I Barbarò: Le lagrime del prossimo. vol. 1

By Gerolamo Rovetta

The Project Gutenberg EBook of I Barbarò vol. I, by Gerolamo Rovetta

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Title: I Barbarò vol. I
       Le lagrime del prossimo

Author: Gerolamo Rovetta

Release Date: September 1, 2014 [EBook #46748]
[Last updated: February 11, 2015]

Language: Italian


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                              I BARBARÒ.

                                  I.

                         DEL MEDESIMO AUTORE:


ROMANZI E RACCONTI.

  _Mater Dolorosa_ (quinta edizione).--Milano, Treves.
  _Sott'acqua_ (terza edizione).--Milano, Treves.
  _Tiranni Minimi_.--Milano, Treves.
  _Montegù_ (seconda edizione).--Milano, Galli.
  _Ninnoli_ (terza edizione).


TEATRO.

  _Gli uomini pratici_, comm. in 3 atti.--Milano, Treves.
  _Collera cieca_, commedia in 2 atti.--Milano, Treves.
  _Scellerata!_ commedia in un atto.--Milano, Treves.
  _Un volo dal nido_, commedia in 4 atti.--Verona, Munster.
  _La moglie di Don Giovanni_, dramma in 4 atti.--Verona, Munster.
  _In sogno_, commedia in 4 atti.--Verona, Munster.
  _La Contessa Maria_, dramma in 4 atti.--Milano, Barbini.




                           GEROLAMO ROVETTA




                               I BARBARÒ


                                   o

                        Le lagrime del prossimo

                                ROMANZO


                               VOLUME I.


                            TERZA EDIZIONE

[Illustration: LOGO]

                                MILANO

                       FRATELLI TREVES, EDITORI

                                 1890

                         PROPRIETÀ LETTERARIA.

                     _Tutti i diritti riservati._


                     Milano, Tip. Fratelli Treves.




                     ALL'AMICO AUGUSTO FRANCHETTI

                      con affettuosa gratitudine

                                         _Gerolamo Rovetta._




                                INDICE

    PARTE PRIMA

    CAP.                PAG.

      I.                   3

     II.                   7

    III.                  23

     IV.                  30

      V.                  52

     VI.                  69

    VII.                  76


    PARTE SECONDA

      I.                 101

     II.                 115

    III.                 147

     IV.                 168

      V.                 184

     VI.                 189

    VII.                 208

   VIII.                 220

     IX.                 242

      X.                 263

     XI.                 278

    XII.                 291

   XIII.                 313

    XIV.                 318

     XV.                 336

    XVI.                 351

   XVII.                 364

  XVIII.                 372

    XIX.                 382




                              PARTE PRIMA

                               I DANARI.




I.


Era la mattina dell'ultimo di gennaio del 1842, o del 1843, salvo il
vero, e Milano, come quasi sempre le succede in quel torno, era tutta
avvolta nella nebbia; una nebbia bigiognola, bassa, fitta fitta,
proprio (si diceva così anche allora) da _tagliar col coltello_.

Tuttavia, nemmeno col freddo nè col tempaccio, Pompeo Barbetta, che per
colazione s'era ben bene impinzato di panna e di burro, non avea voluto
rinunziare alla sua passeggiata per fare il chilo, e mentre l'orologio
della torre dei _Mercanti_ batteva le dieci e mezzo, egli, lemme lemme,
sbucava, tutto inferraiolato e col naso sepolto nel bavero, da una
delle tante stradette che facevano capo in _Piazza del Duomo_.

Pompeo Barbetta, in quel tempo, era un ragazzotto che dovea toccare
i vent'anni; e fin d'allora si godeva il papato, senza far nulla,
quantunque i suoi fossero gente di bassa condizione. Ma aveva il babbo
che faceva il cuoco; la mamma era stata bella e quindi tutti e due i
coniugi Barbetta, spesso si trovavano qualche sommetta ed eran beati di
spenderla per quel loro unico rampollo; giacchè, oltre al bene che gli
volevano, aveano messo ogni loro vanità nell'allevarlo, nel mantenerlo
e nel mandarlo attorno pulito, grasso e fannullone, come se, proprio,
fosse stato il figliuolo d'un signore!

--Acciderba! Che freddo cane!--bestemmiava intanto fra sè e sè
il giovinotto, il quale era arrivato in mezzo alla piazza, dove
soffiava una sizza diaccia di tramontana che gli tagliava la punta
delle orecchie; e scotendosi con un brivido, e pestando i piedi per
riscaldarli, si avviò verso il _Coperto dei Figini_.

Si chiamava con tal nome, da quello appunto del fondatore (Pietro
Figini, patrizio milanese), un vecchio porticato basso, angusto, tutto
ingombro di botteghe dalle mostre vistose, che si stendeva in faccia
al fianco settentrionale del Duomo; consueto ritrovo di ciceroni, di
lustrini e di merciai ambulanti.

Ma mentre Pompeo vi si avvicinava scotendo bruscamente il capo per
schermirsi dagli importuni che gli correvano incontro offrendogli i
loro servigi o la loro roba, sentì all'improvviso di sotto il _Coperto_
un vociare, un correre, un accalcarsi confuso di gente, e poi, più
distinte e più forti, in mezzo al subbuglio, le grida di una donna e
gli strilli di un bambino.

--Che è?... Che c'è?... Che cosa succede?

In un attimo tutta la gente ch'era sulla piazza s'avviò di corsa fin
sotto il _Coperto_ e ingrossò la folla, che già faceva ressa dinanzi
a una bottega di oreficeria; e gli ultimi arrivati pigiando i primi e
rizzandosi sulla punta dei piedi, allungavano il collo a destra o a
sinistra per cercar di scoprire fra le teste e i cappelli la ragione di
quello strepito.

Pompeo, uditi appena i primi gridi e veduto il corri corri, si era
fermato di botto, in mezzo della strada; poi più lentamente avea
continuato ad avvicinarsi al luogo del baccano; ma si teneva sempre
alla larga, non avendo voglia di arrischiar le costole per sapere che
cosa fosse accaduto.

--.... Si picchiano?--domandò poi a un ragazzotto il quale, forse per
riguadagnare il tempo perso a star a guardare, veniva giù di corsa
dagli scalini del _Coperto_.

--No, no! Ci sono i poliziotti! Menano in gabbia l'orefice del _Gobbo
d'oro_!...

--Avrà sentito due messe, il galantuomo--brontolò Pompeo avviandosi,
ormai rassicurato, al luogo dello scompiglio.

Le grida si facevano più vive, più strazianti; il piangere e lo
strillare più acuti. Poi la folla ricominciò a rimescolarsi; ad un
tratto i più vicini alla scesa si voltarono tirandosi in fretta da
parte, e allora uscirono di mezzo alla gente due guardie (due brutti
ceffi!) che menavano un uomo giù verso la piazza. Dall'aspetto pareva
una persona per bene. Era tremante, livido in volto, colla testa bassa.
Dietro a lui, una povera donna (si capiva alla prima che dovea essere
sua moglie) piangeva, urlava, smaniava, implorando e imprecando, mentre
un bambinello che le si teneva aggrappato, strillava per lo spavento e
per gli urli della mamma.

Quella scena di dolore, quei gemiti avevano fatto correre tra la gente
un senso di pietà.

--Ha rubato?--domandò Pompeo a un mercante, che avea pure la sua
bottega sotto il _Coperto dei Figini_, e che si era scostato, crollando
il capo, dalla turba che, ingrossandosi, andava dietro gli sbirri,
scesi al largo, sulla piazza.

--Ha rubato?

Pompeo si sentiva anche lui un po' commosso, e cercava, istintivamente,
di trovare nella colpa dell'orefice una ragione per vincere la molestia
di quel suo turbamento.

--Rubato? Chè! È l'orefice del _Gobbo d'oro_.... Un fior di
galantuomo,--rispose il mercante.

--E allora, diavolo, perchè lo mettono dentro?

--Perchè?... perchè non c'è giustizia per i minchioni! Quel bonuomo è
stato la vittima di certe canaglie di cui per disgrazia s'era troppo
fidato: imbroglioni, usurai, strozzini; ma, sa, di quelli che marciano
in carrozza! Gli hanno mangiato tutto il suo e anche la dote della
moglie, e adesso, dopo averlo costretto a fallire, lo mettono al fresco
in gattabuia.

--Per altro, bisognerà vedere....

--C'è poco da vedere, giovinotto! Il mondo, oggi, cammina alla
rovescia, e sono i ladri quelli che fanno mettere in prigione i
galantuomini.

--Ma....

--Ossia, i galantuomini son coloro che sanno rubare molto e bene.

Intanto gli strilli ed il rumore non si udivano più: le guardie,
coll'orefice, la donna, il bambino e tutta la folla erano sparite dalla
piazza.

Ma pure l'impressione di quel tristo spettacolo rimaneva viva
nell'animo di Pompeo. Più che esser commosso per le disgrazie
dell'orefice del _Gobbo d'oro_, egli provava dentro di sè un senso
nuovo, indefinibile, di malessere; come la paura vaga che in un
avvenire lontano gli potesse accadere qualche cosa di simile.

Se un giorno avessero legato e messo al fresco anche lui, come quel
minchione d'orefice?

E così tutta la mattina stette coll'uggia addosso, e gli pareva che il
burro e la panna gli facessero peso sullo stomaco.




II.


Il padre di Pompeo Barbetta era un cuoco rinomato: un artista, com'egli
diceva di sè con molta gravità, non senza una certa amarezza da _genio
incompreso_.

Non si era mai _impiegato_ se non in famiglie ragguardevoli; si
mostrava molto schifiltoso nella scelta, e nei patti. Il mondo, sempre
pronto a lasciarsi infinocchiare, gli faceva di cappello, e più egli si
dava aria, più lo pagava caro.

I suoi padroni lo tenevano di conto, come se l'avere il Barbetta a capo
cuoco fosse una piccola gloria di famiglia; e oltre il grasso salario,
gli prodigavano un'infinità di garbatezze, e regalavano il suo bambino
di vestitini e di balocchi, e gli permettevano di menarselo dietro
quando andavano in campagna, dove Pompeo poteva fare il chiasso coi
_signorini_.

Per tal modo il figliuolo del cuoco aveva preso gusti e tendenze che,
certo, non convenivano alla sua condizione, e quando poi divenne un
giovinetto si trovò fuori di posto e senza avviamento alcuno. Era
stato avvezzato troppo bene per poter adattarsi a fare un mestiere
qualunque, e intanto passava in ozio i mesi e gli anni, rimpiangendo
i piaceri che non poteva più godere, invidiando coloro che li
godevano ancora, sempre stizzoso e sornione; sempre malcontento di
sè, malcontento de' suoi, malcontento di tutti. Amici non ne aveva:
scansava egli stesso i giovanetti della sua condizione, per una certa
alterigia di zotico rincivilito, e i _signorini_, passati già nelle
mani dei precettori, lo salutavano appena con un'aria contegnosa.

Pompeo, del resto, non li amava punto questi compagni de' suoi primi
anni, dai quali era sempre stato trattato come i cani, a zuccherini e a
bastonate. Ma, pur non amandoli, la sua mente era sempre là, fissa in
loro, e avrebbe voluto rientrare in quel mondo così pieno di lusso e
di delizie, per poter ancora mettersi alla pari co' suoi padroncini e
vincere la loro superbia con la sua.

Pure, per parecchio tempo, tutti questi impeti di rabbia, queste smanie
di lusso e di grandezza non facevano capo altro che ad un'apatica
rassegnazione.

--Ah perchè la fortuna non mi ha fatto nascere un conte!--sospirava
di tanto in tanto, incontrando qualche suo antico camerata, a cavallo
o in carrozza; e così sfogava tutta la stizza e l'odio suo; e perchè
gli pareva che certe distinzioni di caste non si potessero superare,
cercava di vivere il meglio possibile, impinzandosi di leccornie e
facendo la vita del Michelaccio alle spalle del babbo e della mamma.

Ma, dopo essere stato presente all'arresto dell'orefice fallito, e dopo
ciò che gli aveva detto il mercante filosofo, cominciarono a bollirgli
in capo pensieri e desideri nuovi. Pochi mesi lo mutarono come fossero
trascorsi parecchi anni, e sentiva che non gli bastavano più nella vita
nè le dolcezze dei pasticcini paterni, nè i pochi quattrinelli che
cavava di tasca alla mamma.

--I galantuomini sono coloro che san rubar molto e bene....
Dunque--pensava Pompeo--tanti che sfoggiano lusso da gran signori e
che si vedono riveriti e stimati, non sarebbero altro che birbe e
imbroglioni fortunati?

Allora si mise a discutere sull'origine delle grandi fortune; e
specialmente di quell'aristocrazia recente, che, per l'irresistibile
potenza del danaro, era quasi sul punto di sopraffare l'antica. E il
figliuolo del cuoco, che aveva sempre servito nelle case grandi e che
non avrebbe potuto concepire da solo (nel 1842, o nel 1843) l'idea di
una vistosa fortuna disgiunta da un qualche titolo di nobiltà, provò
una piacevole sorpresa quando vide, osservando bene, che non erano i
danari la conseguenza dell'esser nobile e titolato, ma che invece, per
lo più, la nobiltà e i titoli erano la conseguenza... del _conquibus_!

--Dunque anch'io--concludeva Pompeo--potrei farmi un riccone, e metter
su casa e carrozza e superbia?...--Non era poi vero che i _padroni del
mondo_ fossero gente di un'altra razza e di un altro sangue!... Tutto
stava nel saper scegliere la buona strada e nel pigliar la fortuna per
il ciuffo!

--Ma, come fare?... Da che parte incominciare?

Lì stava il difficile: da che parte incominciare!

Gli era venuto in mente, sul principio, di avviarsi agli impieghi,
oppure di dedicarsi agli studi, ma codeste fisime durarono poco.

--Per avanzar negli impieghi--pensava Pompeo--bisogna trovare validi
aiuti, e per gli studi non ci ho gamba. E poi, anche a farla grassa,
come impiegato resterei sempre pitocco, e colle professioni d'avvocato,
o di legale, che sono le più lucrose, ci vuol troppo tempo e si risica
di crepare prima di arrivare in porto.... Certo, tutto ben ponderato,
il miglior partito sarebbe quello di mettermi negli affari, ma in
questo caso mi ci vorrebbe una buona scorta di quattrini per non
capitar nelle mani degli usurai, come l'orefice del _Gobbo d'oro_. Ah!
se potessi riuscire a mettere insieme un capitaletto! Potrei tentar la
sorte di qualche speculazione!...

Fatto questo disegno, ci s'impuntò con tutte le forze. Era l'idea
più pratica, e quella che meglio si confaceva all'indole sua. Non
avrebbe dovuto far di cappello, nè stare agli ordini d'alcuno. Avrebbe
impinguato giorno per giorno il suo borsellino; e poi o dentro o fuori:
o sarebbe diventato ricco, o avrebbe preso in santa pace il suo destino.

Da quel momento Pompeo fece risparmio d'ogni superfluo; e quindi, a
poco a poco, senza accorgersene, diventò avaro; e di un'avarizia così
sordida, da non aver riscontro in nessun altro giovane. Vendeva di
nascosto la roba di casa per far quattrini, e usava tutti i modi, tutti
gli espedienti, fin anco le garbatezze, per mungere le tasche del babbo
e della mamma. Avrebbe dannata l'anima per il becco di un quattrino.
Aveva rinunziato alle ambizioncelle di zerbinotto, ai vizi e sino agli
svaghi che potevano costargli qualche soldo; e rinunziò pur anco
all'amore, che per lui, non gentile d'animo, nè d'aspetto, non era mai
stato un dono della fortuna.

Pompeo, colla faccia olivastra, secca, senza barba; col naso
schiacciato e storto, e cogli occhietti piccoli e un po' loschi,
somigliava più al babbo che alla mamma; ma aveva meno cuore dell'uno
e dell'altra. In casa era sempre lunatico e irascibile; fuori, quando
gli faceva comodo, sapeva prendere i tratti e le maniere di persona per
bene, e quantunque ignorante, tirava dritto a parlar di tutto e a dir
male di tutti, compiacendosene con certe sghignazzate sue proprie, che
risuonavano come uno schiocco di frusta. Fiacco di tempra, non avrebbe
resistito a nessuna fatica nè morale, nè materiale, ed ora lo manteneva
saldo ne' rigorosi propositi soltanto la fede ne' suoi sogni fantastici
di lusso, di godimenti e di prepotenza.

Tutto il giorno, quando passeggiava solo per le vie di Milano, e
la sera, appena entrato a letto, egli continuava a fabbricare e a
rifabbricare il suo bel palazzone che avrebbe comperato, facendo un
affar d'oro, da qualche nobile spiantato. E già lo addobbava nella sua
mente con un fasto principesco; e comandava a bacchetta al servitorame.
Poi, quando il ragazzaccio era tentato dagli stimoli dell'amore, anche
allora teneva duro, pensando al giorno in cui avrebbe avuto per amante,
o per moglie, una gran dama, proprio una Venere dell'Olimpo, simile a
una di quelle belle signore che aveva vedute, da fanciullo, capitare
alcune volte in giardino in mezzo ai signorini per portar loro dolci
e balocchi, per coprirli di baci e di carezze, spandendo attorno dai
capelli e da tutta la vaga persona un profumo nuovo, penetrante più
del profumo stesso dei fiori.... Sì; voleva avere una di quelle donne
pallide, delicate che, mentre prodigavano tante moine a' suoi compagni,
non degnavano nemmeno di guardarlo, lui, il figliuolo del cuoco!... Sì,
la voleva; ma la voleva per vendicarsi, per trattarla da padrone, per
farle scontare lo sprezzo e l'alterigia delle sue compagne!

Passato qualche tempo aveva pensato bene, per certi riflessi, di
vincere la sua salvatichezza burbanzosa, e aveva cominciato a fare
amicizia con alcuni giovinotti ch'erano fra' suoi casigliani. I
Barbetta abitavano proprio nel cuore della città, vicino a _Piazza
Mercanti_, in una di quelle tante stradicciuole strette, abbuiate da
altissimi tetti; piene di gente, di fracasso, e di sudiciume, che
c'erano allora, appunto fra _Piazza Mercanti_ e la via di _Santa
Margherita_. La sua viuzza, più che altro, pareva un andito tortuoso,
girante fra mezzo a portichetti e a cortili di case, aperti al pubblico.

In principio, dalla parte di _Santa Margherita_, c'era una vôlta
bassa, lunga, dove l'oscurità era così fitta, che anche di giorno,
per sicurezza, vi mantenevano acceso un lampioncino ad olio. Sotto a
quella vôlta, oggi demolita, e che fin d'allora era chiamata _dell'Arco
Vecchio_, si vedeva, solitamente aperta, una porticina, di stile
gotico, da cui si entrava in una cortaccia che pareva la gola di un
pozzo tanto era angusta e tetra. Vicino a ogni angolo di quel buco,
sempre ingombro di casse e di ceste vuote e dove le pareti, annerite,
tramandavano un tanfo di mucido, c'era una scaluccia a chiocciola,
sudicia e buia, come tutto il resto: di là si saliva al quartiere del
cuoco Barbetta.

In quella vecchia casa stava la gente ammonticchiata come le acciughe,
ed era tanta da bastare a popolare un piccolo paese. Però, Pompeo,
non si spinse a far amicizia con tutti i pigionali dello stabile, ma
invece scelse, fra i pari suoi, chi potesse un giorno essergli utile.
Erano figliuoli di piccoli merciai che stavano in bottega col babbo, o
giovani praticanti di qualche cavalocchio, o commessi di negozio.

Abitava pure, in quella casa, un personaggio singolare, che aveva
attirato subito l'attenzione di Pompeo: era un vecchio dall'aspetto
rispettabile, tutto lindo e sempre vestito di nero come un curiale,
che aveva a pigione due piccole stanzette al terzo piano. Chi fosse
non si sapeva bene: sull'uscio del suo quartierino vedevasi soltanto,
attaccato ad una borchia d'ottone, un cartello bianco, rettangolare,
con su scritto a mano, in carattere gotico, grosso: _Mediatore_;
senz'altro.

Nessuno ricordava il nome di famiglia del personaggio, perchè nella
casa, da tempo immemorabile, era invalso l'uso di chiamarlo _Don Miao_,
imitando la voce del gatto. E davvero come i gatti, egli capitava
addosso alla gente all'improvviso grazie alle scarpe di cencio, che
usava anche d'estate; e andava attorno adagio adagio, rasente le
pareti, e aveva poi certi occhiali d'oro che quando egli appariva tra
l'oscurità delle scale e degli anditi, gli luccicavano sulla faccia
rotonda, pelata, rossiccia, come fanno al buio gli occhi del gatto.

Nel complesso _Don Miao_ conservava alcunchè di misterioso, quantunque
co' casigliani si mostrasse sempre pieno di complimenti, di garbatezze
e di storielle. Ma la sua cortesia, con tutti uniforme, non dava
adito a confidenze; nè si sapeva nulla della famiglia sua, nè della
clientela, nè della gente che praticava. Per altro, non destando
egli grandi curiosità, e non recando poi fastidio a nessuno, anche
gl'inquilini dell'_Arco Vecchio_ finirono col non curarsi di saperne
di più e col lasciarlo vivere in santa pace. Gentile e paziente,
mostrava molta predilezione verso i bamberottoli del casamento, e
con loro amava intrattenersi lungamente, facendoli chiacchierare; e
spesso li baciucchiava e li regalava di chicche; ma i maligni anche
in ciò trovavano da ridire, sussurrando che fossero tutte lustre per
cattivarsi l'animo delle bambinaie e delle donne di servizio colle
quali, per dir vero, egli era proprio di una galanteria sopraffina.

Anche Pompeo, come le serve della casa, aveva subìto il fascino
dell'abito nero, degli occhiali d'oro, e della grande considerazione
in cui il vecchietto era tenuto. Ma più che altro, appunto per l'aria
di mistero che gli spirava d'attorno, egli lo aveva giudicato un
furbacchione di quelli che san condur bene i propri affari, senza
render conti a nessuno, e che poi un bel giorno, magari quando
crepano, si sente dire che erano milionari!--A ogni modo,--pensava il
giovinotto,--anche se _Don Miao_ non nasconde il morto sotto il letto,
deve certo trattar con ricconi, con banchieri, con casse forti, chè
non gli si vede mai alle costole quella gentucola che usa bazzicare
co' mediatori di piazza!--E subito cominciò a salutarlo con gran
rispetto, e tentò ogni mezzo per avvicinarlo un po' più degli altri e
per entrargli in grazia....--Ma chè!... La simpatia pareva non fosse
reciproca. A Pompeo, per quanto facesse, non gli fu possibile di
varcare i limiti dei complimenti comuni o delle solite chiacchiere sul
più o sul meno. _Don Miao_ gli sorrideva, cortese; gli contraccambiava
gl'inchini rispettosi con un "buon giorno, caro" affabilissimo,
accompagnando il saluto con cenni ripetuti di mano e strisciando
sull'erre grassa con una mellifluità piena di protezioni; ma dopo quel
sorriso e quel fare garbato, se l'altro cercava andare più innanzi,
si sentiva fermato a mezzo delle sue espansioni, come da un muro di
ghiaccio.

In sulle prime Pompeo non si perdette d'animo.

--Se _Don Miao_--pensava--mi volesse aiutare, potrei avviare le cose
mie, e, se non altro, far crescere il mio peculio!--E con tale idea
fissa in capo, si fece ancora più cerimonioso, più umile e insinuante
col vecchietto, e sembrò che gli si volesse proprio attaccare alle
falde, tanto che quegli, seccato e insospettito, e non indovinando
certo il perchè di quell'insistenza, senza smettere punto i sorrisi e
le maniere gentili, cominciò a schivarlo e a tenerselo lontano, finchè
Pompeo, vedendo riuscir vani i suoi sforzi, perdette la pazienza,
insieme colla speranza, e:--Pitocco maledetto!--gli borbottò dietro,
tutto stizzito,--non dovevi alloggiare in una stamberga del terzo piano
se volevi far tanto il superbo!

Poi, a sfogo di bile, cominciò a dirne male e a metterlo in sospetto
presso gli altri pigionali.

--Chi era, alla fin fine, quel vecchio tenebroso? quali erano le sue
aderenze? Perchè viveva sempre solo? Chè! Chè! Bisognava star in
guardia; non fidarsene punto. Vattelapesca chi era! poteva essere un
farabutto; un mercante fallito, un pezzo da galera!

Data la spinta, successe in quel subito un po' di sussurro, e tornarono
a galla le curiosità, i discorsi e i commenti di una volta; ma il
pettegolezzo non durò a lungo. _Don Miao_ si era assentato per qualche
giorno da Milano, andando in campagna, e allora i pigionali non
trovandoselo più tra' piedi lo dimenticarono e anche a Pompeo passò un
poco la stizza.

Da questo fatto, per altro, parrebbe che il figliuolo del cuoco godesse
di un certo credito al _Vôlto dell'Arco Vecchio_; e in parte la cosa
era vera.

Sulle prime, quand'egli cominciò a perdere la salvatichezza e ad
accompagnarsi co' suoi casigliani, questi stettero un po' titubanti,
perchè vedendogli stillare il quattrino, dubitavano ne avesse pochi
da spendere; ma poi, quando si accorsero che la sua era avarizia
e non miseria, lo presero subito in una certa stima. Dietro le
spalle gli davano dello spilorcio, e mettevano in burletta la sua
grettezza, ma poi, sul muso, gli facevano tutti il bel bellino, se lo
tenevano caro, gli pagavano da bere e volevano che prendesse parte
alle loro festicciuole, quantunque sapessero che non era suo costume
contraccambiare gl'inviti.

Pompeo, cominciando così ad accorgersi anche per scienza propria
della verità del proverbio che: "chi ha è, e chi non ha non è," si
attaccò vie più al danaro e ogni giorno sentiva crescere la bramosia,
la febbre di diventar ricco; ma, sgraziatamente, il tesoretto non
aumentava in proporzione dei desideri; ed egli vedendo che a quel modo
avrebbe dovuto stentar tutta la vita senza costrutto, si addolorava e
si avviliva e gli pareva adesso di essere anche più pitocco di prima,
perchè il danaro è come il sapere: bisogna averne un poco, per capire
di non averne punto.

La fretta stessa dell'arrivare gli metteva in corpo mille inquietudini
che lo rendevano un po' incerto nella presa risoluzione e gli
toglievano fiducia della buona riuscita. Anche i cari sogni della
fantasia, appunto per esser sempre quelli e non altro, cominciarono
a perdere delle loro attrattive. Egli si era già fabbricati in testa
tanti palazzi da rifar mezza Milano, e ormai si era già date per amanti
tutte le più belle signorine che incontrava per istrada; ma quando si
chiudeva in camera e tornava a contare per la millesima volta i suoi
danari s'avvedeva che sarebbero bastati appena per metter su bottega di
_tortelli_!...

Co' suoi vecchi era diventato a poco a poco sempre più rapace e più
scontroso; il suo umore bisbetico amareggiava gli ultimi giorni di
quella povera gente. S'era messo in testa che il babbo e la mamma gli
nascondessero il morto e però li tormentava in mille modi, parendogli
che colla loro avarizia fossero di impedimento alla sua fortuna. Ma
la verità era che la mamma aveva finito i quattrini; e da un'altra
parte il cuoco Barbetta, per quanto affezionatissimo al figliuolo
e condiscendente ai suoi capricci, doveva pure dar qualche cosa da
mangiare ai padroni!...

