medaglie di presenza_, per guardare di nuovo la
moglie, poi il Casiraghi, poi l'avvocato Gian Paolo, e ripetendo in
fine la risata fatta in principio, ma assai più lunga e più sonora,
colla testa alta, cogli occhi scintillanti dietro le lenti, camminando
su e giù per lo stanzone, lisciandosi e accarezzandosi l'ispida
barbaccia.

Il Casiraghi intanto ballava sulla seggiola fregandosi le mani dalla
contentezza, la signora Apollonia offriva l'acqua al direttore, ma
l'avvocato non pareva soddisfatto.

--Ci dovevi mettere un'allusione al _processo dei fornitori_, e
dire nel medesimo tempo che a Panigale lo chiamano il _Mercante di
Pellagra_....

--Questo verrà poi; per incominciare la lotta va bene così!

--Una _'annonata_ alla volta!--brontolò la signora Apollonia.

In quel punto entrò nell'ufficio un altro amico del giornale, poi
un terzo, poi un quarto ed altri ancora, finchè lo stanzone fu
pieno di gente; e il Cammaroto voleva leggere e leggeva a tutti
l'_articolo-scaramuccia_, riscaldandosi fra gli applausi, mentre si
accendeva sempre più e montava in furore per le informazioni intorno al
Barbarò, che gli riferivano, a mano a mano, i nuovi venuti.

--Sai, Salvatore, il Barbarò faceva lo strozzino al cento per cento...
lo devi mettere sulla _Colonna_!

--È un villan rifatto della peggiore specie!

--Un ignorantaccio, che non apre bocca senza dire uno strafalcione!

--È un bancarottiere!

--È un ladro!

--Pochi anni fa aveva un'agenzia, in cui faceva commercio... di ragazze!

--Orrore!... Orrore!... Orrore! urlava il Cammaroto gesticolando,
pestando i piedi, saltando come uno spiritato, mentre Peppino Casiraghi
rideva e piangeva ubriacato dal baccano, e la signora Apollonia tirava
il direttore per le falde dell'abito, cercando di calmarlo e di farlo
star fermo.

Ma era fatica sprecata: gli amici del giornale, sotto sotto,
continuavano ad aizzarlo, come un toro nel circo.

Tutta quella gente gridava e smaniava nel nome della giustizia e della
moralità; ma appunto in tutto quel gran rumore, la moralità e la
giustizia ci entravano soltanto di nome. Erano i malcontenti, che non
facevano guerra al Barbarò perchè lo stimassero disonesto, ma perchè lo
invidiavano. Anch'essi avevano tentato di farsi innanzi, di salire, ma
non c'erano riusciti, e vedendo montare in alto il Barbarò, lo volevano
buttar giù.

C'era di tutto un po' fra gli amici della _Colonna di fuoco_. Oltre
all'avvocato Serbellini, che non aveva mai potuto essere consigliere
comunale, c'era il medico, l'ingegnere rimasti a terra in un qualche
concorso; l'impiegato che non avea ottenuto il trasloco desiderato,
o l'avanzamento; l'artista, lo scrittore, il poeta non apprezzato;
l'industriale, il commerciante a cui erano andati male gli affari.
C'era il benemerito della patria che non era stato fatto cavaliere:
il vigliacco ohe l'aveva a morte coi coraggiosi; l'avaro offeso dal
fasto dei prodighi, e così via via, si accumulavano, si univano in
lega, tutte le inimicizie, tutti i livori, tutti gli odi più disparati
contro il Municipio, contro il Governo, contro il merito, contro la
fortuna; contro tutti e contro tutto!... Era l'agitarsi e lo sfogarsi
delle piccole ambizioni, più astiose assai delle grandi; il lamentìo
petulante dei piccoli bisogni, delle piccole contrarietà, delle piccole
disgrazie.... Erano le passioncelle meschine e grette che schizzavano,
non già dal cuore, ma dallo stomaco e dal ventre, malamente mascherate
sotto la sembianza della giustizia o della moralità... di carta pesta!

Nel frattempo il rumore e la confusione erano arrivati al colmo.
Salvatore Cammaroto, per farsi ascoltare, era montato in piedi sopra
una seggiola e imponeva il silenzio. La signora Apollonia imbronciata
voltava le spalle a tutti, guardando fuori dalla finestra, e
brontolando.

--Chi bisogna attaccare e svergognare--gridava l'avvocato Gian
Paolo--più ancora del _Moderatore_, più dello stesso Barbarò, è
l'_Associazione Costituzionale_, che non dà segno di vita, che non si
prepara alla lotta!

--Bisogna scrivere contro il governo, che, pur di guadagnare un voto,
appoggia i ladri e gli usurai!--esclamava un altro.

--Lasciate fare a me!... Lasciate fare a me!... Sono vecchio del
mestiere!... Non ho bisogno di consigli! La tromba d'Israello suonerà
un'altra volta, non dubitate, sotto le mura di Gerico; ma se adesso
non fate silenzio e continuate a intronarmi la testa, vi faccio saltar
dalla finestra, in parola d'onore!

--Sarebbe tempo!--mormorò la signora Apollonia, avvicinandosi di
nuovo al direttore e mettendogli il fazzoletto nella tasca di dietro
dell'abito.

Era subentrata un poco di calma: Salvatore Cammaroto saltò giù dalla
seggiola e spiegò il disegno che aveva in testa alla sua signora.

--Prima di sciogliere le campane, bisogna star a vedere se
l'_Associazione Costituzionale_ e il grande partito moderato vorranno
poi accettare il _verbo_ dello Zodenigo....

--Il partito moderato?--brontolò l'avvocato Gian Paolo.--Un branco di
pecore!... La _Costituzionale_? Un'accademia!

--Bisogna mettersi d'accordo con tutte le associazioni liberali e
democratiche--continuò il Cammaroto, cercando cogli occhi Peppe
Casiraghi, e senza badare affatto al Serbellini;--bisogna guadagnar
terreno a Panigale, nel cuore del collegio, nel tabernacolo dei nostri
nemici!... bisogna far lega cogli altri giornali del partito, per
un'azione comune: bisogna in fine raccogliere tutti i nostri suffragi
sopra un candidato di valore... da contrapporre al candidato _dei
valori_....

--Bene!

--Bravo, Salvatore!

--....un uomo--concluse il Cammaroto dopo aver riso del proprio
frizzo--un uomo la cui vita sia tutta un esempio e valga un programma;
il cui nome rappresenti il labaro trionfante dell'onestà e del
patriottismo: _in hoc signo vinces!_

--Oh finalmente!... Queste sono idee! esclamò la signora Apollonia!

--Queste sono idee, evviva!--ripetè come un'eco il Casiraghi.

Ma gli amici invece stringevano le labbra e scrollavano il capo:
l'avvocato Gian Paolo fischiettava, battendo il tempo sul palmo della
mano col fascio di carte; poi tutti insieme tornarono daccapo a dar
consigli e a spronare il Cammaroto.

"Non c'è tempo da perdere!... La _Colonna di fuoco_ deve mettersi
alla testa del movimento; aprire la lotta con un attacco a fondo;
abbassare, distruggere il Barbarò; smascherare, sventare le trame...
_amministrative_ dello Zodenigo!... Deve sperdere la camorra degli
affaristi, dei corrotti e dei corruttori che stende le sue reti da
un capo all'altro di Milano; deve mettere a nudo coraggiosamente,
audacemente le magagne dei nuovi ricchi arruffoni e...."

A un tratto tutte quelle brave persone si calmarono come per incanto,
sentendo bussare all'uscio dell'ufficio.... Ma non era altro che un
fattorino dell'_Unione Operaia_, con una lettera per il Direttore della
_Colonna di fuoco_, in cui veniva invitato particolarmente ad una
adunanza indetta per quella sera medesima dalla Presidenza dell'_Unione
Operaia_, insieme col _Consiglio Direttivo_ della _Lega Democratica_,
"allo scopo di prendere gli opportuni concerti e deliberare in
proposito alla prossima elezione politica del Collegio di Panigale."

--_Alleluja! Alleluja!_--esclamò festante il Cammaroto, appena ebbe
riletto l'invito ad alta voce.--Così va bene; riunirsi per andare tutti
d'accordo...: _Virium concordiam sequitur victoria!_... Ed ora, amici
miei, lasciatemi in pace!

La signora Apollonia a queste parole tirò un sospirone di sollievo.

--Ho da scrivere tre altri articoli per il giornale; una _rassegna_
critica sui _Quadri fisiologici_ del Büchner e, in fine, alla vigilia
delle grandi lotte bisogna ritemprare le forze nel riposo della mente,
nella tranquillità salutare dello spirito!

Chi, proprio, la tranquillità salutare non poteva più averla,
era Pompeo Barbarò. Ogni ora che passava gli portava una nuova
inquietudine, un nuovo timore. Pochi si mettevano a discorrere con
lui dell'elezione di Panigale; pochissime erano le strette di mano
gratulatorie.

Gli altri giornali moderati di Milano, come la _Perseveranza_, il
_Corriere_, il _Pungolo_, se non si erano schierati subito contro il
suo nome, tuttavia avevano giudicata la candidatura del _Moderatore_
una _candidatura-sorpresa_, e si tenevano in un gran riserbo. Il
Barbarò lo aveva capito, ne era mortificato e montava sulle furie
contro lo Zodenigo, che gli aveva promesso _a priori_ "l'appoggio
unanime di tutta la stampa _libeeale-modeeata_!"

--Sto fresco, se aspetto l'appoggio unanime--borbottava il signor
Pompeo.--Mi odiano tutti perchè mi invidiano e mi temono!... Com'è
basso... com'è cattivo il mondo!... Appena un pover'uomo riesce a forza
di lavoro e d'intelligenza ad innalzarsi un poco sugli altri, subito si
cerca di tagliargli le gambe!

Ma se il dispetto lo rodeva, l'interna inquietudine lo accasciava.

--_È lunga la via di Damasco?_--ripeteva poi tra sè, pensando
all'articoletto del Cammaroto.--Che cosa avrà voluto dire quel sudicio
ricattatore?... Mah!... Non ne capisco un'acca!

Per altro s'egli non capiva l'allusione biblica, l'accenno alla
prudenza gli faceva indovinare il succo della minaccia.

--_Convertirsi alla prudenza?_... Chi sa, chi sa, che cosa andranno a
pescare, a rimuginare il padre Salvatore e compagnia!... Maledetto quel
poetastro scilinguato!... In che vespaio m'ha messo per la smania _di
affermare il suo giornale_! Ma... e se invece il professore Zodenigo
l'avesse fatto apposta?... Se fosse stato comperato dai miei nemici per
rovinarmi?

E oltre alla _Colonna di fuoco_, Pompeo Barbarò aspettava e leggeva con
ansia tutti gli altri giornali avversari; ma dopo l'articoletto del
Cammaroto, nessuno aveva più parlato della sua candidatura.

Anche _quegli altri_ stentavano a risolversi.... C'era la discordia
nel campo d'Agramante: chi voleva addirittura un candidato radicale;
chi invece riputava più utile un rappresentante della _sinistra
monarchica_. La _Lega Democratica_ e l'_Unione Operaia_ proponevano un
nome, e si ostinavano per farlo accettare: i _Reduci_ e il _Fascio_ ne
sostenevano un altro con pari calore. Finalmente, per acquetare gli
animi di tutti, si stabilì di non darla vinta a nessuno dei contendenti
eleggendo un terzo candidato, che all'ultimo momento fu proposto da
Salvatore Cammaroto fra gli applausi di tutta l'assemblea.

Per altro, volendo essere sinceri, bisogna dire che non era stato il
Cammaroto che avea pensato per il primo a quel nome così illustre
e simpatico, no; ma invece era stato suggerito in un orecchio
al direttore della _Colonna di fuoco_ dall'avvocato Gian Paolo
Serbellini, il quale a sua volta c'era arrivato solamente dopo un
discorso che gli era stato fatto dal nipote di un certo Nicola Mazza,
banchiere milanese, che da molti anni, scampato per miracolo dalle
segrete austriache, si era rifugiato e continuava a vivere a Londra.

--Se fosse proprio vero!... Se il Barbarò fosse proprio una
spia!...--pensava l'avvocato--che figura barbina ci farebbero il
_Moderatore_ e la _Costituzionale_!... E gli avversari che gli
contrappongono il fratello di una delle vittime?!... Che fracasso
deve succedere!... E che colpo, che vergogna per il _partito delle
livree_!... Non vogliono saperne della gente onesta?... Ebbene si
godano le spie per loro candidati!...

In quanto a Salvatore Cammaroto, appena egli ebbe sentito il nome
che gli proponeva il Serbellini non pensò più, di primo colpo, nè al
Barbarò, nè al _Moderatore_; abbracciò l'avvocato; poi cominciò a
correre come un matto su e giù per lo stanzone saltando e battendosi
la fronte, e rimproverandosi perchè quel nome non era venuto in mente
prima a lui, a lui solo!... In fine si fermò dinanzi alla signora
Apollonia, la fissò un momento negli occhi e scoppiò in lacrime.

"È il mio più diletto amico!... Il mio fratello d'armi e di fede!"
continuava a gridare il Cammaroto, mentre la signora Apollonia senza
commuoversi, seria, impettita, andava in giro per l'ufficio, in cerca
del fazzoletto turchino. "È un apostolo, fra i più illuminati e
operosi, del patrio vangelo!... È un'anima serafica nel petto di un
Arcangelo; è uno di que' pochissimi, _rari nantes_ nel mare putrido
di Sodoma, che attestano alle genti scadute come l'uomo sia stato
creato a immagine di Dio!..." Poi si avvicinava a Peppino Casiraghi
che lo guardava attonito cominciando pure a intenerersi per ispirito
d'imitazione, e stringendogli le mani lo assicurava che quella scelta
doveva essere l'_Arca dell'Alleanza_, il _gomor_ della vittoria, e
in fine passando dalle lacrime al riso tornava a correre presso la
signora Apollonia promettendole con una risata di compiacenza che gli
rischiarava la faccia e gli allargava il petto, che quel nome avrebbe
fatto più colpo di dieci, di cento cannonate!

E in tutto il giorno Salvatore Cammaroto, infervorato, continuò ad
agitarsi e a predicare a onore e gloria del suo candidato... poi la
sera, appena lo ebbe proposto all'assemblea dei sodalizi democratici,
e lo sentì accogliere da una salva d'applausi, tornò a commuoversi,
a piangere nel bel mezzo del suo discorso, e in fine, quando sciolta
l'adunanza si presentò alla sua signora che in compagnia di Peppino
Casiraghi lo aspettava, sonnecchiando, al _Caffè delle Tre Rose_,
di faccia alla casa dove avea avuto luogo la riunione, era pallido,
sfatto, col viso ancor molle di sudore e di lacrime.

--_Sursum corda!... Sursum corda!..._--balbettò abbracciando
l'Apollonia....--È stata una serata memorabile! Le _Pentecoste_ del mio
sacerdozio politico!

--Dunque--domandò la signora alzandosi e accomodandosi lo scialle per
uscire--Il tu' omo è stato accettato?

--Fra l'esultanza, mia cara, fra l'esultanza e gli osanna del popolo
eletto!--Così dicendo, e dopo aver fatto una grande scappellata al
proprietario del caffeino, offrì il braccio alla moglie e uscirono,
passando come al solito per il Corso, prima di ridursi a casa.
Salvatore Cammaroto andava sempre col collo torto e col naso in su,
tenendo, per abitudine fratesca, le mani contro il petto, nascoste
l'una sull'altra dentro le maniche, mentre salutava tutti affabilmente,
e parlava ad alta voce col Casiraghi; la signora Apollonia più grande,
più grossa, più larga del marito, se lo teneva stretto sotto il braccio
all'ombra del cappellone magnifico, e camminava fiera, come se portasse
attorno il Direttore per spaventar la gente.

Pompeo Barbarò non seppe il nome del candidato che gli avevano
contrapposto altro che alla mattina dopo; ma il colpo fu così forte
che traballò, come se avesse ricevuta una mazzata sul capo, e rimase
molto tempo oppresso e sbalordito. In fine, quando riuscì un poco ad
orientarsi, corse ancora tutto stralunato dallo Zodenigo.

--Sono rovinato... è un tiro assassino che mi vogliono fare!...
Professore, professore... trovate modo d'impedire uno scandalo... a
qualunque costo... fate che possa ritirare la mia candidatura... non
voglio più saperne!

Lo Zodenigo, che per la prima volta non si era alzato dalla sua
poltroncina presso lo scrittoio per salutare il Barbarò, rimase freddo,
impassibile davanti a tanta agitazione.

--Caro amico,--gli disse poi lentamente, soffiando ancora più del
solito,--voi... non mi avevate detto tutto!

--Ma... sono calunnie....

--Allora... se proprio sono calunnie... e potete provarlo, è un altro
paio di maniche.

--Ma... provarlo....

--Non potete... provarlo?--e l'occhio nero dello Zodenigo pareva
volesse penetrare in fondo all'anima del suo interlocutore.

--Sicuro che... se volessi.... In ogni modo... vi ripeto... desidero
ritirare la mia candidatura, per non aver noie!

--Se vi ritirate in questo momento siete _peeduto_ e _peer_ sempre...
ricordatelo bene.

Pompeo si sentì tremar le gambe e si appoggiò con una mano allo
scrittoio.

--La vostra rinuncia... ora... sarebbe la più esplicita conferma delle
voci che corrono.... Certo... se io avessi saputo... se avessi potuto
supporre... non vi avrei certo consigliato un passo simile....

A questo punto la freddezza dello Zodenigo che fissava cogli occhi
immobili il Barbarò diventava aspra... quasi minacciosa.

--Facciamola finita!--balbettò allora Pompeo con voce soffocata,
ma pure con un certo piglio di risolutezza che gli era dato dalla
disperazione,--facciamola finita... sono nelle vostre mani... accetterò
tutte le vostre condizioni!

Lo Zodenigo tornò a soffiare chiudendo le palpebre e stirandosi sulla
poltrona.

--Prendete una seggiola, _caao_ cavaliere.... Prendete una seggiola e
accomodatevi.

Pompeo accasciato, avvilito, prese la seggiola che gli era stata
indicata e sedendo e guardando a sua volta lo Zodenigo con una
espressione supplichevole, balbettò sospirando:

--È un anno terribile, questo, per me.... Mi sono anche rovinato mezzo
coi fondi turchi.

L'altro sorrise storcendo le labbra: "Diamine! quel furbacchione del
sor Pompeo piangeva miseria per poter lesinare sul prezzo!"




IV.


Salvatore Cammaroto presentò e raccomandò agli elettori la candidatura
Alamanni con un inno biblicamente immaginoso di ammirazione e di
amore. Prima d'incominciarne la lettura avea detto rivolgendosi alla
moglie:--Questa volta, cara _Polonnì_, abbiamo intinta la penna
nel core!--E non rideva di compiacenza, ma dietro gli occhialetti
ingrossavano le lacrime; era sudato, ansante, come se l'articolo lo
avesse scritto correndo.

E in fatti quella lunga vita intemerata di cospiratore e di soldato
era narrata efficacemente coi più smaglianti colori. Il Cammaroto
lodava il carattere di Francesco Alamanni, "più limpido e terso della
gemma di Sabaoth;" ne levava a cielo "le virtù della mente e del
cuore, la illibatezza dei costumi, la salda fierezza dell'animo, e
l'eroismo provato in cento battaglie... mentre dal suo occhio ceruleo,
che ricordava quello del Messia novissimo dei due mondi, spirava una
dolcezza serena, un senso di bontà femminilmente gentile." Insomma, in
Francesco Alamanni "c'era il cuore di Leonida nel petto di Arnaldo;
la soave amorevolezza di Tobia congiunta alla severa fortezza, allo
spirito indomito di Savonarola." E in tutto l'articolo non accennava
menomamente nè al Barbarò, nè al _Moderatore_. Soltanto nella stretta
finale ammoniva i "_banchettanti_ della politica, i profanatori e i
trafficanti dei sacri ideali della patria, che il nome di Francesco
Alamanni doveva risonare terribile come la voce profetica di Daniele;
come il _Mane-Techel-Phares_, precursore miracoloso della vendetta di
Jehova."

Ma gli entusiasmi del Cammaroto e i raffronti poetici e le minacce
non facevano molta impressione sopra i lettori positivi, cui stava
particolarmente a cuore il buon ordinamento della cosa pubblica. Essi,
invece, si lasciavano convincere assai più volontieri dalle ragioni
pratiche dello Zodenigo, il quale scalzava destramente Francesco
Alamanni, pur riconoscendone i meriti patriottici, per non andare
contro il sentimento pubblico; e che senza stare a ritessere le lodi
già prodigate al Barbarò, si ristringeva a mostrare la convenienza che
avevano i _moderati_ di sostenerlo, così per l'utile del collegio come
per l'onore del partito.

"Dobbiamo imitare gli Inglesi" diceva il _Moderatore_, "gli Inglesi
il cui esempio ci era spesso additato dal Conte di Cavour. Nel forte
congegno del parlamentarismo britannico non solo ogni sentimento di
antipatia, oppure di amicizia, ma persino ogni ragione di aspirazioni e
di giudizi individuali rimane vinta dalla ferrea disciplina del partito.

"A Panigale il Barbarò ha incontrato subito molto favore....
Arrischiando ora un altro nome alla sorte cieca delle urne, parecchi
elettori voterebbero ugualmente per l'egregio e noto gentiluomo
che gode le aderenze e presenta i reali vantaggi di un _candidato
locale_.... Quindi lo scandalo di una lotta intestina.... Quindi, e per
naturale conseguenza, il trionfo quasi certo del candidato avversario,
il quale, mantenendosi i nostri concordi e compatti, non avrebbe
alcuna speranza di buon successo.

"Infatti i _sinistri_, i _rossi_ di tutte le gradazioni, dal
rancio tenue al _sangue di drago_, su chi mai hanno rivolto i loro
suffragi?... Quale il nome che gli avversari nostri, i più accaniti, e
perciò i meno prudenti, portano già sugli scudi, framezzo al baccano
del loro entusiasmo strampalato e assordante come il _zun-zun_ che
precede le processioni dei preti... e dei _frati_?

"È un nome certamente illustre. Un nome caro a tutti gli Italiani e
che noi appunto per un sentimento di rispetto e d'amore non vogliamo
ancora compromettere.... fino a che la candidatura offerta non venga
formalmente accettata.

"....Sinceramente devoti verso le più simpatiche figure del nostro
risorgimento, sarà sempre a malincuore che scenderemo in campo per
combatterle; e se mai ci fosse concesso di rompere le barriere e
di avvicinare questi bei legionari delle nostre aquile vittoriose,
vorremmo dir loro, coll'effusione più sincera dell'animo: 'Ascoltate
la voce del popolo che s'innalza fino a voi nell'umiltà sapiente del
proverbio e ripetete... ripetete colla mente, ripetete col cuore:
_Dagli amici mi guardi Iddio!_...'"

In que' giorni l'ufficio della _Colonna di fuoco_ restava aperto
fino alla sera tardi; perciò, dopo uscito l'articolo dello Zodenigo,
capitarono in direzione i soliti amici, condotti dall'avvocato Gian
Paolo, gridando accalorati e con in tasca una copia, ciascuno, del
_Moderatore_.

--Hai letto, Salvatore!

--Hai letto?... Un capolavoro di perfidia!

--C'è dentro tutta la tristizia e la furberia dello Zodenigo!

--Che Zodenigo!... Che Zodenigo!... Non è capace lo Zodenigo di
scrivere in quel modo!

--È farina del Carpani!

--Lo Zodenigo ci avrà messo le virgole.

--E qualche punta avvelenata!

--Sia di chi si sia, è certamente un articolo molto destro.

--Bisogna rispondere subito, Salvatore?

--E senza pietà, senza misericordia!

--Bisogna dar fuoco alla miccia, e tirare le prime cannonate,--esclamò,
alla sua volta, Peppino Casiraghi avvicinandosi alla signora Apollonia
la quale, più che mai imbronciata, aveva un bel brontolare che il
direttore non aveva bisogno di consigli e che bisognava lasciarlo in
pace: nessuno più l'ascoltava. Volevano che Salvatore si mettesse
subito a scrivere la risposta.

Il Cammaroto, in tutto quel tempo, avea seguitato a camminare su e
giù per lo stanzone, meditabondo, con la testa bassa, senza mai dire
una parola.... A un tratto si avvicina allo scrittoio... prende un
telegramma da un mucchio di lettere e di giornali, lo incolla sopra un
foglietto di carta e vi aggiunge in fretta, e restando sempre in piedi,
alcune righe.

--Leggi questo, Polonnì!--disse poi quando ebbe finito di scrivere,
rivolgendosi alla moglie. E mentre tutti gli altri circondavano curiosi
la signora Apollonia, egli tornò a passeggiare su e giù come prima,
fregandosi forte le mani, per calmare i nervi.

Il telegramma era di Francesco Alamanni che dichiarava di accettare
l'offertagli candidatura, "pronto sempre a sacrificare i propri
ideali sull'altare della Patria, finchè rimarranno incompiute la sua
indipendenza e unità."

"A tali nobilissime parole, che valgono assai più di qualunque
programma," aveva scritto sotto il Cammaroto, "noi non ci sentiamo
core, per oggi, di aggiungere nulla di nostro. Sarebbe un scemarne
l'impressione forte e serena.... Ci sembrerebbe di commettere un
sacrilegio.

"Solamente a quel furbo pazzerellone del _Moderatore_, che alternando i
_bons-mots_ colla perfidia, accusa noi di fare della rettorica per aver
campo di sparare i suoi razzi da fiera.... e da mercato, rispondiamo,
nella prosa più modesta, che gli scudi sui quali porteremo e coi quali
difenderemo il nostro candidato, il candidato dei _liberali onesti_
(diremo così per segnare nettamente le due linee di battaglia) non
saranno mai gli scudi... da cinque lire!..."

Da questo momento, come si vede, la lotta che si era accesa a
Milano per la conquista di Panigale si faceva più viva fra due soli
combattenti: la _Colonna di fuoco_ e il _Moderatore_. Gli altri
campioni pareva che stessero a vedere.

I giornali e le associazioni _moderate_ avevano risolto dopo la
proclamazione della candidatura formidabile dell'Alamanni, fatta dagli
avversari, a non mettere ostacolo ed anzi a facilitare la riuscita
del Barbarò, perchè questi era, se non altro, un uomo d'ordine, un
voto sicuro per il Ministero. Ma se lo subivano come una necessità
del momento, non ne erano fanatici, e a difenderlo, ad esaltarlo,
lasciavano volentieri che si mettesse in prima linea il giornale
dello Zodenigo. Dall'altra parte, invece, i giornali democratici amici
dell'Alamanni, si erano messi di malavoglia, fiaccamente a sostenere
la lotta perchè "la candidatura Alamanni, scelta bene, era stata
posta male." Essi erano un poco piccati perchè Francesco Alamanni,
essendo stato compagno d'armi del padre Salvatore, aveva mandato il
suo telegramma di accettazione, proprio alla _Colonna di fuoco_. Nè
valse a rabbonirli del tutto, nè a far loro perdonare quell'infrazione
alle regole gerarchiche la lettera che l'Alamanni stesso avea scritta
insieme col telegramma, mandandola direttamente al _Comitato elettorale
democratico_; nella qual lettera poi, più assai diffusamente che non
avesse potuto fare in un dispaccio, spiegava il concetto della propria
accettazione e i propri intendimenti politici.

Per Francesco Alamanni, tuttavia, c'era questo svantaggio di fronte al
Barbarò, che l'azione del Cammaroto rimaneva circoscritta alla _Colonna
di fuoco_. Fuori del giornale, e dove il giornale non era diffuso (come
appunto a Panigale), la sua influenza era nulla o presso che nulla. Nè
il Cammaroto aveva l'arte, e nè manco le furberie più elementari dei
bravi agenti elettorali; ma, quasi quasi, faceva più danno che altro al
proprio candidato quando predicava, infuriandosi contro "la fiaccona
generale;" anzi, una sera, ebbe la poca accortezza di dichiarare, in
piena assemblea, "che se i giovani crociati non si mettevano con più
ardore nella guerra santa," Francesco Alamanni avrebbe corso pericolo
di rimanere soccombente. Invece il professore Eugenio Zodenigo, sempre
serio, sempre composto, dimostrando sempre una sicurezza olimpica,
mentre sorrideva di compatimento "per quel povero Alamanni, esposto
dai troppo caldi ammiratori ad un fiasco inevitabile," arrivava da
per tutto colle sue cento braccia, da Milano a Panigale. Il Carpani,
che aveva paura dei radicali, come il diavolo dell'acqua santa, lo
coadiuvava nella polemica col fervore dei forti convincimenti; e a
Panigale lavorava a fil doppio Beppe Micotti il quale, subito scontata
la pena, vi era stato mandato dal padrino. Colà aveva pure un aiutante
validissimo in Don Rosario, che in quei giorni sgambettava di continuo
per la cura, promettendo un buon raccolto _di qua_ e il paradiso _di
là_ agli elettori del signor Cavaliere, e minacciando la grandine e
l'inferno a chi avesse dato il voto per quello scomunicato framassone
dell'Alamanni.

E Beppe Micotti e Don Rosario scrivevano e conferivano di continuo
collo Zodenigo, il quale pure si recava spesse volte a visitare il
collegio, intrattenendosi coi pezzi grossi d'ogni Comune, promettendo
mari e monti a nome del Barbarò, e spaventando tutti colla "questione
grave del proletariato." Prediceva colla faccia scura, che una volta
la _Sinistra_ al potere, lo sciopero, l'agitazione dei contadini si
sarebbe fatta generale, e la campagna si sarebbe sollevata "armata
mano" contro la possidenza.

--La marea monta: le _maaea_ monta! Bisogna riunire tutte le forze;
vincere, occorrendo, le proprie ripugnanze, le _poopie_ antipatie
e mandare alla Camera degli uomini d'ordine per consolidare la
_Destra_.... Ecco l'unica via se non per scongiurare, almeno per
allontanare il _peiicolo_!

Lo Zodenigo, sempre con l'aiuto di Beppe Micotti e di Don Rosario,
si era pure messo con grande impegno per costituire un comitato che
proclamasse e sostenesse la candidatura Barbarò, e ci era riuscito
pienamente. Il comitato fu detto _Degli agricoltori liberali moderati_;
pubblicò un manifesto agli elettori del collegio di Panigale,
sottoscritto da una ventina di nomi abbastanza rispettabili, che
raccomandavano l'elezione del cavaliere Barbarò, "uomo d'ordine,
devoto alla patria, alle istituzioni, e il cui ricco patrimonio era
una garanzia d'indipendenza,--esperto amministratore,--lavoratore
indefesso,--filantropo illuminato,--conoscitore dei _reali_ bisogni
del collegio,--amantissimo del pubblico bene e del progresso cauto e
ragionevole."

Da tutto ciò, com'era facile capire, la cosa si metteva abbastanza
bene per il Barbarò.... Ma questi, invece di rallegrarsene, o almeno
di mettersi un po' l'animo in pace, diventava ogni giorno più nero, e
ogni giorno, come assicurava l'avvocato Gian Paolo, gli cresceva la
tremarella. Non mangiava più, non dormiva più, non si lasciava più
vedere. Rimaneva chiuso in casa, dalla mattina alla sera, imbronciato,
rabbioso, borbottando improperi e maledizioni contro lo Zodenigo,
"quell'assassino da strada, che lo aveva uccellato per derubarlo." Ma
poi, ad ogni articolo che gli scriveva contro il Cammaroto, si mostrava
col professore quasi ossequioso, e sempre tutto sorrisi, premure e
complimenti.

--_Cooaggio!... Cooaggio!..._--gli diceva più volte lo Zodenigo,
battendogli sopra una spalla, con un sorriso tra il benevolo
e il canzonatorio, ma in cui spirava un'aria di superiorità
protettrice.--_Cooaggio!... Saete onooevole... _ Ve lo _poometto_!--e
abbassava le palpebre tornando a sorridere, in quel suo modo
particolare.

--Ah!... caro professore.... in quanto a me... lo sapete
pure,--balbettava il Barbarò, interrogandolo cogli occhiettini
spaventati,--in quanto a me... non desidero altro che... che la
burrasca sia passata!... E vi domando soltanto di non irritarlo troppo,
di non scatenarmelo contro, quel mattoide fegatoso... Lasciatelo
dire... lasciate che si sfoghi... Così la finirà più presto!

--Non dubitate.... sono un gentiluomo e farò sempre una polemica da
gentiluomo... coi guanti.

Infatti al telegramma di Francesco Alamanni, accettante la candidatura,
egli rispose, come si vantava, conservando _la forma_ e _la misura_.

"Facciamo il saluto delle armi al nostro illustre avversario, dolenti
che l'accanimento di un partito affatto sprovvisto di idee pratiche di
governo e in cui certo non vi ha grande abbondanza di statisti, non
abbia esitato a trascinare in una lotta ingloriosa un bravo soldato, un
carattere indubbiamente integerrimo."

E così, cominciato l'attacco, il _Moderatore_ proseguiva più spedito
all'assalto.

"_Alea jacta est_.... (scriveremo latino anche noi, visto che il
latino minaccia di diventare la lingua ufficiale dei nostri avversari)
_Alea jacta est_... e discutiamolo subito, come uomo politico,
come _legislatore_, il signor Francesco Alamanni. Discutiamolo
_educatamente_, ma per lungo e per largo, quantunque i democratici
abbiano questo di comune coi clericali... la proclamazione
dell'infallibile, anzi degli infallibili, perchè non si accontentano di
un papa solo, ma fanno papa 'Ogni villan (_pardon!_) che _parteggiando_
viene!'

"Discutiamolo dunque, come uomo politico, questo candidato,
scelto e proclamato proprio all'ultimo momento, e che per ciò,
volendo rispondere a chi ci accusava di aver presentata una
_candidatura-sorpresa_, potremo chiamare, alla nostra volta, il
_candidato della disperazione_!.... Discutiamolo e cominciamo dal
chiedere, a chi ce lo sapesse dire: Chi è?... Che cosa vuole?... Che
cosa farà?...

"_Chi è?_... Un onorevole superstite della gloriosa _rettorica_
del _quarant'otto_... che contribuì a fare l'Italia, ma che adesso
basterebbe da sola a disfarla.

"Un vecchio mazziniano, onestamente convinto, un ingegno superiore...
ma sempre nelle nuvole, a cui, per ciò, è sfuggita affatto l'evoluzione
moderna.

"È anche un bravo soldato...--e chi lo vuol negare? Ma dall'essere un
bravo soldato all'avere la stoffa di un buon legislatore (e sopratutto
di un _prudente_ legislatore) ci corre.... Oh se ci corre!

"Che cosa vuole?... L'impossibile.--Che cosa farà?... La confusione,
il disordine, preludiando, a forza d'ideali, e sempre in buona fede,
magari anche alla guerra civile.

"E oltre a tutto questo, un baco perfido e insidioso rode fino
alle ossa Francesco Alamanni: il baco della poesia. Cospiratore,
rivoluzionario, soldato, uomo privato e uomo pubblico, Francesco
Alamanni è stato e sarà sempre, e sopra tutto poeta; e questa è la
ragione precipua della nostra piena... sfiducia.

"....Anche noi, da giovani, siamo stati poeti, e... (perchè non
confessarlo?) abbiamo avuto la debolezza di scrivere versi!... Erano
quelli i giorni amari dell'esilio.... I giorni in cui, perseguitati
dalla bieca signorìa che imperava colle verghe e coi patiboli, miseri,
sfiniti, andavamo a chiedere, peregrinando, fra i nostri fratelli della
riva gioconda:

  La carità d'un obolo di rame!

"Sì, allora noi pure eravamo poeti, e dalla cetra ribelle usciva
l'inno audace che non vagiva querulo... saettava!... Ma adesso, dopo
la _esposizione finanziaria_ di Quintino Sella, _cessaro i canti_!
L'Italia ha bisogno ormai d'impratichirsi nell'aritmetrica e non
nella metrica.... Alla Camera non si deve fare poesia e tanto meno
tirare schioppettate o preparare barricate.... Oh, se così fosse,
noi pure voteremmo unanimi per il valoroso candidato dei nostri
avversari! Ma invece, vi saranno, fra molte altre, anche le leggi
agrarie da discutere, e vi sono i bilanci da votare... ed è per ciò
che, onestamente, raccomanderemo agli elettori di Panigale di eleggere
POMPEO BARBARÒ; l'uomo sorto dal popolo, e che conosce il popolo nelle
sue virtù, nei suoi difetti, ne' suoi bisogni; l'uomo che si è creato,
col lavoro assiduo e intelligente, un ricchissimo patrimonio, mentre
invece il signor Alamanni (sia detto col maggior rispetto) ha finito, o
quasi, tutto il suo.

"Elettori di Panigale, ricordate bene: l'Europa non è che un gran
vulcano: in questo momento una politica di avventure sarebbe fatale per
la patria.

"Votate, dunque, per POMPEO BARBARÒ.... Mandate alla Camera gente che
sa fare i conti; buoni amministratori amanti dell'ordine e devoti
sinceramente alle istituzioni.... senza l'equivoco degli ideali!"

L'avvocato Gian Paolo Serbellini e gli amici della _Colonna di fuoco_
tornarono da capo, dopo quest'altro articolo del _Moderatore_, per
cercar di scuotere maggiormente il Cammaroto. "Che cosa mai gli era
successo?" pensavano tra loro. "Pareva un altro; non aveva più la
foga d'un tempo... si mostrava tentennante... Non sapeva risolversi
a risponder chiaro, a smascherare il Barbarò e quel _gesuita_ in
guanti gialli dello Zodenigo!.. Che il frate... si fosse lasciato
conquidere?..."

Tuttavia, come le altre volte, capitarono ancora in ufficio col
_Moderatore_ in tasca; ma le loro facce parevano più lunghe, e se le
parole eran quasi le medesime, il tono era più fiacco, e avevano il
sorriso amaro, come di gente sfiduciata.

--Hai letto, Salvatore?

--Bada, Salvatore, ti lasci scappare le più belle occasioni.

--Salvatore, accetta il nostro consiglio: spara tutte le artiglierie!

--Tu non conosci Milano.... Tu non conosci Panigale....

--Guai se il Barbarò prende piede!

--Perchè non hai detto francamente che è un usuraio?

--Un ladro?!

--Devi illustrare il famoso processo dei fornitori.

--Insomma, è ora di dir tutto....

--Senza reticenze, senza ambagi, senza paura!

Il Cammaroto, come faceva sempre, camminava su e giù per lo stanzone,
senza rispondere, senza guardare in faccia nessuno; colla testa bassa.

--Potresti cominciare a buttar là, con garbo, che il Barbarò ha fatto
anche la spia,--soggiunse l'avvocato Gian Paolo, con voce melliflua.

Salvatore Cammaroto si fermò su due piedi, si aggiustò gli occhiali sul
naso, e guardò fisso l'avvocato.

--Nicola Mazza non ha ancora risposto...--mormorò dopo un momento.

--Che importa? Se il fatto non è vero, avrai sempre tempo di
rettificarlo lealmente, e se è proprio vero, come sembra, allora non
bisogna aspettare a spifferarlo che l'Alamanni sia rimasto soccombente!

--E poi,--osservò un altro della comitiva, certo Nannarelli,
ragioniere, che aveva concorso in quei giorni al posto di
vice-direttore della Banca degli Interessi Lombardi Provinciali, e che
non era stato nominato:--e poi, per mostrare quali sono i sostenitori
del Barbarò, e con quali mire lo servono, dovresti pubblicare anche la
biografia dell'onesto Zodenigo!

--Buono, quello, Salvatore!

--Scrivi, scrivi, che ebbe i _giorni amari dell'esilio_ raddolciti
cogli zuccherini delle vecchie.

--Mentre non isdegnava nemmeno di intingere nel guadagno delle giovani!

--Questa è troppo forte! Non bisogna esagerare!--esclamò il Cammaroto
rivolgendosi come scandalizzato alla signora Apollonia, che sempre
seduta immobile al solito posto, con un cappellone giallo colle gale
rosse, storceva la, bocca e sputava in terra per la nausea, mentre
Peppino Casiraghi si fregava le mani saltando sulla seggiola, e ridendo
come un matto.--Non bisogna esagerare! Io intendo di dire la verità a
tutti quanti, ma non voglio calunniare nessuno; nemmeno gli avversari
miei!

--Nannarelli non calunnia; Nannarelli dice la verità!--rispose
l'avvocato Gian Paolo mettendosi a gridare e a battere col suo fascio
di carte sul tavolino.--Ho conosciuto anch'io, due o tre anni fa, una
delle tante vittime del professore. Era una certa Rosetta, che faceva
la portinaia in _Via della Spiga_.... Il professore le fece fare
un....--ma a questo punto si fermò. La signora Apollonia, pestando i
piedi e dimenandosi dispettosamente sulla seggiola, tutta stizzita per
quella mancanza di rispetto al suo pudore, gli aveva tolta la parola.

--Un... mi avete capito!--continuò poi l'avvocato.--E subito dopo la
povera ragazza fu abbandonata.... Ma quando in appresso la Rosetta
diventò madamigella Flora, il professore tornò a frequentarla... nelle
ore ch'essa aveva libere!... Ecco, Salvatore mio: questa è la verità,
tutta la verità, nient'altro che la verità!

--Bravo Gian Paolo!

--Hai detto benissimo!--esclamarono tutti gli altri, in coro.

Il Cammaroto fremeva di sdegno.... Tuttavia era ancora perplesso;
avrebbe voluto aspettare di aver le prove in mano che il Barbarò era
proprio stato una spia, denunciando Giulio Alamanni e Nicola Mazza,
per schiacciare, con un colpo solo, lui e lo Zodenigo.... Ma d'altra
parte l'articolo del _Moderatore_, e tutto il gridare degli amici, gli
mettevano il fuoco addosso. Guardò la moglie, che rossa, scarlatta,
barbottava imbizzita per quel baccano irriverente che si faceva attorno
al direttore. Guardò Peppino Casiraghi, e vide bene dal modo come
scrollava il capo, che il cronista teneva dalla parte dell'avvocato
Serbellini.

--Che ne dici, _Polonnì_?

--Una 'annonata e non ti 'onfondere!--esclamò la signora con un'alzata
di spalle molto significativa all'indirizzo del sullodato Gian Paolo e
compagnia.

--Mi pare che da un poco in qua le riceviamo noi le cannonate... nella
schiena!--brontolò Peppino, mettendosi di malumore a correggere le
bozze.

--In fatti dicono che il fuoco della colonna comincia un poco a
raffreddarsi,--soggiunse ghignando il Nannarelli.

--Davvero?--esclamò il Cammaroto prorompendo in una risataccia di
sfida.--Dicono così?... davvero davvero? E scotendo la zazzera si
sedette di colpo al tavolino, afferrò la penna, tirò su la manica
dell'abito fin quasi al gomito, e cominciò a scrivere in mezzo alla
prima cartella, mentre la signora Apollonia gli metteva dinanzi il
bicchier d'acqua e il fazzoletto turchino:

"IL CANDIDATO DELLA DISPERAZIONE."

--Ah! Ah! Ah!... Ti garba, _Polonnì_? Il candidato della
disperazione!... Peppino!... Senti, Peppino?!... Il candidato della
disperazione! Ah! Ah! Ah!--Ma poi, finito di ridere, curvandosi sulle
cartelle, colle gote accese, colla cravattina bianca disciolta, cogli
occhi scintillanti, vuotò tutta l'anima sua, la sua collera, la sua
passione, su que' foglietti di carta, che riempiva febbrilmente, colla
velocità di uno stenografo, e che la signora, Apollonia, muta, attenta,
disponeva in ordine, uno sull'altro.

"E il Barbarò, Pompeo Barbarò, il cavalier Barbarò, il Barbarò
lattivendolo, banchiere, portinaio, appaltatore, il Barbarò
_pignoratario_; è lui, lui solo, tutto lui il _candidato della
disperazione_" scriveva il Cammaroto: "e noi dobbiamo innalzare le
nostre laudi e render grazie alla sapienza infinita e sicumerica del
_mirabolano Moderatore_, per averci suggerito un titolo così bello,
così vero, così parlante, calzante, edificante!

"_Il candidato della disperazione!_... Oh lettori miei dilettissimi,
rivolgete le pupille degli occhi vostri sulle facce sparute dei membri
epatici dell'epatica _Costituzionale_, e vi ravviserete la mestizia dei
rassegnati, lo sgomento dei paurosi, l'ira dei traditi, l'abbattimento
dei vinti!... Rivolgete, rivolgete gli sguardi vostri sui volti
contriti dei _moderati_ liberali e illiberali, e ditelo voi se quelli
e questi non sono i disperati dell'ultimo momento, che impauriti dalla
minaccia della _divisione dei voti_, spaventati dal sorgere della
formidabile candidatura Alamanni, soffocano la voce della coscienza per
l'interesse del partito, ne offendono le oneste tradizioni, ingrossando
le squadre della milizia scelta coi _Turcos_ dalla faccia di bronzo,
coi _Lanzichenecchi_ dalle granfie rapaci, e infine avendo l'acqua
alla gola, si attaccano persino al Barbarò... a questa oscena vescica
gonfiata dal _Moderatore_ per il salvataggio dei barcamenanti fra la
patria e la bottega!

"Pompeo Barbarò?... Barbarò Pompeo!... Che, prima, il Dio dei
galantuomini si copra la faccia, e poi, alla nostra volta, domandiamoci
noi pure: '_Chi è?_... _Che cosa vuole?_... _Che cosa farà?_'... questo
generoso filantropo... dei limoni marci?... Questo gnomo strozzatore?
Questo truf... faldino lombardo-veneto, sovra il cui capo, dove anche
la canizie inonoratamente celandosi, colla frode d'un Figaro, pesa
un'accusa terribile, che ci fa fremere di sdegno e di terrore?...

"Chi è costui?... Troni e Dominazioni!... È l'uomo nefasto delle
forniture militari; è l'omicciattolo nefando dell'_Agenzia di prestiti
sopra pegni in via del Pesce_!... Ma, come si chiama?... Qui sta il
busillis!... Chi lo chiama Barbetta, chi lo chiama Barbarò; non si sa
bene dei due nomi quale era quello del portinaio infedele, quale era
quello del lattivendolo fallito.... Ognuno si ricorda, per altro, che
all'epoca del _processo dei fornitori_ invece del suo, o dei suoi,
adoperava il nome di un certo Micotti, detto _Sbornia_.... A Panigale
lo chiamano anche _mercante di pellagra_... e fra tanti, è questo il
solo nome che non gli è contrastato!

"Che cosa vuole?... È presto detto: quattrini vuole!

"Che cosa farà?... Ciò che ha sempre fatto: quattrini! quattrini!
quattrini! a qualunque prezzo, per qualunque vergogna; vendendo Cristo
come Giuda, ma poi, invece di appiccarsi, _impiccando_ il prossimo coi
trenta danari guadagnati!

"Il _Moderatore_...--A proposito: il _Moderatore_ continua a non
nominarci, certamente per rispetto; ma noi lascieremo correre
liberamente il suo nome dalla penna perchè in un articolo dove
c'entra spesso il Barbarò è inutile lo studio d'evitare i vocaboli
poco puliti.... Il _Moderatore_ dunque, ebbe tra le altre anche la
portentosa idea di consigliare agli elettori di Panigale di mandare
alla Camera il Barbarò perchè.... Indovinate perchè, figliuoli
miei?... perchè alla Camera vi sono i bilanci da discutere!

"Quali bilanci, di grazia?... I bilanci, forse, di una latteria
fallita o di una qualche... suburra in liquidazione?... Oh, in tal
caso, noi pure voteremmo unanimi per il competentissimo candidato...
della disperazione!... Ma dove si fanno le leggi dello Stato, dove
dovrebbe essere raccolto il cuore e la mente della Patria, credete
pure, elettori di Panigale, che sarete assai meglio rappresentati
dalla specchiata onestà di Francesco Alamanni, che non dall'_abilità_
amministrativa del Barbarò... o Barbetta, se preferite.

"E sopratutto non bestemmiate, o professore... dei Barbarò! Non
bestemmiate, per Dio, confondendo la broda dei vostri versacci da
colascione colla più alta, colla più sublime poesia che tempera il
cuore degli eroi, che forma la grandezza della Patria! No, no, illustre
professore... di prosa fatta colla _forma_ e colla _misura_, come gli
stivali; no, no, non bestemmiate la poesia per mostrare ai popoli
che quel vostro _parvenu_ spropositante non è un poeta (canchero!)
ma un finanziere! Esponete il fatto colla maggiore semplicità, e
sarà eloquentissimo in ogni modo. Dite che mentre FRANCESCO ALAMANNI
spendeva il proprio patrimonio per il bene della Patria, il cavalier
Pompeo rubava alla Patria per arricchirsi.... Dite tutto ciò, e una
volta almeno, avrete detto anche la verità!

"....Ma, al postutto, _non te ne ingaricà_, professorello dell'anima
mia. Gli elettori di Panigale non si lascieranno commuovere certamente
dalla pomata (olio e sego) della tua prosa. Gli elettori di Panigale
non vorranno certo preferire la bancarotta all'onestà, l'astuzia
all'intelligenza, la frode al carattere, la vigliaccheria all'eroismo,
le casse di limoni marci alle stimmate sante del soldato italico, il
candidato della disperazione al candidato degli uomini liberi, il
Barbetta (o Barbarò che sia) a FRANCESCO ALAMANNI!

"Simili speranze possono appena concepire, nell'epa turgida, certi
affaristi della penna; certi esuli-dilettanti che quando noi cantavamo
messa (oh che bel latino, figliuoli miei!) fra lo scrosciare della
mitraglia, non abbiamo mai avuto l'onore d'incontrarli!... Certa gente
che mentre tuonava il cannone di San Martino e fischiavano le fucilate
di Milazzo, inteneriva le vecchie sentimentali cantando i lai di
Venezia sul mandolino.... Oppure strisciava, invasata di concupiscenza,
strisciava nel bugigattolo di una qualche portinaia che aveva la
figliuola credula e bella come il fiore di cui le avevano imposto il
nome!... E in quel bugigattolo povero e indifeso, il lupo perverso,
spendendo un pocolino di _cielo azzurro_ e di _casta luna_ confettato
d'idealismo romantico, ingannava la semplice pecorella e.... E per
uscir di metafora, diremo che il professore... della moralità, che
ci butta in faccia come una vergogna l'aver dato col cuore anche il
nome onorato alla diletta compagna della nostra vita; il professore
della _forma_ e della _misura_, la testa quadra, il fabbricatore di
legislatori... a 49 al pezzo, soddisfatto all'ombra, come le bisce, il
proprio capriccio, manda i figliuoli all'ospizio e le madri al bordello!

"Ebbene, un essere così fatto, che si sforza per scimiottare i
gentiluomini, ma che non ha mai imitato i galantuomini, può credere
ancora nel trionfo del cavalier Pompeo Barbarò, _alias_ Barbetta (o
viceversa), ma noi, no! E se il professore... dei brogli elettorali,
può far l'ingiuria delle proprie speranze agli elettori di Panigale,
noi, non faremo loro certamente quella dei nostri timori.

"E poichè ci troviamo... a Panigale, un'ultima parola, prima di finire.
Ci vien riferito che laggiù un certo figuro, avanzo delle patrie
galere, assolda elettori pel _candidato della disperazione_, al prezzo
di cinque lire... e la _minestra_.... Ci vien riferito che un certo
pretonzolo (che non butterà mai la tonaca perchè ci vive dentro e
sopra) minaccia la grandine e l'inferno per gli elettori di Francesco
Alamanni.... Ebbene, noi diffidiamo gli elettori di Panigale perchè
si guardino bene da simili insidie e deferiremo i due allievi... del
professore, al procuratore del Re.

"L'ora dei brogli, delle frodi è passata; e sta invece per suonare
quella della giustizia.

"Non le pare, cavalier Pompeo, d'essersi messo a un brutto gioco?...
_Chi troppo in alto sal, cade sovente_... con quel che segue.

"La giustizia arriva tardi, ma arriva sempre, e per non disimparare il
latino, che dà tanto ai nervi al _Moderatore_, finiremo con Orazio:

  "_Numquam antecedentem scelestum
  Deseruit pede poena dando._"

Quando ebbe terminato di scrivere l'articolo, il direttore rizzò il
capo, squassò di nuovo la zazzera, tuffò le labbra nel bicchiere
d'acqua e cercò il fazzoletto guardando la moglie, Peppino e tutti gli
amici con un'occhiata scintillante che si sciolse, come un lampo,
nel fragore di una risata.... Ma poi, appena ebbe finito di leggere,
si trovò stretto fra le braccia dell'avvocato Gian Paolo che lo
baciava commosso, mentre tutti gli altri della comitiva applaudivano
freneticamente.

Il numero della _Colonna_ col "candidato della disperazione" ebbe un
successo di vendita strepitoso. In due ore era stata esaurita tutta
l'edizione, e si dovette farne tirare una seconda. L'effetto ottenuto
poi fu il solito di tutti gli articoli elettorali pubblicati durante
il calore delle elezioni. I _moderati_ gridavano che era un'indecenza,
un libello: i _sinistri_, che era il marchio rovente per il Barbarò.
Gli uni sostenevano che tutto era falso quanto scriveva il Cammaroto:
gli altri, che era verità sacrosanta. E _destri_ e _sinistri_, erano
ugualmente in buona fede.




V.


Giulio Barbarò era ritornato da Nizza a Milano appunto in quei giorni,
essendo partito poco dopo ch'era partita anche la Mary, e fu tra i
primi a leggere l'articolo scritto dal Cammaroto contro suo padre. Fin
dalle prime righe si sentì montare il sangue alla testa, poi, pallido,
tremante, senza profferir motto, corse difilato all'ufficio della
Colonna di fuoco: voleva schiaffeggiare il direttore.

"Per Dio era troppo!... Era troppo!... Avrebbe pigliato quel manigoldo
a calci, a frustate!" Se Giulio Barbarò aveva pur dovuto persuadersi
che suo padre non si era condotto negli affari troppo scrupolosamente,
tuttavia non lo avrebbe mai potuto credere colpevole delle infamie di
cui lo accusava il Cammaroto. Perciò, oltre al dovere, si sentiva il
diritto di difenderlo e di vendicarlo. Suo padre, vittima di calunnie
atroci, riacquistava nel suo cuore tutta la stima antica e l'affetto.

"Povero vecchio!... Per mene elettorali, basse e vigliacche, gli
si erano scagliati addosso come cani arrabbiati!..." Ma lui, suo
figlio, lo avrebbe ben saputo vendicare... Per Dio, e come lo avrebbe
vendicato! Sì, sì, voleva dare una lezione a quel frate velenoso, a
quell'ispido e sudicio ricattatore!

Era sicuro che l'Alamanni, l'avversario di suo padre, onesto e
generoso, sarebbe stato il primo a biasimare quelle calunnie, a
sconfessare que' suoi amici.

"Perchè mai suo padre era andato a cacciarsi in un simile vespaio?...
Maledetta la politica!..."

Quando Giulio Barbarò giunse alla direzione della _Colonna di fuoco_
era già troppo tardi, e trovò chiuso l'ufficio. Allora, dopo aver dato
un calcio furioso contro la porta, andò a girare lungo il Corso e in
Galleria, dove gli era accaduto sovente d'incontrare il Cammaroto; ma
per quella sera, gira e rigira, non gli fu possibile d'imbattersi in
lui.

"--Si nasconde, ha paura, quel rospaccio rinnegato!..."

Invece trovò due amici, due garibaldini, compagni suoi di battaglione,
che accettarono subito di andare in suo nome, la mattina appresso,
all'ufficio della _Colonna di fuoco_, per sfidare Salvatore Cammaroto.

Dato questo incarico, e sfogatosi a lungo cogli amici, Giulio Barbarò
cominciò a calmarsi un poco. "Sì, sì... avrebbe vendicata, lavata col
sangue, la terribile offesa fatta all'onore di suo padre!..." E con
questa risoluzione nell'animo, fattosi ormai più sicuro di sè, potè
recarsi dalla Balladoro, la quale lo accolse con tante espansioni e con
tante proteste e dichiarazioni di affetto e di stima per lui, per suo
padre, da dargli subito a divedere che il numero della _Colonna_, col
_Candidato della disperazione_, era giunto a quell'ora anche in _Via
della Spiga_.

Ma dalla Balladoro, dolcissimo e caro conforto, egli trovò la signorina
Mary, che adesso doveva stare sempre collo zio anche a Milano, e
che avea ottenuto di venire con Angelica a fare un salutino a Donna
Lucrezia.

Anche la marchesa Angelica, per una favorevole combinazione, era
in quei giorni a Milano. Vi era appena arrivata da Gallarate, dove
dimorava abitualmente, per passare le feste del Natale e del Capo
d'anno vicino a Stefanuccio, ch'era stato messo nel Collegio militare.
E siccome la marchesa si trovava pure alloggiata all'_Albergo Roma_,
dov'erano anche gli Alamanni, che non avevano potuto trovar subito
un buon quartierino in affitto, così le due cugine, che dopo tanto
tempo che non s'eran più viste, si volevano sempre un monte di bene,
naturalmente stavano insieme a tutte le ore.

Tuttavia, la marchesa Angelica non aveva ancora ricevuto confidenze
dalla Mary, e non sapeva che avrebbe incontrato Giulio Barbarò da
Donna Lucrezia, quantunque avesse notato che l'amabile cuginetta aveva
insistito assai per volerci andare. Vedendoselo, per ciò, comparire
dinanzi all'improvviso, non potè a meno di sentirsene contrariata, per
il ricordo odioso di suo padre. La Mary invece, sebbene colle guance
sempre accese, sebbene parlasse e si movesse con insolita animazione,
si mostrava abbastanza disinvolta, e abbracciava la zia con certe
strette appassionate, e le dava certi bacioni grossi e scoccanti,
che il giovanotto doveva sentir risonare nel proprio cuore, come una
promessa.

--_Basème, basème_, viscere mie!--mormorava intanto Donna Lucrezia
gemendo col naso gonfio e chiuso, mentre la Filomena compariva
sull'uscio, zoppicando, e rammendando la sua calzetta, per mangiarsi
cogli occhi la signorina.--_Basème, basème_, viscere mie, a dispetto di
tutti i... i _bucefali_ del mondo!

Il buon Giulietto, quella sera, non sembrava nè timido, nè confuso
com'era di solito, e anche la marchesa, passato il primo momento,
n'ebbe un'impressione favorevole. Egli pensava che il giorno dopo si
sarebbe battuto assai seriamente, che forse... avrebbe dovuto restar
molto tempo senza più poter rivedere la signorina Mary; che forse... le
sarebbe stato cagione di nuovi dolori, di nuove angosce, e per tutto
ciò la sentiva più sua, più intimamente sua, e trovava il coraggio di
esprimerle, almeno cogli occhi, tutto il suo immenso amore. Fu ardito
al punto di trafugarle uno dei suoi piccoli guantini... voleva averlo
sul cuore quando sarebbe andato a battersi....

Poi, mentre le due cugine, sole in un _brum_, ritornavano all'albergo,
successero, fra loro, alcune spiegazioni.

--Dimmi la verità,--cominciò la marchesa,--tu sapevi di incontrare
Giulio Barbarò da Donna Lucrezia?...

--Sì, Angelica mia, lo sapevo!--mormorò la fanciulla abbracciando la
cugina con un abbandono, con un languore inesprimibile, e sospirando,
facendosi pallida.

--Mary, Mary!... è proprio per me questo bacio?--domandò Angelica
sorridendo.

--Questo... è proprio per te!--rispose la Mary dandogliene un altro.

Angelica ricevendo quel nuovo bacio si fe' pallida alla sua volta;
rispose alla stretta della fanciulla con un tremito di tutto il corpo,
e anch'essa sospirò, profondamente. Poi, come volendo scacciare
il nuovo pensiero che si era impossessato di lei, si sciolse
dall'abbraccio e le domandò con tono più grave:

--Ma... e tuo zio?... Che pensi di fare?...

--Giulio ha in animo di lavorare, di crearsi uno stato indipendente, e
appena sarà possibile ci... ci sposeremo. Lo zio, del resto, conosce
benissimo le nostre intenzioni.

E la Mary riferì alla marchesa Angelica il colloquio avuto a Nizza con
Francesco Alamanni.

--Lo ami tanto?...--domandò Angelica quando la fanciulla ebbe
raccontato ogni cosa.

--Oh sì, Angelica... tanto!

--E...--la marchesa esitava, ma poi dopo un momento, spinta
dall'affetto e dalla simpatia che nutriva per la Mary, si fece animo e
continuò a domandarle:--e... lo credi proprio degno... del tuo amore, e
dell'immenso sacrificio che sei disposta a compiere per lui!...

La fanciulla non disse una parola, ma sorrise fissando la cugina e
sfavillò negli occhi. Angelica si chinò commossa verso di lei....
Abbassò la bella testina bionda sulla testina bruna della Mary, e le
baciò le labbra rosse e fragranti come un fiore. Tacquero tutte due
lungamente; i loro occhi si fecero pieni di lacrime, il loro seno
gonfio di sospiri.

Il _brum_, che correva sobbalzando, rallentò a un tratto il monotono
frastuono e voltò adagio, per imboccare il corso _Vittorio Emanuele_.
Allora la luce più viva dei fanali e dei negozi ancora aperti, il moto
e il rumore delle carrozze e della gente, scossero un poco la marchesa.

--Chi sa--esclamò, dimostrando il più vivo interessamento,--chi sa come
il tuo povero Giulio dovrà soffrire in questi giorni....

--Assai, figurati!... Per ciò appunto ho voluto vederlo; per fargli
animo.

--Quell'omaccio non ha nè affetto di padre, nè prudenza, nè astuzia!...
Non è altro che un farabutto volgare!--esclamò la marchesa con tono
aspro e arrossendo subitamente per un impeto di collera.--Non doveva
mai arrischiare di porsi in un simile pasticcio.

--Forse chi sa,--soggiunse la Mary chinando il capo,--saran stati gli
altri a metterlo in mezzo... a ingannarlo.

--Tu, bimba mia, con queste elezioni, ti trovi proprio tra l'incudine e
il martello. Da una parte tuo zio, dall'altra.... Giulio: perchè già,
indirettamente, è in ballo anche lui. Ma quel benedetto ragazzo, non ha
nessun ascendente in casa?... Non poteva distogliere suo padre da un
passo così pericoloso?... Fargli intendere un po' la ragione?

--Che!... Il signor Barbarò sembra non fidarsi di Giulio!... Lo tratta
ancora come un ragazzo.... Lo tien sempre lontano da tutte le sue
faccende.

--Si capisce!...

--Sono così diversi. Il mio Giulio è buono.... Schietto, leale,
onesto.... Non ti ricordi a Villagardiana?...

A Villagardiana!... Angelica non rispose.... Tornò a distrarsi, e non
pensò più a Giulietto Barbarò. La sua mente corse invece al bel lago
azzurro... alla _Casina delle Romilie_... e le due giovani signore
tacquero, e si riscossero tutte due con un sussulto quando il _brum_ si
fermò dinanzi all'albergo.

La Mary, durante tutta la corsa, avea pensato a Giulio vicino....
Angelica, al Martinengo lontano. Andrea, forse un po' anche per merito
del _Ministro della Guerra_ che lo teneva sempre di guarnigione
nell'Italia Meridionale, aveva mantenuta la sua promessa: non si era
più fatto vedere da Angelica: ma Angelica, in ricambio, aveva pure
mantenuta la sua, scrivendogli tutti i giorni.

Il capitano Ippolito Redaelli e il dottor Carlo Franchi si presentarono
la mattina seguente, un po' prima delle dieci, come avevano promesso a
Giulio Barbarò, all'ufficio della _Colonna di fuoco_; si avvicinarono
al tavolino di Peppino Casiraghi, ch'era accanto all'uscio, e
domandarono di parlare col signor Salvatore Cammaroto.

Peppino guardò i due, spalancando gli occhi, poi, senza aprir bocca,
allungò la cannuccia della penna da scrivere, indicando il tavolino di
faccia.

--Salvatore Cammaroto, sono io!--esclamò il direttore ficcandosi le
lenti sul naso e alzando il capo, coi capelli e la barba arruffati più
del solito.

I due amici si avvicinarono, e fecero prima un grande inchino.

--In che vi posso servire?--domandò il Cammaroto sdraiandosi sulla
seggiola, e guardando i due bene in faccia.

In quel punto la granata, ch'era stata buttata in un angolo in tutta
fretta dalla signora Apollonia, appena aveva sentito che capitava gente
in direzione, strisciò e cadde, battendo forte col manico sul pavimento.

--In che cosa vi posso servire?--ripetè il Cammaroto.

--Ma, si vorrebbe...--e il capitano Redaelli accennò alla signora
Apollonia seduta immobile e imbronciata, come un idolo indiano, accanto
al direttore.--Si vorrebbe parlare con lei... da soli....

--Parlate pure: non uso aver segreti colla mia signora!

I due padrini fecero un secondo inchino, e il Redaelli accennò al
Casiraghi che, ficcata la penna dietro l'orecchio, e appoggiata la
spalliera della seggiola contro la parete, s'era messo tutto comodo, e
col muso in su per sentire.

--Parlate pure: non uso aver segreti coi miei collaboratori!--ripetè il
Cammaroto.

Allora il capitano Redaelli, mentre il suo compagno rimaneva muto,
mostrò il mandato che avevano ricevuto da Giulio Barbarò per domandare
una soddisfazione all'autore dell'articolo: _Il candidato della
disperazione_.

Appena ebbe udito le parole "domandare una soddisfazione" Peppino
Casiraghi ricominciò in fretta, e colla testa bassa, a correggere le
bozze.