Invaso dalla smania di arricchire e con mille ghiribizzi che gli
frullavano nel cervello, Pompeo andò allora a consigliarsi, di
sottecchi, or coll'uno, or coll'altro de' suoi amici. Ma i loro pareri
non facevano per lui. Uno gl'insegnava la via di mettere il danaro a
usura, in barba alla legge; un altro proponeva certe speculazioni colle
quali, in un paio d'anni, si poteva raddoppiare il capitale: insomma,
tutte chiacchiere!... Pompeo voleva centuplicarlo il suo danaro, e
subito, e poi centuplicarlo ancora!

--Ah se quella gatta melliflua di _Don Miao_ avesse voluto aiutarmi!--E
il giovanotto avvezzo sempre a lavorare di fantasia, aveva finito con
credere, come un articolo di fede, che _Don Miao_ fosse proprio l'uomo
dei miracoli; onde, rammaricandosi del contegno riserbato del vecchio,
tanto più s'irritava contro l'avverso destino.

Come avevano fatto e come avevan cominciato coloro ch'eran riusciti
ad acciuffar la fortuna?... Aveva sentito dire che bisognava essere
audaci.... Ebbene, lui, nel caso, sarebbe stato pronto a tutto!... Che
si doveva bandire gli scrupoli: e lui non ne aveva mai avuti!... Del
resto, anche se fosse stato costretto a recar danno agli altri, una
volta ricco avrebbe potuto riparare il male, e largamente!... Non era
più il secolo delle pecore; ma bisognava farsi lupo, chè, a restar
pecora, c'era da farsi mangiare, come l'orefice del _Gobbo d'oro_....
Dunque?... Ma già lui, che era la calamita delle disdette, sarebbe
stato costretto a restar galantuomo per forza!

Con quella smania addosso, pur di fare qualche cosa, si lasciò vincere
dalla tentazione, e una volta che i suoi compagni giocavano a _sette e
mezzo_, domandò una carta.

Erano più e più sere che stava là chiuso in una stanzuccia d'un
caffeino a vederli giuocare senza puntar mai. Stava vicino al tavolino
allungando il collo e cacciando la testa fra le teste dei giocatori,
tutto attento, assorto, fisso cogli occhi anche lui sulle carte.
Intanto, colla mano in una tasca dei calzoni, faceva girare e rigirare
una svanzica fra le dita convulse, senza mai osare di tirarla fuori.
Ma per altro, fra sè, fingeva ad ogni partita d'averla puntata sulla
carta di questo o di quell'altro giuocatore, e si rallegrava tutto,
quando vedeva che avrebbe perduto; e, viceversa, si rodeva l'anima,
quando vedeva che avrebbe vinto. Così, provava, senza arrischiar nulla,
tutte le commozioni del gioco, e a quel modo passava le sere e gran
parte delle notti.

Ma quella volta, non si sa come, giocò. Chiese la carta con voce rauca,
levandosi in piedi di scatto. Tutti si misero a guardarlo maravigliati,
e qualcheduno, celiando, gli domandò se voleva morire. Pompeo non
rispose nulla: guardò la sua carta e vi puntò la svanzica che gli
bruciava fra le dita. Dopo puntata l'avrebbe voluta ritirare; ma non
era più in tempo, e provò un'angoscia affannosa in quel minuto in cui
chi teneva banco guardava la sua per risolvere sul da farsi. Era una
partita d'impegno perchè, di solito, non si vedevano girare altro che
monete di rame.

Il giocatore non rimase molto in sospeso. Con una rapida occhiata fece
il conto di tutte le puntate degli altri e vide subito che, sommate
insieme, restavano al di sotto della svanzica.... La sua carta era il
sei, ma quella di Pompeo doveva essere il sette, altrimenti egli non ci
avrebbe puntato, e tanto meno poi così grosso!

--Stai fermo?--domandò Pompeo con voce strozzata.

--No; prendo carte,--rispose l'altro:--ne scoprì una; era il fante di
spade.

--Sei e mezzo!--esclamarono tutti insieme i giocatori.

Le guance livide del Barbetta arrossirono a un tratto e le labbra gli
tremarono dal piacere.

--Bisogna che ne prenda un'altra,--osservò con aria grave, ma
tranquilla, il suo competitore.--Pompeo ha un sette di certo. Del
resto...--e guardò le carte in giro,--figure ne son uscite poche.

Scoprì un'altra carta (i giocatori stavano attenti, muti, senza neppur
fiatare): era il re di danari.

--Sette!--esclamò a una voce tutta la brigata levandosi in piedi.

--Sto fermo,--dichiarò subito il banchiere.

Pompeo aveva perduto; buttò con ira la sua svanzica sul tavolino
brontolando che l'altro doveva conoscere le carte. Poco mancò non
leticassero; ma Barbetta s'acquetò subito, premendogli di correr dietro
a quella prima svanzica, e giocò tutta notte, e tutta notte perdette.

Egli variava le puntate, dai tre centesimi ai cinque; dal quarto
di svanzica alla mezza svanzica e alla svanzica intera; ma non ne
azzeccava una: se puntava poco, vinceva: se puntava molto, era sicuro
di perdere.

Aveva la faccia livida, gli occhi loschi, stranamente infossati.
Tracannava i bicchieri d'un fiato, ma non riusciva a stordirsi. Intanto
si faceva tardi e i suoi compagni volevano andarsene; ma Pompeo, fuori
di sè per quella febbre indemoniata, teneva duro ad ogni costo, e
gridava, smaniando, che era più presto del solito; che non avrebbero
dovuto andar via colle tasche piene, senza lasciargli tempo di prender
la rivincita; che quello si chiamava bruciare, e che gli facevano
una porcheria. Poi vedendo che colla prepotenza non otteneva nulla,
li pigliava colle buone e si faceva umile, e li supplicava, colle
lacrime agli occhi, di trattenersi ancora. Finalmente, quando tutti
si alzarono dal tavolino stanchi e proprio risoluti ad andarsene,
Pompeo, col mazzo di carte in una mano, afferrò coll'altra, per il
panciotto, un giocatore che pareva meno ostinato, promettendo e
giurando che sarebbe l'ultimo colpo, così fra loro; ma proprio l'ultimo
davvero!--Il paziente lo accontentò brontolando, e tornarono a giocare,
ma frettolosamente, in piedi, col cappello in testa e quasi al buio,
perchè il cameriere uggito e insonnolito aveva già cominciato a
spegnere i lumi.

Ma non c'era verso: Pompeo continuava a perdere.

--Anche i santi mi farebbero le corna; anche i santi!--borbottò
nell'uscire del caffeino, e per rimettersi diè in una sghignazzata,
ancor più stridente delle sue solite; pareva insieme una sfida e una
bestemmia.

Perdeva all'incirca una settantina di svanziche; meno di tre marenghi;
ma arrivato a casa sbalordito non potè chiuder occhio. Entrato a
letto gli pareva che tutta la sua cameretta gli ballasse intorno la
monferrina. Si sentiva nelle orecchie un ronzìo molesto, continuo,
come se avesse la testa piena di mosconi; e il vino bevuto gli pesava
sullo stomaco, crescendogli insieme colla smania l'arsura in gola e
l'amariccio in bocca.

All'alba si appisolò; ma subito si destò ad un tratto, col pensiero
della perdita fatta: allora, collo stomaco vuoto e illanguidito, sentì
il peso dell'angoscia anche più grave e profondo. In fin dei conti non
aveva perduto se non una piccola parte del tesoretto, ma ormai, con
quella buca di settanta svanziche gli pareva di non aver più nulla.

Che fare?... Giocare un'altra volta; tentar la rivincita? Ma avrebbe
potuto perdere dell'altro e si sarebbe poi roso dalla rabbia nel vedere
i quattrini suoi passare nelle tasche di que' ciaccheri.... No, no;
piuttosto avrebbe preferito buttarli nel Naviglio: così almeno nessuno
se li sarebbe goduti.

Pure qualche ripiego bisognava trovare; ci pensò alcuni giorni: poi,
stimolato dal vizio che ormai gli era entrato nel sangue, cominciò
a giocare al lotto. Andava di nascosto, in un botteghino lontano da
casa sua, in un quartiere dove non era conosciuto. Dato il caso che il
diavolo, una volta o l'altra gli mandasse un buon terno, Pompeo voleva
che non lo sapesse anima viva e meno che mai que' due vecchi spilorci,
che da un pezzetto s'eran messi a pianger miseria, per paura d'esser
toccati nella borsa!...

Giocò; per sua disgrazia vinse subito un paio d'ambi. Ne fu beato e
gli parve d'avere scoperta la vena d'oro. Ma invece, dopo quegli ambi,
non gli sortì più nemmeno un numero solo! Studiò il libro de' sogni e
le sibille dei lunari; si mise a cercar la fortuna con certi giochi
di carte che usano le vecchie mezzane, e si sprofondò nella scienza
cabalistica; ma tutto inutilmente; e intanto continuava a far grosse
giocate e fin dieci, dodici alla volta! Insomma, in poche settimane,
tutto il suo tesoretto passò nelle granfie _del governo ladro_.

E siccome una disgrazia non vien mai sola, così mentre egli stava
mangiando bile per quella disfatta, fu colpito da un altro disinganno
e fierissimo: in breve tempo gli morirono il babbo e la mamma, e per
quanto frugasse tutta la casa, non riuscì a trovare un soldo.

Questa volta non era soltanto rabbia la sua: era proprio disperazione!

--Ma per Dio,--pensava,--se ci fossero stati i danari, non avrebbero
potuto portarseli dietro! Dunque vuol dire che non possedevano proprio
nulla, che non sono stati buoni, in tutta la vita, altro che a piangere
e a mangiare!... E in tal caso perchè non mi hanno messo un mestiere in
mano? Perchè?... A che pro que' due vecchi mi hanno tradito?




III.


Allora cominciarono per Pompeo Barbetta i giorni neri. Sulle prime
campò alla meglio, con la gratificazione che gli era stata largita
dagli Alamanni (i padroni dove era di servizio suo padre, quando venne
a morire); ma poi, finiti anche que' pochi, non sapeva più come fare
per tirare avanti.

--Cani di signori!--brontolava tra sè,--non c'era pericolo, no, che si
rovinassero per i quattrini che gli avevano dato!--Avaracci sudici!...
E dire che il babbo li serviva come fossero tanti re di corona!

Ma nemmeno da questi lamenti poteva cavare profitto, e però se li
teneva dentro, senza sfogarsi, e co' padroni si mostrava invece umile,
rispettoso, pieno di riconoscenza e di bei complimenti e anche colla
portinaia e colle altre persone di servizio, ch'egli sapeva affezionate
alla casa, lodava di continuo la loro generosità e bontà d'animo.

Intanto la miseria ed i debiti gli crescevano attorno un dì più
dell'altro.

Que' due vecchi, pensava, non potevano crepare in peggior momento.
Proprio quando egli aveva dato fondo a' suoi risparmi; quando si
trovava coll'acqua alla gola... E per poco non faceva loro un addebito
anche d'esser morti!

Cominciò a vendere, capo per capo, tutti i mobili di casa; e fin
gli utensili più necessarii. Non aveva trovata un'anima pietosa che
gl'imprestasse il becco di un quattrino. Non aveva più amici, nè
conoscenti: tutti lo sfuggivano e fingevano di non vederlo per non aver
la noia di salutarlo.

Almeno (gli avrebbe fatto tanto comodo) lo avessero invitato qualche
volta a pranzo!... Quand'era pieno di quattrini e mangiava bene a
casa sua, tutti facevano a gara per averlo alla propria tavola e lo
imbeccavano come un passerotto... adesso che pativa la fame, non c'era
più un cane che lo volesse!

E tutti, adesso, lo biasimavano severamente per l'avarizia, il fare
bisbetico e l'alterigia di una volta....--Il figliuolo di un cuoco!--e
si mettevano a ridere--era stato pure un gran buffone!

Poi tiravano in ballo l'egoismo ed i mali trattamenti verso i genitori,
mormorando ch'era stato lui, che avea fatto morire que' due poveri
vecchi di stenti e di crepacuore.--Chè! chè!... Era un cattivo arnese
quel Barbetta! Aveva avuto ragione _Don Miao_ di non volerselo tra i
piedi!

Pompeo, che si vedeva schivato da tutti e si sentiva ronzare intorno
le chiacchiere, a volte schiantava dalla bile, e a volte rimaneva
avvilito, col cuore affranto, sotto quel cumulo d'ingiurie e di
maldicenze.

--Ah se un giorno, a costo di mettermi a fare qualunque cosa, anche
il boia! potessi diventar ricco e vendicarmi di tutta questa canaglia
ipocrita e vigliacca.

--Non c'è proprio al mondo altro che il danaro--quello solo!--e da
quello si giudicano le azioni.... Quando avevo il gruzzolo ero per
tutti un uomo onesto e rispettabile; adesso che non ho fatto nulla di
male, altro che dar fondo ai quattrini miei, son diventato un mariuolo.
Ah, se un giorno o l'altro potessi agguantare la fortuna! Non me ne
starei, dovessi barattar l'anima col diavolo!

Ma era passato il tempo di fabbricar castelli in aria: adesso bisognava
tenersi giù, terra terra, anche coi pensieri, e trovar modo invece di
pagar la pigione al padron di casa!

Questo galantuomo era già salito parecchie volte al terzo piano, in
cerca del suo pigionale; ma sempre inutilmente. Pompeo aveva buon naso
e gli scappava di sotto. Il creditore, non trovandolo, ridiscendeva
sempre le scale brontolando, ma continuava a pazientare.

--Nella peggior ipotesi--pensava--potrò mettermi al sicuro col
sequestro dei mobili!

Figurarsi dunque le furie del brav'uomo, quando venne a sapere che
il Barbetta aveva già fatto _repulisti_ del meglio. Oltre al danno,
s'ebbe a male d'essere canzonato. Gli fece la posta senza stancarsi, e
aspetta un giorno, aspettane due, tre, finalmente lo agguantò mentre
l'altro cercava di svignarsela sotto il _Vôlto dell'Arco Vecchio_.
Allora acchiappatolo per il bavero, cominciò a ingiuriarlo, smaniando e
gridando in modo da far correre tutta la gente del casamento:--Se non
mi paghi e subito--era il solito ritornello--ti manderò ad alloggiare
_gratis_ sotto chiave!... Furfante, fannullone!--e continuò per un
pezzo quella scenata, finchè stanco e rauco rallentò gli artigli e
Pompeo potè sfuggirgli di sotto correndo via, come un cervo ferito,
lontano, lontano, dove non c'era alcuno che lo potesse conoscere. Era
livido, batteva i denti come un febbricitante.

--In prigione.... in prigione....--Lo avrebbero messo in prigione
come l'orefice del _Gobbo d'oro_!... Ma dunque.... era proprio vero?
In prigione ci andava tanto il ladro quanto il galantuomo?! E in tal
caso.... In tal caso meglio sarebbe stato andarci per ladro!... Almeno
si poteva prima arrischiare di far quattrini!... Già la povera gente
non godeva più nessuna libertà.... Era stato fermato per la strada...
insultato... percosso... e tutti stavano a veder lo spettacolo
ridendo!... Sarebbe stato cacciato in prigione... e tutti avrebbero
applaudito!--Già... già... già!--e i denti gli tremavan tanto da
scricchiolare, e andava attorno stordito come un ubbriaco:--Già...
già... già... la miseria è la schiavitù dei bianchi! Bisogna
affrancarsi... o curvar la schiena sotto le bastonate.... Affrancarsi o
curvar la schiena!

E per tutto quel giorno e per molti altri ancora Pompeo Barbetta durò
a lamentarsi e a filosofare in quel modo: e avrebbe pur continuato per
un pezzo anche a digiunare, se una buona figliuola, vedendolo sempre
tristo nell'aspetto, umile e rassegnato, e credendolo di animo gentile
come con lei si mostrava a parole, non si fosse presa di compassione
per il poveretto; poi la compassione si mutò in simpatia, tanto che,
dopo aver cominciato col soccorrerlo, finì col volergli bene.

Questa caritatevole creatura era la portinaia degli Alamanni, gli
ultimi padroni del cuoco Barbetta.

Era nata e avea vissuto in quella casa e propriamente nelle due
stanzucce terrene della porteria, dove anche i genitori di lei erano
invecchiati e morti, sempre fidatissimi e sempre al servizio degli
Alamanni.

La Betta, così chiamavasi la povera ragazza, rimasta orfana, aveva
continuato a far la portinaia in quella casa, e vi era tenuta in conto
quasi d'una figliuola.

Ma, salvo la fortuna d'avere un discreto impieguccio e qualche
quattrino messo in serbo da' suoi parenti, la Betta poteva dirsi
proprio disgraziata.

Piccolina, magrolina, tisicuzza era, sebbene ancor giovane, senza
bellezza e senza salute. La testa grossa, co' capelli biondi, fini
fini e radi, portava un po' piegata fra le spallucce ricurve, come se
il collo sottile fosse un picciuolo troppo debole per tenerla ritta.
Ma pure nel sorriso e negli occhi aveva un'espressione così mite di
soavità rassegnata e affettuosa che la rendeva subito simpatica al
primo vederla; un'espressione a volte indefinibile e con la quale
pareva, in certo modo, volesse domandar perdono della sua bruttezza.

La Betta era uno di quegli esseri privilegiati e infelici che non sanno
far altro al mondo che voler bene. Dopo la signora Lucia, la padrona,
per la quale la Betta sentiva una vera adorazione, dopo gli altri della
famiglia, dopo le stanzucce dov'era nata e che non abbandonava mai
fuorchè per recarsi alla chiesa vicina, essa voleva bene a tutti; si
dava intera a quelli che avevano bisogno di lei con un trasporto ch'era
la sola voluttà della sua personcina ammalata. Le sofferenze, le beffe
e la stessa ingratitudine non le avevano mai strappato di bocca un
lamento, nè una parola cattiva.

Quando le morì il babbo, e poi la mamma, essa si ammalò tutte due
le volte; ma, neppure allora, non mutò natura: non s'inasprì la sua
dolcezza, non fu smossa la sua fede, e la preghiera sua non le uscì
meno calda e fervorosa dal cuore angosciato.

Pure, sapendo di non esser bella, essa non si era mai innamorata, e
perciò appunto sentiva come il bisogno di diffondere intorno a sè, in
una tenerezza tranquilla e perenne, l'affettuosità appassionata che
le traboccava dall'anima. Voleva, non potendo dare il suo cuore a una
persona sola, almeno dividerlo fra tutti coloro che la circondavano.

E lo stesso Pompeo non l'aveva vinta colle seduzioni dell'amore, ma
soltanto colla grande pietà che, insinuandosi a poco a poco nel suo
animo, avea saputo ispirarle.

Quell'improvviso mutamento di fortuna, quel vederselo capitar dinanzi
smunto e lacero, dopo averlo conosciuto lindo come un damerino, e la
fame che aveva scritta in viso, e la sua aria di rassegnazione e le
sue lacrime per non aver potuto seppellir degnamente i suoi poveri
morti, e la gratitudine verso gli Alamanni e infine l'entusiasmo con
cui parlava sempre della signora padrona avevano acceso lo spirito di
carità nella fanciulla e in pari tempo esaltata la sua fantasia. Essa
così s'indusse ad amare Pompeo; e lo amò appunto perchè lo credeva
buono e infelice, lo amò come poteva amar lei, non per altro che per
far del bene.

Non ebbe quindi i turbamenti e i languori delle fanciulle innamorate.
Il suo volto pallido non arrossì mai per alcuna commozione, e i suoi
occhi buoni, non mandarono guizzi di foco, ma rimase inalterata la
tranquilla e serena espressione del suo sorriso. La Betta, mentre
donava tutta sè stessa ad un uomo, non pensava se non a restituirgli la
famiglia perduta, nè si aspettava altro gaudio che quello di dividere
la sua casa e il suo pane con uno sventurato, privo di soccorsi e
troppo altero per stendere la mano. E se pure una simpatia più nuova
per il suo cuore, e più viva, entrava per qualche cosa nell'impeto di
carità che l'aveva spinta a quel passo inconsiderato, era la simpatia
mesta e profonda che nasce dalla corrispondenza dei comuni dolori.
Anche Pompeo era rimasto orfano come la Betta; come lei aveva perduto
in poco tempo il babbo e la mamma, e così le loro lacrime avrebbero
potuto confondersi in un solo pianto e le loro speranze e i loro
affetti in una sola preghiera.

Tutto ciò formava l'amore della povera giovane: troppo alto e puro
perchè chi ne era l'oggetto potesse contraccambiarlo od intenderlo.

Anche dopo il matrimonio, la portinaia degli Alamanni continuò
a rivolgere al cielo, come in cerca di pace, gli occhi dolci e
rassegnati; ma spesso si vedevano pieni di lacrime, e s'era fatto più
mesto il loro sorriso. Vestiva ancora, tutta linda, lo stesso abito di
rigatino che aveva da ragazza; ma non le stava più bene; era diventato
troppo largo per il suo corpicciuolo che dimagrava ogni giorno più;
mentre invece il sor Barbetta si dava le arie di aver fatto, sposando
la portinaia, un matrimonio morganatico e tornava a star sulle sue,
ripigliando un'aria florida e prepotente.




IV.


Pompeo credeva di aver concluso un miglior affare. Egli aveva sperato
che il gruzzolo della _gobbetta_ fosse più grosso.

Nei primi giorni del suo matrimonio, trovandosi con tutti i comodi e
ben pasciuto nelle due stanzucce della porteria, tepide, pulite, e
piene zeppe di roba, gli pareva d'essere, addirittura, in paradiso.
Poi nella camera degli sposi, proprio di contro al letto ampio e alto,
facea bella mostra di sè, l'altare di tutti i voti e di tutte le
devozioni di Pompeo: il cassettone dove stava riposto lo scrignetto.

Era un cassettone antico, di noce, e nella sua severità massiccia di un
aspetto straordinariamente simpatico agli occhi e assai consolante al
cuore di Pompeo.

Durante le lunghe serate in cui, nella qualità di promesso sposo,
teneva compagnia alla Betta, per far l'ora di chiudere la porta, Pompeo
più che colla fidanzata, faceva all'amore col cassettone. A volte,
alla luce fioca di una candela di sego, il cui lucignolo fumoso ardeva
crepitando, il vecchio mobile di noce, tirato a lustro, avea certi
chiarori, certi riflessi fantastici e pareva ancor più grande per le
ombre circostanti. E per tutto il tempo che rimaneva seduto in silenzio
accanto alla Betta che cuciva o ricamava, alzando ogni tanto gli occhi
dal tombolo per sorridergli, egli faceva e rifaceva il conto di tutti
gli anni ch'eran vissuti i vecchi della sua sposa; e di quanto avevan
guadagnato e speso, e di quanto, a un dipresso, avevano potuto metter
da parte.

La somma totale di questi risparmi, dal più al meno, era sempre
considerevole. Però, gli occhietti di Pompeo, guardando verso il
cassettone, si facevano luccicanti, e con quella sua testaccia così
facile ad esaltarsi, si teneva sicuro d'aver trovato il tesoro e già
ci faceva sopra di bei disegni quando, giunto l'istante di por la mano
sul sacchetto, s'accorse d'aver sbagliato all'ingrosso. In un attimo il
paradiso si tramutò per Pompeo in un inferno; dal dolore e dalla rabbia
gli parve di essere stato frodato e canzonato.

--Duemila settecento svanziche?!--mormorava fra sè, strappandosi coi
denti i baffettini radi:--Duemila e settecento svanziche?! Possibile
che in vent'anni e più di economie quella gente che viveva come le
talpe, abbia messo da parte così poco?... Chè! Chè! Non è possibile!...
Chi sa quanti ne avrà sprecati dei quattrini quella brutta civetta che
può proprio vantarsi d'avermi chiappato alla pania. Costei ha proprio
le mani bucate!

Fisso in quest'idea, coll'ostinazione propria dei ragazzacci viziati.
Pompeo non dette più pace a sua moglie. Cominciò a sgridarla e a
maltrattarla, perchè era una sciupona e perchè non conosceva il valore
del danaro e lo buttava via senza pensar all'avvenire. Poi regolò la
casa in maniera che la Betta gli doveva render conto di tutto, fino
all'ultimo pezzetto di pane.

Pompeo teneva le chiavi e misurava la legna, l'olio per la lucerna, il
filo per cucire. Era lui che andava a fare la spesa, ed a riscuotere
il salario dal ragioniere. I giorni delle mance non abbandonava mai la
porteria, e stava addosso alla moglie, con tanto d'occhi, strappandole
subito di mano quanto le veniva regalato; e la sera, quando la
poveretta era in letto, frugava dappertutto; e le scoteva la veste,
per sentire se aveva nascosto qualche quattrinello; perchè "quella
sorniona" diceva lui "era capacissima di levar di bocca il pane a suo
marito, per ingrassare gli oziosi e i vagabondi." Poi, a poco a poco,
le rifiutò anche il danaro per le medicine, sostenendo che, _col suo
fisico_, non poteva pretendere di star bene.--Quando alla macchina
manca una ruota,--le diceva, a mo' di conforto,--si ha un bell'ungerla,
non può girare. Stare in dieta, tenersi riparata dall'aria, e
accontentarsi di andare innanzi alla meglio, senza intrugliarsi lo
stomaco: non c'era da far altro. E un giorno, finalmente, avendo la
Betta preteso di fargli qualche osservazione, Pompeo esclamò alzando
la voce che, se avesse dato retta a' suoi grilli, alla sua manìa
spendereccia, sarebbe andato presto in malora!

--Duemila settecento lire!--ripeteva fra sè.--Proprio una miseria!
Fossero state almeno tremila, la cifra tonda! Basta; queste per ora le
metteremo a dormire e a mano a mano che ne verranno altre, andranno
a tener loro compagnia!--E così, ritornato al possesso di qualche
soldo, Pompeo si rifece avaro. Non aveva più le matte illusioni di una
volta, ma si godeva il piacere che dà il danaro per sè stesso, e la
soddisfazione di vederselo crescere a poco a poco. Per altro non voleva
accumulare a proprie spese, assoggettandosi a stenti e a privazioni,
no; risparmiava soltanto sui bisogni della Betta. Lui voleva godersi il
papato: toccava a sua moglie a servirlo in ogni cosa e a stentare!

In casa Barbetta si desinava con una scodella di minestra e una fettina
di carne lessa; ma Pompeo era sempre il primo a servirsi e a mangiare,
perchè la moglie doveva cucinare e mettere in tavola; e pensava a
saziarsi lui, senza tanti complimenti. Già aveva per massima che la
Betta meno mangiava, meglio stava. Poi, ogni tanto, egli si faceva
fare, cogli avanzi della cucina dei padroni, qualche manicaretto, che
sua moglie preparava, ma che non doveva nemmeno assaggiare, perchè
"con quel suo stomacuzzo rovinato" le avrebbe fatto male di sicuro.
Vino, nemmeno per idea!, non se ne comprava mai! E le bottiglie, che la
signora Lucia mandava di tanto in tanto a regalare alla Betta, Pompeo
le metteva subito sotto chiave e poi, a desinare, ne versava un dito
alla moglie e ne beveva un buon bicchiere per sè:--A farti bere di più
sarebbe la tua morte!

Ma le premure di Pompeo per la salute della moglie finivano tutte lì.
Del resto, la povera donna era costretta a sfaccendare giorno e notte.
Tutto lei doveva fare, anche la pulizia del loggiato e della corte.
Soltanto quando passavano i padroni e il ragioniere di casa, Pompeo
veniva fuori e strappando la granata di mano alla moglie, si faceva
vedere pieno di zelo per il suo servizio.

E già, in ogni incontro, egli aveva saputo fingere con loro un'aria
così umile e da buon ragazzo, e aveva saputo arrossire così bene per
la confusione e per il piacere, quando gli domandavano notizie della
salute della Betta, e s'era mostrato sempre così attento e sollecito
nell'eseguire gli ordini ricevuti che gli Alamanni lo avevano preso a
benvolere; tanto più che su questo punto erano ingannati anche dalla
Betta, la quale sarebbe morta di fatica piuttosto che fare scomparire
il su' omo presso i padroni. Essi perciò lo credevano una perla, e se
lo tenevano caro, affidandogli anche incombenze delicate.

Ma nelle stanzette della porteria le cose andavano diversamente,
e subito dopo le nozze il marito teneva la Betta in una specie di
continuo sbalordimento. E lui si godeva a imporsi, a comandare; faceva
ballar la sua donna sur un quattrino, e guai se fiatava!

Le ordinava tutto a cenni, senza dire una parola, _come ad un cane
ammaestrato_. Betta non doveva mai fermarsi sulla porta, non doveva
vedere, non doveva discorrere con nessuna amica. Le aveva proibito
anche di andare in chiesa, fuorchè alla festa, perchè non voleva
pettegolezzi e confidenze colle tonache. La mattina, d'inverno, essa
si levava molto prima di lui, per accendergli il fuoco e scaldargli
l'acqua; la sera andava a letto molto più tardi, perchè gli doveva
pulire e rassettare i panni, e prima di andarci lui se la faceva
inginocchiare davanti e le metteva nelle mani, magre e giallognole,
gli stivali pieni di mota, perchè glieli levasse; e a volte, quando
erano umidi, le dava tali scossoni da tirarsela dietro. E non le
risparmiava nessun servizio, per quanto umile e ributtante.

Nè Pompeo aveva coscienza di tutto il male che andava facendo.
Anzi, gli pareva in fondo al cuore di aver fatta una gran buona
azione sposando la gobba e di essere meritevole di ammirazione e di
compassione insieme, e da ciò traeva una specie di conforto, che
bastava a vincere ogni scrupolo, se per caso gli fosse venuto.

Per la gobba non era stata una bella fortuna quella d'aver trovato un
marito?... E, per di più, un marito giovane, senza difetti, senza vizi,
e di _buona famiglia_?

E così, secondo la logica di Pompeo, in casa sua tutto era ripartito
con giustizia. A lui toccava di vivere con quel canchero accanto: la
Betta doveva aver cura della casa e del marito....--Ciò che, alla fin
fine, facevano tutte le altre mogli, le quali, poi, anzichè fare schifo
come lei, erano belle e sane.

Betta, a cui non venivano mai risparmiati tali confronti, chiudeva
tutto in core: lo serviva, l'ubbidiva tremando, impaurita e istupidita
sotto la sferza di quel ragazzo villano, che aveva gli istinti del
tirannello. La disgraziata osava appena piangere la notte tardi,
a letto, quando suo marito russava, e anche allora soffocando i
singhiozzi sotto le lenzuola.

Una volta soltanto trovò la forza di ribellarsi. Pompeo voleva, a
ogni costo, che la moglie approfittasse per loro uso, dell'olio che i
padroni le affidavano, e che doveva servire per i lampioni del loggiato
e delle scale.

--Sei pur grulla colle tue fisime!--le diceva colla solita voce
arrogante.--Non ci sono portinai, scommetto, in tutta Milano che, come
noi, facciano la scioccheria di comperar l'olio a once avendone una
damigiana intera a disposizione.

--Fo sempre tutto quello che vuoi, ma ladra... non sarò mai!

--Stupida!... Che voglio forse insegnarti a rubare io?!

La Betta seguitò a scuotere il capo e, quasi parlando a sè stessa, come
volesse trovare nelle proprie parole la forza di cui aveva bisogno,
tornò a ripetere con orrore:--Ladra, mai!

--E dagliela!... Se tu fossi una ladra, sarei io il primo a mandarti
in galera! Quello che ti dico di fare, lo fan tutti: è passato in uso,
e anche i padroni lo sanno e chiudono un occhio!... Già... per il bel
salario che dànno ai portinai!

La Betta lo lasciava brontolare e, come al solito, stava zitta. Aveva
disteso un panno bianco sulla tavola, dalla parte opposta a quella
dov'era seduto Pompeo e s'era messa a stirare. Ma si vedeva che quel
lavoro la stancava assai e le faceva male, perchè sulle guance scialbe,
scarne, le apparivano due macchie di un rosso acceso.

Pompeo, seduto, canterellava dondolandosi sulla seggiola. Era irritato
per l'ostinazione e per il silenzio della moglie. Egli voleva trovar la
via di leticare per poi farle fare a modo suo, a furia di urlacci.

--Andiamo, rispondi: smetti di far la muta! Per tormentarmi ti fai
venire anche gli scrupoli dell'onestà; e poi non badi alle spese di
casa!

Betta, senza aprir bocca, tirava via a stirare, tutta piegata
colle ossa protuberanti sotto il vestito di rigatino sbiadito.
Pompeo si fermò di botto colla seggiola, e dando un gran pugno sul
tavolino:--Ohè, dico,--mormorò con voce sorda, strozzata, per non
essere udito di fuori, nel cortile,--sciogli lo scilinguagnolo, hai
capito? o ti dò un par di ceffoni da farti gonfiare il viso.

Betta, tutta tremante, si scostò dal tavolino alzando gli occhi
dolcissimi, pieni di spavento in faccia al marito: non poteva parlare,
perchè le lacrime le facevan nodo alla gola.

--Devi tacere sempre,--continuò l'altro che s'era alzato per
avvicinarsele:--sì, devi tacere sempre, perchè non voglio essere
seccato dai tuoi lagni e dalle tue ciance; ma adesso, invece, ti ordino
di parlare; te lo comando!

La povera donna indietreggiava ancora, e tentando di trar fuori la
voce, si stringeva la gola colla mano scarna di tisica.

Pompeo le si strinse addosso coi pugni chiusi, cogli occhi torvi che
l'ira rendeva anche più loschi, mentre i capelli folti, neri, tagliati
ritti a spazzola, gli si movevano sul capo, per una tensione nervosa,
come il pelo dei gatti.

--Hai capito, gobba?!

La Betta si sforzò, e mettendo fuori la voce con un singulto, balbettò
daccapo le stesse parole con un'espressione piena di terrore e
d'angoscia, che pareva insieme un lamento e una preghiera.

--Tutto ciò che vuoi... morir di fame... di fatica... ma rubare...
ladra... mai!

--Io sono più onesto di te, birbona!--e Pompeo, sulla cui faccia
scura, olivastra era corsa una vampa rossa di bile, afferrato uno
zoccolo ch'era stato messo accanto al fuoco, ad asciugare, glielo tirò
in viso, e la colpì così forte sull'occhio, che venne fuori il sangue.

Betta non gridò, non proferì una parola, non fece un lamento, smise
perfino di piangere. Cercò nelle tasche, dove aveva il fazzoletto, e
con quello si coprì la ferita.

Ma Pompeo alla vista del sangue fu tutto sossopra, e le corse subito
appresso, accarezzandola, domandandole perdono, giurandole che non
aveva mirato a lei, che aveva voluto soltanto farle paura....

--Già egli era fatto così, che a contraddirlo montava in bestia. E poi
quel giorno non si sentiva bene, aveva il sangue caldo, non sapeva quel
che faceva.

--Non è nulla.... non è nulla,--mormorava intanto la Betta, ripiegando
il fazzoletto che da una parte era già tutto rosso.

Pompeo era proprio pentito d'essersi lasciato trasportare a
quell'eccesso e poi era molto spaventato dalle conseguenze che ne
potevano nascere....--Se arrivava agli orecchi dei padroni ch'egli
maltrattava la moglie, e a quel modo, era bell'e fritto!

Volle per forza, che la Betta si bagnasse subito con acqua e aceto e le
medicò lui stesso la ferita con ogni cura e colla maggior delicatezza.
Ma dopo, quando si persuase che era una cosa da poco, e dopo
specialmente che udì la Betta raccontare a tutti ch'era sdrucciolata
nel sottoscala, egli tornò daccapo, col solito umore, ed anzi a cena
ordinò alla moglie, brontolando, che si coprisse il muso con una benda,
perchè "con quella ammaccatura gli faceva anche più schifo di prima."

Ma l'odio più feroce di Pompeo era contro i padroni: un odio che gli
si accumulava nell'animo giorno per giorno, sordamente, con nessun
altro sfogo tranne quello di dirne _plagas_ colla Betta, che non aveva
coraggio di difenderli contro di lui.

Il lusso dei padroni stizziva Pompeo; la loro felicità gli faceva male;
l'affezione rispettosa dalla quale li vedeva circondati gli pareva
"pecoraggine da plebei". Lui doveva sudare e stentar la vita per mesi
e mesi, prima di riuscire a mettere in serbo cento svanziche e quei
"cani di signori" che stavano lì tutto il giorno a non fare altro che
guardare in aria, avevano un mucchio di fittaioli che venivano al
palazzo a portare i marenghi a sacca!

Era forse giustizia, codesta?!

E ogni volta che gli Alamanni uscivano in carrozza e che Pompeo al
fischio del cocchiere doveva correre a spalancare il cancello, intanto
ch'egli si attaccava rasente alle pareti, inchinandosi, col berretto in
mano, faceva il conto che soltanto quell'equipaggio valeva dieci volte
più di tutti i suoi averi: e quel confronto lo sgomentava diminuendo
grandemente, a' suoi occhi, il valore del tesoretto; sicchè sentiva
sfumare, in un attimo, tutte le rosee speranze.

--Giù, una ribaltatura da fiaccarvi il collo!--mormorava poi,
ghignando, nel richiudere il cancello, mentre i cavalli, facendo la
voltata, s'impennavano sull'acciottolato della strada.

E non era questa la sola idea che lo tormentava; ma era tutta l'umile
oscurità della sua vita di servo messa a confronto col fasto e coi
godimenti dei padroni. E Pompeo sentiva meglio di ogni altro la grande
amarezza di così enorme disparità di fortuna, appunto perchè egli, da
ragazzo, era stato ammesso a vedere, e a godere anche, in parte, le
delizie dei ricchi, le quali gli avevano lasciato nella mente come un
raggio d'oro sfolgorante, che serviva a inasprire le sue invidie e le
sue afflizioni.

Quante volte mettendosi solo solo a mangiar la broda che gli preparava
la Betta sopra un angolo della tavola da stirare, egli pensava ai
signori del primo piano, alla loro mensa su cui scintillavano i
cristalli e le argenterie, e dove i camerieri e i servitori, seri e
composti, servivano da' piatti ricolmi i cibi succolenti e i pasticcini
e le leccornie manipolate dal successore di suo padre!... E quante
volte di notte, tardi, andando a dormire dopo che i padroni erano
ritornati dal teatro o da una festa, trovandosi nella sua cameretta
bassa, angusta, piena di robaccia vecchia e grossolana, in quel lettone
duro, e così alto, che bisognava prender lo slancio per montarvi su,
egli correva coi desideri alla camera "di sopra" grande e chiara,
tutta a stucchi, a dorature e a dipinti, dove il letto, coperto da un
drappo, spariva con amoroso mistero tra le tende e le trine. E Pompeo
pensava alla giovine sposa del suo padrone, che gli era apparsa tanto
bella mentre scendeva di carrozza, col piedino chiuso in una scarpina
da fata, coi capelli nerissimi, luccicanti di gemme, colle braccia e le
spalle nude. La vedeva ancora quando saliva le scale, appoggiata con
languida tenerezza al braccio del marito; e la voce di lei, e il riso
fresco e squillante, e il profumo di violetta delle sue vesti, pareva
diffondersi nella fredda stanzuccia del portinaio, che si sentiva
prendere da un impeto di rabbia; e guardando la Betta addormentata gli
veniva voglia di strozzarla per la sua bruttezza... come avrebbe voluto
strozzare quell'altro "di sopra" per le gioie che godeva!

--Ma dunque, il padrone doveva avere tutti i beni e le delizie della
terra, e lui niente?... Con qual diritto?! Tutt'e due non erano uomini
fatti allo stesso modo, di carne e di sangue? O perchè, allora, si
facevano le rivoluzioni?!...--E intanto bestemmiava senza poter pigliar
sonno; si voltava e rivoltava nel letto, mormorando che "ci sarebbe
stato bisogno d'un _Robespir_ (lui lo chiamava così) anche a Milano!"

In quel tempo, per altro, meno male!, gli rimaneva ancora qualche
conforto. I giorni, si sa, non sono tutti compagni, ed anche per Pompeo
ce n'era di quelli, se non affatto sereni, almeno senza burrasca.
Aveva ore di quiete in cui il suo spirito pareva disposto a ricevere
più miti impressioni, oppure un buon bicchier di vino gli faceva
nuovamente frullar pel capo le rosee speranze. Ma, in fondo, era sempre
il danaro che, come la lancia della favola, lo feriva, e lo risanava
ad un tempo; era sempre l'idea del suo piccolo capitaletto che a volte
lo avviliva e lo rendeva disperato, e a volte invece gli procurava
il balsamo d'illusioni dolcissime. Il suo avvenire egli lo vedeva
prepararsi e distendersi a poco a poco in quella borsaccia di pelle,
unta e bisunta, dove, insieme col cuore, aveva chiuso il libretto della
_Cassa di Risparmio_. E già egli aveva avuta la gioia di raggiungere
e poi anche di sorpassare la cifra rotonda delle tremila svanziche;
già gli pareva che sarebbe arrivato all'apice della felicità il giorno
in cui gli fosse dato di poter toccare l'altra cifra, più grossa,
delle cinque mila, e risparmiava su tutto, e faceva digiunare sua
moglie, e ricominciava lui pure a tenersi a stecchetto, mirando solo a
quell'unico fine, quando un avvenimento impreveduto venne a sconvolgere
i suoi bei disegni e a minacciare l'esistenza del tesoro.

La Betta era incinta!

In sulle prime, quando essa gli svelò, arrossendo e tremando (tremando
di gioia questa volta) il suo caro segreto, Pompeo non lo voleva
credere in nessun modo.

--Se non ricordo il tempo che t'ho presa in isbaglio per una donna!--le
disse dando in una delle sue sghignazzate.

Poi dichiarò che doveva essersi ingannata, e seguitò così finchè non fu
scomparso ogni dubbio sullo stato della Betta. Allora peggio che mai:
andò in furia come un matto, ingiuriandola e maltrattandola, quasi che
ne avesse colpa lei!

--Bel gusto: mettere al mondo un mostriciattolo, un infermo o un
rachitico, perchè già, col suo fisico, non c'era da aspettarsi
altro!--E poi dalla stizza passava a una maraviglia piena di
desolazione:

--Chi si sarebbe mai immaginato che uno sgorbio, che avea più del ragno
che della donna, potesse mettersi a far figliuoli!--

E perciò, appunto, si figurava che la "gobba" dovesse insuperbirsi del
fatto; e faceva di tutto per isvergognarla, per avvilirla, dicendole,
fra le altre cose, che "avrebbe dovuto contentarsi del baule che
portava sulle spalle."

Tutta quell'ira, tutta quella disperazione di Pompeo, provenivano
dal suo modo di sentire la paternità. Nel figliuolo che stava per
nascergli non scorgeva altro che una bocca di più da mantenere e
una rovina pel suo peculio, che vedeva sfumare dietro ai medici,
alle medicine, ai sciroppi e alle balie; e più sarebbe cresciuto il
bamboccio e più, pensava, sarebbero cresciute le spese...

--Addio bei disegni, addio speranze, addio sogni, addio tutto!
Era finita! Questa volta la fortuna gli aveva proprio voltate le
spalle!--Allora, prima che i suoi quattrini fossero mangiati "dagli
altri" volle mettersi lui a farli girare.

--In fine son danari di una gobba, e chi sa che non abbiano a farmi
buon gioco!--E pensò subito al modo d'impiegarli, e quali speculazioni
sarebbero state da tentare; e frattanto diventava sempre più cupo ed
irascibile.

Ma la Betta, adesso, si affliggeva molto meno per i maltrattamenti
del marito. Una gioia nuova e piena, le traboccava dall'anima, e non
sentiva più nè le privazioni, nè le angosce. Quella creaturina non
ancora perfetta, ma che si moveva e si agitava nel suo seno, era già
viva, era già sua, come fosse nata, e già le pareva di stringersela
amorosamente fra le braccia! Un'immensa pace spirava da' suoi
occhi grandi, d'un grigio chiaro, celeste, così vivo alle volte, e
scintillante per la contentezza, che non era più colore, ma pareva
luce. Le sue preghiere erano state ascoltate; il buon Dio, la Santa
Vergine, le avevano mandato ciò che doveva essere per lei amore e
conforto, e di quel bambino che aspettava s'era già formata la sua
consolazione e la sua difesa. L'uomo, che prima le incuteva tanta
paura, adesso non lo temeva più, e le riusciva indifferente... No...
alla _sua_ creaturina nulla le doveva mancare e non le sarebbe mancato
nulla. Per essa sentiva dentro di sè, nello spirito e nel sangue, una
forza di volontà, un'energia ignota fino allora: era già un'altra donna
con nuovi affetti, con nuovi doveri e con un nuovo coraggio... era la
madre!

Barbetta aveva notato subito lo strano mutamento di sua moglie.
Avvertiva bene che adesso c'era qualche cosa in quell'essere debole e
malatticcio; qualche cosa che gli sfuggiva e su cui non poteva dettar
legge e far da padrone; ma non arrivava a capirlo e lo spiegava a modo
suo: "Per i suoi affari egli non poteva più restar tanto in casa a
invigilare la moglie, ed essa cominciava già ad alzare la cresta!"

Pompeo aveva aperta una latteria, affidandone la direzione a un antico
sguattero ch'era stato a servizio sotto suo padre, ma che non era
andato molto innanzi nell'arte culinaria, perchè aveva troppo il vizio
d'ubriacarsi.

--Finchè beve vino, non berrà latte,--pensava Barbetta fra sè.

Quello sguattero smesso, gli andava a genio; lo aveva adoperato in
varie occorrenze anche quando era vivo e celebre suo padre. Uomo da
fatica, forte, tarchiato, era avvezzo ad ubbidire senza rifiatare. Lo
chiamavano _Sbornia_, e non se ne aveva a male.

Del resto Pompeo non avea fatto lussi nelle spese d'impianto: aveva
preso a pigione una botteguccia, in via _Santa Radegonda_, e l'aveva
fornita coi mobili della Betta. Non voleva fare il passo più lungo
della gamba lui; non voleva aver bisogno di ricorrere a prestiti; non
voleva finire come l'orefice del _Coperto dei Figini_.

Erano già scorsi due o tre anni da quel tempo, ma aveva sempre viva
dinanzi agli occhi la brutta scena, e gli veniva freddo al solo
pensarci!...

Tuttavia quel suo stambugio con un catino giallo ricolmo di panna
montata, dipinto sull'uscio a vetri, gli riempiva l'anima di
soddisfazione. Era roba sua; ideata e messa su da lui solo; e perciò
sentiva per la botteguccia un po' di quella compiacenza amorosa che
provava la Betta per il figliuolo che aveva da nascere.

--Ah!--pensava fra sè, abbandonandosi all'esaltazione solita in chi,
da giovane, si mette in una prima impresa--ah se questa volta avessi
trovata davvero la via di far quattrini!

Diamine; era tanto facile allungar il latte coll'acqua fresca e montar
la panna colla chiara d'ovo!

E allora, in grazia del buon avviamento del suo commercio, si astenne
per qualche tempo anche dal maltrattare la moglie.

La Betta, a mano a mano che s'inoltrava nella gravidanza, peggiorava in
modo da incutere le più serie apprensioni, e una disgrazia che fosse
successa in quei primi giorni ch'era stata aperta la latteria avrebbe
sconvolto i disegni di Pompeo. I suoi capitali, ormai, egli li aveva
tutti impiegati, e faceva assegnamento, per le spese di famiglia, sulla
pensioncella che gli Alamanni largivano alla moglie, e sui regali che
aspettava in occasione del parto della signora Lucia.

Ma la Betta, appunto per la pace lasciatale dal marito e per la gioia
e la felicità che si sentiva in cuore, sbugiardò completamente i
cattivi pronostici, e non solo superò la crisi dando alla luce un
maschiettino, al quale fa messo nome Giulio, in onor del padrone; ma
presto si rimise in forze stando quasi meglio di prima.

A cose finite, Pompeo, senza punto impazzire per la gioia d'essere
padre, intascò tutti i regali ch'erano stati fatti alla moglie; trincò
due bottiglie di barbèra e fece bravamente la sua zuppa nelle scodelle
di brodo sostanzioso che i padroni avevano dato ordine fossero inviate
alla puerpera, e poi, appena questa fu in piedi, le spiattellò tondo
tondo che, "siccome gli affari non andavano troppo bene, non poteva
spendere nemmeno un soldo per la balia di Giulietto. D'altra parte era
affar suo, codesto.--Chi deve allattare non è mica il marito!... Se lei
non poteva fare il proprio dovere, s'ingegnasse." E giacchè ora Pompeo
vedeva di potere ricavar profitto dalla salute della moglie sosteneva,
al contrario di prima, che la Betta era di ferro, e finiva anche col
persuadersene.

--S'è visto alla prova--diceva alla moglie--che tutti i tuoi malucci
d'una volta non erano altro che pretesti e smorfie da scansafatiche.
Quando una donna mette al mondo i figliuoli come niente fosse, vuol
dire che la macchina è in ottimo stato. Dunque ungi la gobba con un po'
di buona volontà e tira via! Sudo anch'io, come un cane, per far buona
figura e per mandare avanti la baracca!

E la Betta, dopo aver servito Pompeo, fatte tutte le faccende di casa,
spazzato le scale, l'atrio e il loggiato, doveva anche rovinarsi gli
occhi a cucire e ricamare di bianco la sera e buona parte della notte,
per mantenere a balia la sua creaturina.

Ma ora che cosa importavano a lei le fatiche e le privazioni?...
Viveva tutta col pensiero in una casuccia vicino a Sesto, dov'era il
neonato. E tutte le feste andava là a piedi, e godeva gioie che non
aveva mai provato nè immaginato.

Appena arrivata prendeva subito in collo il suo bambinello e se lo
portava via e correva a sedersi sola sola con lui, dietro la casa,
sul margine di un vasto campo di trifoglio, contenta, giuliva, che il
piccino non si fosse messo a piangere vedendosi levare a un tratto
dalle braccia della balia. Allora lo spogliava tutto e lo copriva
tutto di baci, diventando rossa, cogli occhi luccicanti dal piacere.
Non aveva più freno in quelle sue smanie di carezze; e baciandolo e
stringendolo e ribaciandolo non gli sapeva dir altro che _mio, mio,
mio_! e tutto il suo cuore traboccava in quella sola parola. Il bimbo,
co' primi moti istintivi delle manine grassocce le stringeva e le
graffiava le guance, il naso, le orecchie; le strappava i capelli, e
lei lo lasciava fare, beata che avesse dimenticata la balia, beata
che se la godesse a star solo con lei, beata di quelle piccole strida
di allegrezza, colle quali il piccino, quand'ella se lo teneva in
piedi sulle ginocchia, accompagnava le mosse e gli sforzi che faceva
colle gambucce e coi braccini per arrivare ad afferrarle la faccia.
E la Betta colle sue illusioni di mamma era convinta che il bambino
la conoscesse e che le volesse già bene; le pareva che guardasse lei
diversamente dalla balia, e per ciò tornava a baciarlo sulle manine e
sui piedini con passione, con adorazione, con gratitudine infinita.

Erano quelle le ore che la risanavano; che davano al suo corpo debole
e malato la forza di lavorare e di sfacchinare da mattina a sera; era
una provvista di felicità per tutto il resto della settimana.

Pompeo non accompagnava mai la moglie in quelle gite:--aveva da badare
alla bottega lui; altro che andare in campagna a divertirsi!--E
difatti, se prima aveva finto colla Betta che i suoi affari gli
andassero poco bene, per risparmiare i quattrini del baliatico, adesso
la latteria si metteva maluccio, proprio per davvero. Egli aveva
abusato un po' troppo del latte artificiale, e gli avventori, giorno
per giorno, avevano finito col disgustarsi, e coll'abbandonare la
botteguccia di _Santa Radegonda_. Pompeo dava colpa di quello sviamento
allo Sbornia, che non aveva maniera colla gente, e che era sempre
briaco fradicio. L'altro lo lasciava dire, e a volte, nei momenti
di malumore, si buscava anche qualche pedata senza rispondere nè
rifiatare. Sgobbava come un negro, sempre in ciabatte, col grembiule
sudicio, col faccione dimesso, umile e devoto al padrone, non per
tornaconto nè per altra ragione particolare, ma solo per istinto, come
una bestia.

--Non c'è Cristo che tenga!... Tutto mi va alla maledetta,--brontolava
Pompeo, rodendosi le unghie fino alla carne.--E ho sulle spalle anche
due scimmiotti da mantenere!

Il bambino, sopraggiunto l'inverno, era stato divezzato e lo avevano
ripreso in casa.

Pompeo, chiusa la bottega, tornò dunque a stare giorno e notte ozioso
e col muso lungo, sempre alle costole della moglie. E quando non la
poteva torturare in altro modo, la metteva in croce per il piccolo
Giulio, borbottando ch'era un bimbo rachitico, che non poteva campare;
ostinandosi a strapparglielo dalle braccia, per farlo camminare prima
del tempo, e poi mettendosi a gridare che era uno zuccone, perchè
nascondeva il visino e si stringeva colle braccine al collo della
mamma, e cominciava a strillare appena lui gli s'accostava, senza aver
ancora capito ch'egli era suo padre!

Ah se non avesse avuto l'impiccio della famiglia! Allora sì; o di
riffe o di raffe l'avrebbe spuntata!... Sarebbe andato in Dalmazia, o
in Ungheria, a coltivare il seme da bachi, oppure in Sardegna, nelle
miniere; o, meglio di tutto, in America! I quattrini di certo, non eran
mai piovuti in tasca alla gente; bisognava mettersi a girare il mondo:
chi viveva in un guscio di noce non poteva far altro che morir d'inedia!