--Soddisfazione?... Soddisfazione, la dice?--si mise a gridare
scattando la signora Apollonia.--Soddisfazione?! Il direttore ha usato
del suo _dritto_ di pubblicista!... O che, non ci ha da essere la
libertà di stampa, non ci ha da essere?...

Ma il Cammaroto, alzandosi in piedi maestosamente, e stendendo le
braccia, impose il silenzio.

--Calmati, calmati, Polonnì!...--Poi si rivolse ai rappresentanti di
Giulio Barbarò, e dopo essersi di nuovo ben fermate sul naso le lenti e
ravviata la zazzera, continuò con grande solennità di tono e di gesto:

--In teoria, noi siamo avversari aperti del duello: di questo barbaro
costume, di barbari tempi. Ma, poichè _vincere consuetudinem dura
est pugna_, come lasciò scritto sant'Agostino, e d'altra parte non
dovendosi precorrere coll'evoluzione dei fatti l'evoluzione del
pensiero, come ho scritto io medesimo nelle _Mie confessioni_ al
Padre Passaglia, pubblicato nel _Mediatore_ di Torino e riprodotte
dal _Der Staat und die Kirche_, di Lipsia, così accetto, ho l'onore
di accettare, il cartello di sfida che mi portate in nome di Giulio
Barbarò. Solamente nel caso presente dovremo pensare a trovare il modo
di conciliare il desiderio del vostro primo colle più alte prerogative
della libertà di stampa, coll'inviolabilità intangibile del sacro
ministero di pubblicista, coi miei doveri di scrittore e di uomo
pubblico.... Però vi prego in cortesia di volermi indicare il luogo e
l'ora in cui potrete abboccarvi con due amici miei, che saranno a tal
uopo delegati coll'incarico di rappresentarmi e di riferire le mie
condizioni.

Il capitano Redaelli, a nome anche del dottor Carlo Franchi, rispose
allora che avrebbero aspettato gli amici del signor direttore della
_Colonna di fuoco_, nella prima sala del _Caffè Cova_, dalle _quattro_
alle _cinque_ pomeridiane.

Salvatore Cammaroto ringraziò con un cenno ossequioso del capo, e
volle accompagnare fino sulla soglia dell'uscio i due signori che se
ne andarono dopo avergli stretto la mano, ed essersi inchinati col
più profondo rispetto all'Apollonia che invece di rispondere voltò le
spalle crucciata.

"Che vi pigli un accidente a tutt'e due!"

Chiuso l'uscio dietro ai secondi del giovane Barbarò, Salvatore ritornò
in fretta per sedersi al suo tavolo e ripigliare il lavoro che avea
dovuto interrompere, ma la signora Apollonia e Peppino gli furono
addosso con un monte di parole. La moglie, spaventata, voleva farsi
promettere dal direttore che non si sarebbe lasciato sopraffare da
quelle millanterie, che avrebbe dichiarato di non volersi battere co'
birbaccioni, e che la stampa aveva il _dritto_ di far la luce. Peppino
Casiraghi, invece, era solo premuroso di sapere chi avrebbe scelto
per padrini e come avrebbe fatto il duello, e propendeva per l'ultimo
sangue.

--Polonnì, oh Polonnì!... Per conservare al proprio nome l'autorità
necessaria per compiere, coll'aiuto del Sign.... per compiere sulla
terra qualche cosa di bene, bisogna, spesse volte, soffocare i propri
convincimenti, bisogna chinare il capo e seguire la corrente!... E
voi, Peppinuccio mio, statemi in pace e vedrete che, come san Pietro
a Malco, troncherò le orecchie a chi osa levare "la proterva mano"
sul... sulla Dea Libertà!... Ma, son già le dieci e un quarto--continuò
dopo aver guardato l'orologio a pendolo, appeso alla parete.--Presto
capiterà in Direzione l'avvocato Gian Paolo... Lui e un altro, il primo
che verrà dopo, porteranno a quei signori la mia risposta. Sebbene
sfidato, lascio a Giulio Barbarò la scelta delle armi, del luogo, e il
fissare le condizioni. Io ne metto una solamente: non voglio battermi
prima di lunedì prossimo se le elezioni saranno compiute domenica, o di
lunedì a quindici, se vi sarà ballottaggio!...

Ma, in tutta la mattina, nè l'avvocato Gian Paolo, nè gli altri assidui
della _Colonna di fuoco_, non si lasciarono vedere. Era già corsa voce
per Milano che Giulio Barbarò avea mandato a sfidare il Cammaroto;
che ci dovea essere un duello molto serio; e lo sdegno di questo
figliuolo che esponeva la vita per l'onore del padre aveva commossa
la sensibilità volubile e retorica del solito pubblico dei caffè,
motivo per cui gli amici del Cammaroto stavano al largo, non amando
d'incorrere nella impopolarità, nè d'aver brighe.

"Già" mormoravano fra loro "avean sempre predicato inutilmente, a quel
benedett'uomo, di conservare la _misura_ nella sua polemica!..."

Peppino, intanto, non vedendo capitar nessuno, perdeva la pazienza,
mentre la signora Apollonia, quantunque volesse mostrarsi indifferente,
allungava il collo ad ogni passo che sentiva nella strada per vedere
se passava dalla finestra la tuba lustra dell'avvocato. La buona donna
sperava che il Serbellini avrebbe dissuaso il direttore dall'accettare
la sfida, e in ogni modo le premeva di essere presente a tutte quelle
pratiche.

--Son le undici e mezzo.... Sono i tre quarti.... Son presto le
dodici!--diceva ogni momento Peppino Casiraghi, che pareva avesse
l'argento vivo addosso.--Ormai può star sicuro, direttore, che non vien
più nessuno!... Vuole che faccia io una corsa, per chiamare l'avvocato?

--E che ci deve pensar lei, in tutti i modi?... Lasci un po'
stare!...--borbottò la signora Apollonia, stizzita.--Ha una gran
smania, lei, di far ammazzare la gente!...

--Non arrabbiarti, Polonnì!... Peppino ha ragione. In queste faccende
non bisogna ridursi all'ultimo momento, col pericolo, magari, di non
trovar più nessuno!...--esclamò il Cammaroto alzandosi e cominciando a
spolverarsi le scarpe rotte, col fazzoletto turchino.--Adesso anderò io
stesso in cerca di Gian Paolo nostro. Se non è venuto, vuol dire che
avrà da fare, e lo troverò ancora allo studio.

E dalle scarpe, col medesimo fazzoletto, passò a spolverarsi il
cappello. Poi, dopo aver fatte alcune raccomandazioni, per il giornale,
a Peppino Casiraghi gli voleva affidare, per quel tempo che sarebbe
rimasto assente, anche la sua signora, ma questa,, che s'era messa ad
aggiustargli il nodo della cravattina bianca, e a levargli qualcuna
delle frittelle più vistose dell'abito, non ne volle sapere.

--Come?... Anche lei, sora Apollonia, vuol andare in cerca dei padrini?

--Sicuro, gua'!... E non mi tiene nè manco un reggimento di soldati!

Salvatore, con un sorriso di tenerezza indulgente, voleva persuadere
la moglie di attendere il suo ritorno in ufficio, promettendole che le
avrebbe riferito tutto esattamente, ma non ci fu verso. La signora
Apollonia gli cacciò il fazzoletto in tasca, il cappello in testa,
se lo prese sotto il braccio e uscirono insieme, per quanto Peppino
brontolasse che la cosa era sconveniente e contraria a tutte le regole
della cavalleria.

Il direttore, dunque, e la sua signora, si avviarono direttamente,
prima di tutto, allo studio dell'avvocato Spinelli. Ma allo studio
l'avvocato non c'era; e non c'era un'anima. A forza di sonare venne una
donna sulla scala, col grembiale bianco e la cuffietta, la quale non
potè trattenersi dal sorridere vedendo il cappellone smisurato della
signora Apollonia, e rispose, come aveva ordine di rispondere sempre a
chi veniva in cerca del padrone:

--Il signor avvocato è al Tribunale.

--Ci credo poco al Tribunale!--mormorò la signora Apollonia quando
furono in istrada.

Il direttore sorrise, le offrì il braccio, si cacciò le mani dentro le
maniche, e si avviò verso il Tribunale, colla sua solita andatura.

Al Tribunale nessuno aveva veduto l'avvocato Pietro Paolo Serbellini,
ma un usciere, al quale si erano rivolti per saperne qualche cosa,
tenendo gli occhi fissi, anche lui, sul cappello della signora, rispose
"di provare a cercar l'avvocato al _Caffè delle Colonne_, che a
quell'ora ci poteva essere a far colazione."

Passarono dal _Caffè delle Colonne_... l'avvocato non c'era più.

--Sarà un cinque minuti che se n'è andato!--esclamò il cameriere, ma
questi senza badare al cappello della signora che aveva già veduta più
volte...--Provino alla _Patriottica_!...

I coniugi Cammaroto si avviarono verso la _Patriottica_, ma quando
furono in fondo al Corso videro l'avvocato che attraversava la piazza
del Duomo.

Lo avevano riconosciuto dalla tuba lustra e dal grosso fascio di carte
che gli usciva dalla saccoccia del paletò.

--Eccolo, Polonnì!

--Eccola quest'anima dannata!

L'avvocato li avea già sbirciati di lontano colla coda dell'occhio, e
affrettava il passo per scansarli.

--Avvocato! avvocato!--cominciò a gridare il Cammaroto, correndogli
dietro colla moglie sotto al braccio; ma l'altro tirava di lungo più
duro che mai.

--Avvocato!

--Avvocato!--cominciò a strillare anche la signora Apollonia, tutta
scalmata.--Avvocato!

Non c'era verso di cavarsela; Gian Paolo si volse col capo, strinse le
palpebre dietro le lenti, poi fingendo di riconoscerli in quell'attimo,
si fermò facendo le più alte maraviglie.

--Oh Salvatore carissimo! Donna Apollonia, i miei complimenti!

--Siete sordo, giuraddina!--borbottò la signora ansante.

--Sordo no, ma sono intontito dal gran lavorare. È una giornataccia
disperata, come non ne capita altro che a me. Ho avuto da discutere una
causa in civile per _turbato possesso_--e mostrò il fascio di carte da
una parte.--Adesso devo presiedere un consiglio di famiglia--e mostrò
le carte dall'altra parte.--Insomma... non ho tempo da respirare.

--Buono!... E anch'io venivo in cerca di te per una piccola noia che
ho da darti!--esclamò il Cammaroto sorridendo, mentre la signora
Apollonia fissava muta l'avvocato con un'occhiataccia piena di
diffidenza.

--Sempre a' tuoi ordini...--rispose il Serbellini con un tono
pochissimo incoraggiante.

--Mi spiccio in due parole: Giulio Barbarò....

--Il figlio di _qui' ccane_!--grugnì fra i denti la signora Apollonia.

--....mi ha mandato a sfidare!

--Eh... siamo giusti...--l'avvocato strizzava l'occhio sorridendo--v'è
di che! sei proprio stato senza misericordia!... E... come hai
risposto?...

--Ho risposto che in questo caso, credendo conveniente di derogare ai
miei principii, accettavo la sfida....

Gian Paolo sospirò e si strinse nelle spalle, mentre approvava col capo.

--Al mio avversario lascio il dettare tutte le condizioni; io non ne
metto altro che una: mi voglio battere a elezioni finite.

L'avvocato Gian Paolo continuava a sospirare e a guardare il Cammaroto
con una faccia, come se gli preparasse le esequie.

--Eh... già... quell'articolo, se vogliamo... era assai violento...
forse, direi quasi, anche troppo violento.

--Senti! senti!... Troppo violento!... La mi _'anzona_, sor
avvocato?--si mise a gridare l'Apollonia, ohe cominciava a uscir dai
gangheri.--La mi _'anzona_?... S'è stato lei a metterlo su?... Se dopo
letto l'articolo, saltava come un matto e piangeva come un vitello?...

--Certo... certissimo... ho detto e ripeto... quell'articolo era un
torrente di verità sacrosante... ma forse... ci voleva in alcuni punti,
un po' più di forma!...

--Be'... adesso, non è di questo che si tratta--interruppe il
Cammaroto, ch'era pure un po' seccato per il contegno strano dell'amico
Gian Paolo.--Adesso volevo dirti che, naturalmente, avevo pensato a te,
prima che ad ogni altro per....

Ma l'avvocato, a questo punto, non lo lasciò finire, e prendendogli una
mano e premendola sul proprio cuore--grazie di questa novella prova
di amicizia, ma con te già si può parlare chiaro... ti prego... di
cercarne un altro. In affari simili, io non ci ho punto pratica. Sono
un pacifico padre di famiglia; mia moglie patisce di convulsioni; poi,
come t'ho detto--e tornò a mostrare le carte--mi mancherebbe il tempo
necessario....

--Ma...--balbettò il Cammaroto--gli è che il tempo stringe e non vorrei
trovarmi in... in impiccio....

--Perchè non ti sei rivolto al Nannarelli?... Quello è l'uomo fatto
apposta per queste cose!... È anche membro del _Tiro a segno_.

--Ma... stamattina non s'è visto neppure lui!... E poi, non so bene
dove abita....

--Non sai dove abita il Nannarelli?... Ti servo io: _Corso Venezia_,
numero _cinquantatrè_! Vai dritto, e non puoi sbagliare. Se prendi
un omnibus ti ci porta in due minuti.... Guarda, guarda che bella
combinazione!--e l'avvocato indicò al Cammaroto un omnibus, che
attraversava la piazza a non molta distanza da loro,--l'omnibus del
_Corso Venezia_ parte proprio adesso!... Se fai presto, lo puoi
raggiungere ancora....

Il Cammaroto si voltò, vide l'omnibus, si cacciò una mano sul cappello
a cilindro perchè non gli volasse via e gli corse dietro seguìto dalla
signora Apollonia ansimante, mentre l'avvocato, agitando in alto il
fascio di carte, faceva segno al conduttore di fermarsi, e continuava a
gridare:--Corri, corri, Salvatore!... I miei rispetti, donna Apollonia!

Poi quando vide l'omnibus fermarsi, e il conduttore imbarcare la
signora e il Cammaroto, respirò mormorando: "Tant'è, me la sono cavata
a buon patto!... Figurarsi, se mi volevo compromettere con quel
mattoide!..."

Nel medesimo tempo la signora Apollonia, stretta nell'omnibus,
mentre si aggiustava il cappello, che durante la corsa aveva perduto
l'equilibrio, dichiarava al marito che "se quel canchero d'un avvocato"
avesse avuto tanto ardire da tornare a ficcare il naso in direzione,
gliene voleva dir tante, da svergognarlo.

--Calmati, calmati, che non ne mette conto. Tanto o lui o il Nannarelli
per me fa lo stesso!...

La signora Apollonia tacque, ma non si calmò, e cominciò subito a
guardare i numeri delle case, cogli occhi torvi. Quando l'omnibus fu
arrivato al numero _cinquantatrè_, lo fece fermare.

--Ci siamo, Salvatore.

Scesero, e tutt'e due mormorarono con un sospiro di sollievo, quando il
portinaio disse loro che il Nannarelli era in casa:

--Almeno avremo finito di girare!...

Ma invece, povera gente, dovettero girare dell'altro, e per un pezzo!

Anche il Nannarelli, quel giorno, era pieno di faccende.

--È arrivata da Barzanò una cugina di mia moglie, e tutta la santa
mattina ho dovuto andare attorno con lei. Auf... non ne posso più!...
Ho fatto visita si può dire a tutti i magazzini del Corso. Figurati,
Salvatore, ha una figliuola che si fa sposa: non ho più fiato, nè
gambe... e non siamo alla fine! Ho appena il tempo di mangiare un
boccone lesto lesto e poi... nuovamente di servizio!... Ma s'accomodi,
signora Apollonia; e tu, Salvatore... perchè vuoi star in piedi?...
Dieci minuti, per bacco, li posso rubare anche a mia cugina!

--Ma... ho... avrei....

--Abbiamo premura anche noi!--esclamò l'Apollonia col solito fare
stizzoso. Dal preambolo essa aveva già capito che nemmeno su quello
c'era da fare assegnamento.

--Anch'io--continuava intanto il Cammaroto,--avrei una piccola
noia da darti.... _Amicus fidelis, protectio fortis_, secondo
l'Ecclesiastico...--e mentre l'Apollonia guardava di traverso il
Nannarelli, Salvatore gli prese una mano e sorridendo gli raccontò
quanto gli era accaduto, e lo pregò di volersi assumere la briga di
fargli da padrino.

--Volentierissimo... sempre a' tuoi comandi... ma... tienmi in serbo
per un'altra occasione.

--Andiamo, Salvatore--borbottò l'Apollonia tirando il marito per un
braccio.

--Sarebbe un onore, per me, signora mia, si figuri; ma dica lei se
non sono proprio disgraziato. Uno zio di mia moglie è ragioniere capo
alla _Banca del Credito Popolare_, dove il Barbarò può fare alto e
basso. Se io, come vorrei, accettassi l'incarico del nostro caro
direttore, quella canaglia, per vendicarsi di me, che sono andato a
sfidare suo figlio, farebbe perdere il posto a mio zio e.... Vedi bene,
Cammaroto... vede bene, signora Apollonia, si tratta di un padre... di
cinque figli.

--Andiamo, Salvatore!--ripetè l'Apollonia tirandosi dietro il marito,
senza badare al Nannarelli. Ma questi volle accompagnare i Cammaroto
fin sulla scala, e più li spingeva verso la porta, più si profondeva
in offerte e in complimenti, dicendo fra l'altre cose alla signora
Apollonia che, alla prima occasione, avrebbe voluto aver l'onore
di presentarle sua moglie.--Oggi è tutta sossopra anch'essa per
questo benedetto matrimonio di nostra nipote!--E sulla porta, dopo
aver fatto i più cordiali augurii all'amico Salvatore, strizzando
l'occhio e stringendogli forte la mano, gli raccomandò, se gli fosse
stato possibile, di intiepidire un pochino quel suo gran bollore
meridionale.... Il Cammaroto gli rispose con un'alzata di spalle, e se
ne andò senza nemmeno salutarlo.

--Hai sentito, Polonnì!... Anche lui come quell'altro!...

--Figli di _'ani_!...

--E adesso, chi si va a pescare?

Salvatore Cammaroto si strinse nelle spalle, e collo sgomento in
cuore d'essere abbandonato sul più bello da tutti gli amici, dai
collaboratori morali della _Colonna_, andò a battere ancora a diverse
porte, ma sempre collo stesso bel frutto.

Tizio era spiacentissimo di non poter accettare "quel grande onore
che gli voleva fare l'amico Cammaroto" ma partiva sul momento per la
campagna: aveva i buoi collo zoppino!--Caio era desolato di non poterlo
servire. Suo fratello era amicissimo di Giulio Barbarò, e non doveva
accettare per riguardi di famiglia. Un altro non voleva assumersi
l'incarico perchè era della _Congregazione di Carità_ insieme col
Barbarò; un altro perchè faceva affari colla _Banca degli interessi
lombardi provinciali_, e temeva di crearsi difficoltà per lo sconto; e
così di seguito, tutti colle più vive espressioni di rincrescimento;
tutti ringraziando dell'onore e impegnandosi per la prima occasione, lo
lasciavano in asso, compiangendolo per quella tegola che s'era tirata
sul capo; facendo cuore alla povera signora Apollonia, e raccomandando
in ogni tono, mentre gli aprivano la porta per farlo uscire "la
forma!... la forma!... la forma!..."

--Oh, Polonnì, questa gentaccia mi farà perdere la testa!...--esclamava
scorato il Cammaroto che vedeva avvicinarsi le quattro e ancora non
avea trovato i padrini da mandare al _Caffè Cova_.

--Figli di _'ani_!--rispondeva sempre la signora Apollonia colla voce
rauca e tutta rossa in viso. Era stanca, aveva sete, aveva caldo,
quantunque fosse di dicembre; e mentre schiattava di rabbia contro
quegli altri, guardava di tanto in tanto il direttore che, abbattuto,
piegava il collo sempre di più; lo guardava con un'espressione di
tenerezza, di mestizia, d'inquietudine e non aveva più testa nemmeno
per aggiustarsi il cappello che ormai le stava tutto di sbieco.

--Se fossi in te, manderei Peppino da que' du' così e farei dir loro
che noi non si vuole imposizioni. Poi sulla _Colonna_ vorrei dire le
mie ragioni all'avvocato, al Nannarelli... e a tutti quanti!

Ma dei due consigli della moglie il Cammaroto non accettò altro che il
secondo. Lasciata l'Apollonia, che non aveva più animo d'insistere
per accompagnarlo ancora, all'ufficio della _Colonna_, prese un
_brum_, si fece condurre alla Società dei reduci, dove gli fu indicata
l'abitazione del presidente, vi si recò difilato, e col mezzo suo ebbe
i due padrini che gli abbisognavano e che prima delle cinque entravano
al _Caffè Cova_. Poi, accomodata questa faccenda, scrisse la sfuriata,
come gli aveva suggerito la signora Apollonia, contro l'avvocato
Gian Paolo Serbellini, contro il Nannarelli e compagnia, chiamandoli
_leoni-conigli_, e sfogò tutto il malumore, tutto il dispetto e l'ira
sua, narrando per filo e per segno la faticosa _via crucis_ compiuta
inutilmente dall'uno all'altro, e l'abbandono in cui era stato lasciato
per egoismo, per bassezza, per viltà. E dichiarava che voleva rompere
tutti i vetri dell'ufficio "per ritemprare colle aure ossigenate
l'ambiente saturo dei loro pestiferi miasmi." "A me solo" prorompeva
il Cammaroto nel punto massimo del suo furore "a me solo _il disonor
del Golgota_" e mandava gli apostoli "sfibrati e simoniaci" dove "stava
di casa la bramosìa plebea camuffata di _gentilomeria_ accattona;
l'astuzia e la vigliaccheria mascherate di prudenza," dove "per _forma_
e per _misura_ si spacciava l'ipocrisia e il gesuitismo."

Ma in questa sua ira il Cammaroto avea fatto un passo falso, e lo
Zodenigo se ne approfittò subito, traendo occasione dall'abbandono
in cui era stata lasciata la _Colonna di fuoco_ per mostrare come
l'opinione pubblica fosse disgustata dall'intemperanze della polemica
_Cammarotiana_.

Era il primo caso in cui il _Moderatore_ si degnava rivolgere la
parola direttamente al giornale dell'ex-frate catanese; ma lo faceva
coll'aria schifiltosa d'una damina che fa una smorfia e si restringe
tutta in sè stessa, mentre sta per lasciar cadere un soldo nel sudicio
cappello di un mendicante. Compiangeva più che altro il Cammaroto
"che riusciva a lordare, ma non a ferire," e faceva intendere, fra le
eleganze dello stile compassato, che era forse ancora più matto che
non canaglia, "un _soggetto_ più da processo clinico che da processo
penale." E dichiarava pure che il _Moderatore_ "da cortese gentiluomo"
sarebbe stato ben lieto d'offrire al Serbellini, al Nannarelli e ai
loro egregi amici quella ospitalità che "l'iracondo apostolo... della
bugia" voleva infligger loro come una punizione.

"Del resto, Milano aveva giudicato. Milano, che a buon diritto
poteva vantarsi come la capitale morale e intellettuale d'Italia;
Milano la seria, la forte, l'operosa, l'onesta; Milano aveva già
irremissibilmente ripudiata una stampa senza freno e senza pudore; che
non aveva nulla di inviolabile, nemmeno le pareti domestiche, nemmeno
i più gelosi segreti della vita privata; che non rispettava nulla,
nè amici nè avversari, e contro la quale il buon ambrosiano, sulle
cui labbra scoppiettava sempre viva la satira di Carlo Porta, aveva
inflitto il marchio di un soprannome che avrebbe vissuto più del nome
vero, e che sarebbe stata l'unica memoria superstite di quella lotta
infelice, di quella polemica sciagurata:

LA COLONNA... DI FECCIA."

Infine, come se il Cammaroto ormai fosse proprio morto e sotterrato,
e di Francesco Alamanni non fosse più nemmeno il caso di discorrerne,
annunciava solennemente che "il giovedì di quella stessa settimana
(le elezioni erano indette per la domenica) alle ore 11 antimeridiane
_precise_ il cavalier Pompeo Barbarò, invitato dal _Comitato elettorale
degli agricoltori liberali-moderati_," avrebbe tenuto una conferenza
nella sala del _Teatro Sociale_ di Panigale, per intendersi cogli
elettori e manifestar loro le proprie idee intorno alla politica del
Governo e alle riforme amministrative.




VI.


Quando lo Zodenigo comunicò il proprio disegno circa un discorso
politico da tenersi a Panigale, al cavalier Barbarò, questi in sulle
prime mandò il professore a tutti i diavoli, e dichiarò che non gli
avrebbero aperta la bocca nemmeno coi ferri.

--Siete matto, professore, proprio matto da legare; più matto ancora di
quel frataccio infame!...

E a Beppe Micotti, chiamato apposta a Milano dallo Zodenigo per
ricevere ordini in proposito, e che gli prometteva una gran
dimostrazione, intimò di smettere le pagliacciate, dicendogli mille
villanìe.

Ma Beppe Micotti non si lasciava sbigottire, e il professore non si
dava per vinto:

--Vogliamo farvi _tiionfaae_ a vostro dispetto--mormorava socchiudendo
gli occhi e facendo sempre più l'addormentato.

E senz'altro, quando gli parve fosse il momento opportuno, annunziò
il discorso sul _Moderatore_, e fece affiggere per tutto il collegio
avvisi e manifesti, col giorno e l'ora della riunione, tanto che il
povero Barbarò dovette ancora piegare il capo e mettersi ore e ore per
imparare a mente tutto il discorso che dallo Zodenigo medesimo gli era
stato preparato.

"No no; un'altra volta non mi ci piglia di sicuro, quel ladro d'un
_Dulcamara_!" brontolava interrompendosi arrabbiato, mentre passeggiava
in lungo e in largo per lo studio, coi foglietti in mano. "Non mi
ci piglia più, campassi mill'anni!" Poi si fermava su due piedi e
cominciava a declamare, accompagnando la parola con gesti analoghi:

"Onorevoli signori!... Concittadini carissimi!

"Non ho preparato un discorso.... Aborro il frastuono della retorica,
la vacuità delle frasi fatte, le viete ripetizioni dei soliti luoghi
comuni!... Aborro tutto ciò che è voce e non pensiero--suono e non
idea--perchè.... (A questo punto sul manoscritto c'era una nota che
diceva: _pausa--quindi proseguire rivolgendosi verso l'uditorio
con amabile ironia_; e il Barbarò storceva la bocca per provarsi a
sorridere, e poi continuava dopo una battuta di aspetto)... perchè non
sono... oratore!... Ma che volete, signori miei?... Io mi vanto di
rappresentare il lavoro, se non l'intelligenza, e all'eloquenza delle
parole ho sempre preferito... (_nuova pausa--più forte_)... ho sempre
preferito--gridava Pompeo battendo col pugno nell'aria--ho sempre
preferito l'eloquenza dei fatti!..."

_Ci saranno applausi_--diceva una nuova avvertenza--_ma bisogna tirar
di lungo, senza ringraziare_. E Pompeo continuava: "Pure, trovandomi
in mezzo a voi, da voi cortesemente invitato, commosso nel profondo
del cuore per tante e così immeritate e inaspettate attestazioni
di affetto e di stima, qui dirò brevemente, ma francamente, in
camera _caritatevolis_....--No, bestia, _charitatis, charitatis,
charitatis_!--ripeteva, pestando i piedi, il povero Barbarò, che,
arrivato al latino, perdeva la staffa, bestemmiava e sbuffava, finchè,
sospirando, tornava un poco a calmarsi, a far di nuovo boccacce per
imparare a sorridere amabilmente, a distendere le braccia per salutare
gli elettori, e ricominciava daccapo a declamare:

"Onorevoli signori!... Cittadini carissimi!..."

Tuttavia, ad onta di tante pene, e di tante inquietudini, quando Pompeo
Barbarò fu giunto al momento difficile, all'ora del gran discorso, non
ebbe più tanta paura, tanto orgasmo ed anzi scorgendo, sotto l'atrio
del Teatro _di Panigale_, Beppe Micotti e Don Rosario fra mezzo a
tutti i suoi affittaiuoli, i suoi coloni, i suoi lavoranti che lo
guardavano impauriti e timorosi, non solo si rincorò pienamente, ma ci
trovò gusto, e si sentì commosso per quella imponente dimostrazione di
simpatia.

--_Cooaggio_... e avanti _sempee_!--gli disse piano lo Zodenigo che gli
si era messo vicino, mentre il Presidente del comitato si disponeva,
come vuol l'uso, a presentare il candidato, dall'alto del palco
scenico, all'assemblea.

Ma il Barbarò gli mostrò la propria sicurezza con un'alzata di spalle,
e appena si ristabilì il silenzio, dopo gli applausi che accolsero il
suo nome, silenzio imposto cogli zittii formidabili di Beppe Micotti e
dei fattori, il Barbarò cominciò a parlare con franchezza e proseguì
spedito, non dimenticando una pausa, un'inflessione di voce, e senza
mai inciampare, neppure nel latino.

Il trionfo fu completo. Se durante il discorso gli applausi, ai quali
Beppe Micotti e Don Rosario davano sempre lo spunto, erano stati a
stento repressi, alla fine proruppero in una vera ovazione, e il
Barbarò sudante e lacrimante fra i membri del comitato che gli si
accalcavano addosso per festeggiarlo, ubriacato dal buon successo,
avrebbe voluto aggiungere qualche parola, quasi quasi sarebbe stato
disposto a fare il _bis_.

"Che buona gente!..." e distribuiva commosso strette di mano, sorrisi,
saluti, scappellate a tutti quanti.

Se non che, mentre il Barbarò accompagnato dallo Zodenigo, dai sindaci
dei vari comuni del collegio, dal Presidente e dai membri del _Comitato
degli Agricoltori liberali-moderati_, stava per uscire dal teatro, la
scena mutò a un tratto. Dentro risonavano ancora gli applausi: fuori,
la folla si mostrava ostile, e non mancò nemmeno qualche fischio
all'indirizzo del cavaliere. Pompeo impallidì, e si strinse al braccio
del sindaco di Panigale.

--Ohi!... ohi!... Che c'è di nuovo?... Dove sono i carabinieri?...

I carabinieri erano poco lontani, ma Pompeo non si tranquillò.

"Pellagrosi maledetti!..." Confuso, sbalordito, saltò in carrozza
col sindaco, lo Zodenigo e il Presidente, mentre due o tre altri
fischi salutarono la comitiva che partiva al trotto verso la sede del
comitato, dove ci doveva essere un gran banchetto in onore del Barbarò.

--È una manovra vergognosa!... È un'altra bricconata del
_Cammaroto_!...--esclamò lo Zodenigo, rivolgendosi al sindaco che,
maravigliato e mortificato, non sapeva più che cosa dire.

Pompeo Barbarò non avea veduto, non avea capito nulla, ma non osava
chiedere schiarimenti: aveva troppa paura in corpo. In un attimo era
ripiombato dalle gioie del trionfo nell'avvilimento della sconfitta.
"E tutto si fosse fermato lì... ma dai fischi alle bastonate il passo
poteva esser breve!" pensava fra sè facendosi piccino piccino in un
angolo del landò.

--Bisogna trovar modo di _strappaae_ tutti quei manifesti
indecenti!--disse ancora lo Zodenigo al sindaco che, sempre muto, si
strinse nelle spalle.

--Come fare?--domandò il Presidente del comitato, pallido anche lui,
colla cravattina nera a sghembo, e il pioppino nuovo, troppo stretto,
che gli ballava in testa.--Come fare?... Hanno tappezzato tutto il
paese!

Infatti mentre il Barbarò nel _Teatro Sociale_ era festeggiato dai
suoi elettori, tutto il paese, e specialmente la piazza, la chiesa, il
municipio, e persino le colonne della facciata del Teatro, erano state
coperte quasi letteralmente da un'enorme quantità di avvisi rossi,
verdi, gialli, di tutti i colori, colla scritta che segue:

"Elettori di Panigale!...

"Leggete il presente dispaccio ricevuto da Londra in data d'oggi
dall'insigne patriotta milanese Nicola Mazza, colà rifugiatosi dopo
essere scampato dalle segrete dell'Austria.

"_Caro Cammaroto.--Dite pure agli Italiani che l'attuale candidato
proposto dagli avversari di Francesco Alamanni è quel medesimo
Pompeo Barbetta che nel 1849 ha fatto la spia a Giulio Alamanni e a
me._--NICOLA MAZZA."

Tuttavia avendo i carabinieri eseguito con precisione e in breve tempo
gli ordini ricevuti:--di strappare tutti gli avvisi nel collegio, e
ammonire con severe paternali i soggetti più pericolosi--la quiete fu
tosto ristabilita, ed anzi i convitati si trovarono abbastanza ben
disposti per il pranzo, e dopo la zuppa le conversazioni, rallegrate
dai suoni della _Banda Civica_, cominciarono ad animarsi, il buon umore
a farsi generale.

Ma nè la musica, nè il frastuono, nè i fumi del banchetto riuscivano a
scuotere, a riconfortare Pompeo Barbarò. Pallido, stralunato, masticava
i bocconi senza poterli inghiottire, tanto si sentiva il petto
grosso, e la gola secca. Voleva mostrarsi disinvolto, ed era confuso,
impacciato; voleva sforzarsi di sorridere amabilmente, e faceva smorfie
come se avesse avuto il mal di denti. Voleva parlare, ma non trovava
le parole. Gli pareva che il favore, che avea prima dimostrato per lui
tutto quel mondo sussurrone, si fosse raffreddato; e per darsi animo
cercava spesso con gli occhi lo Zodenigo, che soffiava e faceva la
ruota, seduto in mezzo alla tavola fra il sindaco e il Presidente del
_Comitato elettorale_. Il professore mangiava assai, ma con un appetito
composto e silenzioso, sempre eguale per tutto il pranzo. Parlava
pochissimo, e sorrideva con benigno compatimento ai lazzi di Don
Rosario, tutto rosso e rilucente, nel faccione tondo.

Nessuno avea mai osato il benchè minimo accenno alle scenate successe
fuori del Teatro, nè alla birbonata da processo del padre Cammaroto.
Solamente quando fu l'ora dei brindisi, il solito Presidente del
comitato (anche costui era un grosso fittaiuolo del Barbarò) si alzò
pel primo, e col viso smorto dalla soggezione, e la cravattina che gli
scappava dal colletto, tuonò, con voce fessa e un tantino tremante,
"contro le male arti dei sovvertitori dell'ordine pubblico le quali...
le quali... non avrebbero fatto altro, del resto, che rendere più
imponente la spontanea manifestazione della coscienza popolare!"

Ma appena finito il brindisi, mentre gli applausi scoppiavano più
fragorosi, e il Barbarò colla bocca sorrideva ringraziando e col cuore
mandava all'inferno tutti quegli ubriaconi imprudenti che avrebbero
potuto provocare qualche rumore dalla strada... e qualche sassata,
entrò in sala Beppe Micotti, si avvicinò, non osservato, per la gran
confusione del momento, allo Zodenigo, e gli bisbigliò in fretta alcune
parole all'orecchio.

Lo Zodenigo fece un atto vivissimo, per quanto rapido, e guardò
involontariamente il Barbarò. Ma questi, tutto intento a sentire un
altro brindisi, non vide il professore che, detta una parola di scusa
a' suoi vicini di tavola, uscì subito dietro al Micotti.

--Dov'è?... Dov'è?...--domandò affannato a Beppe quando furono sulla
scala, guardandosi attorno come per cercare qualcuno.

--È qui... aspetta nella corte!...--rispose il Micotti scendendo in
fretta dinanzi allo Zodenigo.

Infatti, appena furono abbasso, venne loro incontro uno dei ragionieri
più vecchi e più fidati del Barbarò. Tutto sconvolto stava per parlare,
ma il Micotti gli chiuse la bocca con un cenno, e lo fece passare col
professore in una stanzetta appartata, dove non entrava mai nessuno.

--Per Dio!--esclamò il professore, rivolgendosi ansiosamente al
ragioniere, mentre il Micotti chiudeva l'uscio....--Quando è successo
il fatto?

--Stamattina... saranno state le dieci....

--E... come ha saputo?...

--Antonio, il servitore del signor cavaliere, che stava mettendo in
ordine l'appartamento, ha udito lo sparo... è entrato in camera... ha
veduto il signor Giulio lungo disteso per terra, privo di sensi...
Anzi al primo momento, credette fosse morto sul colpo ed è corso nello
studio spaventato, per chiamar gente....

--E chi c'era con lei nello studio?...

--Nessun altro... ero solo.

--Meno male!... E... come lo ha lasciato?

--Agitatissimo. Si temeva assai per la febbre.

--E il medico?... Che cosa dice il medico?...

--Ancora non vuol pronunciarsi.... Dice che sarà un affar grave in ogni
modo.... Che la palla gli deve aver perforato il polmone....

--Il fatto, per ora, non si è saputo, fuori?...

--Per ora, no.

--È _necessaaissimo_ che rimanga sepolto... almeno finchè possiamo aver
speranza di evitare una _catastoofe_!... In caso diverso il cavaliere è
spacciato!...

--Oh per questo--interruppe il Micotti con un'alzata di spalle--vede
bene quanto effetto hanno ottenuto anche le famose rivelazioni del
frate, coi dispacci telegrafici da Londra. Un fuoco di paglia.

--Non si può dir niente, ancora. In ogni modo furono pronti i nostri a
non lasciarsi prendere.... hanno subito indovinato che quel dispaccio
non poteva essere altro che un tranello _elettooale_!... Ma se invece
adesso si sparge la nuova del tentato suicidio, tutti crederanno, anche
i più increduli, che l'accusa sia vera... si dirà che Giulio _Babaaò_
voleva ammazzarsi per non poter sopravvivere al disonore del padre,
all'infamia del proprio nome... e, in tal caso, anch'io ci farei una
figura non _toopo_... non _toopo_...--Ma a questo punto si fermò, e
dopo aver masticato una bestemmia all'indirizzo degli esaltati, ordinò
al Micotti di recarsi subito dal signor cavaliere di trovar modo di
chiamarlo in disparte, e di farlo scendere un momento, con una scusa
qualsiasi. "...E badasse bene, senza destar sospetti!"

Lo Zodenigo, rimasto solo col ragioniere, continuò a borbottare
stizzito, a pestare i piedi, e a domandargli con molta ansia:

--Mi assicura proprio che, fuori di casa, non sia corsa voce del
fatto?...

--No... si può sperare almeno. Il medico medesimo ha raccomandato, per
il primo, la maggior segretezza. Antonio è muto come un pesce... Di
me... si possono fidare... Certo per altro, che se avesse ad accadere
una disgrazia, allora... non sarebbe più possibile tenerla nascosta.

--Già... già... _sicuaamente_... ma intanto facciamo quel che si deve,
poi sarà quel che _saà_!... Se guarisce, si potrà negare tutto... si
potrà dire che si è fatto male... per accidente! In somma qualche cosa
troveremo, per tener a bada i _cuiiosi_....

Ma in quel punto si precipitò nella stanza Pompeo Barbarò che, nel
frattempo, era già stato informato di tutto dal Micotti.

--Ah, per Dio!... Anche questa mi ci voleva!... Ma la
cagione?...--domandò, pallido, ansante.--La vera cagione, si è potuta
sapere?...

Il ragioniere riferì che la sera prima era stato pubblicato, pure
a Milano, in un supplemento della _Colonna di fuoco_, il dispaccio
telegrafico di Nicola Mazza; riferì che il signor Giulio lo aveva
veduto, che ne era rimasto molto colpito e che aveva subito mandato
Antonio in cerca del capitano Redaelli e del dottor Franchi.

--Ma Antonio--continuava il ragioniere--ritornò senza aver potuto
trovare nessuno dei due. Il signor Giulio, che pareva non avesse il
coraggio di uscir di casa, scrisse un biglietto, che mandò subito,
ancora per mezzo di Antonio, al capitano.... In quel biglietto, si
crede avesse pregato il capitano, e col capitano medesimamente anche il
dottor Franchi, di correre da lui questa mattina presto; infatti...

--Ma come ha potuto sapere tanti particolari?...--domandò il Micotti,
che stava attentissimo, interrompendo a bruciapelo il ragioniere.

--Antonio m'ha raccontato tutto il.... la cosa....

--Va bene; va bene! Avanti,--esclamò Pompeo vivamente.

--Infatti--continuò l'altro--i due signori capitavano stamattina, un
poco prima delle dieci, a cercare del signor Giulio. Il signor Giulio
che era già alzato, o che forse non era nemmanco andato a letto, corse
loro incontro, li fece entrare nella sua camera, chiudendosi dentro. Il
capitano Redaelli e il dottor Franchi uscirono poi quasi subito... con
una faccia molto scura... e dovevano essere appena giunti in istrada,
quando Antonio udì un colpo di revolver, in camera del signor Giulio.

Beppe Micotti, a questo punto, si strappò un'unghia, che stava
rosicchiando da un pezzo, vizio imparato dal padrino.... Lo Zodenigo,
invece, e il Barbarò si guardarono in viso l'un l'altro, muti,
costernati. Non ci poteva esser dubbio circa il motivo che avea spinto
Giulio alla disperazione: i suoi padrini, dopo il telegramma di Nicola
Mazza, dovevano aver rifiutato di fare qualche nuovo passo verso il
Cammaroto.

In fatti, come si venne a sapere molto dopo, il capitano Redaelli e il
dottor Franchi avevano dichiarato quella mattina a Giulio Barbarò, che
non solamente non potevano accettare di far nuove pratiche verso il
Cammaroto, ma che gli rimettevano anche il mandato avuto per regolare
la prima questione, finchè un giurì d'onore, scelto all'infuori di ogni
partito politico, non avesse dichiarato falso o infondato il dispaccio
del Mazza pubblicato dalla _Colonna di fuoco_.

--Maledetto frate!... Maledetto frate!...--borbottava intanto il
Barbarò fra i singhiozzi.--E maledetto voi,--gridò poscia, a un tratto
rivolgendosi col pugno chiuso contro lo Zodenigo.--Maledetto voi, che
mi avete rovinato, che mi avete dato in mano ai miei nemici, che siete
l'origine di tutte le mie disgrazie!... Maledetto!... Maledetto!...
Maledetto!...

--Finiamola!... State zitto!... Non è questo il momento dei lagni,
delle recriminazioni!--rispose lo Zodenigo senza indietreggiare,
senza scomporsi, ma guardando freddamente il Barbarò, con un'occhiata
molto espressiva.--Ve l'ho detto _ancooa_.... Non potevo mai preveder
tutto... tutto quello che ci capita. Pensate che, con voi, mi son messo
in serio _peeicolo_ anch'io!...

--Bisogna... bisognerà... ritornare a Milano immediatamente!--disse
allora Pompeo, nel quale l'ira furibonda avea subito dato luogo a un
grandissimo abbattimento.

--Siete matto? Volete proprio rovinarvi?--esclamò con molta vivacità
il professore.--E rovinarvi non soltanto come uomo politico, ma... in
tutti i modi!... Pensate al rumore, allo scandalo, che susciterebbe la
vostra partenza precipitosa da Panigale. Sarebbe un divulgare per tutto
il mondo, quanto più preme di tener nascosto!...

--Ma... e se non si riesce a questo?... La gente dirà allora che
invece di correre presso il letto di mio figlio, son rimasto qui a
banchettare, e mi lapideranno per un altro verso. Diranno che non ho
cuore, che non ho viscere di padre!... Io, che mi farei a pezzettini,
per quel figliuolo!... Io, che ho lavorato tutta la vita per lui, per
lui solo, per vederlo ricco, grande e felice! E in compenso non ha
voluto.... non ha saputo sacrificarmi nemmeno un momento d'orgoglio!...
Invece di aiutarmi e difendermi, proprio lui, mio figlio, mi ha dato
il colpo di grazia!... Ma--e incominciò a gemere e a singhiozzare--è
proprio stato sempre il mio destino quello di seminare benefizi per
raccogliere ingratitudine!...

Lo Zodenigo cercò di quietarlo, di rassicurarlo, e gli mostrò tutte le
ragioni per le quali non si doveva muovere da Panigale, e doveva invece
sforzarsi di dissimulare, in modo non solo da non destare sospetti, ma
anzi da dissiparli pienamente, caso mai ce ne fossero.

"Accadendo una _catastoofe_," soggiungeva poi "o rendendosi
impossibile, per qualunque altra circostanza, tener nascosta la
disgrazia, allora lui per il primo avrebbe dichiarato in pubblico di
non aver voluto che in quei primi momenti lo mettessero a parte di una
_taagedia_ così terribile, per non recare un troppo fiero colpo al
suo cuore di padre... per aver tempo e modo di poterlo preparare... e
confortare!..."

--Fate voi... fate voi, caro professore: sono nelle vostre
mani--rispondeva balbettando Pompeo, il quale quando non vedeva più
scampo, montava in furore, ma poi, se intravvedeva appena un barlume di
speranza, ritornava docile e rassegnato, a raccomandarsi.

Lo Zodenigo, prendendo il pretesto di dover fare il giornale, partì
subito per Milano senza rumore. Partì col ragioniere, il quale sarebbe
ritornato la sera stessa con le istruzioni per il Barbarò.... Se avesse
veduta o ritenuta imminente una disgrazia, allora, non giovando più a
nulla la prudenza, avrebbe subito telegrafato.

Durante il viaggio, il professore Eugenio si mantenne silenzioso e
meditabondo. La riflessione, succeduta allo sbalordimento del primo
colpo, aumentava la gravità del fatto, e a mano a mano gli faceva
giudicare sempre più difficili tutti gli espedienti per poterlo tener
nascosto, o almeno per mitigarne le conseguenze.

"_Pee_ Dio!..."

Senza quel colpo di testa, le cose sarebbero andate benone, e adesso,
invece, il Barbarò era quasi spacciato, e correva il rischio di
rimetterci assai del suo credito anche il _Moderatore_.

"Sì, sì, il cavalier Pompeo aveva ragione; quel ragazzaccio sventato
mostrava di non aver gratitudine, nè _cuoee_, per chi gli aveva dato
la vita e... la borsa piena!... Come mai non aveva pensato alla pazzia
che stava per commettere?--L'idea dell'onore.--Stupido!--Non capiva,
che ammazzandosi, non faceva altro che confermare tutte le accuse
messe in giro contro suo padre?... Chi sa per altro, in che stato di
esaltazione doveva trovarsi in quel momento!... Forse i padrini col
loro contegno--minchioni!--gli avevano fatto sembrare le cose anche più
disperate che non fossero in realtà!... Avrà veduto distrutti i suoi
disegni matrimoniali... la bella bimba perduta e allora _pamfete_, un
colpo di pistola!...

"L'amore!... È un gran guastamestieri!... maledetto l'_amoee_....
e maledetti i matti!... Ma... pure... " il viso del professore si
rischiarò, come illuminato da una nuova idea:

"Se, invece di essere un guastamestieri, questa volta l'amore
accomodasse ogni cosa?..."

"Sì, sì appunto; la signorina Alamanni è la sola che ci possa
salvare.... Tutto sta che quel babbuino possa guarire, o almeno
tirar avanti per un poco!... Ma... ma come potrò fare per vedere
la signorina Mary? Suo zio, certo, non sarà molto ben disposto, per
ricevermi...."

Il modo fu più spiccio di quanto non avesse creduto: arrivato appena
a Milano, trovò la Mary e la marchesa Angelica che assistevano Giulio
Barbarò.

Tutti i giorni, quando battevano le cinque in punto all'orologio di
San Carlo, Giulio Barbarò entrava dall'Hagy (il noto liquorista del
corso Vittorio Emanuele, in faccia all'Albergo Roma) per prendere il
vermouth; tutte le sere, quando battevano le nove, Giulio Barbarò
entrava dal tabaccaio (pure sul corso di faccia all'Albergo Roma)
a prendere un sigaro; e tutte le mattine, finalmente, egli non
mancava mai, alle nove, precise, di ripassare dall'Hagy per bere
un _centerbe_... e mentre, fattosi presso ai cristalli dell'uscio,
sorbiva l'amaro dalla tazza spumeggiante, pareva che dagli occhi, fissi
ad una finestra del secondo piano dell'Albergo Roma, gli entrasse,
misteriosamente, una gran dolcezza in cuore.

Orbene, la Mary, il giorno innanzi il tragico avvenimento, dopo aver
veduto Giulio la mattina, lo aveva poi aspettato invano, dietro la
finestra della sua camera, alle cinque e alle nove.

Inquieta, agitata, e trovandosi sola coll'Angelica all'Albergo, perchè
lo zio era uscito, scrisse in fretta un biglietto che mandò a donna
Lucrezia in cerca di notizie. Donna Lucrezia, invece di rispondere,
capitò al _Roma_ affannata, scusandosi di non aver avuto _cuor_ nè
testa di far la sua solita _toilette_; e soffiando e sbuffando, col
naso intasato "...non sapeva, dove diamine era andata a pescare quel
maledettissimo _sfredoron_!" accrebbe assai, colle sue chiacchiere,
il turbamento e le pene della buona figliuola. In ultimo, quantunque
Angelica le facesse segno cogli occhi, non potè tacere, e baciandola
prima di andarsene, le spifferò ogni cosa, e della _Colonna di fuoco_,
e del dispaccio di Nicola Mazza.

--_Tute matae_... tutte fandonie... ma, intanto, chi sa, _fia_
mia, come starà quel _pôro toso_!... _Me sento per lù_ l'anima
sanguinante!... Ma la colpa è del governo... De _sto_ governo
_taconà_.... Di questo governo di nani. Permette che si pubblichino in
piazza, le cose più segrete!... Permette che si stampi sulle gazzette
tutto quanto salta in testa ai _mati_... perchè quel frate _birbon,
l'è, come se dise adesso_, un mattoide fegatoso!

Appena la Mary sentì nominare la _Colonna di fuoco_, non pianse più,
non si mostrò più tanto inquieta. Pallida, gli occhi infossati,
esprimeva, nel viso bellissimo, tutta la calma che danno le forti
risoluzioni.

Andata via la Balladoro, e appena Angelica si fu ritirata nella sua
camera, essa mandò subito un fattorino dell'Albergo a prenderle una
copia della _Colonna di fuoco_.... Cercò.... lesse ansiosamente il
dispaccio di Nicola Mazza. Allora ebbe un tremito, ebbe un singulto, ma
insieme uno slancio di pietà e di amore per Giulio Barbarò. Subito si
buttò genuflessa accanto al lettino, pregò per il babbo suo, poveretto,
per la sua mamma; poi dopo avere pregato, sempre ginocchioni, col viso
nascosto fra le mani, rimase ancora con essi lungamente. Erano i suoi
timori, era l'affanno del suo cuore, l'effusione dell'anima sua che
ricorrevano al babbo e alla mamma in cerca di coraggio, di conforto,
di consiglio... ma non di perdono. Il suo dolore era intenso, la sua
angoscia amarissima, ma pure in lei non c'era lotta. Mai, nemmeno per
un istante, dubitò che le colpe del signor Pompeo dovessero ricadere
su Giulio. Per il suo retto sentire, per la fedele tenerezza del suo
cuore, egli non era, e non doveva essere in alcun modo responsabile
del delitto di suo padre, nè tocco dalla sua ignominia. Ed anzi sentì
imperioso l'obbligo di difenderlo, di proteggerlo colle leggi sante
dell'amore, contro tutte le ingiustizie degli stolti e dei cattivi;
sentì che la sua parte di donna, di sposa, di innamorata era di
consolarlo di quell'immenso dolore. Sì; essa sola gli poteva recare il
soave balsamo della pace, e colla tenera previdenza dell'augelletta
fedele, gli doveva preparare un altro nido, la consolazione della
famiglia, un piccolo mondo ricolmo di nuovi affetti.

Ma... e perchè poi non era passato dall'Albergo alle cinque?... Perchè
non vi era passato alle nove?

E se trovandosi solo, lontano "dalla sua Mary" non avesse più la
forza di sopportare quel colpo fierissimo? Ebbene, gli avrebbe subito
scritto, avrebbe saputo lei come consolarlo. Non gli voleva forse tanto
più bene, quanto più egli era infelice?

Ma... nemmeno alle otto!... Che cosa era successo?... Doveva essere
andato a Panigale da suo padre, per supplicarlo di ritirarsi dalla
lotta... Certo, certo non poteva essere altrimenti.

Dio, Dio!... Com'erano lunghe le ore!... non passavano mai!... E se con
tanti dispiaceri avesse finito per ammalarsi?...

Insomma lo voleva vedere; gli voleva parlare: lo avrebbe avvertito, e
il giorno dopo si sarebbero incontrati da Donna Lucrezia.

Si alzò, e baciò con affettuosa devozione la miniatura della mamma
(quella stessa che la fanciulla non sapeva di dovere al signor Pompeo);
baciò parimenti una ciocca di capelli che erano del suo babbo, poi,
invece di spogliarsi per andare a dormire, accese il caminetto, si
avvolse tutta in uno scialle e si sdraiò in una poltrona, vicino
al fuoco, rimanendo così per un pezzo, cogli occhi spalancati, a
riflettere, a pensare, a temere, a consolarsi, concludendo in fine, che
se Giulio non avesse potuto vedersi a Milano, per via di suo padre,
sarebbero andati a vivere lontano... soli e felici.

Nel molle abbandono della stanchezza la fanciulla pensava a quel
viaggio con un'estasi dolcissima.... Le pene, i timori erano spariti...
La felicità traboccava dal suo cuore, l'inondava di beatitudine... e
quella felicità era il suo dovere, era la sua missione. L'amore che le
prorompeva dal cuore, che le bolliva nel sangue, era benedetto dalla
sua mamma, era consacrato da Dio.... Com'era facile.... Com'era bella
la vita!...

La candela crepitò, poi si spense. La legna era tutta consumata, e solo
i carboni accesi rischiaravano la bocca del camino con un riflesso
rossastro. La fanciulla ebbe un brivido di freddo; si strinse tutta
nello scialle, ma non ebbe forza di muoversi. A poco a poco abbandonò
la testina che le ricadde sopra una spalla... chiuse gli occhi.... Vide
ancora il suo Giulio che la guardava mestissimo, supplichevole....
Allora dal seno gonfio uscì un sospiro... sorrise dolcemente... le
labbra si schiusero... si mossero per un bacio, e così sognando si
addormentò.

Ma la mattina si svegliò prestissimo, intirizzita, e cominciò prima
delle otto e mezzo a far la posta, dietro alla finestra, ai primi e
scarsi frequentatori dell'Hagy. Fino alle nove non ebbe nemmeno il
dubbio che il giovanotto non ci dovesse venire; ma poi quando le nove
furono battute e ribattute ed egli non si mostrò ancora, tutta la
sua sicurezza, la sua tranquillità svanirono a un tratto; scrisse a
Giulio due righe, tremante, colla testa in fiamme: "Che è successo,
mio Dio?... Devo parlarti; voglio vederti subito" e gliele mandò per
il fattorino dell'Albergo, coll'ordine di non consegnare il biglietto
altro che nelle mani sue proprie del signor Giulio Barbarò.

Il fattorino partì di corsa, ma, poco dopo, ritornò ancora col suo
biglietto.

--Non si trova a Milano, il signor Giulio?...--domandò la ragazza
stupefatta.

--Sì, è a Milano; ma mi fu risposto che non poteva ricevermi.

--Gli avete fatto dire che la lettera veniva dall'_Hôtel_ Roma?

--Si figuri!... Ho parlato io stesso col servitore.

--Con Antonio?--domandò vivamente la Mary.

--Appunto: ho sentito il portinaio che lo chiamava Antonio. Mi ha detto
che il suo padrone non voleva veder gente; che dormiva ancora; che avea
lasciato ordini precisi perchè nessuno gli entrasse in camera.

La Mary, accigliata, col cuore che le batteva forte, col seno anelante,
osservava fissa il buon uomo come per scrutare e pesarne ogni parola.
Costui indovinò subito che cosa passava in mente alla signorina, e
soggiunse più piano:

--Se devo dirle la verità... mi parevano tutti sossopra in quella
casa. Il portinaio non capiva un'acca; il servitore aveva la faccia
stralunata e una gran furia di mandarmi via.... A buon conto, come mi
aveva ordinato lei, la lettera non l'ho voluta lasciare.

--Avete fatto bene.--La Mary, prese il biglietto, lo stracciò senza
aprirlo, poi andò difilato in camera della marchesa Angelica, le disse
quanto le accadeva e la supplicò perchè volesse accompagnarla fino dal
portinaio di casa Barbarò:

--Antonio mi conosce; lo farò chiamare, e sentiremo che cosa c'è di
nuovo.

Angelica si mostrava poco disposta a secondare la cugina, e voleva
persuaderla di attendere ancora un poco, di provare a scrivere un'altra
lettera; ma la Mary tagliò corto a tutte le obiezioni:

--Se tu non mi vuoi accompagnare, prendo un _brum_ e ci vado sola.

--Quand'è così... piuttosto... verrò anch'io!...

E la marchesa, contro voglia, perchè reputava l'atto sconveniente
per la Mary, e perchè le ripugnava di mettere i piedi anche appena
sulla soglia di quella casa, si arrese, affidandosi al minor male per
impedirne uno maggiore.

La Mary intanto continuava a sentirsi sempre più agitata. Aveva la
febbre di sapere... era spaventata al punto che un nonnulla, il più
piccolo incidente, sarebbe bastato per spingerla ad ogni estremo.
Immaginava che Giulio dovesse battersi in duello: che forse si fosse
già battuto... che, Dio Dio, fosse rimasto ferito!... E lo vedeva in un
letto... fasciato... coperto di sangue... morente!...

Il suo cuore non l'aveva mai ingannata, e pensava rabbrividendo che non
dovesse ingannarla nemmeno allora.

Infatti, appena le due signore furono a vista della casa del Barbarò,
scorsero dinanzi alla porta una vettura chiusa, e quasi subito un
signore uscir dalla casa e montar lesto nella carrozza che partì. La
Mary doveva conoscere bene quel signore, perchè vedendolo si sentì come
dare un tuffo al cuore, e mormorando: "Ah, mio Dio, il dottor Rodolfi!"
affrettò tanto il passo da mettersi quasi a correre.

Angelica le teneva dietro, sforzandosi di calmarla:--Chetati,
chetati!--le diceva--non sarà successo nulla... di grave; speriamo!--ma
in cuor suo cominciava pure a temere.

La Mary correva senza darle retta. Essa non sentiva, non capiva più
altro che il suo Giulio doveva essere ammalato, o ferito; che una
disgrazia gli era successa.

--Chiamate Antonio, subito!--disse al portinaio sbattendo l'uscio dello
stanzino.

--Ma...--il portinaio guardava la Mary titubante. Egli non la
conosceva. Tuttavia avea subito capito trattarsi di persona cui stava
molto a cuore il signor Giulio, e che, forse, era al fatto di ogni cosa.

--Chiamatemi subito Antonio... ditegli che c'è la signorina Alamanni
che lo vuole.

A quel nome (il nome della fidanzata del padroncino era ben conosciuto
nella casa) il portinaio alzò, istintivamente, le braccia con un atto
di sorpresa, di sgomento, di pietà.

--Sta male? Ditemi, sta molto male?...--domandò la ragazza con voce
tremante.

Il portinaio invece di rispondere scrollò il capo, uscì in fretta dallo
stanzino e corse su per le scale in cerca di Antonio, chiamandolo ad
alta voce. Allora la Mary, più esaltata che mai, invece di attendere
giù, gli corse dietro, seguita pure dalla marchesa, che in quel momento
di ansia non ebbe più testa per pensare ad altro. Attraversarono
l'anticamera, passarono in fretta tutte le stanze, chiamando sempre
"Antonio, Antonio," ma con voce più sommessa, finchè questi rispose,
aprendo l'uscio di un gabinetto attiguo alla camera del padroncino....
La Mary distinse subito, sopra un tavolino, bambagia, fasce,
filaccie... udì un lamento, e si precipitò nella camera di Giulio che,
preso dal delirio, la chiamava per nome.

Ecco in qual modo era successo che la Mary e la marchesa Angelica
furono trovate presso il ferito dal professore Eugenio quando giunse da
Panigale.

Giulio Barbarò, dopo un leggiero delirio, era passato al sopore. Di
tanto in tanto pareva destarsi... scoteva la testa sul guanciale...
apriva, sbatteva le palpebre, ma non riconosceva nessuno e lo
riprendeva subito il sonno morboso.

Nel frattempo, prima sempre dell'arrivo dello Zodenigo, c'era stata una
seconda visita del medico, in compagnia di un consulente suo amico. Fu
giudicato che lo stato del ferito si manteneva sempre assai grave: la
palla aveva perforato il polmone sinistro e si era fermata nella parete
posteriore toracica, ma per il momento non era possibile l'estrazione.

Insomma, quantunque tutte le speranze non fossero ancora perdute, i
medici non nascondevano il timore che potesse succedere la catastrofe
anche improvvisamente.

--Io non mi muovo da qui finchè c'è pericolo,--avea detto la Mary
all'Angelica.--Pensa tu ad avvertire lo zio Francesco.

E levatosi il cappello e spogliatasi del mantellino, senza versare una
lacrima, ma cogli occhi spenti e le guance inaridite dal dolore, si
sedette accanto al letto del ferito.

Angelica non tentò nemmeno di smuoverla dal suo proposito: forse essa
sentiva in cuor suo che in un caso simile avrebbe fatto altrettanto.

Scrisse invece a Donna Lucrezia perchè venisse subito, presso la
nipote, mentre lei sarebbe tornata dall'Alamanni; ma non le disse nel
biglietto di che si trattava e nemmeno le anticipò alcuna notizia circa
il fatto. Voleva prima, spaventandola un poco, imporle il segreto,
essendosi persuasa ormai anche la marchesa che ciò era necessario per
tutti.

Donna Lucrezia arrivò come un fulmine, carica d'interrogazioni; ma poi,
appena Angelica l'ebbe messa, in breve, al corrente dell'accaduto,
alzò le lunghe braccia al cielo, stralunò gli occhi, e spalancò la
bocca, ma senza profferire una parola, tanto avea paura di guastar le
cose. Solamente, quando Angelica se ne fu andata, Donna Lucrezia (che
era rimasta con Antonio nel gabinetto, senza entrare nella camera di
Giulio, perchè il medico lo aveva proibito) confidò al servitore che
anche lei "in una circostanza tremenda, in cui _ghe gera in balo el
cuor_" avea bevuto "_un goto de velèn_" e che cinque dottoroni "uno
_drio_ l'altro" l'avevano spedita. Era stata la Mary, la sua Mary
a salvarla; quel "_fior de tosa_" dalla quale i barbari del giorno
l'avevano divisa per puntiglio e per gelosia, ma senza cavarne alcun
costrutto in quanto che, adesso avrebbero dovuto finire _anca lori_,
insieme al Papa, coll'accettare i fatti compiuti. Angelica avrebbe
messo al posto _el sior Todaro_. Oh, la marchesa Angelica aveva un
tatto, un garbo, e insieme un'imponenza grande, che incuteva molta
_sugizion_ alle persone. A lei no, per altro, niente affattissimo,
perchè lei era dello stesso sangue: i Badoero, i Collalto, e i
Balladoro erano sempre stati insieme fin dai tempi della _guerra_ di
Lepanto e, di più, la marchesa Angelica era sua cugina tanto come
Collalto, quanto per via dei Castelnovo, e l'aveva vista nascere e
_venir su_ più bella d'un _fior_!... Povero _fior_, proprio _sacrificà_
nel suo profumo e nella sua bellezza; perchè _so cusin_ Alberto era "un
tiranno, una bestia, tanto quanto" che "_ghe n'aveva fate passar a sua
mugier de tuti i colori_" e che al presente, dopo un colpo che lo aveva
preso, prima alle gambe e poi anche alla testa, si ostinava a restar al
mondo a dispetto dei santi. Non si poteva più muovere; da poco tempo
aveva perduto affatto il ben dell'intelletto... Era diventato grosso,
grasso con un faccione tondo come una Pasqua; parlando, balbettava
come _fa i tati_; rideva, _pianzeva de niente_, aveva imparato a far
le calze e _tutto 'l dì_ non faceva altro, mentre lo conducevano
attorno nella sua carrozza. Che pena, poveretta, che pena, per sua
cugina, la marchesa Angelica, in _tuto_ lo splendore della gioventù!
Ma, per altro, poteva proprio dirlo, perchè Angelica, per lei, non
aveva mai avuto segreti, era una donna _indomita_ d'altri tempi e che
all'occorrenza, sapeva comandare anche alla _passion_!... E così, Donna
Lucrezia continuò a parlare, finchè la marchesa non fu di ritorno.
Antonio, allora, prudentemente si ritirò... Aveva la testa gonfiata
come un pallone.... La Mary, udito il passo e il sussurro delle vesti
di Angelica, venne sull'uscio, in punta di piedi, per sentire la
risposta dello zio.

--E così?... Che cos'ha detto quell... quel _longobardo?_--domandò la
Balladoro.

--Ha detto--rispose Angelica avvicinandosi alla Mary in atto di farle
coraggio--ha detto che se lo stato di Giulio si mantiene grave, tu puoi
rimanergli vicina, perchè, come la coscienza, anche il cuore ha i suoi
doveri.

--Bravo!... _me piase... e ghe perdono!_--esclamò donna Lucrezia,
mentre la Mary si gettava piangendo fra le braccia di Angelica. Dopo
tante ore di angosce terribili, il pianto avea trovata finalmente la
via per prorompere.

Quando, alcune ore dopo, lo Zodenigo entrò nel gabinetto preceduto da
Antonio donna Lucrezia non c'era più. Era scappata a casa per mangiare
un _bocconcin_ in fretta e in furia; tanto da reggersi in piedi. Al
professore bastò un colpo d'occhio, e poche parole fatte prima col
servitore, per venire in chiaro di quanto era successo, e approfittarne.