Ragionando in questo modo, senza ricordarsi punto che prima di
sposar la Betta pativa la fame, e che da solo non era stato buono di
guadagnarsi un soldo, gli pareva che la famiglia fosse d'inciampo al
suo genio industriale. E nelle notti insonni (dormiva poco perchè
restava ozioso, in casa, tutto il giorno) smaniava rivoltandosi nel
letto, e correndo dietro col cervello a speculazioni fantastiche.
E il respiro grosso della moglie e quello più lieve del bimbo lo
infastidivano, e se Giulio, che dormiva in una culla vicino al letto
dei genitori, si moveva appena, Pompeo cominciava subito a sbuffare,
brontolando che non lo lasciavano nemmeno riposare in pace. Al rumore
la Betta si destava di soprassalto; il piccino, spaventato, si metteva
a strillare, e Pompeo, sempre più stizzito da quella "maledetta
sinfonia," tirava calci come un mulo.

La Betta, allora, aspettava che si calmassero le furie del marito; poi
scivolava giù adagio adagio dal letto, correva dal suo bimbo, gli
ravviava le coperte nella culla, e lo riaddormentava premendo la faccia
sul suo visino e riscaldandolo co' suoi baci e col suo fiato caldo di
lacrime.

Intanto una nuova e grande sventura si preparava a questa poveretta:
la padrona, la signora Lucia, così buona con lei, essa in cui aveva
riposte tante speranze per l'avvenire del piccolo Giulio, le veniva a
mancare improvvisamente. La giovane signora moriva presso all'apice
della felicità, proprio nel punto di diventar madre.

La Alamanni, per altro, pareva avesse preveduta la sua misera fine.
Era stata molto malinconica e abbattuta negli ultimi mesi, e aveva
preparato una lettera al marito in cui, colle supreme tenerezze
dell'amore, gli faceva palesi alcuni suoi desideri pel caso che venisse
a morire. Erano ricordi alle amiche, erano soccorsi, elemosine, opere
di carità; insomma era tutto il suo cuore che voleva espandersi ancora
dopo la morte, come alcuni fiori delicati continuano a diffondere
intorno, anche inariditi, la loro soave fragranza.

La Betta pure era stata ricordata in quella lettera, e la signora
Lucia, volendo riparare in parte alle perdite sofferte dalla
famigliuola colla botteguccia di _Santa Radegonda_, le aveva fatto un
lascito d'un migliaio di svanziche.

Quando la portinaia venne a sapere di questa nuova munificenza che la
concerneva, era ancora in lacrime per la padrona, nè quella notizia
valse a consolarla, anzi l'addolorò maggiormente.

--Si è ricordata anche di me! Si è ricordata anche di me, la mia buona
signora!--E la poverina proruppe in un altro scroscio di pianto.

--Chètati, grulla!--le sussurrò allora Pompeo infastidito.--Se tutte
ci avessero a lasciar mille lire, bisognerebbe che ne crepasse una al
giorno delle padrone!

La Betta, dopo tante amarezze, al nuovo insulto di quel tristo che la
colpiva nel vivo de' suoi affetti e della sua gratitudine, si riscosse
a un tratto, indignata; e rimangiandosi le lacrime, fattasi rossa, di
fuoco, gli gridò contro con voce sorda, ma con impeto, e fissandolo
bene in faccia:

--Mostro!

Pompeo stupì a tanta audacia, poi si avvicinò d'un passo alla moglie,
levando la mano in atto di misurarle un ceffone:

--Ripeti un po', gobba, quello che hai detto?!

La Betta afferrò Giulio, che avea lì vicino, per un braccio; lo nascose
in un attimo, dietro di sè, per ripararlo dall'ira del marito, e poi
con tutto un sussulto dell'esile corpicciuolo e sfidandolo cogli occhi,
solitamente così dolci, ma in quel punto pieni di sdegno, tornò a
ripetere, mezzo soffocata da un urto di tosse:

--Mostro!... Mostro!

Pompeo le si avvicinò ancora un altro passo; sempre con la mano alzata:
la guardò, fece una mossa di scherno colle labbra; ma, sorpreso e
impacciato, non osò toccarla.

--Se la tua padrona ti voleva far del bene,--soggiunse infine, alzando
le spalle,--poteva lasciarti molto più, senza scomodarsi. Già, i suoi
quattrini non poteva portarseli dietro... in viaggio!

Ciò detto, Pompeo uscì nel cortile e terminò il discorso con una
risataccia che la povera donna sentì ripercuotersi in viso, come se in
quel punto la colpisse lo schiaffo che l'avea prima minacciata.




V.


Giulio Alamanni, quando gli morì la moglie, n'era sempre innamorato.
Lucia in fatti possedeva per maravigliosa intuizione l'arte tanto
difficile di saper voler bene. Essa amava col cuore e coll'intelligenza
e però conservava sempre desta, anche in mezzo ai trasporti più
appassionati, la felice vivacità del suo spirito, e riusciva sempre a
trasformarsi, con un senso squisito di opportunità, a seconda delle
varie disposizioni d'animo o d'umore del marito. Così che l'Alamanni
a volte trovava in lei un'amante appassionata, a volte una piacevole
compagna dalle arguzie eleganti, e a volte invece, quando sentiva il
bisogno di comunicare i più arditi concetti della propria intelligenza,
o di espandere le più intime aspirazioni del cuore, era essa l'amica
fidata, che meglio di tutti lo sapeva intendere ed apprezzare, e in due
pupille nere, lucenti, che lo guardavano con amorosa attenzione, egli
vedeva sempre riflessi i suoi affetti e i suoi entusiasmi.

Colla fortuna di una tal compagna nella vita all'Alamanni poco o nulla
restava da desiderare. Viveva contento, felice, tutto chiuso nella
sua casa, e però, di primo acchito, sentì di non poter amare, d'odiar
quasi quella creaturina che veniva al mondo per distruggergli a un
tratto ogni felicità, per strapparlo brutalmente dalle braccia della
sposa, dell'amante, dell'amica diletta, per lasciarlo solo e misero a
sopravvivere ai propri affetti, privo di ogni speranza.

Chiamò allora presso di sè una sua parente vedova e non ricca; le
affidò la neonata, volle che la portasse via subito, che pensasse lei
ad allevarla; insomma che le facesse da madre. Gliel'avrebbe ricondotta
più tardi, quando il tempo, che non doveva certo mitigare l'acerbità
della sua sventura, gli avesse almeno data la forza di soffrire con più
coraggio.

Ma la tempra di Giulio Alamanni era vigorosa, e il dolore, per quanto
forte, non poteva abbatterla. Egli aveva troppe e troppo care memorie,
aveva troppo alta poesia nell'animo per abbandonarsi ad un'inerzia
vergognosa; e però dopo quell'urto che lo avea violentemente scosso si
riebbe col cuore sanguinante, ma con una energica risoluzione, e dedicò
la vita e l'ingegno al trionfo di un ideale che ricominciava allora a
infiammare potentemente gli animi: la libertà della patria.

Già un suo fratello, di poco più giovane, Francesco Alamanni, discepolo
e strumento segreto e validissimo di Giuseppe Mazzini, caduto in
gravi sospetti della polizia, avea dovuto esulare sotto altro nome in
Piemonte. Giulio Alamanni, inscrittosi pure nella _Giovane Italia_,
continuò allora a Milano, con pari animo e gagliardia, l'opera del
fratello, finchè non si ritrovarono uniti, prima per combattere insieme
durante le Cinque Giornate, e poi per arruolarsi nei _Bersaglieri
Lombardi_ e accorrere alla difesa di Roma.

Perciò quando pochi mesi dopo i Tedeschi tornati a Milano incrudelirono
nelle rappresaglie, il palazzo degli Alamanni fu subito preso di mira
e sorvegliato e perquisito, mentre la polizia si adoperava a tutta
possa per aver nelle mani i due fratelli.

I pochi servitori ch'erano rimasti in casa venivano chiamati un
giorno sì un giorno no, dal Commissario per essere sottoposti a
lunghi interrogatori sul conto dei padroni. Si voleva sapere se mai
ne avessero sentito a parlare, se ne erano giunte notizie a qualche
parente, a qualche amico; e secondo l'umor della bestia, a volte erano
minacciati di fieri gastighi, a volte blanditi e lusingati da seducenti
promesse. Ma tuttavia, anche volendolo, essi non avrebbero potuto
riferir nulla di rilevante: i padroni non si facevano vivi con alcuno.

Pompeo, nei primi momenti, ebbe pur egli una chiamata dal Commissario,
e sebbene si affrettasse a rispondere all'invito, vi andò tutto
tremante dalla paura.

Non già che si fosse compromesso durante la rivoluzione. Egli non era
corso alle barricate; non aveva gridato per le strade: "Viva l'Italia
e Viva Pio Nono!" non avea mai cantato l'inno fatidico di Mameli,
nè, in ultimo, applaudito alle satire contro il papa spergiuro ed il
re bigotto. Per tutte le cinque giornate era rimasto chiuso nel suo
bugigattolo, pauroso, tremante, bestemmiando contro quei fanatici
senza cervello, che avrebbero finito col far saccheggiare e incendiar
Milano. E dopo fuggiti i Tedeschi, continuò a ringhiare contro ogni
novità; e appena ritornarono, si affrettò a chiamarli per soprannome
i _gastigamatti_, dichiarando che avrebbe dato chi sa cosa pur di
non trovarsi in que' frangenti al servizio di due persone, come gli
Alamanni, tanto pregiudicate col governo legittimo.

"In che modo avrebbe potuto levarsi d'impaccio?... Certo, anche lui
sarebbe caduto in sospetto; e in quei giorni bastava un sospetto per
far impiccare un galantuomo!... Dio, Dio, Dio! perchè era entrato in
quella casa maledetta? perchè s'era messo in quelle peste?" E un giorno
che sua moglie osò domandare, se si avevano notizie del signor Giulio,
Pompeo montò su tutte le furie, rispondendole che era una imprudente,
una matta, una fanatica; ch'era sempre stata la sua disgrazia, e che
avrebbe finito col farlo mandare sulla forca.

Ma poi, subito dopo la visita fatta al Commissario, sembrò che un poco
si tranquillasse. Appariva più sereno, non avea più tanta paura nel
discorrere di tirar in ballo la politica, e sovente lui stesso, per
il primo, intratteneva la Betta sul conto dei padroni, dimostrando
per essi una devozione insolita. Figurarsi! arrivò al punto, colle
sue premure, di mandar la Betta ogni due giorni da Donna Lucrezia, la
parente cui era stata affidata la bimba Alamanni, per scovare notizie
del signor Giulio e del signor Francesco. E quando la Betta tornava a
casa dopo essere stata dalla vedova, Pompeo non la finiva più colle
interrogazioni, e si mostrava persino amabile colla moglie; si prendeva
il piccino sulle ginocchia e lo faceva trottare per un pezzo, a
cavalcioni.

La Betta era tutta consolata e diceva ch'era stata la Madonna che aveva
toccato il cuore del su'omo!

Questi, intanto, avea preso l'abitudine di andare a spasso quasi
tutte le sere. Girava qua e là, a caso. per vie diverse; ma poi,
capitava sempre nelle vicinanze di _Piazza dei Mercanti_ o di _Santa
Margherita_, imboccava il volto dell'_Arco Vecchio_, e sgattaiolando
dalla porta attraversava lesto lesto la corte della sua antica
abitazione; infilava di corsa una delle tante scalucce, a quell'ora
buie e deserte, e si fermava ansante al terzo piano, dinanzi all'uscio
su cui era scritto _Mediatore_.

--In fin dei conti--pensava Pompeo fra sè ogni volta che ritornava da
quelle visite notturne--in fin dei conti io salvo la pelle, e non fo
male ad alcuno. Già, i padroni non vorranno essere tanto grulli da
tornare a Milano per cader in trappola! D'altronde io non ho mai fatto
il rivoluzionario; non ho mai portato coccarde; non sono corso dietro a
Garibaldi come quel bestione dello _Sbornia_!... Se gli altri vogliono
tener mano agl'Italiani io credo d'essere libero di parteggiare per i
Tedeschi. In fin dei conti è chiaro che le rivoluzioni non si fanno
altro che per i signori. Sotto i Tedeschi o sotto gl'Italiani la
povera gente farà quaresima allo stesso modo, e in quanto a me dovrò
sempre servire, sgobbare e spazzar le scale anche in onore del Popolo
Sovrano!... Chè!... chè!... per mio conto, viva l'Austria e il quieto
vivere! E poi io non posso scherzare, non posso fare il matto come gli
altri. Io ho i miei doveri: sono padre di famiglia!

Con tali ragionamenti Pompeo si metteva in pace la coscienza; ma non
potè durarla a lungo.

Un giorno, nel tempo appunto che succedevano que' suoi colloqui segreti
con _Don Miao_, egli se ne stava solo solo in porteria, seduto vicino
al fuoco mezzo spento, quando a un tratto si sentì chiamar piano
dietro le spalle da una voce che lo fe' trasalire. Si voltò, balzando
in piedi, e rimase maravigliato trovandosi dinanzi un contadino
lacero, smunto, che lo fissava senza dir motto, come aspettando che lo
riconoscesse; ma poi, a poco a poco, alla sua maraviglia si aggiunse
un'inquietudine strana, vivissima. Guardando la faccia tutta rasa dello
sconosciuto, sentiva come una vaga reminiscenza, poi a poco a poco
riconobbe i tratti di persona a lui ben nota. Allora, per un intimo
turbamento, non potè più sostenere lo sguardo che lo fissava; abbassò
gli occhi e mormorò:

--Mio Dio, il padrone!

Giulio Alamanni (era proprio lui, travestito in quel modo) si pose
l'indice della mano sulla bocca, accennando a Pompeo di tacere; poi,
guardando in giro con diffidenza:--La Betta--domandò, parlando sempre a
bassa voce--è uscita?

--Sì... signor padrone....

--E... starà molto fuori?

--Non so... non credo.

--Allora aprimi subito la porta della scala e fammi passare: che
nessuno mi veda!

--Sì... si...gnore....

--E gli altri della casa?

--Le donne sono in chiesa... il cocchiere dev'essere in scuderia.... in
corte non c'è anima viva.

--Andiamo... sbrighiamoci!

--Sissignore....

Pompeo, tutto sconvolto, si avviò verso la tavoletta delle chiavi,
staccò le due prime che vi erano appese, poi in fretta, seguìto dal
padrone, attraversò l'atrio, aprì le imposte a vetri che davano
adito alla scala, e quando furon essi dentro tutti e due, tornò a
richiuderle con un doppio giro di chiave.

--Ora ci siamo!--esclamò l'Alamanni con un sospirone di sollievo.--È
andata meglio che non sperassi. Ma e poi?--soggiunse rivolgendosi a
Pompeo.--Se torna tua moglie e non ti trova in porteria?

--Figurerò d'essere salito su per aprir le finestre e dar aria alle
sale,--rispose Barbetta sforzando la voce, che non gli voleva uscir
chiara dalla gola.

--Hai presa la chiave del quartiere?

--Sì, signor padrone: ho presa la chiave dell'anticamera; tutte le
altre son dentro.

Allora Pompeo e l'Alamanni cominciarono a salire le scale.

--C'è stata la polizia a farmi visita, non è vero?

--Una volta, signor padrone,--rispose il portinaio, che si sentì
gelare il sangue e salì più in fretta gli scalini, come per sfuggire a
quell'interrogazione.

--Avrà messo tutto sossopra?...

--Sissignore; ma non ha trovato nulla.... Almeno così ho sentito dire.

--Lo so, lo so. E la Betta?--continuò l'Alamanni colla sua solita
affabilità.

--Benino al solito; grazie, signor padrone.

--Povera figliuola!--e Giulio Alamanni, pensando in quel punto quanto
la Betta fosse stata affezionata alla sua Lucia, sospirò profondamente.
Frattanto erano giunti nell'anticamera.

--Da che parte, signor padrone?--domandò Pompeo fermandosi nel mezzo,
perchè sull'anticamera davano due appartamenti.

--Per di qua:--e l'Alamanni accennò a sinistra.--Aprimi la camera da
letto... Di' la verità,--soggiunse poi, notando la confusione e la
faccia stralunata del portinaio,--questa mia apparizione ti ha messo in
corpo una gran paura?

--No... cioè... temo per lei, signor padrone!... Se mai la polizia
venisse a sapere....

--Chi mai potrebbe riconoscermi così trasfigurato? E poi non uscirò
certo di casa in tutto il giorno, e stanotte lascierò Milano per sempre.

--E... e il signor Francesco?

--Egli è già in sicuro.

Il portinaio non rispose verbo, ma alzò gli occhi al cielo quasi
volesse ringraziare la divina Provvidenza.

Dopo aver attraversata adagio adagio, al buio, una lunga fila di sale
grandi e fredde, dove i tappeti ammorzavano anche il rumore dei passi,
i due erano entrati in una stanza più rischiarata in cui distinsero
subito, come nuvola bianca, l'alcova e i cortinaggi di un letto
matrimoniale.

Giulio Alamanni, che si era fatto pallidissimo, ordinò allora a Pompeo
di aprire gli scuri delle finestre.

Il portinaio si affrettò a ubbidire. Le finestre prendevano luce dal
piccolo giardino della casa e non c'era pericolo che alcuno, di là,
potesse spiare nella stanza; ma tuttavia Giulio Alamanni non pensava
certo in quel momento alla propria sicurezza; ben altri sentimenti gli
agitavano l'animo.

Erano i ricordi più dolci e più dolorosi della sua vita; erano le gioie
dell'amore ed era insieme l'ultimo grido di Lucia agonizzante, che si
ripercuoteva ancora fra quelle pareti.

Egli era ritornato là dove avea tanto amato e tanto sofferto!... dove
la sua Lucia gli aveva dato tutto il suo amore, e dove nell'ultima ora
avea risposto con un rantolo ai suoi baci e alle sue carezze.

Ma la morte, col lugubre accompagnamento di lacrime e di disperazione,
era passata per quella camera, senza lasciarvi alcuna traccia.... I
rosei putti del soffitto danzavano sempre giocondi attorno ad un'Aurora
tutta candida e soave nella sua nudità immacolata; e gli stucchi
nitidi, e i fregi dorati, e i larghi fiori degli arazzi splendevano al
sole, come il primo giorno in cui egli vi era entrato stretto al fianco
della sua sposa, che gli sorrideva tremando.

Subito era corso collo sguardo al capezzale dove, sui guanciali
affondati, avea veduto per tante ore, quasi immobile, il viso scarno,
pallido pallido, di Lucia... ma adesso una ricca coltre di damasco
antico dai vivi colori copriva tutto il letto morbido, ravviato che non
faceva una grinza.

Sul tavolino accanto, in luogo delle boccette e dei medicamenti,
ch'egli guardava in que' giorni con un senso supremo di speranza, si
vedeano, disposti in bell'ordine, i gingilli eleganti e le figurine
graziose di porcellana.... Tutto, insomma, era stato ripulito, mutato,
rimesso a nuovo: e l'Alamanni cercandovi invano una traccia del suo
gran dolore, a poco a poco si sentì come un estraneo in casa, in camera
sua, quasi al pari che nel suo luogo di esilio.

--No, le cose non hanno lacrime,--mormorò fra sè con profonda angoscia.
Ma poi, veduto Pompeo che gli si teneva vicino, umile, col berretto in
mano, volle vincere per un nobile sentimento di fierezza la propria
commozione; e usò di tutto il suo coraggio per mostrarsi forte, e
ricordarsi di ciò per cui era venuto.

Con la voce spezzata dall'affanno ordinò subito al portinaio che
accendesse il fuoco nel piccolo caminetto della stanza.

Pompeo era già troppo sbalordito perchè un ordine così inaspettato e,
in quel momento, così strano, lo potesse maravigliare. Invece, tutto
premuroso, levò il paravento, cercò la legna che trovò subito in un
mobiletto di mogano accanto al caminetto, e l'accomodò sugli alari.
L'Alamanni, intanto, lo seguiva cogli occhi aspettando impassibile che
il fuoco fosse acceso; e poi, quando vide levarsi la fiamma dinanzi
a Pompeo che inginocchiato soffiava sotto ai fastelli:--Ora--gli
disse--bisogna vedere se ci riesce di staccare un po' quell'armadio
dalla parete.

Questa volta Pompeo guardò fisso il padrone: non aveva capito bene che
cosa dovesse fare.

L'armadio indicato, grande, pesante, a fregi e intarsiature, sullo
stile degli altri mobili della camera, pareva infisso nella parete di
faccia al letto e tutto chiuso fra la cornice dell'arazzo.

--Sì, lo potremo smuovere facilmente,--soggiunse l'Alamanni rispondendo
alla muta interrogazione di Pompeo; e allora servendosi di una mano
sola, che l'altra, la destra, la teneva sempre nascosta sotto la
giacca di frustagno, riuscì a staccare dal muro una parte dell'arazzo,
mostrando in tal modo che l'armadio vi era appena accostato.

--È forse ferito?--domandò Pompeo al padrone, avendo notato come non si
fosse servito altro che della mano sinistra.

--Sì; ma è cosa da nulla.

Pompeo da solo giunse appena con molta fatica a scostare di tanto
l'armadio che tra la parte di dietro e il muro potesse penetrare una
persona.

--Mi ci vorrebbe un arnese di ferro; un martello, una spranga,--disse
l'Alamanni guardando in giro per la stanza. Ma non trovò altro che
le molle del caminetto: avevano un manico d'ottone fuso; grosso,
massiccio. Le additò a Pompeo e gli diè ordine di battere con quelle,
e con tutta forza, sopra un punto dove la parete si vedeva murata di
fresco. Il tramezzo cedette subito ai primi colpi, per un largo tratto
rettangolare, e dietro apparve agli occhi maravigliati del portinaio
una grande cassa di ferro.

--Il pover'uomo che mi aveva murata questa buca, è stato ucciso dai
Tedeschi alla barricata di San Celso!--mormorò il proscritto con un
sospiro. Poi fatto ritornare il servo ad attizzare il fuoco aprì lo
scrigno, mediante una chiave che portava con sè, e ne tolse alcuni
fasci di carte che buttò sulla fiamma rimanendo muto, accigliato a
vederli bruciare.

--Sai,--disse poi rivolgendosi a Pompeo quando di tutti quei fogli non
rimase più altro che un mucchio di cenere nera, a falde, alcune delle
quali svolazzavano qua e là su pel camino,--se i Tedeschi fossero
riusciti a metter le mani su quelle lettere, c'era tanto da porre in
pericolo mezza Milano.

--Ma per fortuna, signor padrone, i poliziotti non sarebbero mai venuti
a capo di scoprirle, tanto bene erano nascoste.

--Eh, non si sa mai!... Alle volte si trova la spia dove meno si
crederebbe....

Pompeo impallidì, e non potè rispondere altro che qualche parola
inintelligibile.

--Ma ad ogni modo,--continuò l'Alamanni,--adesso sono più tranquillo.
Anche se fossi preso, avrebbero me solo nelle granfie!

E così dicendo il proscritto si guardava attorno nella camera con un
senso profondo di mestizia: pareva chiamasse tutte le memorie di Lucia
a testimonio del disgusto e dell'amarezza che sentiva della vita. Però
tacque lungamente, ritornato in preda alla più viva commozione. Poi
di nuovo, sebben cogli occhi pieni di lacrime, riuscì a vincersi, e
rivoltosi daccapo a Pompeo:

--Ora,--gli disse,--scenderai subito in porteria.

--Sì, signor padrone.

--Se la Betta fosse tornata, trova modo di rimandarla via. Non ti
mancherà certo qualche scusa, qualche pretesto. Occorre che stia fuori
di casa almeno due o tre ore.

--S'ella crede, potrei mandare mia moglie da donna Lucrezia. Così,
prima di partire, ella avrebbe anche le notizie della padroncina.

--Oh, l'ho già veduta la mia bimba... povera bimba!

Il Barbetta non fu punto commosso da queste parole, nè dal sospiro
con cui furono accompagnate. Invece provò dentro di sè una gran
contentezza, accorgendosi di non esser solo a conoscere quel viaggio
misterioso del padrone.

--So che ci vai spesso a salutare mia figlia; so che ci va pure anche
la Betta, e ve ne ringrazio. Fra qualche giorno, quando mi troverò al
sicuro, ho già disposto perchè la bimba venga a raggiungermi con Donna
Lucrezia.... Ma, per oggi, è meglio che tua moglie non si faccia vedere
da quelle parti. Non mi parrebbe prudente. Si fa presto a ciarlare!

--Come vuole, signor padrone. Allora manderò la Betta dalla lavandaia.
Oh, non dubiti! è una buona passeggiata! Sta laggiù, alla _Barona_,
fuori di porta Ticinese.

--Va bene. Appena resti solo, torna su da me. Ti darò una somma di
danaro e una mia lettera: porterai l'una e l'altra dal banchiere Nicola
Mazza. Sai dove abita, non è vero?

--È quello che ha bottega di cambia-valute sull'angolo di via Orefici?

--Quello, per l'appunto. Egli, poi, ti consegnerà una tratta a mio
favore su Londra.

--Sì, signore.

--Intanto io ti preparerò tutta la somma in rotoli di napoleoni
d'oro, così ti sarà più agevole il trasportarla. Ma prima è necessario
che tu vada dal Mazza per metterti d'accordo con lui circa all'ora e al
modo di fargli avere il danaro. Bada che non lo potrai portare tutto
in una volta; perciò sarà bene prepararlo, e nasconderlo giù in camera
tua finchè sei solo in casa, così la Betta e gli altri non ti vedranno
salire e poi riscendere colle tasche gonfie.

--Sì, signore.

--Ci avrai pure qualche ripostiglio sicuro?

--Ho... ho un cassettone che ha una serratura forte,--rispose Pompeo
con un tremito strano nella voce e senza guardare in faccia l'Alamanni.

Nicola Mazza, il banchiere sull'angolo di via _Orefici_, appena sentita
l'imbasciata, rispose subito che i danari, per maggior prudenza,
bisognava aspettare a trasportarli di notte e... e perciò in tutto quel
lunghissimo giorno la grossa somma (cinquanta mila svanziche in tanti
rotoli di napoleoni d'oro) rimase nascosta nel cassettone del portinaio.

--Questa volta, se la polizia agguanta il padrone, impiccano anche
me!--pensava Pompeo, rannicchiato accanto al fuoco spento col capo fra
le mani.

A momenti era assalito da brividi; lo prendeva una smania nervosa, e
allora inveiva senza ragione contro la Betta e scapaccionava il povero
bambino, che correva a rifugiarsi dietro le sottane della mamma.

--Cinquanta mila lire?!...

Ma non ci voleva pensare a quella somma, e sebbene attratto da una
specie di fascino a guardare verso il cassettone, pure rimaneva duro e
non si voltava mai da quella parte.

Voleva persuadersi che delle cinquanta mila lire non gliene importava
nulla e che le sue inquietudini, le sue incertezze provenivano
soltanto dal grave pericolo al quale andava esponendo sè e tutti i
suoi. Fosse stato solo, allora avrebbe anche potuto darsi l'aria di
un eroe; ma invece, era padre di famiglia, e dovea pensarci due volte
prima di fare uno sproposito!... E i danari? E le cinquanta mila lire
ch'erano lì nel cassettone?... Chè! Non se ne curava punto! Non erano
i danari certamente che avvrebbero potuto indurlo... che avrebbero
potuto trascinarlo... Oibò!... Non era sempre stato galantuomo? Anche
quando avea dovuto chiuder bottega non avrebbe potuto dichiarare il
fallimento e tenersi i quattrini se fosse stato disonesto? Invece avea
pagato i suoi creditori fino all'ultimo soldo!... Dunque? Dunque anche
adesso non era certo per un po' di danaro che si sentiva turbato. Non
ci pensava nemmeno!... Voleva anzi dimenticare che fosse nascosto in
camera sua... Aveva ben altro pel capo... Non se ne ricordava già
più!... Era la famiglia quella che gli premeva!...--E Pompeo arrivato a
questo punto co' suoi pensieri, per convincersi meglio che in ogni caso
avrebbe avuto solo di mira il benessere della moglie e del figliuolo
suo, fece uno sforzo per rivolgere qualche buona parola alla Betta, e
prendendosi il bimbo sulle ginocchia cominciò a farlo trottare:

--_Op, là là! op, op, là là!_

Ma poi, a poco a poco, tornava cupo e pensieroso: e allora, senza
accorgersene, affrettava il su e giù nervoso delle gambe, dimenticando
il figliuolo che gli ballonzolava davanti col visino smorto, pieno di
lacrime. Ma la Betta, che conosceva l'umore bizzarro del marito, non
perdeva di vista il bambino, e appena poteva, fattosi animo, glielo
toglieva di mano.

--E se in casa ci fosse nascosto un qualche arnese di polizia?...
Allora agguantano il padrone ugualmente, e per giunta mandano anche
me sulla forca. Quel balordo non si era fatto vedere da Donna
Lucrezia?!... Una fanatica senza giudizio, che non sarebbe stata zitta
nemmeno a tagliarle la lingua!

Ma, subito, questo dubbio ch'egli era andato a cercare soltanto per
mettersi in pace colla coscienza, lo atterrì.

--Non poteva, proprio per davvero, esserci qualcuno che avesse avuto
l'ingiunzione di sorvegliar lui, come lui avea avuto l'ordine di
sorvegliare gli altri?

Pompeo fu preso da un brivido, mentre un sudore freddo gli stillava
dalla fronte. Si alzò in piedi a un tratto, e si guardò attorno per la
camera, come smarrito, respirando con fatica.

--... Sicuro; se in casa ci fosse la spia e avesse già riferito al
commissario l'arrivo del padrone?... Sarei bello e spacciato!

Don Miao glielo avea detto chiaro fino dal principio: _Badate che se vi
si trova in fallo, non vi sarà usata misericordia!_

Per Dio! Si trattava di salvar la pelle, altro che la tentazione di una
manciata di marenghi!

Ma alla paura di Pompeo, sebben grande e sincera, si mescolava in
fondo al cuore, per una contradizione strana, un senso indefinibile
di contentezza, una speranza che gli sorrideva nell'avvenire lontano;
invano cercava di seppellirla sotto una fitta di pensieri svariati e
tormentosi; a ogni poco ritornava a galla riapparendogli più bella e
più lusinghiera.

L'immagine terribile del capestro, che lo faceva fremere e tremare,
non era forse una valida giustificazione per la sua coscienza?...
E parimente, anche dopo, davanti al giudizio, così fallace, della
pubblica opinione?... Dopo molti anni, scomparso ogni pericolo,
egli avrebbe ritrovato nel cassettone, e con sua grande maraviglia,
le cinquanta mila lire, che sotto la minaccia continua della
prigione e della forca era naturale, naturalissimo, avesse del tutto
dimenticate!...

Ma intanto bisognava risolversi. Allora tornò a sedersi e rimase
lungamente colla testa bassa, voltando le spalle al cassettone.

--Povero figliuolo mio, povera moglie mia, se m'impiccassero! Non
resterebbe loro altro che morir di fame.... Il signor Giulio in
galera; il signor Francesco in esilio; e Donna Lucrezia che si trova
al verde.... È un bel matto, del resto, anche il mio padrone!... Dopo
rimasto vedovo la vita gli viene a noia, vuol crepare ad ogni costo, si
ficca nelle congiure, corre alla guerra e ne fa di tutti i colori senza
badare, intanto, a quali pericoli espone un povero cristiano, che è
l'unico sostegno della famiglia, e che non ha punta voglia di sentirsi
la corda al collo!... Certo il signor Giulio non aveva usata alcuna
prudenza. Ci voleva ben altro che i travestimenti per sfuggire alla
polizia! Doveva tenersi al largo e non tornare a Milano col rischio
di cadere in trappola.... Se i quattrini erano finiti, ebbene, poteva
far debiti!... Era vero, per altro, che il signor Giulio correva meno
pericoli di suo fratello, il signor Francesco.... Quello sì, se fosse
caduto in mano ai Tedeschi, era sicuro di morire sulla forca.... Ma il
signor Giulio?... Oibò! Gli avrebbero fatta una paternale e, tutt'al
più, lo avrebbero tenuto dentro fin che non gli fosse passato il grillo
dell'Italia libera!... Si sapeva bene, che era un poeta, un matto....

--Ed io--continuava a dire Pompeo fra sè--dovrei sfidare la pelle,
quando il padrone, a buon conto, non arrischia altro che di metter
giudizio?....

--In tal caso,--concluse poi, dopo qualche tempo di profonda
meditazione, e senza nemmeno accorgersi che i suoi pensieri ormai
gli avevano tolta la mano e correvano tutti là dove lo portava il
cuore,--in tal caso, mi terrei io i danari, perchè non venissero
confiscati, e li renderei al padrone appena fosse rimesso in
libertà.... Certo... certo.... Glieli renderei fino all'ultima
svanzica. Sono sempre stato un galantuomo, io!




VI.


La donna avea già scodellata la minestra sul tovagliuolo disteso nel
solito cantuccio del deschetto; ma Pompeo, assorto nei suoi pensieri,
non si moveva per mettersi a mangiare. Da più di un'ora stava là
ritto in piedi, muto, immobile, colla faccia bianca, smorta, e gli
occhietti loschi, infossati. Ma anche da quella sua cupa impassibilità,
traspariva, a guardarci bene, l'inquietudine, e la lotta interna del
suo animo. Le labbra sottili avevano un tremito quasi impercettibile e
colle unghie rabbiose si graffiava le mani che teneva incrociate dietro
la schiena.

Giulio avea fame, e lo diceva pianino alla mamma, la quale, non
arrischiandosi a parlare, moveva però a ogni poco i piatti e le posate
di ferro, perchè l'altro dovesse accorgersi che il desinare era pronto.

Ma Pompeo rimaneva impassibile deludendo tutti gli espedienti messi
in opera per iscuoterlo. E durò così ancora un buon pezzo, finchè la
Betta, pensando che il riso si sciupava, si fe' animo, e a mezza voce,
passandogli vicina, lo avvertì che avea messo in tavola.

La povera donna si aspettava certo uno sgarbo un rabbuffo, ma in vece,
con grande sua maraviglia, il marito le rispose garbatamente che
incominciasse lei a mangiare col bambino.

--Io non ho fame,--aggiunse poi, battendosi forte col pugno sullo
stomaco.--Sento ancora il peso delle aringhe e delle cipolle di
stamattina... Bisognerà... proverò... a far due passi...--E guardò
l'uscio, ma non si mosse.

--Vuoi una scodella di brodo e vino? Ti farà bene se hai un po'
d'imbarazzo--suggerì la moglie con sollecitudine.

--No... no... Mi dà disgusto!... Farò due passi... farò due
passi--ripetè, e cercò coll'occhio il cappello, guardando ancora verso
l'uscio; ma come prima, alla sfuggita, e senza muoversi.

La Betta si rincantucciò nell'angolo della tavola, si fece il segno
della croce, e preso il bimbo sulle ginocchia, cominciò a mangiar la
minestra adagio adagio, senza più dire una parola, studiandosi di non
toccar la scodella col cucchiaio, per non dar molestia al marito.

Questi, dopo un altro poco, si mosse girando lentamente su e giù per
la stanza. Poi si fermò dinanzi alla seggiola dov'era il suo cappello.
Lo spazzolò ben bene, a lungo, gli lisciò la tesa fregandola contro
il gomito, gli aggiustò il nastrino, e in fine se lo cacciò in capo
risolutamente con un lattone; ma ancora non ebbe il coraggio di
andarsene e tornò daccapo a passeggiare quasi non sapendo trovar la
parola solita per dire _addio_.

--Che ora è?--domandò finalmente, dopo essersi schiarita la voce che
gli usciva soffocata dalla strozza, e senza guardare in faccia la Betta.

--Le sei, credo.

--Chè, chè! Ti gira?!... dev'esser molto più tardi....

La Betta non fiatò.

--Saranno almeno le sei e mezzo,--riprese Pompeo dopo una lunga pausa.

Perchè sua moglie non gli diceva lei di uscire, di muoversi, di andare
a prendere una boccata d'aria?... Così, da solo, non sapeva risolversi
a fare quel primo passo. Aveva bisogno che qualcuno gli desse una
spinta.

--Auf, si soffoca qui dentro!

Ma la Betta, cheta cheta, continuava a mangiare col suo bambino, senza
dir verbo.

--Perdio! leccate anche i piatti stasera; che non la smettete
più?--brontolò alla fine il portinaio, tutto stizzito, per quel
silenzio che lo impacciava.

Betta, subito, mise il bimbo in terra, gli pulì la bocca con una cocca
del tovagliuolo disteso sul desco, poi cominciò a sparecchiare.

A un tratto dalla chiesa vicina si udì suonare l'_Ave Maria_.

--Sono le sette,--esclamò Pompeo. L'ora già tarda, e il rintocco delle
campane, echeggiando nel cortile e nella stanza gli dette animo e lo
fece risolvere. Si avviò prestamente verso la porta; ma poi quando fu
nell'andito si fermò di botto preso da una nuova inquietudine.... Se
fosse uscita anche la donna per andare in chiesa, chi sarebbe rimasto a
far la guardia al cassettone?... Ma in un attimo si rimise in cammino
e tirò dritto, contento di poter provare a sè stesso che nel supremo
momento non si era dato alcun pensiero del danaro affidatogli.

Quella sera egli non si perdette a girar per le strade. Andò dritto
all'_Arco Vecchio_, e quando fu per infilare la porta della sua antica
abitazione, non si voltò neppure, come faceva di solito, per vedere se
aveva dietro qualcuno che lo spiasse.

L'enormità del suo delitto, gli aveva messo addosso, nel momento di
compierlo, uno sgomento così nuovo e così strano, una agitazione, un
orgasmo, da farlo traballare come un ubbriaco. La corte era deserta; ma
quelle ombre oscure che Pompeo, senza osare di girar la testa, vedeva
colla coda dell'occhio, gli parevan piene di gente che stesse là in
agguato per saltargli addosso e pigliarlo alla gola. Ansava nel montar
la scala, e sudava, e tremava, ma non si fermò: ormai era troppo tardi.

Quando fu giunto dinanzi alla porta del _Mediatore_ era livido, e
mentre picchiava all'uscio adagio adagio, chiudeva gli occhi, e si
sentiva girar la testa come se fosse sul punto di buttarsi giù da
un precipizio.... Avrebbe voluto esser ancora a casa sua, accanto
al fuoco, a riflettere. In quell'attimo rivide la stanzuccia bassa,
scura, piena di mobili e di roba.... Rivide pur anco il cassettone, e
in mezzo al turbamento, provò un intimo senso di contentezza udendo lo
strisciare dei passi di Don Miao, che veniva ad aprire.

Il dato era tratto.

Ritornò a casa prestissimo: aveva le gote accese e appariva così
agitato e sconvolto che la Betta gli domandò se si sentiva male.

--No. Ho caldo. Mi sento soffocare.

Si era levato il cappello, ma non trovava dove posarlo, e tornò
a cacciarselo in testa; voleva sedersi a tavola, ma non vedeva
la seggiola che avea lì davanti. Colla Betta poi, era ancor più
trattabile di prima; non si era mai mostrato tanto cortese. Pareva
proprio che avesse bisogno di qualcheduno che gli stesse sempre vicino
e che gli fosse affezionato. Domandò di Giulio, lo voleva vedere, ma
era già a letto. Allora sospirò e giurò a sè stesso che, se non avesse
avuto famiglia, non avrebbe fatto quello che avea fatto....--Chè! mai,
mai! Se non avesse avuto moglie e figliuolo, sarebbe corso anche lui
alla guerra, come lo Sbornia!

Ma si faceva tardi, e bisognava trovare il modo di liberarsi della
Betta. Non la voleva presente all'arresto del padrone. Pensò di
mandarla a prendere un fiasco di vino in una bettola lontana da casa
Alamanni, in via dei _Tre Alberghi_.

Ma la donna fece la strada in fretta e ritornò più presto di quanto
Pompeo avesse pensato.

Essa lo cercò nella prima stanza... non lo vide. Posò il fiasco sulla
tavola, prese la candela, e passò nell'altra camera: non v'era nemmeno
là. Allora, maravigliata, si mise a chiamare:

--Pompeo! Pompeo!

--Son qui!--rispose una voce bassa, soffocata, dal fondo della camera.
La Betta alzò il lume per vedere di dove veniva la voce, e scoprì
Pompeo rannicchiato, nascosto fra il letto e la parete.

--Che hai?!... Ti senti male?--domandò spaventata.

--No. Ti aspettava....--e così dicendo Pompeo si alzò in piedi: tremava
come una foglia.

--Oh povera me! Tu sei malato!

--No.... no.... Dammi un bicchier di vino.

Ma la Betta non ebbe tempo di passare nell'altra stanza a prendere la
bottiglia; un rumore confuso di voci, di passi pesanti, di sciabole e
di fucili risuonò a un tratto sotto l'atrio della casa.

--Vergine santa! I _gendarmi_!...--gridò la Betta nascondendosi il capo
fra le mani.

Pompeo non si mosse, non disse verbo; allibì.

Soltanto quando la Betta fece l'atto di uscire le afferrò un braccio e
se la tirò vicina, addosso, come se volesse ripararsi dietro a lei.

--Gesummaria, vengono ad arrestarti!--mormorò la povera donna che non
sapeva spiegarsi altrimenti il tremito del marito.

No... no.... Li senti?...--rispose Pompeo, e tese l'orecchio con
ansia.--Si mettono in ordine.... Vanno via.

I gendarmi si avviarono in fatti verso la porta di strada; ma il
cancello sotto l'atrio era chiuso e però dovettero passare per l'andito
angusto della porteria.

La Betta, sbigottita, gli vedeva sfilare a due a due dalla finestrina
a cristalli in fondo alla camera, quando si spalancò all'improvviso
la piccola imposta, sbatacchiata violentemente, e dal breve pertugio
si affacciò come spettro, una figura pallida, sbiancata; cercò, fissò
Pompeo con due occhi di foco e gli gridò contro, come una maledizione:

--_Spia!_

--Il padrone!--urlò la Betta esterrefatta. Più che al viso, lo avea
riconosciuto alla voce.

I gendarmi cacciarono innanzi l'Alamanni col calcio dei fucili; quindi
si udì aprire e poi chiudere la porta con gran fracasso.

--Tu.... Sei stato tu, che hai fatto la spia al padrone?!--proruppe
la Betta con voce soffocata ma terribile, mentre il passo misurato dei
soldati risuonava allontanandosi a poco a poco por la strada.

--Sta zitta.... Sapevano tutto!--rispose Pompeo intimidito, umile
dinanzi alla moglie, senza accorgersi che con quelle parole invece di
negare, si accusava da sè.

--Tu?!... Tu?!... Spia!... E la padrona... la padrona prima di
morire...--Ma la Betta non potè dir altro: cadde giù, bocconi, sulla
sponda del letto, scoppiando in gemiti e singhiozzi.

--Calmati... calmati... Sta zitta,--mormorò Pompeo dopo un poco,
avvicinandosi, ma senza osare di toccarla.--Calmati.... Sveglierai
Giulio... che dorme!

Ma la Betta non lo udiva nemmeno. Continuava a singhiozzare, mentre un
tremito convulso di tutta la persona le faceva battere i denti.

In breve le stanzucce dei portinai si empirono di gente. Erano lo
persone addette alla casa, che correvano là ansiose di raccogliere
informazioni intorno all'arresto del padrone.

--Come mai, e da quando il signor Giulio era ritornato a Milano?...
Come aveva fatto per entrare in casa?... Chi lo aveva veduto?... In che
modo era stato scoperto dalla polizia?

Ma nessuno sapeva spiegare quell'arcano, e Pompeo pareva più sorpreso
di tutti. Parlavano tutti insieme, sommessamente, e chi diceva una
cosa, chi un'altra. Le donne si facevano ogni momento il segno della
croce e intanto il fiasco di vino, portato dalla Betta, andava in giro
rincorando gli afflitti.

A un tratto rimbombò sotto l'atrio un gran colpo: picchiavano alla
porta; quelli di dentro ammutolirono e si guardarono in viso
spaventati. Poi, come Pompeo non si moveva, il mozzo di stalla, fattosi
animo, andò lui ad aprire.

Ma appena visto chi entrava, si sentirono sollevati; era il ragioniere,
che dormiva in casa.

Il pover'uomo non sapeva ancora nulla dell'accaduto, e strabiliando
si faceva raccontare da tutti, e ripetere quella sola cosa che gli
potevano dire; che cioè, il padrone, il signor Giulio, era stato preso
dai gendarmi!

Anche lui fece le medesime domande che poco prima avean fatto gli
altri. "Come mai il signor Giulio era ritornato a Milano?... Chi lo
avea veduto?... In che modo era stato scoperto?..." ma neppur lui
ottenne alcuna risposta soddisfacente, e allora raccontò alla sua volta
che quella stessa sera la polizia aveva messo dentro anche il banchiere
Nicola Mazza, quello sull'angolo di _Via Orefici_.

--Diavolo! che retata!--esclamò il cocchiere; ma nessuno fiatò, nè
proruppe nelle solite invettive contro i Tedeschi.

Tutta quella gente pensava fra sè e sè che lì nella stessa camera,
in mezzo a loro, ci poteva essere la spia; ma nessuno avrebbe mai
sospettato nemmen per ombra del "signor Pompeo".




VII.


Frattanto la brigatella riunita nella porteria non sapeva risolversi
d'andar a letto; e appena il ragioniere fu uscito, il mozzo di stalla
dovette correre a prendere un altro fiasco di vino.

Le donne, in ispecie, impressionate dall'arresto del padrone e dai
discorsi fatti di carcere e di forca, si sentivano addosso una certa
pauretta all'idea di trovarsi sole nelle camere lontane, su, all'ultimo
piano di quel palazzone. Tutta la notte non avrebbero sognato altro
che gendarmi e spie e impiccati con tanto di lingua fuori!... Brrr....
venivano i brividi solo a pensarci!

Ma poi un caso inaspettato sopraggiunse a protrarre la veglia di alcune
ore. La Betta cominciò a sentirsi male, e allora il mozzo di stalla fu
mandato fuori un'altra volta in cerca del medico.

Questi si fece aspettare parecchio; poi, siccome era il medico di casa,
invece di entrare subito nella camera dell'ammalata si fermò a lungo
nella prima stanza a discorrere coi servitori dell'arresto del signor
Giulio e degli altri avvenimenti di quella sera memorabile, e seguitava
sempre a parlare quando, infine, passò dalla Betta, tutto lustro
nell'abito nero, il cappello a cilindro in testa e il sigaro in bocca.
S'accostò adagio al letto, prese in mano la candela ch'era sul tavolino
da notte, e si chinò per veder meglio in faccia la donna. Betta avea le
gote rosse, accese, e gli occhi immobili, spalancati. Allora il dottore
assunse un contegno grave; e levandosi il sigaro di bocca, lo posò
accanto al letto, sul piattellino del candeliere; poi tastò sotto le
coperte il polso all'ammalata.

--Ha un febbrone da cavallo!--esclamò dopo un istante, cercando cogli
occhi Pompeo, rimasto in fondo alla camera muto e preoccupato.

Il dottore, tenendo sempre con una mano il polso della Betta,
coll'altra che avea libera cavò dalla tasca del panciotto un grosso
orologio d'argento per misurare le pulsazioni.

--Corbezzoli!... Occorre un salasso, subito!

--È cosa grave?--domandò pianino una delle donne che erano entrate
nella camera, dietro al dottore, e stavano in silenzio appiè del letto.

Il medico non rispose; ma invece di aspettare il chirurgo, come s'usava
allora, tolse da una busta di pelle, che portava sempre con sè, tutto
l'occorrente, e si dispose egli stesso a fare il salasso.

La Betta non si mosse, e non fiatò. Continuò a guardare Pompeo cogli
occhi spalancati, che pel subitaneo pallore del viso parevano più
grandi.

Il dottore, fasciato il braccio all'ammalata, si lavò le mani in un
catino che gli teneva una delle donne; pulì e ripulì la lancetta col
fazzoletto bianco; e rimessala nella busta, ne levò fuori un fogliolino
di carta, vi scrisse col lapis qualche parola, chiamando poi a sè
Pompeo con un cenno:

--Tieni,--e gli dette la ricetta;--che prenda di questa medicina un
cucchiaio da tavola ogni ora. Se le sopraggiunge il delirio, non
importa, continui lo stesso. Ma mi raccomando!--e guardò le donne che
si erano aggruppate a discorrere sommessamente;--l'ammalata ha bisogno
di quiete e di riposo, e in camera non si fa conversazione!

--Il delirio!--ripeteva intanto tra sè il portinaio, che stava sempre
in apprensione.--Potrebbe parlare nel delirio!...--Oh, avrebbe pensato
lui a sciogliere la compagnia e a far in modo che la Betta rimanesse
quieta... e sola!

Anche per la medicina fu mandato in giro, al solito, il povero mozzo
di stalla, e mentre Pompeo l'aspettava, persuase lo donne e gli altri
a non fare, complimenti e andar a letto.--Era già tardi; e del resto
avevano sentito il medico: la Betta avea bisogno di riposo... Invece,
se una delle donne avesse voluto prendersi Giulio con sè, gli avrebbe
fatto proprio una carità fiorita. Il piccino, alle volte, poteva
svegliarsi nella notte, e piangere e strillare; insomma disturbare la
povera ammalata!...

--Ma s'immagini, signor Pompeo! Di tutto cuore!...--risposero insieme
le donne. E il bimbo fu levato dal lettino senza che nemmeno si
destasse. Sospirò, con un piccolo gemito, quando fu preso in braccio;
poi subito piegò la testolina appoggiandola contro la spalla della
cameriera che lo portava, e continuò a dormire.

--Povera creaturina! Sembrava un angelo del Paradiso!

Gli occhi della Betta, ch'erano sempre rimasti fissi, immobili addosso
a Pompeo, si volsero allora e seguirono la donna che usciva dalla
camera in punta di piedi, tenendosi fra le braccia il figliuolino
addormentato. In quel momento il respiro dell'inferma sembrò farsi più
affannoso e le labbra si mossero lievemente come se mormorassero una
preghiera.

       *       *       *       *       *

--Apri la bocca!--esclamò Pompeo con rabbia, quando fu solo presso
la moglie. In piedi, accanto al lotto, studiava di tener fermo il
cucchiaio di ferro colla medicina.

--Apri la bocca!...--La moglie lo fissava, lo fissava sempre ed egli si
sentiva inquieto e sgomento.

La Betta aprì la bocca; Pompeo piano piano, per non versare la
medicina, le avvicinò il cucchiaio alle labbra, mentre i denti
dell'ammalata battevano contro il ferro.

Frattanto la Betta seguitava a guardar fissa il marito, e quello
sguardo spietato gli penetrava in fondo all'animo.

Pompeo rabbrividiva: la luce fumosa della candela gittava incerti
riflessi sul viso dell'inferma; il lettone alto, grande si perdeva fra
le ombre circostanti come un immenso cataletto. E all'infuori di quel
viso contraffatto e di quegli occhi che non lo abbandonavano mai, nella
camera era tutto buio, tutto silenzio. Volle provare a muoversi, per
farsi coraggio: anche lo scricchiolare delle scarpe gli faceva paura.
Ma, a un tratto, sentì un mormorìo dolore che si manifestava così
semplicemente, colle lacrime, distrusse tutto il mistero fantastico che
i rimorsi gli avevano suscitato nella coscienza.

--Ma non era altro che la Betta, sua moglie; la Betta che singhiozzava,
quella che conosceva il segreto!... E dunque? Animo! Su! Perchè tanto
sgomentarsi? Non avea forse in suo potere colei che avrebbe potuto
disonorarlo e perderlo?... Perderlo?... Sì; ci voleva altro, colla
polizia ch'era dalla sua!... Disonorarlo? Perchè?... A buon conto
avea fatto il suo dovere!... Se i matti cospiravano per il gusto
di farsi impiccare, o che non era padrone lui di essere un suddito
devoto... per salvar la pelle?... E poi l'onore era roba di lusso, roba
buona pei signori che non avevano bisogno di faticare a mantener la
famiglia!... Spia?!... No... Lui non era una spia; lui non era andato
di sua spontanea volontà la prima volta dal commissario!... Chè!... Lo
avevano minacciato della forca--_della forca_--zizzole!... Non ora
un eroe, lui, ecco; questo era prontissimo anche a confessarlo; ma la
sua colpa stava tutta lì... Spia?... Le spie si pagavano, e Pompeo
Barbetta--vero, com'era vero ch'era stato battezzato--non aveva, nè
avrebbe mai preso un soldo dai Tedeschi!

Per altro quella zuccona testarda e ignorante della Betta non avrebbe
voluto capirle tutte le buone ragioni; e con lei, sicuro, anche perchè
non s'inquietasse di più, era meglio cercar di scusarsi e nascondere la
verità, almeno per quanto fosse possibile.

Allora Pompeo le si accostò e chinandosi le parlò piano, così vicino,
che sentiva sul viso il fiato caldo dell'ammalata.

Le disse che avea avuto, in quello stesso giorno, un'altra chiamata dal
Commissario, e che alla polizia si sapeva già, per filo e per segno,
l'arrivo a Milano del signor Giulio e la sua visita a Donna Lucrezia,
e infine dov'era andato a nascondersi "quel minchione!" per aspettare
il momento buono di rimettersi in viaggio!... Chi avea spifferato
ogni cosa? Egli no, di sicuro, perchè sentiva allora quelle notizie
per la prima volta. Ma forse, chi sa, Donna Lucrezia, chiacchierona
esaltata, avrebbe potuto confidare ad altri quel segreto, tanto per
darsi l'aria di metterci lo zampino anche lei nelle rivoluzioni!...
Dal canto suo, non avea fatto altro che aprir la porta ai gendarmi
come gli era stato ingiunto dal Commissario, sotto pena, in caso di
disubbidienza, o di un qualche avviso dato al padrone, d'essere mandato
in galera ad aspettare che restasse tempo al boia d'impiccarlo.--Ma la
spia--concluse accalorandosi--la spia, io non l'ho fatta; te lo giuro,
e poi guarda--soggiunse facendosi il segno della croce--che possa
morir subito!... Dunque... vedi bene... non c'è ragione di disperarsi;
invece devi metterti in quiete e pensare a guarire, e... e non dir
nulla di nulla su quanto è accaduto!

La Betta non rispose: avea il viso rosso, enfiato; le labbra
semi-aperte, aride, assetate; e la misera treccia di capelli biondi,
che le si era spuntata dal capo, le ricadeva intorno e sul guanciale.
Ma gli occhi suoi, già così dolci e umili, facevano sempre paura a
Pompeo. Adesso non guardavano più il marito, ma erano fissi là, dinanzi
al letto, nel fondo buio della camera dalla parte del cassettone...