La marchesa lo aveva interrogato con grande premura per sapere quando
il Barbarò sarebbe giunto a Milano (non voleva correre il rischio
d'incontrarsi con lui). Egli rispose, diplomaticamente, di non avergli
detto ancora nulla del figliuolo, perchè in tal caso sarebbe certo
precipitato a Milano, destando uno scandalo; onde la rovina del
cavaliere, e di Giulio insieme, sarebbe stata inevitabile.

--Non bisogna illudersi, _signooina_!--esclamò, chiudendo prima gli
occhi gravemente, poi aprendoli e soffiando mentre li teneva fissi in
quelli della Mary--non bisogna illudersi; non c'è altro che un mezzo
per tentare di salvar la vita al figliuolo: bisogna salvar l'onore del
padre!

--Fate, fate tutto ciò che sta in voi!--esclamò la Mary congiungendo le
mani in atto supplichevole.

Lo Zodenigo s'inchinò con molta gravità e con molta degnazione, poi,
tornando a soffiare, guardò la marchesa, come per interrogarla su tal
proposito.

--Sì, sì!--rispose Angelica indovinando il pensiero dello
Zodenigo,--anche Francesco Alamanni, ormai, non crede più conveniente,
nè possibile l'opporsi, e se... e appena il signor Giulio si sarà
rimesso un poco, avrà luogo il matrimonio.

Sul viso smorto della fanciulla passò in quel punto una fiamma viva, e
abbassò confusa gli occhi, ancora pieni di lacrime.

Il professore Eugenio s'inchinò una seconda volta, esprimendo con una
mimica composta, ma efficace, i suoi voti e le sue congratulazioni.

A vederlo di fuori, non tradiva la muta e rigida impassibilità inglese,
ma internamente gongolava, e un tremito quasi impercettibile delle
labbra sottili avrebbe svelato, ad un osservatore attento, lo sforzo
fatto per reprimere la contentezza.

--Dica a Francesco Alamanni,--esclamò poi rivolgendosi alla marchesa
con solenne pacatezza e tenendo abbassate più a lungo le palpebre,
come volesse concentrare in sè tutta la mente per trovar la forma
più adatta al suo pensiero,--dica a Francesco Alamanni che i suoi
_avveesaai_ (nemici un Alamanni non ne può avere), sono costretti ad
_ammiiaae sempee_ più, da leali gentiluomini, la rettitudine del suo
_spiito_, l'elevatezza de' suoi sentimenti e la bontà squisita del suo
_cuoee_.

Ciò detto prese la manina della Mary, la strinse forte, con una
smorfia, e se ne andò inchinandosi, senza aggiungere altro per non
commettere la debolezza d'intenerirsi.

Andò prima, sollecitamente, all'ufficio del _Moderatore_, poi
nientemeno che in _via della Spiga_... da donna Lucrezia!

Il professore, in quei pochi istanti, avea già pensato e fissato bene
in mente il proprio disegno.

All'ufficio per prima cosa gli toccò una sorpresa poco gradevole: trovò
il Carpani che lo aspettava per dare le sue dimissioni. Era un'altra
conseguenza, certo affatto impreveduta per lo Zodenigo, del famoso
dispaccio di Nicola Mazza.

--Sostenere l'Alamanni,--gli aveva dichiarato il Carpani per spiegare
la propria condotta,--sarebbe in contradizione co' miei principii;
ma difendere il Barbarò ripugna troppo, ora, alla mia coscienza.
Tacere equivarrebbe ad una diserzione... però preferisco ritirarmi dal
giornalismo. Non ci vedo più chiaro!...

--E allora mettetevi gli occhiali!--aveva risposto lo Zodenigo, alzando
le spalle stizzito.--_Baloodo! Baloodo!_ I giornalisti non devono avere
altra mira che il trionfo del _paatito_: non sapete che, in politica,
il fine giustifica i mezzi?...

Il Carpani crollò il capo e non rispose. Prese fra i giornali vecchi
di cambio un numero della _Perseveranza_, lo distese sul proprio
tavolo, vi ammucchiò insieme un piccolo vocabolario _francese-inglese_,
unto e scucito; un calamaio tascabile che usava quando assisteva a
qualche adunanza; una giacchetta logora di _orleans_, che metteva
sempre in ufficio; un mezzo pettine d'osso; l'_Iliade_ di Omero; i
guanti neri, pei funerali di parata; una lettera di Quintino Sella; un
biglietto di visita di Marco Minghetti; il verbale di un duello; un
pane ed una fetta di carne fredda, avanzi della colazione: involse il
tutto nella _Perseveranza_ (era il suo intero bagaglio giornalistico:
le glorie raccolte, e i tesori guadagnati nella lunga carriera), si
cacciò il pacco sotto il braccio, e uscì dall'ufficio del _Moderatore_
più lacero e dimesso che non vi fosse entrato... con una ruga di più
sulla fronte, e molte illusioni di meno nel cuore.

"Balordo!..." ripetè lo Zodenigo, dopo averlo salutato appena con un
cenno del capo, mentre se ne andava. "Dubita forse che, per questo
incidente, il _Moderatore_ debba morire?... Balordo! È adesso invece il
momento di raddoppiare la _tiiatura_!"

Un'altra sorpresa, di diverso genere peraltro, e di ben diversa
importanza, aspettava lo Zodenigo anche in _via della Spiga_: la
scoperta di un successore alla tavola e nel cuore della vedova
romantica.

Lo Zodenigo era passato davanti al bugigattolo della portinaia senza
un rimpianto per la Rosetta, alla quale aveva fatto tanto male; senza
un rimorso per la povera vecchia, la mamma, finita di crepacuore
all'ospedale, e senza nemmeno un pensiero per l'innocente frutto dei
_canti patrii_ e sentimentali.

Altri tempi, altre cure!

Ma se il professore Eugenio era dotato di memoria labile, in cambio la
vista l'aveva buona, e entrato appena nello stanzino per domandare se
la Balladoro era in casa, osservò subito, quantunque fosse di sera,
al fioco chiarore d'un lumicino ad olio, la nuova portinaia, che era
pure belloccia, e prima d'incamminarsi per le scale le strizzò l'occhio
sussurrandole un complimento manzoniano: "Bel sangue _lombaado_!"

Arrivato sul pianerottolo, mentre stava per tirare il campanello,
si fermò sospeso: indovinò allora che aveva un successore. Due voci
giungevano ben distinte al suo orecchio, due voci, insieme cogli
accordi d'un pianoforte. Una, fessa, tremula, afona, stonata, non
c'era dubbio, era la voce di donna Lucrezia; l'altra acuta, sottile,
belante... doveva essere quella del rivale.

"Povero diavolo" mormorò lo Zodenigo sorridendo, mentre tirava forte il
campanello, "deve aver buono stomaco!"

Quasi subito sentì uno strascicare di zoccoli nell'anticamera. "Oh,
guarda!" pensò fra sè "c'è ancora quella vecchia zoppaccia che mi
faceva la guerra!"

Infatti fu la Filomena che gli aprì la porta, e al primo momento rimase
come stupefatta per quella visita inaspettata.

--Donna _Lucheezia_ sta per andare a pranzo, non è vero?

La Filomena, rimboccando il grembiule greggio, accennò di sì col capo,
fissando il professore con un'aria che, tra la meraviglia, si faceva
quasi sospettosa.

--Ebbene, non ho da dirle altro che due parole, e poi la lascio in
libertà.

Dopo la tirata di campanello il canto era cessato. La Filomena, fatto
entrare il professore, lo precedette per annunziarlo a Donna Lucrezia,
che, invece del _bocconçin_ in fretta e in furia, aveva pranzo in onore
del suo maestro di canto, il quale, aspettando che il riso fosse cotto,
le faceva ripassare la _Sonnambula_.

Al nome dello Zodenigo, proferito dalla vecchia con un tono
particolare, Donna Lucrezia si voltò scattando in piedi dal panchetto
sul quale era seduta accanto al pianoforte; si strappò gli occhiali dal
naso e li ficcò in tasca; poi, chinandosi all'orecchio del maestro (un
pezzo d'omaccione con una testa da toro, e due spalle da Ercole), gli
sussurrò in fretta, pianino:

--Fermo, tesoro, che lo faremo crepar di rabbia.

Ciò detto, ordinò maestosamente alla Filomena di far passare il
professore. La vecchia, dopo aver lanciata sul maestro una di quelle
occhiataccie che nei tempi andati erano riservate al professore,
spalancò l'uscio....

Il professore tardava a venir innanzi perchè si stava levando il
soprabito, ma Donna Lucrezia ebbe intanto un sussulto di gioia.
"_Corocochè!_" Il traditore non l'avrebbe trovata piangente come
una Didone nel salotto rimesso a nuovo e senza più nemmeno l'ombra
d'un _patacon_!... L'avrebbe riveduta, il mostro!, al fianco di una
persona di merito e di proposito, che... che non aveva gusti plebei.
In quell'attimo lanciò pure un'occhiata alla sua _toilette_: era
sfolgorante!... Guardò la tavola preparata con un'abbondanza e un
lusso insolito, con sopra due di quelle rinomate bottiglie di barolino
che davano la stura al genio dell'esule poeta, e tutto ciò mentre dalla
cucina entrava nel salotto, insieme col professore, il profumo dello
stufatino famoso, cucinato da lei, colle sue proprie mani!... Allora
"_Corocochè!_" pensò che la vendetta fosse anche più piena, e raggiante
in viso e gongolante nell'animo cominciò con enfasi le presentazioni.

--Il maestro Forapan di Verona, celebre compositore, che ha scritto
la _Regina delle Antille_, che sarà applaudita (non fate il modesto
_fora de logo_)--interruppe rivolgendosi al maestro che ascoltava senza
scomporsi quegli elogi--che sarà applaudita, quanto prima, in uno dei
nostri principali teatri.

A questo punto il maestro Forapan strappò un accordo sul pianoforte
coll'aria distratta, ma poi appena sentì pronunziare il nome dello
Zodenigo si alzò tutto cerimonioso, gridando forte con una vocina da
pecora che contrastava ridicolmente in quel corpaccione macchinoso, e
in mezzo a un diluvio di complimenti cominciò subito a lagnarsi del
critico musicale del _Moderatore_ perchè non si occupava abbastanza
delle composizioni di carattere serio, mentre empiva le appendici colle
lodi delle operette.

Lo Zodenigo non soffiava più, ma sbuffava, e risposto appena con un
cenno del capo al celebre maestro di Verona, mormorò senza nè manco
guardarlo in faccia--Bella città... Verona!--Quindi rivolgendosi
alla Balladaro:--_Donna Lucrezia_,--le disse,--mi spiace assaissimo
incomodarvi, ma vi _doveei diie_ due parole..

La Balladoro sfavillò negli occhi per un lampo d'orgoglio. Si rizzò
dritta, impettita, esclamando--Sempre a vostra _dis_...--ma a questo
punto si fermò, strizzò le palpebre, spalancò la bocca, alzò la testa
al soffitto e scoppiò in uno starnuto, mormorando:--Sempre a vostra
_disposizion_!

--Salute, bella madama!--esclamò il maestro inchinandosi.

--Parlate, parlate pure Euge.... Professore, parlate. Il maestro qui
presente conosce _tuti_ i miei segreti.

Lo Zodenigo non badò più che tanto al senso minaccioso e fiero di
quella parlata; invece si sforzò di far intendere a Donna Lucrezia che
non trattandosi di lei, ma di segreti riferentisi ad altre persone, il
colloquio doveva farsi a quattr'occhi.

--Allora, scusatemi un momentino,--disse la vedova volgendosi al
maestro.--Vi domando licenza cinque minuti soli!... Già, tanto e tanto,
la nostra _lezion_ per oggi la _gera bela è andata_. Se ne avanzerà
tempo _ghe daremo un'altra ripassadina_ dopo pranzo! E chiudendo lo
spartito ch'era sul leggìo, canterellò a mezza voce, accompagnandosi
con una crollatina di capo:

  Ah perchè non posso odiarti,
  Infedel, com'io vorrei!

--Professore, vi precedo,--ed entrò nella stanza vicina. Nella sua
camera da letto.

Chiusa la porta, Donna Lucrezia sospirò, si soffiò il naso,
coll'intenzione di asciugarsi gli occhi, e mutando a un tratto di voce,
di viso, di espressione--Per _averghe el muso de tola_,--esclamò,--_de
comparirme_ ancora davanti dopo tanti spasimi sofferti, dopo tante
lacrime sparse al vento, bisogna proprio _dir_ che _ghe_ sia un motivo
importante _assàe_!

--_Impootantissimo_,--rispose lo Zodenigo seccamente, e col tono di chi
intende spicciarsi.--Prima di tutto, ditemi, non avete fatta parola
dell'accaduto...--e strizzò l'occhio--al compare di là?

--Il maestro Forapan,--proruppe Donna Lucrezia risentita,--è un
gentiluomo di garbo! Uno che...--ma si fe' forza, si contenne,
e sottolineando le parole,--uno di quei pochi nobili _de
cuor_,--continuò,--in cui una donna _pol ancora fidarse sicura che nò i
lassa drio de lori_ "l'amaro fior del disinganno!" Tuttavia siccome il
segreto non mi appartiene, basta così: non sono una _piavola_.

Lo Zodenigo le fece su ciò i suoi complimenti, soggiungendo che era
venuto appunto per raccomandarle, a nome del signor Barbarò, il
segreto più assoluto. Quindi con destrezza rara di diplomatico, un po'
lusingando la Balladoro, facendole intravvedere quanto il cavalier
Pompeo le si sarebbe mostrato riconoscente; un po' spaventandola, e
minacciandola, che in tutti i casi, visto la guerra di coltello che
si faceva, avrebbe ricorso a qualunque spediente pur di non avere
la peggio, anche a quello di pubblicare, occorrendo, i documenti
conservati dal cavaliere, come _ricevute_ ed altro, le fece scrivere
e firmare una lettera diretta a lui medesimo. In essa Donna Lucrezia,
protestando contro l'infame accusa lanciata a danno di Pompeo Barbarò,
dichiarava ch'egli era sempre stato fedele e devoto alla famiglia
Alamanni; che la signora Lucia e Giulio Alamanni avevano sempre
riposta in lui fiducia sconfinata, e che, in fine, Pompeo Barbarò, in
tutti quegli anni, aveva sempre tenuta la signorina Mary in conto di
figlia, e come tale protetta e sorretta. Lo Zodenigo aveva suggerito
_soccorsa_, ma la parola era sembrata troppo bassa alla Balladoro.

--Giuratemi... per quanto nei vostri giuramenti non ci possa più
credere,--esclamò la vecchia, mentre consegnava il foglietto
al professore,--giuratemi di non pubblicare questa lettera sul
_Moderatore, in nissun caso_, e di farla vedere soltanto al Comitato
_Elettoral_ di Panigale!...

--Non dubitate!... Non dubitate!... Ne useremo appena in un caso
estremo!--E così dicendo, chiusa la lettera nel portafoglio, lo
Zodenigo se ne andò grave e composto, lasciando i saluti per il maestro
Forapan.

Il giorno dopo, la dichiarazione di Donna Lucrezia era stampata
tutta intera nel _Moderatore_, e in prima pagina, con un cappello
della direzione, in cui era detto soltanto che mentre il cavalier
Pompeo Barbarò si riservava di procedere a termini di legge contro la
_Colonna di Fuoco_, il _Moderatore_, pur tenendo apocrifo il dispaccio
attribuito a Nicola Mazza, pubblicava, per edificazione del pubblico
la lettera di una strettissima parente di Giulio Alamanni, Donna
Lucrezia Balladoro, una di quelle nobilissime gentildonne, il cui
eroico patriottismo aveva inspirato i più bei canti dell'Aleardi; ed
annunziava pure come "una primizia certo assai gradita ai lettori" la
lieta novella del matrimonio di Giulio Barbarò colla signorina Maria
Alamanni.




VII.


Quelle poche righe di Donna Lucrezia, coll'aggiunta fatta dallo
Zodenigo, ottennero un effetto straordinario a Panigale e a Milano.
Gli avversari dell'Alamanni si rianimarono e i suoi fautori rimasero
sbigottiti da quel colpo imprevisto. Il Cammaroto erasi subito
precipitato da Francesco Alamanni per avere spiegazioni, e solo rimase
un poco rassicurato dalla serenità del suo amico. In fatti l'Alamanni
aveva già telegrafato al Barbarò perchè dichiarasse esplicitamente, e
pubblicamente, che nessuno della sua famiglia gli aveva mai chiesto,
nè mai aveva avuto un soldo da lui; e dopo il colloquio avuto col
Cammaroto, era corso da Donna Lucrezia per chiarire l'equivoco, sicuro
che "quella scema" doveva aver operato per inganno e per suggestione
altrui, senza intender bene tutta la gravità della cosa, sperando
fors'anco di vendicarsi per essere stata allontanata dalla Mary.

Invece Donna Lucrezia, che alle prime domande e ai primi rimproveri
dell'Alamanni si era impermalita, avea finito in breve col turbarsi,
col cercare scuse e pretesti per attenuare la propria colpa, buttandola
tutta su quel _gesuitone_ dello Zodenigo, che l'aveva ingannata.

--Non è di ciò che si tratta,--esclamò l'Alamanni che, notando la
confusione della Balladoro, sentiva il sangue montar alla testa,--non
è di ciò che si tratta!... Voglio sapere se voi siete caduta così in
basso da toccare il danaro di quel turpe uomo, di quella spia?!...

--Ma, per amor di Dio, _Checchin_, non mi guardate con quegli occhi
spiritati!... _No' giàsseme_ l'anima con tanti spaventi!... Santi Numi
benedetti, ognuno fa i suoi affari per andar avanti con un pochetto di
decoro, e un contratto _notificà_ e scritto in carta bollata non è,
come si dice, un atto di favore; non si riceve un' _obbligazion_!...

--Finiamola colle chiacchiere, colle scenate!--proruppe
l'Alamanni afferrando un braccio della Balladoro e scotendolo
violentemente.--Avete avuto danari dal Barbetta, sì o no?

--Diventate matto, _Checchin_?... Per amor di Dio, sono una debole
donna!

Il braccio, che si trovava preso come in una morsa, ebbe una stretta
più forte.

--Sì, o no?...

--Ahi!... Ahi!... _molème_, vi dirò tutto!...

--Poche parole!... Sì, o no?...

Donna Lucrezia non poteva quasi rispondere, soffocata dallo spavento.

--In quanto a me,--balbettò,--posso morir subito se dico una _busìa_,
non volevo saperne. È stato il _consiglier_ Spinelli, a pregarmi,
minacciarmi, a confondermi!... Quell'austriacante famigerato me ne
fece un caso di coscienza, e mi costrinse ad accettare, per via della
Mary!...

--Ma se mi toglievo il pane di bocca per la Mary?... Se le ho ceduto
tutto il mio?!...

--Voi, si sa bene, avete sempre avuto un vero _cuor_ da Cesare;
ma,--sospirò la Balladoro levando al cielo gli occhi stralunati,--certe
volte in cui le lettere subivano qualche ritardo.... erano spasimi....
_che nò se pol dir_!

--Siete in mala fede adesso....

--Oh _Checchin.... possa morir se...._

--Siete in mala fede!--interruppe l'Alamanni fermandole le parole in
bocca.--Perchè non me ne avete mai parlato di questo prestito?...
Dichiarerete almeno che io non ne sapevo nulla; che io sono innocente!
Che non mi tocca questa macchia, questa infamia!

--Ma.... tesoro mio, pensateci un pochetto e vi ricorderete benissimo
che il consiglier Spinelli vi ha sempre informato di tutto!

--No, non mi ha detto nulla! Avrei restituito subito il suo a
quell'uomo.... avessi dovuto far danaro anche col mio sangue!

--Ma pure nei bilanci della tutela.... figurava il credito del signor
Pompeo Barbarò.... e quei bilanci furono sempre firmati anche da voi!

--Da me?!...

--Sicuro! Del resto è una cosa che _se pol verificar_: basta dare
un'occhiatina ai libri dell'_amministrazion_! Troverete il nome di
Pompeo Barbarò scritto a lettere di scatola!

--Pompeo Barbarò!... Ma io mi ero fidato di voi!... Mi sono sempre
fidato di tutti!--gemette l'Alamanni con un singhiozzo.

A questo punto gli si parò dinanzi ad un tratto tutto l'abisso nel
quale era stato precipitato per la sua cecità, per la sua buona fede.
Si sentiva preso, stretto in una rete ordita da lunga mano, e dalla
quale non avrebbe più potuto liberarsi: era perduto per sempre e
disonorato.

--Maledetta!--urlò afferrando ancora il braccio della Balladoro,
stringendolo in modo da storpiarlo.--Maledetta! Maledetta!... Mi avete
tradito!... Mi avete venduto! Sì, voi avete venduto me, come Pompeo
Barbetta ha venduto mio fratello!... Lui venduto alla forca, io al
disonore; ma il danaro è sempre quello: danaro rubato!

--Misericordia!... Aiuto!... Filomena!...--si mise a strillare la
Balladoro come una disperata.--Filomena, _el me copa!_...

La vecchierella, udita la voce della padrona che chiamava aiuto, venne
subito sull'uscio tutta trafelata, e colla scopa alzata in mano, ma
vedendo il signor Francesco colla padrona, rimase interdetta. La
Balladoro approfittò del momento, riuscì a svincolarsi, e scappò in
camera sua dove si richiuse asserragliando la porta. E fece bene,
perchè la disperazione dell'Alamanni giungeva al parossismo.

--Gesù Maria!...--balbettava la Filomena,--Gesù Maria!

L'Alamanni urlava e imprecava fra i singhiozzi che pareva gli dovessero
schiantare il petto poderoso. Nel salotto metteva tutto sossopra,
rovesciava a calci le sedie, e con un pugno scaraventava all'aria
il ritratto del maestro Forapan, che troneggiava fra gli altri dei
nobili parenti. La Filomena, zoppicando, seguitava da presso il signor
Francesco, rimettendo tutto al posto pazientemente, e sospirando e
gemendo tentava invano di acquetarlo e di calmarlo un poco.

--Maledetta!... Maledetta!...--continuava a urlare l'Alamanni, che non
sentiva più altro che quel suo gran dolore.--Maledetta!... I danari del
Barbarò!--e alzava il pugno irrigidito, imprecando contro sè stesso, e
contro Dio, contro la patria, contro tutti, e più di tutti contro la
sua povertà che lo aveva fatto cadere in mano di una spia.

Dio?... Non aveva ascoltato la voce di suo fratello morente, e non
lo aveva vendicato:--Maledetto!--La patria?... Aveva preso il suo
sangue, ma glielo buttava in faccia per prostituirsi alla spia che
aveva i milioni:--Maledetta!...--La famiglia?... La Balladoro lo
aveva venduto.... La Mary, la sua figliuola, lo aveva abbandonato
e ingannato, maledetta!...--La povertà, della quale si compiaceva
come di una virtù, come dello specchio più limpido della sua vita
intemerata, lo rendeva impotente contro i suoi nemici, impotente nella
battaglia per l'onore, per la giustizia, per la verità: "maledetta!...
maledetta!..."

Dopo questo primo sfogo e terribile, Francesco Alamanni se ne andò
contraffatto in viso e barcollando come un ubriaco. Per la strada
borbottava sempre e tremava: gli tremavano le gambe, le mani; gli
tremavano le parole sulle labbra. Giunto all'albergo, rientrato appena
nella sua stanza, cadde come morto, disteso per terra.

Il cameriere, ch'era andato a cercarlo verso sera per portargli un
dispaccio, lo trovò ancora in quello stato. Cercò di sollevarlo: era
svenuto, e aveva una larga ferita in mezzo alla fronte. Il dispaccio
poi veniva da Panigale, ed era la risposta di Pompeo Barbarò, concepita
in poche parole:

"_Rivolgetevi Donna Lucrezia: avrete spiegazioni necessarie._"

Intanto, passato il primo sbalordimento, in tutto il collegio di
Panigale, la lotta politica pro e contro il cavalier Barbarò diventava
sempre più accanita.

Salvatore Cammaroto, forte delle rivelazioni di Nicola Mazza,
ripubblicava il famoso dispaccio nella _Colonna di fuoco_, facendolo
seguire da altre lettere di notissimi patriotti, piene di particolari
che si riferivano all'arresto, alla prigionia, alla morte di Giulio
Alamanni. Il Cammaroto medesimo raccontava e descriveva sulla gazzetta,
coi più vivaci colori, il momento solenne in cui l'Alamanni e il Mazza
erano stati graziati ai piedi della forca, dopo aver dovuto assistere
alla esecuzione dei loro compagni. Era una pagina terribile che faceva
piangere e fremere di pietà, di dolore e di orrore.

Ma, dall'altra parte, Eugenio Zodenigo, valendosi della macchina
celere ultimo modello, che gli era appena giunta dal Belgio, innondava
tutto il collegio con migliaia e migliaia di copie del _Moderatore_,
portante la dichiarazione di Donna Lucrezia Balladoro, e la conferma
del matrimonio concluso e assai prossimo della Mary Alamanni con Giulio
Barbarò.

"A chi credere dunque? Al padre Cammaroto o al professore Eugenio
Zodenigo?..."

E, come succede in tutte le lotte politiche, gli elettori di _Destra_
continuavano a credere e a giurare pel loro candidato e pel loro
giornale, mentre quei di _Sinistra_ s'infervoravano maggiormente per
l'Alamanni, tenendo come Vangelo tutto quanto stampava e pubblicava il
Cammaroto. E gli uni e gli altri s'inasprivano e si accendevano sempre
più.

Se non che, il _Moderatore_ aveva più quattrini del suo emulo, aveva
molti quattrini e una forza maggiore e straordinaria di espansione.

Un intiero reggimento di agenti, di fattori, di assistenti, di coloni,
un po' per timore, un po' per interesse, facevano pressione sugli
elettori dipendenti e imponevano le loro ragioni e il loro candidato.
I preti erano col Barbarò per amore del benefizio, e in odio al
Cammaroto; la Prefettura, per il voto sicuro; il grosso degli elettori
non ne capiva niente di tutti i discorsi di _partito_ e di _principî_:
votava pel signor padrone. Per essi il _partito_ era il podere o la
fattoria; il principio, il paiuolo, della polenta; la Nazione, il
signor cavaliere. Bisognava servirlo e sostenerlo anche esecrandolo!
Bisognava sopportare il male per la paura del peggio. E su quell'onda
di affamati il _Moderatore_ navigava sicuro, col vento in poppa,
seminando quattrini e promesse.

Mentre la _Colonna di fuoco_ tirava appena un migliaio di copie, lo
Zodenigo ne stampava del suo giornale sei o sette volte tanto; e colla
maggiore diffusione riusciva più dell'altro a riscaldare i tiepidi, ad
appassionare gli indifferenti, a scuotere i pigri, a riempire di rumore
le teste vuote.

All'ultimo momento il _Moderatore_ fu anche regalato ai rivenditori; e
questi, allora, non ne vollero più sapere della _Colonna di fuoco_. Per
parare il colpo gravissimo, parecchi amici dell'Alamanni noleggiarono
varie carrozze, e si misero a girare per il collegio, vendendo o
regalando alla lor volta, la _Gazzetta_ del Cammaroto, seguiti da
una turba di monelli che strillavano evviva all'Alamanni e morte al
Barbarò; ma la chiassata fece più fracasso che effetto.

Nel frattempo era trapelata anche a Panigale una qualche voce circa
il tentato suicidio di Giulio Barbarò; pure succedeva di questo fatto
come di tutto il resto. Non essendo cosa sicura, era creduto, o negato,
secondo il tornaconto.

Fu poi affissa su tutti i muri del collegio una lettera di Garibaldi
che raccomandava "agli elettori liberali di Panigale, e a tutti i
nemici dei preti e della tirannide" la elezione dell'eroico colonnello
Francesco Alamanni "il fratello del generoso martire dello Spielberg!"
Destò grande entusiasmo, ma pochi assai furono i voti guadagnati.
Invece Beppe Micotti, che non si curava di commuovere il sentimento
patrio, ma distribuiva i pezzi da cinque franchi; che non perorava
in nome della giustizia e della moralità, ma prometteva la minestra
dopo dato il voto al Barbarò, e noleggiava carrozze per gli elettori
più lontani del collegio, otteneva nella sua propaganda, un miglior
successo. E Don Rosario lo assecondava dal confessionale, spaventando
le donne e minacciando tutti i fulmini del cielo se i loro uomini
fossero andati a votare per quel framassone dell'Alamanni, sostenuto da
un frate rinnegato e scomunicato.

Tuttavia, giunti al sabato sera, alla vigilia cioè della votazione,
il Cammaroto e lo Zodenigo, e con essi i componenti i diversi partiti
erano certi del pari della vittoria. Anzi i democratici fecero un gran
pranzo per festeggiare anticipatamente il sicuro trionfo del loro
candidato, all'osteria di _San Michele_, mentre la banda civica suonava
l'inno di Garibaldi; e quegli altri, auspice Don Rosario, stapparono
allegramente in canonica una dozzina di bottiglie per la vittoria non
meno certa del cavaliere.

La mattina della domenica il capoluogo del collegio era in tumulto;
e dal Municipio fu telegrafato alle stazioni più vicine domandando
un rinforzo di carabinieri. Ma, cattivo segno per l'Alamanni, erano
i suoi fautori che si mostravano più accesi e che gridavano di più.
Gridavano in piazza, dinanzi al Municipio; nel caffè, nelle osterie,
accusando gli avversari di brogli e di corruzioni; protestando perchè
il seggio era stato preso d'assalto dagli agenti del Barbarò; perchè le
autorità e il Governo aveano fatta, sottomano, la guerra all'Alamanni;
e accoglievano a fischi le carrozze che conducevano a votare gli
elettori.... della _minestra_.

La piazza a poco a poco si era accalcata, stipata di gente: pareva
che da un momento all'altro dovesse scoppiare la rivoluzione, e al
Municipio erano in grande apprensione perchè i rinforzi domandati
tardavano ad arrivare.

Era solo il Barbarò a non saperne nulla del pericolo che correva. Il
sindaco di Panigale e il presidente del _Comitato degli agricoltori_,
non facevano altro che congratularsi con lui per il trionfo ormai
assicurato. Beppe Micotti e Don Rosario gli contavano i voti
accaparrati: lo Zodenigo gli aveva scritto da Milano una lettera
rassicurante in cui narrandogli per filo e per segno quanto era
successo, concludeva pronosticando che quella mattìa del buon ragazzo,
invece di rovinare ogni cosa, come si temeva sul principio, era in
procinto di accomodare tutte le faccende.

"Furba l'innocentina!..." pensava fra sè il Barbarò. "Non si è
lasciata, scappar l'occasione propizia per riagguantare il marito....
e i miei milioni!... D'altra parte è una ragazza che ha sempre avuto
buon senso, e ci vuol poco a capire come l'è stata gonfiata tutta
questa storiella del dispaccio. Io non ho mai fatto la spia, e lo posso
giurare sul capo del mio unico figliuolo. Calunniatori, mentitori
infami!... eccola la verità: sono stato costretto a parlare sotto la
minaccia della forca immediata. Volevano impiccar me, e con me anche la
mia povera moglie!... Altro che far la spia, buffoni!..." Poi, un altro
pensiero lo calmò, e lo fece sogghignare: quello della marchesa.

--Ah, ah, la superba, la schifiltosa, non ha sdegnato questa volta di
mettere i piedi in casa mia!... Che il capitano l'avesse piantata?..
Che le cambialette del marchese coll'avallo suo che ci sono alla _Banca
degli interessi lombardi_ abbiano finito per persuaderla a mettere
giudizio, e approfitti anch'essa della buona occasione per far la pace
col signor Pompeo?...

Gli occhietti loschi scintillarono: sulle guance verdognole gli corse
una vampa rossa di fuoco, e strappandosi coi denti guasti e aguzzi
i peli delle labbra, che si facevano sempre più grossi e più radi,
mormorò:

"Voglio averti ancora!... Voglio almeno vendicarmi!... Dovessi buttare
anche un monte di quattrini dalla finestra!..."

Ma poi, alla mattina della domenica, mentre contento e tranquillo,
ascoltava in chiesa la messa cantata, le mille miglia lontano da ciò
che l'aspettava, udì i primi fischi e le grida di _morte_ al suo
indirizzo. Allora in un sussulto di paura dimenticò nuovamente la
marchesa Angelica, la sua elezione e tutto il resto, per non pensare
più ad altro che a mettersi al sicuro, maledicendo al solito la
propria imprudenza e la perfidia del professore.

--Dio, Dio, mi vogliono ammazzare!... Aiuto! aiuto! un povero padre di
famiglia!... Sono innocente!... sono innocente!...

E non aveva tutti i torti di essere così spaventato, perchè
l'esaltazione della folla era giunta al colmo; gli si voleva far la
festa per davvero.

Beppe Micotti, Don Rosario, che non ufficiava, e lo scaccino lo
nascosero subito in sacristia, e poi dalla sacristia, per una porticina
che metteva sopra un vicolo senza uscita, lo fecero scappare in
canonica, e lo chiusero a chiave nella camera dell'arciprete. Ma
durante la fuga, per quanto precipitosa, il Barbarò avea potuto vedere
affissi ai muri delle case e della chiesa, tanto da coprirli per un
gran tratto, cartelloni e manifesti con su stampato a grossi caratteri:

"Non eleggete il fornitore ladro.--Non date il vostro voto al mercante
di pellagra.--Morte alla spia di Nicola Mazza.--Morte al carnefice di
Giulio Alamanni.--Abbasso l'usuraio." Tutta la sua vita insomma pareva
riassunta da quei mille fogli a colori, come in un terribile sommario.

Intanto la folla che aspettava il Barbarò fuor di chiesa, avvertita
della sua fuga si avviò, urlando e fischiando anche più forte, alla
casa dell'arciprete, dove cominciò a lanciare sassate contro la porta
e le finestre, e a minacciare di peggio; ma infine (era proprio
tempo, perchè le cose si mettevano assai male) giunse il rinforzo dei
carabinieri e della truppa, chiesto dal Municipio e allora, arrestati
dieci o dodici dei più sfegatati dimostranti, l'ordine fu presto
ristabilito per tutto Panigale, dove non si udirono più altre grida
all'infuori di quelle delle povere donne, a cui avevano preso il
marito, o l'amante.

Ma il povero Barbarò passava il quarto d'ora più terribile di tutta
la sua vita. Dalla piena fiducia era ricaduto a un tratto in un tale
abbattimento da non aver più nemmeno la forza di muoversi, da non
poter più, quasi, nemmeno respirare. Rannicchiato in un cantuccio
in fondo alla camera, fra il cassettone e il letto dell'arciprete,
tremava tutto, e batteva i denti per la paura. Quando dalla folla
scoppiava un urlo, un uragano di fischi e d'imprecazioni contro di
lui, si nascondeva il capo fra le braccia per non sentire e borbottava
orazioni, pregando Dio e i Santi di salvargli la vita; promettendo che
avrebbe espiato, che avrebbe speso tutti i suoi danari, per rimediare
al male che aveva fatto.

Come già gli era successo in quella notte di angosce, al tempo del
_Processo dei fornitori_, la verità nuda e terribile mentre lo
sbigottiva colla minacciata vendetta degli uomini, gli toglieva ogni
speranza nell'aiuto e nel perdono di Dio. Si turava le orecchie coi
pugni stretti per non sentire, ma le grida tumultuose di _morte alla
spia_ gli penetravano nel cervello e nell'anima e lo agghiacciavano di
terrore.

Chiudeva, affannato, gli occhi, ma gli apparivano lontani nel buio, e a
poco a poco si avvicinavano e ingrandivano in forme sferiche, roteanti,
i manifesti gialli, rossi, scarlatti, tutti colla parola _spia_, tutti
colla parola _morte_; e più serrava forte le palpebre e più li vedeva
grandi e gonfi, con cerchi di fuoco, che mutavansi a volte in immagini
spaventose nella faccia scarmigliata e boccheggiante dell'Alamanni,
nel viso smorto e contraffatto della povera Betta.

"Assassino!... Spia!... Morte alla spia!" si continuava a gridare dalla
strada.

"No! Non è vero!... Dio, Dio, non è vero!... Non ho fatto la spia!...
Mi han costretto a parlare colla minaccia della forca!" rispondeva
Pompeo con voce smorta.

Una sassata mandò in frantumi tutti i vetri della finestra... un freddo
mortale gli corse per la vita.

No.... Dio vedeva tutto, sapeva tutto!... Gli vedeva in fondo al cuore,
là dove c'era la Betta e Giulio Alamanni che lo fissavano con occhi
fiammeggianti. No, no! non poteva ingannare Dio come avea fatto coi
giudici: non lo poteva comperare come aveva fatto coi preti; non lo
poteva battere e dominare, come avea fatto collo Sbornia!...

Sì, era stato una spia! Sì, aveva venduto Giulio Alamanni, il suo
padrone, non per altro che per rubare le cinquantamila svanziche....
Sì.... aveva soffocata la Betta per paura di essere scoperto!...

Oh l'orefice del _Gobbo d'oro_!... L'orefice del _Gobbo d'oro_ era
più felice di lui!... Almeno era sicuro in mezzo alle guardie, e non
correva il pericolo di essere fatto a pezzi da una folla briaca di
vendetta.

Si buttò allora in ginocchio, colla faccia per terra,
balbettando:--"Perdono, perdono!... La vita!... Non domando altro che
la vita!... Farò penitenza di tutto!... Farò dir tante messe!... E
continuò così per un pezzo a tremare e a pregare."

Ma a poco a poco, in quel frattempo, gli urli e i fischi erano cessati.
Pompeo rialzò la testa, si guardò attorno.... si mosse adagio,
cominciando a respirare... quando udì a un tratto un frastuono di voci
e di passi che saliva per le scale.... che si fermava sull'uscio della
sua camera.... Tese l'orecchio: udì girare la chiave nella toppa....

--Oh Dio!... Vengono ad ammazzarmi!--e tremando più di prima, si rizzò
in piedi di scatto, cogli occhi sbarrati, coi capelli irti, colla
fronte grondante di sudore.

La porta si spalancò subito, e un gran mucchio di persone entrò
precipitosamente nella camera. C'erano fra gli altri Don Rosario e
Beppe Micotti, insieme col sindaco di Panigale e col presidente del
comitato, che rimasero lì per lì un po' sconcertati vedendo la faccia
livida del cavalier Barbarò.

--Che volete? Che cosa mi volete fare?... Lasciatemi in
pace!--balbettava Pompeo con voce fioca, e col petto ansante.

--Niente paura!--ghignò Beppe Micotti fissando il padrino con aria
beffarda.--Veniamo a portarle i voti: la somma è giusta e il conto
torna!

--Vittoria! signor cavaliere!--strillò Don Rosario.

--Vittoria!... Vittoria!...--gridarono tutti gli altri levando in alto
i cappelli.

--Tacete, fate piano, per amor di Dio!...--balbettò Pompeo tentando di
chiudere la bocca a Don Rosario.--E... l'Alamanni?...

--È rimasto nella tromba con trecento voti meno di noi,--esclamò il
presidente del comitato.--Evviva l'onorevole Barbarò!...

--Evviva! Evviva!--rispose in coro tutta la comitiva, meno Beppe
Micotti, che continuava a sogghignare.

--Grazie, grazie.... ma non gridate tanto forte,--raccomandò Pompeo,
sempre spaventato guardando verso la finestra.--E la dimostrazione?...

--Finito tutto!...--esclamò il sindaco con piglio marziale.

--Sono arrivati i gastigamatti!--tornò a strillare Don Rosario che
più rosso, più rubicondo saltava attorno per la stanza ridendo a
crepapelle.--Viva il signor cavaliere!

--Viva il nostro deputato!...

Pompeo si arrischiò a guardare dalla finestra: la strada era vuota.
Allora respirò più libero, e rispose con effusione ai saluti, alle
strette di mano.

"Che paura ho avuta!" pensava intanto fra sè. "Matto, matto!... come
mai avevo dimenticato i soldati, i carabinieri?!..."

I vetri tremarono un'altra volta al fragore degli evviva, che
rintronavano più fortemente perchè non venivano dalla strada, ma dal
cortile della casa.

--Evviva l'onorevole Barbarò!...

--Evviva il nostro deputato!...

Pompeo, ancora sbalordito, ringraziava tutti; raccomandava a tutti
la calma, la prudenza, per non inasprire _quegli_ altri; e infine,
sorridendo intontito, non sapendo che cosa si facesse, nè che cosa gli
facessero, si lasciò trascinare da' suoi elettori più esaltati sopra un
loggiato interno, che dava appunto sul cortile.

Da tutte le parti scoppiarono nuovi e più fragorosi applausi: e le
stesse trombe e gli stessi tromboni della banda civica, che la sera
innanzi avevano suonato l'_inno di Garibaldi_ in onore di Francesco
Alamanni, assoldati con doppia paga da Beppe Micotti, intignarono
allora, con un tempo _allegretto-vivace_ "_La bandiera dei tre
colori_", a tutta gloria dell'onorevole Barbarò.




                             PARTE QUARTA


                               L'AMORE.




I.


Dopo quasi un mese d'incertezze e di ansie per chi gli voleva bene,
Giulio Barbarò, superato ogni serio pericolo, entrava a gran passi
nella convalescenza, e i medici andavano superbi dell'ottimo risultato,
perchè oltre alla gravità della ferita avevano temuto assai anche per
la complessione troppo gracile del giovanotto. Ma pure anche la scienza
sarebbe stata inefficace se non fosse intervenuto un miracolo...
un miracolo compiuto da una santa, dagli occhi neri e profondi. In
fatti appena Giulietto Barbarò si riebbe un poco, vedendosi la Mary
vicina, si sentì subito consolato e, debole com'era e colla febbre,
aprì l'animo ai sogni rosei della speranza, ai vaneggiamenti più
appassionati dell'amore.

--Vivrò per te... solo per te... tutto per te. Vivremo lontani,
ignorati, sotto altro nome--furono queste le prime parole ch'egli le
rivolse balbettando, mentre la Mary gli sorrideva con quel sorriso
dolcissimo che le donne innamorate hanno imparato dagli angeli.

E da quel momento, Giulietto volle vivere per la sua cara... poi volle
guarire in fretta, per poterla ritrovare.

La Mary, appena avuta l'assicurazione dai medici che ogni pericolo
era scomparso, si era subito arresa ai buoni consigli della marchesa
Angelica e si era lasciata ricondurre presso lo zio Francesco. Ma
nel frattempo anche lo zio Francesco si era ammalato, e tanto più
gravemente, in quanto il suo male era un poco nella testa e molto nel
cuore. Gli ultimi avvenimenti gli avevano turbato lo spirito, la sua
tempra gagliarda aveva ceduto al colpo inaspettato. Dopo il colloquio
con Donna Lucrezia aveva la fissazione che "la vecchia matta" lo avesse
tradito, e che anche la Mary, acciecata da una passione indegna, non
fosse rimasta del tutto estranea al tranello. Per lui non c'era più
scampo, non c'era più riabilitazione possibile. Il turpe fango dei
danari avuti da un Barbarò, dalla spia di suo fratello, aveva macchiato
per sempre il loro nome intemerato. In quei giorni, mandato a chiamare
un uomo d'affari di sua piena fiducia, gli avea dato incarico di
liquidare subito quanto ancora gli rimaneva di beni, perchè voleva
pagare tutti i debiti contratti dalla Balladoro verso il Barbarò,
durante la minorità della Mary. Ma tutto il suo non era stato bastante
per coprire la somma. Egli certo, a poco a poco, vivendo fra, gli
stenti, mangiando appena per aver forza di lavorare, avrebbe restituito
tutto fino all'ultimo soldo... e poi si sarebbe ammazzato. Egli, certo,
avrebbe abbandonato subito l'Italia, per nascondere a tutti la propria
vergogna... Ma intanto non poteva nasconderla a sè stesso; intanto
rimaneva sempre debitore... debitore verso Pompeo Barbetta!... Questo
pensiero non gli lasciava pace un momento, aumentava il suo furore
contro Donna Lucrezia, la sua collera contro la Mary.

--Non è più mia nipote,--mormorava.--Non è più la figliuola di Giulio
Alamanni.... È la nuora della spia!--L'espressione di bontà che prima
spirava dal suo volto era scomparsa, come erano scomparse dal suo cuore
le belle illusioni. Il mondo era tutto pieno di canaglia. Tutti falsi,
tutti bugiardi; adoravano un Dio solo: il danaro. La patria?... Che
cos'era la patria? Era... gli elettori di Panigale!

Nel mettere a parte la marchesa di Collalto dei suoi nuovi disegni,
Francesco Alamanni le lasciò la Mary in custodia finchè il matrimonio
fosse stato compiuto. Egli non poteva assistervi: partiva. E partiva
apposta per nascondersi, per non vedere tanta vergogna. Poi... voleva
andare in America a fare anche il lustrascarpe per pagare tutti i suoi
debiti. Poi.... poi si voleva ammazzare!

Angelica lo assicurò che la rottura esistente fra Giulio e suo padre
era piena e irrevocabile, ma non ottenne nessun effetto. Allora ricorse
alla Mary, sperando che la vista della fanciulla riuscisse a calmarlo,
ma fu peggio che mai. In sulle prime egli accolse la nipote con forzata
indifferenza, ma poi alle sue lacrime, alle sue preghiere, invece
d'intenerirsi, proruppe in un impeto di collera:

--Che io non parta? Vuoi che resti con te?... Vuoi forse che anch'io
sieda a tavola coi Barbarò?... Che cerchi un impiego nella banca del
signor Pompeo?

--Noi faremo casa a parte, casa da noi, come ti ho sempre promesso:
mio marito mi darà da vivere col suo lavoro.--E la Mary alzò il capo
con fierezza, e un sorriso le balenò fra le lacrime a quelle magiche
parole, _mio marito_.

--Credi... sì... forse adesso credi di poter fare quanto dici, ma poi?
Il danaro, sai, è la gran piovra delle coscienze. Ti allaccierà nelle
sue mille spire, ti succhierà colle sue mille bocche ogni idea di
dignità e di onestà! Ricordati, non buttarti in mare se non vuoi essere
presa! E ricordati che la virtù ha dei limiti, e che la colpa non ne ha!

--Oh zio, zio mio, come mi giudichi male! Come male mi
conosci!--balbettò la Mary fra i singhiozzi mentre la marchesa Angelica
faceva cenno all'Alamanni di calmarsi.

Ma l'altro non sentiva più freno.

--No, no, adesso ti conosco; adesso ti conosco bene! Dovevi dire
invece che prima... prima non ti conoscevo affatto! Ti credevo della
nostra tempra, del nostro sangue! Ti credevo capace di morire, ma non
di transigere, di abbassarti, d'infangarti! Invece sei anche tu come
quella matta di tua zia, senza forza, senza orgoglio, senza cuore...
ossia, come tutte le donne, non hai cuore altro che per il tuo amante!

--No, zio, non sei giusto.

--Non hai memoria altro che per lui! Per lui calpesti i più sacri
ricordi della tua casa, le leggi più sante del tuo dovere! Non è
rimasto più nulla del tuo rispetto, della tua gratitudine, della tua
tenerezza per me; non è rimasto più nulla dei diciotto anni della tua
vita altro che il momento in cui ti sei imbattuta con quel maledetto
che ti ha stregata! Maledetto lui! Maledetta te!

--No! No!--gridò spaventata la Mary singhiozzando fra le braccia di
Angelica.

--Non si lasci trasportare così,--esclamava inquieta la marchesa,--è
cosa indegna di lei!

--Lasciatemi sfogare!... Ho bisogno di sfogo! Costei, mia nipote, la
figliuola di mio fratello, la figliuola di quei povero morto che è la
mia religione e il mio orgoglio, costei mi ha strappato il cuore; mi ha
reso insopportabile la casa, la famiglia, la patria; mi ha fatto odiare
tutto ciò che prima amavo, lei compresa!

--Signor Francesco!... Signor Francesco! Non sa più come parla! Ha
perduto affatto la testa!--gli continuava a dire inutilmente la
marchesa.

--Che! Che! Ragiono sempre, e ragiono bene! Donna Lucrezia, in fine,
non è altro che una vecchia scema; ma costei ha la testa con sè! Costei
doveva capire, doveva vedere da che parte venivano i danari.

--No, non è vero. Lo giuro, non è vero, non sapevo nulla!

--Già, è naturale. Tu non avevi occhi altro che per fare all'amore col
figlio del serpente; col degno erede di casa Barbetta!

--Se amo Giulio non è una bassezza, non è una viltà!--esclamò la
fanciulla sciogliendosi a un tratto dalle braccia della cugina, e
guardando ben fissa lo zio.--Se lo amo, se mi sento orgogliosa di
amarlo, è perchè lo so degno di me, lo so degno di noi.

--Non bestemmiare! Degno di te.--Soltanto di te!

--Tu stesso, zio, mi hai fatto dire che il cuore come la coscienza ha i
suoi doveri.

--Allora non sapevo che tu avessi ricevuto l'elemosina dal boia di tuo
padre.

--E lo sapeva Giulio? Che colpa ne ha?--Da che siamo venuti a
cognizione di questo fatto doloroso, ma al quale è possibile rimediare,
egli si è forse mutato? Non è più lo stesso? E il mio cuore dovrebbe
abbandonarlo perchè è uno sventurato?... E dovrei amarlo, dovrei
stimarlo meno, perchè tu lo offendi?

Francesco Alamanni, a questo punto guardò alla sua volta la nipote
fissamente, e sembrò scosso da quella fermezza.--Ebbene,--le disse con
un altro tono di voce,--dal momento che in te c'è tanta forza... su,
coraggio... per tutte le nostre memorie, per il nostro onore.... So
che ti domando forse più della vita, ma non importa. Ricordati che sei
figliuola di Giulio Alamanni. Tronca tutto con quell'altro e vieni via
con me!

--È impossibile, zio. Il cuore, come la coscienza, ha il suo dovere.

--Ah, ah, ah! Un dovere ben facile per te!--esclamò l'Alamanni con
un amaro scroscio di risa, e ritornando quel di prima.--Sta bene;
così vuoi, e così sia. Noi due non ci vedremo mai più, e nemmeno io
non voglio più saper nulla di te. E bada, non mi devi più nemmeno
ricordare. Non voglio il tuo affetto, non voglio il tuo dolore. Sei
la nuora del Barbarò: rifiuto anche le tue lacrime! Andrò lontano,
a vivere di stenti, a lavorare per _pagarvi_ il mio debito fino
all'ultimo soldo, poi mi ammazzerò; ma tu non devi piangere. No, no,
anzi... sei la nuora del signor Pompeo... devi ridere. Voglio che tu
rida!

Angelica, vedendo pur troppo che l'esaltazione del vecchio invece di
calmarsi si faceva sempre maggiore, trascinò via la Mary che avea
ricominciato a singhiozzare.

L'Alamanni, rimasto solo, se ne andò subito, e la mattina dopo partì da
Genova per New-York.

Partì cupo e tristo, senza più un affetto nell'anima, senza più
voler credere nemmeno al cuore, nemmeno al dolore. Ma il vecchio
soldato s'ingannava: ben presto il cuore e il dolore ebbero ancora
il sopravvento. Quando il battello salpò da Genova era l'ora del
crepuscolo, e la verdeggiante letizia della riviera italica appariva
benedetta dal raggio ultimo del sole, mentre le campane dell'_Ave
Maria_ lontanissime e confuse ripercotevano un'eco sul mare. Francesco
Alamanni, da prima accigliato, era diventato mesto e pensieroso: lo
vinceva inconsapevolmente la seduzione dei ricordi. Il battello si
allontanava sempre... la riviera avvolta dai vapori della nebbia
scompariva quasi, assottigliandosi, fra l'ultima striscia purpurea del
cielo, e la distesa plumbea del mare.... L'Alamanni alzò il capo...
guardò... guardò fissamente... e ricordò che da quel golfo incantato,
dove il mite ulivo si ammoglia alla fragranza degli aranci e alla calda
vegetazione delle palme avea spiccato il volo, nella serena notte
di Quarto, l'Aquila della libertà.... A poco a poco la solitudine
del mare si era popolata di fantasmi. Le spade alte, le baionette in
selva, i cavalli che s'impennavano e nitrivano fiutando l'odore della
battaglia, e le barricate, fumanti di sangue, al primo sorgere della
patria.... Poi, dopo le ebbrezze della vittoria le più care giocondità
dei ritorni, e la Mary, la piccola Mary, che gli correva incontro
esultante e gli saltava al collo coprendolo di baci. A tanti ricordi,
a tante memorie il cuore gli ritornò a battere violentemente. A un
tratto si appoggiò alla ringhiera della nave... protese il capo...
puntò l'occhio... cercò... cercò fra le nebbie addensate all'estremo
confine terrestre, ma la bella riva era scomparsa. Sulle onde larghe e
rincorrentisi, calava vasta, silenziosa la notte.... La bella riva non
l'avrebbe riveduta mai più! Allora fu preso da un impeto di amore, di
dolore, di sgomento, e proruppe singhiozzando in un pianto dirotto.




II.


Il giorno stesso in cui era successo l'incontro coll'Alamanni, Angelica
avea condotta la Mary con sè al _Villino delle Grazie_... come lo zio
Diego, sempre galante, avea battezzata la sua casa di campagna presso
le brughiere lombarde, tra Somma e Gallarate, dopo che era stata
abitata dalla bella marchesa. E appena giunta al _Villino delle Grazie_
la Mary si trovò subito bene, e si consolò presto. Il cugino Alberto la
riconobbe, l'accolse dimenandosi vivamente e gridando di gioia. Ormai
il marchese non era più altro che mi ammasso informe di carne gonfia
e torpida che riempiva tutta la carrozzetta, e in cui non era quasi
rimasto di vivo altro che lo stomaco.

--_Tata! Tata!... Tata bellinetta!... Bellinetta Tata!_--e per un
pezzo continuò a gridare e a ridere scrollando il faccione tondo,
paonazzo, e salutando la Mary con tutte le smorfie dei bimbi. In fine,
quando la sua gioia chiassosa si fu un po' chetata, le mostrò tutte le
calzette a maglia fatte da lui medesimo, e che custodiva gelosamente in
un cestino che teneva sempre sulle ginocchia.

--_Belle bellesine!... Belle bellessine!_--Poi prese una calzetta già
incominciata e, stentatamente, infilati i ferri nelle dita gonfie e
rattrappite, volle insegnare alla Mary come si faceva a lavorare, il
che era, da parte del marchese Alberto, la maggior dimostrazione di
simpatia.

Per altro non furono le liete accoglienze del cugino che consolarono
così presto la buona fanciulla; fu la presenza di Giulietto Barbarò, il
quale si era recato a passare la convalescenza e ad aspettare il giorno
delle nozze a Nuvolenta, un paesello nelle vicinanze del _Villino delle
Grazie_. E anche Giulietto, invitato dall'Angelica, era venuto subito
in casa; ma con lui il marchese Alberto fu di ben altro umore.

--Appena l'ebbe veduto cominciò a strillare, imitando l'abbaiare dei
cani:--Via! Via! _Bouf! Bouf!_ e gli scagliò contro furiosamente
il cappellone di paglia e il _fez_ che portava sempre in capo, uno
sull'altro; poi vedendo che il giovanotto restava lì confuso, senza
risolversi ad andar via, si strinse al petto, pauroso che glielo
rubasse, il cestino delle calze, e mettendosi a piangere disperatamente
chiamò la moglie in aiuto.

Angelica accorse, e per farlo quietare lo minacciò alzando il dito
scherzosamente. Ma il povero scemo, che adesso con lei era sempre
docile e affettuoso anche quando faceva il diavolo a quattro con tutti
gli altri della casa, questa volta non le dette retta, e seguitò a
piangere e a strillare.

--Via!... via!... _bouf!... bouf!_...

Giulietto dovette scappare, e gli fu consigliato di non lasciarsi
più vedere. Ma era facile lo schivare la carrozzetta del marchese
continuando pure a frequentare il villino. Quando non dormiva, il
marchese ciangottava ad alta voce anche da solo, e si sapeva subito
dov'era. La sera era sempre a letto. A metà pranzo si addormentava, e
russava già mentre lo portavano in camera. Poi... poi i due fidanzati
s'incontravano spesso anche fuori del villino, nei folti viali di pini
che in quel punto circondavano la brughiera.

L'amore nasce dal sorriso, ma vive di lacrime, e i due giovani, dopo
tanto che avevano sofferto l'uno per l'altro, si amavano assai di più.

Giulio aspettava la Mary tutte le mattine nascosto fra i boschetti di
pino, un poco al di là del piccolo _ponte del Rio_, che metteva ad un
sentieruolo stretto e ombroso fiancheggiante il torrente, all'estremo
confine della brughiera. Prima di pranzo egli la incontrava ancora
allo stesso luogo; si vedevano di giorno e si vedevano di sera al
_Villino delle Grazie_. Insomma furono quelli giorni proprio beati
pei due giovani sposi. Era tutta pace, era tutto sereno la vita,
e se pur qualche nuvoletta compariva ancora in mezzo all'azzurro
placido del cielo, era tosto dileguata dal loro bel sole splendente
nella solitudine della campagna. Tutto il mondo, per essi, rimaneva
circoscritto dal _ponte del Rio_ al _Villino delle Grazie_, e
chiudeva il loro orizzonte il verde scialbo e arsiccio della brughiera
sterminata. Al di là c'era il nulla, il buio... non ricordavano più che
cosa c'era. Giulio Barbarò aveva quasi perdonato a suo padre; lo aveva
quasi dimenticato; e la Mary, alla sua volta, nell'egoismo del proprio
amore, non pensava quasi più allo zio povero e lontano. D'altra parte
le ore correvano tanto presto, e le giornate erano tanto brevi!...
Bastavano appena appena per loro due! Che! bastavano? Non bastavano
nemmeno! Non facevano mai a tempo a dirsi tutto quanto avevano in cuore.

Ogni volta guardavano l'orologio con un senso di terrore: era sempre
molto più tardi di quanto credevano. Che brutta invenzione quella degli
orologi! Col loro _tic tac_ non lasciavano un minuto per respirare.
La Mary, per ciò, si faceva aspettare tutti i giorni a colazione e a
pranzo, e arrivava in sala rossa e affannata, calmandosi appena quando
vedeva il sorriso indulgente di Angelica.

E così il giorno delle nozze si avvicinava a gran passi, quantunque
i fidanzati, pareva, non avessero fretta. Sentivano forse nel loro
cuore, che il momento più felice è appunto l'aspettativa della
felicità?... Pare giunse l'ora in cui le carte erano in regola, e tutte
le altre pratiche ultimate. Da Milano erano arrivate le licenze per
sottoscrivere il contratto al Municipio di Gallarate, e per celebrare
le nozze nella chiesetta del Villino. Allora, mostrandosi sempre
irresoluti, lasciarono alla marchesa di fissar l'ora, ed essa indicò
le sette del mattino per il contratto, e le otto per la cerimonia
religiosa.

In quegli ultimi giorni che precedevano il suo matrimonio anche
la Mary non si mostrava più tanto disinvolta. Era diventata timida
anch'essa, come il suo Giulio. Non lo guardava più negli occhi
coll'usata serenità; ma arrossiva subito, lo guardava appena alla
sfuggita, e nello scambiarsi il mazzolino di fiori che si preparavano a
vicenda nel recarsi ai convegni, tremavan loro le mani; nel salutarsi,
tremava loro la voce. La Mary invece di correre come prima ilare,
saltellando, ad attaccarsi al braccio dell'amico, gli camminava dinanzi
per il piccolo sentiero, silenziosa e a capo basso.

A un certo punto della passeggiata, dov'era più cupa l'ombra dei pini
e dove si fermavano sempre, si fermavano anche allora, ma la fanciulla
invece di buttarsi a sedere per terra si voltava sorridendo, e Giulio
notava con inquietudine che in quei giorni s'era fatta più pallida e
più abbattuta.

--Sei stanca?... Non ti senti bene?

--No, sto bene. Guarda che ore sono: dev'essere tardi, e non voglio
farmi aspettare.

--Sono le dieci.

--Son già le dieci?... Dio, Dio, com'è tardi! Giulio, nel ritornare
le offriva il braccio, e la Mary vi si appoggiava leggera leggera,
diventava di nuovo silenziosa mentre il suo petto si faceva anelante, e
gli accadeva spesso d'inciampare.

In quel silenzio quieto della tarda ora del mattino si sentivano i loro
cuori che battevano insieme.

Erano sempre le farfallette, le belle farfallette dalle ali smaglianti
che venivano in loro aiuto Quando ne vedevano due posarsi l'una dopo
l'altra sullo stesso fiore, la fanciulla si fermava e fermava Giulio,
perchè non voleva spaventarle; ma nel fermarsi gli si appoggiava al
braccio più fortemente.

--Anche noi, Nino, sempre così?

--Sì,--rispondeva appena il giovanotto.

--Sempre?

--Sempre, sempre.

Si guardavano, tutti e due fermi, a braccetto.... poi si guardavano
attorno.... La brughiera era deserta: fra i tronchi dritti e brulli dei
pini non si scorgeva anima viva. Allora tornavano a guardarsi negli
occhi e un bacio, un piccolo bacio, scappava dall'uno all'altra....
Scappavano insieme, impaurite anche le farfallette belle dalle ali
smaglianti, ma ormai Giulio e la Mary non pensavano più a loro.

Sebbene assorto nella felicità, Giulietto Barbarò non venne meno ai
propri proponimenti. I due fidanzati avevano dovuto abbandonare il
primo disegno di andare a stabilirsi in paese straniero, e ciò perchè
mancavano i quattrini. Alla Mary, dopo che lo zio Francesco volle
disporre di tutta la sua parte per pagare il debito verso Pompeo
Barbetta, non restava più se non una rendituccia di un migliaio di
lire, colla quale certo non si poteva vivere.... nemmeno d'amore; e
fuori d'Italia, anzi fuori di Milano soltanto, Giulio Barbarò, privo di
studi e nuovo agli affari, non avrebbe potuto procurarsi un conveniente
collocamento. Invece a Milano gli fu facile ottenere un posto di tre
mila lire, con diritto all'aumento dopo il primo anno di prova, presso
una nuova società industriale a cui dava credito l'avere il figlio del
Barbarò negli uffici della propria amministrazione. E intanto con tre
mila lire, si poteva campare; quando poi sarebbero stati... in tre,
avrebbero avuto diritto all'aumento.--Com'era facile la vita!

Giulietto, per un sentimento di dovere filiale a cui, in nessun modo,
non avrebbe mai potuto venir meno, volle dare partecipazione a suo
padre di questi nuovi avvenimenti con una lettera che gli scrisse
d'accordo colla Mary; una lettera piena di nobiltà e di fermezza, pur
nella sua forma più ossequente e rispettosa.

Pompeo Barbarò non gli rispose, ma corse subito a consigliarsi collo
Zodenigo, che ormai era il suo confidente generale, anche nei rapporti
di famiglia, e persino in materia di galanteria. E il professore
appunto, per mostrarsi degno di tutte le attribuzioni di cui era
stato investito, gli suggerì un colpo da maestro per il quale, mentre
sosteneva la propria dignità in faccia ai figliuoli, avrebbe forse
ottenuto pur anche di riavvicinarsi alla marchesa di Collalto, che il
Barbarò, in quegli ultimi tempi, incontrava spesso a Milano, e che più
di una volta avea tentato inutilmente di salutare.

Lo Zodenigo, insomma, consigliò al suo cliente di scrivere
_direttamente_ alla marchesa, di metterla intermediaria fra lui e gli
sposi. Se il passo era un po' ardito, si doveva perdonar molto a un
povero padre che avea perduto la testa, e poi la marchesa stessa non
era stata più di una volta in casa Barbarò insieme colla Mary, mentre
Giulietto era aggravato?... E Giulietto medesimo, non continuava a
frequentare i Collalto? Non era tutti i giorni al _Villino delle
Grazie_? A chi avrebbe potuto rivolgersi il cavalier Pompeo, per fare
intendere le proprie ragioni al figliuolo, se non alla marchesa?

E dopo di avergli suggerito l'idea della lettera, lo Zodenigo gliela
dettò anche in parte. In parte soltanto, perchè il deputato di
Borghignano ambiva a fare un po' da sè in punto di lettere, e non
voleva rinunciare all'efficacia delle proprie espressioni per andare
all'accatto di riboboli.

Pensarono insieme di cominciar la lettera facendo le scuse, "per
l'ardimento di quell'atto, al quale un povero padre era stato spinto
dalla disperazione. Un povero padre" volle aggiungere il Barbarò
"ricompensato dei molti ed onerosi suoi sacrifici, colla più ottusa
testardaggine e colla più nera ingratitudine." Poi, continuando, il
solito padre sentiva il bisogno di ringraziare l'illustrissima marchesa
per la degnazione avuta nel prendersi tanto a cuore la sorte del suo
signor figlio (più matto forse che cattivo) e per aver superato, con
un nobile impulso di pietà, ricordi spiacevoli, onorando colla sua
presenza la casa dell'ultimo dei suoi servitori.

"Del resto gli anni che maturavano il cuore," è inutile far notare
che questo periodetto era quasi tutto dello Zodenigo, "gli anni che
maturavano il cuore e calmavano le passioni, non gli avevano lasciato
nell'animo altro che un sentimento di devozione profonda, e confuso di
rossore invocava un perdono del quale lo rendeva degno il più sincero
pentimento.

"La signora marchesa doveva essere giusta: in quel doloroso frangente
a chi mai egli avrebbe potuto rivolgersi se non a lei?... A lei buona,
a lei gentile, a lei ospite graziosa della signorina Alamanni?... A
lei tanto addentro, per sola sua degnazione, nella confidenza di quel
_caparbio ingrato_? Non era in sua casa che si dovevano celebrare le
nozze? D'altra parte Giulio non frequentava altro che il _Villino delle
Grazie_. Giulio non vedeva più nessuno all'infuori della Mary e della
illustrissima signora marchesa."