--Che mi abbia veduto nascondere i danari?--pensò il portinaio ripreso
dallo sgomento.

--Ma in somma!--esclamò infastidito,--che hai? perchè mi tieni sempre
gli occhi addosso con quell'aria di minaccia?... Su!... via, parla una
buona volta!... Pretenderesti farmi paura?... Chi sa la febbre quali
sognacci strani ti ha fatto fare!... Pensa a tuo figlio, piuttosto, e
ricordati che se mi toccasse qualche malanno, ne soffrirebbe lui!

Allora la Betta aprì la bocca per la prima volta, dopo quella scena
tremenda. Erano parole tronche, confuse, soffocate.... Pompeo tese
l'orecchio, ma più che sentire, indovinò quel ch'essa diceva.

--Il padrone... il padrone... i danari... la padroncina...

--I danari?... Che danari?

--Sono... laggiù,--rispose l'inferma, guardando ancora nel buio, di
faccia al letto.

--Il padrone mi aveva ordinato di nasconderli....

Pompeo si sentiva diacciare il sangue nelle vene, tanto la sicurezza
della moglie gli pareva soprannaturale.

--La... padroncina... i danari....

--Sì... sì...--ripetè l'altro guardando fisso l'ammalata per capire il
suo pensiero e per rassicurarla,--i danari che mi ha dato il padrone li
terrò in serbo per la padroncina.

--Giura... su... nostro....

--Sì, sì; lo giuro sul capo del nostro figliuolo!

--Per la tua salute eter....

--Per la mia salute eterna!... Sì; lo giuro!--e Pompeo stese la mano
verso l'immagine della Madonna, ch'era appesa a capo al letto.

L'ammalata gli rivolse un ultimo sguardo, come per ricevere
solennemente quella promessa; poi stanca, chiuse gli occhi, e senza più
parlare si assopì.

--Come ha potuto indovinare, la maledetta, che avevo il morto nel
cassettone?!--pensò Pompeo ormai interamente tranquillo.--È proprio
vero che i gobbi sono maliziosi!...

La mattina dopo il medico ritornò prestissimo, ma non diede buone
notizie.

--È un precipizio!--diceva egli a Pompeo, che, finita la visita, lo
avea accompagnato fino sul portone di casa.--È un precipizio!--e
scoteva il capo, stringendo le labbra in segno di malcontento mentre
colla mano ornata del grosso anello dottorale, si lisciava gravemente
le guance rase.--Già da un pezzo, era dimolto malandata, e la
commozione, la paura le hanno cagionata una scossa grave!... Sicuro,
sicuro.... Del resto puoi sentire qualche altro parere: io, per me
la dichiaro una febbre violenta di consunzione. Adesso attraversa un
periodo di tregua... ma temo che passerà presto allo stadio acuto. In
ogni caso, vieni a chiamarmi liberamente, e coraggio!--Il medico fe'
un saluto colla mano e se ne andò.

La Betta, un po' più pallida in viso, quando vide il marito che
rientrava nella camera, lo chiamò con voce debole, accanto al letto.
Pompeo accorse premuroso.

--Che cosa ti diceva il dottore?--chiese l'inferma con molta fatica.

--Mi diceva che ti ha trovata benino e che guarirai... presto.

La donna scrollò il capo sul guanciale con quell'irritazione propria
degli ammalati quando vengono contradetti.

--No... è finita.... Chiamami il signor... curato.

Pompeo la guardò accigliato, con una certa inquietudine in corpo.

--Ti ricordi,--riprese la Betta, che avea indovinato il perchè di quel
turbamento,--ti ricordi... di stanotte... del tuo giuramento?

--Sì, sì!

--Va... chiamami il signor curato... e non aver paura.

--E Giulio?... lo vuoi vedere?--le domandò Pompeo che per prudenza
pensò bene di ricordarle il figliuolo, prima che rimanesse sola a
spassionarsi col prete.

--No! no!--rispose Betta vivamente, rifacendosi rossa.

Pompeo, che si sentiva rianimato e sicuro, ebbe allora un sentimento
di gratitudine verso quella donna che gli moriva così in buon punto
e, forse per la prima volta da che erano marito e moglie, la baciò
leggermente sulla fronte madida, sussurrandole piano, a mo' di
conforto:--Ti farò dir tante messe!

Quando uscì dalla camera, era proprio commosso per quel suo atto di
bontà, e incontrata una delle vecchie donne di casa, sospirando e
facendosi compassionare la pregò volesse tener un po' di compagnia alla
sua povera moglie nel tempo che lui per contentarla andava a cercare il
signor curato; e così dicendo cominciò a piangere per davvero.

Ed anche strada facendo, ormai avea preso l'aire, continuava a fare
i lucciconi; ma camminava lesto lesto, e sentiva che quella brezza
mattutina gli metteva appetito.

--Che disgrazia!--mormorava fra sè, mentre gli veniva quasi la voglia
di spiccare un salto.--Una donna come la Betta non la troverebbe mai
più!... Dio, Dio, che disgrazia! Sarebbe rimasto solo, col suo bimbo
fra le braccia.... e per farsi animo entrò da un liquorista a bevere un
bicchierino di zozza.

...E i rimorsi!... Che rimorsi! Non si era mai sentito tanto in pace
colla sua coscienza. Avrebbe tenuto in serbo le cinquanta mila lire e
le avrebbe consegnate al padrone, oppure alla padroncina quando fosse
uscita di minorità...--Lo aveva giurato ed era un galantuomo!

--E se invece di tenere quel capitale infruttifero per tanti anni
avesse trovato modo d'impiegarlo bene?

Il curato arrivò con gran fretta: era ancora come Pompeo lo avea
trovato in sacristia, in sottana lunga, senza nicchio nè mantelletta.
Salutò le donne riunite nella prima stanza, toccandosi appena la
papalina, o passò dall'ammalata, accostandosi al letto leggero come
un'ombra, senz'altro rumore che il fruscìo della veste.

Gli bastò un'occhiata per capir subito che la donna non era ancora
agli estremi, e si mise di malumore perchè gli avevano fatto furia
inutilmente.

--Sempre così,--pensava benedicendo l'inferma alla lesta,--i pitocchi
sono i più solleciti a farsi servire!

Poi, curvandosi per ascoltare la confessione, appressò la sua faccia
pallida, fredda, impassibile al viso scarno e acceso della Betta
soavemente irradiato, in quel punto, d'innocenza e di fede.

Era lei che moriva; era lei che espiava! La Vergine Santa dei dolori
avrebbe esaudita la sua invocazione suprema, liberato il prigioniero,
toccato il cuore di Pompeo; essa, Regina degli afflitti, avrebbe
soccorso, protetto il bambinello suo, che rimaneva senza la mamma....
La febbre le allietava la mente di care visioni e la speranza, l'eterna
lusinghiera, concedeva alla martire quell'ora di calma e di pace.

La confessione fu breve, e il portinaio, il quale dietro l'uscio spiava
ansioso la faccia del prete, non ebbe tempo di apprensionirsi; lo vide
presto rialzarsi su, sempre freddo e impassibile, mentre l'inferma,
che avea fatto uno sforzo penoso per sollevarsi sui gomiti, ricadeva
spossata, affondando il capo nel guanciale. Pompeo allora respirò più
libero, pur continuando a osservare.

Il prete trinciò un'altra benedizione colla mano allungata, che si
moveva svelta, in tre tempi, come fosse regolata da una macchina;
poi si levò la papalina, la tenne stretta fra le mani giunte, e
socchiudendo gli occhi sotto le ciglia irsute, bisbigliò una breve
orazione accompagnandosi con un leggero dondolìo del capo. Indi
sbottonatasi la sottana sul petto, cavò fuori da una tasca interna
un crocifisso d'argento, e lo avvicinò alle labbra della Betta che
lo baciò devotamente. Infine, ripulito il crocifisso col fazzoletto
bianco, e mormorando all'inferma:--Coraggio; confidiamo nella bontà del
Signore!--si rimise la papalina, disponendosi ad andar via.

Pompeo che aspettava quel momento si fe' innanzi e con faccia compunta
condusse il curato in un angolo mezzo buio della cameretta.

Non era il caso di farmi tanta furia!--brontolò subito il prete a mezza
voce.--Si poteva aspettare, senza pericolo, un'altra settimana!

Pompeo non disse verbo; ma prese fra le sue la mano lunga, pelosa del
prete, e stringendogliela, come per effondersi in ringraziamenti, gli
fece scivolare nella palma un piccolo cartoccetto rotondo.

Se vorrà dire una messa, Don Vincenzo--balbettò il portinaio--per la
salute della mia povera moglie e... secondo la mia intenzione...

--Certo, certo! Domattina; alla beata Vergine miracolosa del Santo
Rosario!

Il prete alla forma, al volume e al peso dell'involtino avea indovinato
dovesse contenere almeno un mezzo marengo.

--Sarei venuto egualmente... Certo, certissimo!... Soltanto, forse
un pochino più tardi!--soggiunse poi facendosi espansivo.--Siamo in
un momento, figliuol caro, in cui a Milano c'è carestia di preti!...
Hanno messo in prigione anche il mio coadiutore!... Già era una testa
matta... un mazziniano!... E così mi è rimasta la parrocchia sulle
spalle!... Del resto l'ho detto appunto per farti cuore; non vedo un
pericolo imminente!... ma, per altro, hai fatto bene. È sempre da buon
cristiano il premunirsi contro ogni evenienza!--Ciò detto, il prete
ritornò vicino all'ammalata.

--Da brava, da brava!... Devi farti coraggio e confidare nella bontà
infinita di Gesù, nostro Signore.--Don Vincenzo si toccò devotamente la
papalina,--e della beatissima Vergine del Santo Rosario!... Io ti ho
trovata benino; benino proprio davvero; e lo diceva qui adesso a tuo
marito... Che cosa ti ha ordinato il dottore?

Pompeo gli mostrò la boccettina della pozione, e gli raccontò che il
medico, la sera innanzi, le avea fatto un salasso.

Don Vincenzo approvò la cura, volle sentire il polso della Betta, e
ripetendo che non c'era punto da spaventarsi, soggiunse che, tuttavia,
se desiderava comunicarsi, come atto da buona cristiana poteva farlo, e
che perciò sarebbe ripassato di là un altro giorno, presto.

Andandosene, salutò affabilmente, nell'attraversare l'altra stanza, le
persone di servizio, che stavano tutto il giorno in conversazione dal
portinaio; e assicurò anche quella buona gente, che per il momento non
c'era pericolo di una catastrofe. Le donne e i servitori s'erano fatto
il caffè e lo tenevano nei bicchieri, non avendo chicchere sotto mano,
e ne offrirono subito anche al signor curato. Ma questi ringraziò, e
scappò via di furia, perchè avea tre altri moribondi da visitare, prima
d'andar a pranzo.

--Guarda mo--pensava intanto Pompeo--come il curato s'è fatto tenero
di cuore!... Il danaro sempre il danaro, solo il danaro; così in cielo
come in terra!--e a questo punto, ghignando con le labbra stirate che
gli mettevano in mostra i denti cariati, non potè trattenersi dal
lanciare un'occhiata rapida nell'altra stanza, dov'era il cassettone.

Adesso permetteva che le donne di casa entrassero liberamente dalla
Betta; e anch'egli di continuo entrava ed usciva, mostrandosi mesto
e sospiroso. Spesso si accostava, in punta di piedi, all'ammalata, e
trattenendo sino il respiro per non far rumore le metteva fra le labbra
aride qualche pezzettino di ghiaccio, le accomodava il guanciale, o le
rincalzava il lenzuolo e le coperte.

La Betta lo lasciava fare guardandolo fissa con quei suoi occhioni
grandi e buoni che non incutevano più alcun timore al marito, ma
parevano interrogarlo ansiosamente. Pompeo capiva che cosa gli volea
domandare la Betta, e chinandosi, le diceva all'orecchio a nome del
Commissario--che il signor padrone se la sarebbe cavata con poco; che
presto sarebbe stato lasciato in libertà, e che anche per il banchiere
Nicola Mazza le cose si mettevano benino.

--Era il signor Francesco Alamanni quello che volevano agguantare!...
Lui sì, che correva rischio di non morir nel suo letto!... Ma il signor
Giulio non era altro che uno _stravagante_ lunatico e certo non faceva
ombra alla polizia!

La Betta a quelle parole si calmava un poco, e chiudendo gli occhi
riusciva ad appisolarsi.

Frattanto le donne di servizio rimanevano incantate e non avevano altro
che lodi per "il signor Pompeo"; per le premure, per le attenzioni che
prodigava alla moglie, e per quel suo dolore così profondo e sincero.

Pareva un tanghero--dicevano--ma all'atto pratico si vedeva ch'era
pieno di cuore.

E lo rimbrottavano dolcemente, a mo' di conforto, ricordandogli che era
padre e che dovea pensare al suo figliuolo, il quale, poverino, non
avrebbe avuto al mondo altri che lui.

A tali parole i sospiri di Pompeo diventano gemiti:

--Ah! se non avesse avuto un figliuolo!--Poi diceva alla gente che
"quel cencio di donnina" era tutto per lui. Andavano così bene
d'accordo! Si sa, alle volte c'era qualche burrasca; ma erano burrasche
d'estate, che non fanno altro che rinfrescar l'aria!... Del resto, chi
poteva dire d'averlo mai veduto bazzicare per le osterie? Chi aveva mai
sentito che avesse fatto un torto a sua moglie? Tutto il giorno e la
sera non si moveva mai da quelle due stanzucce a terreno.... Ah, se non
avesse avuto un figliuolo, avrebbe commesso uno sproposito!

Un giorno il medico, intenerito anche lui dal dolore del portinaio,
volle provarsi a confortarlo.

--Oggi va benino,--gli disse piano sulla porta, dopo la
visita,--proprio benino...

Pompeo, a tali parole, mutando d'improvviso l'espressione mestissima
del volto in una serietà ansiosa, guardò fisso il medico, balbettando:

--Davvero? Si mette bene? Potrà alzarsi ancora? Potrà guarire?

--Alzarsi... forse... sì!

--E guarire?... Potrà guarire?.. Guarir del tutto?...

Il dottore colpito da quel precipizio di domande, che gli toglievano il
respiro, non volendo per troppa pietà mettere in pericolo la propria
riputazione, stimò prudente di non dare soverchie speranze, e soggiunse
che "nella migliore ipotesi" sarebbe stata sempre una guarigione
relativa. La Betta aveva sentita una scossa troppo forte, per quel suo
organismo debole come una foglia. Continuando benino avrebbe potuto
tirar innanzi... magari anche per qualche mese; ma non più... a meno
d'un miracolo!

Pompeo tornò a sospirare e a far i lucciconi, ma volle ad ogni costo
che il dottore accettasse una chicchera di caffè e corse fino alla
pasticceria delle _Tre Corone_ a prendergli una fetta di panettone
fresco.

Tuttavia anche quel miglioramento fu di breve durata. Pochi giorni
appresso, il dottore, che continuava ad essere contento dello stato
dell'ammalata, s'era fermato un poco, dopo la sua visita mattutina,
a discorrere in fondo alla, camera con Pompeo e coll'Assunta, la più
vecchia delle cameriere di casa Alamanni.

Quella notte erano successi a Milano gravissimi avvenimenti; e il
medico appunto nominava molte persone insigni o note; ricchi e patrizi,
poveri e plebei, donne e preti, ch'erano stati arrestati, o presi in
ostaggio. E raccontava di nuove minacce e di rigori, e di condanne per
parte dell'Austria che voleva soffocare nel sangue ogni spirito di
rivoluzione, ogni palpito di libertà.

--Gesù Maria!... E il signor padrone?!--esclamò a un tratto l'Assunta,
tutta spaventata.

--Il signor Alamanni e il banchiere Nicola Mazza--rispose il
medico--furono mandati a Mantova. Là si farà loro il processo, e si ha
ragione di temere una condanna capitale.

Pompeo si fe' pallido e non ebbe coraggio di dire una parola.

--Ah Gesù Maria! Povero il nostro padrone!... Povera
padroncina!--riprese gemendo la vecchia.

--Oh quella bimba, è propria disgraziata!--soggiunse il medico tristo
tristo.--Pare che essendo colpito dalla proscrizione anche il signor
Francesco, ci sarà la confisca di tutti i beni degli Alamanni.

--La confisca?... E noi allora? O come camperemo?--domandò l'Assunta
guardando Pompeo, istupidito, per avere un conforto da quell'altro
suo compagno di sventura. Ma subito fu commossa da un sentimento più
generoso di pietà per il signor padrone così buono, e per la padroncina
e la signora Lucrezia, che sarebbero rimaste nella più squallida
miseria.

--Ma come mai quella santa della signora Lucia, che dovea essere in
Paradiso di sicuro, permetteva che accadessero tante disgrazie nella
sua famiglia?

--Morta lei, non c'è stato più bene in questa casa,--osservò il dottore.

Ma la vecchia era passata dalla pietà al furore, e alzando le mani con
le dita lunghe, irrigidite, e piegandole come artigli, esclamò:

--Se fossi un uomo e mi capitasse sotto le unghie quel maledetto che ha
venduto il padrone, lo scorticherei vivo, gli caverei gli occhi, mostro
infame!

--E sarebbe giustizia!--replicò il dottore.--Una volta scoperto,
nemmeno i gendarmi gli salverebbero la pelle! I _carbonari_, i
_frammassoni_, non perdonano alle spie. La settimana scorsa, non lo
sapevate? fu ucciso con un colpo di stile quel giuda del Grossi che
aveva rapportato dove s'era nascosto il De-Cristofari! Oh, andate pur
là, buona donna; presto o tardi... Dio non paga il sabato!

--Ucciderlo è poco,--seguitava la vecchia:--scorticarlo vivo,
bisognerebbe!... Cavargli gli occhi!... Non è vero, signor Pompeo?

Pompeo volle sorridere, ma non riuscì a fare altro che una
smorfia.--Sicuro... certo... certamente!...--e non poteva dire di più.
Il medico lo levò d'impaccio ritornando vicino al letto dell'ammalata
per salutarla prima d'andarsene, con un'ultima parola di conforto. In
que' giorni di lutto, di sventura, di ansietà continua e di continui
pericoli era come invalsa una nuova dimestichezza che affratellava le
persone anche di diverso stato. In que' giorni pareva non ci fosse più
altro, fra la gente buona, che una sola distinzione: l'oppressore e
l'oppresso--l'italiano e il tedesco.

--Se durerai a sentirti benino,--diceva frattanto il dottore
avvicinandosi alla Betta,--domani potrai alzarti per qualche ora,
e...--ma non finì ciò che voleva soggiungere e turbato e maravigliato
prese il braccio dell'inferma per sentirle il polso, mormorando:

--Sta male!... Sta male di molto!... L'è tornata la febbre!... e più
forte di prima!

La Betta, inquietissima, agitava il capo sul guanciale convulsamente:
aveva il petto ansante, la faccia rossa, sudata; gli occhi lucenti.

--Presto!... Presto! Un catino! Ci vuole un altro salasso!

L'Assunta di corsa prese quanto abbisognava, e si avvicinò al dottore.
Pompeo fece un passo, poi si fermò, esitante.

Ma il salasso, questa volta, non produsse alcun effetto. L'ammalata
continuò a peggiorare e quando, sfinita di forze, riusciva un poco ad
assopirsi, era subito presa dal delirio.

Pompeo quindi ricominciò a valersi dell'autorità del signor dottore
per mandar via la gente e restar lui solo a guardia della moglie.

Ma la Betta quando era in sè tornava a fissarlo con quegli occhi
sbarrati che gli trapassavano l'anima, e che gli mettevano addosso
lo spasimo e il rimorso; e quando essa era presa dal delirio, le sue
parole gli facevano paura.

--Se qualcuno fosse nascosto in camera... o dietro l'uscio ad
ascoltare?... Egli sarebbe perduto!--E Pompeo vedeva levarsi contro il
suo petto, come fantasma minaccioso, il pugnale che dovea vendicare il
signor Giulio, il suo padrone, il suo benefattore.

--Benefattore?...--No, no! Egli non gli doveva nulla! Sua moglie avea
ricevuto qualche regalo; lui no, mai!... Aveva servito, lo aveano
pagato; erano pari e patta!

Ma nel buio della cameretta illuminata appena dal chiaror fioco della
candela crepitante, le parole del medico "_carbonari_, _frammassoni_"
gli si affacciavano terribili dinanzi alla mente. Anche Pompeo aveva
la febbre, e gli pareva di sentirsi dietro le spalle un uomo dal viso
pallido, colla barba nera, col cappello a cencio calato sugli occhi,
che gli si avvicinava piano piano, col braccio levato, per colpirlo.
E la sua fantasia sconvolta riempiva di spettri ogni angolo della sua
stanza, e vedeva figure terribili appiattate sotto il lettone alto,
dove la Betta stava morendo.

Come sospirava il mattino, un bel giorno di sole! Sentiva che col sole
sarebbe stato tranquillo.

--A Mantova!... A Mantova!...--Perchè lo conducevano a
Mantova,--pensava per farsi animo,--non è decretato che lo debbano
impiccare!... Ma una cosa è certa, che io con quelle cinquanta mila
svanziche sarò la provvidenza per la signorina!

In quel punto si udì nella camera un gemito soffocato, poi un grido
acuto, poi alcune parole balbettate, rotte dal tremito della febbre.

--Spia... spia... il padrone... Mantova... la signora... la mia buona
signora...

Pompeo, oppresso, agitato si rodeva l'unghia del pollice coi denti. Ma
a un tratto gli sembrò di udire qualcuno muoversi nella stanza vicina.
Allora trasalì e accostandosi tremante alla Betta:--Zitta, zitta,--le
gridò con voce bassa, ma vibrata, curvandosele addosso.--Sta zitta!

--Spia... Spia... Assassino!...--continuò a mormorare delirando.

--Chètati,--replicò Pompeo sempre più spaventato, nello stesso tempo
acceso d'odio e di collera contro quell'essere debole, che gli si era
sempre piegato dinanzi, ma che in quel punto sfuggendo al suo dominio,
lo condannava con una parola infame:--Chètati.

--Spia!... Spia!... Assassino!...--e l'inferma, sempre delirando,
spalancò a un tratto gli occhi.

Pompeo perdette il lume della ragione, stese la mano irrigidita
dallo spavento e dall'ira, e chiuse, soffocò quella bocca ostinata,
affondando contro il guanciale il capo della donna.

--Chètati!... maledetta!

Il misero corpicciuolo diè un sobbalzo di sotto alle coperte, poi non
si mosse più.

In quel momento fu bussato piano all'uscio della camera. Pompeo si alzò
a un tratto, indietreggiando sbigottito, e tese l'orecchio: sperava di
essersi ingannato; ma dopo un poco udì picchiare di nuovo e più forte.

--Chi è là! Aiuto!--gridò allora, tutto tremante.

--Sono io, signor Pompeo,--- rispose una vocetta stridula, sottile.

Era l'Assunta, scesa poco prima per offrire i suoi servigi in caso di
bisogno.

--La Betta sta male!... Sta male di molto! Ha avuto il delirio!... le
convulsioni!... L'ho dovuta tenere con fatica... ma non ci potevo più
reggere... e mi ero messo a chiamare... a chiamar aiuto.... Adesso per
altro s'è calmata... s'è calmata un poco!

--Gesù Maria, non si muove più! È morta!--sclamò l'Assunta vedendo la
portinaia livida, stecchita; ma subito le si accostò sollecita, e sentì
che respirava ancora.

--Corra, corra in fretta a chiamare il dottore, signor Pompeo, e anche
il curato!

Pompeo obbedì, e corse via a precipizio. In quel momento non era più
padrone di sè. Andò difilato dal medico; non lo trovò in casa; allora
andò dal curato, gli disse che la Betta stava male, e ritornò indietro
con lui senza far parola durante tutta la strada.

Quando entrò, seguendo il prete, nella camera della moglie, vide tutte
le donne di casa inginocchiate attorno al letto. Il curato muto,
sollecito, si appressò alla Betta, si chinò per osservar meglio quel
viso giallo, contraffatto, cogli occhi vitrei e la bocca spalancata;
poi freddo, senza alcuna emozione, si rivolse con lo sguardo a Pompeo
dicendo a mezza voce:

--Il Signore l'ha chiamata in Paradiso!--Ciò detto si scoprì e benedì
la morta, indi congiunse le mani, socchiuse gli occhi e bisbigliò una
prece, a cui le donne risposero in coro, sommessamente:--_Amen, amen_.

Pompeo, anch'egli inginocchiato, ma in disparte, si teneva il capo fra
le mani.

A un tratto, in mezzo a quelle preci, a quel lugubre raccoglimento, si
udì uno strillo acuto, poi una vocina infantile che chiamava:

--Mamma! mamma!

Era Giulio, il bambino della povera Betta. In quel momento egli era
riuscito a deludere la sorveglianza dello sue custodi, ed entrato in
camera piano piano, tentava di arrampicarsi sulla sponda alta del
letto, singhiozzando e chiamando sempre più forte:

--Mamma! Mamma!




                             PARTE SECONDA

                              GLI AFFARI.




I.


--Chè! Chè! Le fiamminghe in giornata sono diminuite di
prezzo!--esclamò la florida signora Veronica che stava ritta, dietro il
suo banco di pegni, esaminando al lume di una lucernina di canfino una
piccola miniatura legata in oro e contornata di diamanti.

Dall'altra parte del banco una squallida vecchietta in capelli, con una
sottana di lana scura tutta lisa, e uno scialle bigio, stretto attorno
al magro corpicciuolo, rimaneva attonita e muta nell'udire quelle
parole.

--Sicuro, cara la mia donna!--continuò la signora Veronica senza punto
commuoversi dinanzi al dolore della nuova cliente.--In _Merica_ hanno
trovato una cava di diamanti grossi come nocciuole, e ne arrivano,
tutti i giorni, bastimenti pieni!

--Ma pure... c'è dell'oro--soggiunse la vecchia, timidamente.

--Non tanto... non tanto: la montatura è sottilina.

--La mia signora avea detto che la miniatura sola valeva un occhio
della testa.

--Sarà benissimo... ma è un ritratto di famiglia, e in commercio,
capite, non ha valore... Fosse un Vittorio Emanuele, o un Garibaldi,
o un Napoleone, tanto si potrebbe trovar l'amatore, ma un ritratto
qualunque chi volete che lo pigli?--Così dicendo la signora Veronica
stringeva le labbra sprezzantemente, e allungando il braccio, faceva
l'atto di restituire la miniatura. Ma la vecchia non volle riprenderla
e continuò a tener le mani nascoste sotto lo scialle, sicchè l'altra
mise il medaglioncino sul banco.

Realmente il ritratto, a parte la montatura, non poteva aver nessun
pregio per la signora Veronica Micotti, che teneva un'agenzia di
prestiti sopra pegni in _Via del Pesce_. La squisita miniatura non
rappresentava un personaggio illustre, ma invece era un'immagine soave
di donna giovane e bella, coi capelli nerissimi e le braccia e le
spalle nude.