Aggiungeva in oltre che la sua dignità paterna, non gli consentiva di
rivolgersi direttamente, per difendersi, a chi, contro tutte le leggi
del sangue gli si ribellava, schierandosi fra i suoi calunniatori.--"Oh
lui poteva ben mostrare la propria innocenza, ma non lo voleva fare
con suo figlio: lo avrebbe fatto, lo poteva fare invece colla signora
marchesa... "

E a questo punto difendeva coi soliti argomenti il proprio passato,
respingendo tutte le accuse, che per mene elettorali, gli eran state
scagliate addosso.

Qual era, infine, il suo gran torto? Quello di non essere stato
un eroe, o un matto che dir si voglia. Sì, non aveva vergogna di
confessarlo: in quella notte sciagurata, quando erano venuti i croati
per arrestare il signor Giulio Alamanni, trovandosi solo e inerme in
mezzo a una pattuglia di ubriachi, di belve feroci che lo minacciavano,
che lo punzecchiavano colle baionette, che gridavano di voler passare
parte a parte la sua povera moglie e il suo figliuolo, lui aveva avuto
paura, e si era lasciato strappar di mano le chiavi della casa, invece
di farsi ammazzare inutilmente.--Ecco tutto il suo gran delitto; ecco
in qual modo aveva fatto la spia! Poi tornava a lamentarsi dei _suoi
figli_, pure terminando col dire che si sapeva troppo _dolce di
pasta_, e che sempre si sarebbe sentito proclive al perdono. La porta
della sua casa sarebbe stata aperta ai suoi figli in ogni tempo e ad
ogni ora, ma ad una condizione...: "siccome lì sotto ci vedeva lo
zampino della signorina Alamanni, che invece di compiacersi di essere
il pegno soave della concordia, pareva godersi a seminare la zizzania,
così la porta sarebbe stata aperta soltanto quando ci fosse venuto a
battere lei stessa, la sua signora nuora. A lei avrebbe aperto; ad
altri no."

E qui la lunga lettera, dopo aver rifatto le scuse, finiva coi soliti
complimenti; ma nel copiarla, quando lo Zodenigo se n'era già andato,
il Barbarò pensò di aggiungervi ancora un poscritto.

PS. "_Intrattanto farò il riflesso alla Signoria Vostra Illustrissima
che se il mentovato mio figlio Giulio ha potuto buscarsi ancora un
bel impiego lo deve, insieme a tutto il restante, per il credito del
mio nome in cuanto è sempre un valore. Ma non mi dica grazie, che fa
l'istesso. È sempre il mio destino di essere pagato col ingratitudine
per corispettivo._"

Nel ricevere una tal lettera la marchesa Angelica ebbe un impeto di
sdegno:--"Il villano osava scriverle!..." E insieme allo sdegno,
paurosa e superstiziosa come tutti coloro che amano, sentì anche uno
stringimento al cuore. La lettera del signor Pompeo non gli era stata
portata sola, sul vassoio, dal servitore. Sotto la busta grossa e
usuale ne nascondeva un'altra elegantissima e profumata collo stesso
profumo che usava la marchesa; una letterina dalla forma inglese, col
bollo postale di Napoli.

Ma passato lo sdegno, superato il senso di timore sinistro, a mano a
mano che rifletteva su quanto le avea scritto il Barbarò, dovette pur
convenire che non volendo costui rispondere a suo figlio, e nemmeno
scrivere direttamente alla Mary, non gli rimaneva altro partito che
rivolgersi a lei.

Tuttavia, anche dovendo giustificare quell'atto, si trovava sempre
in un grande impiccio circa al modo di regolarsi. Essa, a sgravio di
coscienza, aveva subito fatto leggere la lettera tanto a Giulio, quanto
alla Mary, i quali erano andati d'accordo nel risponderle che la loro
risoluzione era immutabile. Come doveva dunque comportarsi rispetto a
quel... a... al signor Pompeo?

Bisognava fargli avere una risposta. Era il cuore di un padre, che si
era rivolto a lei.

--Gli doveva scrivere?--No, no. La ripugnanza era troppa!--D'altra
parte doveva pur fargli sapere qualche cosa, anche pensando
all'avvenire stesso di Giulio e della Mary.

Con questa idea volle farsi animo, e dominando a mala pena un senso
di ribrezzo, prese un suo biglietto di visita, e rimanendo in piedi,
presso il tavolino, vi scrisse sotto, in fretta, alcune parole,
lo cacciò colle dita tremanti nella busta, vi fece rapidamente
l'indirizzo, poi buttò via la penna, chiamò la cameriera, e dopo averle
indicato la lettera che non voleva più toccare, "alla posta subito,"
mormorò, e scese in giardino, ancora tutta rossa e agitata, per
respirare all'aperto.

Che fatica, che tormento era stato il suo!... E non supponeva nemmeno
come poi il signor Pompeo avrebbe accolto quel bigliettino. Altrimenti
non lo avrebbe di certo mandato.

Il Barbarò che già cominciava ad esser inquieto e ansioso, tornando a
casa vide subito la lettera, fra le altre, sul tavolino della porteria:
corse a prenderla, e la strinse con quel tremito nervoso della mano che
non poteva mai vincere quando apriva o intascava i grossi pacchi di
biglietti di banca. Poi montò le scale in un lampo. Voleva godersela
quella lettera: voleva leggerla solo solo nel suo studio, sicuro di non
essere seccato.

Era contento, allegro, trionfante.

--Ha proprio risposto!... S'è degnata di rispondere la
superbaccia!--Buon segno! Buon segno! Comincia a mettere giudizio....

Chiuse l'uscio, e si buttò sghignazzando sul seggiolone. Era acceso
in viso, ansimava, e guardava, spiava la lettera da tutte le parti
cogli occhietti loschi, senza risolversi ad aprirla. Quel bigliettino
aristocratico, quell'indirizzo violetto, scritto con un caratterino
uguale e sottile, spirante la femminilità più delicata, lo rapiva, lo
faceva andare in estasi. Ci vedeva, ci sentiva dentro la marchesa,
tutta la marchesa col suo profumo, colla sua eleganza raffinata, col
suo fascino voluttuoso.

--Scrivermi è già una gran cosa, dopo quanto è successo fra di noi! È
il primo passo verso la riconciliazione. Ma... bisogna andar adagio,
non bisogna spaventarla un'altra volta! E sghignazzò di nuovo.

A un tratto strappò la busta, e divorò il biglietto tutto d'un fiato.
Sotto il nome c'erano soltanto poche parole.

LA MARCHESA DI COLLALTO

_Le rende noto di aver dato comunicazione al signor Giulio, e alla
signorina Mary Alamanni della lettera ricevuta._

La risposta era tanto asciutta che il Barbarò, su quel subito, provò
uno spiacevole disinganno. Ma si consolò presto. Essa, infine, gli
aveva risposto e questo era l'essenziale. Se proprio, dopo la scena
accaduta e dopo la perdita di Villagardiana, non avesse più voluto
aver a che fare con lui, non gli avrebbe nemmeno risposto. Non era
la quantità delle parole, nè la forma più o meno espansiva, era il
fatto per sè stesso che contava. Certo che voleva mostrarsi ancora
offesa, prima di perdonare. Voleva essere pregata; voleva far ancora
qualche smorfia,--facesse pure; la strada ormai era trovata. Alla
prima occasione egli le avrebbe scritto di nuovo; e allora la biondina
certamente avrebbe risposto più a lungo.... poi, chissà, sempre con
quella bella scusa dei figliuoli, avrebbe potuto chiedere un colloquio,
e così tornare ad entrarle in grazia.--Ma bisognava andar cauti,
per non rovinare le faccende, ed anche per non fare il minchione e
rimetterci più del necessario.

Fosse proprio vero, come gli avevano riferito, che il capitano l'avesse
piantata? In tal caso sarebbe stato più facile di farsi innanzi, ma
invece avrebbe avuto più gusto a portargliela via, a farlo crepare di
rabbia quello spiantato rubacuori!

Ed esaltandosi in questi pensieri, il Barbarò si pasceva golosamente
del profumo di quel bigliettino.

Frattanto alla _Villa delle Grazie_ c'era un gran da fare per i
preparativi del matrimonio: la Mary, sempre, un po' pallida, conservava
per altro la sua testolina a posto, e guidata da Angelica, regolava
bene ogni cosa. Invece Giulietto dimenticava tutte le commissioni, non
capiva più niente: era incretinito dalla felicità, e non faceva altro
che tener dietro ad ogni passo della Mary.

Alla vigilia del giorno solenne, ci fu poi un'altra sorpresa: capitò al
villino un _sotto-fascia_ raccomandato, diretto "_Agli impareggiabili
sposi_."

Era una romanza per tenore, che Donna Lucrezia Balladoro offriva in
dono per le _auspicate nozze_, accompagnandola con un proprio scritto.

  "_Carissima Nipote_,

Quantunque bandita dal vostro Eden terrestre per suggestione
mefistofelica di quell'_Iscariotto_ dello Zodenigo, non posso a meno
di volarti vicina in questo fausto giorno, rivolgendoti un pensiero,
inviandoti un accento.

Tuo zio Francesco, inesorabile e spietato, non ha voluto porgere
ascolto alle mie discolpe; ma tal sia di lui, ed io non voglio con
questa mia rivolgermi altro che al tuo cuore; al tuo cuore dal quale
non invoco grazia, ma giustizia. E per ora basta così. In questo
giorno di supremo gaudio non voglio turbarti con lugubri fantasmi. Si
accendono per te le faci dell'Imene, e tu abbagliata da tanta luce
non devi più vedere altro che il caro oggetto che sta per impalmarti,
dinanzi all'ara santa dei tuoi voti più ardenti.

Ora lasciami, o cara, che io ti benedica, anche come unica
rappresentante della famiglia, nel nome mio e dei nostri antenati che
dal cielo ti guardano, e accetta compiacente il mio umile dono.

Il celebre maestro Forapan, di Verona, persona seria e gentiluomo
perfetto, che avrò l'onore di presentarti alla prima occasione, non
potendo nulla rifiutare alle mie preghiere, ti offre in omaggio una
vera primizia: il più bel pezzo, tutt'ora inedito, della sua opera la
_Regina delle Antille_, che verrà quanto prima rappresentata in uno dei
nostri principali teatri.

Addio, mia diletta; di più non ti scrivo perchè in mezzo a tanto gaudio
volano i giorni, e l'ore!

La romanza, benchè in chiave di tenore, si adatta anche per soprano e
contralto. A me, per esempio, va d'incanto: è nelle mie corde. Presenta
i miei saluti alla carissima mia cugina Angelica, e al mio carissimo
cugino Alberto. Un bacio al tuo sposo.

Ti stringe al cuore

  _La tua desolata, ma in fondo alle viscere
  pur felicissima zia_

  LUCREZIA BALLADORO."

"_P. S._ Anche la Filomena (che diventa sorda e orba come una talpa,
e rompe tutta la roba che è una disperazione) vuol esserti ricordata,
domandandoti scusa della confidenza.

Ancora una volta: che il Cielo ti arrida propizio ed esultante.

Ricordati i confetti e, se non ti dispiace, aggiungi un piccolo
sacchettino anche per il maestro Forapan, che sarà sensibilissimo,
poveretto, a tanta attenzione. Ciao, mio unico tesoro!"




III.


Pompeo Barbarò correva troppo colla fantasia. Erano trascorsi ormai
vari mesi dal giorno del matrimonio, e i figli ribelli non piegavano
il capo. Certo, l'onorario che riceveva Giulietto dalla ditta
industriale, anche unito colla misera rendituccia della Mary, non
poteva loro bastare, abituati, com'erano, con molta agiatezza. Ma
il figlio del deputato Barbarò trovava danari a prestito quanti ne
desiderava, e nella sua inesperienza non s'immaginava nemmeno che il
credito ch'egli godeva lo dovea tutto a suo padre.

E il signor Pompeo capiva pure di essersi ingannato assai anche sul
conto della marchesa di Collalto. Dopo il primo biglietto, egli le
aveva scritto ancora, sempre col pretesto dei figliuoli, ma non avea
più ricevuto nessuna risposta. Pieno di rabbia contro l'alterigia di
quella pitocca, e contro la propria codardia, tornava allora a cercar
di persuadersi che _era tanto di guadagnato_.

--Infine, gli anni passano per tutti ed anche costei non dev'esser più
tanto fresca... finirei a spendere un occhio per avere il carico di una
_rovina_ sulle spalle!

Desiderava, desiderava con una smania crescente e cocente che la
marchesa diventasse tanto vecchia e tanto brutta, da non poter più
piacere nè a lui, nè a nessuno.

--Certo, certo; e si vede che il bell'Andrea ha voluto piantarla a
tempo.

E sghignazzava rodendosi i baffetti sempre più radi, che lasciavano
scorgere di sotto, sulla pelle, l'unto del cerone nero. Ma erano
consolazioni che non attaccavano, ed anzi ogni volta che vedeva la
marchesa, sempre più bella nella sua pallidezza abbagliante, gli
cresceva la febbre. Poi, come tutto ciò non bastasse, venne a sapere
che Andrea Martinengo non solo non l'aveva piantata, ma che era stato
visto un giorno a Gallarate, mentre a Somma c'erano gli esercizi
militari.

--Canchero!... E noi ci facciamo tosare come pecore per mantenere
questo bell'esercito di Florindi!

Allora, vieppiù smanioso, il signor Pompeo mutò registro, e invece
di cercar conforto, pensò al modo d'imporsi subito alla marchesa,
di riagguantarla, ma tanto forte che non gli sfuggisse più; e per
ciò stimò opportuno di trar partito dalle cambialette che c'erano
alla Banca. In fatti alla loro prima scadenza non fece concedere la
rinnovazione dal _Comitato di Sconto_, in cui c'era una sua creatura;
le cambiali furono protestate, e allora Pompeo Barbarò scrisse subito
una lettera di gran premura alla marchesa Angelica mettendola a parte
dell'accaduto, e in pari tempo assicurandola che avrebbe parlato lui
stesso col direttore della Banca perchè non si procedesse oltre cogli
atti.

Ma il tiro non gli riuscì. Angelica, appena ricevuta la lettera
del signor Pompeo, era corsa a Milano dallo zio Diego, implorando
e supplicando il suo aiuto, e siccome la somma delle cambiali,
relativamente grossa per i Collalto, non era poi gran che per il
marchese Diego, e siccome, per di più, non c'era da scomodarsi a tirar
fuori quattrini, ma soltanto da firmare... firmò, _per avallo_, e
il _Comitato di Sconto_ dovette rinnovare le cambiali facendo solo
rimborsare alla Banca le spese del protesto.

Il Barbarò allora, fuor di sè dalla rabbia, vedendo di non poter far
nulla contro la marchesa volle almeno sfogarsi contro qualcuno, e
prese di mira il povero Giulietto.--Gli voleva resistere anche lui,
quell'asinaccio?...--Ebbene, avrebbe pagato lui per tutti!...

E cominciò a mettersi in sul grande, a fabbricare, e spendere, anche in
opere pubbliche. Diceva a tutti che era stufo di suo figlio, e che non
potendo diseredarlo avrebbe fatto in modo che alla sua morte non gli
restasse nemmeno un soldo. In breve fra i banchieri, fra i borsisti,
fra tutta la gente di affari della gran piazza di Milano, non si parlò
più altro che delle grandi spese del deputato Barbarò. Il suo credito,
ormai, era assicurato anche moralmente; la sua potenza formidabile.
Nessuno osava più di opporglisi; persino il Cammaroto avea dovuto
soccombere. Il Barbarò, aiutato anche in ciò dallo Zodenigo, avea
potuto comperare di sotto mano la _Colonna di fuoco_ dall'editore che,
giusta il contratto, avea subito mandato a spasso l'antico direttore.
Il Cammaroto strillò come un ossesso, scagliando anatemi; la signora
Apollonia, un giorno che incontrò l'editore sulla porta, gli si avventò
contro coprendolo di vituperi e facendo l'atto di pigliarlo per il
collo; poi fondarono insieme, "_La Sferza di Gerusalemme_" colla quale
volevano scacciare i trafficanti dal tempio della verità. Ma _La Sferza
di Gerusalemme_ fu sequestrata quattro volte in una settimana; fu
intentato un processo al direttore, al gerente del giornale, e alla
signora Apollonia, come comproprietaria. La _Sferza_, in seguito a
ciò, sospese le pubblicazioni, e Salvatore Cammaroto, minacciato dal
fallimento, perseguitato dai carabinieri, dovette scappare in Isvizzera
colla sua signora, e coi pochi quattrinelli che gli aveva potuto
procurare il buon Peppino Casiraghi... il solo amico rimastogli fedele
nella sventura.

Intanto, mentre il padre Salvatore passava il confine, il deputato
Barbarò, a cavallo alla sua cassa forte, passava di trionfo in trionfo.
"Il delatore del quarantotto" il proprietario dell'Agenzia dei prestiti
sopra pegni di via del Pesce, "il mercante di Pellagra" e tutto il
resto, non erano più altro oramai che frasi stantie, che non era più
di _buon genere_ il ripetere. Appartenevano ad una specie di leggenda
inventata sul conto del Barbarò dall'odio e dall'invidia dei falliti e
degli spiantati. Ma le persone serie e _solide_, erano tutte per lui.
L'antica diffidenza era scomparsa, lo cercavano, lo accarezzavano,
lo stimavano... tanto lo stimavano, che nessuno credeva facesse sul
serio quando andava dicendo che voleva dar fondo ai suoi milioni. Chè!
Chè!... Il deputato Barbarò non era un minchione, anzi a guardarci
bene si vedeva che faceva sempre un affare, anche nelle opere di
beneficenza: e questo era il gran talento degli uomini moderni; degli
uomini all'americana: associare il bene altrui all'utile proprio.

In fatti si era messo a restaurare Panigale, a ridurre come una
reggia quella sua villa... ma per tal modo faceva lavorare la gente
del collegio, e raffermava la propria autorità, assicurandosi la
rielezione; e per lui, grosso banchiere, sempre in mezzo ai grandi
affari, l'essere deputato, oltre all'ambizione soddisfatta, gli
portava un utile assai rilevante. S'era mosso a iniziare i lavori
per un canale, che prendendo l'acqua dall'Olona doveva irrigare una
vastissima zona di territorio... ma egli pure, col nuovo canale,
quadruplicava, sestuplicava il valore dei fondi che aveva acquistati
per poco o niente, e in grazia di quest'impresa colossale "che dovea
emulare" scriveva lo Zodenigo nel _Moderatore_ "le grandi opere Romane"
era stato creato commendatore... e si buccinava che, presto o tardi, lo
avrebbero fatto conte o marchese di Panigale.

A Villagardiana (sicuro, anche a Villagardiana, che quantunque avesse
appartenuto alla marchesa, era quello dei suoi possedimenti che gli
stava meno a cuore, perchè rendeva meno degli altri) il Barbarò aveva
fabbricato un asilo per l'infanzia... ma col patto di vendere al Comune
un fabbricato che, vista la costruzione e la vastità, era per lui
inservibile, e imponendo il saggio del cinque per cento sul capitale,
in un momento che il danaro era molto abbondante. Tutto faceva così, e
gli riusciva bene, e con onore. Già i quattrini fanno i quattrini, e
poi il resto, anche la gloria, viene da sè.

Se per altro, ad onta delle sue chiacchiere, il credito del Barbarò
rimaneva solidissimo, quello del buon Giulietto, invece, ne scapitava
assai. Il Barbarò facea capire che chi stava per suo figlio stava
contro di lui, e la gente, adesso, ad aiutare il giovane avea paura
di esporsi a qualche rappresaglia. D'altra parte il commendatore
stava bene in salute, e prometteva di sotterrare anche il figliuolo,
e poi... Poi si raccontava dalla gente che a Panigale spadroneggiava
un certo signor Micotti (ormai nessuno più si ricordava del _Processo
dei fornitori_) un certo signor Micotti che per sua grande fortuna
possedeva le gambette corte, il viso olivastro, senza barba, e gli
occhietti loschi, tale e quale il signor Barbarò, il quale per di più
ne manteneva da anni la madre vedova, in una casa di salute, pagando
una vistosa pensione.

--E continuasse pure a far l'originale, il signor Giulio, e vedrebbe
questo Micotti portargli via i milioni sotto il naso.

I creditori cominciarono allora, intimoriti, a chiudere il borsellino;
allora, proprio allora che la Mary gli diede un bimbo, un maschietto,
al quale, d'accordo, posero nome Francesco, perchè colle tribolazioni,
e colla squallida miseria che batteva alla porta, era loro ritornato in
mente anche lo zio lontano.

C'era in casa un gran bisogno di tutto, e tutto cominciava a mancare.
La Mary era ammalata, il bimbo gracile e macilento.--Come il suo babbo
quando nacque!--diceva la Filomena che era stata ceduta, con grande
spargimento di lacrime, dalla Balladoro alla nipote.

--_Ringraziame, fia mia_, perchè ti affido un tesoro di fedeltà, un
mostro per far le conserve. In quanto a me, per il tuo bene mi son
ridotta in mani mercenarie.... Una testarda, una _beota_, e che _magna
fia mia, magna quanto magna sto_ governo _asenon_, che non incoraggia
nemmeno le arti!

La buona Filomena vecchia, sorda e mezzo cieca, ormai stentava anche
a reggersi in piedi e, tutt'al più, poteva aiutar la famigliuola a
digiunare. Tuttavia, se non recava molto soccorso alla Mary le era pure
di grande conforto. Mentre era costretta di tenersi a letto, e aveva
il marito tutto il giorno lontano, all'ufficio, ella sarebbe stata
quasi sempre sola se non avesse avuta la compagnia della Filomena, che
le prodigava sempre la sua tenerezza bonacciona e un po' brontolona,
come se la Mary fosse rimasta la bimba d'un tempo. Essa ogni poco
le offriva da bere vini squisiti, o da mangiare leccornie raffinate
mentre la cantina e la credenza erano vuote, e accomodandole la testina
sui guanciali le ripeteva ancora che "così malata" cogli occhioni
che parevano più grandi e più neri nelle guance pallide e sfinite
"somigliava anche più alla sua povera mamma...." E così dicendo la
vecchiarella si faceva il segno della croce, come quando nominava la
Madonna.

Angelica mandava spesso alla Mary bei cesti di frutta, e burro fresco,
e vino, e veniva a trovarla più che poteva; ma col marito che di giorno
in giorno peggiorava, dovea diradare assai le sue gite a Milano.

Anche Donna Lucrezia le faceva visita tutti i giorni, ma per empirle
la testa di consigli, di rimproveri, di offerte, di proteste e di
compassionevoli rammarichi. Donna Lucrezia, a vero dire, non si
presentava mai a mani vuote, ed anzi, prima di risolversi a far tutte
quelle scale, riposava in anticipazione dalla portinaia per pigliar
fiato, e le mostrava i regali che portava a quella sventurata, la quale
in fine era del suo sangue "--un sangue, non dico per vantarmi, di
prima qualità, tanto è vero, che è quello medesimo della Regina Corner,
e basta così!"

La portinaia stupefatta lodava i bei regali; non così la Filomena,
la quale un giorno, stizzita, vedendo che Donna Lucrezia non portava
alla Mary, altro che vestiti sbrindellati e cappellini impossibili le
domandò "se voleva fare della casa di sua nipote il deposito _di so'
strasc_."

La Balladoro si offese, strepitò, poi non portò più niente alla Mary,
ma invece le promise di regalarle un pianoforte, perchè la musica "era
il sollievo dei mortali!"

Per fortuna la Mary si rimise presto in piedi e potè attendere di nuovo
alla casa, e allattare e occuparsi lei del bimbo. Ma per ciò il buon
Giulietto non si appassionava meno del suo stato. Tutto il suo amore,
adesso, era un grande rimorso. Non sapea darsi pace; vedendo la moglie
in tali strettezze si avviliva; ogni poco le domandava perdono di
averla rovinata, si struggeva in lacrime, e per tal modo, e a furia di
compiangerla e di dolersi per lei, rendeva alla poveretta ancora più
penosa la vita.




IV.


Giulio Barbarò non era un esperto pilota nel mare torbido e scoglioso
dei debiti: la sua navicella si era trovata spesso sulle secche, e
faceva acqua da tutte le parti. Egli non dormiva di notte per il
pensiero affannoso dei creditori, e di giorno, sempre colla testa nelle
nuvole, sbagliava i conti della ditta industriale, mentre lo angosciava
pure il ricordo di suo padre, il disonore del suo nome e lo agitava il
dubbio (il dubbio e la speranza insieme) che la Mary e lo zio Francesco
si fossero, almeno in parte, ingannati.

Qualche volta la tenerezza vigile della moglie, riusciva a confortarlo,
a stordirlo, ma l'incanto non durava a lungo... i tristi pensieri
tornavano a stormi... e il poveretto ripiombava nello scoramento al
riaffacciarsi terribile delle scadenze.

Ne aveva due per la fine del mese. Una di tre mila lire, l'altra di due
mila ottocento.

--Come farò a pagare, come farò!... E se non pago, il protesto, gli
uscieri, il sequestro!... Che cosa ho fatto di male per essere tanto
disgraziato?

Quel poco che avea la Mary era già stato ipotecato; non trovava
più danari da nessuno, e i creditori vecchi non accordavano
dilazioni....--Lo volevano morto!

--Com'è tristo il mondo e incostante!--mormorava rodendosi
dentro.--Prima si mette in lega per abbattere mio padre, adesso regge
il sacco a mio padre per opprimer me!

--Eh, incostante, d'accordo!--rispondeva crollando il capo Donna
Lucrezia, quando assisteva a quegli sfoghi.--Ma _el vecio ga_ la
forza... una forza che fa tremare!

--Io non accuso mio padre, anzi credo saranno tutte calunnie; soltanto
voglio vivere. Perchè non mi lasciano vivere?

--Perchè... perchè la _ribellion_ si vede chiara e lampante!...
Sapete in fine che cosa _dise_ la gente?... Dice che un figlio non ha
il diritto di farsi giudice dei propri genitori, e che voi dovreste
dimenticare certe storie ormai disperse in balìa dei venti, per
ricordarvi solo che siete padre.... Padre, _fio_ mio, padre!...--E la
vedova corrugava la fronte, e alzava tutte e due le mani, con grande
solennità.

Donna Lucrezia in quel momento era più che mai infervorata per
rappattumare gli sposi col genitore. I restauri e l'assetto di
Panigale erano compiuti. Tutta Milano discorreva di grandi feste che vi
preparava il deputato Barbarò, e la Balladoro stava sulle spine. Una
volta successa la pace si riprometteva d'installarsi a Panigale presso
la Mary, e potendo darsi un merito per quella riconciliazione sperava
di ottenere l'aiuto del Barbarò per la _Regina_ delle Antille.

--Che splendori, fia mia!--esclamava di continuo anche colla
nipote.--Quella sì, che _se pol_ proprio chiamarla la _Cà d'oro_! E
dire che... con un detto solo....--Senti, Mary, parlo come _el cuor_
m'impone:--fa il primo passo... e cerca di poter essere a Panigale, per
il giorno dell'_inaugurazion_. Animo, animo, _piavola_; ricordati che
sei madre, e movete, se non altro per la tua creatura!

Tanto calore e tante chiacchiere, se impressionavano Giulio e
sbalordivano la Mary, non riuscivano per altro a smuoverli dal loro
proposito. La Mary era inflessibile; aggrottava le ciglia, si faceva
pallida, non cedeva d'un punto; Giulietto era sempre dell'opinione
della Mary, e anche quando l'eloquenza di Donna Lucrezia lo impacciava
un poco, bastava un'occhiata della moglie per rimetterlo in
carreggiata. Insomma il coraggio e la costanza non mancavano... così
non fossero mancati i quattrini. Invece non venivano da nessuna parte,
e si avvicinava la fine del mese.

Dopo continui rifiuti, il poveraccio avea avuta l'idea di rivolgersi
alla _Ditta Industriale_ per chiedere un'anticipazione; ma in sul più
bello non ebbe il coraggio di farlo. I superiori, da qualche tempo, lo
trattavano con insolita durezza e si lamentavano delle sue distrazioni
e della sua negligenza. Giulietto ancora non ne sapeva niente, ma la
_Ditta Industriale_ voleva metterlo al punto di licenziarsi, per non
dar ombra all'onorevole Barbarò.

Conoscenti ne contava parecchi, ma nessuno a cui poter ricorrere.
Di amici... di amici ne aveva uno solo: Clementino Scettola, già
suo compagno d'ufficio, ma poi licenziato perchè aveva il vizio di
alzarsi troppo tardi la mattina. E appunto a Clementino, non avendo da
scegliere, si rivolse il buon Giulietto, ridotto proprio in extremis.

Ma quando mai non ci aveva pensato anche prima a Clementino!...
Quello era un amico vero, pronto a buttarsi nel fuoco "per Barbarò
II, principe ereditario di tutte le Californie!..." Un giovane pieno
di espedienti, un furbaccio che in un amen faceva scaturire i soldi a
cappellate, uno che si vantava di essere il _Baedecker_ degli strozzini!

Appena Giulietto, arrossendo, gli ebbe confidato il suo misero stato,
e il bisogno urgente di danaro in cui si trovava, l'altro gli tirò un
forte pugno sopra una spalla:

--Ti chiami Barbarò, sei il principe ereditario di tutte le Califor....

--No, scusa, devi sapere...--obbiettava timidamente Giulietto,--ma
l'amico non lo lasciò continuare e gridando ancora più forte: "Hai un
nome che vale una Banca, e sei tanto bestia da sgomentarti per poche
migliaia di lire?" e gli scaraventò un secondo pugno.

Giulietto si ritirò un poco, grattandosi la spalla.--Scusa... devi
sapere....

--Quanto ti occorre?... Sei mila lire?... È poco: facciamo la somma
tonda, diciamo le otto....

--Ma....

--Non temere; lasciati guidare da chi ne sa. Più è grossa la somma e
più gli usurai sono pieghevoli. Mille lire occorrono soltanto a un
disperato, ma otto mila lire è la domanda di un signore. Vuoi che
tentiamo il colpo sulle dieci?....

--No... no... otto mi bastano!--rispose Giulietto spaventato.

--Ti bastano?... Le hai in tasca. Mi fai una cambialetta e io la porto
al Vacchetti, uno strozzino d'alto bordo, che non mi ha mai detto di
no. Non è un secolo, la settimana scorsa ho fatto dare dal Vacchetti
quindici mila lire a un ufficiale del _Savoia_, che le aveva perdute
al _club_ e che voleva suicidarsi.--Matto, lascia fare a me!--gli ho
risposto,--e Clementino diede un urtone a Giulietto, come quello che
dovea aver dato all'ufficiale di _Savoia cavalleria_.--Lascia fare a
me!... Vado dal Vacchetti, era a colazione, ma la serva mi conosce e
mi fa passare.--Caro Vacchetti, sono qui per un affare così e così, e
gli raccontò la storia. L'altro si alza, e senza dire nè hai nè bai, mi
conta l'una sull'altra le dodici....

--Le quindici....

--.... Le quindici mila lire!... Usuraio, ma coi guanti! Oh è vero che
non tratta altro che colla prima nobiltà. Soltanto....--Clementino si
fece serio a un tratto, sgranò gli occhi, strinse le labbra--soltanto
c'è un guaio....

--Che c'è?--domandò Giulietto cui dopo un così gran sollievo si era di
nuovo stretto il cuore.

--È capace di pretendere il dieci per cento!...

--Oh, anche il dodici!--esclamò l'altro tornando a respirare.--Anche il
dodici!...

--Allora è fatta. Se poi non si potesse combinare col Vacchetti....

--Dunque non è sicuro?

--Sicurissimo, dico per dire,--se non si potesse combinare col
Vacchetti, si potrebbe tentare dalla signora Amalia di _via Torino_.

--Preferisco il Vacchetti.

--Pure, se la signora Amalia avesse la somma... a farle un pochino di
corte si contenterebbe di un frutto minore.

--No, no; preferisco il Vacchetti. Non mi hai assicurato che col
Vacchetti è affar fatto?

--Per bacco! E poi ci sarebbe anche la Banca.

--La Banca?... Di Banche non ne voglio sapere per via di mio padre.

--Nella Banca che ti dico io, babbo Rothschild non ci ha a che fare. È,
nientemeno, che la _Banca Cooperativa_ fra gli agenti e i commessi di
negozio!... Vado a pranzo tutte le domeniche all'_Arena Nuova_ col suo
direttore, che mi vuole un bene dell'altro mondo.

--Preferisco il Vacchetti.

Giulio e Clementino entrarono da un tabaccaio a comperare la
cambiale, che uno firmò, e l'altro mise in tasca esclamando:--È cosa
fatta!--Stava per andarsene; ma Giulio lo fermò. Ricominciava ad essere
inquieto.

--Scusa e.... quando... quando....

--Lasciami pensare;--e Clementino si fregò la fronte colla mano.--Oggi
è un po' tardi; domattina devo andar attorno per un altro affare d'un
altro mio amico... Un affare in grande.... Trenta mila lire... ma ti
raccomando di non dir niente con nessuno!

--Sta sicuro.

--Alle dodici il Vacchetti (io potrei dirti anche quante volte si
soffia il naso in un giorno) alle dodici va sempre dal Campari a bere
l'amaro....--Basta che non lo faccia bere anche a noi l'amaro!

Giulietto sorrise a denti stretti.

--.... A casa sua,--continuò Clementino,--non si trova altro che alle
due. Ci vado alle due in punto, gli lascio la cambiale, torno alle
cinque per i danari, alle sei ci troviamo dall'Hagy, ti snocciolo la
sommetta (tu preparami la ricevuta, per ogni buon conto) e... ricordati
che sei stato Garibaldino, dunque... niente paura! Vorrei averla io la
tua firma, principe ereditario di tutte le Californie e del Perù!

Rimasto solo, Giulietto Barbarò si diede una fregatina di mani. Era
salvo. Ormai... niente paura, come aveva detto l'amico Clementino.
Prima il signor Vacchetti, poi la signora _Amalia di Via Torino_, poi
in caso disperato la _Banca cooperativa_ fra gli agenti e i commessi
di negozio. E dal presente che si rischiarava, Giulietto intravide
l'avvenire pienamente sereno. Colla signora Amalia avrebbe pagato il
Vacchetti, colla Banca avrebbe pagato la signora Amalia, poi sarebbe
ritornato da capo, e l'uno avrebbe servito per riempiere il buco fatto
coll'altro.

--Se Dio vuole non mi troverò più coll'acqua alla gola!--Che amico, che
amicone, quel Clementino Scettola!

La gioia, come succede in tutte le persone buone, gli si tramutava in
altrettanta tenerezza. Scappò a casa, dalla Mary, ma dietro via si
fermò a comperarle un cartoccio di dolci.

Cara, tanto cara, quella sua donnina! Era un angelo, una santa, era
tutto il paradiso!... La baciò, la ribaciò cogli occhi raggianti,
chiamandola con tutti i nomi più teneri, e finalmente, dopo infiniti
preamboli, le raccontò la fortuna che gli era capitata, facendole
grandi elogi dell'amico Clementino.

--Bada,--gli osservò la Mary, che stentava ad infervorarsi,--bada che
questo Vacchetti, non sia poi uno strozzino!

--Un po'... sì; ma coi guanti. Non tratta altro che con persone della
più alta nobiltà; con tutti quelli del club,--e per rassicurarla
meglio, le raccontò l'affare dell'ufficiale di _Savoia cavalleria_.

Mangiarono insieme una caramella fra due baci, poi il buon Giulietto
corse in cucina dalla Filomena, per regalare un dolce anche alla
vecchiarella, poi volle vedere il bimbo, gl'impiastrricciò il bocchino
di rosolio, e infine domandò alla moglie se aveva scritto alla marchesa
Angelica "un angelo proprio vero" e le raccomandò di fare un po' di
festa anche alla zia Lucrezia.

--È una balorda, ma non è cattiva!

Insomma, a sentir Giulietto, eran diventati tutti buoni, e il mondo,
a differenza del dì innanzi, non era più un mondaccio cane, e ci si
poteva stare passabilmente.

--Sì, sì, tutti buoni, ma nessuno per altro come la mia Mary... la mia
_Meretta_... la mia _Meruccia_... la mia _Merinòli_!...

In cassa c'erano ancora cinquanta franchi; Giulio li prese tutti con sè
prima di uscire, e quando ritornò per il pranzo ne aveva spesi quindici
dalla _Laforet_ per portare un paio di guanti, lunghissimi (allora
una primizia della moda) alla sua mogliettina bella!... e sotto la
_Galleria De-Cristoforis_ ne spese altri cinque per comperare un
cavalluccio di gomma elastica al suo bimbo. Quel giorno il desinaretto
fu una vera festa, e la Filomena, ogni tanto, compariva sull'uscio
col viso ridente fra le grinze e i ricciolini bianchi, per ricrearsi
l'animo anch'essa.

C'era tanto bisogno di un po' di buon umore!

Il giorno dopo Giulietto arrivò tardi all'ufficio. Continuava a fare e
a rifare il conto dei debitucci che voleva pagare colle due mila lire
che gli sarebbero rimaste dopo ritirate le cambiali, e quello delle
varie spesette che aveva in mente. Ma ogni volta diminuiva la somma
destinata al saldo dei debiti, e arrotondava quella delle spese.

--E... e se il Vacchetti non fosse a Milano?

Giulio, a questo pensiero, si sentì venir freddo, tanto più che ormai
non aveva in tasca altro che dodici lire.

--Smemorato che sono!... In un caso disperato si ricorre alla signora
Amalia di _Via Torino_, oppure alla _Banca cooperativa_.

Tornò a sorridere; per altro non più tanto serenamente, e alle sei,
dall'_Hagy_, visto che Clementino si faceva aspettare, cominciò ad
arrabbiarsi.

--Per Dio!... Negli affari bisogna essere precisi!...

Alle sei e mezzo, Clementino non si vedeva ancora.

Giulietto si avvicinò al banco rivolgendosi al padrone.--Se viene
Scettola gli dica di aspettarmi un momento. Vado e torno!--E corse,
sbuffando, a cercarlo a casa sua.

A casa non c'era; c'era la sorella, e gli disse di provare a cercarlo
dall'Hagy.

--Ne vengo adesso!... L'ho aspettato più di mezz'ora! Mi aveva dato
appuntamento per le sei.

--Oh, è il suo solito,--rispose la ragazza sorridendo.--Provi a
cercarlo in _Piazza Fontana_, alla trattoria del _Numero cinque_.

--Lo troverò?

--Può darsi.

Giulio scappò in furia al _Numero cinque_.

--Voglio insegnare a quel villano,--borbottava fra sè,--che non è
questa la maniera di trattare colla gente seria.

Clementino era proprio alla trattoria _Numero cinque_. Giulio lo scorse
subito a una tavola con un altro, e due donnette galanti. Ma appena
Giulio lo vide, le sue furie invece di aumentare, si calmarono un poco.

--Vieni avanti, vieni avanti,--esclamò Clementino colla bocca
piena.--Ti presento alla Rosa e all'Annetta!

Appena finita la presentazione, Giulio si avvicinò all'amico e gli
domandò ansioso all'orecchio:

--E così?...

--Che cosa?...

--Il Vacchetti?...

--Ah!... Ci son stato due volte da quel _pela-merli_!--rispose l'altro
gridando in modo che lo sentivano tutti nella sala, e i vicini si
voltavano, mentre Giulio, diventando rosso, gli faceva segno in fretta
di parlar piano.--Ci son stato due volte: è in campagna, è andato ai
freschi. Ma niente paura. Torna stasera, e domattina alle dieci,--ti va
bene alle dieci?--vengo io a trovarti all'ufficio, col morto.

--Ti raccomando, proprio alle dieci precise!... Alle dieci e mezzo ho
un altro affare.

--Alle dieci in punto ci sarò, ci saranno, e tu fa conto di averli in
portafoglio. Non mi conosci, diamine?... Sono un orologio!

--E ancora non ti sei messo al _Monte di Pietà_?--interruppe l'altro
giovanotto ch'era con Clementino e che fin'allora aveva sempre taciuto.

Le signorine dettero in una risata, e Giulietto se ne andò ridendo
anche lui allegramente, intanto che l'amico gli gridava dietro "futuro
imperatore di tutte le Californie!"

Ritornò verso casa cantarellando. Credeva che l'altro ci fosse stato
davvero dall'Hagy e non passò nemmeno di là per sincerarsene. Passò
invece dalla Galleria Vittorio Emanuele e si fermò estatico dinanzi
alla mostra del Confalonieri.

--Quanta bella roba!... Più che una vetrina sembra un cielo stellato!
E dire che se mio padre fosse un altro, potrei coprire la Mary di
brillanti!... "Se domani... basta, domani si vedrà." Egli guardava
un braccialettino, un filo d'oro massiccio, con uno smeraldo e un
brillante, e pensava. "Quel braccialettino lì, non dovrebbe costare più
di otto o novecento lire...."

--Dunque?--domandò subito la Mary al marito, appena questi fa di
ritorno...--dunque?...

--Ci sono.

--Ah, finalmente, respiro!...

--Ci sono, e li avrò domattina.

Il respiro si fermò a mezzo.

--Li avrò domattina, alle dieci.

--Hai parlato col Vacchetti?

--No; è fuori di Milano, ma torna subito.

--Allora, Dio mio, sei al punto di prima.

--Niente paura. Il Vacchetti non può dir di no.

--Come lo sai?

--Ho la parola di Clementino.

--Speriamo!... Pensa, che doman l'altro siamo all'ultimo del mese!...

--Pagherò le cambiali, e poi, se mi riesce un certo giro che ho in
testa, vedrai... vedrai, _Merina_, mia, che bella improvvisata!

Invece l'improvvisata l'ebbe il buon Giulietto. Clementino fu puntuale,
ma l'altro che lo aspettava dietro i vetri della finestra, capì subito
appena lo vide venire dinoccolato, colla testa bassa, in mezzo alla
nebbiarella mattutina, che la spedizione era fallita. Non si camminava
a quel modo, con otto mila lire in tasca!

--Ha detto di no!... Ha detto di no, e non ho più un soldo!

Gli ultimi spiccioli gli aveva dati alla Filomena per la spesa di casa.

Non ebbe il coraggio di andare incontro a Clementino; si sedette sul
canapè, in faccia all'uscio.

--Niente?...--gli domandò appena l'altro fu entrato, con quella voce
cavernosa che indica il vuoto dello stomaco e della borsa.

--Non l'ho preso per il collo, quel cane, perchè non volevo
insudiciarmi le mani!--Clementino si buttò sopra una sedia, come
disfatto.

--Ha detto di no? Non si fida?

--Non ci mancherebbe altro!... Ti darebbe la casa, ti darebbe!... Tutta
la casa, e senza nemmeno la firma: basta la tua parola.--So che avrei
da fare con un gentiluomo,--ha detto;--ma... Mi confessò di non aver
quattrini. Me lo confessò colle lacrime agli occhi. Guarda se non
siamo sfortunati: ieri, come ieri, ha prestato ottanta mila lire ad uno
dei primi giovinotti della nostra aristocrazia, uno del _club_ che va a
Roma a sposare un'americana arcimilionaria come te!

Clementino si era alzato, e camminava per la stanza dandosi pugni sulla
testa da sbalordire.

--Vedi, quando si nasce colla iettatura? Io sono nato colla iettatura!

--Sono io, sono io che l'ho addosso la disdetta,--mormorò Giulio,
cupamente.--Tu mi avevi fatto la cosa tanto sicura che... che non ho
provvisto in nessun modo... capisci, Clementino?...

Clementino era andato alla finestra, e gli voltava le spalle.--Invece
di rispondere battè colle dita il tamburello sui vetri, fischiettando
piano la marcia funebre della _Jone_.

--La cambiale di tre mila lire...--seguitò l'altro, colla voce sempre
più rauca,--mi scade domani....

--Allora c'è tempo tre giorni.... In tre giorni col tuo nome, si deve
trovare a Milano... mezzo milione!...

--Proviamo alla Banca....

--Alla Banca?...--domandò Clementino interrompendo la marcia.

--Alla Banca, sicuro;--alla _Banca cooperativa_ fra gli agenti e i
commessi di negozio!

--La Banca non sconta altro che il Venerdì.

--Quasi una settimana da aspettare... È troppo tardi. E... e quella
signora Amalia di _Via Torino_?

--Andiamoci subito: se li ha, li dà.--Figurati; a uno che si chiama
Barbarò!...

--Allora non gli avrà,--mormorò l'altro con tono lugubre.

Clementino si cacciò il cappello in testa con un pugno, e poi giù
di corsa per le scale, con Giulietto dietro, pallido, ammusato, che
continuava a borbottare.--Allora non gli avrà, allora non gli avrà,--ma
sempre colla speranza, la speranza è l'ultima che si perde, di sentirsi
rispondere il contrario.

La signora Amalia di _Via Torino_ era una donnetta ancora giovane
e abbastanza piacente, ma col viso imbellettato e le sopracciglia
dipinte. Faceva un po' la sentimentale, un po' la sensitiva, arrossendo
con smorfiette pudibonde ai complimenti di Clementino.

Quando sentì la cifra che i due le domandavano, sospirò, alzò gli occhi
al cielo, e premendosi le mani sul cuore, mormorò languidamente:

--Otto mila lire?... Otto mila lire?... Oh pazzarello, pazzarellone!
Ma come vuole che una poveretta, con tante disgrazie,--e la signora
sospirò di nuovo, e di nuovo gemette,--possa disporre... ma è una dote,
un patrimonio, ottomila lire!

Clementino non si lasciò battere dai gemiti e le presentò il suo amico,
il quale "per un caso, di quelli che succedono a tutti nella vita, si
trovava, al momento, in bisogno di poche migliaia di lire. Il signor
Giulio Barbarò."

--Barbarò!--esclamò la signora Amalia, con un lampo di cupidigia negli
occhi.--Sarebbe forse parente del....

--È suo figlio: suo figlio unico e solo. Erede di tutti i milioni.

--Perdonerà... perdonerà, signore... ecco, le dirò, mio cognato....
Ma prego... mi faccia l'onore... Venga... s'accomodi!--e tutta
complimentosa e scodinzolando, la signora Amalia andò innanzi per
condurli nel salotto, spalancando gli usci con enfasi, voltandosi
quasi a ogni passo con un _s'accomodi_--_scusi tanto_, diretto al
figlio del Barbarò.

Clementino spinse innanzi Giulietto con un pugno nella schiena,
sussurrandogli piano, all'orecchio:

--Siamo a cavallo.... Ti dà le otto mila lire, e poi il cuore, e poi il
resto!...

Il salotto era buio; la signora Amalia si affrettò per tirar su le
tendine, ed aprir le finestre, ma le cordicelle non giravano, e ci
volle l'aiuto di Clementino.

--Non ci vengo mai,--esclamò quando entrò la luce.--Dacchè è morto mio
marito,--e sospirò per la terza volta,--vivo così ritirata.... Prima si
faceva un po' di musica, adesso non ricevo più... non vedo più nessuno.

Infatti nel salotto spirava un odorino di muffa e di richiuso. Era una
stanza di mezzanino, bassa e larga, coi mobili coperti di tela unta,
rossiccia. Qua e là vicino agli usci, e sotto le finestre pappagalli
e altri uccelli d'America imbalsamati, e dappertutto sulle tavole,
sulle mensole, sui palchettini, e appesi alle pareti orologi grandi e
piccoli, di ogni forma, di ogni qualità, a molla, a pendolo, a squilla.
Il marito della signora Amalia, era stato un orologiaio fallito.

--Si accomodino, signori. E lei,--soggiunse rivolgendosi al Barbarò con
tutta la grazietta della sua civetteria,--si compiaccia di deporre il
cappello,--e glielo tolse di mano per metterlo sul tavolino.

--Mio marito ha conosciuto moltissimo il signor deputato, e me ne
parlava sempre con grande ammirazione. Anche mio marito, sa...--e a
questo punto, la sensibile signora Amalia, alzò un'altra volta gli
occhi al cielo sospirando,--anche mio marito, non faccio per vantarmi,
era una testa fina. Ma il poveretto... non è stato fortunato.

--Non è stato fortunato?... Sacripante! Con un fior di donnina come
lei?--esclamò Clementino stringendo i denti e sgranando gli occhi.

La signora Amalia arrossì, e chinò il capo mormorando "pazzarello
pazzarellone!" poi facendo le più amabili smorfiette, e colla voce più
carezzevole, piegandosi mollemente sul canapè, disse al signor Giulio
di ripassare da lei il giorno dopo, che gli avrebbe dato una risposta.
Lei, la somma, non l'aveva proprio, assicurava, ma ne avrebbe parlato
con suo cognato, e riteneva di poter combinare.

--Per altro... devo avvertirla di una cosa...--Giulio tornò a passare
dal batticuore della speranza a quello del dubbio--mio cognato...
forse... poveretto, anche lui è tanto disgraziato! non avrà nemmeno
tutto il denaro, che le occorre, dovrà rivolgersi a terze persone...
e sa bene... in giornata il danaro è molto, molto caro....--Ma la
signora Amalia disse quel molto, molto caro, dolcemente, languidamente,
rivolgendosi colla testina piegata e socchiudendo gli occhi al giovane
Barbarò... come se il molto, molto caro, fosse proprio lui... il _molto
caro_ del suo cuore.

--Oh il mio amico è un gentiluomo,--esclamò Clementino, mentre l'altro,
che avea riacquistata la parlantina, assicurava la signora, che non
faceva questione per il frutto.--Il mio amico si trova per caso in un
piccolo bisogno. Ha da fare un viaggetto di qualche giorno.

--Oh il viaggiare!--esclamò la signora Amalia;--come sarei beata di
poter viaggiare!

--Deve andare a Genova.

--A Genova? Il mare?... Oh il mare!--e la sensibile signora socchiuse
gli occhi, respirando con abbandono.

--Sicuro, e il mio amico non vuol dipendere da suo padre, non vuol
rivolgersi, per estrema delicatezza, ai suoi mille e cento ragionieri
per cui se suo cognato gli volesse procurare la sommetta, ci sarà il
caffè anche per lui.

--Oh, a questo noi non ci si abbada. Se si può fare un piacere si fa...
per rendere servizio a una persona di garbo.

Clementino, vista la buona disposizione, domandò se non era possibile
aver la risposta in giornata.

La signora disse loro di tornare alle due, e quando gli amici si
accomiatarono, stringendo la mano di Giulio mormorò ancora, con voce
flebile:

--Mi saluti il mare!... Il mio bel mare!...

Appena in _Via Torino_, Giulio si sentì piovere un pugno, tra capo e
collo.

--L'hai magnetizzata!--esclamò Clementino.--Ti dà tutto quello che vuoi!

Andarono a far colazione: Giulio invitò l'amico in una trattoria, dove
era sicuro che gli facevano credito.

Come avrebbe potuto tornare all'ufficio?... Con ottomila lire da
intascare alle due?... All'ufficio ci sarebbe andato più tardi.

La colazione fu lietissima: e Clementino contraccambiò l'amico
dandogli, a bocca piena, i più preziosi consigli del mondo.

--La signora Amalia, è una gattina,--te lo dico io;--a saperla
lisciare, se ne fa tutto quello che si vuole. E poi tu le piaci; si
vede! Tu, dà retta a me; gli dovrai usare qualche piccola attenzione:
un mazzo di fiori alla sua festa, un panettone al Natale; e vedrai cosa
ti dico: ti rinnova per tutta la vita!

Rimasero a tavola fino al tocco e tre quarti. Giulio, cogli occhi
lustri, nuotava nell'azzurro.

--Dobbiamo avviarci?--disse per il primo all'amico.

--Andiamo!

--E se la risposta fosse negativa?

--Settemila e cinquecento lire, te le dò io, qui subito, tanto sono
sicuro di guadagnare il resto.

Dinanzi all'uscio della signora Amalia si fermarono per infilarsi
i guanti, poi fu Clementino, era lui l'uomo d'azione, che suonò il
campanello. Ma non si sentì venir gente.

--Ohi,--mormorò Giulietto, di subito impensierito,--che la signora non
si faccia trovare?...

--Chè!--rispose l'amico dando una strappata più forte.

Dopo un altro po' di silenzio si udì un rumore di ciabatte
nell'anticamera.

--Ecco la serva!...

Ma la serva, apparsa all'uscio, guardò i due quasi in cagnesco,
rispondendo loro con voce rauca, da beona, che la signora non era in
casa.

--Come,--esclamò Clementino, mentre Giulietto non avea più fiato,--non
è in casa?...

--Se sono que' due che dovevan venire per la risposta di suo cognato,
ho qui una lettera...--accidenti, dove l'ho ficcata!--La serva lasciò
nell'anticamera Giulio e Clementino che si guardavano senza dir motto,
e tornò brontolando con una lettera gialla, diretta a Clementino.

--A Clementino?... Brutto segno--pensò Giulietto, e il Chianti della
colazione, gli fece nodo alla gola.

Clementino aprì la lettera, ci dette un'occhiata, poi infilò mogio la
porta, senza lasciare i saluti per la padrona.

Giulietto gli teneva dietro colla testa bassa: le ottomila lire erano
andate in fumo.

Infatti la signora Amalia scriveva, che suo cognato era, come lei,
addoloratissimo di non poter servire l'egregio signor Giulio Barbarò,
causa i gravi e molteplici impegni della fine del mese.

--Se fo il cappellaio, nasce la gente senza testa!...--esclamò
Clementino stracciando la lettera.

--Son io il disgraziato,--borbottò Giulio cogli occhi torvi, e lasciò
l'amico salutandolo con un sorriso amaro.

--Maledetto te, e il tuo eccesso di buon cuore! Ora mi trovo senza
un soldo, e colla scadenza alla gola! Aveva ragione la Mary, di non
fidarsene... Povera Mary!...

A ritornare all'ufficio, per quel giorno non ci pensò nemmeno. Invece
corse dalla moglie, a sfogarsi con lei.

Pure, non c'era tempo nemmeno di piangere... un rimedio bisognava
trovarlo. D'accordo colla Mary scrisse una lunga lettera al signor
Ambrogio Vitalis, uno dei soci della Ditta Industriale, dipingendogli
il suo stato, e implorando il suo aiuto per le cambiali: egli lo
avrebbe pagato un tanto al mese sullo stipendio. Ma anche scritta, e
mandata la lettera, continuò a gemere. La notte, non dormì punto, e
la Mary dovette alzarsi due volte: la prima per fargli un caffè, e
l'altra una limonata.--Ah,--mormorava Giulietto fra le convulsioni,--se
non avessi sbagliato il colpo!... Sarebbe stato meglio per tutti!...

La Mary, rimangiando le sue lacrime, cercava di consolarlo dicendogli
che non doveva lasciarsi abbattere in quel modo, e che forse il signor
Ambrogio avrebbe potuto rispondere una buona parola.

Ma la mattina dopo, era proprio il giorno della scadenza, il signor
Ambrogio invece di una buona parola, mandò un ottimo consiglio, quello
che "un giovane per conservare la quiete d'animo, e per vivere onorato,
non dovea mai mettersi a far cambiali." In quanto poi alla Ditta, aveva
il dispiacere di avvertirlo, che dovendo ridurre il numero dei propri
impiegati, per il mese venturo, lo lasciava in libertà.

Il povero Giulietto non disse una parola; si cacciò in letto, e la
Filomena fu mandata in cerca del medico. La vecchietta, di sua testa,
andò poi anche da Donna Lucrezia.

--È tempo, signora padrona, che si metta in moto per quei poveri
ragazzi!...

--Il mio dovere l'ho sempre fatto, _siora Pampaluga_!

--Bisogna aiutare quelle due creature che mancano di tutto, e che credo
minacciate da una gran rovina, per via di un pagamento grosso.

--Bagattelle!--esclamò la Balladoro trasecolata,--ci sarà per aria una
qualche cambiale!--Ma poi soggiunse con gravità:--In tutti i casi non
abbandonerò il mio sangue; _el cuor no l'è una patata_!

E gli aiutò in modo che i due giovani furono rovinati intieramente.

Ricorse a un cavalocchio il quale riuscì ad allontanare per altri tre
mesi la catastrofe, ma la Mary gli dovette metter nelle mani tutto il
suo, e così, con un'ipoteca messa sull'altra, il capitale fu coperto, e
alla nuova scadenza c'erano più debiti di prima, senza l'impiego, senza
danari, e senza più speranze di poterne trovare.

La Mary voleva resistere ad ogni costo, e resisteva ancora. Si era
messa a lavorare, e ricamava e cuciva di bianco, giorno e notte. Voleva
resistere e resisteva, ma erano colpi terribili per il suo coraggio
ogni volta che vedeva soffrire il marito, sempre ammalato, ogni volta
che vedeva il bimbo gracilino, languire e intristirsi. Si era trovata
in mezzo ai protesti, ai sequestri, agli insulti dei creditori; si era
ridotta a vivere in una soffitta. A poco a poco aveva venduta la roba
che le era rimasta, e la Filomena avea rifatte le luride scale delle
_Agenzie di prestiti_. Per il continuo lavorar d'ago le si sciupavano
gli occhi; si spezzava il petto sul tombolo, e Giulio imprecava
disperandosi, e si dava pugni nel capo, poi le domandava scusa, fra
i nodi di tosse. Il medico non prediceva nulla di buono pel bambino,
se non lo conducevano ai bagni di mare. Pure essa sentiva il dovere
sacro, imprescindibile che le incombeva verso la memoria del padre suo;
aveva fede nelle preghiere, in un miracolo della mamma, e si ostinava
a resistere fino all'ultimo, quantunque anche la gente si allontanasse
da lei perchè tutti la condannavano; tutti, meno la Filomena che non si
reputava da tanto di giudicarla, e meno la marchesa di Collalto, che
poco poteva fare, perchè era a corto di quattrini anche lei, col marito
che precipitava verso la fine, e pareva volesse ingoiare tutta la casa.

Quanto poi a Donna Lucrezia, era un nuovo tormento, invece di un aiuto.

La Mary era costretta colla zia a fingere di essere sempre allegra,
se no le piovevano prediche e strapazzate, che non finivano mai. Si
sentiva dare della testarda, della _mata senza cuor_, perchè non voleva
fare quell'atto di sommissione, doverosa per una fia, che l'avrebbe
ricondotta ad occupare, colla sua famiglia, la prima _posizion_ di
Milano!

--In fin dei conti, anche il mondo _vol_ la sua parte, e il mondo ormai
s'inchina tutto quanto dinanzi al Commendator, e come se questo non
bastasse, anche re Vittorio in persona, _el ga stretto la man_!... E
ricordati, creatura benedetta, che se anche il governo _l'è birbon_, il
re, è sempre il gran re dei _galantomini_!

E ciò era verissimo. Mentre la soffitta di Giulio e della Mary si
faceva sempre più misera, Panigale riempiva i giornali e le bocche dei
Milanesi.

In quei dintorni era stata fatta una finta battaglia da un corpo
d'esercito, in presenza di Vittorio Emanuele, che per assistere più
da vicino alle operazioni militari, abitò due giorni nella Villa del
deputato di Panigale.

Vittorio Emanuele non avea mai sentito parlare di Pompeo Barbarò, ma
era stato subito informato dagli aiutanti della straordinaria ricchezza
del suo ospite, e avendolo invitato a colazione, scherzando con lui,
che impacciato non sapeva infilar due parole, gli disse con quella sua
bonarietà, finamente sarcastica, di re democratico:

"_Mi i soun un re ch'a ubidiss; ma chiel coun i so milioun a l'è un re
ch'a coumanda!..._"

Per il ricevimento e per la visita reale, Pompeo Barbarò avea speso 50
mila lire, che diventarono 100 e 150 mila nei discorsi della gente. Ed
anche il dottore del buon Giulietto ne era rimasto impressionato, tanto
da dar pienamente ragione a Donna Lucrezia, e torto marcio alla Mary.

Il brav'uomo, dopo aver tastato il polso all'ammalato e guardato la
lingua al bambino:--Biftecche ci vogliono,--esclamava crollando il
capo,--biftecche, passeggiate in carrozza all'aria buona, e una cura
climatica ricostituente. Poi distrazione, poi tranquillità d'animo. E
un giorno a sgravio di coscienza volle parlar chiaro anche alla signora.

--Suo marito,--le disse,--non può rimettersi, se non riprende la vita
agiata di prima, e suo figlio finirà col portare la conseguenza tutta
la vita, di questo stato di angosce e di privazioni.--Lui non voleva
dar consigli, ma ci pensasse la signora... finchè era in tempo.

Queste parole furono una trafitta al cuore per la povera Mary. Ne parlò
con Giulio, e Giulio, reso irascibile dal male, le rispose di lasciarlo
morire in pace. Si confidò all'Angelica, e questa, pur ammirando il suo
coraggio, le disse che, forse, poteva aver ragione il dottore, e che,
in tal caso, la salute di suo figlio doveva andare innanzi a tutto.

--Anche tu, anche tu!--mormorò la Mary scossa, e maravigliata.--Anche
tu, Angelica, anche tu così buona, anche tu così santa?...

Angelica si strinse al cuore la testina dell'amica e le sussurrò fra i
baci:

--Ormai il tuo dovere è quello di dimenticare!...

--Ma tu, nel caso mio, che cosa faresti?

--.... È per la tua creatura: in te non ci può più essere altro che la
madre!

Pure la Mary esitava ancora; e si lasciava mettere in croce
continuamente. In seguito alla visita reale e all'inaugurazione dei
lavori del _Canale Barbarò_, il commendator Pompeo era stato creato
nobile di Panigale, e la Balladoro dichiarava "a tutti quanti" che
avrebbe strozzato quella _mata da ligàr_, colle stesse sue mani,
vedendola così ostinata nel rovinarsi.

--La dignità! Le memorie del passato! I giuramenti! Tutta roba
bella e bona... ma per chi _ga_ tanto in pentola, da poter dire
le proprie ragioni!... A borsa vuota e a _digiun_, sono...
_mincionerie_!...--Minchionerie inperdonabili! E in quanto alla mia
eredità, non stia a far calcoli; il suo nome, sul mio testamento, non
lo vede di sicuro!... Sarà questo per la sua _punizion_... e po'...
Poi non son più giovane, è vero, ma forse una certa persona di garbo e
di talento potrà preferire alla bellezza passeggiera dell'_aseno_, la
devozione di una sposa fedele, congiunta al tenero _cuor_ di una madre!

La Mary voleva resistere, resisteva ancora e lasciava sempre gridare la
zia a sua posta, senza mai risponderle nulla; ma una sera Giulio si era
aggravato, il bimbo aveva fame, la cameretta squallida e fredda mancava
di tutto, e la Filomena, che avea sempre preso, tacitamente, le difese
della Mary le mormorò anche lei a bassa voce:

--Bisogna cedere, padrona, il Signore vuol così!... Non ci aiuta più.

La Mary, disperata, proruppe in pianto, mormorando
convulsamente:--padre mio!... Mamma mia, perdonatemi!

Sul tardi venne Donna Lucrezia come al solito, ma quella sera uscì
raggiante dalla povera soffitta.

--Corocochè!... La _Regina delle Antille_ anderà in scena di sicuro!

La Mary vinta, non dal proprio dolore, ma dal dolore dei suoi,
aveva ceduto, e sarebbe stata posta di mezzo Donna Lucrezia per la
riconciliazione.




V.


Successa la pace nella nobile famiglia Barbarò di Panigale, la Mary
e l'Angelica si videro assai meno frequentemente, per quanto il
commendatore cercasse tutti i modi di mantenere stretta l'intimità fra
le due cugine. La marchesa di Collalto schivava di recarsi in casa
Barbarò per non incontrare il signor Pompeo, ma d'altra parte, non
volendo che la Mary s'accorgesse della sua freddezza, si recava più di
rado a Milano, e ci andava solamente nei giorni di visita al Collegio
militare, dove Stefanuccio non si diportava troppo bene, e avea bisogno
continuamente di prediche e di esortazioni. Era negligente, svogliato,
e nemmeno mostrava molta intelligenza. Pieno del suo nome, dei suoi
titoli, ogni anno si trovava al punto di dover ripetere gli esami, e
ogni poco lo zio Diego doveva raccomandarsi ai suoi amici del Ministero
della Guerra perchè non fosse mandato via dal collegio. Angelica ne
soffriva assai, e dopo quelle visite, quando sapeva il Barbarò a
Panigale, o a Roma, non poteva resistere, e correva dalla Mary prima
di ritornare a Gallarate, per sfogare con lei tutte le sue pene.

Questo stato di cose durò così parecchio tempo, finchè un avvenimento
assai importante nella vita di Angelica sopraggiunse a mutare
totalmente il suo tenore di vita.

Il marchese Alberto, colpito da un nuovo insulto apopletico, era
rimasto per quasi tutto un anno immobile, senza poter muovere un dito,
nè profferire una parola. Gli occhi soltanto gli erano rimasti vivi per
ammiccare al cibo, e la bocca per inghiottirlo. Poi, una sera, la bocca
storcendosi non si era più mossa, gli occhi eran rimasti aperti, ma
fissi e vitrei: il marchese Alberto era morto del tutto.

La notizia arrivò subito a Milano, e prima ancora che si facessero i
funerali giunse da Milano alla marchesa Angelica una busta suggellata
col bollo della _Banca degli interessi Lombardi Provinciali_. Conteneva
una cambiale del marchese Alberto, avallata dalla moglie, e che scadeva
quel giorno stesso, accompagnata da un bigliettino rispettosissimo
del Barbarò, il quale le diceva che sapendola in quel momento troppo
sossopra per la disgrazia di cui era stata colpita, avea ritirato
lui la cambiale, assicurandola in pari tempo che la Banca l'avrebbe
rinnovata colla sola firma dell'Illustrissima Signora Marchesa.