--Fosse almeno un'anticaglia!--esclamò la padrona del banco, vedendo
che l'altra rimaneva lì ferma, intontita, senza risolver nulla.

--Oh per questo la mia signora mi diceva che le era stato regalato
prima del quarantotto!

--Bell'affare! Non sapete, cara voi, che ci vogliono secoli e
_seculorum_ prima che gli oggetti acquistino pregio?--Poi la signora
Veronica appoggiando le mani sul banco si alzò in punta di piedi
e dondolando la maestosa persona esclamò coll'aria solenne di chi
pronuncia una sentenza inappellabile:--Sopra questo pegno non posso
prestare più di quindici fiorini.

--Vergine santissima! Da _Gesù_ pietoso me ne darebbero trenta, a dir
poco.

--E voi, allora, perchè non andate a metterlo al _Monte_?

L'altra chinò il capo, sconcertata.

--Risolvete dunque: sì o no. È tardi, sono le otto sonate, e devo
chiudere.

La povera vecchietta prima di rispondere guardò in giro, sospirando,
la botteguccia angusta, coi grandi scaffali di legno tarlato, disposti
tutt'intorno alle pareti, e pieni di sacche di tela greggia, rigonfie,
segnate da un cartellino col numero progressivo. Pareva quasi ch'ella
volesse chiedere consiglio a tutta quella roba ch'era là ammucchiata,
muta testimonianza di altre miserie e di altri dolori.

--E così?--ripetè la padrona, infastidita dal lungo indugio.

--Via... si lasci smuovere... aggiunga qualche cosa... qualche
spicciolo, almeno!

--Anche se si restasse qui fino a domani, non vi potrei dare un soldo
di più!

--Eppure chi mi ha diretta a quest'Agenzia mi aveva consigliato di
parlare col signor Barbarò, assicurandomi ch'egli mi avrebbe fatto
ottenere le maggiori facilitazioni.

--Il signor Barbarò non c'entra con noi!--esclamò la Veronica,
arrossendo leggermente.

--Ma per altro, se lo dicessi il nome della mia signora,--soggiunse la
donnicciuola titubante, e abbassando la voce,--forse... anche lei, non
sarebbe tanto ostinata!

--E ditemi, alla malora, chi è questa vostra signora, e spicciatevi!

Erano sole nell'Agenzia, ma pure la vecchietta si sentì presa da
tanta vergogna nel dover proferire quel nome in un luogo sì abietto,
che allungò il collo quanto più potè sopra il banco, per dirlo in un
orecchio alla signora Veronica. Questa, uditolo appena, trasalì con un
moto di maraviglia e di contentezza, e presa tosto la miniatura, la
nascose in un cassetto del banco che chiuse a chiave.

--Perchè non dirlo subito,--esclamò,--benedetta donna!--Poi le domandò
piano, ma con un fare più garbato:--Siete contenta di trenta fiorini?

--Faccia lei... come crede!--rispose l'altra sbalordita dall'effetto
ottenuto e che superava di molto anche la sua aspettazione.

La signora Veronica tirò fuori da un altro cassetto, pure chiuso a
chiave, una ciotola di bossolo piena di monete; contò i trenta fiorini,
facendone tre gruppetti che posò dinanzi alla vecchia. Indi preso
un grosso libraccio, ch'era in fondo al banco, lo aprì, ne levò la
carta sugante, intinse più volte in un calamaio di legno nero rotto
e smozzicato la penna d'oca, e cominciò a scrivere adagio la data di
quel giorno, con una scritturaccia grossa e stentata: "_Milano, li
venticincue Febrajo 1859:_" poi si fermò a un tratto e alzando gli
occhi domandò se doveva mettere il nome della signora.

--No, no!--rispose la donna vivacemente.--Metta il mio; metta il mio.
Filomena Beltrami!

La florida signora Veronica seguitò a scrivere, accompagnando con una
smorfia della bocca gli sforzi delle dita aggranchite. Quindi strappò
dal registro la polizza, ci buttò sopra il polverino la piegò e la
consegnò alla Filomena che, intascati i bei fiorini nuovi, se ne andò
via difilato senza fare altre chiacchiere. Ma scesa la scalaccia buia
(l'Agenzia era al primo piano) e passata appena la soglia di quella
casa sospetta, si voltò indietro paurosa, quasi dubitasse d'essere
spiata.

Poco dopo che la Filomena fu uscita dall'Agenzia vi entrò un
omiciattolo dall'aspetto tra il sensale e il cavalocchio, ed anche
lui, colla sua aria sospettosa, dava a divedere chiaramente che non
desiderava punto di essere osservato mentre infilava il portone di
quella casa. Egli, per altro, non salì al primo piano, ma invece
attraversò il piccolo cortile buio, a cui non giungeva nemmeno la
fioca luce del lampioncino appeso a piè della scala; si fermò dinanzi
a un uscio coll'imposta a vetri; cavò una chiave di tasca, lo aprì, lo
richiuse, e curvandosi cercò a tastoni, presso la porta, la scatola dei
zolfanelli e il candeliere con un mozzicone di stearica. Lo accese, e
lo posò sopra un vecchio scrittoio che era lì presso, tutto ingombro di
libri vecchi e di cartacce unte e polverose.

--Ohè! la Veronica deve far affari stasera,--mormorò levando dal
taschino del panciotto un oriuolo a cilindro attaccato a un grosso
catenone d'oro con un gran mazzo di ciondoli che tintinnavano ad ogni
suo movimento.--Son le otto e mezzo, e non è ancora scesa!

Allora si sdraiò in un seggiolone ch'era accanto allo scrittoio,
coperto di stoffa rossa così logora, che ne usciva la stoppa della
imbottitura. Egli pareva stanco e si alzò un poco il cappello a tuba
sulla fronte, ma non se lo levò: nella stanza si sentiva il frescolino
umido dell'aria colata.

L'omiciattolo, dopo aver aspettato un poco, prese un lapis, fece un
conticino in fretta in un angolo d'un di que' libracci affastellati
sullo scrittoio, poi tornò a sdraiarsi sulla poltrona e continuò a fare
de' conti mentalmente, rodendosi, coi denti guasti e radi, l'unghia del
pollice.

Quello stanzone era il magazzino di deposito, e insieme l'ufficio
interno dell'Agenzia. Anch'esso aveva le pareti guarnite di scaffali
di legno tinto, pieni di sacchetti coi cartellini numerati, come nella
bottega del primo piano; e allo scarso lume della candela, e fra
un'enorme quantità di roba accatastata, apparivano qua e là, di mezzo
al buio, l'angolo dorato di un mobile antico, o il fondo lustro di una
casserola di rame o il bianco sudicio d'un monte di coperte di lana.

Ma l'omiciattolo doveva conoscere bene tutta quella roba, perchè non
fermava punto l'occhio ed invece, finito ch'ebbe d'almanaccare co' suoi
conti, tornò a guardare l'orologio.

--Per bacco! Son quasi le nove!--e fece atto d'alzarsi; ma subito si
riadagiò sulla poltrona esclamando:--Finalmente!... Eccola che viene!

In fatti dall'altro uscio, pure colle imposte a vetri, ch'era in
fondo allo stanzone, si udiva, sempre più vicino, il rumore di un
passo pesante che scendeva per una scala interna; poi i cristalli si
rischiararono a un tratto e una striscia larga di luce penetrò nel
magazzino: l'imposta fu aperta con una pedata e apparve, nel vano della
porta, la florida signora Veronica, tenendo la lucernetta di canfino da
una mano, dall'altra una delle solite sacchette, e sotto il braccio i
registri dell'Agenzia.

--È un pezzo che è qui ad aspettare, signor padrone?--chiese subito
la donna dimostrando dinanzi a quell'omo una soggezione grande, che
contrastava assai coll'imponenza della sua forte persona e con un
certo piglio di arroganza che le conferivano i capelli neri, lucenti,
pettinati colla divisa da parte e rialzati sulla fronte.

--Aspetto da un'ora, ma non importa,--rispose l'altro guardando
cupidamente cogli occhiettini loschi i registri e la sacchetta.--La
giornata è stata buona?

--Non c'è malaccio. Siamo alla fine del mese, e, si sa, c'è sempre
maggiore ricerca di danaro.

--Allora bisogna tener basse le stime e aumentare gl'interessi!...
Diavolo! Se non approfittiamo dei momenti buoni, si può chiuder
bottega.... Metti giù quella roba e dammi il _bollettario_.

La signora Veronica ascoltò rispettosamente la lezioncina senza
muoversi, nè aprir bocca; poi buttò la sacchetta sopra un divano (di
stile dell'Impero, tutto bianco a fregi dorati) e posò la lucerna coi
registri in mezzo allo scrittoio.

L'omiciattolo cominciò a sfogliare il bollettario, ma a mano a mano che
procedeva in quell'esame si faceva sempre più accigliato e brontolone.

--Il calzolaio Martinetti s'è messo in regola?

--Ha mandato la moglie, con un acconto di sei svanziche.

--Troppo poco: ne deve quarantasette!

--Ha chiesto un respiro breve, di otto giorni soltanto.

--Non è una buona ragione; non glieli dovevi concedere. In otto giorni
può scappare otto volte e mezza. Adesso, colla scusa della patria da
liberare, si passa il confine allegramente, in barba ai Tedeschi... e
ai creditori!

--La povera donna piangeva e strillava in modo da far fermar la gente
sotto le finestre.

--Lacrime e non altro che lacrime! Sono lo spediente dei disperati! Chi
ha le tasche vuote di quattrini ha sempre gli occhi pieni di lacrime!

--Il suo figliuolo, che lavorava in bottega, si è ammalato.

--E che c'entro io? Vada a lagnarsene col Padre Eterno!...

--Per questi otto giorni ha firmato un altro biglietto di tre
fiorini....

--Be', be':--l'omicciattolo pareva rabbonirsi un poco;--alla scadenza,
se non pagano, un buon protesto in piena regola!

--Sissignore.

--Lo stipendio del cavalier Trucker è stato sequestrato?

--Ho mandate tutte le carte che occorrevano al notaio Strazza, e gli ho
fatto premura.

--Va bene.... va benissimo!--e continuò a sfogliare il registro
attentamente. Poi, dopo un poco, tornò a domandare:--È stato spiccato
l'ordine d'arresto contro la Livia Bernasconi?

--Non ancora perchè....

--Perchè vuoi sempre fare a tuo modo e non sono ubbidito!--esclamò il
padrone riscaldandosi assai, quantunque moderasse il tono della voce,
per non esser udito di fuori.

--Ha portato un'altra pentola e un'altra materassa....

--Avesse portato anche il tesoro della Mecca tu dovevi andare
dall'avvocato, e fare quello che t'ho detto! Sei anche tu come
quell'animale dello Sbornia: tutti e due ignoranti e cocciuti. Ma se
continuerete a voler fare di testa vostra, vi scaccerò a calci fuori
dalla porta!

La signora Veronica ci pareva avvezza a que' complimenti, però si fece
animo e rispose a mezza voce:--Ha la mamma... in fin di vita....

--E che crepi! È una bocca inutile!... Tu, ancora, non l'hai voluta
intendere per il suo verso questa faccenda: fra capitale e interessi
la Bernasconi mi deve, ormai, più di settanta fiorini, che non potrà
rendermi mai, e che è pronto a pagare in vece sua il vecchietto
Migliavacca, solo che la ragazza si adatti a... a lasciar correre una
buona parola. Ma la Livia è ostinata e non vuole, perchè ha de' grilli
per il capo, perchè ha l'amante, o che so io!... Per altro una volta
messa in chiusa, come gli uccelletti, farà giudizio e canterà, non
ne dubito.... E a buon conto io non devo lasciare che il vecchio si
raffreddi, se non voglio essere truffato del danaro mio! Hai capito?

--Sissignore.

--Oh, _Laus Deo_!

Ci fu un momento di silenzio: la signora Veronica pareva impacciata e
timorosa, l'altro continuava a sbuffare.

--E al conte Kanizsa--ripigliò sempre con voce stizzosa--hai fatto
scrivere che se non gli riesce di fare il saldo per il primo di marzo,
l'Agenzia manderà le cambiali al suo colonnello?

--Sì, signor padrone.

--Con questo damerino bisogna andar per le corte. Pare proprio che
debba scoppiare la guerra da un giorno all'altro (me lo scrive anche
lo Sbornia da Verona), e se il reggimento parte da Milano sto fresco
io, a corrergli dietro.... Diavolo! Se mi lasciassi mangiare il fatto
mio dai Tedeschi, oltre al danno, passerei anche per un codino!--E
l'omiciattolo accompagnò queste parole con una cinica risataccia.

La soggezione che la signora Veronica provava sempre in presenza del
padrone, era accresciuta in quel momento da una segreta inquietudine:
i trenta fiorini che avea dato sul pegno del medaglioncino. Era vero
ch'essa, in quell'incontro, s'era tenuta stretta agli ordini ricevuti;
era vero che il padrone, già da molto tempo, e chi sa per quali viste,
voleva attirare all'Agenzia quella nuova cliente; era vero che le
avea ordinato, caso mai le fosse capitata sotto mano, di largheggiare
nella stima se si fosse trattato di un prestito sopra pegno, o di
accettare anche la semplice firma della signora, se avesse offerto
una cambiale.... Ma "trenta fiorini" per una miniatura, non era forse
andata troppo oltre?...

E aspettava timorosa che il padrone arrivasse all'ultima pagina del
registro e le domandasse informazioni intorno al prestito fatto alla
Filomena Beltrami.

Ma quando la domanda che l'impauriva era proprio lì lì per venir fuori
ci fu un incidente che la ritardò un altro poco. L'uscio a cristalli,
in fondo allo stanzone, si riaprì a un tratto rumorosamente, e un
ragazzetto corse precipitoso a ficcarsi fra le gambe dell'omiciattolo,
esclamando:

--Padrino Barbarò, dammi il soldino! Voglio il soldino, padrino
Barbarò!

--Seccatore maledetto!--grugnì l'altro fra i denti, e con piglio
infastidito si mise a frugare in fretta colle dita cariche di anelloni
d'oro nel taschino del panciotto.

Mentre il viso dell'uomo si chinava verso quello del ragazzo, e quello
del ragazzo si alzava verso quello dell'uomo, tutti e due mostravano la
stessa espressione di cupidigia negli occhiettini loschi e falsi che
parevano di vetro; e l'istessa tinta olivastra appariva sulla faccia
da vecchietto del bimbo, come su quella dell'uomo vizza e rugosa,
senz'ombra di barba, tranne alcuni peli neri sul labbro superiore,
grossi come le setole e così radi da potersi contare.

La signora Veronica frattanto rimproverava il monello per la sua
sfacciataggine, ma con un tono che ad onta della severità apparente
tradiva l'indulgenza e la debolezza materna:

--Andiamo... su... da bravo! Non se' più un bambino, ormai, d'aver
ancora quelle manieracce! Dove hai imparata l'educazione?

--Al collegio degli sguatteri!--borbottò il padrino dandogli un soldo e
uno scappellotto.

--Da' un bacio e la buona notte al signore, e ringrazialo
tanto!--suggerì la mamma al figliuolo.

--Che baci d'Egitto!... Dovresti invece lavargli il muso.

La signora Veronica chinò il capo mortificata. Ma il ragazzo,
quand'ebbe presa la moneta, non badò ad altro, e senza nemmeno
ringraziare il padrino Barbarò, scappò via correndo a precipizio
com'era venuto.

La mamma lo seguì cogli occhi; ma uno sfogo era necessario alla sua
indole impetuosa, rimasta troppo a lungo soffocata per la presenza e
per la soggezione in cui la teneva il padrone: andò fin sull'uscio
della scaletta, e mentre il figliuolo la montava a salti con una gamba
sola:--O Gostina,--gridò con tutta la voce sua forte e vibrata,--fa
lume! Vuoi che il mio Beppe si rompa il collo, stupidaccia,
infingarda?--Poi, dopo quel po' di sollievo, ritornò ancora umile e
sottomessa ad avvicinarsi allo scrittoio.

--Un'altra volta, quando vengo io, devi dire alla serva che lo metta a
cuccia quel tuo scimmiotto!

La signora Veronica non fiatò.

--Sai bene che non amo le smorfie, e che i ragazzi non mi piacciono.

--Credevo che... quello lì... almeno una volta tanto....

--Quante storie! Quello lì come gli altri; e finiamola!... Sai bene che
la tua è una fissazione... una scioccheria senz'ombra di fondamento!...
E poi, anche se fosse, te l'ho detto cento volte: io non c'entro.
Suo padre è... tuo marito; e te l'ho fatto sposare apposta. È il
registro della parrocchia quello che stabilisce la paternità; se no,
ci vorrebbe altro: sarebbe una confusione del diavolo!... Credevo poi
di averne fatto abbastanza dei sacrifici. Tuo marito da sguattero,
che era prima, l'ho messo quasi alla direzione dei miei affari.... Tu
non eri altro che la mia serva e adesso fai, si può dire, la vita del
Michelaccio: sei linda, e rosea, e fresca, come una fattoressa! Io
vesto, io mantengo, io mando a scuola il tuo figliuolo e non sei ancora
contenta?... Ma--e qui l'omiciattolo sbuffò--è sempre stato il mio
destino, di seminar benefizi e raccogliere ingratitudine.

La donna stava a sentire que' rimproveri colla testa bassa; ma pensava
intanto ai trenta fiorini prestati sul medaglione, quando appunto il
Barbarò che, sempre brontolando era giunto alla nota della Beltrami,
diè un salto sul seggiolone con un grande tintinnìo di ciondoli, e
tirandosi indietro, e alzandosi anche più il cappello sulla fronte per
fissare meglio in faccia la donna domandò:--Come sta quest'affare?
Trenta fiorini di pegno per una miniatura?... Fammela un po' vedere!

La signora Veronica si accostò al divano, frugò nella sacchetta che
aveva portata con sè, trovò la miniatura e mostrandola al padrone
balbettò, con voce non molto ferma:--Mi aveva ordinato lei di essere
piuttosto _andante_ nella stima, se mi capitava sotto mano la signora
Balladoro....

--Certo, certo, sicuramente!--esclamò il Barbarò cogli occhietti che
gli sfavillavano di gioia:--dunque è venuta?... È nostra, finalmente?!

--Non è venuta lei, ma ha mandato una vecchietta col pegno: la serva,
si capisce.

--Fa lo stesso! Dammi qua!--e colle dita un po' tremanti, le strappò di
mano la miniatura, e alzò un poco il lucignolo della lucernetta, per
guardarla meglio.

Allora la donna, accostandosi al padrone con più sicurezza, gli
raccontò minutamente il colloquio avuto colla Filomena, diffondendosi
nei particolari che valevano a dimostrare il suo grande ingegno
diplomatico. Ma il Barbarò non le badava punto. Era assorto nella
contemplazione di quel ritratto e borbottava tra i denti:--Tutta
lei!... Tutta lei... con quel collo, con quelle labbra che mi mettevano
la febbre!... Con quegli occhi... indiavolati... che si degnavano
appena di guardarmi con aria di compassione!--E continuando a fissare
il ritratto, il signor Barbarò pensava fra sè, ch'era una di quelle
donne lì ch'egli avrebbe voluto avere per moglie....

--Chi sa, chi sa.... Se gli affari seguiteranno di questo passo... un
giorno o l'altro, forse, potrò farla vedere in barba a chi mi dà del
ladro... dell'usuraio!--E a questo punto un lampo sinistro brillò negli
occhiettini dell'omiciattolo. Rimase ancora così assorto per qualche
istante, poi infine scotendosi, involtò la miniatura in un pezzetto di
carta, la mise nel portafoglio, e ordinò alla Veronica di portargli
l'occorrente per scrivere.

Subito la donna fece un po' di posto sullo scrittoio, gli portò tutto
ciò di cui abbisognava e il Barbarò cominciò, con grande attenzione e
raccoglimento, a scrivere una lettera.

Ma la cosa non gli riusciva facile: cominciò la lettera due o tre
volte: poi la riempì di correzioni e di aggiunte e infine la copiò
diligentemente. Dopo finito pose l'abbozzo nel portafoglio, e la copia
pulita in una busta sulla quale fece la soprascritta:

_Alla Pregiatissima e Nobile Signora--La Signora Donna Lucrezia
Balladoro--Via della Spiga, n. 7, p. 3º, Città._

--Domattina--disse alla Veronica indicandole la lettera che lasciava
sullo scrittoio ad asciugare--la manderai, in ora debita, al suo
indirizzo, e lo ripetè:--Via della Spiga, numero sette, piano terzo.

--Come comanda, signor padrone.... E... stasera... devo... devo lasciar
aperto il catenaccio?--gli domandò, mentre l'omiciattolo stava per
andarsene.

--No.... Chiudi pure.... Stasera dormo a casa mia. Il tuo omo può
capitare da un momento all'altro.

--Non ha combinato nulla a Verona?

--Anzi, ha combinato tutto. Avrò la fornitura pel foraggio e viveri di
due _Divisioni_. Ed ora speriamo nella guerra e che la vada!--esclamò
ghignando il signor Barbarò; e tornato di buon umore abbracciò la donna
al suono dei ciondoli, e le strinse con un piccolo morso la bocca
piacente, adombrata di baffettini neri, mentre essa, umile e passiva,
accoglieva anche quelle carezze col dovuto rispetto: per lei il Barbarò
era sempre in ogni incontro il signor padrone!




II.


La mattina dopo, nel tempo che la Veronica aspettava in _via del
Pesce_ un suo commesso di fiducia per far recapitare la lettera del
principale. Donna Lucrezia era in grandi faccende. Quel giorno, un
mercoledì, in casa Balladoro c'era ricevimento.

Il salotto giallo era in pieno disordine e dalle finestre spalancate
entrava una nebbiarella diaccia che si confondeva colla polvere
sollevata nella stanza. Le poltroncine e le seggiole si vedevano
ammucchiate col canapè attorno al tavolino di noce, sul quale la
Filomena avea distesa, pel momento, una certa tenda logora e stinta
che dopo le faccende di casa serviva poi alla padrona anche da
accappatoio.

Donna Lucrezia, quantunque fosse ancora in sottana, non sentiva punto
il freddo. Spazzava, fregava, lustrava, sbatteva le tende, smuoveva
i mobili, e dava la caccia colla granata a qualche ragno che fuggiva
spaventato da quel grande tramenìo settimanale. Aveva un fazzoletto
bianco legato attorno alla faccia ossuta, tutta fronte e mento, con
un naso superbo da imperatore romano sempre raffreddato in modo
formidabile, e un ciuffo di capelli grigi che le scappava fuori sotto
il chignon; e così com'era senza crinolino, pareva ancora più magra,
ancora più lunga e angolosa. Vestiva una sottana rattoppata, con una
balza di taffetà, e quantunque ansante, scalmanata, non si chetava
un minuto, nemmeno per ripigliar fiato; nemmeno quando starnutiva, o
accendeva un sigaro di Virginia.

--Filomena, ti sei ricordata di comperare i fiori per la giardiniera?

--Sissignora!... Un mazzo di foglie di giranio, quattro rosette, un
ramettino di vaniglia, e mi han fatto pagare, que' ladri, trentacinque
soldi!

La Filomena rispondeva alla padrona dalla stanza della Mary, accanto
al salotto, la quale il mercoledì serviva da anticamera col lettuccio
della fanciullina rifatto a divano.

--E la legna, l'hai ordinata?

--La portano a momenti; ma ho dovuto dare un acconto al carbonaio, se
no, m'ha detto sua moglie (perchè lui non c'era in bottega) che avea
lasciato l'ordine di non mandare a casa nemanco un fascinotto!

--Che vada a farsi friggere, quel muso da cane!--esclamò stizzita
Donna Lucrezia che conservava purissima la parlata veneta, quantunque
dall'epoca del suo matrimonio fosse sempre rimasta all'ombra del
Duomo.--E d'ora in avanti, ricordatelo bene, non devi mettere più
i piedi nella bottegaccia di quello svizzero senza creanza!... Mai
più; mai più; mai più!--E siccome in quel punto Donna Lucrezia levava
la polvere con una bacchetta da una seggiola, diede tre colpi così
furiosi, borbottando quei tre "mai più!" come se lì sotto, invece
dell'innocente lana gialla damascata, ci fosse stata la pelle del rozzo
carbonaio.

--E bada di accendere presto le stufe, e di mantenerle calde tutto il
giorno; anche quella dell'anticamera; perchè le visite, appena dentro,
devono subito sentirsi riavere. È una pitoccheria il fare come certuni
che riscaldano il salotto solamente. Ma con te, quando una cosa non
t'entra, è come cantare ai sordi!... Invoco di essere in casa di una
signora dovevi andare a far la serva a un bottegaio arricchito!

La Filomena, zitta zitta, la lasciava dire.

--Hai inteso, _pampalùga_!

--Sissignora, sarà servita!--E la vecchiarella, sospirando, continuava
a pensare fra sè, che invece di cuocere al mercoledì come in un forno
sarebbe stato meglio assai avere un po' di calduccino tutti i giorni;
così almeno la famiglia non sarebbe stata raffreddata tutto l'inverno.

Donna Lucrezia, preso uno strofinacciolo, e sbrigando ogni faccenda
colla sua sveltezza maravigliosa, aveva cominciato a spolverare
i mobili, e a mano a mano ch'erano puliti li rimetteva a posto.
Quand'ebbe finito si rialzò, stirandosi la vita che le doleva, per
essere stata curva troppo tempo, e dopo aver mormorato con un respiro
di sollievo:--Oh, se Dio vuole, anche questa è fatta!--chiamò la
Filomena, che sentiva sempre trafficare nell'anticamera.

--Ohi, _papatàsi_! Vieni a darmi una mano per rimettere il canapè.

Ma appena il canapè fu rimesso al suo posto (fra la parete e il
tavolino di noce), Donna Lucrezia si fermò a guardarlo meditabonda,
mentre accendeva e stringeva tra le labbra il sigaro che non volea
tirare.

--Misericordia, come cresce _quel patacon_!

In fatti sopra una spalliera del canapè, pure di lana gialla damascata,
si scorgeva, dove le visite dovevano aver appoggiato il capo, una larga
chiosa d'unto.

--È stato il professore,--brontolò la Filomena, che pure era rimasta
attonita e dolente, dinanzi a quel disastro del salotto giallo.--È
stato il professore, che ha sempre la zazzera unta, bisunta!

--Taci là, _piavola_!--esclamò Donna Lucrezia diventando rossa per
la stizza.--I capelli del professore Zodenigo hanno una lucidezza
naturale che è uno splendore!... E poi sta a vedere, adesso, che la
gente non dovrà appoggiare il capo sulla spalliera! Benzina ci vuole,
cara la mia vecchia; benzina e _fregamento_.--Ma, a proposito, quando
hai accompagnato la Mary a scuola, le hai consegnato l'onorario per il
Professore?

--Sissignora!--rispose la Filomena sospirando come avea fatto poco
prima per lo sciupìo della legna.

--Non bisogna mai aspettare il primo del mese a fare il proprio dovere.
Non è da gente di garbo. E ti sei ricordata di involtare i fiorini in
un bel pezzo di carta bianca, e di unirvi il mio biglietto di visita?