"Che fare?..."

Angelica in sulle prime si sentì offesa da quell'atto. Ricorse allo zio
Diego per aver modo di pagare subito la Banca, ma lo zio le rispose che
non ce n'era affatto bisogno, dal momento che la Banca stessa, com'era
conveniente e naturale, le offriva il proprio credito.

--Il signor _Barabao_... _Barabò_ non c'entra; deve essere stata una
deliberazione presa dal Consiglio di sconto.--E siccome Angelica
insisteva, il marchese con galanteria si dichiarò "desolato di non
aver tesori da deporre ai piedini _mignons_ della cara nipote....
ma soltanto i voti del suo cuore, ch'ella manteneva in uno stato di
continuo bollore."

"Che fare?..."

Angelica, in quelle strette, in quello sbalordimento, non potè riparare
il colpo; dovette vincersi, nascondendo il dispetto in fondo al cuore,
e far buon viso alla garbatezza del commendator Pompeo, a cui inviò
la nuova cambiale con due parole di ringraziamento. Il primo passo
era stato fatto, e in breve, perchè quella cambiale non era la sola,
e molti erano gli affari che, per la morte del marito, rimanevano
alla marchesa da regolare, il Barbarò, legando destramente una cosa
coll'altra, riuscì a circondare Angelica come da una fitta rete di
cortesie. Sempre per gli affari, o colla scusa degli affari, trovò modo
d'incontrarsi spesso con lei, e tornò finalmente ad andarle per casa.
Si faceva in quattro per servirla, e si prosternava dinanzi al marchese
Diego il quale lo trattava con alterigia, e consigliava alla nipote di
star in guardia, di ricordarsi di Villagardiana.... ma poi non faceva
nulla per aiutarla.

Angelica soffriva: soffriva nel suo amor proprio, nel suo cuore,
nel suo sentimento di donna. Ogni volta che vedeva avvicinarsi il
Barbarò, non poteva vincere un impeto di repulsione, ma era costretta
a dominarsi.... era bastato un momento, un momento solo, e ormai era
stata presa. Pure, essa affrettava con ansia indicibile il giorno in
cui tutti gli affari fossero accomodati, il giorno in cui sarebbe
ritornata libera, in cui non avrebbe più dovuto sopportare la presenza
e i servigi di quell'uomo.... ma se avea fretta lei, non aveva fretta
il Barbarò. Col fascino assorbente del danaro, senza che Angelica se ne
fosse accorta, era diventato il padrone di casa sua. Il nobile Barbarò
di Panigale, deputato al Parlamento, non era più il signor Pompeo, ed
ella pure sentiva, non potendo levarselo di torno, di doverlo trattare
assai diversamente. Gli altri, dai creditori alle persone di casa, che
andavano in visibilio quando arrivava lui, tutti dichiaravano che era
stata una gran fortuna per la marchesa, e più per il marchesino, che
Don Pompeo di Panigale avesse voluto occuparsi dei loro affari. Era
un suffragio universale al quale, tanto più perchè c'era di mezzo suo
figlio, Angelica non poteva, non osava ribellarsi.

E poi i danari, questa forza che il Barbarò sentiva di possedere,
pareva avessero affinata anche la sua furberia. Al _Villino delle
Grazie_ egli aveva saputo rendersi necessario a tutti. Mance non ne
dava, ma poteva rendersi molto utile con raccomandazioni. Un suo
biglietto di visita poteva far la fortuna di un uomo, ed essendo
prodigo di raccomandazioni e di biglietti di visita, diventava popolare
a buon mercato.

Il marchesino Stefano, lo avea fatto suo vezzeggiandolo, adulandolo,
facendogli credere che lo zio Diego era un ricco sfondato, e che
l'unico erede doveva esser lui.

--Che bell'ufficialetto dovrete diventare!--gli diceva spesso.--E ve
ne saranno da spendere, perchè se il babbo ha sciupato, lo zio ha
provveduto!

Il giovinetto montava in superbia a quelle parole, e non faceva altro
che sognar grandezze. Poi quando, più tardi, superati gli esami, si
trovò libero a Torino, alla Scuola d'Applicazione, cominciò a spendere
allegramente.... tanto più che gli era facile trovar quattrini, perchè
c'era sempre qualche usuraio che gli si metteva alle costole, pronto a
servirlo.

Per tutto ciò Pompeo di Panigale trionfava allegramente. Alla Banca
non lo riconoscevano più: sempre attento agli affari, ma di buon
umore. Siccome andava spesso al _Villino delle Grazie_, aveva mutato
il vecchio carrozzone in una _victoria_ elegantissima, e si era fatto
canzonare comperando a gran prezzo, e per due _puri sangue_, una
pariglia di poco valore.... Ma a un tratto, quando proprio era al
sommo di tutte le speranze, arrivando una sera a Gallarate, vi trovò
il maggiore Andrea Martinengo, che gli fu presentato dalla marchesa
Angelica, cogli occhi lampeggianti di contentezza.

Il Barbarò fece una smorfia, che dovea essere un sorriso, abbondò di
complimenti col maggiore, ma avea la voce grossa, e se ne andò quasi
subito.

Non vedeva il momento di trovarsi solo!--Invece quando fu solo si sentì
peggio. Era gonfio di gelosia e di odio.

--Quella santocchia mi ha ingannato! Si è servita di me come di un
ragioniere! Mi ha tenuto buono, mi ha accarezzato finchè aggiustavo
i suoi affari, e adesso che si crede a buon punto fa saltar fuori
l'amante e me lo butta in viso!... Svergognata! Sfrontata, peggio
di tutte le altre!--Poi, sfogata l'ira, un altro pensiero lo
accasciava.--Dunque.... si amano ancora?!... Dunque non è vero che
quello spiantato l'abbia abbandonata!... Si amano! Si amano! Potessi
farli crepare tutti e due!

Pompeo tornava a infuriarsi, e strapazzava il cocchiere perchè non
faceva correre abbastanza i cavalli; ma poi a una voltata si arrabbiò
perchè correvan troppo, e lo percosse col bastone sulla schiena.

Non poteva star quieto; e borbottava a mezza voce:

--Le pianterò a mezzo tutti gli affari! Penserà il maggiore a
levarla dagli imbrogli. Sì.... Sì.... Domani le scriverò una lettera
fulminante. Le voglio dire che non mi garba di portare il moccolo!

I cavalli correvano sempre in mezzo alla notte buia d'estate, senza
stelle, senza chiaror di luna, pesa, soffocante. Un odor grasso di
campagna faceva presentire la pioggia vicina. Pompeo tacque a un
tratto, e si rincantucciò. Stette così lungamente, rimuginando e
rodendosi i peli dei baffi.... Pensava.... pensava cogli occhi fissi,
spalancati nel buio....

A un tratto si scosse, si rizzò a sedere, come per seguire un'idea
che temeva gli sfuggisse.... e in fine, così solo, scoppiò in una
sghignazzata.

--Ah! ah! ah!.... Sarà un colpo da disperato, ma non ho da scegliere; e
poi, con questo, se non riescirò dove voglio, mi sarò almeno vendicato!

Il giorno dopo egli non scrisse nessuna lettera alla marchesa; invece
continuò a prendersi cura de' suoi affari, andando al _Villino delle
Grazie_ colla solita frequenza, mostrandosi come prima servizievole e
rispettoso, facendo continui complimenti al Martinengo, e esprimendo
il desiderio di entrare con lui in buona amicizia.




VI.


Il prossimo matrimonio di Angelica e di Andrea era già l'argomento
del giorno nei vari discorsi dei conoscenti; ma ancora nè Angelica nè
Andrea volevano accettare le congratulazioni. Per tale riserbatezza
c'erano due ragioni del pari importanti: una di convenienza, perchè
avevano fissato di aspettare che fosse compiuto l'anno di lutto prima
di partecipare il matrimonio; l'altra di opportunità, non potendo
ancora sapere quando si sarebbero maritati. Nè la marchesa, la cui
piccola dote si poteva toccare, nè il Martinengo, che aveva solo la sua
paga di maggiore, si trovavano in istato di poter fornire la cauzione.
Per questo Andrea avea combinato, d'accordo colla marchesa, di dare le
proprie dimissioni e di ammogliarsi appena avesse ottenuto, mediante il
suo titolo d'ingegnere, un buon impiego alle strade ferrate. Intanto
aspettavano tutti e due, volendosi ogni giorno più bene. Andrea avea
chiesta l'aspettativa per ragioni di famiglia, e si era stabilito
anche lui a Nuvolenta, vicino a Gallarate, nella stessa casa abitata
per tanto tempo da Giulietto Barbarò. L'impiego alle strade ferrate
non gli poteva mancare, nè doveva tardar molto a venire, tenuto conto
della capacità di cui aveva dato prova, della grande stima che godeva
nell'esercito, e delle sue aderenze personali. La felicità dei due
amanti era dunque sicura, e il suo compimento non presentava ostacoli;
era appena questione di un po' di tempo. Nessuno poteva impedire il
loro matrimonio, proprio nessuno, nemmeno lo zio Diego, che, potendo,
lo avrebbe fatto molto volentieri.

--La marchesa di Collalto diventare la moglie di un impiegatuccio alle
strade ferrate?!... Diventare la signora Martinengo, _tout-court_!...
Era più che una _mésalliance_, era una _dégringolade_!... E non
soltanto per il decoro del nome, il marchese Diego era irritatissimo,
ma anche perchè temeva che i soldi dell'impiego fossero scarsi, e
toccasse a lui, a metter mano alla borsa.

Quel matrimonio lo faceva diventar verde come i suoi capelli, e al club
gli amici, quando volevano divertirsi alle sue spalle, glie ne facevano
le congratulazioni. Allora il marchese montava in bestia, dava del
babbuino al Martinengo, e della romantica sventata alla nipote.

--Che bisogno c'è di maritarsi?... Non era libera?... Non poteva fare
tutto quel diavolo che voleva, senza impitoccarsi cogli impieghi?--E a
chi, in proposito, gli citava la virtù, riconosciuta da tutti, della
marchesa di Collalto, il vecchio filosofo rispondeva con un'alzata di
spalle:

--La virtù?... Che virtù!... La virtù che apprezza il mondo è una sola,
e consiste per gli uomini nell'aver quattrini, e per le donne nell'aver
prudenza.

Ma poi, visto che l'arrabbiarsi e il gran predicare non portava
nessun frutto, anche il marchese Diego si stancò, Non voleva perdere
l'appetito, tanto più che lo stesso Stefanuccio sembrava contento,
e invece di gridare cominciò a sfogarsi burlandosi della nipote,
chiamandola la signora _Guarda-freno_, raccomandandole di non mostrarsi
troppo alla stazione, perchè avrebbe fatto perder la testa agli
impiegati, e accresciuto il numero degli scontri.

In quanto a Stefanuccio, per altro, non era vero che fosse contento
del matrimonio di sua madre; non gliene importava un fico. Per il
Martinengo aveva la considerazione e il rispetto disciplinare che un
allievo professa ad un maggiore di artiglieria: null'altro, e nulla più.

Il giovane scapestrato aveva ben altro in mente che il matrimonio
di sua madre. Fra i debiti, i cavalli, il giuoco, le ballerine e la
Scuola, era affaccendato tutto il giorno e tutta la notte, sempre
colla testa sossopra, sempre in moto, sempre in ansia, trascurando la
Scuola per rimediare ai debiti, dimenticando i debiti dietro le donne,
trascurando le donne per i cavalli.

Ma se i debiti egli li dimenticava, v'era bene chi li ricordava per
lui, e fra gli altri un omino piccolo, colle gambette storte ad arco,
il viso da vecchietto e gli occhi loschi. Costui, col cilindro lustro e
il grosso catenone d'oro dei giorni d'affari, era seduto a un tavolino
del caffè Florian, coll'aria di chi vi aspetta qualcheduno. Ma il
qualcheduno aspettato tardava a mostrarsi, e l'omino domandò a un
cameriere se sapeva dove abitava il marchese Stefano di Collalto.

--Sissignore: abita in _Piazza Vittorio Emanuele_, numero 36.

--E... sapreste indicarmi a che ora è più facile trovarlo in casa?...

--Di solito non saprei dire, ma in questi giorni lo deve trovar di
certo perchè è agli arresti: portava la visiera del berretto troppo
piccola, e il generale Casanova lo ha consegnato.

L'omino sorrise, poi si alzò quasi subito, e scese lentamente i
_Portici di Po_, avviandosi verso la Piazza Vittorio Emanuele.

Beppe Micotti, l'omino non era altri che lui, inviato dal Barbarò con
un incarico delicatissimo, rimuginava intanto nella sua testa ciò che
dovea dire al marchese.

--Lo liscieremo e lo aduleremo...--e subito trovatosi di fronte
all'ordinanza, gli domandò se Sua Eccellenza il marchese era in casa, e
lo pregò di andargli a domandare se si degnava riceverlo.

--Chi gli devo dire?...

--Serafino Bianchi,--rispose il Micotti che si era preparato lungo la
strada anche a quella domanda.

L'ordinanza scomparve per un uscio a cristalli smerigliati e il Micotti
rimase in anticamera ad aspettare. Dopo un momento, dietro i cristalli
apparve un'ombra, e dalla fessura dell'uscio si mostrò un'occhio nero
che spiava, e un pezzetto di testina riccioluta. Poi l'ombra scomparve,
e si sentì squillare nell'interno della camera una risata argentina di
donna. Intanto si presentò sull'uscio l'ordinanza ritta, impettita, e
senza dir motto fe' cenno all'altro di passare, e gli chiuse dietro la
porta, lasciandolo solo col marchese.

Stefano di Collalto si voltò per guardare il suo visitatore, e con
la faccetta imberbe rideva ancora dietro alla ragazza che avea fatto
scappare nel gabinetto di toeletta. Era un cosino lungo lungo,
magrissimo, straordinariamente calvo per la sua età, con la carnagione
diafana e lentigginosa dei biondi rossicci.

Il signor Bianchi, col cappello in mano, gli fece un inchino umilissimo.

--Il signor marchese... non mi conosce di certo....

--No, non mi pare.

--Oh, io invece ho avuto l'onore di ammirarla spesso al Valentino a
cavallo, e poi in _Piazza d'Armi_....

--Sarà benissimo!--rispose l'altro seccamente, squadrandolo d'alto
in basso, e tenendolo in piedi, presso l'uscio. Il marchesino, dal
preambolo, dubitò subito di aver a che fare coll'inviato di un suo
creditore.

Invece, l'omino, era proprio un creditore in persona. Sempre col
cappello in mano e sorridente, il signor Bianchi levò di tasca un
grosso portafoglio, e dal portafoglio, con due dita, una cambiale che
dopo fatto un altro inchino, presentò al marchese. Questi guardò alla
sfuggita verso l'uscio del gabinetto di toeletta, poi invitando il
signor Bianchi ad accomodarsi, gli tolse di mano il cappello che posò
sopra una seggiola.

--Oh troppa bontà....

--_Saperlotte_! L'avevo dimenticata!--esclamò il marchesino dando
un'occhiata alla cambiale. Poi calando il tono della voce per non
farsi sentire nell'altra stanza:--Senta,--continuò,--non si potrebbe
rinnovarla, per qualche giorno? Sono agli arresti, capisce, e non mi
posso muovere, non posso provvedere.

--Si figuri!... Se dipendesse da me!... ma io, in questo caso, non fo
altro che rappresentare il barone Castagneto di Genova; una persona
stimabile quasi quanto vostra eccellenza, e che me l'ha girata per
l'incasso... solamente per l'incasso.

--E...--l'altro sorrise facendo l'occhietto al signor Serafino, come
usava colle donne quando voleva essere irresistibile,--e... non si
potrebbe telegrafare a Genova?...

--Conosco il signor barone, e so com'è fatto. Oggi, scaduta la
cambiale, vuole che sia pagata, pronto domani a scontarne una nuova,
com'è naturale, avendo da trattare con persona che ha un nome
illustre, un ricco patrimonio presentemente, e un avvenire (quello che
gli prepara l'illustrissimo marchese Diego di Collalto) di milioni
parecchi.--E il signor Bianchi spiegò di nuovo la cambiale, mettendola
distesa sul tavolino.

--E allora, quando mi conosce, e sa di poter essere sicuro, mi trovi
il modo lei, di rinnovare questa cambiale a tre mesi. In fine non
si tratta altro che di mille cinquecento lire, e se non fossi agli
arresti....

--So benissimo, signor marchese, so benissimo, che in tal caso non
avrebbe bisogno di me. Ma... gli è, vede... che io sono sprovvisto:
non sono un banchiere, come il signor barone; sono un agente d'affari
e nulla più. Tuttavia cercherò di servirla per due o tre giorni...
intanto... regolata questa pendenza, potrà rivolgersi ancora al signor
barone e, se crede, penserò io a tutto, mediante una provvigione.

--S'intende, s'intende....

--Io non sono un capitalista, ripeto, e vivo sugli affari che fo per
gli altri.

Dopo una simile dichiarazione Stefanuccio si sentì più tranquillo.
L'amico, pensava, avea subodorato un buon affare, e per questo era
venuto da lui con tanta premura.

Infatti il signor Bianchi, sempre più ossequioso, lasciò sul tavolino
la cambiale scaduta, e si portò via la firma in bianco, per duemila
lire, del marchese Stefano, che a quelle dimostrazioni di grande
rispetto rizzava la testa e, gonfiandosi, faceva la ruota come un
tacchino.

Per alcuni giorni l'agente d'affari non si fece vivo e Stefanuccio,
prosciolto dagli arresti, si era già dimenticato di lui, del barone
Castagneto, e della firma in bianco, quando vedendoselo una mattina
comparir dinanzi al _Caffè di Parigi_, si consolò tutto, pensando che
il signor Bianchi gli poteva procurare i quattrini che gli occorrevano
per la beneficiata di madamigella Nicoly; un fiore esotico, e molto
sbocciato, della compagnia equestre Ciniselli.

--Buone nuove?--gli domandò subito il Collalto che si era allontanato
dai compagni, coi quali stava facendo colazione.--Buone nuove?

--Sì... e no, signor marchese.

--Fuori il sì!...

--Mi scusi, l'eccellenza sua, ma dovrei cominciare dal no.

Stefanuccio aggrottò gli occhi miopi.

--L'effetto... sa... non l'ho ancora potuto scontare.

--Quale effetto?

--Quello che mi ha lasciato in bianco, per duemila lire.

--Ah, sicuro! rispose Stefanuccio, lustrando l'occhialino colla
pezzuola di battista.

L'altro lo guardò, disponendosi ad ascoltarlo colla più premurosa
attenzione.

--Per la cambiale delle duemila lire, ci penserà... con comodo. A me
occorrerebbe invece di conchiuder presto un altro affare....

La faccia verde del signor Bianchi si colorì a un tratto.

--Ecco... è appunto intorno a ciò che avrei buone notizie. C'è chi
sarebbe disposto a trattare con lei.

--Il barone Castagneto?...

--No: qualche cosa di meglio... di molto meglio!

--_Saperlotte_!...

--Sarebbe un grosso banchiere di Livorno. Un mio corrispondente. Ma non
ho voluto sciuparlo per la bagattella di duemila lire.

--Ha fatto benissimo!... Prende un cognac, signor
Serafino?--Cameriere!... Cognac!

--Troppa bontà!... Appena ha udito il nome del signor marchese, m'ha
detto Bep...--il signor Bianchi si corresse a tempo,--Serafino,--m'ha
detto,--ti lascio trattare per sessantamila lire!

L'ufficiale ebbe una scossa che gli fece saltar la lente fuori
dell'occhio, ma l'altro tirò dritto, imperturbabile.

--E quali sono le condizioni?--ho soggiunto io, volendo battere il
ferro, mentre era caldo.

--Benissimo! Benissimo!

--Le condizioni sono presto dette.--E il signor Bianchi tacque un
momento, per dar più importanza alle parole, mentre l'altro aspettava
con ansiosa irrequietezza.

Il grosso banchiere di Livorno, per sua propria garanzia, voleva essere
il solo creditore del marchese Stefano di Collalto. Però, colle
sessantamila lire, il marchese Stefano di Collalto doveva pagare tutti
gli altri suoi debiti, e sottoscrivere una dichiarazione in piena
regola, colla quale si obbligava a non firmare nessun'altra cambiale,
nè come traente, nè come avallante, nè come giratario.

Le tratte, fino alla ricorrenza convenuta, delle sessantamila lire,
sarebbero state rinnovate di tre in tre mesi, sempre che il credito del
marchesino Stefano si mantenesse tale quale lo godeva presentemente.

Ma queste parole erano chiacchiere inutili. Stefanuccio non ci badava
nemmeno. Egli pensava che con quel contratto, pagati tutti i suoi
debiti (erano dalle trentacinque alle quarantamila lire) gli rimanevano
ancora ventimila lire da spendere, ed era contento. Accettò senz'altro.
In quel momento i tre mesi erano per lui un'eternità: avrebbe
sottoscritto per qualsiasi somma, per qualsiasi cosa.

Due o tre giorni dopo tutto era stato convenuto e preparato, e verso
sera, un poco prima che il marchesino uscisse per andare a pranzo, ci
fu la firma delle cambiali. In piedi presso lo scrittoio, colla lente
ficcata nell'occhio, colla sigaretta in bocca, col berretto sotto il
braccio, e i gomiti appuntati, egli si sbrigò in fretta di quella noia,
mentre il signor Bianchi lo guardava di sottecchi, rodendosi le unghie.

Ma anche quelle ventimila lire durarono pochino, pochino assai, nelle
mani bucate dello sventatello. Già, bisogna notare, che ventimila
proprio non erano mai state, perchè Pompeo Barbarò, che non voleva
buttar via quattrini più del necessario, aveva imposto al Micotti di
trattenersi il frutto dell'otto per cento, e di più una provvigione
di mille lire. Rimaneva sempre un bel gruzzolo, a ogni modo, ma il
marchesino non aveva mai avuto tanto danaro fra le mani; e quel
danaro non gli era costato nessuna fatica, e lo sciupava malamente,
stupidamente, passando da una bottega all'altra colla foga, colla
smania di spendere; empiendosi la casa di roba inutile, pagata il
doppio del valore; invitando sempre qualche amico a colazione, e
a pranzo; coprendo di regali madamigella Nicoly, che fece passare
dal quartierino di via _Borgo nuovo_, al piano nobile dell'_Hôtel
D'Angleterre_; giocando a rotta di collo, comperando un _tilbury_, poi
un cavallo da tiro, poi un altro cavallo da sella.... In capo a un mese
la cassa era vuota, e gli rimaneva ancora da pagare il _tilbury_, mezzo
cavallo e il conto dell'_Hôtel D'Angleterre_. Madamigella Nicoly era
partita per la Russia.

La marchesa, informata in parte della vita allegra del figliuolo, gli
aveva scritto una lunga lettera per supplicarlo di aver molto giudizio.
Gli ricordava che del babbo non c'era più nulla, che la sua dote era
ben poca cosa; lo ammoniva di non farsi troppe illusioni sullo zio
Diego, e tutto ciò scriveva in un modo che toccava il cuore e strappava
le lacrime. E Stefanuccio pianse davvero: ebbe un giorno di luna, un
altro di disperazione.... Anche il tempo aveva la sua parte. Pioveva
sempre, con un buio, un vento caldo, un'uggia insopportabile.... Poi in
fine, un bel mattino, Superga riapparì sulla cima ridente illuminata
dal sole, e anche Stefano di Collalto si rasserenò. Scrisse alla "sua
buona mammina" che era stata male informata, e che si mettesse il
cuore in pace. _Mademoiselle_ Nicoly era partita per Pietroburgo,
il _tilbury_ lo aveva a prova da un amico, il cavallo era sempre
quello, che serviva da sella e da tiro; il giuoco lo aborriva, i
suoi compagni lo chiamavano il _certosino_, e lui non faceva altro
che studiare, studiare, studiare, tanto che certe volte, gli doleva
il petto. Finiva poi coll'inviarle "tanti baci" e col pregarla di
ricordarlo con simpatia al carissimo Andrea. Scrivendo la lettera buona
si sentì rimesso a nuovo, e allora, fischiettando un'arietta della
_Bell'Heléne_, mandò pure un bigliettino al signor Bianchi:

 "_Carissimo_,

 La prego di farsi vedere quanto prima. Venga a cercarmi a casa
 mia; non al _Caffè di Parigi_, nè alla Scuola, e ciò per evitare
 pettegolezzi."

Il marchesino aspettò il signor Bianchi il giorno dopo; ma questi,
nè il giorno dopo, nè il seguente non si lasciò vedere. Venne invece
la sera del terzo, e a Stefanuccio sembrò assai mutato. Era meno
espansivo; tutto pieno di dubbi e di reticenze.

Il ragazzo, tanto per incoraggiarlo, gli lesse una lettera molto
affettuosa dello zio Diego.

--Scusi, signor marchese.... scusi se le fo una domanda.

--Dica, dica....

--Da quanto tempo ha ricevuta questa lettera?

--Da una quindicina di giorni.

--Gli è, vede,--continuò l'altro con un tono particolare e assai
espressivo,--gli è che in questo tempo... il suo signor zio potrebbe
essersi mutato.

--Chè! mio zio non si occupa de' fatti miei.

--No, no,--continuò l'altro lentamente, lisciando il cappello col
dito.--Non si dubita di lei. Si dubita che il matrimonio della signora
marchesa possa spiacere al marchese Diego.

--Nessuno ha diritto di occuparsi e di parlare di un matrimonio che non
è stato ancora partecipato,--rispose Stefanuccio seccamente,--e ciò non
deve entrare nei nostri affari.

Il signor Bianchi si scusò, mostrandosi mortificato.

--Ora, da lei, non voglio sapere altro che una cosa: potrei avere due o
tremila lire, senza firmare nessuna cambiale?

--Non vuol sapere altro che questo?... Ebbene, no, signor marchese.

Stefano si scosse a quella risposta, si turbò, e guardò bene il signor
Serafino.

--Nemmeno.... millecinquecento?... mille?...

--Oggi sa, eccellenza, gli ufficiali sono un po' in discredito presso
la gente d'affari.

--Ma io.... io non sono il primo venuto.

--Nella _società_, nell'alta aristocrazia; ma sulla piazza, mi spiace
doverlo dire, il suo nome non è più così solido, come due o tre
settimane fa.

--Come mai?... Perchè ho perduto al giuoco qualche migliaio di lire?...

--Chi sa?... Forse per questo... forse,--e qui il signor Bianchi
marcò le parole e lisciò il cappello ancora più adagio e ancora più
forte,--forse.... per qualche altra ragione.... chi sa?...

L'ufficialetto camminò su e giù per la stanza, colla testa bassa e
battendo gli sproni, ad ogni passo. Anche il signor Bianchi stava
pensieroso, a capo chino. Non si lustrava più il cappello, che avea
messo sopra una seggiola accanto, ma gli anelli d'oro delle dita. A un
tratto Stefano gli si fermò dinanzi, e gli domandò a mezza voce:

--Se si facesse la proposta a quello di Livorno.... di portare il suo
credito a settan.... a settantacinquemila lire?

--Sarebbe uno sproposito. Se perde la fiducia c'è il rischio che alla
fine dei tre mesi non voglia più rinnovare le cambiali.

--Questo è impossibile!--esclamò l'altro vivamente.--È obbligato a
rinnovarle! Non è vero, signor Serafino che è impossibile? Che non farà
questo tiro?

--Eh!--balbettò l'agente d'affari stringendosi nelle spalle, e alzando
gli occhi al soffitto,--speriamo che non lo faccia!

La risposta non era troppo rassicurante; ma c'erano ancora due mesi di
tempo alla scadenza, e il ragazzo non voleva cominciare a inquietarsi
così per tempo. Del resto era convinto che quella titubanza fosse una
tattica dell'omino per farsi valere, e guadagnare un'altra provvigione.
Fatta una scrollatina, accese una spagnoletta; e persuaso che con
quella gente lì non bisognava mai mostrare di averne troppo di bisogno,
se ne sbrigò con poche parole:

--Lei ha capito, signor Bianchi. Se mi può trovare qualche migliaio di
lire, ci sarà un buon regalo.

Il signor Bianchi se ne andò mogio mogio, senza dire quando sarebbe
tornato, ma il marchesino era sicuro di rivederlo presto coi danari in
tasca. Invece non si fece più vivo, se non una settimana prima dello
spirare dei tre mesi. Nel frattempo Stefano di Collalto avea vissuto di
espedienti; aveva venduto il _tilbury_, i cavalli (anche quello che
gli rimaneva da pagare per metà) oltre a due selle inglesi.

--Senta,--furono le prime parole ch'egli rivolse al signor Bianchi
appena lo vide entrare, senza osservar subito che era vestito molto
dimesso e aveva il viso stravolto.--Senta, ella mi deve trovare la
piccola somma occorrente per i frutti del rinnovo delle sessantamila
lire, o ottenermi almeno che quello di Livorno, aggiunga i frutti al
ca....

Ma l'altro non lo lasciò finire: spalancò le braccia, mormorando con un
singulto:--Altro che frutti!... Altro che rinnovo!... Siamo traditi!...
Un momento fa ho ricevuto lettera da Livorno. Cose terribili: non
rinnovano più niente!

--_Cheèh!_--rispose il marchesino impallidendo e curvandosi, quant'era
lungo, per guardare in viso il signor Serafino.

--Ah, signor marchese, signor marchese!... mi lasci parlare.... non
mi chiuda più la bocca come l'altra volta: è il matrimonio della sua
signora madre che rovina lei, che rovina ogni cosa! Non se n'abbia a
male, eccellenza, perdoni il mio ardimento, ma al punto in cui siamo
bisogna dir tutto;--devo dir tutto.

--Si spieghi.

--Ma....

--Avanti!

--La gente d'affari è sospettosa, paurosa....

--Avanti!--ripetè Stefano battendo i piedi.

--E la fiducia... è riposta soltanto nell'eredità dell'illustrissimo
signor marchese di Collalto.

--Questo si sapeva! Ebbene?...

--Ma ora che il marchese Diego va dicendo che il matrimonio della sua
signora madre è il disonore della famiglia, e che....

--Non sono io che mi sposo!...

--Ma l'illustrissimo signor marchese dice di averla anche con lei,
perchè non si è mosso, perchè non ha impedita la cosa, perchè invece se
ne mostra contento, e dichiara a tutti, e grida forte, che nemmeno a
lei non lascierà più un soldo!... Tanto forte grida che l'han sentito
fino a Livorno, e le cambiali non le vogliono rinnovare!

--Questa, per altro, è un'azionaccia! Avevo la parola per il rinnovo, e
ci contavo!

--Oh Dio, si sa bene, la parola.... È al danaro che tengono. D'altra
parte... anche in quanto alla parola... loro si vantano di essere in
regola.

--Canaglia!...

--Non ricorda la clausola?

--Quale clausola?!... Mi faccia il piacere, anche lei, di non
inventarmi storie!--strillò il marchesino sempre più infuriato.

--Scusi, ma....--Non si riscaldi per amor del cielo!... Dopo si sentirà
male!...

--Non ci dovrà pensar lei, se mi sentirò male!... Un tiro simile... a
bruciapelo.... Mi avesse almeno avvertito in tempo!...

--Ho ricevuto la lettera in questo punto....

--E mi parla di clausole!--continuava a gridare il povero ragazzo,
pestando i piedi, camminando rabbiosamente in su e in giù per la stanza.

Il signor Serafino, a buon conto, stava sempre vicino all'uscio: non si
sentiva troppo sicuro.

--Legga... legga, signor marchese, la lettera di convenzione. Dice
espressamente: "_le cambiali saranno rinnovate di tre in tre mesi
sempre che il credito del marchese Stefano di Collalto si mantenga
quale lo gode presentemente...._" E a Livorno invece si crede che, dopo
le chiacchiere, le lagnanze e le dichiarazioni del marchese Diego,
anche il credito ne abbia molto scapitato.

Stefanuccio, a tali parole, passò dalla collera all'abbattimento il più
profondo.

--Mi salvi, signor Bianchi, mi salvi o... succederà una catastrofe!

Il signor Bianchi, inorridito, gli fe' cenno di non dire di quegli
spropositi.

--Se fossi in lei, cercherei piuttosto di indurre la marchesa a... a
piegarsi al desiderio dello zio. Lo zio è vecchio, la sua signora madre
è giovane ancora e... potrebbe aspettare.

--No, mai. Non domanderò mai a mia madre di sacrificarsi per me.

--Che bel cuore!--esclamò il signor Serafino guardando Stefanuccio con
ammirazione.--Ma il bel cuore guasta sempre gli affari buoni!

--Mia madre... è sempre stata una....

--Gran dama!

--Una martire....

--Vero, vero!

--.... E io non voglio attraversare la sua felicità. No, no!...
Piuttosto, le ripeto, succederà una catastrofe, e il rimorso lo dovrà
sentir tutto lei!...

--Per amor del cielo,--io?...

--Sì: è stato lei che m'ha messo in un simile impiccio. Non sapevo io
che fossero al mondo nè lei, nè il suo strozzino di Livorno!...

L'ufficiale tornava ad accendersi. Il signor Bianchi si strinse la
fronte e gli occhi colla mano come per concentrare i pensieri, poi,
dopo un momento di silenzio, "Finiremo" disse "donde avrei dovuto
cominciare. Stasera stessa col diretto delle sette vado a Genova,
propongo l'affare al barone Castagneto, e domani son di ritorno colla
risposta."

--Bravo!... Avevamo dimenticato il barone Castagneto!--esclamò Stefano
consolandosi subito.--Egli non era fatto per soffrire. Pensò invece di
ingrazionirsi il signor Bianchi e, per renderlo più caldo nel servirlo,
uscì con lui, facendo i portici insieme, a braccetto (a quell'ora i
suoi conoscenti erano a pranzo, e sperava di non esser visto); gli
offrì un rhum al caffè di Roma, e in fine gli strinse forte la mano
nell'accomiatarsi, non senza raccomandargli di ritornare subito, con
buone notizie. Raccomandazione che, invero, dopo il grande onore che
gli aveva fatto, stimava un di più. Era sicuro che l'omino si sarebbe
fatto in quattro per corrispondere alla sua benevolenza, come era
sicuro di aver proprio sbandito ogni pericolo. Anzi, dopo pranzo,
quando venne l'ordinanza al _Caffè di Parigi_ a portargli _lo spençer_,
gli passò fra le mani, senza farsi scorgere dai compagni, un biglietto
da portar subito alla Stazione Centrale, al signor Serafino Bianchi. In
quel biglietto gl'ingiungeva di trovar modo, nel trattar l'affare, di
combinarlo addirittura per settantamila lire.

--Sta a vedere,--pensò poi il marchesino quando l'ordinanza se ne fu
andata.--Sta a vedere che, dopo tanto chiasso, finirò col guadagnare
diecimila lire!--e allegro e contento fece portare una bottiglia di
Sciampagna da bersi cogli amici.




VII.


L'ordinanza ebbe un bel cercare alla _Stazione Centrale_ il signor
Serafino Bianchi. Invece di partire col diretto delle sette, egli era
partito col direttissimo delle otto e un quarto... almeno così disse la
sera dopo, al marchese Stefano, che lo interrogava in proposito. Quanto
poi al combinar l'affare per settantamila lire, invece di sessanta,
erano ancora in tempo perchè anche il barone Castagneto aveva risposto
picche. Ma pure il diavolo non era tanto nero come il dì prima; anzi
il signor Serafino aveva trovato a Genova la persona che prestava i
danari, ma bisognava aspettare un quindici giorni, perchè la somma era
impiegata a mutuo, e il mutuo non spirava altro che fra un paio di
settimane.

--Allora è come non averli,--rispose l'officialino impensierito.--A me
occorrono subito.

--Si può offrire un regalo al mutuante e ottenere che paghi la somma
prima della scadenza.

--Sicuro!... Bravo!... Così si deve fare!...

Il signor Bianchi fece un sorrisetto di compiacimento.

--E mi assicura che si potrebbe combinare per settantamila?

--Anche per settantacinque.

--Faccia, faccia tatto lei, come le pare, scriva subito, per il
regalo, per i frutti. Mi dirà poi anche la provvigione che le devo. Mi
metto nelle sue mani!...

--Ci sei da un pezzo, carognetta,--pensò il signor Bianchi, mentre
s'inchinava profondamente.

Stefanuccio era soddisfatto, e anche il giorno dopo si sentiva allegro
e leggero, senza quell'uggia addosso, che par foriera di cattive nuove.
Eppure il signor Bianchi non ne aveva di buone da dargli. Il mutuante
non poteva pagare altro che al giorno preciso della scadenza.

--_Saperlotte_!... come si fa?

--Scriverò a Livorno: cercherò, pagando, di far pazientare altri
quindici giorni.

--E crede, signor Serafino, che riusciremo?

--Perchè no?... in fine, non si domanda altro che quindici giorni.

--E c'è da guadagnare. Faccia lei, combini lei. Posso star
tranquillo?... mi assicura che posso star tranquillo?

--Direi di sì.--E per non perder tempo il signor Bianchi scrisse la
lettera lì su' due piedi, la fece leggere al marchesino, e la portò
subito alla posta.

Intanto passavano i giorni, quello della scadenza era imminente, e non
si era a capo di nulla. Anche da Livorno era venuta una risposta tale
da mandare il signor Serafino su tutte le furie.

"_Non si rinnova senza la firma del marchese Diego di Collalto. In
questo caso siamo disposti a portare la somma fino alle ottantamila
lire._"

Il buonumore di Stefanuccio si era dileguato il signor Bianchi
passeggiava sbuffando.

--Non è più possibile avere un soldo!... Bisogna lasciar protestare!

--Protestare?...--ripeteva Stefanuccio, sbigottito.

--Protestare!... È la rovina!... È il disonore!... Che colpo
dovrà essere per la illustrissima signora marchesa!... Un colpo
mortale!--E il marchese Diego?... Nelle disposizioni d'animo in cui si
trova?!...--Così, invece di medicar la ferita al povero ragazzo, il
signor Serafino l'inaspriva sempre più; e ogni poco barbottava fra i
denti le parole del telegramma spietato:

"_Non si rinnova senza la firma del marchese Diego di Collalto!..._"

--Canaglia!... Canaglia!... Cana....--A un tratto il signor Serafino
si fermò, colla bocca aperta, come sopraffatto da un'idea nuova, e
fissando gli occhi in viso al marchesino gli si avvicinò lentamente.

--Ha trovato qualche cosa di buono, signor Bianchi?

--Scusi... come si chiama lei?...

Stefanuccio lo guardò senza rispondere, maravigliato da quella domanda.

--Mi dica il suo vero nome di battesimo.

--Stefano!--rispose il marchese, con un'alzata di spalle.

--Stefano? soltanto Stefano?...

--Stefano, Diego, Maria....

--Diego!--esclamò il signor Serafino giubilante.--Siamo salvi!

--In che modo?

--In un modo semplicissimo, e che a suo tempo sveleremo a quella
canaglia di Livorno, che dovrà rimanere con un palmo di naso. Ha
mancato di parola con noi?... Ci vuol strozzare per un capriccio,
perchè infine non si tratta altro che di un capriccio?... Ebbene, noi
alla nostra volta lo pigliamo in trappola!

Il marchesino, senza capir nulla ancora, seguiva coll'occhio, e colle
labbra atteggiate a un sorriso ebete, le parole del signor Bianchi.

--Lei lascia il suo primo nome di Stefano nella penna, e firma le
cambiali _Diego di Collalto_....

--Chè?... È matto!...

--Senza falsificare il carattere, ben inteso: fa soltanto la firma un
po' più grossa....

--È matto.

--Io stesso mando le cambiali a Livorno--continuò il signor
Serafino senza lasciarsi scuotere da quelle interruzioni--con una
mia accompagnatoria. lo non nomino alcuno; non dico se le ho avute
dall'eccellenza vostra, o dal marchese Diego. A Livorno, appena le
ricevono, le chiudono in portafoglio, e fra un paio di settimane
vado io stesso a riprenderle. Allora mi deve permettere, signor
marchese,--aggiunse riscaldandosi,--mi deve permettere di dare una
buona lezione a tutta quella gentaglia, Voglio insegnare laggiù come
devono trattare colle persone di alto bordo. Credono forse d'aver per
le mani un mercantuccio, un plebeo, uno spiantato qualunque?... Non le
pare?

--Non mi pare niente affatto. Lei mi propone una firma falsa!

--Firma falsa?... Mi offenderebbe, signor marchese, se invece non
dovessi ammirarla, anche per questi scrupoli, ohe svelano il gentiluomo
compito. Firma falsa?...--in che modo? O che non sono nomi suoi
Stefano, Diego e Maria?...--Firma falsa?... Non Le dico già d'imitare
un'altra scrittura e nemmeno di alterare la sua. Scrivere il nome un
po' più grande o un po' più piccolo, è poi la stessa cosa!

--No, non mi pare.

L'ira del marchesino si era un po' calmata. Non era convinto, ma
sentendone parlare a lungo tranquillamente, la proposta non gli faceva
più tanto orrore. Stava a sentire quell'altro lisciandosi colla mano
tesa il cranio pelato, e raccogliendo in una ciocca sull'orecchio, i
lunghi capelli della nuca.

--Del resto, caro signore marchese, lei è molto giovane... mi
perdoni... è quasi un ragazzo ancora! in certi pasticci, per fortuna
sua, non c'è mai stato, e non conosce ancora tutte le arti, tutti i
ripieghi degli strozzini. Firma falsa!... Bisogna distinguere. Lei
non sa, per esempio, che io conosco capitalisti i quali, adesso che
han tolto l'arresto personale, obbligano il debitore, per essere più
sicuri di averlo nelle mani e di essere pagati alla scadenza, a mettere
un'altra firma, oltre la propria, sulla cambiale? Questa è una firma
falsa, ma non è una frode: l'hanno messa d'accordo!

--Nel caso mio non c'è questo accordo.

--Nel caso suo, signor marchese, non c'è nemmeno la firma falsa!

--Lei stesso, poco fa, mi diceva: _noi alla nostra volta lo si piglia
in trappola!_

--È vero, ma che cosa arrischia quel cane?... Siamo sicuri di aver la
somma del mutuo fra una quindicina di giorni. Il Genovese non ci ha
lasciato una promessa scritta?... Ci pensi un poco, signor marchese,
perchè anch'io sono una persona onorata, e ne' miei affari non c'è mai
stato niente di men che onesto!... Ci pensi, e mi dica se io le ho
mai fatto una proposta simile, quando non eravamo ben sicuri di avere
i danari?... Oh, se i danari ci sono, se son nostri (carta canta!)
dobbiamo far morire di crepacuore una buona signora... e perdere
un'eredità di parecchi milioni, perchè siamo caduti fra le mani di una
canaglia di livornese?... Ci pensi, marchesino.... Io sono un minchione
e posso sbagliare, ma sono un uomo di cuore.... Ci pensi bene. Al punto
in cui siamo non c'è altro scampo: o firmare o lasciar protestare.

Stefanuccio ebbe un fremito, ma si vinse subito, e continuò a lisciarsi
la testa e ad accomodarsi i capelli colla mano.

--Dica tutto quello che vuole, signor Bianchi, non riuscirà mai a
persuadermi.

--E allora... lasciamo protestare!...

Ma invece il protesto non ci fu. Il giorno dopo il signor Bianchi si
trovò due volte col marchesino, e tante gliene disse che lo persuase.
"Non c'era tempo da pensarci... L'ora della scadenza era sonata...."
Il signor Bianchi gli mostrò ancora la dichiarazione del capitalista
di Genova; gli evocò dinanzi lo spettacolo terribile della rovina; la
collera dello zio, la disperazione della mamma, tutti i bei sogni di
avvenire svaniti... e il ragazzo firmò.

--Un altro favore mi deve fare, caro marchese,--gli disse il signor
Bianchi mentre ripiegava le cartoline.

Stefanuccio lo guardò smarrito....

--Mi deve permettere di regalare cinquecento lire a quella canaglia di
Livorno, quando andrò a riprendere le cambiali.

--Oh sì, sì! questo sì! anche mille!--esclamò Stefanuccio con
enfasi.--E mi assicura proprio... che non corro nessun rischio per
quanto abbiamo fatto?...

--Si figuri!--esclamò il signor Serafino, e scappò via. Aveva fretta di
mandare le cambiali a Livorno, perchè non c'era tempo da perdere.

Il ragazzo rimase un paio di giorni sopra pensiero. E se il tiro fosse
stato scoperto?... E se a Livorno si vendicassero denunciandolo?... Se
scrivessero al colonnello?... Ma poi, gli giunse il vaglia bancario
colle migliaia di lire della differenza, e tornò a non pensar più ad
altro che a spendere. Non c'era nulla da temere.

Le cambiali, e ne aveva una prova nei danari ricevuti, ormai dovevano
essere state accettate senza sospetti, e se poi fosse anche successo un
qualche ritardo per l'altro affare di Genova, il signor Serafino, che
s'era portato via al solito le firme in bianco, aveva detto che, per
ogni buon conto, voleva che la rinnovazione fosse per un mese.

Per un mese dunque poteva darsi pace. Ma invece, in capo a una
settimana, egli ricevette un telegramma da sua madre che lo chiamava
sul momento a Milano. Lì per lì ne rimase atterrito e subito pensò al
signor Bianchi, ma dopo un poco, riflettendo che alla scadenza c'erano
ancora più di venti giorni tornò a farsi cuore; domandò una breve
licenza per esser più sicuro di ottenerla, e partì per Milano quanto
più presto gli fu possibile.

Ma durante il lunghissimo tragitto, la campagna deserta e bigia
sotto il cielo annuvolato, cogli alberi scoloriti, senza fremiti di
vento nell'afa accidiosa, lo riempiva di tedio, e tentava invano di
vincere la tristezza invadente con qualche allegro pensiero. Voleva
persuadersi che il telegramma non annunziava nulla di grave, e lo
leggeva ogni tratto attentamente, ansiosamente, studiando le parole a
una a una. Il tono era laconico e imperativo... ma era lo stile dei
dispacci....--Contò le parole: erano dodici soltanto....--Ci potevano
stare anche i saluti!--E poi, perchè aveva firmato _tua madre_?--Di
solito firmava sempre _la mamma_!...

Si provò a dormire, ma non poteva. Non poteva nemmeno fumare. Il sigaro
gli si spegneva ogni poco fra le labbra. Era solo nel carrozzone
vuoto e ciò gli cresceva la malinconia. Il treno faceva fermate
lunghissime; il cielo diventava sempre più scuro, e finalmente cominciò
a piovere: una pioggerella fitta che crepitava sui vetri e penetrava
nelle ossa. Stefano, rannicchiato in un cantuccio del cupé, cogli
occhi fissi ai cristalli appannati dalle spesse gocciole stillanti,
aveva sbadigli di noia e tremiti di freddo. Il fischio lungo della
locomotiva gli irritava i nervi, e in mezzo a quella tristezza plumbea
senza confini la cornetta del cantoniere risonava lugubremente come
voce di sotterra. Le piccole stazioni cogli smorti fanali rilucenti
sulle pozze fangose, erano spopolate. Soltanto i conduttori, come
ombre nere incappucciate, correvano sbattendo gli sportelli, gridando,
leticando, diguazzando sotto la pioggia. Nessuno scendeva, nessuno
montava: la vaporiera soffiava immobile.--Pronti!--gridava il
conduttore.--Pronti!--rispondeva da lontano un'altra voce più fioca.
Sibilava il fischio acutissimo: sonava rauca la cornetta: ma la
vaporiera soffiava immobile.

--Auf!... Che treno infame!...--Stefano borbottava, batteva i
piedi.... finalmente le ruote stridevano, le catene cigolavano, si
urtavano i carrozzoni con fracasso, il treno si moveva, e il marchesino
tornava a rannicchiarsi con un sospiro di sollievo. Una volta gli cadde
lo sguardo sul numero del cupé; era il 113, e quel tredici gli fe'
provare un senso di cattivo augurio,--ma che!... era proprio inutile
inquietarsi per le cambiali!--Certo, lo chiamavano a Milano per qualche
novità circa al matrimonio. Forse quell'egoista dello zio Diego,
tormentava la mamma....--Povera mamma, tanto buona!

Il ragazzo avrebbe voluto che si trattasse proprio della mamma, e
sentiva che l'avrebbe difesa con tutto il cuore.--Povera mamma!...
Tanto buona!

La notte calava oscurissima; alla noia gli si aggiungeva la molestia
dello stomaco vuoto, e le inquietudini, allontanate ad una ad una,
ritornarono a un tratto tutte insieme.

--Se quel cane del Bianchi mi ha tradito, lo strozzo con queste mani!...

In fine, l'affanno, la smania era tanta, ch'egli avrebbe preferito
di saper subito la verità, qualunque fosse, piuttosto di soffrir
ancora per due ore quell'agonia.... Ma invece quando il treno rallentò
il moto sotto la gran tettoia innondata di luce della stazione di
Milano, e cacciato il capo fuori del finestrino vide sua madre che lo
aspettava, egli avrebbe voluto essere ancora lontano. Dal pallore,
dall'espressione del suo viso, dal modo stesso con cui essa gli veniva
incontro, capì subito, con una stretta al cuore, che non si era
ingannato ne' suoi timori e che quel furfante lo aveva rovinato.

--Mamma! Mammetta cara!--esclamò correndole incontro ed abbracciandola,
con straordinaria effusione.--Che cosa è successo per spaventarmi
così?... Temevo tu fossi ammalata!...

Angelica si lasciò baciare, ma non abbracciò suo figlio, e con voce
rotta, mormorò:

--Lo zio sa tutto! È in una collera terribile!... Non vuol far nulla
per salvarti!




VIII.


Le cambiali delle ottantamila lire, colle firme false, erano capitate
all'improvviso, proprio come un uragano d'estate, in mezzo alla
tranquillità serena e ridente della buona Angelica.

Il primo colpito era stato il vecchio zio, grazie a un bigliettino
del commendatore Barbarò col quale gli si dava avviso che alla Banca
degl'Interessi Lombardi Provinciali erano stati girati da Livorno, per
l'incasso, vari effetti colla sua firma.

Diego di Collalto si precipitò alla Banca e fu ricevuto subito dal
Commendatore, in persona, il quale, al vederlo, licenziò con un cenno
il segretario ch'era nella sua stanza.

--Non c'era bisogno di tanta premura!... S'accomodi; prego.... C'era
tempo tutt'oggi, e anche domani, fino alle due.

Il vecchio guardò Pompeo con un piglio suo particolare tra l'altezzoso
e l'impertinente, e aprì la bocca per parlare:

--Ma...--e si fermò. Il banchiere, sorridendo ossequiosamente, levava
dal portafoglio varie cambiali, che spiegò sullo scrittoio.

--Ma.... ci deve essere uno sbaglio di nome....

--Marchese Diego di Collalto?...--rispose Pompeo lentamente.--Ce ne
sono altri del suo illustre casato, che portino lo stesso riverito
nome?...

--No....

--Allora guardi bene,--e gli porse una cambiale.--Può capire chi abbia
falsificato il suo nome?

Il marchese Diego fissò gli occhi sulla firma, poi, facendosi livido,
borbottò più col moto istintivo delle labbra, che non colla voce,
alcune parole, che l'altro afferrò a volo.

--Suo nipote?--domandò piano, andandogli più. vicino.--Suo nipote?...

Il marchese si lasciò cadere sopra una poltrona: pareva fulminato.

Pompeo sospirò profondamente, gli prese una mano, e la strinse forte
per fargli coraggio.

--Le dico il vero, sospettavo qualche cosa di simile.... Per questo
mi sono preso la libertà di scriverle preventivamente, e ho voluto
parlarle in persona, così tutto può rimaner segreto fra noi due. In
pari tempo ho l'onore di offrire i miei servigi al signor marchese,
dato il caso che... le facesse comodo la dilazione di alcuni giorni al
pagamento.

Il vecchio, alla parola _pagamento_, saltò in piedi infuriato.

--Dilazione?... Pagamento?... Che pagamento?... lo non pago niente!...
Nemmeno un soldo!...

--Ci penserà, signor marchese, ci penserà meglio, e muterà proposito.
Se così facesse, il marchese Stefano sarebbe rovinato irreparabilmente.

--Me ne lavo le mani!... non lo riconosco più!... una canaglia! un
truffatore!... non lo riconosco più.!... non voglio più averci che
fare!... me ne lavo le mani! me ne lavo le mani!--e il vecchio girava
per la stanza, accompagnando l'atto alle parole.

--E l'illustre nome dei Collalto?... Lo scandalo grandissimo... è
un'ingiustizia, signor marchese, posso ammetterlo, ma toccherebbe anche
lei....

--Anche me?

--Il marchesino è il continuatore della famiglia!...

--E che la famiglia si fermi!...

--Nessuno del... nostro ceto, perdonerebbe a lei di non evitare lo
scandalo. A lei... che in fine può farlo.

--È grossa la somma?--domandò l'altro con voce fioca.

--Ottantamila lire.

--Ottantamila lire!--gridò il vecchio, ritrovando a quella risposta
tutta la forza dei suoi polmoni.--Ottantamila lire?... Dovrei pagare
ottantamila lire? È matto, lei. Non le ho nemmeno io, ottantamila lire!

Il Barbarò strizzò l'occhio con un sorrisetto.

--Il signor marchese non ha da far altro che comandarmi.

Il vecchio guardò fisso l'ex-portinaio, poi storcendo la bocca
e alzando le spalle con un moto significantissimo:--A mia
disposizione,--pensò,--per strozzarmi di sotto mano;--ma pensò soltanto
e non disse niente di simile: tornò invece a sfogarsi contro il nipote.

La sua collera era tanto più terribile quanto meglio egli capiva che
in fondo il Barbarò non aveva tutti i torti, e che per la gente, per
l'onore del nome, per continuare ad essere ben accolto e rispettato in
società, avrebbe dovuto finir col pagare.--Pagare ottantamila lire per
i vizi di un ragazzaccio antipatico, e che adesso sentiva di odiare!...
Pagare ottantamila lire perchè la madre di quello sciagurato non era
mai stata altro che una romantica senza testa!...

--E se non... se non si pagano, che cosa succederà?--domandò alla fine,
a denti stretti.

--Prima il protesto, poi, scoperta la falsificazione delle firme,
l'arresto personale.

Il marchese Diego trasalì suo malgrado.

--E... ci sarebbe tempo... fino domani alle due?...

--Domani e anche dopo; tutto il tempo che vuole!--esclamò Pompeo con un
inchino.--Mi basta una sua parola, signor marchese. Con una sua parola
metto le cambiali, come si dice, sotto il calamaio!

Diego di Collalto borbottò alquanto, guardò in fretta l'orologio, poi
si rivolse nuovamente al Commendatore.

--Vado subito a Gallarate a prendere mia nipote... la condurrò qui da
lei.... Sentiremo, vedremo che cosa ha in animo di fare.

Gli occhietti loschi del Barbarò sfavillarono, e le sue guance
avvizzite si accesero subitamente.

--Io già,--continuò il marchese,--non pago niente. Ottantamila lire non
le ho, e non voglio mettermi a contrar debiti per gli altri, io che non
ne ho mai fatti per me. Stasera lei, sarà ancora visibile alla Banca?

--Certo!... Si figuri!... ma la signora marchesa non deve incomodarsi,
diamine! Mi recherò io stesso a inchinarla, dove la signora marchesa
mi vorrà far l'onore di ricevermi. Diamine, diamine!... Si figuri!
Stasera, anzi, dovevo andare a Roma... volevo parlare alla Camera a
proposito dei dazi protettori--(il deputato Barbarò, a sentirlo, doveva
sempre parlare alla Camera, e viceversa non apriva mai bocca)--ma
ci rinunzierò e mi fermerò a Milano. Per bacco baccone!... Da tanti
anni sono... sento... la più gran devozione per la nobile famiglia
dei marchesi di Collalto e non vorrei, per tutto l'oro del mondo,
rifiutarle proprio adesso, in un momento così... così grave, la mia
umilissima servitù.

Il vecchio sorrise con una smorfia e un cenno del capo, che potevan
passare per un ringraziamento.

--Guardi bene, per altro,--soggiunse dopo un istante di silenzio,--di
non compromettermi con la marchesa, e anzi, mi faccia questo piacere,
di aiutarmi a tener fermo. Io voglio sperare che riunendo tutto ciò che
rimane a... a quella gente, potranno ancora, se non subito, con un po'
di quiete, riparare questo colpo....

Pompeo scosse il capo in segno negativo.

--E allora, peggio per loro!--strillò il marchese tornando a
infuriarsi. Io non voglio subire una _débâcle_ per i vizi di mio
nipote. Ottantamila lire?... In pochi mesi?--Se fossi anche tanto
imprudente da pagare oggi, mi assicura lei che avrei finito, e che
sarei sicuro di non dover domani ritornar da capo?

--Oh per questo non c'è da illudersi, il marchesino ha il vizio
nel sangue; ha la prodigalità ereditaria. _Talis padris_...--e il
commendatore interruppe il latino che non gli veniva bene con una
volgare sghignazzata.

--Vede dunque--esclamò il Collalto cogliendo la palla al balzo.--Vede
dunque?... sarebbe inutile!... mi sacrificherei per niente!... mi dà
ragione anche lei!...

--No, scusi, signor marchese; non posso darle ragione. Sono disgrazie
che quando capitano in una famiglia, bisogna portarne tutte le
conseguenze. So anch'io che il boccone è amaro da ingoiare, tanto più
col pericolo di tornar da capo..., ma d'altra parte, le par possibile
di poter lasciar mettere in prigione suo nipote il suo unico nipote,
un Collalto?...--E il processo, signor marchese? E la pubblicità dei
giornali?...--Capisce bene, il nome sarebbe rovinato per sempre, e lei,
lei stesso, non potrebbe più vivere in società, tenere quel posto così
eminente che ha nella nostra aristocrazia....

Il marchese non diceva più una parola: sbuffava di rabbia.

--E poi, oltre all'onore,--continuava spietatamente il Barbarò con
un risolino ironico che gli spuntava sulle labbra in mezzo alle
espressioni affettatamente ossequiose,--oltre all'onore ella deve
compiere il sacrificio delle ottantamila lire anche per quella povera
signora....

Il vecchio fece un'altra scrollatina di testa.

--Sì, anche per la signora marchesa,--continuò mellifluamente il
commendator Pompeo.--Essa è in tutto degna dei più grandi sacrifici:
anche un milione, sarebbe bene speso per la marchesa!...

--Angelica?... mi faccia il piacere!--rispose Diego di Collalto,
indispettito dall'enfasi improvvisa del suo interlocutore.--Mi
faccia il piacere!... Non è altro che una matta... un'egoista!... una
linfatica sentimentale, piena di romanticherie!... Se fosse stata
una donna di cuore, una donna di testa, avrebbe pensato a collocarsi
in modo da assicurare il proprio avvenire e quello del figlio!--A
questo punto il nobile Pompeo di Panigale non sorrise più, si fece
serio, quasi melanconico, e sospirando alzò gli occhi al soffitto, per
chiamarlo a testimonio del proprio dolore.

--Io l'ho sempre ammirata quella signora,--disse poi, mettendosi una
mano sul cuore.--Ho trovato in lei virtù... virtù straordinarie. Per
parte mia, le ripeto, sarei disposto a spendere un patrimonio, pur
di vederla soddisfatta. Oh vorrei essere in lei, signor marchese, lo
confesso con tutta sincerità.... Vorrei essere in lei, per avere il
diritto di proteggerla, di consolarla, di collocarla, per modo di dire,
sopra un trono... un trono d'oro!--E il signor Pompeo, così parlando
era tanto accalorato e commosso, che il vecchio marchese, quantunque
miope, se ne avvide, e ne rimase colpito.

--Povera signora,--riprese il Barbarò dopo un momento di pausa,--è
sempre stata sfortunatissima, come moglie, come madre e adesso....--Qui
fece una reticenza, strinse le labbra sottili, ove il risolino tornò
a comparire--adesso--concluse è capitata fra le mani di uno spiantato
qualunque, che la inganna colle dimostrazioni del perfetto amore, ma
che invece non mira, ad altro che al suo avvenire.

--Avvenire?... Quale avvenire?--domandò il marchese cogli occhi
sfavillanti dietro le lenti, e coi baffi più ritti del solito.

--Non se l'abbia a male.... Ripeto, quanto mi è stato riferito. Il
maggiore Martinengo avrebbe risposto a chi lo sconsigliava di dare le
dimissioni, e di perdere così un posto sicuro, che _il vecchio_ doveva
pur crepare, e che non avrebbe potuto portare i suoi milioni con sè...
all'inferno!... Il vecchio, non se l'abbia a male, il vecchio sarebbe
lei, signor marchese!...

L'altro ebbe un sussulto, diventò rosso, poi pallido, ma riuscì a
frenarsi, e ripulendo le lenti che gli eran cadute dal naso, mormorò
fra i denti:

--_Il ne faut jurer de rien!_

Pompeo Barbarò sorrise, e guardò il Collalto senza aggiunger verbo; non
aveva ben afferrato il senso di quelle parole.

Il marchese Diego, sebbene avesse avuto la forza di vincersi in
faccia a Pompeo, se ne andò via portandosi la spina nel cuore, e
arrovellandosi contro suo nipote, contro Angelica, e contro il
Martinengo che faceva i conti sulla sua morte.

--E quel _Barabò_, quel _Barabao_, quello strozzino arricchito, che
dopo aver ingoiata Villagardiana, protesta la sua devozione a mia
nipote? impostore!... ipocritaccio!...--borbottava toccandosi le punte
dei baffi.

--Pure... pure non c'è da scegliere. In questo momento bisogna fargli
un po' di buon viso. Lui solo ha le mani in pasta e può trovar la
maniera di accomodare le faccende senza rovinarmi!...--Sicuro...
sicuro... è antipatico, ma non si può far senza di lui!... Intanto
andiamo subito a Gallarate. Cominciamo a far ballare anche mia nipote:
tocca a lei; la madre è lei!

Con tanta bile in corpo il marchese Diego arrivò al _Villino delle
grazie_, più verde dei suoi mustacchi e dei suoi capelli. Angelica
passeggiava in giardino con Andrea, e... fu per caso?... fu per
misterioso presentimento?... certo è che appena le fu annunciato il
marchese Diego, divenne pallida e si sentì una stretta al cuore.

--Mio Dio, che cosa ci sarà di nuovo?--esclamò istintivamente alzando
timorosa gli occhi grandi e buoni, in faccia al Martinengo.

--Che vuole che ci sia di nuovo?--nulla!...--le rispose Andrea il
quale dava a preferenza del _lei_ anzichè del _tu_ all'amica per un
sentimento gentile, di rispettosa tenerezza.--Il marchese verrà a farle
una visita.

--Non ci viene mai a Gallarate!--rispose Angelica, e quantunque
inquieta, mosse incontro allo zio, sforzandosi di mostrarsi amabile e
contenta.

Il marchese Diego, sempre galante, le baciò la mano facendole un
madrigale; salutò il maggiore, sorridendogli colla benevolenza di uno
zio soddisfatto e chiamandolo--il più fortunato dei mortali.--Poi
pregò la nipote, la bella nipotina, di concedergli cinque minuti di
colloquio.--Pur troppo,--disse infine rivolgendosi al Martinengo
nell'allontanarsi, dopo aver offerto il braccio alla nipote--non
sono più in istato di rendervi geloso--e ripetè con più enfasi di
prima--mortale fortunato!

Angelica conosceva bene lo zio, e però non si era lasciata ingannare
da tutte quelle dimostrazioni di affetto e di galanteria. Anzi, era
sempre più inquieta, aspettava con ansia che il marchese le spiegasse
il movente della sua visita. Appena furono nel salotto, Diego di
Collalto offrì alla marchesa una scatola di dolci, che il servitore
aveva tolta dalla carrozza col _plaid_; chiuse bene le porte, e poi
con una brutalità, che appariva più fredda e spietata, per le forme
ostentatamente cortesi, le disse che quel bel mobile del suo figliuolo
era un Mirabeau, salvo l'eloquenza, che aveva falsificata la sua firma
per ottantamila lire; e che lei, la cara nipotina, inebriata dalle
dolcezze dell'amore, lo avea lasciato troppo libero, lo aveva troppo
abbandonato a sè stesso, e dichiarava esplicitamente che lui non poteva
far nulla per allontanare la catastrofe.

Angelica era rimasta come fulminata; tuttavia non aveva ancora compreso.

--Ha falsificato la tua firma?... come? in che modo?...

--Sì, cara, per ottantamila lire!--- E il marchese le riferì e le
spiegò, in poche parole, tutto quanto sapeva.

--Non è possibile. È una menzogna, una calunnia!...

--Le cambiali, gioia mia, le ho viste io stesso, co' miei propri occhi.

--E Stefano ha firmato col tuo nome?

--Diego di Collalto.

--Sei sicuro, proprio sicuro, che sia il suo carattere?

--Sicurissimo.

--Allora è caduto in un tranello, e bisogna sentire prima di giudicare.
Bisogna sentire le sue ragioni, le sue difese, le sue scuse....

--Gli puoi telegrafare di venir subito a Milano.

--Ah zio, zio mio,--esclamò in fine la poveretta prorompendo in
lacrime,--zio mio, abbi pietà, di quel ragazzo.... Perdonagli, te ne
supplico, zio, te ne scongiuro!

--Oh in quanto a perdonare, può darsi,--rispose il marchese Diego con
un sorriso che in quel punto diventava feroce,--ma pagare no, no di
certo. Dove le trovo, ottantamila lire?...--e dondolandosi tutto, e
facendo scricchiolare le scarpettine inverniciate,--_La plus belle
fille du monde_,--continuò,--_ne peut donner que ce qu'elle a!_

--Ma allora... allora che cosa potrà succedere? Che cosa faranno a mio
figlio?!

--Eh!...--rispose il vecchio elegante stringendosi tutto nelle spalle e
allargando le braccia mentre sibilava quell'_Eh!_... che passò freddo,
come una lama, nel cuore di Angelica.

--Pensa che abbiamo il tuo nome.... Pensa che siamo il tuo sangue. Non
ci puoi abbandonare.--Vorrai consigliarci.... vorrai che il nostro
onore sia salvo!

Il marchese le prese una mano e gliela accarezzò per farle cuore.
Dar quattrini non poteva, perchè non ne aveva; ma in tutto il resto,
si metteva a sua disposizione. Andare, girare, parlare, brigare, era
disposto a tutto. Era venuto apposta a Gallarate per prenderla e
condurla subito a Milano. Si sarebbero abboccati la sera stessa col
signor commendator _Barabbò_ e insieme avrebbero cercata la via, se ce
n'era una, per riparare, o almeno mitigare quel colpo terribile.

--Il Barbarò?--demandò Angelica facendosi ancora più pallida.--Come
c'entra il Barbarò?...

--Per bacco, se c'entra!--esclamò il marchese,--è lui che ha in mano le
cambiali!

Angelica si sentì oscurare la vista, e mal suo grado le sfuggì un nome
dalle labbra che pareva una preghiera, pareva un lamento,--Andrea....

--Andrea, aspetterà. Ritornerai domani, dopo domani; c'è tempo.--Al
punto in cui sia... in cui siete, gli affari prima di tutto!

--Che io lo debba sempre incontrare quell'uomo, sempre sempre!--e
Angelica, in mezzo alla sua grande angoscia, ebbe un fremito di terrore.

--Anche il deputato arde della nostra fiamma istessa: ho scoperto
stamattina che è un tuo spasimante.

--Abbi pietà dello stato in cui mi trovo, zio,--esclamò la marchesa
vivamente,--risparmiami almeno ora questi tuoi scherzi.

--No, no, nipotina cara, non andare in collera perchè è la verità. Il
_Barbabò_ mi ha trattenuto a farmi i tuoi elogi per due ore di seguito:
e come prendeva fuoco! Non è bello, bisogna convenirne, ma si può
proprio dire _un uomo d'oro_, come lo chiama Donna Ippolita Bellotti,
che ho veduto l'altra sera al Cova, e che mi ha detto di salutarti.
Sicuro, prendeva fuoco, e mi pare l'avesse a morte col maggiore. Tutta
gelosia: bisogna compatirlo.

--Allora, quando si parte?--domandò Angelica risolutamente, per dar
termine al discorso. Le pareva che lo zio avesse sulle labbia il
sorriso di quell'uomo odioso che le si imponeva come una fatalità,
che come un serpe la stringeva nelle sue spire invisibili: un triste
sorriso di scherno e di trionfo onde la poveretta sentiva ribrezzo e
paura.

Angelica si vestì in fretta, dopo aver messo a parte di tutto, con due
parole, il Martinengo; dopo essersi fatta giurare che non si sarebbe
mosso da Nuvolenta, finchè lei non fosse ritornata, e che le avrebbe
sempre scritto, cominciando da quella sera medesima, tutto ciò ch'egli
avrebbe fatto in tutto il tempo che sarebbe rimasto senza di lei. E
mettendolo a parte di quel suo gran dolore, e facendogli tutte quelle
raccomandazioni, non gli dava più del _lei_, ma del _tu_, sempre del
_tu_, continuamente del _tu_, come per attestare maggiormente che essa
era sua, che gli apparteneva, che quel loro legame ormai doveva essere
indissolubile. Era la tenerezza, era l'amore che traboccavano dal suo
stesso dolore, e che la disperazione rendeva più vivo e più forte.

Andrea Martinengo la confortò. Le disse, e lui stesso ne era convinto,
che lo zio avrebbe finito col pagare: era avaro e strillava..., ma
strillava appunto perchè capiva che non c'era altro scampo.

Quanto a Stefanuccio, ci voleva un lezione energica; forse la vita
dell'ufficiale non era per lui. Avrebbero pensato poi se sarebbe stato
il caso di richiamarlo a casa, per sorvegliarlo, e farlo lavorare.

Il marchese Diego, che nel frattempo aveva accarezzato il mento e
tastate le braccia della figlia del fattore, appena furono attaccati
i cavalli chiamò il Martinengo per mostrargli il _sinistro_ che gli
si sfiancava, e non ne sapeva il perchè. Poi appena apparve Angelica
la fe' montare in carrozza, e quindi salito anche lui, le si sedette
vicino.--Caro maggiore,--esclamò,--benchè vecchio, scommetto che ora vi
faccio invidia!... Vela rapisco, e non ve la rendo più!...

Andrea sorrise, ma per quanto Angelica dovesse tornar subito, o in
caso diverso, potesse ben raggiungerla lui stesso a Milano, si sentiva
commosso per così inaspettata partenza. Angelica lo salutò col capo,
colla mano, e più cogli occhi amorosi che fissò in lui lungamente,
tenerissimamente. Ma non gli disse più una parola; non poteva; aveva la
gola piena di lacrime.

Durante il viaggio lo zio Diego continuò a farle complimenti e a
brontolare. Si ostinava, colla galanteria del tempo antico, a tenerle
l'ombrellino; le accomodava ogni poco il _plaid_ sulle ginocchia, le
offriva da una scatoletta _vieux-saxe_ squisiti _lemon's drops_ per
l'arsura della gola, le raccomandava di sfogarsi, e le diceva che
faceva bene a piangere. I suoi occhi irresistibili fra le lacrime erano
ancora più abbaglianti..., e d'altra parte dovevano essere lacrime di
_confiteor_, perchè molta colpa ne aveva lei della pessima riuscita di
quella tarantola divoratrice.

--Parlo chiaro, figliuola mia; non voglio lasciarti vane speranze:
io, proprio, non sono in stato di pagare. Ottantamila lire?--Siete
matti!--e il vecchio si accalorava, storceva la bocca e arricciava il
naso sui mustacchi ingommati.--Siete matti!... matti da chiudere al
Dufur! Dove volete (_saperlottina!_) che vada a pescare ottantamila
lire?... Nella tua incantevole testolina bionda tu ti sarai figurata
che lo zio Diego sia un milionario!... Cara cara, figliuola mia cara,
ricordati, è un'illusione... come tante altre. La mia sostanza, sai
bene, è tutta in terreni, e i fittaiuoli che un giorno pagavano,
poniamo, il trenta, oggi pagano appena appena il quindici... quando lo
pagano. Vendere... si trova difficilmente; poi, una volta venduto non
resta più niente, senza contare che colla crisi agraria presente, per
ricavare ottanta bisognerebbe vendere per il valore di centosessanta.
Dare a mutuo?... un far entrare i tarli nel patrimonio!... E poi, e
poi, e poi in fine, questa è bellissima, perchè devo rovinarmi io per
i vizi degli altri?--Chi rompe paga!--e il vecchio batteva stizzito
contro il sedile la punta delle scarpette inverniciate.--Chi rompe
paga!... Paga chi rompe!--Ho ragione sì o no?... rispondi,--ho ragione
sì o no?...

Angelica, soffocata, gli accennava di sì, che aveva ragione, con un
singhiozzo..., e allora lo zio acquetandosi, tornava a domandarle se
aveva troppo caldo se si sentiva stanca, le offriva una sigaretta e le
faceva ammirare il paesaggio.

--Non ti senti di fumare? fai benissimo!... è un delitto il fumare
quando si hanno denti splendidi come i tuoi!... Lo dicevo anche alla
Luisa D'Angola, che li ha bellissimi!...--Guarda, tu che sei tanto
poetica, che vista incantevole!... che passeggiata deliziosa,--di' la
verità....--E poi in _tête à tête_ con te! Ah se non fossi vecchio!...
_si vieillesse pouvait!_... Ti rapirei!... Quel cocchiere... sarebbe
un mio fido travestito.... Ti terrei prigioniera nel mio castello dove
il tuo innamorato verrebbe a cantarti la serenata.--E il vecchio,
accarezzando sotto la coperta la manina di Angelica, le faceva l'occhio
dolce, e piegandolesi vicino svenevolmente, cominciava a canticchiare
colla voce tremula e stonata:

  "Ro... on... dine... ella, pe... elle... gri... i... ina"

Ma un colpo di tosse interruppe il canto, e allora il marchese
inghiottì un _lemon's drops_, abbandonò la mano della nipote, e
tirandosi dritto dalla sua parte, le disse che ormai non poteva più
sperare altro che nel commendator _Panigali_.

--Quel vostro usuraio, il deputato... il mangiatore di Villagardiana,
chi sa che non sappia immaginare qualche espediente per levarvi
d'impaccio!... Ti ripeto che mi ha parlato di te col maggior
entusiasmo!...

--Zio, te ne prego!--supplicò Angelica con un filo di voce.

--Anche gli strozzini hanno un cuore per le belle donne, e non è
rimasto insensibile ai tuoi vezzi. D'altra parte, se quel _parvenu_
facesse qualche cosa per te e tuo figlio, non sarebbe altro che
un'espiazione. Perchè non potrebbe mettere un'ipoteca sui tuoi fondi, o
su quel poco che vi rimane?

Angelica sospirò: fuori della piccola dote, non le rimaneva più nulla.

--Il commendatore è benissimo intenzionato: potrebbe prestartele lui
le ottantamila lire, ed io, al caso, aggiungerei una buona parola.
Guarda che orizzonte magnifico... e che valletta amena. Ricorda i versi
dell'Ariosto:

  Giace in Arabia una valletta amena
  Lontana da cittadi e da villaggi
  Che all'ombra di....

--Hai fame?... Dovrai pranzar tardi stasera. Se credi potremo
fermarci dal Cova a prendere una _tartina_: le fanno eccellenti.
Bisogna inghiottire amaro e sputar dolce col commendatore. Tutte
le vostre speranze devono essere in lui.--Ottantamila lire?... Una
bagattella!...--Io non le ho, non le ho, e non ho!... La crisi agraria
mi ha rovinato!... Quel tuo figlio non ha cuore, non ha testa, non ha
onore: è uno scellerato!...

Arrivati a Milano, lo zio fece scendere la nipote all'_hôtel de la
Ville_, dove in prevenzione aveva mandato il suo cameriere a fissarle
un quartierino.

Angelica aveva già telegrafato a Stefano da Gallarate, e Diego di
Collalto scrisse subito un bigliettino al commendator Barbarò di
Panigale, avvertendolo che la marchesa Angelica era giunta a Milano e
che, com'erano rimasti intesi, desiderava vederlo.




IX.


Pompeo Barbarò si fece condurre all'_hôtel de la Ville_ nel suo brum di
parata, collo stemma nuovo sugli sportelli: due teste di moro, in campo
rosso. Si era abbigliato con più cura; nella cravatta aveva appuntato
uno spillone di gran valore, frutto d'uno dei migliori affari combinati
dalla florida signora Veronica; nell'indice aveva infilato un anello
con un brillante grossissimo, che aveva appartenuto ai gioielli di
una gran casa di Milano andata in rovina. Ma per l'occasione, oltre
al lusso aveva pensato di farsi bello. I capelli erano più neri del
solito, ed anche i baffettini che, corti e radi, mal nascondevano sulla
pelle le chiazze della tintura.

Pure, ad onta di tanti vantaggi, al suo proprio presentarsi alla
marchesa di Collalto si sentiva molto impacciato, e non riuscì a
scusare il proprio turbamento, se non dichiarandosi afflitto è ancora
sbalordito per l'accaduto. Balbettava, gli tremavan le mani, non
osava guardare in faccia nessuno... ma fu la commozione d'un momento.
Dopo le prime parole riprese la franchezza e la parlantina petulante e
imperativa.

Il marchese Diego, a un cenno di Angelica, fece portare il caffè e non
aprì bocca finchè il cameriere venuto col vassoio non se ne fu andato.
Allora, dopo aver offerto la tazza all'Angelica e a Pompeo, e mentre
col cucchiaino scioglieva lo zucchero nella sua, proruppe a un tratto
nelle maggiori invettive contro Stefano.

Pompeo Barbarò crollando il capo, e sospirando, cercava di calmare
il vecchio energumeno, mentre Angelica, tremante, si sforzava per
trattener le lacrime. Per un senso delicato di pudibonda alterezza non
voleva piangere dinanzi al Barbarò; ma poi, quando questi cominciò a
prender le difese di Stefano, spiegando al marchese come il ragazzo
dovea essere stato raggirato da certa gente che viveva di bricconate
commesse a danno della inesperienza dei figli di famiglia, la povera
madre non potè frenarsi, e si nascose gli occhi col fazzoletto
singhiozzando. Allora Pompeo osò guardarla; era sempre lei, nobilmente
dignitosa anche fra i singulti; più bella e soave nel dolore!...

La lunga pratica e la compagnia delle persone ammodo, se non aveva
potuto dirozzare l'animo e ingentilire i modi dell'antico portinaio di
casa Alamanni, lo avevano dotato per altro di una certa disinvoltura.
Egli si avvicinò premurosamente alla marchesa, le strinse la mano,
e si protestò volonteroso di servirla, dichiarando che, se in altri
tempi e in altre circostanze, le apparenze erano state contro di lui,
adesso non avrebbe mai voluto lasciarsi sfuggire nessuna occasione di
mostrarle tutto il suo animo devoto.--Ciò detto, fece una pausa...
sospirò (quel giorno pareva una macchina a sospiri il commendator
Pompeo), poi rianimandosi, dichiarò risolutamente che il marchese
Diego doveva pagare, pagare a ogni costo, e impedire la rovina del suo
giovane nipote, e il disonore del suo nome, che era _un patrimonio
della storia_.

--Un nome onorato, un nome illustre è un gran capitale, e non c'è oro
che lo paghi!--esclamò Pompeo, toccandosi la spilla di brillanti, per
sentire se era al posto.--È un tesoro che non ci appartiene, che noi
dobbiamo lasciare in eredità ai nostri... discendenti....

Il marchese Diego, seccato anche da quella boria, rispose con un'alzata
di spalle.

--I danari occorrono per domani alle due, ed io non li ho, e non posso
far miracoli.

Pompeo di Panigale s'inchinò facendo il solito ghignetto che
gl'increspava le labbra.

--Ho già avuto l'onore di mettermi a disposizione della signora
marchesa, e del marchese Diego; la somma occorrente posso prestarla io.
Oh senza che mi dicano neppure grazie: un prestito d'amico!...

Angelica a quell'offerta, si sentì premere il cuore e le corse una
vampa di rossore fin sul collo. Invece il marchese respirò.

--_Barabò_, presta la somma,--pensò subito tra sè,--e se fosse disposto
a concludere direttamente il prestito con mia nipote, senza tirar me
nell'impiccio?

--Ma noi,--osservò Angelica sforzandosi di nascondere i singhiozzi
colle parole, e rimettendosi un poco dal suo sbalordimento,--ma noi
ancora non abbiamo sentito Stefano.... Lo accusiamo alla cieca, troppo
in fretta, e pensiamo a provvedimenti... che forse... saranno inutili.

Il Barbarò si strinse nelle spalle, quasi gemendo.

--Pur troppo... da mie informazioni particolari.... Non potrei lasciare
su tal proposito... nessuna speranza.

Il marchese Diego pestò i piedi; Angelica si sentì mancare.

--Capisco, del resto, capisco benissimo le loro esitazioni
nell'accettare la mia offerta. Io stesso, non avevo coraggio... ma poi
l'ho fatta, perchè, al momento, non c'è di meglio. Posso tranquillare
per altro la loro delicatezza... sarà il prestito di pochi giorni, e
agevolerò al marchese tutte le pratiche necessarie per il mutuo....

--Il mutuo?...--interruppe l'altro con un tono quasi flebile.

--Le consiglierei nel caso suo,--continuò il Barbarò rivolgendosi al
marchese,--di fare un mutuo colla Cassa di risparmio: ogni anno, oltre
agli interessi, pagherà una rata graduale di capitale....--In una
ventina d'anni, gli eredi del suo patrimonio lo avranno intatto.

--Grazie tante!--esclamò il vecchio mostrando i denti con un sorriso
che pareva un morso.--Mia nipote ha una dote; di più... qualche piccola
porzione del patrimonio dei Castelnuovo e dei Collalto deve esserle
rimasta. Può combinarlo col suo il mutuo, senza dar tanti pensieri a
me, che non sono più giovane, e che non c'entro.

--Oh sì, sì,--proruppe Angelica,--tutto il mio son disposta a darlo,
volentieri, di gran cuore, pur di non sacrificare nessuno!--E così
dicendo levò per la prima volta, titubando, gli occhi pieni di lacrime
in faccia al signor Pompeo. Oh se avesse potuto pagare col suo sangue,
come lo avrebbe dato tutto volontieri!

Pompeo strinse le labbra, abbassando il capo; poi tornò a toccarsi la
spilla, a far ballare i ciondoli del catenone...: era assai impacciato
a rispondere.

--La dote... non si può toccare. Poi... non sarebbe sufficiente al
bisogno. Per concludere un mutuo di ottantamila lire, occorre un fondo
del valore, almeno, di cencinquantamila!...

Il marchese Diego, a tali parole, tornò a infuriarsi.

--No! No! No!... non commetterò mai un così grosso sproposito!... Anche
lei,--e si rivolse tremante di collera al commendatore,--anche lei mi
ha dichiarato stamattina che il ragazzaccio ha il vizio nel sangue, che
non si può correggere, e che tappato un buco, mi troverei daccapo con
un altro!... Se non ci ha da essere un rimedio, tanto vale abbandonarlo
al suo destino senza rovinarmi, senza assassinarmi!...

Angelica e il Barbarò stettero zitti, lasciandolo sfogare senza mai
contraddirlo, il che accrebbe per un poco il suo dispetto, ma finì poi
collo stancarlo. Dopo tanto gridare non volle prometter nulla, non
volle obbligarsi.--Finchè c'è tempo,--pensava, c'è vita!

Non poteva aspettare a risolversi, alle due del giorno dopo?... Ebbene,
ci voleva pensare ancora, per quella sera non se ne dovea parlar
più; aveva bisogno di calmarsi, di svagarsi, se no, lo prendeva una
sincope!...

Borbottando camminò un altro poco su e giù per la stanza, poi
fermandosi dinanzi alla nipote, che si asciugava gli occhi, le domandò
se Stefano poteva arrivare quella sera stessa, e le dichiarò che non
voleva vederlo. Quindi, dopo aver combinato a che ora si sarebbero
ritrovati il giorno seguente, si dispose a uscire col Barbarò; ma
nel salutare Angelica ritornò garbato, galante, mettendosi a sua
disposizione per tutta quella sera, e offrendole di accompagnarla in
qualche teatro, oppure al _Cova_,--se vi voleva fare un'apparizione che
(come diceva) avrebbe _rivoluzionato_!--Angelica, ringraziò rifiutando,
e il marchese cominciò a ridere e a scherzare per un altro verso.

--Capisco... si capisce... Avrai promesso a Gallarate di scrivere!...
Fortunato mortale!...

Angelica sorrise senza negare. Non volle negare perchè c'era
quell'altro presente.

--Il matrimonio, dunque, è cosa certa?--domandò subito il Barbarò al
marchese Diego, appena furono soli in istrada.

--Credo... credo di sì. È difficile che una donna come mia nipote, si
lasci sfuggire l'occasione di commettere uno sproposito.

--Pare impossibile: un matrimonio così balordo e inopportuno. Vuol dire
che sarà molto innamorata.

--Molto o poco, fa lo stesso: l'amore non ha misura. Innamorata lo è
di sicuro, e a modo suo, che è il peggiore: un innamoramento di testa.
Angelica è sentimentale... è un'esaltata: più che essere innamorata
del Martinengo, è innamorata dell'amore, del romanzo!

--E per così poco non ragiona più, e sta per commettere....--Pompeo
Barbarò guardò il marchese prima di finire, ma incoraggiato dal suo
contegno continuò,--sta per commettere una grossa corbelleria!

--D'accordo,--rispose il vecchio imbronciandosi di nuovo.

--Con questo matrimonio,--seguitò il commendator Pompeo,--rovina
sè, rovina suo figlio... e terminerà col rovinare anche lei, signor
marchese!

--Anche me?--domandò il Collalto fermandosi sui due piedi.

--Diavolo, con un matto di nipote che divora ottantamila lire ogni sei
mesi!...

--La prego di credere, commendatore mio, la prego di credere,--rispose
il vecchio con voce sibilante,--che se è matto Stefano, non sono matto
io, e finirò col farlo rinchiudere in una casa di correzione.

--Son cose che si dicono....

--Che si dicono, e che si fanno!

I due ripresero a camminare, ma rimasero in silenzio per un buon tratto
di via; poi fu ancora Pompeo che ricominciò coi suggerimenti.

--Lei doveva provarsi... a sconsigliare la marchesa....

--L'ho fatto e non ci sono riuscito. È una caparbia!

--Ma, quando lo ha fatto... non era sul punto di dover pagare
ottantamila lire per salvarle il ragazzo.

--Questo è vero,--rispose il vecchio facendosi subitamente pensieroso.

Ci fu un altro silenzio: silenzio più lungo del precedente.

Poi il Barbarò ricominciò a parlare, ma con un'enfasi, con un'effusione
improvvisa, che mal suo grado lo vinceva, riscaldandolo a poco a poco,
trasportandolo a sfoghi, a confessioni, come se ormai non potesse
più soffocare l'amarezza e la passione, che tumultuavano prorompenti
dall'animo suo.

--Quel matrimonio (lo dichiaro francamente, perchè poi non c'è dentro
nulla di male) quel matrimonio è capitato in punto per guastare tutti
i miei disegni. Io ho sempre nutrito la più alta stima per i meriti
straordinari della marchesa, e siccome, per l'addietro, sono stato
accusato di aver rovinato il fu marchese Alberto, così per mostrare
un'altra volta a questo mondaccio birbone quanto sono diverso da come
mi si giudica, maturavo in mente di rifare la fortuna della moglie e
del figlio della mia vittima!

Il marchese Diego camminava più lento per non perder sillaba. L'altro
sbuffava, s'era levato il cappello, si asciugava il sudore della fronte
col fazzoletto, e continuava a sfogarsi.

--Potevo fare un gran matrimonio di danaro... I danari non sono mai
troppi, ma vi ho rinunciato, sempre coll'idea fissa nella marchesa.
Nè mi si potrà accusare di balordaggine: se non son più giovane,
nemmeno la marchesa non è più una ragazza. È assai ben conservata;
tuttavia se ha parecchi anni meno di me, è donna fatta, ha un figlio
ufficiale, e tirate le somme, per via dell'età, il matrimonio non è
tanto sproporzionato. È assai più bella di me,--e il Barbarò proruppe
in una sghignazzata,--ne convengo, ma non voglio tacere che se mi
sono invecchiato nel lavoro, ho diritto di godere i miei comodi e di
soddisfare i miei gusti, e quando mi sveglio alla mattina, non voglio
trovarmi accanto un viso vecchio e antipatico. E poi, la cornice che
gli avrei preparato, sarebbe stata degna della sua bellezza. D'altra
parte, io certo non avrei mai avuto la pretensione che s'innamorasse
di me.--Ho buoni occhi, e vedo di non essere tipo da innamorar le
signore.--Un po' d'amicizia, mi sarebbe bastata.--Da parte sua
sarebbe stato un matrimonio di convenienza,--anche per riguardo a
suo figlio,--e da parte mia, un matrimonio d'inclinazione. È una
donna che mi piace... come donna. Ha una bella figura, una bellissima
educazione, un bel nome... tutto quello insomma che mi ci voleva per
me e per Panigale, dove ho in animo di dare grandi feste... anche per
consolidarvi la mia posizione politica. In quanto alla prole... se non
ne veniva (non essendo più giovane nè io, nè lei) poco mi premeva.
Avrei già avuto due figli, per continuar le due case: il mio, e il
suo, che nel mio affetto e nelle mie disposizioni... future... avrei
trattato con pari generosità. Insomma, se quel maggiore non si ficcava
in mezzo, tutto si sarebbe accordato a maraviglia, perchè anche l'unica
sproporzione che ci poteva essere....

--Quella del nome...--interruppe il marchese Diego, tanto compreso
dell'argomento, da non badar bene a ciò che stava per dire.

--Oh no, no... il nome no!--esclamò il commendator Pompeo ridendo
sonoramente.--Il nome no!--Se la marchesa è la discendente dei suoi
antenati, io sono l'antenato dei miei discendenti... e le due nobiltà
vanno bene insieme. È così che si rinsanguano le caste!... Volevo dire
la sproporzione del patrimonio!... Ma per questa, una donna che non
ha un soldo come la marchesa, può sposare un uomo che abbia il mio
stato, senza derogare alla propria dignità. La donna è per sè stessa
un oggetto di gran valore, e specialmente quando è come la signora
marchesa, non c'è oro che la paghi!--Basta... tutto ciò... sia come non
detto, e mi perdoni lo sfogo, signor marchese. Dopo averla riveduta...
mi sentivo oppresso... e ne avevo proprio bisogno. Pazienza!... Ci vuol
pazienza!... In quanto a me, per altro, se son franco abbastanza per
dolermene, non sono innamorato a tal segno, da disperarmene!--E qui un
nuovo ghignetto fe' punto al discorso.

Il Barbarò andò innanzi due passi, ma poi tornò indietro: il marchese
Diego si era fermato, e lo guardava cogli occhi raggianti.

--Chi le dice che se mi ci metto di mezzo io... non si possa accomodar
tutto per il meglio?

--Scherza lei; le piace di scherzare! E l'innamoramento?... E il
maggiore?... E il matrimonio?

--L'innamoramento?... fanciullaggini.--Il maggiore?... si darà
pace.--Il matrimonio?... andrà in fumo!

--Eh!... Eh!... Eh!--fece il Barbarò con tale inflessione di voce che
diceva molte cose.

Il marchese Diego si sentiva in orgasmo, prese il Barbarò a braccetto,
e proseguirono insieme lungo il Corso.

--Commendator mio, parliamoci chiaro: lei mi ha detto, è vero, di
stimare mia nipote?

--E come!

--Ebbene, in tal caso sarà convinto che se io riuscissi a... a
smuoverla dalla sua ostinazione, ad indurla a rinunciare a questo
malaugurato matrimonio, ciò vorrebbe dire che mia nipote non si
troverebbe _vis-à-vis_ del Martinengo compromessa... irrimediabilmente!

--Sì... certo.

--Per me, se devo dire tutto quello che penso, credo ci sarà molta
simpatia fra lei e il maggiore, ma simpatia, solamente. Lasciando
correre le acque per la loro china, andrebbero a finire al matrimonio;
ma questa simpatia non dipende da noi il frenarla?... il fermarla a
tempo?

--No, no, signor marchese. Non vorrei che fosse sacrificata la signora
Angelica, per tutto l'oro del mondo!--esclamò Pompeo mettendosi una
mano sul cuore.

--Lasci fare a me. Sacrificata sarebbe sposando il Martinengo!... Io ho
sempre avversato questo matrimonio, appunto perchè voglio molto bene
alla mia nipotina, e vorrei vederla felice. Lasci fare a me... lasci
parlare a me!

--Parlare no!... Adagio... Bisogna andare adagio!... Parlare è troppo
presto!--esclamò vivamente Pompeo, mostrandosi inquieto. Ma l'altro
non gli dava retta; si teneva stretto al suo braccio e gli si piegava
addosso per parlargli all'orecchio.

--Non le ho detto che mia nipote è innamorata (dato il caso che lo sia)
colla testa soltanto?... E dunque, la testa per quanto dura si può
sempre piegare!

--Non vorrei... essere un tiranno.

--Un salvatore, _Paligani_ mio! un salvatore!--I nostri giudizi sul
suo romanzetto campestre, potrebbero essere anche sbagliati; potremmo
averlo immaginato più importante del vero!--Chi ci vede nel cuore di
una donna?--Angelica potrebbe essere disposta non solo a combattere
e a vincere questa simpatia, ma a farne rifiorire dal suo cuore una
nuova, una più ardente, per l'uomo generoso, me lo lasci dire caro
_Pa....Panigalli_, per l'uomo generoso che la mette in una condizione
degna di lei, degna di noi, e che assicura a suo figlio uno splendido
avvenire! Nulla più della riconoscenza commuove il cuore di una donna,
e dalla sua riconoscenza chi le dice che non debba nascere, oltre alla
simpatia, oltre alla stima, anche l'a... l'amore?

--Oh... sarebbe troppo!--esclamò il signor Pompeo umilmente.

--Lasci fare a me!... Permetta che le parli io! Se Angelica non mi
ascolta vuol dire che è una donna senza testa, senza cuore, senza
viscere materne e allora... me ne lavo le mani!--E le ottantamila
lire,--aggiunse mentalmente,--ho una buona scusa per non darle più!

--Ma, signor marchese,--replicò Pompeo mostrandosi sempre titubante e
inquieto, come se l'altro si fosse approfittato di una sua confidenza,
per valersene secondo i propri desideri.--Signor marchese... io non ho
detto di nutrir ancora... una speranza. Adesso mi sembra anzi troppo
tardi; troppo tardi per la signora Angelica e per... per me!

--Per lei, commendatore, non è mai troppo tardi, trattandosi di fare
una buona azione. In quanto poi a mia nipote, non è mai troppo tardi
per mettere giudizio!--Lei salva una donna, una famiglia, un nome. E
alla sua volta, me lo lasci dire, acquista in mia nipote, la moglie
che le conviene proprio per ogni rispetto. Un nome, dei migliori di
Milano e d'Italia: poi bellezza, eleganza, riputazione illibata... _il
n'y a pas de taches dans le soleil!_... Insomma par fatta apposta per
lei... perchè se la porti nella sua reggia di Pa.... come si chiama
precisamente il suo splendidissimo _château_?...

--Panigale.

--Bravo!... Nella sua reggia di _Paniggale_. Domani comincio un poco a
scoprire il terreno, e le riferirò qualche cosa in proposito.

--Domani no, è troppo presto!--esclamò Pompeo vivamente. I suoi
occhietti luccicavano, il sudore stillava più abbondante dalla sua
fronte: un sudor nero, per via dei capelli tinti, che macchiava il
fazzoletto.

--Non abbia paura; non voglio far altro che scoprir terreno, e sentire
le prime impressioni. Intanto, mi dica, può tener le cambiali in
sospeso per alcuni giorni?

--Sì, ma....

--Allora per domani, lasciamo correre!

--Ma, intendiamoci, non voglio assolutamente che per parte mia, la
marchesa Angelica abbia a soffrire pressioni... odiose!

--Si figuri... Lei anzi, devo apparire come un angelo salvatore.

--Meno le ali!--soggiunse Pompeo ridendo.

--Lasci fare a me!--continuò il marchese vie più infervorato, senza
badare all'interruzione. Desidero che mia nipote abbandoni la poesia
per la realtà; desidero che si formi un vero concetto sullo stato delle
cose. In quanto a me... avrei pagato ottantamila lire, per salvare
l'onore del nostro nome, ma adesso, è naturale, non le pago più, dal
momento che sarebbe una debolezza, colla quale contribuirei al danno
di mia nipote. Anche se oggi dovesse struggersi un poco e fare il
bocchino amaro, verrà giorno, passati i bollori, che mi ringrazierà e
mi benedirà per essere stato inflessibile.... D'altra parte, se tutti
poi dobbiamo fare il nostro comodo, non c'è ragione che mi scomodi io.
Se Angelica pensa ai suoi romanzi, io penso al decoro, e all'interesse.
Ma mia nipote sarà ragionevole, e si chiamerà contenta, fortunatissima;
non ne dubito nemmeno!

--Adagio... adagio!--aggiunse ancora il Barbarò, colla voce
grossa.--Adagio... adagio... per ora... intendiamoci, nessuna
compromissione da parte mia. Voglio prima veder ben chiaro, come stanno
le cose....

--Oh!...--e il marchese, facendo una faccia da bigotto scandalizzato
che contrastava assai col suo tipo volteriano,--metto la mano sul
fuoco,--esclamò, stendendola dinanzi al signor Pompeo,--metto la mano
sul fuoco!




X


La mattina dopo, quando il marchese Diego si recò all'_hôtel de la
Ville_ per vedere se la nipotina abbisognava di qualche cosa, e se
avea ricevuto i fiori freschi che le aveva ordinati dal Ferrario, egli
non le disse nulla del colloquio avuto con Pompeo Barbarò. Le disse
soltanto che questi si trovava nelle migliori disposizioni d'animo
verso lei e suo figlio, e che mentre stava forse maturandosi una
combinazione assai favorevole per tutti, avrebbe tenuto in sospeso
l'affare delle cambiali.

--Saremo sicuri poi, che non ne faccia qualcuna delle sue?--domandò
Angelica sempre inquieta, ma non sospettando certo di ciò che
l'aspettava.

--Oh,--fece il marchese esprimendo la massima maraviglia per ciò che
diceva Angelica, e la massima stima per il commendator Barbarò.--Oh!...
che cosa ti salta in mente?... Del resto devi ricordare... che siete
tutti nelle sue mani!

In quanto a Stefanuccio lo zio Diego gli volse un'occhiataccia senza
dirgli una parola. Ormai la sua collera verso Stefano rimaneva
offuscata dalla preoccupazione in cui si trovava riguardo Angelica;
se ella non si fosse piegata ai suoi disegni, tutto il suo odio si
sarebbe riversato su di lei. Prima di andarsene aggiunse qualche altra
parola di elogio per il Barbarò, e le domandò se non avea mai veduto
_Panigali_.

--No, zio.

--È una reggia, nipotina mia; un castello incantato! Poi disse alla
marchesa che per un giorno o due essa avrebbe dovuto ancora rimanere a
Milano, e le annunciò che quella sera, dopo pranzo, sarebbe venuto a
prenderla per condurla alla passeggiata sui Bastioni.

--Noi vecchi, si sa, siamo tutti un po' vani; ed io ho la vanità di
farti vedere!--In fine se ne andò, com'era venuto, senza salutare
Stefano che dovea ritornar subito a Torino.

Angelica rimase assai angustiata per quei due giorni che doveva ancora
passare a Milano, lontana da Andrea. Pensò di farlo venire, ma lo zio
non lo vedeva di buon occhio, e per il bene del figliuolo non voleva
irritarlo.

"Povero Andrea!... che cosa avrebbe fatto solo solo a Nuvolenta?..."
Pure era contenta di saperlo là; là tutto gli dovea parlare di lei, di
lei solamente; là, lo sentiva più suo; lo vedeva bene e... e non era
gelosa.

Per dir vero la passeggiata ai Bastioni non le sorrideva moltissimo;
anzi ne avrebbe fatto senza volentieri; ma non avea avuto il coraggio
di rifiutare sapendo quanto lo zio Diego desse importanza a certe cose.

In fatti, subito dopo pranzo, egli si recò all'albergo a prenderla,
colla carrozza in gran lusso. Egli stesso era azzimato come un
giovinotto; stecchito, leccato, impomatato, con una grossa gardenia
all'occhiello.

--Stefano ha confessato tutto?...--domandò poi appena furono soli, in
carrozza.

Angelica chinò la testa, accennando di sì, con un grande affanno.

--Che asino!... A pensarci prima sarebbe stato anche inutile di farlo
venire.

--Mi ha giurato,--balbettò la marchesa,--che d'ora innanzi farà vita
nuova....

--Giuramenti da marinaio!... ha le mani bucate!... Per salvare quel
ragazzo, parlo schietto, mia cara, ci vogliono quattrini e molti; se
non ne avrà da spendere finirà male; anzi, avrebbe già finito male
senza il commendator Pompeo che, ripeto, può proprio dirsi la vostra
Provvidenza.

Angelica trasalì, ma non rispose parola.

--Mi ha detto,--soggiunse poi dopo un momento di silenzio,--di
domandarti perdono.

--Oh... non ho niente da perdonare.

--....E di assicurarti che la sua gratitudine per te, durerà più della
vita.

--Per me?... A me non deve, e non dovrà niente. Accomodandosi le cose,
come spero, dovrà la sua gratitudine a te, e al signor Barab... Barabbò!

Angelica tornò a guardare il vecchio attentamente. Nelle sue parole,
ne' suoi modi, c'era un mistero che le incuteva vaghi timori, ma che
non riusciva a spiegare.

Intanto la carrozza era giunta sui Bastioni di _Porta Venezia_.

Nell'ora tarda del pomeriggio, il gran faccione del sole, di color
rancio e affocato, calava lento, come in un bagno immobile di nubi
nerastre; e la dritta e larga via dei Bastioni, si affondava fra la
caligine dei vapori del tramonto e pareva metter capo a quell'orizzonte
di piombo, a quella lastra di fuoco. Nel mezzo, un trapestìo confuso,
ma quieto, uno sfarzo di colori sbiaditi nel chiaror pallido del cielo
crepuscolare; uno sfoggio di lusso e di ricchezza monotono, e un via
vai di gente compassata e affaccendata ai saluti, fra mezzo alle file
delle carrozze, e sotto i grossi alberi frondosi e cupi, senz'alito di
vento.

Il marchese Diego, sempre sorridente, faceva scappellate alle signore,
e salutava colla mano i giovanotti, ripetendo alla nipote il nome di
ognuno e i gustosi pettegolezzi del giorno.

--Non si vede il nostro caro deputato!--disse infine quando la carrozza
ritornava d'aver fatto il primo giro.

--Chi?...

--Il deputato _Panigali_; ha cavalli magnifici. Mi dicevano oggi
al _club_ che la scuderia di _Panigali_ è fra le migliori che si
conoscano. Sai,--continuò poi il marchese mentre si sbracciava per
salutare la contessa di Corleoni, ch'era col suo equipaggio nella
fila delle carrozze ferme in mezzo al Bastione,--sai, il _Panigali_ è
proprio innamorato di te, e alla follìa; me lo ha confessato ier sera.

--Zio!...--esclamò Angelica infastidita.

--Una tua parola sola... e si mette a' tuoi piedi.

--Te ne prego, zio; è uno scherzo che mi fa male.

--Scherzo?... Tutt'altro che scherzo! Il commendatore mi ha proprio
dichiarato formalmente... che sarebbe pronto e felicissimo di sposarti
e... fa conto che io ti parli in suo nome.

Angelica, a tali parole, invece di confondersi, di smarrirsi,
riacquistò, con un impeto di sdegno, tutto il suo coraggio, e il suo
dominio su sè stessa. Guardò il marchese risolutamente, con un tono
altero, quasi sprezzante:

--Risponderai al signor Pompeo--gli disse--che lo ringrazio dell'onore
che vorrebbe farmi, e che non accetterei mai, in nessun caso. Gli puoi
anche aggiungere, se credi, che ho promesso la mia mano al maggiore
Martinengo.

--Non gli dirò nulla di tutto questo. Desidero che, prima, tu pensi
bene a quello che fai.

--Ma non capisci che non son più libera?... che ho data la mia parola a
Andrea?... Tu lo sapevi già, del resto!... per te non è cosa nuova!

--Pensaci, cara; e pensaci bene. Quando hai data la tua parola al
capitano, tuo figlio non aveva firmato cambiali false per ottantamila
lire. Trattandosi di salvare tuo figlio, mi pare che il Martinengo
medesimo, se è uomo d'onore, dovrebbe scioglierti dalla tua parola.

--Ma è un mercato!... Mi si vende!...

--No, cara! non agitarti così!... Calmati, cerca di ragionare. Pensa
che, in tutti i modi, non sarebbe altro che un sacrificio momentaneo,
da parte tua: un sacrificio nobilissimo.

--Momentaneo, hai detto?... Allora non capisco bene....

--Ho detto momentaneo, perchè credo, sono sicurissimo che passato
il primo momento, tu stessa ti stimerai felicissima di....--Guarda
la duchessa di Melzo che ti saluta.--Buona sera, duchessa!... Buona
trottata!--Come si conserva maravigliosamente bene!--.... Dicevo
dunque, che tu stessa ti stimerai fortunata, fortunatissima di ciò che
oggi ti si presenta come una contrarietà.

--No,--rispose la poveretta colla voce che le si strozzava in un
rantolo.--No, ti proibisco di parlarmene!

--Come vuoi, cara; come vuoi.--Il vecchio tacque per alcuni istanti,
mormorando appena:--Povero Stefano!... povero Stefanuccio!--poi,
stringendo le labbra, sospirando e battendo la palma della mano sul
pomo d'argento della mazzettina con un "mah!" pieno di sottintesi,
e che dovea essere come la conclusione de' suoi propri pensieri,
si mise a parlar d'altro, ricominciando a passare in rassegna le
signore più eleganti, e i giovanotti che più facevan discorrere di sè,
motteggiando, come avea l'abitudine, su tutto e su tutti.

La carrozza fece un altro giro, poi un altro ancora, e Angelica,
pallida e muta, cogli occhi fissi, immobile al suo posto, non vedeva
più nessuno in mezzo al brulichìo rumoroso, non ascoltava, non udiva
più nemmeno il continuo chiacchierare del vecchio marchese. Dentro
di lei, col dolore più acuto e disperato, ribolliva un impeto di
ribellione contro la Provvidenza, contro Dio medesimo, contro il
destino, e contro l'egoismo freddo e brutale dello zio Diego. "Non
avrebbe ceduto, no!... non avrebbe ceduto!... Era orribile e infame
quanto le proponevano!... era uno strazio, e sarebbe stata una colpa,
quasi un delitto! Non lo voleva il suo cuore, non il suo onore, non il
suo sangue! Era un'offerta impossibile, assurda, ributtante, odiosa;
sarebbe morta di vergogna e di ribrezzo. Legarsi, vivere, darsi a...
a un essere ignobile che disprezzava e che aborriva!... e tutto ciò
quando la sua mente, la sua anima era piena di un altro; quando era
innamorata di un altro... quando gli apparteneva!...--Andrea, oh
Andrea,--pensava con uno schianto del cuore,--non temere, tua, sempre
tua, sì, tua, tua, tua, a dispetto di tutto e di tutti!"

Lo zio le faceva rabbia: quell'individuo innominabile le faceva ira
e orrore; lo sprezzava e l'odiava; la sua lurida immagine le metteva
i brividi; era uno spasimo, era la repulsione di tutto l'essere suo.
Odio le inspirava quell'uomo; odio soltanto; odio e schifo!... E lei
avrebbe dovuto.... Oh morire piuttosto, morire, morire, cento volte
morire! No, no; era impossibile; lo zio aveva sognato; era impossibile!
Non sapevano tutti che amava Andrea?... che era sua, per tutta la
vita, per tutta l'eternità,--sempre! sempre!--Non sapevano tutti che
lo amava e che si amavano, che lo adorava e che si adoravano?--Andrea!
Andrea!--Sarebbe morta piuttosto, sì... sarebbe morta stretta al
collo di Andrea, col cuore sul suo cuore, colla bocca sulla bocca
sua; sarebbe morta in un bacio... lo voleva un bacio... il primo...
l'ultimo... un bacio che sarebbe stata la sua felicità... e la sua
vendetta!...

Il marchese, come niente fosse, continuava a chiacchierare e a salutar
le signore; Angelica, invece, coll'inferno nel cuore, e con tanto
succedersi e affollarsi di pensieri affannosi, di sentimenti i più
opposti, d'odio e di amore, rimaneva ostinatamente muta, ma diventava
sempre più pallida.

Non poteva vedersi in quel maledetto Milano!... si sentiva soffocare;
voleva correr via subito; voleva tornare a Gallarate; voleva, doveva
rivedere Andrea:--oh Andrea!--voleva, doveva dirgli tutto! Era sua,
lei, cosa sua--sua!--aveva diritto Andrea di saper tutto. Andrea
l'avrebbe consigliata, l'avrebbe aiutata, e l'avrebbe vendicata, perchè
quell'offerta era un oltraggio... un oltraggio vile!--Gallarate!...
com'era bello Gallarate!

Aveva la febbre di essere fuori di Milano, di essere di nuovo in mezzo
alla campagna silenziosa, fra la gente ignota e buona; aveva la febbre
di essere sola--sola con Andrea--di confidarsi con lui, di sentire da
lui la risposta che doveva dare.--Avrebbe fatto sempre ciò che Andrea
le avrebbe detto di fare;--le pareva che appena uscita dalle porte di
Milano, i suoi tormenti dovessero alleviarsi; le pareva di ritrovare
il conforto e la pace. Come voleva bene al _Villino delle Grazie_!...
Andrea era là... pensava a lei... l'aspettava... Andrea!... Andrea!...
Andrea!...

E in quei trasporto e in quel sospiro dell'anima per la felicità
trascorsa e distrutta, tutto ciò che Angelica ricordava di quei luoghi
e del villino, fin le muraglie guaste dal tempo e coperte d'edera, fin
lo stridore e il cigolìo echeggiante del vecchio cancello di ferro, le
riempiva il cuore di rimpianto e di desiderio.

--Sì... sì... voglio partir subito,--prometteva a sè stessa.--Appena
ritornata all'albergo manderò a ordinare una carrozza all'_Anonima_ e
via... senza più veder nessuno!--Chi può impedirmi di andar via?...
sono libera, sono padrona di me; soltanto Andrea,--oh Andrea,
Andrea!--soltanto Andrea ha il diritto di comandare, di imporre la
propria volontà; sono sua, tutta sua.

Ma a un tratto, un nuovo pensiero soppraggiunse ad arrestarla in mezzo
a' suoi propositi, ad agghiacciarla, a sospenderle per un istante il
battito del cuore.

--E le cambiali di Stefano?...

Non poteva più partire; doveva rimanere a Milano. Ma, lì per lì, pensò
che appena all'albergo avrebbe telegrafato a Andrea di venire, e con
Andrea a Milano, anche quel cielo pesante e ristretto, anche tutta
quella gente antipatica, anche quella città uggiosa, prendevano un
aspetto meno triste.

Andrea avrebbe pensato e trovato il modo di salvare suo figlio.
Oh con Andrea poi non c'era tanto da scherzare; avrebbe dato una
buona lezione allo zio Diego, e avrebbe schiacciata la testa alla
biscia schifosa. Andrea era pieno di onore e di coraggio, mentre
quell'essere... innominabile, era un vigliacco! non aveva altra forza
che il suo danaro,--danaro rubato.--Non aveva altro coraggio che
contro di lei:--una donna!--Essa lo aveva rimesso al posto, e lui
per meglio vendicarsi del disprezzo, della vergogna patita, aveva
finto di pentirsi, e nel cuore covava la vendetta. Ma lo zio sognava;
aveva esagerato le sue speranze... e lei si angosciava troppo e forse
a torto. Ma... e se invece fosse tutto vero?... e se in tal caso,
quell'individuo senza coscienza, senza onore, irritato e spaventato
dalla presenza di Andrea, rivolgesse tutto il suo astio e i suoi furori
contro Stefano?...--Stefano era nelle sue mani!...

A questo punto il marchese Diego, che le avea sempre parlato senza
ottener mai una risposta, si era voltato per guardarla e ne rimase
colpito. Angelica non era più pallida, ma livida: aveva gli occhi
infossati, il volto affilato e contratto. In quei pochi istanti pareva
fosse smagrita e invecchiata di più anni.

--Mah!...--sospirò di nuovo il marchese, e come per confortarla,
tornando a battere la palma della mano sul pomo della mazzetta,
esclamò:--Les _enfants sont des soucis_!--poi, drizzando il piede, si
ammirò lungamente la punta lunga e sottile della scarpetta lustra,
e ripetè ancora una volta, ma a mezza voce, e con una cantilena da
ritornello di operetta: _Les enfants sont des soucis_!...

La povera Angelica, per altro, se prima non gli dava ascolto, adesso
non capiva più niente; non sapeva nemmeno più d'essere sui bastioni,
in carrozza, accanto allo zio.... Più niente!... Il suo affanno era
diventato angoscia, e perdeva la testa in mezzo a pensieri sempre più
terribili.

--No!... Non doveva telegrafare a Andrea; doveva restar sola a
soffrire, a combattere!... L'arrivo a Milano di Andrea, il suo sdegno,
la sua collera potevano perdere Stefano... No, no!... bisognava usare
molto tatto, molta prudenza.--Suo figlio, la vita, l'onore di suo
figlio erano in balìa di quella gente. Se si fosse trattato soltanto
di danaro, della carriera, sarebbe stata un'altra cosa.... Ma le firme
delle cambiali erano false... sarebbe messo in arresto subito... poi il
processo... la degradazione... la prigione!...

--Ti senti male, nipotina?--le domandò lo zio Diego, che si era voltato
ancora per guardarla.

--No.

Cominciava intanto a farsi buio; la luce fioca dei lampioni appariva
in una doppia fila interminabile sotto le fronde nerastre dei grandi
alberi. La gente e le carrozze andavano a mano a mano diradando.

--Vuoi ritornare, cara?

--Sì.

--Torna!--gridò il vecchio al cocchiere colla vocetta secca e tremula;
poi chinandosi di nuovo verso Angelica, le domandò:--Vuoi tornar subito
all'_hôtel_, o scendere per una mezz'oretta al Cova?...

--No, no; all'albergo, all'albergo!--rispose Angelica con impeto.

--_Hôtel de la Ville_!--tornò a gridare il marchese Diego al cocchiere,
mettendosi una mano aperta alla bocca per essere udito meglio.

Arrivata all'albergo, Angelica salutò appena lo zio, e si avviò
difilato per le scale. L'altro la salutò colla solita effusione, ma
poi, appena l'ebbe perduta di vista, mormorò dispettosamente con
un'alzata di spalle:--Se sulle prime il calice le sembra amaro, lo
troverà dolcissimo fra qualche anno!

Angelica, nel frattempo, aveva licenziato la cameriera dell'albergo,
indicandole con un cenno che non avea più bisogno di nulla, e chiusa
sola nella camera, si era messa subito a scrivere a Andrea, e gli
scrisse cogli occhi pieni di lacrime, col seno anelante; piangendo,
sorridendo, delirando; gli scrisse così appassionatamente, con tanta
effusione, con tanto abbandono come non avea mai osato, come non avea
mai voluto per l'innanzi. Per la prima volta essa gli dava in tutta la
lettera del _tu_, e le parole _mia, tua, sempre, Andrea_, si seguivano
con una frequenza, con una foga febbrile... Andrea nel leggere più
tardi quella lettera, Andrea che avea ben fissa in mente l'amica,
dovea sentire le calde parole corrergli nel cuore e nel sangue, come
altrettanti baci e dovea rimanerne lui pure stordito, inebriato,
febbricitante.

Finita la lettera, Angelica la suggellò, chiamò per mandarla subito
alla posta, poi, rimasta sola nuovamente, si alzò, si strinse forte
la mano sul cuore, come se con quella lettera le fosse fuggita via
anche l'anima... si asciugò gli occhi... fe' un atto risoluto, quasi
promettendo a sè stessa, al suo amore che sarebbe stata forte, che non
avrebbe ceduto; e si preparò lentamente, sopra pensiero, per coricarsi.

Ma poi, quando spogliata e snodate le lunghe e grosse trecce, si
avvicinò al piccolo letto, un lettino corto e stretto come il suo del
_Villino delle Grazie_, trasalì improvvisamente.... Tutto il suo corpo
sussultò con un fremito.... Si rizzò... tese le braccia... voltò la
faccia come per fuggire un'immagine che le faceva orrore... poi si
nascose gli occhi fra le mani che strinse nervosamente con un moto, con
un urlo soffocato di ribrezzo, e infine disperata si buttò sul letto
contorcendosi nello scoppio dei singhiozzi.

....No!... No!... avrebbe supplicato... si sarebbe trascinata
ginocchioni dinanzi allo zio, ma non avrebbe subito quello strazio...
quella vergogna!...




XI.


Non potè chiuder occhio; ebbe tutta notte la febbre; soltanto si assopì
un poco verso l'alba, ma fece sogni orribili; poi sul tardi fu scossa
di soprassalto dalla cameriera che batteva all'uscio, ed entrava in
camera con una lettera di gran premura.

--Mio Dio, che ci sarà di nuovo?...--sospirò Angelica prendendo la
lettera e alzandosi a sedere sul letto, mentre strappava la busta.

La cameriera aprì le imposte della finestra, e uscì subito,
silenziosamente.

Chi scriveva era lo zio Diego:

"Nipotina cara, _bon dì_!--Hai dormito!... _as-tu réve?_ E, sopratutto,
hai riflettuto bene a' casi tuoi?--Di queste tre cose io ne ho fatto
una sola: _j'ai réfléchi, bien réfléchi!_... Tu hai veduto che io ero
dispostissimo, pur facendo un poco il _grognard_, com'è costume dei
vecchi, a compiere qualunque sacrificio per te, per quel cattivo mobile
del tuo generale in erba, e per il nostro nome. Non ho altra famiglia;
siete voi due la mia tenerezza. Oggi invece, come si son messe le cose,
non devo più prestarmi in nulla... devo battere in ritirata.

"Stefano di Collalto, non si direbbe a vederlo, ma è tuo figlio: una
cavalletta sbucata da una rosa. È tuo figlio, e sei tu, tu sola, come
madre e come marchesa di Collalto, che hai l'onore e l'obbligo di
sacrificarti per lui. Oggi, come si son messe le cose, io non c'entro
più. Parlo schietto: non ci _devo_ più entrare. Se il sacrificio è
possibile, tanto meglio. Se è superiore alle tue forze, io non avrò il
rimorso di aver contribuito alla tua debolezza colla mia.

"Il nostro _dovere_, oggi, è uno solo, e esplicito.

"Tu _devi_ dire di _sì_ a don Pompeo.

"Io _devo_ dire di _no_ a te, se mi domandi ancora di pagare le
cambiali di Stefano.

"Il tuo _sì_ magnanimo, sublime, eroico, può salvare Stefano oggi,
domani e sempre, procurandogli uno stato splendidissimo, in cui
potrà continuare nella sua prodigalità incorreggibile e ereditaria,
e sfuggirà al pericolo di essere, un giorno o l'altro, rinchiuso,
come il bel Lauzun, alla Bastiglia... la quale a Milano, si chiama,
borghesemente, il _Cellulare_.

"Brrr!... Ti vengono i brividi? E allora animo: facciamo _bonne mine à
mauvais jeu_... e sposiamo... _Panicale_!...

"Pensa che dipende da te l'occupare una delle _prime posizioni_, almeno
finanziarie, d'Italia.... Una posizione degna della tua bellezza, dei
tuoi talenti, della tua virtù, della tua eleganza... e soprattutto
del tuo e nostro nome. A _Panicale_ sarai ancora il mio orgoglio;
alla _Stazione Centrale_, o a quella di _Smistamento_, saresti il mio
crepacuore.

"E pensa, infine, che quella stessa _Società_, la quale ieri avrebbe
gridato _plagas_ contro di me, se io non avessi pagato i debiti di mio
nipote, oggi giudicherà te, e se la tua risposta sarà negativa, e tuo
figlio disonorato, ti condannerà senza remissione.

"_As-tu compris, ma belle?_

"Ti bacio le mani affettuosamente.--Hai visite o commissioni da
fare?... Vuoi che ti mandi la carrozza? Comanda, mia cara. Quel che
tu brami, io bramo. Le cambiali scadono oggi alle due; ma per ora non
temer di niente. Il commendatore Barbarò è un perfetto gentiluomo, e
le terrà in sospeso, come ti ha promesso, ancora per alcuni giorni.
_Ciao_, bellezza.

  "_Lo zio Diego._"

Angelica divorò la lettera in un attimo; gli occhi che erano asciutti,
le divennero aridi, quand'ebbe finito. Si alzò subito, si vestì in
fretta, scese, ma si fermò per domandare al portiere se non erano
venute altre lettere per lei, e alla risposta negativa, volle sapere
l'ora della seconda distribuzione.

--_Alle undici ore e metzo_,--rispose il portiere con forte accento
tedesco.

Angelica pensò allora che la lettera di Andrea l'avrebbe trovata
tornando, mandò a prendere un _brum_, e si fece condurre di corsa dallo
zio.

Il marchese Diego, sebbene avesse scritto di essere rimasto sveglio
tutta notte per riflettere, invece dormiva sempre, a quell'ora, e
dormiva saporitamente. La lettera, senza dubbio, era stata preparata e
consegnata la sera al cameriere, perchè fosse mandata la mattina dopo
al suo destino.

--Entrate dal marchese, ditegli che gli devo parlar subito.

--Ma...--osservò timidamente il cameriere, rimanendo tuttavia un po'
scosso dai modi e dall'aspetto della signora marchesa.

--Ditegli che mi riceva pure in camera, senza alzarsi.

Il cameriere, che avea fatto entrare la marchesa nel salotto, se ne
andò per annunciarla al padrone, ma non tornò tanto presto.

--Mi ha detto che resti servita....

Angelica non profferì motto, tenne dietro al servitore, ed entrò dallo
zio.

Benchè i vetri fossero stati aperti, c'era nella camera un puzzo di
rinchiuso, misto coi profumi delle pomate e delle acque odorose.

--Nipotina mia!... che bella apparizione!--esclamò il marchese Diego,
seduto sul letto, coperto con una giacca di lana bianca orlata di
seta azzurra, con un gran _foulard_ scarlatto intorno al collo, e un
berrettino di maglia nera tirato davanti sugli occhi, e dietro sulla
nuca, perchè la testa non era stata ancora preparata.--Che bella
apparizione!... Prendi anche tu la cioccolata?...

--No, zio,--rispose Angelica tossendo un poco.

--Allora prepara soltanto la mia,--disse il marchese al servitore,
che se ne andava.--La metterai al fuoco quando suono.--Vieni qui!...
Vieni qui più vicina, bellezza mia,--disse poi stendendo una mano
ad Angelica, e tirandola presso la sponda del letto.--Queste visite
delle belle signore sono i vantaggi dell'età!... magri vantaggi!--e il
vecchio sospirò ridendo.

Angelica, con uno slancio improvviso, si portò alle labbra la mano
dello zio e la baciò ripetutamente, sciogliendosi in lacrime.

--Animo... animo... non facciamo tragedie!--borbottò il Collalto colla
voce su quel subito diventata stridula, e strappata la mano dalle
strette della nipote, la cacciò infastidito sotto le lenzuola.

Angelica cadde ginocchioni piangendo più forte, e nascondendo la faccia
contro il letto.

Il marchese, colle braccia tirate sotto le lenzuola, stecchito e
immobile come un idolo indiano, la guardò crollando il capo. Ma
nè la vista, nè il profumo dei capelli biondi, nè il candore del
collo delicato, nè il bel corpo flessuoso che fremeva per l'urto
dei singhiozzi, ottennero un sentimento benevolo di pietà. Dagli
occhietti rossi e spelati del vecchio, dalia faccetta viscida e rugosa,
che spuntava appena sotto la berrettina e dentro le pieghe del
_foulard_, trasparì soltanto un moto di fastidio, e un'espressione,
prima di sarcasmo, poi di collera, e quasi di odio, mentre i peli
dei baffi verdi, spioventi perchè non ancora incerati, si agitavano
rabbiosamente, mettendo in mostra i bei denti bianchi.

--Alzati!... alzati!... sono pianti inutili!... Io non posso più far
niente.

--Ma non capisci, zio,--esclamò Angelica balzando in piedi, e col viso
ancor tutto in lacrime, rosse le guance, i capelli arruffati,--non
capisci, zio, che è impossibile ciò che si pretende... che ciò che si
vuol far di me è infame?...

--_Infame?... impossibile?_ Eh, paroloni, e coi paroloni, bimba mia,
non si può ragionare. Credi di esser la prima che faccia un matrimonio
di convenienza? Chè!... sono gli altri, anzi, i più rari: i matrimoni
d'amore... e sono anche quelli che riescono peggio!... In fine, capirei
tutte queste lacrime, tutto questo sgomento in una ragazza che... che
non conoscesse il mondo... che fosse ancora alle fanciullaggini degli
innamoramenti e delle romanticherie.... Ma tu sei una donna fatta; hai
un figlio che, fra poco, avrà vent'anni, e devi lasciare da una parte
la poesia.

Il vecchio cercò il fazzoletto sotto il capezzale; si soffiò il naso,
poi tornò a rizzarsi e ad accomodarsi nel letto, e cercando di addolcir
la voce per rendersi più persuasivo, continuò:

--Guarda, per esempio, la contessa di Nave;--te l'ho fatta vedere ier
sera sui Bastioni: quella bellissima donna, ancor giovane, con un
cappello magnifico, a grandi piume bianche e nere?--Ebbene, da ragazza
le fecero sposare, contro voglia, il conte di Nave che avea trent'anni
più di lei.... Durante il matrimonio fece una vita brillantissima,
senza mai far parlare di sè; soltanto credevamo tutti che, una volta
rimasta vedova, avrebbe sposato suo cugino Vidolenghi... Invece sposa
adesso suo cognato, maggiore di suo marito di una decina d'anni, e
tutti l'approvano, e il Vidolenghi, che è un uomo di testa, per il
primo. Con questo matrimonio la sostanza dei Nave rimane tutta in
casa!... Nipotina, nipotina cara, l'amore è un di più; il necessario è
l'aritmetica!

Angelica si asciugò gli occhi ed aspettò un momento a rispondere.
Vedendo che con tutte le sue lacrime non sarebbe riuscita a commuovere
quel fantoccio ridicolo e crudele, vedendo che non era, e che non
poteva essere nè capita, nè compianta, soffocò in sè stessa tutto il
suo grande amore, tutto il suo grande dolore, e cercò altri argomenti
meglio adatti a persuadere lo zio Diego.

--Allora ti dirò che rifiuto assolutamente l'offerta che mi vien fatta
per un'altra ragione importantissima.

--Quale?

--Non solo amo... un'altra persona; ma questa persona ha pure la mia
promessa più sacra e formale.

--Se non vi sono altri ostacoli, mi prendo l'impegno volentieri di
andar io stesso a parlare col maggiore. Lo metterò al corrente del
pasticcio delle cambiali, delle firme false, gli dirò tutto ciò a cui
andrebbe incontro tuo figlio se tu rifiutassi l'offerta che ti vien
fatta, soggiungendo pure che tu sei sempre pronta a mantenere la tua
promessa ove lui stesso non te ne sciolga volontariamente. E vedrai,
vedrai che se non è un matto, o un birbante, ti renderà la tua parola.
Che diamine!... quanti matrimoni non sono andati a monte per molto
meno!...

--Ma tu non conosci Andrea!--proruppe Angelica sbigottita e
fremente.--Mi renderà la mia parola; sì, mi renderà la mia parola... ma
ne morrà... poi è capace di tutto, di disperarsi, di uccidersi!...

--Stupidaggini!--strillò il vecchio sempre più seccato, con un'alzata
di spalle,--non ci son più altro che gli studenti e le serve che si
uccidono!... Vedrai, che anche il tuo capitano si darà pace....

--Peggio, peggio ancora per conto mio, se si desse pace!...--esclamò
Angelica fuori di sè.--Non capisci che sarebbe quello che mi
spaventerebbe di più, che mi farebbe diventar matta?...

--Ma allora, si può sapere che cosa vuoi?.,.--domandò il marchese tra
l'ironico e lo stupito.

--Non mi capisci... non ci possiamo intendere...--balbettò la poveretta
buttandosi affranta sopra una poltroncina ch'era accanto del letto.

Il marchese Diego le prese una mano, la posò sulla coperta bianca, e
l'accarezzò dolcemente.

--Capisco che tu vorresti da me ottantamila lire; ma tu invece, non
capisci un'altra cosa, che cioè _ot-tan-ta-mi-la_ lire si possono
pagare, anche quando non si è obbligati, per salvare l'onore della
famiglia, ma non mai per combinare un matrimonio che non accomoda per
nessun verso. Anche se non vi fosse di mezzo tuo figlio, le cambiali,
le firme false, tutti questi imbrogli che m'indispettiscono e mi
nauseano, avrei sempre preferito il commendatore Barbarò, che almeno
ha una fortuna colossale, e tiene uno dei primi posti nell'aristocrazia
della finanza, al tuo Martinengo, il quale non è altro che uno
spiantato.

--Ma se tu stesso mi hai sempre detto che il signor Pompeo è un
furfante, uno strozzino, una figura losca e abietta?... Se tu non
volevi mai venire a Villagardiana per non incontrarti con lui?...

--Allora non era... quello che è presentemente!

--Se anche poco tempo fa hai rifiutato un mio invito a pranzo al
Villino per non doverti _sporcare_, son tue parole, a dar la mano a
quella canaglia?

--Avevo torto. Le antipatie, per lo più, sono ingiuste.

--Ma se anche ieri, l'altro giorno, ne parlavi con disprezzo?...

--Conoscendo a fondo don Pompeo, l'ho trovato un perfettissimo
gentiluomo.

--E anche un galantuomo l'hai trovato?--domandò Angelica con un accento
d'ironia amarissima, che traspariva pur fra l'angoscia.

--Oh Dio,--rispose il vecchio tirando un po' su i guanciali per star
più comodo,--l'essere galantuomo è una cosa affatto personale, e molte
volte non è di vantaggio a nessuno!..

--Come parli, Dio mio! non sembri più tu!

--Perchè altro è il discorrere così, per modo di dire, per passare il
tempo, altro è il parlare d'affari. Gli affari sono gli affari, e hanno
un linguaggio più conciso e positivo.

--Allora ti ricorderò... un passato infame.... Quell'uomo ha fatto la
spia!

Angelica pallida, fremente di sdegno, si era avvicinata al marchese
fissandolo bene in faccia.

--Storie vecchie,--rispose l'altro mettendosi di nuovo a cercare il
fazzoletto per evitare quello sguardo,--_quarantottate!_... nessuno più
ci crede, o ci bada!

--È stato sotto processo.

--Ma... ecco, questo particolare, non risulterebbe vero.

--Ha fatto i danari spogliando la povera gente.

--Ne ha fatti troppi!--esclamò il vecchio ridendo,--e non può aver
spogliato altro che i ricchi!

--Per le sue ladrerie, per la sua avidità di guadagno, ha mandato i
nostri soldati al macello.

--Non credere, sai, nipotina, non credere.... Questa è rettorica
patria!...

--Se lo dicevi anche tu?

--Ebbene... ho fatto male anch'io. Quante fandonie non si ripetono...
tanto per parlare?

--Dunque... dunque tu non senti orrore che una tua nipote... una
Castelnuovo, una Collalto, diventi... la signora Barbarò?

--Scusa, Donna Angelica Barbarò di... _Panicale_... la cosa è molto
diversa.

--Se tu stesso hai sempre riso, quando non ti ci sei arrabbiato, a
proposito della nobiltà del signor Pompeo?

--Oh _bon Dieu_, non metterti adesso a farmi il processo su tutto ciò
che ho detto, su tutto ciò che ho fatto! Avrò riso... in principio;
ma la nobiltà è come il vino: invecchiando si fa buona, e ha il gran
vantaggio, sul vino, che invecchia più presto. E poi--il marchese
mal suo grado tradì, a questo punto, un certo dispetto--i tempi son
mutati... Non è più l'età delle Crociate, ma delle Banche, e i costumi
son democratici in questo, che tutti i titoli sono uguali: basta
averne uno!... Anzi, sono gli stemmi più nuovi, quelli che brillano
di più. In fine, parliamoci chiaro, che cosa mi offriresti in cambio
delle ottantamila lire che dovrei pagare?... di diventare la signora
Martinengo presso la Direzione delle Ferrovie dell'Alta Italia!

--Almeno avrei un nome onesto!--rispose Angelica a cui, in quel
febbrile contrasto, più diminuivano le speranze, e più cresceva il
coraggio.--E questo è un titolo che il tuo... protetto, non ebbe, non
ha, non avrà mai!

Essa era sdegnata; le lacrime che le spuntavano dagli occhi rilucenti,
si asciugavano tosto sulle guance infocate.

--Chè, chè, chè, bellezza mia! i fortunati non sono mai disonesti!
Tutti lo ammirano il tuo... pretendente; tutti lo stimano, lo cercano,
lo accarezzano...: presidente di qua, consigliere di là, assessore,
sindaco, commendatore.... Che vuoi di più?... il re lo ha creato
nobile, e il suffragio popolare lo ha eletto deputato!

--Ma tu che sei tanto tenero del mio nome, che è il tuo, del mio onore,
che è il tuo, non pensi a ciò che il mondo, non il mondo di quella
gente, ma il nostro, dirà di me se mi vendo... e di te se mi costringi
a vendermi?

--Io non ti costringo, ti consiglio soltanto per il tuo meglio.
In quanto al mondo, che deve dire? Il mondo, e a ragione, si
meraviglierebbe moltissimo se, anche astrazione fatta da tuo figlio,
e dai tuoi doveri di madre, tu fossi così matta da preferire un
Martinengo, fosse pur nominato capostazione, a un Barbarò di
_Panicale_!...

--Ebbene,--proruppe Angelica accendendosi nuovamente, e nuovamente
lasciandosi sfuggire dall'anima ciò che prima avea cercato di
nascondervi,--ebbene, se tutto ciò non ti convince, non ti scuote...
pensa che lo amo tanto da morirne!... Sì... sì...--Non vederlo
più....--E la sua voce fu coperta dai singhiozzi.

--Sciocchezze!--borbottò il vecchio con un'alzata di
spalle.--Sciocchezze!... tutte sciocchezze! Tu corri sempre da un
estremo all'altro, mentre al mondo, sapendo fare, si può accomodar
tutto benissimo!--Non vederlo più!... Chi ti dice, chi ti impone di
non vederlo più?...--E il vecchio sorrise, guardando la marchesa in un
certo modo, che poteva esprimere molte cose.--Dammi ascolto, nipotina
bella, compi il sacrificio per tuo figlio, cosa che farà molto onore
al tuo cuore, e non lasciarti sfuggire Don Pompeo, cosa che farà molto
onore alla tua testa. Poi, con quattro moine, farai ciò che vuoi di
tuo marito, e con un buon cuoco, avrai il mondo dalla tua. Il mondo
vedendoti a _Panicale_ esalterà la tua virtù; sapendoti dipendente
dagli uffici dell'_Alta Italia_, sarebbe inesorabile. Ed è naturale:
il mondo è indulgente coi ricchi perchè ne ha bisogno; d'altra parte
non pretende virtù... impossibili; gli basta un pochino di prudenza.
Se tu saprai _menager_ la posizione... don Pompeo... è invaghito di
te, io me ne intendo, s'è presa un'ubriacatura da non vederci più....
Con un po' di, mettiamo pure, di abnegazione da parte tua, farai tutti
contenti, e potrai esser contenta anche te. Diamine!... Se il prender
le cose come fai te, agli estremi, fosse regola comune, tutto il mondo
sarebbe sossopra, invece vedi bene, che ci si vive tranquillamente e in
buon accordo. Impara dalla contessa di Nave; quella è davvero una brava
donna; tutti l'ammirano, la rispettano e fanno la corte a lei.... e al
Vidolengo!

Angelica, durante queste parole, aveva sempre guardato lo zio tra
indignata e stupefatta.

--Oh!... Oh!... e sei tu?...--proruppe infine con voce sorda,--e sei tu
che mi proponi un mercato così vile?!...

--Io?... quale mercato?... paroloni e sempre paroloni!--Il marchese
stizzito, si rizzò sui guanciali.--Se è così che fraintendi le cose,
non parlo più! Fa come vuoi; per me, me ne lavo le mani. Pensa per
altro che tuo figlio non è sopra un letto di rose. Io, in faccia
al mondo e alla mia coscienza, non avevo altro che l'obbligo di
consigliarti bene e l'ho fatto; a te tocca di scegliere fra Stefano
e il Martinengo; sei donna, sei madre, e non hai più vent'anni,
quantunque li dimostri appena. Se vuoi sacrificare Stefano al bel
maggiore, padrona mia! io ti dico che hai torto, e che non mostri
cuore: il cuore prima di tutto!

Angelica, dopo aver pianto, dopo essersi disperata e sdegnata, ora
rimaneva come accasciata sotto il peso di quella gran calma, da cui
spesso trapelava l'ironia, ma che si manteneva impassibile. La voce
tremola dello zio Diego aveva uno stridore sempre uguale, freddo e
acuto; non si scaldava, non vibrava mai. La poveretta finiva collo
smarrire la coscienza di sè, ed anche del suo stesso dolore, in un
grande abbattimento; non trovava più le parole, e aveva quasi perduta
la voce; pure continuava a piangere, e non ristava dal pregare, dal
supplicare, ma ormai senza lena, senza speranza, come il naufrago che
pur sentendosi l'acqua alla gola, si dibatte istintivamente negli
ultimi sforzi.

Da ultimo lo zio Diego la lasciava dire senza neanche risponderle; e
la poveretta se ne andò, non com'era venuta, ma a capo chino, colle
ginocchia tremanti, balbettando confusa, anche dinanzi agli umili
saluti del servitore, che l'aspettava fuori, per aprirle l'uscio
dell'anticamera.

Il marchese Diego, appena fu solo, trasse un gran sospiro mormorando:

--Anche questa è passata.

Poi suonò perchè gli portassero la cioccolata, e l'aspettò allungandosi
sotto le coperte, e disponendosi a fare un altro pisolino.




XII.


Gli avvenimenti inaspettati e precipitosi si eran seguiti in quei due
giorni senza un sol minuto di tregua tanto che Angelica ne era rimasta
come intontita. Le pareva di sognare; non aveva nella mente altro che
un punto solo fisso e ben chiaro: Andrea: correre da Andrea, dirgli
tutto; farsi salvare da lui.

Salvare?... in che modo avrebbe potuto?...

Non sapeva; ma essa lo credeva capace anche di un miracolo, e il suo
cuore d'innamorata aspettava appunto un miracolo da lui.

Appena lasciato lo zio Diego, Angelica ritornò subito all'albergo,
mandò all'_Anonima_ a ordinare una carrozza, e ancora nel montar le
scale cominciò a leggere la lettera da Nuvolenta, che avea trovata dal
portiere, in cui Andrea si mostrava inquietissimo per l'agitazione e
l'affanno che traspariva dalle parole scrittegli da Angelica, e la
supplicava di lasciarlo venir a Milano o di comunicargli subito tutto
ciò che era accaduto di nuovo. Angelica, per dargli un po' di pace,
almeno fino a tanto che arrivava lei, gli telegrafò che partiva sul
momento per il _Villino delle Grazie_. Ma non aggiunse una parola di
più, e Andrea invece di tranquillarsi rimase più inquieto di prima.
Tuttavia (ripeteva fra sè) essa sta per arrivare; questo in ogni modo,
era per lui il più importante... era una consolazione che a mano a mano
si faceva sempre più viva, e dissipava tutte le incertezze, tutti i
timori.

--Arrivava lei!... lei!... Angelica!...

Non poteva pensare ad altro, non poteva star fermo.

--Che cosa sarà mai successo?... che lo zio Diego non voglia pagare?...
come sarà inquieta, povera Angelica!... Ah se avessi io ottantamila
lire!...--Tornò a guardar l'orologio.--Fra un'ora intanto sarà qui, e
sentiremo... Sarà qui!...

La vide in quel punto, sorridente, viva; vide i suoi occhi grandi pieni
di dolcezza e di amore....--Fra un'ora!--gridò, e in uno slancio di
tenerezza beata che gli traboccava dall'anima, promise a sè stesso di
confortarla di tutte le sue pene, di amarla anche di più per tutti i
suoi dolori.

--Ah, se fossi ricco!... Che cane quello zio Diego!... Come può
resistere alle preghiere, alle lacrime di quell'angelo di donnina?... È
tal'e quale il conte Prampero: la buccia un po' più levigata, ma sotto
lo stesso egoismo, la stessa durezza... che cane!... Povera bimba mia
come la tormentano!... Eh, ma a quel ragazzaccio di Stefano, parlerò
io!... Se credesse mai di far crepar sua madre sta fresco! adesso non
è più come una volta: adesso ci sono io, e posso mostrarmi, e farmi
sentire!...

Mentre faceva seco stesso tanti bei proponimenti Andrea era ancora
nella sua piccola cameretta. Pensò che ormai la carrozza di Angelica
doveva esser poco lontana, e che avrebbe potuto andarle incontro sullo
stradale di Gallarate.

--Sì! Sì!... Angelica buona! Angelica bella! Angelica cara!...

Si rivestì con cura; si mise una cravatta che piaceva ad Angelica,
con uno spillino che le aveva regalato lei; una perlina rosea, levata
apposta dal piccolo filo ch'essa portava sempre al collo dì e notte:
erano le sue perle di ragazza.

Quando fu pronto si guardò un momento nello specchio arricciandosi i
baffi, e benchè i suoi capelli folti e forti cominciassero a mostrarsi
un poco brizzolati, non si dispiacque. Si cacciò in capo il cappello
a cencio, con un piglio tra il militare e il conquistatore, prese i
guanti, la mazza, e uscì fischiettando a fior di labbra:

  Un dì felice, eterea
  Mi balenaste innante....

Per evitar la gente, prese per la brughiera che fiancheggiava la via
maestra, con un tratto di bosco.

Angelica, sicura di incontrare Andrea lungo la strada, avea più volte
messo fuori dello sportello la testina bionda, per vedere se spuntava
da lontano.

--Oh Andrea!--mormorò a un tratto arrossendo e impallidendo con un
sussulto di tutto il sangue.

Andrea, che le era apparso all'improvviso, sbucando da un folto di
pini, saltò sulla strada.

Era gaio, sorridente, col cappello in mano, e un mazzetto di fiori
gialli all'occhiello: i fiori che Angelica preferiva.

--Ferma! Ferma!--gridò Angelica al cocchiere, e balzò dalla carrozza
appoggiandosi alla mano di Andrea, il quale, appena vedutala, avea
subito mutato di colore, e il sorriso gli si era spento sulle labbra.

--Che cos'è successo?

Angelica lo guardò con occhi spaventati.

--Che cos'è successo?--chiese ancora, e il fremito della voce tradiva
lo sbigottimento interno.

La marchesa, voltandosi verso il cocchiere, gli ordinò di andare
innanzi, di attraversare tutto il paese e di fermarsi poi al primo
villino, che avrebbe trovato a dritta; domandasse se aveva paura di
sbagliare: tutti gli avrebbero indicato il villino della marchesa di
Collalto.

Essa voleva fare la strada a piedi.

La carrozza si mosse lentamente...; Angelica guardò ancora Andrea
con un'espressione indicibile di amore, di dolore, di sgomento e poi,
passandogli innanzi, prese un sentieruolo che dalla strada s'internava
nella brughiera. Andrea le tenne dietro, senza osare d'interrogarla;
capiva che Angelica voleva essere sola, sola con lui, prima di
cominciare a parlare.

Ma Andrea, durante quei pochi passi fatti in silenzio, avendo visto
che la sua presenza non era bastata a consolarla, s'indispettì, e
s'imbronciò.

Egli non era dunque tutto per lei!...

Angelica continuava a camminare finchè, passato il piccolo tratto
di bosco, si trovò dinanzi la brughiera immensa e arida. Allora si
voltò improvvisamente, mormorando:--Oh Andrea! Andrea!--e proruppe in
lacrime. Ma erano lacrime ben più amare di prima; cominciava allora a
sentire, a capire tutto il suo dolore.

--Oh Andrea! Andrea!...

--In fine si può sapere che cosa c'è di nuovo?--domandò l'altro
seccamente, quasi duramente.

Angelica, prendendogli le mani che si strinse sul cuore, lo guardò
lungamente, fissamente: era uno sguardo che pareva uno spasimo
dell'anima. Andrea ne rimase vinto e sbigottito: sciolse una mano
dalle sue e abbracciando e premendosi Angelica sul petto--per Dio, mi
dica,--domandò,--che cosa c'è di nuovo?...

--Più, più....--rispose Angelica balbettando.--Non dobbiamo vederci
più!...

Andrea si allontanò da lei vivamente e ristette pallido, accigliato.

--Perchè?...

--Ma ne morrò.... le giuro che ne morrò.... È troppo.... oh, è
troppo.... Ne morrò.

--Perchè?--replicò l'altro con maggiore asprezza.

Angelica si asciugò le lacrime col fazzoletto chiuso nella manina
inguantata, e fra lo strappo dei singhiozzi, cogli occhi esterrefatti
dallo spasimo e dal terrore fissi in Andrea, gli raccontò tutto quanto
le era successo, quanto le volevano imporre, quanto le si preparava.

L'altro l'ascoltò immobile, senza profferir parola. Solo quando
Angelica ebbe detto tutto, egli era bianco, terreo, e trasalì per un
brivido, ma rimase ostinatamente muto. Angelica gli si avvicinò; il
suo viso era tutto molle di pianto; il seno anelante come se volesse
scoppiare, ma non piangeva più. Essa lo guardò ancora, e tutto il
suo cuore, tutta la sua disperazione traboccavano dalle pupille
fisse, dilatate. Stese le due mani, si attaccò alle spalle di lui,
e leggermente alzandosi sulla punta dei piedi per avvicinare la sua
faccia a quella immota di Andrea, così da stordirlo col bagliore degli
occhi e le vampe calde del suo alito, gli chiese con una risolutezza
improvvisa di modi e di parole:

--Dimmi tu che cosa devo fare; che cosa devo rispondere. Farò soltanto
quello che vorrai tu; tutto quello che vorrai tu: sono tua. Parla....
di' su... che cosa devo fare?...

Andrea la guardò freddamente. Poi sorrise.... ma fu un sorriso ghiaccio
che trapassò il cuore di Angelica.

--Abbi compassione.... abbi pietà, Andrea... Andrea... almeno tu abbi
pietà. È troppo... è proprio troppo!

--Ah! Ah!--proruppe l'altro ridendo ancora,--come sono strane le
donne!... Lei pretenderebbe anche che io la confortassi, dopo che viene
a... a darmi una mazzata sul capo!...

Andrea sotto quella gran calma forzata nascondeva un'atrocissima
battaglia: l'amore in quel punto rimaneva soffocato dal dolore e dalla
gelosia. Ciò che c'era in lui di cattivo o di men buono, e che l'amore
soave e alto di Angelica era riuscito a vincere e a seppellire nel più
profondo della sua anima, risorgeva a un tratto oscurando la nobiltà
de' suoi sentimenti, il foco generoso della sua passione. Angelica non
lo aveva mai abbracciato in quel modo... ma anche ciò lo irritava, e lo
rendeva ingiusto. Pensava che la poveretta, lo facesse per intenerirlo,
per renderlo incapace a resisterle, per farlo consentire a quel partito
mostruoso. Pensava che, ad onta di tante proteste, essa allora non lo
amava, o lo amava molto poco. Il primo suo affetto non era lui, ma
suo figlio; il figlio di lei e di Alberto di Collalto: essa non aveva
che suo figlio in mente, in cuore; non vedeva se non suo figlio, non
tremava se non per suo figlio. Ma invece a lui, proprio a lui, che cosa
doveva importarne del marchesino Stefano?... nulla!...--E dietro a quel
ragazzaccio cincischiato e stupido, e senza cuore, tutto il ritratto
del marito di Angelica, gli appariva la figura esosa del Barbarò,
dell'onnipotente Barbarò, che con una manciata d'oro gli portava via
la sua donna, la sua amante... come quell'altro, tanti anni prima, gli
aveva portato via la sua fanciulla, la sua sposa... sempre debole,
sempre incapace di resistere, sempre pronta a sacrificarlo, prima a suo
padre, ora a suo figlio. E in quel subbuglio di memorie e di passioni
la bellezza di Angelica, fremente e anelante di dolore, anzichè
commuoverlo e intenerirlo, trasformava in un impeto improvviso e cieco
di odio tutto il suo grande amore.

Angelica aveva mentito; non era vero che fosse _tutta sua_ come essa
gli aveva giurato, come egli voleva sempre che gli giurasse! E nel suo
cuore le faceva una colpa della sua debolezza, una colpa del suo amore
di madre, quasi una colpa anche di ciò che accadeva.

Perchè gli avea voluto raccontar tutto?... perchè gli domandava
consigli?... oh, se avesse trovato quella proposta così assurda,
impossibile, infame, come infame, impossibile, assurda era veramente,
doveva respingerla subito, indignata; essa doveva imporre allo zio
Diego di tacere, doveva scacciarlo... ma non doveva tornare al
villino per farsi veder piangere, e per chiedergli consiglio!...
Se lo domandava era perchè aveva già risolto in cuor suo di... di
sacrificarsi. Ma perchè voleva sacrificarsi lei, aveva diritto di
sacrificarlo lui, mancando a tutte le sue promesse?... Essa non
ragionava più quando si trattava di suo figlio!... suo figlio era stato
sempre tutto per il suo cuore!... lui... Andrea, lui era stato per lei
l'ideale!... sì... l'ideale... ossia quasi niente!

--Rispondi!... hai capito?... rispondi!...--soggiungeva intanto
Angelica stringendogli forte le braccia colle mani nervose, e
scuotendolo.

--Dal momento che lei mi domanda un consiglio non posso darle altro che
quello buono... accettare!--esclamò Andrea sorridendo di nuovo colle
labbra pallide, e sciogliendosi da Angelica con una garbatezza un po'
ruvida e ostinata.

--Accettare?... lo dici così?... così... tranquillamente?...
Ridendo?...--e Angelica colle piccole mani, che parevan diventate di
ferro, gli strinse le braccia e lo scosse ancora più forte.

--Come dovrei dirlo?--Andrea cominciava a non potersi più frenare: le
sue labbra tremavano, i suoi sguardi diventavano biechi, la sua ironia
si faceva terribile.

--Come lo dovrei dire?... io non posso piangere come lei; io non ho il
benefico sfogo delle lacrime!... io sono un uomo e rido, rido sempre,
rido di tutti, e rido di me; ma il mio riso avvelena, brucia, ammazza
più di tutti i suoi singhiozzi e le sue convulsioni, il mio riso, per
Dio, non ha nè tregua, nè sollievo, nè pace!...

--Oh ammazza anche me il tuo riso,--e davvero, sai,--ammazza anche me,
ed è cattivo ed è ingiusto. Ti pentirai, oh ti pentirai di essere stato
senza pietà. Ma che cosa volevi tu che facessi? che cosa vuoi che io
faccia?... abbandonare mio figlio al punto in cui si trova?... ti par
possibile?... si tratta di _processo_, di _prigione_. Rispondi, Andrea,
potevo farlo? posso farlo?

--Queste cose non si chiedono; dal momento che si chiedono si deve
rispondere: no.

--Non farmi diventar matta!... Io era corsa da te attaccandomi
all'ultimo filo di speranza, e tu questo filo l'hai spezzato
brutalmente, aggiungendo le tue offese, i tuoi insulti, al mio dolore.
Speravo... no speravo, volevo illudermi che la cosa fosse per sè stessa
tanto orribile, che tu mi potessi convincere di rifiutare. Invece tu
mi hai dato l'ultimo colpo. Se rifiutassi, tu che non hai il coraggio
di consigliarmi a resistere, mi condanneresti nel tuo cuore, come mi
condannerebbe il mondo, mio figlio, tutti!...

--Ah non è dunque il tuo sentimento di madre che impone questo
sacrificio?... È la paura dei giudizi del mondo... di quello che
direbbe la gente?... Non è mai il tuo cuore che ti guida, è sempre la
tua testa!

--Non parlarmi di cuore e di testa, tu che la testa me la fai perdere,
e che finisci di spezzarmi il cuore... tu che sei ingiusto... e vile.

--Angelica!--proruppe Andrea con impeto.

--Sì, vile, vile, vile!--replicò la poveretta pallida, tremante, senza
più una lacrima, con tutta la sua dignità di donna, con tutto il suo
cuore di amante, che si dibattevano in lei nell'urto supremo della
disperazione.--Vile, perchè tu pure, non sapendo trovare una via di
scampo, ti rivolti contro di me. Rispondi, in fine, perchè lo voglio,
perchè ho diritto di volerlo. Non frasi, sai; voglio la verità.--Che
cosa devo dire a mio zio? che cosa devo fare?...--Non sono consigli
che si chiedono, tu mi dici?... Ma lo dici non perchè sia una prova
di poco amore il chiederli, sì bene perchè non te ne vuoi assumere la
responsabilità. Sì, il tuo cuore vorrebbe,--lo vorrebbe anche il mio,
ardentemente, a costo della vita lo vorrebbe,--che io rispondessi un
_no_, e abbandonassi Stefano al suo destino; ma la tua coscienza non
vuol parteciparne la colpa e il rimorso con me.

--Guardami, Andrea, guardami in faccia e rispondi: chi è più sincero di
noi due?

--Non avresti dovuto permettere al marchese Diego di parlare... di
farti una simile proposta!--rispose Andrea, un po' scosso suo malgrado.

--Ah tu... tu non sei madre, tu!... tu non hai un figliuolo.

--No,--replicò Andrea tornando a riscaldarsi,--e per questo ho un solo
amore, una passione sola nell'anima. Ho una creatura sola al mondo,
nel cuore: tutti gli altri mi han sempre fatto del male, o han goduto
del mio male: sono cuori perversi, ed anime ignobili, ed io li sfuggo,
e li disprezzo. Ma non dovevo amare nemmeno te....

--No, Andrea....

--Non si può amare veramente quando si ha il cuore diviso, ed io ho
sempre fatto male a volerti bene!... ho fatto male prima; ho fatto male
dopo!

--No! No! No!--gridò Angelica fuori di sè.

Era pronta a dare la vita, e più assai della vita per suo figlio, ma il
suo cuore, il suo amore era tutto di Andrea, e Andrea disprezzava il
suo cuore, malediva l'amor suo!... Essa non ragionava più, non pensava
più a niente, era come matta. Gli si attaccò al collo, lo strinse, fece
ogni sforzo per attirarlo a sè. L'altro, imperterrito, allontanò la
faccia, e Angelica gli cadde esausta colla testa sul petto.

Andrea la guardò... ne sentì compassione... e a poco a poco gli ritornò
tutto l'amore di prima.

--Mi ama,--pensava,--non ama altri che me; e non avrà il coraggio di
cedere.

Sul loro capo i pini odorosi fremevano ai soffi caldi del pomeriggio.
Il sole declinava lento dal cielo puro, chiarissimo, dietro le cime
nere dei monti lontani, e il verde scialbo della brughiera scoloriva
tristamente in quell'ultima ora del tramonto: la campagna si distendeva
muta, deserta, infocata. Solo le rondini a stormi passavano e
ripassavano come frecce nell'aria ardentissima, e stridevano.

Andrea sentiva sul proprio petto il petto palpitante di Angelica: ne
sentiva l'urto dei singulti e il fiato caldo, odoroso.

--No,--continuava a pensare,--mi vuol troppo bene! non mi potrà
lasciare!--e la baciò con tenerezza, commosso, la baciò fra i riccioli
biondi, e le rose del cappellino.

--Lasciami morire... qui...--balbettò appena la poveretta.

Morire?... Desiderare di morire?... Dunque anche fra le sue braccia,
e mentre lui la baciava, pensava sempre a suo figlio e aveva in animo
di cedere?... Andrea, di subito, ritornò freddo, tornò spietato,
e allontanò Angelica da sè. Essa lo guardò cogli occhi ora fatti
mestissimi, chinò il capo, sospirò un'altra volta, ma non disse più
nulla.

--Muoviamoci, signora Marchesa, e andiamo verso casa. Chi sa che cosa
dirà la sua gente, se non la vede tornare.

--Andiamo.

Angelica, sempre a capo chino, prese il sentiero che metteva al paese.
I suoi piedini battevano risonanti sull'erba arsiccia del terreno secco.

Andrea le tenne dietro torvo in viso, spezzando col bastone i ramicelli
dei pini e i fiorellini gialli dei campi.

Soltanto quando furono presso al villino Angelica domandò con voce
bassa, senza voltarsi:

--Viene stasera?

--È inutile,--rispose l'altro.

Angelica entrò nel cancello. Andrea, senza stringerle la mano,
la salutò con una grande scappellata per via del fattore e del
giardiniere, ch'erano nel cortile. Poi tirò dritto, e a due passi dal
villino, visto il cappellano col quale era solito scherzare, si fermò
anche allora, a fare il chiasso con lui.

Ma più tardi, quando capitò a Nuvolenta, cominciò a strapazzar tutti,
e buttò all'aria piatti e bicchieri perchè la zuppa era salata, il vino
inacetito e il pane duro.




XIII.


Andrea era rimasto tanto sbalordito dal colpo ricevuto che, come
Angelica a Milano, non aveva avuto tempo di sentire l'acutezza del
dolore.

Capiva che cosa stava per perdere? Capiva che cosa sarebbe stata la
sua vita senza Angelica?... E capiva che la perdeva interamente e per
sempre?

Poteva soltanto immaginare che cosa voleva dire il non vederla più,
il non averla più, allora che egli era ancor pieno di lei, e di lei
era tutto pieno quanto lo circondava, quanto lo avvicinava? No: e per
ciò solo poteva pensare al domani, guardare al di là, con una relativa
tranquillità di spirito. In quel momento era così fuori di sè, era così
lontano dal vero, che di quella terribile scossa non risentiva altro
che un gran dispetto contro Angelica, troppo debole, e un odio acuto
contro lo zio Diego, e quel cretino di Stefano.

Al Barbarò non pensava più che tanto. L'usuraio arricchito voleva
sposare Angelica perchè era la marchesa di Collalto; per riabilitare
la casa!... Una ricca non gliel'avrebbero data; prendeva quella, la
prima che il caso avea fatto cadere sotto i suoi artigli. E invero il
Martinengo non poteva sospettare, come forse Angelica presentiva, che
non il solo caso avesse preparato quegli avvenimenti!... Ma lo zio
Diego?... Era un egoista, un avaraccio tirchio e schifoso. Stefano?...
una canaglietta!...--maledetti i parenti!... Maledetta la famiglia!...
Dove c'è una bella donna e una famiglia in malora, è sempre la bella
donna che deve aggiustar i conti!...

--Oh si sfoggia tanta rettorica contro i Turchi perchè vendono le
donne,--continuava a borbottare,--e gli Europei, non fanno lo stesso, e
peggio?... vendono le loro donne con più ipocrisia e a più caro prezzo.

Ma la massima colpa era di Angelica: era sempre stata debole, era
sempre stata una stupida! non avea saputo difendersi contro suo padre,
e non sapeva difendersi contro suo zio!... Poi aveva sciupato Stefano,
mentre avrebbe dovuto correggerlo con buone staffilate!

Dopo pranzo, un pranzo in cui non aveva mangiato altro che rabbia,
andò com'era solito, a fumare la sigaretta e a bere il cognac sotto
il portico del cortile. Il luogo non era ameno: pochi metri di terra,
in cui languivano alcuni fiori e sempreverdi ingialliti, chiusi da
pareti alte di muro vecchio, coperto di edera; ma almeno c'era un
po' di fresco. Andrea ingollò un paio di bicchierini dondolandosi
sulla poltrona di vimini, poi tutto ad un tratto chiamò il servitore,
arrabbiandosi perchè non era lì pronto.

--Giuseppe!... dove ti sei ficcato, all'inferno?!... Giuseppe!

--Pronto!--rispose Giuseppe accorrendo, mettendosi in posizione e
facendo la faccia da ridere.

Era un'antica ordinanza di Andrea, rimasto con lui anche finito il
servizio; un buon giovane, in cui la soggezione produceva l'effetto
bizzarro di farlo ridere e di farlo balbettare con moto convulso.

--I miei fucili?...

--Siss... si-signor!...

--Sono pronti?

--Siss... si-signor.

--Domattina, me li porterai in camera.

--Siss... si-signor...--e Giuseppe fece una gran faccia da ridere,
perchè voleva domandare qualche cosa al padrone, ma non osava.

--Non mi occorre altro!... Va via!...

--Siss... si-signor!...--e Giuseppe sparì come un lampo.

Andrea, visto che la mattina dopo era libero, voleva finalmente cavarsi
il gusto di andare a caccia alle quaglie. Il cane glielo avrebbe
prestato il cappellano.--Voleva cacciare tutto il giorno!... Poi,
quando sarebbe ritornato a casa, voleva scrivere anche alla contessa
Florio, una sua buona, buonissima e carissima amica, piena di spirito,
che aveva una splendida villa, al fresco, sul Varesotto; sarebbe andato
là, a passare il resto dell'estate; Angelica ne avrebbe sofferto... ma
già lui non ne aveva colpa. Rimanere a Nuvolenta senza uno scopo, ci
sarebbe stato da crepar dalla noia! voleva scrivere anche al colonnello
Doncieu ch'era a Roma, al Ministero della Guerra; se davvero ci fosse
stato da far qualche cosa in Egitto o a Tunisi avrebbe ripreso il
servizio; aveva fatto una minchioneria a troncare la carriera a un
tratto.

E così dondolandosi e sorseggiando il cognac fu preso come da un senso
vago di sollievo per la sua piena libertà riacquistata; soltanto la
sigaretta era umida, e si spegneva sempre, onde gli entrava il tabacco
in gola.

--_Sapristi!_... Già... a pensarci con calma, sarebbe stato un gran
legame. Una moglie?... una famiglia?...--e continuava a dondolarsi su
e giù.--Senza quattrini io... senza quattrini lei!...--Forse forse
quella soluzione, in ultima analisi, era il meno male per tutti!... Ma
un tiro al marchese Diego glielo voleva fare. La prima volta che lo
avrebbe incontrato gli voleva dare una spinta da mandarlo in pezzi,
così incollato com'era!... Anche quel cane del Barbarò, badasse bene di
non darsi l'aria di avergliela fatta!...

Un nuovo pensiero, un lampo sinistro gli attraversò la mente. Si fermò
di botto sulla seggiola, e ingollò, d'un fiato, un altro bicchierino
di cognac. Poi diè un'alzata di spalle e tornò a far l'altalena....
"Non beveva per stordirsi" pensava tra sè mentre non si sentiva già
più tanto forte. "Non aveva bisogno di stordirsi. Soltanto voleva star
allegro!... Era così buffa la vita!..."

Avrebbe fatto male, malissimo, a non darsi pace. Quella donna non
gli aveva mai voluto bene, come voglion bene le donne quando amano
veramente. Anche la prima volta un mare di lacrime, e poi subito la
rassegnazione!... In seguito scrupoli, delicatezze, rimorsi senza
costrutto.... Mai vedersi, scriversi solamente e, in fine, dopo tanto
soffrire, dopo tanto aspettare, dopo tanto sperare, di nuovo un mare
di lacrime, e un altro abbandono per salvare suo figlio!... A pensarci
c'era da diventar matto... ma non voleva pensarci! non ne metteva
conto: essa gli aveva volato bene soltanto colla testa. Le piaceva
di sfoggiare sentimento, poesia, ecco tutto. Figurarsi!... in tanti
anni, un bacio, proprio un vero bacio, glielo aveva dato quel giorno
per la prima volta. Anche lui, del resto, era stato stupido la sua
parte. Le donne sono... come si prendono!... forse, se l'avesse presa
diversamente, adesso non sarebbe stato più al caso di sposarne un
altro. Tant'è, quel signor Barbarò gliela doveva pagar cara.

--Oh, voglio incontrarlo... e solo che abbia il coraggio di guardarmi
in faccia, gli rompo il grugno!...

In quel punto venne innanzi Giuseppe sotto il portico e si fermò a due
passi dal padrone con una gran paura addosso e la bocca che non gli
voleva star chiusa: era agitato da un fiero dubbio; doveva attaccare
anche quella sera per condurre il padrone al villino, o non doveva
attaccare?

Gli altri giorni il signor maggiore gli diceva subito dopo pranzo:
"Attacca, Giuseppe!... attacca! svelto!" Ma quella sera niente!... Non
andava proprio al villino, o non avea dato l'ordine credendo che non ce
ne fosse bisogno?--Attaccare?... e se faceva male? non attaccare?... e
se faceva peggio?...

--Che c'è?--gli chiese Andrea seccato di vederlo lì fermo impalato.

Giuseppe col viso spaurito e ridente balbettò in fretta:

--De-de-devo attattatatac...

Ma il padrone non lo lasciò finire.

--No! Va via!--e Giuseppe sparì come un lampo.

Andrea tornò a dimenarsi sulla poltrona borbottando. Nell'atto
innocente del buon Giuseppe, egli ci vedeva sotto un monte di secondi
fini: la smania di curiosare, di pettegolare, di voler sapere se lui
andava o non andava al villino, di scoprir terreno.

--Chi sa che cosa penserà quell'animale quando saprà che la marchesa
sposa il Barbarò!... chi sa quante chiacchiere se ne faranno in
paese!... si dirà che il Barbarò me l'ha portata via per i milioni!...
eh per dir la verità, una gran bella figura non la faccio!

Qui si alzò di scatto lasciando dondolar vuota la poltrona, buttò via
la sigaretta, e la schiacciò col piede.

--Ma il ridicolo,--esclamò fra i denti,--si può vincere col terribile.
Se lo infilzassi quell'usuraio ladro?

Continuò un pezzo a passeggiare e a sbuffare su e giù sotto il portico.
Era una sera afosa, pesante, non faceva fresco nemmeno lì fuori; doveva
esserci un gran temporale in viaggio.

--.... Angelica, per altro, mi avrebbe ben potuto scrivere di andar da
lei, a salutarla ancora... un'ultima volta!... Ah! non mi ha mai amato
proprio sul serio!...

La domanda inopportuna di Giuseppe gli aveva messo in corpo una stizza
che non potea vincere.

--No, non voglio pensarci!... non voglio diventar matto!... voglio
stordirmi!...

Ma non c'era verso: giù giù, in fondo all'anima, in un cantuccio che si
manteneva ben chiaro per quanto Andrea si sforzasse a far buio anche
là dentro, vedeva, sentiva, piangeva amaramente la sua gioia di tutte
le sere passate, quando saltava allegramente in carrozza, e andava
di trotto al _Villino delle Grazie_, e Angelica gli veniva incontro
rimproverandolo sempre _che era tardi_... ma ravvolgendolo tutto nella
carezza dolce degli occhi innamorati.

....Più!... più!... mai più!...

Se proprio gli avesse voluto il gran bene che diceva... gli avrebbe
almeno scritto di andarla a salutare... per l'ultima volta!

Intanto, che cosa farebbe quella sera? era prestissimo ancora!
Bisognava farla passare!...

--E domani sera?... E dopo?...

Giuseppe aveva riso nel domandargli se dovea attaccare... cretino!...
Auf! che vitaccia!... doveva ammazzarsi?... finirla?! no; avrebbe fatto
troppo comodo a quel gran cane del Barbarò!... Il giorno dopo sarebbe
partito e allora, lontano da quei luoghi, avrebbe sofferto meno, non
avrebbe sofferto più.

--Il rompere le proprie abitudini è sempre una cosa seccante... ma
quando ne avrò contratte di nuove... mi troverò benissimo. Cara quella
contessa Florio!... se non altro da lei ci sarà più fresco!... ma
che dirà a vedermi capitare?...--Allora pensò che gli avrebbe subito
domandato di Angelica e ch'egli avrebbe dovuto raccontarle tutto ciò
che era successo, e cambiò disegno e preferì di andare in Isvizzera, in
un posto fuori di mano, dove non ci sarebbero stati altro che inglesi e
tedeschi, dove nessuno conosceva lui, conosceva Angelica... dove non si
sapeva niente di niente!

Guardò l'orologio. Il tempo non passava mai: se fosse, andato a letto a
quell'ora era sicuro di non dormire.

E se Angelica gli avesse scritto, e quell'imbecille di Giuseppe non gli
portasse la lettera?

--Giuseppe! Giuseppe!

--Co... co-comandi!--rispose l'ordinanza presentandosi e mettendosi in
posizione.

--È arrivata la posta?

--Siss.... si-signore!

Andrea canterellò, per non far capire a Giuseppe di essere infelice.

  Morir sì bella e pura....

--Lettere.... niente?

--Noss.... signore. _Sososolo_ il giornale!

--Che c'è da ridere, imbecille?! va via!--e Andrea, mentre Giuseppe se
ne andava in fretta, continuò a cantare:

  Morir per me d'amore....

Ma cantava a denti stretti.

Finalmente gli venne un'idea; sarebbe andato a vedere com'era questa
famosa Ninetta del _Caffè d'Italia_. Tutti a Nuvolenta, compreso
il cappellano, ne andavano matti!... se proprio non fosse stata il
diavolo... perchè no?

_Il Caffè d'Italia_, come lo chiamavano pomposamente a Nuvolenta, non
era altro che uno spaccio di liquori, messo in voga dalla Ninetta, la
ragazza che stava al banco, belloccia per una certa freschezza vispa
e atticciata. Attorno a lei, in fatti, facevano la ruota tutti i
tacchini, e ronzavano tutti i mosconi di Nuvolenta. Andrea non c'era
mai stato, e non le aveva mai parlato: ci andò quella sera, e tracannò
un paio di bicchierini di zozza; ma si comportò con un'impertinenza
così sprezzante, e fu libero di modi e sboccato a segno, da far
impermalire la ragazza e arricciar il naso agli avventori.

--_El diventa matt, el diventa?_

--Maledette le villane!--pensò tra se il Martinengo uscendo uggito dal
_Caffè d'Italia_,--puzzano d'aglio!...

Si avviò a caso per lo stradone dritto e lunghissimo che metteva a
Gallarate... ma voltò subito, come se lo avesse preso il capogiro.
Quella vista, la vista delle prime casette di Gallarate, che si
indovinavano da qualche lumicino sparso nell'oscurità, in fondo allo
stradone, era stata per lui come un lampo interno nell'anima; un lampo
vivo, di tempesta.

--Auf!... Andiamo a dormire!...

--....E quell'altra che mi sta qui a due passi, può tener duro senza
scrivermi!... è proprio risoluta come l'altra volta!... ci sono
delle donne che provano voluttà a sacrificarsi, che provano gusto a
piangere... quella lì è del numero!

Entrò in casa, soffocava; salì per le scale, senza lume, a tastoni:
soffocava. In camera sua (quell'animale di Giuseppe si era dimenticato
di aprir le finestre) soffocava ancora di più!... Trovò sul tavolino i
fiammiferi, e accese il lume. Il letto, la camera, non erano preparati
per la notte; non era mai andato a dormire tanto presto.

--Giuseppe!... Giuseppe!...--Giuseppe era fuori.

--Quando torna,--borbottò Andrea arrabbiatissimo,--gli voglio dare una
strapazzata da levargli la pelle!--Aprì la finestra, levò la coperta
di colore dal letto, poi cominciò a spogliarsi. Il letto gli pareva un
rifugio: aveva fretta di addormentarsi; tutto in quella camera, gli
parlava di Angelica! Essa non c'era mai stata, ma tutto gli parlava
di lei: i ritratti, i fiori, la copertina per i piedi, il guancialino
colle cifre A. M.; e un ombrellino della marchesa, ch'essa aveva rotto
nel fare una passeggiata insieme con lui.

--.... Bisogna mettere tutta questa roba in una cassetta, e
rimandargliela domattina colle sue lettere. E pensò di scrivere
l'indirizzo: _Alla marchesa di Collalto_, senza mettere il nome
Angelica. Essa avrebbe capito perchè non lo voleva più scrivere quel
nome: _Angelica_ non c'era più!

Si cacciò nel letto... ma sul comodino c'era un altro ritratto; una
fotografia colorata: aveva l'abito bianco, la giacchettina azzurra, il
cappello, la cravatta dal fiocco grandissimo; come quella mattina che
l'aveva incontrata presso il _Casino delle Romilie_.

Quel ritratto glielo aveva mandato da Santa Margherita Ligure.... Ne
aveva fatto fare uno solo, per lui, ed era il primo che gli aveva dato.
Spense il lume, si voltò, chiuse gli occhi per dormire; ma non poteva:
faceva troppo caldo!

--Pure,--pensava,--a modo suo... colla testa, soltanto colla testa...
ma mi ha voluto bene. Scommetto che non capisce ancora tutta
l'importanza di ciò che sta per fare: è ancora sconvolta, sbalordita,
spaventata... e suo zio, quell'egoista avaro, approfitta del momento
per raggiungere i suoi fini.

--Se così fosse, bisognerebbe salvarla!...--Andrea si rizzò sul letto
a pensare, spalancando gli occhi nell'oscurità.

--Il Barbarò, in fondo, è un poco di buono, ma non vuol dire; perchè
vorrebbe sposare Angelica, quando sapesse che è innamorata di un altro?

Andrea non sapeva quello che sapeva la marchesa, e non le lasciava
alcun dubbio circa la sua sorte. Essa non gliene aveva mai detto nulla,
per un sentimento di pudore, e insieme di alterezza.

--Forse... invece di irritarmi subito, e di non risponderle, avrei
dovuto cercare di calmarla e di aprirle gli occhi....

--Aprirle gli occhi?... sì, sì, sì, e devo farlo ancora, subito, finchè
sono in tempo!... devo farle capire che è caduta in un tranello teso
da suo zio... da quel vecchio ripicchiato, e che lei ci casca da buona
donna!... Sarebbe stato meglio che stasera ci fossi andato... ma non è
colpa mia se non ci sono andato; è colpa sua!...

In fatti egli aveva sempre aspettato e sperato, senza volerlo
confessare a sè stesso, che Angelica lo mandasse a chiamare, che gli
scrivesse un bigliettino....

--Non è tanto tardi, del resto... potrei andarci ancora... potrei
andarci a piedi per non dar nell'occhio....

Un'altra volta, che veniva da Milano, era andato tardissimo al Villino,
e anche allora a piedi....

--Sì, sì, sì!... rivederla! rivederla!--Andrea si era buttato giù dal
letto, cercando la scatola dei fiammiferi.

Nessuno ormai avrebbe più potuto trattenerlo: si vestì in fretta, in
grande orgasmo per paura di non arrivare a tempo, e con una gran
contentezza per la risoluzione presa.

In un lampo fu vestito e si trovò in istrada: ah, respirava meglio che
in camera sua!

Prese una stradetta pei campi; la più corta, la solita che faceva
quando andava a piedi al Villino. Quante volte aveva passeggiato con
Angelica in quei luoghi!... Cominciava allora a levarsi la luna, e
la notte si faceva chiarissima, bianca: la luce quieta rendeva tutte
le cose più vicine, in una tinta più morbida e più intima. Rivide
la viottolina dove era solito incontrare Angelica col suo grande
ombrellino rosso; lo amava quel colore; gli ricordava l'ombrellino di
Villagardiana: e quella viottolina chiara chiara gli fece battere il
cuore.--Com'era bella Angelica!...--Più oltre, passò dinanzi a una
casuccia adagiata nei verde di un collicello.... Angelica vi si era
fermata spesso con lui a bere dell'acqua, un'acqua freschissima che
cadeva da una cascatella. Nel silenzio della notte serena, ne udiva più
risonante il gorgoglìo....--Com'era buona Angelica!...

--Angelica! Angelica! Angelica!...--E anche il gorgoglìo limpido
dell'acqua pareva ripetere il nome di Angelica in mezzo alla luce
bianca e quieta.--Com'era cara, Angelica!...

--No, no, non è possibile! non è possibile!... mi ammazzo senza di lei!

Si sarebbe buttato alle sue ginocchia; l'avrebbe pregata,
supplicata!... Per salvar suo figlio non aveva diritto di far morir
lui disperato! ci doveva essere un altro scampo; l'avrebbero pensato e
trovato insieme! Il gorgoglìo dell'acqua si sentiva ancora lontano...
lontano... pareva il canto di un usignuolo.

--Angelica!... Oh Angelica!...--C'era una piccola salita da fare, poi
il Villino apparve tutto chiuso e muto fra le ombre.

....Fossero a dormire? come avrebbe fatto a chiamarla?...

Affrettò il passo, ma a un tratto, quando fu giunto dinanzi al cancello
scorse un'ombra bianca: era Angelica.

Allora, vedendola appena, la sua febbre, la sua smania, la sua
contentezza, i battiti stessi del suo cuore si arrestarono di colpo, e
gli ritornò tutta l'amarezza di prima e la gelosia fredda e sdegnosa.




XIV.


--Ancora in piedi, marchesa?...

--Sì, ti aspettavo; sarei rimasta qui tutta notte ad aspettarti; ero
sicura che saresti venuto.

--Potevi anche scrivermi.... come facevi sempre.

Angelica non rispose nulla; aprì adagio il cancello perchè non
cigolasse, e Andrea entrò. Essa pareva disfatta; aveva un semplice
abitino di percallo bianco stretto alla vita da una cintola di pelle,
e si era buttato sulle spalle un grande sciallo bigio di lana. Non
piangeva più: dagli occhi infossati, dal viso smunto, dalle labbra
smorte e gonfie, pareva non avesse più lacrime. I capelli snodati le
cadevano a ciocche sulle spalle, mentre l'umidore della sera aveva
ammolliti e stesi i riccioli della fronte.

--Entriamo in casa: ho freddo!--e si strinse nello scialle con un
tremito. Poi, toccando appena il braccio di Andrea,--faccia piano,--gli
disse,--la mia gente è tutta a dormire, e ho detto di essere andata a
dormire anch'io.

Angelica camminò innanzi; Andrea le tenne dietro in punta di piedi, per
non far rumore sulla ghiaia.

La porta che metteva nel salotto a terreno da lavoro, era socchiusa: vi
entrarono come ombre, poi Angelica tirò adagio il catenaccio: allora
respirò e tornò a parlare colla sua voce naturale.

--Siamo al sicuro; di sopra non ci possono più vedere, ne sentire.--Ma
era affatto buio.--Ha un fiammifero?--domandò più adagino appoggiandosi
ad Andrea.

--Sì,--e mentre Andrea con una mano cercava la scatoletta, coll'altra,
che le aveva posata sopra una spalla, si strinse Angelica forte, contro
il petto.

--Faccia presto!... accenda il lume!

Angelica sospirò; sospirò Andrea, poi il lume fu acceso.

--Ho pensato,--disse l'altro con voce grossa e malferma,--che potrei
parlare io stesso a tuo zio.

--Non otterresti nulla,--rispose la marchesa crollando il capo.--Mio
zio, oltre al resto, è felicissimo di questa occasione che gli offre
il modo di poter rompere il nostro matrimonio. Ti è sempre stato
contrario; ci va del suo interesse e della sua ambizione; pensa se
potresti indurlo a fare diversamente!

--Ma Stefano... Stefano medesimo dovrebbe opporsi.

--È un ragazzo; e poi, a che fine? Per andare sotto processo, ed essere
condannato per falso?

Ci aveva pensato tanto ormai, che Angelica disse queste parole senza
nemmen più trasalire.

--Sei sempre stata debole con quel ragazzo: lo hai sempre guastato.

--È vero: non sono stata severa con lui, come avrei dovuto. Ma perchè?
perchè avevo te nel cuore, e il rimorso mi faceva essere indulgente.
Ah, si sconta tutto a questo mondo... troppo!... troppo!

--E io?--domandò Andrea improvvisamente, fissandola pallido, risoluto.

Angelica, diafana, sfatta dal dolore e dalle emozioni di quei giorni
terribili, colle guance ancor molli e soffuse di pianto, come una
rosa oppressa da uno scroscio d'acquazzone, lo guardò atterrita, e
rispondendo con un brivido a quella domanda, si strinse addosso, sul
petto, lo scialle grigio. Le braccia rotonde, che uscivano dalle
maniche cortissime, spiccarono sulla lana scura nella lor candida
nudità.

--Parlerò io a... al Barbarò,--balbettò Andrea, ancora più pallido.

--È inutile.

--Come?... non ti sposa per il tuo nome... per la tua condizione... per
nobilitarsi?... E allora?

Angelica era preparata a quella domanda; riuscì a frenarsi, e crollò
il capo. Perchè doveva dire... ciò che aveva sempre taciuto?...
In quelle lunghe ore di riflessione e di strazio, essa aveva pur
dovuto convincersi che non poteva sottrarsi al suo destino. Perchè
doveva dunque accrescere inutilmente la gelosia e la disperazione di
Andrea?... e poi, sapendo tutto, egli non avrebbe conservato di lei una
memoria meno pura?... meno alta?

--No, no!--rispose,--quell'uomo è tutto calcolo: il mio nome deve dar
valore al suo.

--Per questo se sapesse....

--Che io sono innamorata di te?

--Sì....

Angelica non rispose subito; mentire gli costava assai, anche quando
doveva farlo, anche quando il mentire era pietà.

--Allora... forse non mi sposerebbe più!... Ma... Stefano?...

Andrea la guardò colla collera che gl'intorbidiva gli occhi, poi in un
impeto d'amarezza ironica, in cui c'era tutto il suo amore che in quel
punto si tramutava in odio, tutta la sua gelosia che diventava ferocia,
esclamò:

--Già!... ottantamila lire... io non le ho!

Angelica si scosse, lo guardò fisso alla sua volta, ma non rimase nè
umiliata, nè offesa. Invece essa pure con un sorriso amaro, che in
lei faceva più senso, perchè dovea costarle uno strazio ancora più
grande,--no, no!--rispose,--non hai ottantamila lire, povero Andrea!
Per questo bisogna cedere, bisogna dividerci, bisogna... morire!

Ma per giungere a tal punto, per giungere a dire tali parole, Angelica,
solitamente così mite, così tranquilla, e sempre coraggiosa, doveva
aver tutto sconvolto in quel terribile urto: il cuore, la testa, i
nervi e la coscienza.

In fatti il suo volto aveva un'espressione strana; le labbra erano
stirate e tremanti, le narici dilatate, gli occhi scintillanti. Certe
volte scrollava il capo con un'alzata di spalle, come per ribellarsi
contro tutto il suo passato, contro tutti i suoi pregiudizi di fede,
di virtù: sentiva un impeto di sdegno per tutto ciò che fino allora
le era stato sacro; un disamore insofferente per tutto ciò che le era
stato caro, aveva un bisogno veemente di negare tutto ciò in cui fino
allora aveva creduto.

La lampada, coperta da una spessa ventola rossa, illuminava appena un
cantuccio del salotto, dove sotto alla finestra grande, chiusa da una
giardiniera di palme e di sempreverdi, si stendeva un divano basso,
all'orientale, coperto da un gran tappeto e da cuscini ammonticchiati.
Angelica vi cadde a sedere, poi stese la mano ad Andrea per chiamarlo
vicino.

Andrea fece un passo appena, lentamente, e le si fermò ritto dinanzi.
Angelica gli teneva sempre stesa la mano, e lo guardava, ma egli non la
toccò.

--Che cosa farai?...

Andrea non rispose.

--Che cosa farai? Voglio saperlo!...--e così dicendo, mentre lo scialle
le scivolava dalle spalle, essa prese il braccio di Andrea, poi una
mano che strinse fra le sue che bruciavano, e lo tirò a sè così
fortemente da farselo cader vicino a sedere, sul sofà.

--Che cosa farai?

--Andrò... dalla contessa Florio!--rispose a capo basso, accigliato,
con voce roca.

--Non voglio: devi rimaner solo, capisci? devi rimaner solo, a soffrire
come me.--Che cosa farai?

Quei modi, quel fare così strano, fecero più impressione al Martinengo
di tutte le lacrime, di tutti i lamenti.

--Scriverò a... Roma, al colonnello Doncieu. Se si fa qualche cosa a
Tunisi, o in Egitto... riprenderò il servizio.

--E... non saprò più nulla?

Andrea non capì quella domanda per il suo verso: credè che Angelica
avesse in animo di continuare la corrispondenza con lui, come avea
fatto quando era ancor vivo il marchese Alberto, e le rispose con
durezza. Ma invece si era ingannato: essa sapeva di perdere Andrea per
sempre; pure il suo maggior dolore e il suo maggior timore, ciò insomma
che la faceva diventar matta in quel momento, era il dubbio di poter
essere dimenticata da lui. Non voleva essere un episodio della sua
vita, preferiva di essere stata, e sopratutto di essere sempre il suo
strazio. Non lo voleva confortato, lo voleva infelice, disperato, come
sarebbe stata lei disperata, infelicissima; voleva che la sua immagine
gli rimanesse fitta nell'animo eternamente, voleva che la sua memoria
gli bruciasse nel sangue: non potendo avere il suo amore, voleva il suo
dolore, ma per sempre, per tutta la vita, e anche dopo.

Adesso non era più la fanciulla, era la donna che amava. Per un
sacrificio imperioso, disumano, ma pur nobile e alto, poteva rinunciare
a vederlo, e morirne; ma che Andrea potesse perderla e darsi pace,
questo no! Ed anche in quel turbamento, in quel parossismo di dolore
e di amore, essa pensò che non aveva diritto forse a tutto ciò che
pretendeva. Essa non gli aveva dato altro che amarezze; mentre Andrea
le sacrificava tutto il suo avvenire, tutta la sua vita, ella non
avea voluto essere altro che la sua fidanzata... una fidanzata il cui
matrimonio andava a monte per la seconda volta!

No, non aveva diritto a un dolore eterno, eppure... eppure lo voleva.
Gli occhi suoi ebbero un lampo, non di luce, nè di amore, ma di
fuoco.... Ancora era padrona di sè, di disporre di sè stessa... Non
aveva ancora firmato il contratto col quale si sarebbe venduta per
ottantamila lire....--Che importa?... l'avrebbe detto a quell'uomo, e
se l'avesse voluta ugualmente, l'avrebbe presa così....

Stese le braccia aperte sul tappeto rosso, le labbra stirate sorrisero,
le nari fremevano, fissò Andrea e gli domandò con la sua voce fioca e
con tono strascicato:

--Non saprò più niente di te?

--No.

--Mi dimenticherai dunque?

--Farò di tutto, e ci riuscirò; la seconda volta mi sarà più facile
della prima.

--Ti sarà più facile?... ti par possibile?... Andrea!... ti par
possibile?!

--Ieri no, non avrei creduto possibile; oggi lo spero. Se ieri mi
avessero detto che doveva accadere... qualche cosa di simile, avrei
creduto d'impazzire, di strozzar te, di ammazzar me... insomma...
tragedie. Invece... un sangue freddo eroico... quanto la tua virtù: ti
sto a sentire... e son calmo.

--Oh sì!... troppo calmo, e ragioni anche troppo!

--Troppo no... se basta appena per dimostrarti che, alla fine, non hai
nessun diritto su me.

--Ma dunque, tanti giuramenti... tante promesse.

--E i tuoi giuramenti?... e le tue promesse? No!... non voglio amarti
più!... voglio dimenticare....

--Non lo dire! almeno non lo dire! abbi pietà!--singhiozzava Angelica.

--E tu hai avuto, hai ancora pietà di me?--Andrea cominciava a
perdere la calma di cui davasi vanto; la passione lo vinceva, lo
trasportava; ogni sua parola era lenta, asciutta, vibrata come un colpo
di pugnale.--Tu fosti sempre la mia infelicità, la mia disperazione,
il mio martirio... adesso voglio vivere a modo mio! adesso voglio
respirare!... voglio dimenticarti, odiarti, non pensare più a te!

--È troppo!... è troppo!...--mormorò, gridò Angelica, e si buttò
singhiozzando distesa sul divano, cacciò la faccia contro i cuscini per
soffocare col respiro anche il dolore, li bagnò di lacrime, li morse,
li strappò, in fine, storcendosi ancora, sollevando la faccia rossa
e graffiata, li strinse sul petto, rabbiosamente, disperatamente per
frenare l'urto dei singulti, e i battiti del cuore.

--È troppo! è troppo! non hai cuore, non hai compassione... no, no,
no, non hai compassione... mi fai morire.... Andrea, oh Andrea! mi fai
morire.

--E tu, per due volte, mi hai straziato l'anima! mi hai assassinato!

Angelica rispose con un grido di angoscia, con un altro scoppio di
singhiozzi, e continuò a storcersi disperatamente. I capelli le si
eran del tutto snodati, essa si era stracciato l'abito sul petto per
poter respirare, ma tutto il disordine di quello spasimo, di quelle
convulsioni, invece di pietà, destarono nel cuore di Andrea, una
gelosia più feroce.

--Per due volte!...

--Andrea!... oh Andrea!... sii giusto... sii generoso!

--So, so che cosa mi puoi rispondere!... tutte due le volte sei stata
vittima; una vittima sublime di virtù, e di eroismo!... Ieri tuo
padre... oggi tuo figlio,--e io?... e mia?... mai! Molta virtù!...
grande eroismo! troppo!... troppo dell'uno e dell'altra!... non sei
morta allora... non morrai adesso!

--Morrò!... morrò!... oh se morrò!...

--Per tuo padre non ero abbastanza nobile.... per tuo figlio... non
sono abbastanza ricco... è il caso, il destino, Dio o il Diavolo che
mi porti! noi due, si vede, non dobbiamo, non possiamo essere uniti...
e pretenderesti che io conservassi la tua memoria nel mio cuore, in
eterno, per esser disperato in eterno?... coll'unica consolazione di
doverti ammirare? Ah no, ti ammiro, ma voglio dimenticarti!... a forza
di ammirarti spero bene che riuscirò a non amarti più!...

Angelica si rizzò a sedere: lo fissò, e gli stese le braccia agitandole
con moto convulso: i capelli le cadevano sulle spalle e sulla faccia,
li cacciò indietro con una scossa; l'abito di percallo bianco, schiuso
sul petto, si apriva per il suo respiro rapido e anelante; tutta la sua
persona era presa da fremiti, da sussulti improvvisi. Guardò Andrea
negli occhi, co' suoi grandi occhi fissi, battendo forte le palpebre:
una tinta sanguigna le infocava le guance più scarne per la contrazione
nervosa. E, dopo esser rimasta muta ed immobile a guardarlo così per
alcuni secondi, proruppe a un tratto in un riso acuto, stridente,
spasmodico, e cadde dal divano dov'era seduta, battendo colla fronte un
colpo secco sul tappeto.

Andrea, spaurito, fu pronto a sollevarla, e mentre lei si dibatteva
la chiamava per nome teneramente: "Angelica! Angelica mia! Angelica
buona!" e così, confortandola l'adagiò pian piano sul sofà; poi fece
per sciogliersi da lei, per rialzarsi, ma Angelica all'improvviso,
con un nuovo impeto, con un nuovo spasimo nervoso, gli si avvinghiò
al collo, tenendolo stretto e quasi soffocandolo tra il freddo delle
braccia irrigidite e il bruciore del viso, mentre piangeva, rideva,
gemeva, perduta ogni padronanza di sè.

--No, no, no! tua e poi morire, tua e poi morire; dimenticarmi,
odiarmi no, tu no! tu no!... no, no, no!--ripeteva febbrilmente,--non
lo puoi... non lo devi... non lo voglio, no, no, no!--e continuava a
stringerlo contro il petto anelante, contro il cuore che palpitava,
a stringerlo con una forza nuova, strana.... Le sue unghiette si
affondavano nelle carni, i suoi denti mordevano le labbra di Andrea,
che inquieto e turbato e colla voce rotta, cercava di acquetarla, di
farla tornare in sè, giurandole che le avrebbe voluto sempre bene,
che non l'avrebbe dimenticata mai, che sarebbe morto come lei, con
lei.... A tanti baci, rispose infine con un primo bacio.... poi con una
furia di baci, stringendola, soffocandola alla sua volta, mentre essa
mormorava parole rotte tra risa convulse, coi denti che battevano pel
brivido della febbre e gli occhi socchiusi che continuavano a versar
lacrime calde, lacrime copiose e silenziose, come se il dolore che
colava traboccante dalla sua anima, scorresse a purificare, a lavare
quei baci ch'erano gemiti, quelle strette, quelle carezze ch'erano
singulti.

Quando Angelica si riebbe, Andrea che seduto vicino le teneva le mani
fra le sue, le diede un altro bacio sulle labbra... ma sentì che eran
diventate molli, fredde. L'abbracciò ancora... cercò parole tenere per
consolarla, ma mentre la guardava in quel disordine dell'abbandono e
del dolore non poteva allontanare un'immagine che lo agghiacciava, e lo
impietriva; quella del Barbarò.

--Potrai ancora dimenticarmi?--essa domandò con un filo di voce.

--Non potrò dimenticarti più....--rispose l'altro, rauco, e fece uno
sforzo per baciarla ancora, sui capelli.

Ma tutti e due sentirono in quel momento che la loro catena, invece di
stringersi, si era spezzata.

Angelica si rizzò, si accomodò il vestito, lo appuntò sul seno,
raccolse tutti i capelli fra le due mani e li annodò fermandoli in un
ammasso solo sul capo, poi prese lo scialle, lo distese sulle spalle e
vi si avvolse. Andrea la guardò fare stralunato, non le diede più un
bacio, nè Angelica glielo chiese.

Spuntava l'alba, e la prima luce del giorno, che penetrava nella
stanza, faceva un contrasto uggioso e spiacevole col chiaror rosso del
lume che ingialliva. I mobili, le suppellettili, tutto il salotto,
usciva dal buio a poco a poco, scolorito, in disordine, triste. Quella
luce scialba che appariva era la loro nuova vita che incominciava...
quella luce artificiale che s'infievoliva a poco a poco era il loro
sogno che finiva.

Si guardarono ancora: Andrea era livido, scomposto, col colletto molle
di sudore, coi capelli e i baffi arruffati; Angelica aveva perduta la
sua pallidezza diafana in una tinta da malata. Due solchi profondi le
scendevano dagli occhi fino all'angolo della bocca.

--Va, Andrea--disse infine sospirando con un lungo brivido e
stirandosi un poco,--va, Andrea. Comincia a farsi giorno; potrebbero
vederti.--Essa ritornava prudente.

Andrea si annodò la cravatta, aggiustò gli abiti e coll'occhio cercò il
cappello.--Quando ritorni a Milano?--le domandò.

--Stamattina, presto.

--E non hai proprio nessuna speranza di.... commuovere tuo zio?

--Proverò ancora... chi sa!...

Andrea e Angelica fingevano a vicenda. Non c'era più nessuna speranza
e lo sapevano, ma in quel momento sentivano entrambi il bisogno di
essere soli, di chiuder gli occhi, di provarsi a riposare, a dormire, a
dimenticare. E tutti e due si lasciarono, nel separarsi, quel filo di
speranza, più che per altro, per render più facile il loro addio.

Quando Andrea riprese, solo soletto, la lunga strada che dal _Villino
delle Grazie_ lo riconduceva a Nuvolenta, aveva la testa grave, lo
stomaco fiacco, gli occhi pesi. Tante scosse, tante emozioni, e poi il
non aver toccato cibo e il gran girare di tutto quel giorno, lo avevano
mezzo ammazzato. Camminava strascinando le gambe, coi piedi che gli
dolevano, dondolando la testa, dondolando le braccia, chiudendo gli
occhi, e anche dormendo di tratto in tratto. La giornata doveva essere
assai calda: non spirava alito di vento, e il sole pareva sorgere
dietro un grosso muraglione di nubi nere. Andrea non pensava più a
niente... altro che ad arrivare a casa: i suoi sensi erano attutiti;
l'anima stessa, affranta dalla fatica, non aveva altro bisogno che di
quiete.

In quel silenzio profondo della prima ora mattutina, la sottile voce
dell'acqua cadente si ripercoteva più forte, ma Andrea non l'udì. Non
udì il gorgoglìo dolce come il canto dell'usignuolo, l'eco soave, come
il nome di Angelica. La casetta, adagiata in mezzo al verde dell'ameno
collicello, appariva tutta bianca e gentile, alla prima luce, colle
finestre fiorite di garofani. Ma Andrea vi passò dinanzi assonnato,
cogli occhi chiusi; e neppure guardò alla stradetta dove incontrava
Angelica, dove la scorgeva da lontano.... Egli non vedeva più che
un punto bianco e soffice in una camera buia... il suo letto su cui
si sarebbe buttato e addormentato subito. Vi arrivò finalmente, si
spogliò in un attimo e, coricatosi, dormì profondamente, senza sognare.
Quando si svegliò, ancora intronato, si rizzò di soprassalto e guardò
spaventato l'orologio: in quel subito, temette aver fatto tardi per il
suo solito ritrovo con la marchesa. L'orologio segnava le undici!...
Allora ricordò, ricordò tutto in un lampo... pensò che non avrebbe più
riveduto lungo il viottolo dalle siepi alte e spesse la figurina bianca
e gentile, l'ombrellino sfolgorante al sole... pensò che il Villino
sarebbe stato chiuso, chiuso per sempre... pensò che Angelica non era
più sua... un gran vuoto sentì intorno a sè, e dentro di sè una gran
desolazione; un nodo di pianto gli salì alla gola, gli s'intorbidirono
gli occhi, e preso dalla disperazione gridò piangendo e singhiozzando
colla faccia sul guanciale:

--L'ho perduta!... l'ho perduta!...




XV.


La gran notizia delle illustri nozze fra il nobile commendatore Pompeo
Barbarò di Panigale, deputato al Parlamento, e la contessa Angelica di
Castelnovo, vedova del marchese Alberto di Collalto, fu data da tutti
i giornali cittadini, e dal _Moderatore_, con parole enfatiche per
la bellezza della sposa, e le virtù pubbliche e private dello sposo.
Tuttavia, se c'erano sul _Moderatore_ i complimenti soliti e la solita
deferenza per l'onorevole Barbarò, mancava la forma, lo stile eletto
dello Zodenigo, e ciò perchè il professore si era definitivamente
ritirato dalla _baaonda gioonalistica_ nella quale un gentiluomo,
diceva lui, del suo stampo, non poteva reggere a lungo. E però,
caldeggiato dalle raccomandazioni del deputato Barbarò, e da altri
pezzi grossi, aveva ottenuto, per il momento, una sottoprefettura:
quella brillantissima, nella stagione estiva, di Civitavecchia... a due
passi dalla capitale e dai ministeri. Se tutte le vie conducono a Roma,
quella di Civitavecchia era certamente la più breve.

L'avvocato Zodenigo (adesso in prefettura non lo chiamavano più
professore, ma avvocato) aveva venduto il _Moderatore_, che ormai gli
apparteneva interamente, facendo un ottimo affare per la borsa, e
insieme anche per la sua dignità e indipendenza di carattere. Egli
lo aveva venduto ad una Società di capitalisti Italiani, Tedeschi,
Svizzeri, di tutti i paesi insomma, la quale aveva presentato al
Comune di Milano una proposta d'appalto per certe grandi opere
edilizie; proposta vantaggiosissima, se non per la Città, certo per gli
imprenditori. Ma nell'opinione pubblica spirava un'auretta avversa alla
_camorra dei milioni_, come la chiamavano, onde occorreva alla Società
un organo diffuso e autorevole, che godesse molto credito fra le teste
quadre del Comune... e si rivolsero al _Moderatore_.

Lo Zodenigo, che già gli attendeva al varco, aveva subito presa
un'attitudine di aspettativa vigile e diffidente. Interrogato sulla
condotta che in tale argomento avrebbe tenuto il _Moderatore_, egli
la fece cascar dall'alto, gonfiandosi come una balena e dichiarando
che in una "_questione così gaave_, dalla quale poteva dipendere tutto
l'avvenire economico e industriale di Milano" lui voleva vederci chiaro
e parlar chiaro: vi era impegnato il suo carattere di pubblicista,
la sua coscienza di cittadino, la sua lealtà di gentiluomo. In fine,
preparava tutte le sue armi per una battaglia accanita... l'ultima
forse della sua vita giornalistica; era stanco, sfiduciato, nauseato
del mestiere; "la stampa non era più un sacerdozio, ma un impiego
privato o governativo... quando non nascondeva un ricatto."

--Oh i bei _giooni nostii_,--esclamava lo Zodenigo,--quando col
compianto Caldarelli, il mio illustre maestro e collega, si combatteva
soltanto per un ideale!... Mah!... quei tempi son passati... quegli
uomini son quasi tutti _mooti_....--E il professore apriva gli occhi,
si guardava attorno, poi li tornava a chiudere sospirando, col dolore
malinconico di chi si trova solo.

La società dei banchieri internazionali capì il latino... l'onorevole
Barbarò ci entrò di mezzo... e fu comperato il _Moderatore_ a peso
d'oro, pesata insieme anche la tipografia.

Ma, se in seguito a tali avvenimenti, lo Zodenigo non manifestò la
propria esultanza per il matrimonio dell'Onorevole di Panigale sulle
colonne del _Moderatore_, la espresse per altro, in una lettera da
Civitavecchia all'_Egregio Don Pompeo_, nella quale si doleva anche,
"della stanca mano, che non sapea più trar suoni dalla cetra antica," e
dichiarava che quel matrimonio insigne, "pel quale avea concesso Venere
i suoi doni più rari, e Minerva e Amaltea," non era soltanto un bel
matrimonio, ma una bella azione, che faceva onore al tatto e al cuore,
del carissimo Don Pompeo, e che certo doveva ottenere, "un plebiscito
unanime di simpatia."

Così scriveva l'avvocato Zodenigo...; così invece non la pensavano
Donna Lucrezia e Beppe Micotti, diventati buoni amici in quegli
ultimi tempi, perchè stretti da una causa comune: la solenne
ingratitudine,--di quel gran can della Scala,--del Barbarò.

I loro servizi non erano stati ricompensati secondo il merito. Beppe
Micotti si lagnava colla Balladoro perchè _el sciur_, dopo essere
riuscito deputato, lo avea messo da parte, allontanandolo dagli affari;
e Donna Lucrezia era furibonda perchè la pace fra il Barbetta (lei
adesso affettava di chiamarlo soltanto col suo nome _plebeo_) fra il
Barbetta e gli sposi, era successa per merito suo, rimettendoci _un'ala
de polmon_, ma _viceversa poi_ la _Regina delle Antille_ era rimasta
inedita, ad onta dei più sacri giuramenti, cosicchè il maestro Forapan,
invece di _dichiararsi_, era partito per Pietroburgo con una _gran
compagniona de cartel_.

--Meglio i Russi, tesoro mio,--gridava la Balladoro, schizzando ira e
spruzzi di saliva dalle gengive sdentate,--meglio i Russi di un governo
impotente che si lascia rubare dai Tedeschi anche la musica, il nostro
patrimonio nazionale!... meglio i Croati!... Mi ricordo appena dei
Croati perchè a quei tempi ero ancora una _piavoléta_ appena nata, ma
mi ricordo e posso dire,--meglio i Russi, i Croati e gli Ottentoti, di
un governo di pitocconi!...

--Brava Donna Lucrezia!... e i più pitocchi, sono i milionari!...

Ma la collera di Donna Lucrezia non si sfogava abbastanza cogli epiteti
ingiuriosi, e un giorno, conversando col suo nuovo _amigòn_, cominciò a
profetare un cumulo di sventure sul capo di "quel mostro."

--Adesso trionfa il nobile-commendatore-portinaio, ma,--la gioia dei
mortali,--caro Bepi,--è un fumo passeggier!--Alle mie supplicazioni,
alle mie lettere, alle lettere di una Balladoro la quale oltre al
resto, _nò fasso per dir_, ma sa scrivere con un _fiatin_ più di
grammatica, non si è degnato nemmeno di rispondere.--_Lù!_...--e
Donna Lucrezia cogli occhietti spelati fiammeggianti, curvandosi e
allungandosi col braccio e l'indice teso pareva volesse trafiggere il
Barbarò in effigie,--_lù!... quel... spion!... Lù_... che con un detto
solo, potrei distruggere dalle fondamenta!... Lui, che dovrebbe tremare
ad un mio cenno! Ma il giorno della _punizion_ sta per spuntare, caro
Bepi, e deve essere un terremoto da far spavento!...

Il Micotti, approvando con cenni del capo e con sorrisi, soggiunse alla
sua volta:--Già... con questo matrimonio, non s'è messo sulla buona
strada per aver pace!

--Noe, noe, caro _Bepi_!... È uno _spropositon_ grosso come una
casa!...--Ciò detto, Donna Lucrezia spalancò di più la bocca, alzò
la faccia a guardare il soffitto, e poi fece un lungo starnuto
che echeggiò nella stanza. Amante com'era della pulizia, si era
raffreddata, lo avea detto poco prima al Micotti, a star tutta la
mattina sguazzando nell'acqua fresca.

--Del resto,--continuò dopo un momento,--il vostro principale non lo
fa per amore, ma per sfogare il suo _caprizio_, e soddisfare la sua
_ambizion_. Una Collalto, una Castelnovo, una mia cugina, è sempre un
gran partito anche senza dote, e in tal modo il signor Barbetta riesce
a consolidare la sua nobiltà _taccada co la spuazza_! Ma allegri,
Bepi, che quel... Bucefalo, non solo è come si dice _predestinato_,
ma è anzi _anticipato_.--Sicuro; e parlo... perchè posso parlare: mia
cugina, la futura madama Barbetta, avrebbe potuto aiutarmi presso
_quel bell'amorin_ del suo sposo, e invece niente! dimenticandosi per
altro che ho in mio potere tutti i suoi segreti. Già, in quel tempo,
mi mettevo una mano sul _cuor_ e chiudevo un occhio: si sa bene, alla
_passion_, tesoro mio, non si comanda. Ma adesso no, non la stimo
più!... darsi in braccio per il solo interesse a quel satiro _impatinà_!

--Peu!--e Donna Lucrezia sputò per terra,--che schifezza!

--Ha una trentina di milioni...--osservò il Micotti con un ghignetto
malizioso, che doveva aver imparato dal suo padrino.

--Una trentina di milioni!--strillò la vecchia indispettita;--non
saranno tanti quanti dicono!... e poi, fossero anche, tutti i tesori
di quel vecchio _bavoso, nò i me fa gola_, e lo posso dichiarare
altamente, perchè il vostro principale aveva posto gli occhi anche
sopra di me,--sicuro!--ma _mi, gnaffete_!--e così dicendo Donna
Lucrezia, che si era messa la mano aperta col pollice sulla punta del
naso, la richiuse agitando le dita in fretta.--_Mi nol me cuca_; e gli
ho subito risposto che con tutti i suoi milioni mi faceva _angossa_!...
Noe, noe, noe!... io non sono di buono stomaco come mia cugina!..
e poi, per piacere a me bisogna avere qualcosa qua dentro,--e si
battè la fronte,--un _pocheto de talento_ insomma, se no,--no...--e
_corocochè_!...

--Eh capperi, si sa bene: letterati e maestri!--esclamò Beppe Micotti
e, tanto per ridere, fece l'atto di volerla abbracciare.

--Giù le mani!--esclamò la vecchia alzando l'indice minacciosamente. Ma
fu un lampo solo di collera, che lasciò la nobile signora più affabile
e più confidente.

--Dite un po', _vecio mio_, che cosa contate di fare quando avrete
lasciato il servizio?...

--Eh!... Me ne andrò via da Milano.

--Oh _povareto_; me ne dispiace proprio tanto!

--Andrò a Napoli....

--Così _lontan_?--esclamò ancora flebilmente.

--Ho concorso all'appalto di un'esattoria.

Beppe Micotti diede quest'ultima notizia senza alcuna importanza, ma
gli occhietti della vecchia tradirono di subito una viva inquietudine,
e continuò per un poco a stringere e a muovere dentro la bocca chiusa
le gengive vuote, prima di rispondere.--Ha concorso all'appalto di
un'esattoria?--pensava fra sè;--e il danaro occorrente come lo aveva
trovato?--che il Barbarò non voglia comparire nell'affare, e la collera
e il disgusto non sia altro che una finta delle solite?--Allora ebbe
paura di essersi spinta troppo oltre nel dir male del Barbetta; e
infatti, in queste sue supposizioni, non era andata molto lungi dal
vero.

Beppe Micotti non era stato allontanato dagli affari di casa Barbarò,
ma soltanto da Milano e da Panigale, e ciò perchè il marchesino Stefano
non avesse a incontrarsi col signor Serafino Bianchi.

--Oh si tratta di un affare da poco!--soggiungeva intanto Beppe
Micotti, il quale aveva indovinato i timori della Balladoro.--Voglio
rigirarmi il capitaletto lasciatomi dalla vecchia!...

La Veronica, appunto, era morta in quei giorni nella casa di salute
dov'era stata ricoverata; ma Donna Lucrezia sapeva di sicuro che non
avea lasciato nemmeno un soldo.

--Che imprudente!... Che stupida sono stata, a dir tanto male del
Barbarò.--E continuava a masticare, inquieta e ansiosa di riparare
all'errore commesso.

--Tuttavia mi piace d'esser sincera,--esclamò dopo un momento,--il
commendator Pompeo in fin dei conti non è mio parente, e non ha nessun
obbligo del sangue... e poi gli affari, la politica, la fabbrica di
Panigale, la _deputazion_, il matrimonio!... ha tante cose per la
testa, quel benedett'omo, che _se pol_ anche compatirlo, e _mi no
ghe ne fasso_ una colpa _a lù_, ma alla Mary, a Giulio, ai miei due
nipoti. Quei _do tosi_ gli ho nutriti, posso dirlo, coi mio sangue!...
per educar la Mary, perchè _no' la mancasse de' gnente_, sono andata
in collera anche col mio _barba_, Francesco Alamanni, che mi ha
diseredata; per non abbandonarla, ho rifiutato, _un drio l'altro_,
tutti i più splendidi partiti, perchè quando ero giovane, posso dirlo,
facevo girar la testa a tutti quanti, e ho avuti conti, marchesi,
e anche un principe rumeno, un bel pezzo d'omo che incantava, ma
mi--gnente!--dura--_dighe de' no_, sempre _de' no_, e tutto per quella
ingrata, al cui confronto, siamo giusti, Don Pompeo diventa bianco come
un _colombin_!...

E così, infilata la strada, Donna Lucrezia durò ancora per un pezzo a
scagionare il Barbarò di tutte le sue colpe, e a sfogarsi contro la
Mary, e contro Giulio che non avevano cuore, tanto è vero--diceva,--che
aveano lasciato morir d'inedia la povera Filomena, una santa donna,
un portento di fedeltà e di pulizia, che lei aveva ceduto loro a
_malincuor_, e che aveva amato quelle due creature come una madre
_sviscerata_;--tanto è vero, che non si erano mai curati di sapere
se Francesco Alamanni (sempre zio, in fin dei conti) era andato _a
finir_ come Giona, in _panza_ a una balena;--tanto è vero che avevano
dimenticato fino il nome degli Alamanni, non altro dediti che ai
_lussi_, agli _spassi_, ai divertimenti, e a far la corte a Don Pompeo,
per _cavàr bezzi_!

--Mah... il danaro!--il vile metallo! è proprio tutto al
mondo!--esclamò sospirando, e poi, battendo forte colla mano sul cuore,
concluse,--per chi, per altro, _no' ga de questo, e... corocochè_!

--Brava Donna Lucrezia! Evviva _el cuor_!--esclamò il Micotti
rifacendola con una sghignazzata.

Tuttavia bisogna avvertire che Donna Lucrezia avea trasceso nelle sue
accuse, e non poco. La povera Filomena non era morta d'inedia, ma di
vecchiaia, e la Mary, dopo averla assistita colla tenerezza di una
figliuola, le avea detto, chiudendole gli occhi con un bacio,--salutami
la mamma!

Certo che col passare degli anni Giulio e la Mary si erano pienamente
assuefatti a vivere della vita del babbo, e anche la Mary avea finito
col portare la corona e il titolo di nobile di Panigale sui biglietti
di visita, e lo stemma (le due teste di moro in campo rosso) sugli
sportelli della carrozza. Al loro secondogenito avevano messo nome
Pompeo, ma d'altra parte al cimitero era stato eretto un magnifico
monumento in onore dell'Alamanni, colla seguente epigrafe:

                           A GIULIO ALAMANNI
                  CHE D'ANIMO E D'ARDIMENTI ITALIANO
                          IMPERANDO L'AUSTRIA
                          DANNATO AL CAPESTRO
                         EBBE GRAZIA SUL PALCO
                         E MORÌ ALLO SPIELBERG
                        IL XX APRILE MDCCCLIII
                               LA FIGLIA
               MARIA ALAMANNI BARBARÒ NOBILE DI PANIGALE
                               Q. M. P.

In quanto poi allo zio Francesco, non era loro colpa, se non ne avevano
alcuna notizia: egli si teneva ostinatamente celato alla famiglia.
Giulio aveva messo sossopra tutti i consolati dell'America, aveva
fatto pratiche dappertutto, anche in Europa e a Londra specialmente,
col mezzo del _Ministero degli Esteri_, ma sempre senza alcun effetto.
Forse le loro pratiche avrebbero sortito un miglior esito, se fatte
più vicino; forse dal Carpani, che invitato da Marco Minghetti e
da Quintino Sella era andato a Roma, a scrivere in un giornale di
opposizione, ne avrebbero potuto saper qualche cosa.

Il vecchio giornalista, sebbene potesse vantare l'amicizia e la stima
dei più illustri uomini del partito, lavorava assai, ma guadagnava
appena di che vivere, specialmente a Roma dove tutto costava caro.
Nè col suo carattere indipendente, nè colla sua modestia piena di
fierezza egli avrebbe voluto arricchire colla penna. Nicomede Carpani
non lavorava per sè, lavorava per il paese: era un combattente: a
Roma, abitava in una piccionaia più meschina ancora della cameretta
di Milano, sul _Corso Garibaldi_, e i suoi pasti li faceva in una
_Fiaschetteria_ del ponte a Ripetta.... E colà appunto egli notò,
fin dai primi giorni, una figura strana d'uomo, che gli fece molta
impressione... e non era altro che un venditore di giornali. Assai
vecchio, alto della persona, col viso smunto, macilento, colla lunga
barba di un bianco giallognolo, coperto da un cappellaccio stinto
indurito dall'unto e dalla pioggia, e da una giacchettina di tela
logora, stretta stretta, sempre abbottonata e col collo alzato per
nascondere la mancanza delle camicia, mentre le braccia rosse,
irrigidite dal freddo, uscivan nude fin quasi al gomito dalle maniche
cortissime: si era nel cuore dell'inverno, e anche a Roma non faceva
caldo.

Pure quella miseria non era volgare: incuteva alle anime buone un senso
di pietà e di simpatia.

--Oh, guarda, che bel tipo di Belisario!--mormorò il Carpani
fissandolo; poi soggiunse mentalmente--eppure devo averlo già veduto;
ma dove?...

Il vecchio attraversava la _Fiaschetteria_, senza mai gridare il nome
dei giornali, senza offrirli a nessuno. Soltanto alle sue pratiche
solite, metteva il giornale piegato sulla tavola, dinanzi al piatto,
dopo essersi toccato appena il cappello colla mano, e aspettava il
soldo, fermo, muto, impassibile. Gli altri, se volevan il giornale,
lo dovevano chiamare; e il Carpani in fatti, una sera lo chiamò: in
quei giorni, in occasione delle cerimonie e dei ricevimenti del Santo
Natale, c'era stata una fiera enciclica del Papa contro l'Italia, e
il Carpani voleva leggerla per intero. Gli avevano detto che sarebbe
uscita sull'_Osservatore Romano_, e domandò appunto l'_Osservatore_.

Il vecchio, che si era fermato dinanzi al Carpani, sentendosi domandare
la gazzetta clericale ebbe un moto di collera, e fissando il Carpani
cogli occhi lampeggianti, mormorò:

--_Canaglia... i preti!_...--e se ne andò.

Il Carpani rimase attonito, ma tutti gli altri che erano nella
_Fiaschetteria_ si misero a ridere, e gli spiegarono che il venditore
di giornali era matto, e che la sua manìa era di non voler vendere
altro che giornali radicali, il _Dovere_, la _Capitale_, la _Lega della
Democrazia_; essi poi, quando volevan divertirsi, gli domandavano
qualche giornale clericale o qualche giornale tedesco, e allora,
secondo le lune, o scappava via, come aveva fatto quel giorno, oppure
andava in furia e faceva tanto baccano che i camerieri eran costretti a
cacciarlo fuori.

--È Romano?--domandò ancora il Carpani.

--No... almeno non parla romano.

--È qui da parecchio tempo?

--C'è da un pezzetto; ma di giorno non si vede mai; esce appena la
sera, fa il suo giro, in due o tre locande come questa, poi, dove vada
a nascondersi, non si sa.

Il Carpani non domandò più altro; ma il giorno dopo, quando vide
entrare Belisario (anche alla _Fiaschetteria_ gli avevan dato quel
nome) lo chiamò, e gli domandò la _Lega della democrazia_.

--Sai, non amo i preti nemmeno io,--gli disse a mezza voce.

L'altro non rispose niente; aspettava il soldo muto, impassibile;
soltanto avvicinò la mano che aveva libera dai giornali alla bocca, e
ci soffiò sopra per sdiacciarla.

--Sei sempre stato a Roma?

--Sempre!...--rispose il vecchio stizzosamente.

L'altro gli diede il soldo continuando a guardarlo; ma, in quel punto,
gli avventori, che ricordavan la scena del giorno innanzi, vollero dare
spettacolo al Carpani, e cominciarono a chiamare il vecchio da una
tavola all'altra:--Ohi, Belisario, dammi l'_Osservatore Cattolico_!...
Belisario, dammi la _Presse_ di Vienna!... l'_Allgemeine Zeitung_!

Il vecchio s'irritò, montò in furore, coprì d'insolenze tutta quella
gente, piangendo di rabbia, mentre i camerieri lo cacciavan fuori, e
gli altri continuavano a ridere a crepapelle, gridandogli dietro per
far chiasso, evviva i preti! evviva i Tedeschi!

--Canaglia!--urlò il vecchio sulla porta, preso a spintoni fra i
camerieri,--canaglia! canaglia!--Ma un colpo più forte lo mandò a
ruzzolare in mezzo al fango della strada, sotto la pioggia che cadeva
a rovescio, e una raffica di vento gli sparpagliò lontano tutti i
giornali.

La scena aveva disgustato tanto il Carpani, che il giorno dopo scelse
un'altra trattoria dove andar a mangiare, e in breve dimenticò il
povero matto della _Fiaschetteria_ al ponte di Ripetta.




XVI.


Le nozze del deputato Barbarò di Panigale, riuscirono magnifiche oltre
ogni dire. Il Sindaco in persona, colla sua bella fusciacca e col
suo più amabile sorriso, unì civilmente gli sposi, e l'Arcivescovo
stesso accettò volentieri di celebrare il matrimonio religioso nella
cappella del palazzo nuovamente acquistato dal Barbarò, e appartenuto
già all'antichissima casa dei Visconti Bescapè. Il marchese di Rho
era il padrino dello sposo, e il marchese di Collalto quello della
sposa, la quale fu poi accompagnata in Municipio e assistita, durante
la cerimonia religiosa, dalla Mary, la sua dolce amica d'un tempo,
che stava adesso per diventar quasi una sua figliuola. La marchesa,
colla persona smagrita e incurvata, cogli occhi neri sbattuti, che
spiccavano maggiormente sul viso pallido, pareva uscita allora da
una gran malattia, sebbene non avesse avuto neanche un giorno di
letto. Invece la Mary si era fatta ancora più bella e fiorente; la sua
figura aveva acquistato un'aria matronale, una voce più rotonda, modi
più risoluti. Quella mattina era poi vestita assai semplicemente, e
sembrava anche più giovane: non portava gioielli, ma sul petto aveva
appuntato il velo del cappellino, come si usava allora, con una piccola
miniatura legata in oro e contornata di grossi brillanti. La miniatura
era ancora quella della mamma; invece la montatura era nuova. Stavale
dietro, mangiandola cogli occhi, il buon Giulietto Barbarò, un po'
impacciato colla sua persona mingherlina, mentre essa dava il braccio
a Stefano di Collalto, che per l'occasione pareva diventato più miope
e più sottile del solito. Per seguire la moda fino all'ultimo, oltre
al gestire e al camminare all'inglese, metteva l'accento inglese
anche nelle pochissime parole che diceva. Ma seriissimo e impassibile
fuori, dentro di sè era gongolante di quelle nozze: aveva sei cavalli
in scuderia, i più belli del reggimento, e, per gratitudine, aveva
già cominciato a chiamar _papà_ don Pompeo di Panigale. La calca
dei curiosi fuori del Municipio, e alla porta del palazzo era stata
enorme. A dar poi anche più lustro a quelle nozze, il Re, che non si
era dimenticato di essere stato ospite del deputato Barbarò, mandò
a regalare alla sposa uno splendido braccialetto: dono veramente
reale. Pompeo Barbarò, che per sua soddisfazione lo avea fatto
stimare segretamente dal proprio orefice, ci aveva riscontrato più di
quindicimila lire soltanto in pietre preziose.

Alla colazione che precedette la partenza degli sposi per il viaggio
di nozze, oltre a tutti gli amici, i migliori del bel mondo, oltre al
sindaco, al prefetto, a un paio di generali, e ad una mezza dozzina tra
deputati e senatori, c'era pure il marchese Brancaccio, presidente del
Luogo Pio dei _Sordo-Muti_, l'avvocato Terzi, presidente dell'Ospizio
di Santa Maria Segreta, e il cavalier Marnulfi, presidente della
_Congregazione di Carità_...: insomma una rappresentanza di tutti i
vari luoghi pii milanesi, ai quali il Barbarò nell'occasione del suo
matrimonio aveva regalato, complessivamente, la cospicua somma di
cinquecento mila lire. Splendida elargizione, che gli procurò lodi
universali colla proposta di una medaglia d'oro, da conferirgli al
suo ritorno, mentre lo Zodenigo gli telegrafava il proprio plauso da
Civitavecchia, con una solo parola: _Egregiamente_.

C'era stata anche donna Lucrezia al matrimonio, ma giù in strada,
dinanzi al Municipio, confusa tra la folla che brulicava in mezzo alle
carrozze. La Balladoro aveva scritto di suo pugno prima all'Angelica,
poi alla Mary e a quel _pandòlo_ di Giulio, e in fine allo stesso
Barbarò, significandogli, _in anticipazion_, che sarebbe rimasta
molto offesa e mortificata se non l'avessero compresa nella lista
degli invitati, tanto più che una Balladoro (di quei veri di Venezia)
poteva anche essere invitata a corte senza svergognar nessuno. "Ma
per via dell'ingratitudine della quale si vedeva ognora corrisposta
da tutti quanti, aveva pensato, caso mai, di prevenire lo smacco, non
maravigliandosi più di niente!"

Il Barbarò, invece di rispondere, le mandò un suo ragioniere con un
biglietto da mille lire, e coll'incarico di farle intendere che,
quanto all'ingratitudine, non aveva ragione di lamentarsi, perchè
viveva, e viveva bene, colle elargizioni di donna Mary, la quale, non
avendo un soldo, era sempre lui che pagava; e circa poi all'invito,
doveva capire una volta per sempre, che Don Pompeo avrebbe continuato
a chiudere un occhio su ciò che faceva sua nuora, purchè la signora
Balladoro se ne stesse tranquilla e sopratutto in disparte.

Donna Lucrezia strepitò, pianse, parlò di ricorrere ai tribunali, ma
alla fine prese le mille lire facendosi promettere dal ragioniere che
sarebbe ritornato da lei un altro giorno, con più comodo, perchè aveva
bisogno di sfogarsi, di aprirgli tutto il suor _cuor_, di esporgli
tutte le enormi ingiustizie delle quali era "vittima giornaliera" per
parte della Mary, dell'Angelica, di quel _pandòlo_ del signor Giulio,
ed anche del commendatore, quantunque _omo de gran talento_, ma messo
su, contro di lei, da quel birbante dello Zodenigo. Il ragioniere non
era più ritornato, ma Donna Lucrezia non avea potuto resistere, era
andata al Municipio, il giorno delle nozze, contentandosi, per non
dar nell'occhio al Barbarò e non disgustarlo, di rimaner fuori in
istrada, a vedere, e a far sapere alla gente che la marchesa Angelica,
la sposa, era sua cugina, come marchesa di Collalto e come contessa di
Castelnovo, per cui quel gran milionario del commendator Barbarò di
Panigale, veniva a essere da quel giorno in poi, suo cugino _anca lù_,
e in primissimo grado.

Don Pompeo e Donna Angelica rimasero lontani da Milano parecchi mesi:
visitarono Vienna, Parigi, Londra, poi fecero una lunga dimora in
Iscozia. Quel viaggio era argomento di molte curiosità e di molti
discorsi, e Diego di Collalto ne riferiva l'itinerario e gli episodi al
_Club_ e al _Caffè Cova_, ridendo cogli altri di Don Pompeo che, poco
pratico del francese, faceva un gran studio di dizionari, e lasciava
sempre parlar la moglie e il cameriere.

Ma quando gli sposi ritornarono a Milano, e il marchese Diego andò
ad incontrarli alla stazione, non rise più. Il Barbarò, più grasso e
più elegante, pareva ringiovanito, dacchè smesso l'uso del cerone,
aveva adottata una tintura inglese, famosa. Angelica invece non era
più riconoscibile: era invecchiata, con quasi tutti i capelli bianchi,
col viso livido e smunto, colle guance infossate.... Soltanto gli
occhi erano lucidi come prima; ma guardavano fissi, smarriti, con
un'espressione di sbalordimento e di terrore: pareva chiedessero pietà
e aiuto. La poveretta era molto ammalata: la febbre e la tosse la
rovinavano.

--Nipotina mia,--le disse il marchese Diego che si sentiva scosso mal
suo grado,--bisogna mettersi in quiete, e curarsi.

--Eh, sicuro,--rispose il Barbarò con un gran sospiro di
compunzione,--bisogna curarsi: del resto l'ho fatta visitare dai
migliori medici inglesi!--poi soggiunse con una risataccia--e come
si fanno pagare, quei ladri!... costa caro anche il crepare in quei
paesi!...

I medici avevano dichiarato al Barbarò che la marchesa Angelica, per
quante cure facessero, non avrebbe potuto durare lungamente... e il
Barbarò riferì subito, appena a Milano, quella sentenza, facendosi
compiangere dalle signore, anche presente sua moglie, alla quale poi
soleva dire, quando c'era gente, in tono piagnucoloso:--che cosa farò
mai, io, senza di te?... che solitudine, se tu mi venissi a mancare!...
non potrei più vedermi in una casa così grande: dovrei venderla!

Ma non erano veramente questi i suoi disegni. Don Pompeo pensava già di
ammogliarsi una terza volta: ma voleva una giovane sana e allegra...
non più un funerale di prima classe. Si era ammogliato una volta per
compiere una buona azione, per far tacer la coscienza fino all'ultimo
scrupolo, per far la fortuna del marchesino Stefano, che era rimasto
forse un po' danneggiato dall'amministrazione di Villagardiana; ma
avendo soddisfatto ai suoi scrupoli di galantuomo e di gentiluomo,
quest'altra volta voleva soddisfare i suoi gusti: voleva allegria in
casa, e voleva ricevere e divertirsi!

Gli affari non lo occupavano più; guadagnava, guadagnava, guadagnava,
continuamente, favolosamente, ma senza fatica; i milioni affluivano
spontaneamente nella sua cassa. Ormai non era più Pompeo Barbetta che
correva dietro ai denari, erano i danari che correvano dietro a Don
Pompeo Barbarò. Lui, data appena una capatina alla Banca, per far come
il solito e per godere il reverente omaggio de' suoi sudditi, del resto
passava le ore in un ozio sfarzoso. Amava adesso la vita politica, e
anche la vita mondana: si compiaceva della voga acquistata dal suo nome
e dalle sue ricchezze. Dava pranzi sontuosissimi, che dettavan legge
alla moda; feste, che facevano chiasso, e alle quali accorreva, con
tutta Milano, anche il meglio di Milano.

Ma c'era Donna Angelica che non era fatta, pel tenore di vita prescelto
dal commendatore. Intanto, dopo i primissimi giorni, la passione del
signor Pompeo per la bella marchesa, si era subito dileguata. Una donna
sempre in lacrime, che lo guardava con gli occhi spaventati e che
cadeva in convulsioni ogniqualvolta egli le si accostasse, non poteva
certo riuscirgli molto gradevole.

--Le lacrime delle donne,--diceva Don Pompeo quando si sfogava su tal
proposito col marchese Diego,--sono come il pepe nella minestra: un po'
la rende più gustosa: troppo, secca, e va a traverso!...

E oltre alla passione, così presto svanita, nemmeno il suo amor proprio
aveva di che esser contento. Dopo tanti anni di desideri e di sospiri,
dopo tanti e tanti ostacoli che avea dovuto combattere e vincere, si
era trovato... colle pive nel sacco. Invece di rapire l'innamorata al
proprio rivale, lui, buonuomo, aveva sollevato l'altro da un peso. E
che peso!...

In fatti, Andrea Martinengo si era messo quasi subito a far la corte,
con buon successo, alla contessa Florio... e il Barbarò, ch'era stato
dei primi a saperlo, andò in bestia contro la moglie, maltrattandola, e
dicendole ogni sorta di villanìe, come se essa l'avesse messo in mezzo.

Non poteva più vedersela dinanzi, con quel muso sfatto da
moribonda!--se c'era pranzo, levava l'appetito ai comensali; se c'era
una festa, la rendeva un mortorio: era una donna insopportabile!--Lui
l'aveva sposata per fare il galantuomo fino all'ultimo;--ma costava
d'essere galantuomo!... eccome se costava!...--Per il nome, per il
titolo non l'aveva sposata davvero!... non aveva da far altro che
scegliere, e gli avrebbero dato anche una duchessina di diciott'anni,
bella come il sole!--E per di più avea da pagare debiti sopra debiti
a quello scimmiotto del figliastro: ma avrebbe pensato lui a farlo
rigar diritto; gli voleva assegnare un tanto al mese, e se spendeva di
più, lo avrebbe costretto a dar le dimissioni, e lo avrebbe relegato a
Villagardiana, a fare il contadino.

Già... lui era un uomo di cuore, e non voleva togliere ai propri figli,
per dare agli altri: la sua discendenza l'aveva, erano i figli di
Giulio e della Mary. Quelli lì erano Barbarò di Panigale autentici;
erano la seconda generazione dei nobili di Panigale!...--E Pompeo,
voleva molto bene davvero ai suoi nipotini; era forse il primo affetto
sincero, che gli fosse spuntato nel cuore. Amava l'ultimo specialmente,
che aveva nome Pompeo, che assomigliava alla Mary, ed era bello come un
amorino. Tutti dicevano al Barbarò che era lui, nato e sputato, e il
nonno trovandosi grazioso nel visetto del piccolo nipote, se la godeva.

Don Pompeo, quando non aveva pranzi di gala, o ricevimenti, quando non
era a qualche Banca, quando non era a Roma, finiva col passar tutto
il suo tempo nel quartiere della Mary, dove, con quei ragazzi, c'era
più vita, e più allegria: e così Angelica riusciva ad ottenere l'unico
bene che potesse desiderare: quello di morire in pace. Non vedeva più
nessuno: nemmeno lo zio Diego non veniva quasi più a vederla, perchè
gli faceva troppo pena; la Mary passava spesso da lei, ma eran visitine
corte; aveva tanto da fare!... entrava dappertutto: asili infantili,
visite all'ospedale, fondazione delle piccole suore, feste e fiere di
beneficenza: poi le caccie a cavallo, poi le corse a Castellazzo, poi
le regate, poi le recite: non aveva un minuto libero. E con tanto da
fare stava sempre bene, anzi se s'ha da dire, fin troppo bene. Le sue
fattezze si facevano alquanto pienotte, le forme si arrotondavano;
la voce e il riso non avevano più lo squillo argentino d'una volta;
Giulietto peraltro non se ne accorgeva: il suo amore per la moglie
cresceva ogni giorno, come lei e più di lei.

Anche rispetto ai pranzi e alle feste Angelica aveva un po' di tregua:
Don Pompeo, pareva li avesse sospesi per il momento, aspettando miglior
occasione.

Una delle ultime feste, anzi l'ultima forse alla quale avea assistito
Angelica, era stata più che altro una cerimonia di gran parata: le
deputazioni dei _Luoghi Pii_ che avevano avuto il mezzo milione, e che
avevano in benemerenza decretato una medaglia d'oro con una pergamena
miniata al Barbarò, dovevano recarsi in pompa magna a fargliene la
presentazione; e quindi ci sarebbe stato un gran rinfresco.

--Patti chiari,--avea detto Don Pompeo alla moglie, annunciandole
quella grande solennità,--non ci vogliono smorfie, nè deliqui: ti
domando di star bene per un paio d'ore soltanto!... dopo, se ti
accomoda, potrai tornare a star male quanto vorrai. Ho telegrafato a
Stefano perchè venga anche lui. Tu sciogli la lingua, mi raccomando:
prima puoi farti fare una puntura di morfina, per esser sicura di star
bene. E ricordati di metterti in gala: ti darò i _finimenti di lusso_.

Così, Don Pompeo, chiamava le gioie di famiglia (le più antiche delle
quali rimontavano fino all'_Agenzia di Via del Pesce_), gioie che il
Barbarò teneva sempre sotto chiave. Quando voleva che la moglie le
mettesse, gliele dava, numerandolo a una a una sotto i suoi occhi: poi
le riprendeva tornandole a contare, e le chiudeva nello scrigno.

La medaglia d'oro, da presentarsi a Don Pompeo Barbarò di Panigale, non
era stata votata a unanimità; anzi aveva suscitato vivaci discussioni,
ma finalmente il partito era stato vinto, e il marchese Brancaccio,
come presidente del comitato, aveva avuto l'incarico di farla coniare e
di portarla in forma solenne a Pompeo Barbarò.

Egli, in fatti, a capo della deputazione (di cui facevano parte tra gli
altri il cavalier Marnulfi e l'avvocato Terzi), nel giorno stabilito,
fu ricevuto nel Palazzo Barbarò tra due file di servitori, in gran
livrea, che facevano ala lungo lo scalone magnifico, coperto di soffici
tappeti, adorno di pregevoli statue e di piante bellissime. Altri
servitori, ma questi con calze e scarpini a fibbia, erano disposti
nelle anticamere, sotto il comando del maggiordomo, il quale invitò la
deputazione a entrare in una gran sala. dove la pregò di compiacersi di
attendere Don Pompeo di Panigale.

--Che sfarzo!--balbettò uno della Deputazione, un giovanetto magro
e irrequieto, che metteva il piede per la prima volta nel palazzo
Barbarò. Ma il marchese Brancaccio non rispose: guardava i quadri
appesi alle pareti della gran sala, dentro ricchissime cornici dorate.

Dovevano essere ritratti antichi, di famiglia; matrone in
guardinfante; guerrieri nelle armature lucenti; magistrati in toga
e porporati col cappello cardinalizio... Ma appunto, in uno di quei
guerrieri dal viso arcigno e superbo, il marchese Brancaccio, che
apparteneva ad una grande famiglia andata in rovina, avea riconosciuto
uno de' suoi avi più illustri.

Da un altro canto l'avvocato Terzi (vecchio legale dell'aristocrazia
milanese) chiamatisi vicini i colleghi, disse loro con comica gravità,
indicando i ritratti:

--Sono i nobili antenati di Don Pompeo di Panigale, comprati a ribasso
dal Baslini e dall'Arrigoni!

--Sì?... davvero!...--esclamò ringalluzzito il piccino, che poco
prima era rimasto mortificato vedendo lo sfarzo del palazzo
Barbarò,--davvero?...

Era costui un giovane rampollo di una ricca famiglia della provincia,
stabilitasi da poco a Milano, e l'avevano messo nella _Congregazione di
Carità_, perchè non aveva niente altro da fare.

--Davvero?... già ne ho sentito dire delle belle sul conto del
Panigale!...--E rideva, rideva sommessamente, fiutando la maldicenza,
col nasetto petulante.

--Che cosa avete sentito dire?--domandò colla sua solita prudenza e
gravità, il solenne cavalier Marnulfi.

--Ci saranno esagerazioni,--osservò il Brancaccio,--si sa...
l'invidia... ma per dire il vero quella _vita esemplare_ che avete
voluto mettere nell'epigrafe, mi par proprio un di più!

--Ci voleva quella parola per la simmetria dell'iscrizione,--osservò
l'avvocato Terzi.--Del resto lasciate correre, marchese; uno che dal
niente si fa un patrimonio di una trentina di milioni... è un gran
bell'esempio!

--È stato creato nobile da poco, non è vero?... e prima, faceva
soltanto il banchiere?--domandò il giovanetto provinciale.

--Prima si chiamava Barbetta, e faceva il portinaio!--esclamò
l'avvocato.

--Il portinaio?--e l'omino spalancò la bocca e gli occhi dalla
maraviglia,--e da portinaio è diventato... trenta volte milionario?

--Parlate piano,--avvertì il cavalier Marnulfi.

--Non ha fatto soltanto... il portinaio,--soggiunse il marchese
Brancaccio, accarezzandosi le fedine bianche, e sorridendo.

--No, no!--risposero insieme, pure ridendo, tutti gli altri della
commissione.

--Ha fatto anche un pochino... l'usuraio!--osservò uno.

--Già... un pochino!--rispose un altro strizzando l'occhio.

--Ha tenuto persino un'_Agenzia di Prestiti sopra Pegno_....

--E di collocamento delle ragazze... non da marito!--interruppe
l'avvocato.

--Oh!...--fece il provinciale scandolezzato--oh!...

--E colle forniture?--soggiunse il Brancaccio,--ha guadagnato tesori.

--Dava il cartone per cuoio!

--Ferri vecchi per fucili nuovi!...

--Oh!...--continuava a esclamare l'altro,--oh!...

--E ha avuto un processo....

--Anche un processo?... Oh!... oh!... oh!...

--Per altro se l'è cavata bene.

--Ma il paese è stato derubato!

--Parlate piano!--tornò a raccomandare il cavalier Marnulfi, che teneva
sempre d'occhio la porta da cui era uscito il maggiordomo.

--Se ha derubato il suo paese... ha fatto lo stesso altrove; a Verona,
nel _cinquantanove_... quando c'erano ancora i Tedeschi....

--Già,--interruppe il marchese Brancaccio, colla voce stridula e
tagliente,--i primi danari... gli ha fatti... coi Tedeschi.--Il
marchese guardò l'avvocato; l'avvocato guardò il marchese e sorrisero
insieme.

--Chi sa poi, se è vero!--disse il cavalier Marnulfi,--ma piano, piano,
pianissimo.

--Fra i praticanti del mio studio,--riprese l'avvocato Terzi,--avevo
un giovinotto, un buon diavolaccio lui, ma figliuolo d'un figuro, d'un
commissario austriaco... d'un tale che chiamavano allora _Don Miao_...
e costui mi ha proprio assicurato....

--Per Dio! parlate piano!--esclamò il Marnulfi, che aveva veduto
aprirsi la porta.

In quel momento, in fatti, entrò il maggiordomo, e fece passare la
deputazione nella gran sala dei ricevimenti, dov'era Don Pompeo Barbarò
di Panigale, circondato dalla sua famiglia.

Il marchese Brancaccio corse ad ossequiarlo, seguìto da tutti gli
altri, e fece la presentazione di quelli che non erano conosciuti
personalmente dal commendatore.

Don Pompeo vispo, gaio, ridente, accolse la Deputazione con molta
cordialità. Egli era pienamente contento, beato. Una volta sola i suoi
occhietti ebbero un lampo d'inquietudine: Angelica, assai sofferente,
avea piegato il collo assottigliato, aveva chinato la testa, pareva
stesse per mancare.

--Ti senti poco bene?--le domandò Pompeo a denti stretti; e poi,
dandole un forte pizzicotto nel braccio:--su, su, animo!--le disse
piano,--non è questo il momento di svenire.

Angelica si fece forza, e trattenendo un sospiro, rialzò il capo,
coperto di gemme.

Scambiati i primi complimenti da una parte e dall'altra, il marchese
Brancaccio con acconce parole, in cui si lodavano le virtù private
e pubbliche, e la preclara filantropia dell'illustre benefattore,
gli consegnò in un astuccio aperto, insieme con una pergamena
artisticamente miniata, la medaglia d'oro. Anche la medaglia era un
capolavoro: da un lato si ammirava, riprodotto con finissima incisione,
il ritratto del Barbarò; dall'altra, la seguente epigrafe:

                           A POMPEO BARBARÒ
                          NOBILE DI PANIGALE
                 CHE NELLA VITA OPEROSAMENTE ESEMPLARE
                      CON ILLUMINATA BENEFICENZA
                     DEL PROSSIMO TERSE LE LACRIME
               DELL'UMANITÀ SOFFERENTE ALLEVIÒ I DOLORI
               LE RAPPRESENTANZE DEI LUOGHI PII MILANESI
                INTERPRETI DELLA GRATITUDINE CITTADINA
                    IL I DI MARZO DEL MDCCCLXXVIII
                               O. D. C.

La medaglia, l'iscrizione, la pergamena, tutte quelle persone egregie e
rispettabili che lo encomiavano e lo ossequiavano, levando a cielo il
suo cuore, le sue virtù, la sua bontà, commossero al vivo Don Pompeo.

Guardò attorno... e non vide altro che visi sorridenti: anche la
povera Angelica impaurita, si sforzava di sorridere. Allora pensò,
sentì nell'animo, con un dolce tepore di contentezza, che l'epigrafe
diceva il vero. Nella sua vita operosamente esemplare (esemplare
per operosità) egli aveva asciugato le lacrime del prossimo, aveva
alleviato i dolori dell'umanità misera e sofferente.--E come no?...
aveva regalato mezzo milione ai luoghi pii, aveva fondato ospedali
e asili, bonificato terreni.... I suoi occhietti s'inumidirono: lo
spettacolo della sua propria bontà lo inteneriva al pari della meritata
gratitudine che lo circondava.

--Sì... sono buono,--pensava tra sè,--ma fa bene l'esser buono; fa
bene, l'esser galantuomo!

Se involontariamente aveva fatto qualche torto, come aveva saputo
rimediarci!... La Mary l'aveva fatta sua figlia, le aveva dato tutto il
suo; aveva dato uno stato alla marchesa di Collalto, e a Stefano....
Sì... sì, dovevano adorarlo tutti quelli che lo avvicinavano!...

Il coperto dei Figini era stato abbattuto da molti anni, e da molti
anni l'orefice del _Gobbo d'oro_ si era dileguato dalla memoria del
Barbarò.... Egli guardò sorridendo la medaglia d'oro, ma sul primo non
potè parlare... si strinse la medaglia sul cuore, mentre il marchese
Brancaccio, l'avvocato Terzi, il cavalier Marnulfi, tutti i membri
della deputazione si mostravano commossi alla lor volta.... Si asciugò
una lacrima, poi rivolgendosi alla Mary e a Giulio, che avevano pur gli
occhi rossi, balbettò:

--Fate... fate sempre del bene... figliuoli miei... ci troverete una...
una grande soddisfazione!...

A questo punto non potè frenarsi e proruppe in un singhiozzo
dolcissimo, mentre tutti gli altri assentivano in coro... e s'innalzava
nell'ampia sala un mormorio di approvazione.

                                 FINE.




                        NOTE DEL TRASCRITTORE:


--Corretti gli ovvii errori tipografici e di punteggiatura.

--L'indice non è compreso nell'opera originale. Ne è stato prodotto ed
  aggiunto uno dal trascrittore.





End of the Project Gutenberg EBook of I Barbarò vol. II, by Gerolamo Rovetta

*** END OF THIS PROJECT GUTENBERG EBOOK I BARBARÒ VOL. II ***

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Sections 3 and 4 and the Foundation information page at
www.gutenberg.org Section 3. Information about the Project Gutenberg
Literary Archive Foundation

The Project Gutenberg Literary Archive Foundation is a non profit
501(c)(3) educational corporation organized under the laws of the
state of Mississippi and granted tax exempt status by the Internal
Revenue Service. The Foundation's EIN or federal tax identification
number is 64-6221541. Contributions to the Project Gutenberg Literary
Archive Foundation are tax deductible to the full extent permitted by
U.S. federal laws and your state's laws.

The Foundation's principal office is in Fairbanks, Alaska, with the
mailing address: PO Box 750175, Fairbanks, AK 99775, but its
volunteers and employees are scattered throughout numerous
locations. Its business office is located at 809 North 1500 West, Salt
Lake City, UT 84116, (801) 596-1887. Email contact links and up to
date contact information can be found at the Foundation's web site and
official page at www.gutenberg.org/contact

For additional contact information:

    Dr. Gregory B. Newby
    Chief Executive and Director
    [email protected]

Section 4. Information about Donations to the Project Gutenberg
Literary Archive Foundation

Project Gutenberg-tm depends upon and cannot survive without wide
spread public support and donations to carry out its mission of
increasing the number of public domain and licensed works that can be
freely distributed in machine readable form accessible by the widest
array of equipment including outdated equipment. Many small donations
($1 to $5,000) are particularly important to maintaining tax exempt
status with the IRS.

The Foundation is committed to complying with the laws regulating
charities and charitable donations in all 50 states of the United
States. Compliance requirements are not uniform and it takes a
considerable effort, much paperwork and many fees to meet and keep up
with these requirements. We do not solicit donations in locations
where we have not received written confirmation of compliance. To SEND
DONATIONS or determine the status of compliance for any particular
state visit www.gutenberg.org/donate

While we cannot and do not solicit contributions from states where we
have not met the solicitation requirements, we know of no prohibition
against accepting unsolicited donations from donors in such states who
approach us with offers to donate.

International donations are gratefully accepted, but we cannot make
any statements concerning tax treatment of donations received from
outside the United States. U.S. laws alone swamp our small staff.

Please check the Project Gutenberg Web pages for current donation
methods and addresses. Donations are accepted in a number of other
ways including checks, online payments and credit card donations. To
donate, please visit: www.gutenberg.org/donate

Section 5. General Information About Project Gutenberg-tm electronic works.

Professor Michael S. Hart was the originator of the Project
Gutenberg-tm concept of a library of electronic works that could be
freely shared with anyone. For forty years, he produced and
distributed Project Gutenberg-tm eBooks with only a loose network of
volunteer support.

Project Gutenberg-tm eBooks are often created from several printed
editions, all of which are confirmed as not protected by copyright in
the U.S. unless a copyright notice is included. Thus, we do not
necessarily keep eBooks in compliance with any particular paper
edition.

Most people start at our Web site which has the main PG search
facility: www.gutenberg.org

This Web site includes information about Project Gutenberg-tm,
including how to make donations to the Project Gutenberg Literary
Archive Foundation, how to help produce our new eBooks, and how to
subscribe to our email newsletter to hear about new eBooks.


Updated editions will replace the previous one--the old editions
will be renamed.

Creating the works from public domain print editions means that no
one owns a United States copyright in these works, so the Foundation
(and you!) can copy and distribute it in the United States without
permission and without paying copyright royalties.  Special rules,
set forth in the General Terms of Use part of this license, apply to
copying and distributing Project Gutenberg-tm electronic works to
protect the PROJECT GUTENBERG-tm concept and trademark.  Project
Gutenberg is a registered trademark, and may not be used if you
charge for the eBooks, unless you receive specific permission.  If you
do not charge anything for copies of this eBook, complying with the
rules is very easy.  You may use this eBook for nearly any purpose
such as creation of derivative works, reports, performances and
research.  They may be modified and printed and given away--you may do
practically ANYTHING with public domain eBooks.  Redistribution is
subject to the trademark license, especially commercial
redistribution.



*** START: FULL LICENSE ***

THE FULL PROJECT GUTENBERG LICENSE
PLEASE READ THIS BEFORE YOU DISTRIBUTE OR USE THIS WORK

To protect the Project Gutenberg-tm mission of promoting the free
distribution of electronic works, by using or distributing this work
(or any other work associated in any way with the phrase "Project
Gutenberg"), you agree to comply with all the terms of the Full Project
Gutenberg-tm License (available with this file or online at
http://gutenberg.org/license).


Section 1.  General Terms of Use and Redistributing Project Gutenberg-tm
electronic works

1.A.  By reading or using any part of this Project Gutenberg-tm
electronic work, you indicate that you have read, understand, agree to
and accept all the terms of this license and intellectual property
(trademark/copyright) agreement.  If you do not agree to abide by all
the terms of this agreement, you must cease using and return or destroy
all copies of Project Gutenberg-tm electronic works in your possession.
If you paid a fee for obtaining a copy of or access to a Project
Gutenberg-tm electronic work and you do not agree to be bound by the
terms of this agreement, you may obtain a refund from the person or
entity to whom you paid the fee as set forth in paragraph 1.E.8.

1.B.  "Project Gutenberg" is a registered trademark.  It may only be
used on or associated in any way with an electronic work by people who
agree to be bound by the terms of this agreement.  There are a few
things that you can do with most Project Gutenberg-tm electronic works
even without complying with the full terms of this agreement.  See
paragraph 1.C below.  There are a lot of things you can do with Project
Gutenberg-tm electronic works if you follow the terms of this agreement
and help preserve free future access to Project Gutenberg-tm electronic
works.  See paragraph 1.E below.

1.C.  The Project Gutenberg Literary Archive Foundation ("the Foundation"
or PGLAF), owns a compilation copyright in the collection of Project
Gutenberg-tm electronic works.  Nearly all the individual works in the
collection are in the public domain in the United States.  If an
individual work is in the public domain in the United States and you are
located in the United States, we do not claim a right to prevent you from
copying, distributing, performing, displaying or creating derivative
works based on the work as long as all references to Project Gutenberg
are removed.  Of course, we hope that you will support the Project
Gutenberg-tm mission of promoting free access to electronic works by
freely sharing Project Gutenberg-tm works in compliance with the terms of
this agreement for keeping the Project Gutenberg-tm name associated with
the work.  You can easily comply with the terms of this agreement by
keeping this work in the same format with its attached full Project
Gutenberg-tm License when you share it without charge with others.

1.D.  The copyright laws of the place where you are located also govern
what you can do with this work.  Copyright laws in most countries are in
a constant state of change.  If you are outside the United States, check
the laws of your country in addition to the terms of this agreement
before downloading, copying, displaying, performing, distributing or
creating derivative works based on this work or any other Project
Gutenberg-tm work.  The Foundation makes no representations concerning
the copyright status of any work in any country outside the United
States.

1.E.  Unless you have removed all references to Project Gutenberg:

1.E.1.  The following sentence, with active links to, or other immediate
access to, the full Project Gutenberg-tm License must appear prominently
whenever any copy of a Project Gutenberg-tm work (any work on which the
phrase "Project Gutenberg" appears, or with which the phrase "Project
Gutenberg" is associated) is accessed, displayed, performed, viewed,
copied or distributed:

This eBook is for the use of anyone anywhere at no cost and with
almost no restrictions whatsoever.  You may copy it, give it away or
re-use it under the terms of the Project Gutenberg License included
with this eBook or online at www.gutenberg.org/license

1.E.2.  If an individual Project Gutenberg-tm electronic work is derived
from the public domain (does not contain a notice indicating that it is
posted with permission of the copyright holder), the work can be copied
and distributed to anyone in the United States without paying any fees
or charges.  If you are redistributing or providing access to a work
with the phrase "Project Gutenberg" associated with or appearing on the
work, you must comply either with the requirements of paragraphs 1.E.1
through 1.E.7 or obtain permission for the use of the work and the
Project Gutenberg-tm trademark as set forth in paragraphs 1.E.8 or
1.E.9.

1.E.3.  If an individual Project Gutenberg-tm electronic work is posted
with the permission of the copyright holder, your use and distribution
must comply with both paragraphs 1.E.1 through 1.E.7 and any additional
terms imposed by the copyright holder.  Additional terms will be linked
to the Project Gutenberg-tm License for all works posted with the
permission of the copyright holder found at the beginning of this work.

1.E.4.  Do not unlink or detach or remove the full Project Gutenberg-tm
License terms from this work, or any files containing a part of this
work or any other work associated with Project Gutenberg-tm.

1.E.5.  Do not copy, display, perform, distribute or redistribute this
electronic work, or any part of this electronic work, without
prominently displaying the sentence set forth in paragraph 1.E.1 with
active links or immediate access to the full terms of the Project
Gutenberg-tm License.

1.E.6.  You may convert to and distribute this work in any binary,
compressed, marked up, nonproprietary or proprietary form, including any
word processing or hypertext form.  However, if you provide access to or
distribute copies of a Project Gutenberg-tm work in a format other than
"Plain Vanilla ASCII" or other format used in the official version
posted on the official Project Gutenberg-tm web site (www.gutenberg.org),
you must, at no additional cost, fee or expense to the user, provide a
copy, a means of exporting a copy, or a means of obtaining a copy upon
request, of the work in its original "Plain Vanilla ASCII" or other
form.  Any alternate format must include the full Project Gutenberg-tm
License as specified in paragraph 1.E.1.

1.E.7.  Do not charge a fee for access to, viewing, displaying,
performing, copying or distributing any Project Gutenberg-tm works
unless you comply with paragraph 1.E.8 or 1.E.9.

1.E.8.  You may charge a reasonable fee for copies of or providing
access to or distributing Project Gutenberg-tm electronic works provided
that

- You pay a royalty fee of 20% of the gross profits you derive from
     the use of Project Gutenberg-tm works calculated using the method
     you already use to calculate your applicable taxes.  The fee is
     owed to the owner of the Project Gutenberg-tm trademark, but he
     has agreed to donate royalties under this paragraph to the
     Project Gutenberg Literary Archive Foundation.  Royalty payments
     must be paid within 60 days following each date on which you
     prepare (or are legally required to prepare) your periodic tax
     returns.  Royalty payments should be clearly marked as such and
     sent to the Project Gutenberg Literary Archive Foundation at the
     address specified in Section 4, "Information about donations to
     the Project Gutenberg Literary Archive Foundation."

- You provide a full refund of any money paid by a user who notifies
     you in writing (or by e-mail) within 30 days of receipt that s/he
     does not agree to the terms of the full Project Gutenberg-tm
     License.  You must require such a user to return or
     destroy all copies of the works possessed in a physical medium
     and discontinue all use of and all access to other copies of
     Project Gutenberg-tm works.

- You provide, in accordance with paragraph 1.F.3, a full refund of any
     money paid for a work or a replacement copy, if a defect in the
     electronic work is discovered and reported to you within 90 days
     of receipt of the work.

- You comply with all other terms of this agreement for free
     distribution of Project Gutenberg-tm works.

1.E.9.  If you wish to charge a fee or distribute a Project Gutenberg-tm
electronic work or group of works on different terms than are set
forth in this agreement, you must obtain permission in writing from
both the Project Gutenberg Literary Archive Foundation and Michael
Hart, the owner of the Project Gutenberg-tm trademark.  Contact the
Foundation as set forth in Section 3 below.

1.F.

1.F.1.  Project Gutenberg volunteers and employees expend considerable
effort to identify, do copyright research on, transcribe and proofread
public domain works in creating the Project Gutenberg-tm
collection.  Despite these efforts, Project Gutenberg-tm electronic
works, and the medium on which they may be stored, may contain
"Defects," such as, but not limited to, incomplete, inaccurate or
corrupt data, transcription errors, a copyright or other intellectual
property infringement, a defective or damaged disk or other medium, a
computer virus, or computer codes that damage or cannot be read by
your equipment.

1.F.2.  LIMITED WARRANTY, DISCLAIMER OF DAMAGES - Except for the "Right
of Replacement or Refund" described in paragraph 1.F.3, the Project
Gutenberg Literary Archive Foundation, the owner of the Project
Gutenberg-tm trademark, and any other party distributing a Project
Gutenberg-tm electronic work under this agreement, disclaim all
liability to you for damages, costs and expenses, including legal
fees.  YOU AGREE THAT YOU HAVE NO REMEDIES FOR NEGLIGENCE, STRICT
LIABILITY, BREACH OF WARRANTY OR BREACH OF CONTRACT EXCEPT THOSE
PROVIDED IN PARAGRAPH 1.F.3.  YOU AGREE THAT THE FOUNDATION, THE
TRADEMARK OWNER, AND ANY DISTRIBUTOR UNDER THIS AGREEMENT WILL NOT BE
LIABLE TO YOU FOR ACTUAL, DIRECT, INDIRECT, CONSEQUENTIAL, PUNITIVE OR
INCIDENTAL DAMAGES EVEN IF YOU GIVE NOTICE OF THE POSSIBILITY OF SUCH
DAMAGE.

1.F.3.  LIMITED RIGHT OF REPLACEMENT OR REFUND - If you discover a
defect in this electronic work within 90 days of receiving it, you can
receive a refund of the money (if any) you paid for it by sending a
written explanation to the person you received the work from.  If you
received the work on a physical medium, you must return the medium with
your written explanation.  The person or entity that provided you with
the defective work may elect to provide a replacement copy in lieu of a
refund.  If you received the work electronically, the person or entity
providing it to you may choose to give you a second opportunity to
receive the work electronically in lieu of a refund.  If the second copy
is also defective, you may demand a refund in writing without further
opportunities to fix the problem.

1.F.4.  Except for the limited right of replacement or refund set forth
in paragraph 1.F.3, this work is provided to you 'AS-IS' WITH NO OTHER
WARRANTIES OF ANY KIND, EXPRESS OR IMPLIED, INCLUDING BUT NOT LIMITED TO
WARRANTIES OF MERCHANTABILITY OR FITNESS FOR ANY PURPOSE.

1.F.5.  Some states do not allow disclaimers of certain implied
warranties or the exclusion or limitation of certain types of damages.
If any disclaimer or limitation set forth in this agreement violates the
law of the state applicable to this agreement, the agreement shall be
interpreted to make the maximum disclaimer or limitation permitted by
the applicable state law.  The invalidity or unenforceability of any
provision of this agreement shall not void the remaining provisions.

1.F.6.  INDEMNITY - You agree to indemnify and hold the Foundation, the
trademark owner, any agent or employee of the Foundation, anyone
providing copies of Project Gutenberg-tm electronic works in accordance
with this agreement, and any volunteers associated with the production,
promotion and distribution of Project Gutenberg-tm electronic works,
harmless from all liability, costs and expenses, including legal fees,
that arise directly or indirectly from any of the following which you do
or cause to occur: (a) distribution of this or any Project Gutenberg-tm
work, (b) alteration, modification, or additions or deletions to any
Project Gutenberg-tm work, and (c) any Defect you cause.


Section  2.  Information about the Mission of Project Gutenberg-tm

Project Gutenberg-tm is synonymous with the free distribution of
electronic works in formats readable by the widest variety of computers
including obsolete, old, middle-aged and new computers.  It exists
because of the efforts of hundreds of volunteers and donations from
people in all walks of life.

Volunteers and financial support to provide volunteers with the
assistance they need, are critical to reaching Project Gutenberg-tm's
goals and ensuring that the Project Gutenberg-tm collection will
remain freely available for generations to come.  In 2001, the Project
Gutenberg Literary Archive Foundation was created to provide a secure
and permanent future for Project Gutenberg-tm and future generations.
To learn more about the Project Gutenberg Literary Archive Foundation
and how your efforts and donations can help, see Sections 3 and 4
and the Foundation web page at http://www.pglaf.org.


Section 3.  Information about the Project Gutenberg Literary Archive
Foundation

The Project Gutenberg Literary Archive Foundation is a non profit
501(c)(3) educational corporation organized under the laws of the
state of Mississippi and granted tax exempt status by the Internal
Revenue Service.  The Foundation's EIN or federal tax identification
number is 64-6221541.  Its 501(c)(3) letter is posted at
http://pglaf.org/fundraising.  Contributions to the Project Gutenberg
Literary Archive Foundation are tax deductible to the full extent
permitted by U.S. federal laws and your state's laws.

The Foundation's principal office is located at 4557 Melan Dr. S.
Fairbanks, AK, 99712., but its volunteers and employees are scattered
throughout numerous locations.  Its business office is located at
809 North 1500 West, Salt Lake City, UT 84116, (801) 596-1887, email
[email protected].  Email contact links and up to date contact
information can be found at the Foundation's web site and official
page at http://pglaf.org

For additional contact information:
     Dr. Gregory B. Newby
     Chief Executive and Director
     [email protected]


Section 4.  Information about Donations to the Project Gutenberg
Literary Archive Foundation

Project Gutenberg-tm depends upon and cannot survive without wide
spread public support and donations to carry out its mission of
increasing the number of public domain and licensed works that can be
freely distributed in machine readable form accessible by the widest
array of equipment including outdated equipment.  Many small donations
($1 to $5,000) are particularly important to maintaining tax exempt
status with the IRS.

The Foundation is committed to complying with the laws regulating
charities and charitable donations in all 50 states of the United
States.  Compliance requirements are not uniform and it takes a
considerable effort, much paperwork and many fees to meet and keep up
with these requirements.  We do not solicit donations in locations
where we have not received written confirmation of compliance.  To
SEND DONATIONS or determine the status of compliance for any
particular state visit http://pglaf.org

While we cannot and do not solicit contributions from states where we
have not met the solicitation requirements, we know of no prohibition
against accepting unsolicited donations from donors in such states who
approach us with offers to donate.

International donations are gratefully accepted, but we cannot make
any statements concerning tax treatment of donations received from
outside the United States.  U.S. laws alone swamp our small staff.

Please check the Project Gutenberg Web pages for current donation
methods and addresses.  Donations are accepted in a number of other
ways including checks, online payments and credit card donations.
To donate, please visit: http://pglaf.org/donate


Section 5.  General Information About Project Gutenberg-tm electronic
works.

Professor Michael S. Hart is the originator of the Project Gutenberg-tm
concept of a library of electronic works that could be freely shared
with anyone.  For thirty years, he produced and distributed Project
Gutenberg-tm eBooks with only a loose network of volunteer support.


Project Gutenberg-tm eBooks are often created from several printed
editions, all of which are confirmed as Public Domain in the U.S.
unless a copyright notice is included.  Thus, we do not necessarily
keep eBooks in compliance with any particular paper edition.


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