--Per l'appunto; e siccome di carta bianca, pulita, non ne avevo, me
la son fatta prestare dalla Rosetta. Figurarsi! quando ha sentito che
dovea servire pel professore mi avrebbe data anche l'anima sua!

--Sciocca, balorda e rimbambita! Quante volte ho da ripetere che non
voglio assoluta...--ma a questo punto Donna Lucrezia dovette fermarsi:
la bile le avea fatto andare in gola il fumo del sigaro. Cominciò a
tossire, a starnutire e pareva che gli occhi le schizzassero dalla
testa. Finalmente ancora mezzo soffocata dall'affanno:--quante volte
avrò da dire--ripigliò--che assolutamente non voglio confidenze con
quella pandolòna che per la smania di scimiottarmi s'è messa a far
la sentimentale col Professore?!... Col poeta celebre del Ponte dei
Sospiri! Lei, figurarsi! una plebea, un'ignorantaccia che non sa
scrivere il suo nome: la figlia della mia Pipelet!

La Filomena, zitta zitta, continuava a meditare sulla macchia del sofà.

--Ho paura, se la levo adesso colla benzina, che ci resti il puzzo
nella stanza per tutto il giorno.

--Sicuro!--rispose la Balladoro rabbonendosi subito,--e le visite
potrebbero andar via col mal di capo.

La padrona e la serva tornaron mute e meditabonde a contemplare la
macchia d'unto che pareva allargarsi sotto i loro occhi prendendo
strane forme. Infine Donna Lucrezia svelò i pensieri che le mulinavano
in testa.

--Subito che i _Patatuchi_ avranno preso il largo voglio mutare la
tappezzeria e le stoffe del mio salotto e addobbarlo all'italiana:
tutto in bianco, rosso e verde!

--Ma intanto, per oggi, come si rimedia?--osservò Filomena.

La Signora tornò a pensarci un poco.--Sicuro... sicuro...--Poi a
un tratto esclamò, battendosi la fronte colla mano:--L'ho trovata;
corocochè!--esclamazione colla quale Donna Lucrezia, fin dalla più
tenera infanzia, esprimeva la propria allegrezza.--Già ho un gran
genio io, per gli espedienti! Lo dice sempre anche quel caro... anche
un'altra persona dice che qua dentro c'è qualche cosa!... Va di là,
in camera, prendimi lo scialle turco che m'ha regalato mia cugina
la marchesa di Collalto, portamelo qui e vedrai: copro la macchia
collo scialle; ma in modo ch'esso deve parere buttato là a caso, con
artistica trascuranza!... Andiamo; muoviti, spicciati, trottolona
benedetta!

Filomena zoppicando uscì dalla stanza e rientrò quasi subito collo
scialle indicatole dalla padrona. Questa lo prese e lo accomodò sul
sofà dov'era la macchia d'unto; ma ce ne volle prima che le pieghe
avessero raggiunta la desiderata naturalezza!

--Oh, così!... Adesso dovrebbe stare a perfezione. Prova un po',
Filomena, a sederti sul canapè per vedere l'effetto che fa.

Ma la povera Filomena non s'era ancora seduta che una forte
scampanellata la fece alzare di scatto.

--Misericordia, visite!

--Alle dieci del mattino, vuoi che vengano le visite, mammalucca!

Filomena si acquetò, e dopo aver infilate le ciabatte che avea lasciato
in mezzo alla stanza per non insudiciare il tappeto a piè del divano,
si avviò tentennando verso la porta.

Intanto la Balladoro, preso di nuovo lo strofinacciolo, si disponeva a
dare l'ultima ripulita ai mobili, quando udì la vecchia che bisticciava
con qualcuno nell'anticamera.

--Che c'è, che c'è, che c'è?... Le solite prepotenze?!--mormorò Donna
Lucrezia avvicinandosi all'uscio e mettendosi in ascolto presso la
toppa.

--È un agire da screanzati!--gridava la Filomena.

--Io sto agli ordini del mio padrone, e in quanto a lei dovrebbe
imparare a tener la lingua a casa!--rispondeva il suo interlocutore che
dalla voce pareva un ragazzo.

La Filomena, strillando sempre più forte, si mosse per rientrare in
salotto; e Donna Lucrezia ebbe appena il tempo di ritirarsi per non far
vedere a quell'altro ch'essa stava in ascolto.

--Che c'è?--domandò poi a bassa voce appena la vecchia fu rientrata in
salotto.

--È quel rusticone villano del carbonaio,--rispose la vecchia col viso
pallido dalla rabbia,--che non vuol mandar la legna, se prima non gli
si paga tutto il debito!

--Che debito, che debito d'Egitto! Sempre quel tuo frasario da mercato!

--Finchè non gli si paga tutto il conto!--riprese Filomena.

--E... i danari che hai dato stamattina a sua moglie?

--Ha mandato a dire che sono pochi.

--Quella gentaccia dunque ti manca di parola?

--Son birbaccioni, signora; son birbaccioni!

--E tu pagali subito fino all'ultimo centesimo!

--Ma, allora...--la vecchia rimase interdetta. Ci sarebbe stata
un'osservazione da fare; essa l'aveva lì, proprio, sulla punta della
lingua; ma si sentì impacciata sotto lo sguardo terribile della
padrona, non ebbe più coraggio di andar avanti e ripetè appena,
sommessamente, il timido ma di prima.

--Che ma! non ne voglio sapere nè di ma, nè di se! Vai, vai; e paga
quei ladri fino all'ultimo soldo.

La vecchiarella uscì a testa bassa, lentamente, zoppicando più del
solito; e poco dopo si udì la sua voce contare, brontolando, le monete
che risonavano sulla mano del garzoncello.

Donna Lucrezia, col sangue che le ribolliva nelle vene, s'era messa a
fregare il tavolo di noce, ma con tanto impeto e stizza da intaccare
la vernice. Poi, a un tratto, non potè più contenersi e spalancando
l'uscio del salotto, mentre il ragazzo del carbonaio stava per
andarsene, gli gridò furibonda:--Dirai a nome mio a quello zotico
spilorcio del tuo padrone che è un pezzo d'asino, un croato, un...
un... un Bucefalo!

--Scusi, illustriss...--cominciò a dire il ragazzo voltandosi; e rimase
sbalordito, a bocca aperta, vedendo quella perticona spiritata.

--E gli devi dire che non sa come si tratta colle mie pari; e che non
mi conosce; e che sono imparentata coi primi signori di Milano e di
Venezia; e che gli farò pagar cara la sua impertinenza; pezzo d'asino,
croato... _Bucefalo_!

--Scusi, illustriss...--si provò a replicare il ragazzo, quando la
Filomena, volendo evitare una scenata che potesse far accorrere i
vicini, lo cacciò con uno spintone sul pianerottolo e gli chiuse
l'uscio in faccia. Il monello rimasto fuori fece un gesto poco
pulito all'indirizzo di Donna Lucrezia; stette un momento incerto se
doveva sonar di nuovo il campanello per dire il fatto suo a quella
"illustrissima sbrindellona," ma poi diede una spallucciata, e corse
giù per le scale a precipizio.

--Mi sento un nodo alla gola! Mi sento soffocare!... Dammi un bicchier
d'acqua!...--mormorò Donna Lucrezia tutta tremante.

--Verrà il Dio vendicatore,--esclamò con aria profetica quando
ebbe bevuto e cominciò a rifiatare:--e se Re Vittorio mi renderà
giust...--ma a questo punto starnutì e insieme con lei anche la
Filomena parimente raffreddata.

--Ah!... _se l'Italia frangere... potrà le sue ritorte!_--declamò poi
con enfasi confondendo nelle proprie aspirazioni liberali Tedeschi
e creditori. Ma que' versi dello Zodenigo le richiamarono in mente
un altro pensiero e domandò alla donna se aveva preso i filetti e i
tartufi per fare il contorno alle costolette.--Sai bene che oggi ho
invitato a pranzo il Professore!

La vecchia rispose appena con un cenno affermativo.

--Ah, che caro giovane!--esclamò con un sospiro Donna Lucrezia
accomodando nella giardiniera le rosette, il giranio e la
vaniglia.--Tutto cuore, tutto sentimento e tutto _genio_; tanto è vero
che è tisico finito!... Maledette! come bucano queste rose!...--E qui
interruppe il suo inno di lode per succiarsi un dito.--Del resto,
vecchia mia, sei stata molto tirchia nel comperare i fiori!... Almeno
prendere un pochin di verdura. Oh, Dio! si respira meglio con un
briciolo di verde! Par di sentire il soffio primaverile!

--Volevano due soldi per un mazzetto di ramerino!

--Li dovevi dare; tanto più che il ramerino dura un pezzo; si mantiene
fresco per un paio di mercoledì, e poi si mette a cuocere col
capretto!... Oh... ecco fatto! Se Dio vuole anche la giardiniera è in
ordine! Adesso fuoco alle stufe e vieni a vestirmi.

--E... e la legna, padrona?

--La legna? Sicuro; e la legna?! Non ci hai pensato!

--Ci avevo pensato certamente; ma ha sentito il carbonaio cos'ha
mandato a dire!

--E per colpa di quel tanghero vuoi farmi gelare le visite come
sorbetti?...

--Nossignora, ma...--la vecchierella teneva la testa bassa come se
volesse contare i mattoni del pavimento.

--E non ti muovi?... _Viscere care delle mie pantofole_... bisogna
correre a comprarla da un altro!

--Ma... i danari, signora padrona?

--I danari?... E i trenta fiorini che hai avuto ier sera?

Filomena stese la palma della mano e fe' l'atto di soffiarci sopra.

--Spariti?... Spariti in un baleno?! Oh, santi numi!--esclamò Donna
Lucrezia, mettendosi in tasca il mozzicone spento.

--Due fiorini...--cominciò la serva contando ogni numero sulle dita
nere e ossute,--due fiorini gli ho resi alla portinaia. Me li ero fatti
prestare colla scusa d'aver dimenticato i quattrini della spesa e che
mi pesava di rifar le scale....

--Ne restano ventotto! tiriamo innanzi!

--Dodici fiorini al professore Zodenigo: dodici e due quattordici....

--Per arrivare a trenta ce ne mancano sedici!--interruppe la Balladoro,
che in aritmetica era più pronta assai della Filomena.

--E le spese di stamattina? E i tartufi, e i filetti, e i ravioli,
e i fiori, e il canfino, e finalmente i nove fiorini che ho dovuto
snocciolare al carbonaio?...

--Colpa tua! Dovevi tenerti in mano qualche spicciolo!... Dovevi
levartelo d'attorno con un acconto, quel ladro d'un croato!...

--Vergine Santa, è stata lei a gridare che fosse pagato fino all'ultimo
centesimo!

--Taci là, _pampalùga_!... Non si risponde alla padrona!... Chi li
tiene i danari?... Te!... A chi li affido io, senza manco contarli?
A te!... Dunque tu sola potevi sapere quanti ancora ne rimanevano
da spendere e dovevi regolarti!... Ma siccome vedo che hai le mani
bucate... vuol dire... vuol dire che penseremo a metterci riparo!

La vecchietta chinò il capo mortificata, e si asciugò nel
grembialuccio tutto toppe, gli occhi e il naso. Era proprio lei che
aveva la cassa; e questa era una piccola astuzia della Balladoro,
la quale colla scusa della fiducia illimitata non voleva saperne di
rendiconto e però non era mai obbligata di pagarle il salario. Restava
come sottinteso che la Filomena se lo sarebbe ritenuto sulle varie
somme che a mano a mano le venivano affidate; ma siccome queste non
bastavano mai nemmeno per la spesa, così la serva restava sempre in
credito del suo mensile senza che l'altra dovesse rimetterci della
dignità facendo vedere di essersene accorta.

Donna Lucrezia pareva come accasciata da quel colpo impreveduto.
Buttatasi sopra una poltroncina si guardava attorno smarrita, e i suoi
sternuti avevano preso alcunchè di flebile, di gemebondo, che spezzava
il cuore alla povera Filomena.

--Non c'è versi!... Per oggi non si potrà ricevere!... Chi sa, chi sa
che cosa dirà la gente!... Un altro mercoledì mi pianteranno in asso;
il mio salotto _giallo_ rimarrà deserto, ed io sarò come bandita dalla
società!... E se ricevo e pigliano un'infreddatura... peggio che mai!
No, no; bisogna trovare una scusa, una scusa plausibile.... Dirai che
sono ammalata molto ammalata; che ho presa la morfina, e che dormo!

Ma a questo punto un altro pensiero e più terribile finì col mettere
Donna Lucrezia alla disperazione!... E il professore Zodenigo?...
Avrebbe dovuto rinunziare, per quattro fascinotti, anche al suo poeta,
al poeta celebre del _Ponte dei Sospiri_?... Chi sa la Rosetta, quella
smorfiosa, che gusto ci avrebbe avuto!

Donna Lucrezia all'idea della Rosetta gongolante, e che magari colle
sue moine avrebbe trattenuto il poeta a chiacchierare sulle scale,
non potè più resistere: si alzò con impeto e buttandosi addosso alla
Filomena l'abbracciò e la baciò con un monte di carezze.

--Senti, tesoro mio benedetto, devi proprio aiutarmi anche per questa
volta! Lo so, lo so, che tu mi vuoi bene, e che sei una perla per cuore
e per fedeltà, e se verrà il giorno della redenzione... non temere
che avrai la tua parte. Ma, adesso, in un modo o nell'altro bisogna
trovare i soldi per la legna.... Piuttosto, pensa, sto a digiuno per
un mese!... Senti, vecchia mia, siamo proprio ridotte _al verde_?
completamente _al verde_?

Filomena, sempre colle lacrime agli occhi, si frugò nella saccoccia del
grembiule.--Mi rimangono... cinque soldini....

--Oh Dio... che spasimi!--mormorò la Balladoro cadendo come sfinita
sulla poltrona.

In quel momento si udì sonare di nuovo il campanello dell'anticamera;
ma questa volta era stata una tiratina leggera assai.

--Santi numi!... Sarà un altro che vuol quattrini!--esclamò Donna
Lucrezia spaurita.--Ho presa la morfina, sai. Filomena, e dormo!--E
mentre la vecchia, anch'essa un po' turbata, passava nell'anticamera,
si buttò sul canapè chiudendo gli occhi.

Filomena rientrò quasi subito portando una lettera colla busta di color
giallo.

--Un conto!... Vedi se me lo diceva il cuore?... Ma oggi non è giornata
di conti,--soggiunse alzando la voce per essere udita nell'altra
stanza.--Oggi è mercoledì, e non ho tempo per badare a queste miserie!

--Ma, signora padrona, l'uomo che ha portata la lettera,--e la Filomena
stendeva il braccio per dargliela,--se n'è già andato!

--Ah, se n'è andato?--rispose la Balladoro calmandosi a un tratto, e
sbirciando la lettera, senza però prenderla in mano, con un'occhiata
sospettosa.

--E non hai potuto indovinare chi la manda?

--Nossignora: mi pareva un commesso, ma era pulito e garbato dimolto.

--Uhm.... Caso raro!--Donna Lucrezia si fece coraggio: prese la
lettera, l'apri lentamente, e messi gli occhiali andò subito a guardare
la firma: allora fu invasa nuovamente da un impeto di collera e
facendosi in viso rossa scarlatta cominciò a gridare furibonda:--Che
vuole da me questa spia infame! questo ladro, questo birbaccione?!--Ma
poi, a mano a mano che tirava innanzi a leggere, la collera si dissipò
come per incanto; la sua faccia angolosa riprese la solita tinta
giallognola, esprimendo prima un grande stupore, poi una commozione e
una certa contentezza, mista ad inquietudine.

--A buon conto,--pensava tra sè Donna Lucrezia,--costui non farebbe
altro, nè più nè meno, che il proprio dovere.... I primi quattrini
suoi come gli ebbe?... Dalla sua pôra moglie!... E la sua pôra moglie
dove li ha raggranellati? In casa mia; cioè della Mary, che è poi
tutt'uno!... Anzi, per dire la verità, da questo suo procedere...
doveroso... parrebbe quasi ch'egli non dovesse essere tutta quella
canagl... tutto quel grande spilorcio come lo vogliono dipingere. In
ogni modo, se si trattasse solamente di me, risponderei con un bel
no, sicuro; con un bel no, tondo tondo! Ma a pensarci bene, io non ho
diritto di rifiutare la sua offerta perchè... appunto per via della
Mary! Non debbo farle perdere una fortuna per le mie antipatie, e per i
miei scrupoli!

La faccia della Balladoro si colorì nuovamente, ma questa volta per una
gioia schietta a cui s'abbandonava liberamente.

--Presto! Presto, Filomena! Lo scialle! Il cappello! Il
manicotto!--gridò correndo nella sua camera.

La buona vecchietta la seguì trascinandosi: essa cominciava a dubitare
che la padrona diventasse matta. Donna Lucrezia in fretta e in furia si
mise il cappello di paglia nera coi nastri di velluto; si buttò addosso
lo scialle bigio e stava già per infilare la porta, quando Filomena,
che era rimasta sempre calma,--Vergine Santa,--brontolò,--vuol uscire
in quello stato?!

--Non ho più testa! Dio mio, non ho più testa! Se non c'eri tu, uscivo
in sottana a rischio di farmi fischiare dai monelli! Fa presto, dammi
il vestito nero... _moiré_!

Filomena fece presto perchè non c'era da scegliere. Ma la padrona,
con tutta la sua furia, non trovava il verso d'infilare il vestito;
e intanto pestava i piedi, e smaniava, e invocava i santi Numi e la
Madonna Benedetta; le cascavano i guanti, perdeva il fazzoletto e non
sapea dove riporre quella lettera famosa, origine di tante commozioni:
la metteva in una tasca, poi la levava e la metteva in quell'altra; poi
nel manicotto. Finalmente pensò di nasconderla in seno.

Quando, dopo tanto affaccendarsi, era già sul pianerottolo, tornò
indietro per dare nuove istruzioni alla Filomena.

--Va all'angolo del Gesù; c'è' una bottega di legna da ardere: ne farai
portare una carretta; va subito, in due salti!

Filomena, sempre più maravigliata, stava per aprire la bocca; ma Donna
Lucrezia glielo impedì soggiungendo:--E dirai al facchino di aspettarmi
qui, che appena torno sarà pagato.

--Ma....

--Così pure passerai dal ristoratore _Alle Colonne_ e ordinerai un
dolce alla crema per quattro persone....

--Ma dica....

--Ti darò i danari, e devi pagarlo subito. Non voglio più saperne di
lasciar conti in giro con questa gentaglia affamata e che manca sempre
di rispetto!

--Ma dica un po', Donna Lucrezia,--proruppe la Filomena che, ormai
rassicurata, avea gli occhietti lustri per la contentezza,--in quella
lettera benedetta le dànno forse la notizia che ha vinto un terno al
lotto?

--Non dire scioccherie, _piavola_; e fa quel che t'ho detto.

Ma quando la Balladoro fu a mezza scala, chiamò daccapo:

--Filomena! Filomena!--con quanto fiato aveva in corpo, e finchè non
vide affacciarsi alla ringhiera della scala la sua vecchiarella.

--Ricordati prima di andare ad ordinare il dolce, di accendere le
stufe!--E siccome in quel momento c'era una casigliana che saliva le
scale, si mise a gridare più forte:

--E se viene mia cugina, la marchesa di Collalto, che aspetti, che le
ho da parlare!--Poi scese a precipizio, guardando dall'alto in basso
quella che saliva, e uscì superba e impettita nel suo vestito nero
_moiré_, che dovea significare il lutto per la patria.

In quello spazio di tempo dal 1848 al 1859 il patrimonio degli Alamanni
era andato in rovina. L'Austria aveva confiscato tutti i loro beni.
Giulio Alamanni, condannato a morte e graziato sul palco, dopo aver
assistito al supplizio de' suoi compagni di eroismo, era morto allo
Spielberg. Francesco Alamanni, rimasto a Londra fino al 1857, era
tornato in Italia per prender parte alla gloriosa e infelice spedizione
di Carlo Pisacane; e adesso viveva a Torino. Anche Francesco Alamanni
(come intendeva fare il fratello suo) prevedendo la confisca si era
provvisto, prima di esulare, di una forte somma di danaro. Ma i
soccorsi da lui prestati, con vera larghezza di cuore, ad altri esuli
più bisognosi, e le sovvenzioni ai comitati rivoluzionari lo avevano
ridotto ben presto a dover vivere del proprio lavoro. A Londra aveva
dato lezioni d'italiano, ora a Torino le dava d'inglese; e colla sua
operosità, oltrechè a provvedere al proprio sostentamento, riusciva a
mandare ogni mese a Milano qualche soccorso per la sua nipotina, la
figliuola di Giulio e di Lucia.

Il governo austriaco, appena confiscato il patrimonio degli Alamanni
e messovi un curatore nella persona dell'I. R. consigliere Carlo
Spinelli, aveva concessa all'orfana una tenue pensione; ma, quando
quella sostanza amministrata come si usava in tali casi, si andò
caricando di debiti e i fondi finirono coll'esser messi all'asta,
la pensione venne subito sospesa, e Donna Lucrezia non riusciva più
a ottener nulla dallo Spinelli. Allora dovette adattarsi a tirare
innanzi alla meglio aspettando i soccorsi che il proscritto le
mandava da Torino, e sovvenuta, anche da certi suoi cugini ricchi e
buoni, i quali, ad onta delle disgrazie e della miseria della vedova,
seguitavano a mantenere viva l'amicizia con lei e a voler bene alla
piccola Mary. Quest'ultima viveva con la Balladoro chiamandola zia in
segno d'affetto, ancorchè fosse soltanto una lontana parente.

E la rabbia di Donna Lucrezia contro il curatore si risvegliava
specialmente dopo i deliziosi pranzetti che faceva di tanto in tanto
col poeta del _Ponte dei Sospiri_. Rossa, eccitata dalla passione,
dalla digestione e dal caldo del salotto essa evocava, mentre il suo
caro tisicuccio sorbiva il _punch_, le memorie e gli splendori di
Casa Balladoro, e enumerava le afflizioni e i patimenti del presente
martirio. Così infiammandosi a vicenda finivano poi sempre col fare un
brindisi all'Italia libera e coll'inveire insieme contro qualche nuova
angheria commessa dal governo a danno della piccola Mary; angheria
contro la quale ci sarebbe stato da protestare giudizialmente.

--Andrò domattina! Andrò domattina da quello scimmiotto incravattato,
e gli dirò il fatto mio fuor de' denti!...--Cosa che, del resto, dovea
riuscire assai facile alla Signora che di denti ne avea pochini assai.

Per lo Spinelli erano una vera calamità le visite della vedova
brontolona, e se le cose non fossero cominciate ad andar male per chi,
come lui, mangiava il pane del rinnegato, l'avrebbe mandata, senza
tanti complimenti, a carte quarantotto. Ma invece l'alleanza della
Francia col Piemonte e la minaccia della guerra vicina gli mettevano la
paura addosso, e però soffocava la stizza cercando di amicarsi quelle
persone che in caso di rivolgimenti gli avrebbero potuto giovare.
E con Donna Lucrezia, la parente degli Alamanni, la tutrice della
piccola Mary che avea perduto il babbo allo Spielberg, si mostrava
singolarmente affabile e buono, e se non le dava quattrini, erale largo
almeno di consigli e di profferte.

Quella mattina in cui la Balladoro, dopo aver ordinato alla Filomena il
dolce di crema, era andata dallo Spinelli, questi era turbato assai.
Aveva appunto allora finito di leggere la _Gazzetta di Milano_ e le
ultime notizie gli avevan messo un grande sgomento addosso.

L'Imperial Regio Consigliere era solo nel suo studio; e buttata la
_Gazzetta_, con dispetto, sullo scrittoio, passeggiava in su e in giù
brontolando, cogli occhiali d'argento rialzati sulla fronte, colla
lunga palandrana di panno turchino che gli ciondolava sulle gambe e col
cravattone bianco tutto storto, altro indizio di gran burrasca.

--Se facessi un viaggetto fuori d'Italia? Se andassi un po' a Vienna
per star a vedere come si mettono le cose?--e intanto si lisciava
colle dita tremanti le basette bigie.--A Vienna?... E i miei affari?
E lo studio? E la clientela?... Maledetti anche i Francesi che hanno
sempre il diavolo in corpo!... E poi, se si desse il caso che i
Tedeschi avessero la peggio, io trovandomi fuori, starei fresco! Non
potrei più ritornare a Milano!... E se invece tengo duro e rimango,
chi mi assicura che ai primi schiamazzi, quando ricompariscono le
coccarde tricolori, non mi facciano la pelle?... È vero, per altro,
che ho sempre cercato di tenermi in buone relazioni anche coi capi
scarichi; mi sono sempre mostrato dolce, cortese, servizievole...
ma, ma, ma... si sa bene; l'uomo è una bestia irragionevole.... Sono
un austriacante?... Niente affatto! Ho servito il Governo, ma in via
amministrativa; come un altro cliente qualunque; come servirei un
Turco, un Ottentoto, che venisse a chiedere i miei servigi!

Ma invece di un Ottentoto, gli capitò allora nello studio Donna
Lucrezia, col naso più rosso del solito per il freddo, e ansante in
modo che sulle prime non riusciva a parlare.

--Oh guarda un po'! La nostra cara _Dogaressa_!--esclamò il Consigliere
andandole incontro, con un'effusione straordinaria. Se non ci fosse
stato quel naso rosso e rugiadoso, tale da incutere rispetto anche ai
più audaci, l'avrebbe forse abbracciata. Invece si contentò di farla
sedere sulla poltroncina di cuoio, vicino al caminetto, e si chinò
premuroso per attizzare il fuoco.

--Che buon vento!... Che buon vento l'ha menata da queste parti?

--Un vento... un vento sbalorditoio!--Donna Lucrezia starnutò; ma
quando fu per soffiarsi il naso si trovò tra le mani lo strofinacciolo
che nella confusione aveva cacciato nel manicotto, invece del
fazzoletto.

--Sempre infreddata?

--Sempre, sempre; è un gran destino! Ma quella talpa della Filomena,
che deve essere gelata come il naso di un gatto, riscalda tanto le
stufe che par d'essere in un forno! Poi, quando si esce, sfido io a non
infreddarsi!

--Tutti non hanno il sangue caldo come Donna Lucrezia!--esclamò il
galante Consigliere, e poi subito pensò tra sè:--Brava, brava! La
vecchia fa grandezzate: allora non è venuta per chiedere quattrini!--e
istintivamente avvicinò ancora di più la propria seggiola alla poltrona
della Balladoro:--Dunque che cosa abbiamo di nuovo?

--Ecco: son qui per... per avere un consiglio da lei.

--Sto a sentire.

--Ma si tratta di un consiglio molto delicato.

--Parli pure, parli pure; con tutta confidenza.

--Posso fidarmi, non è vero? Da donna di cuore a uomo di cuore.

--Diamine, non ci conosciamo da ieri.

--E in tutti i casi, mi fa giuramento di mantenere il segreto!

--Faccia conto d'essere in chiesa, dal suo confessore.

--Gli è, vede, che ai preti ci credo poco.

--Nemmeno io, nemmeno io! Ma dicevo così per dire!

--Senta dunque che cosa mi capita!--E Donna Lucrezia si tirò avanti
sulla poltrona avvicinandosi allo Spinelli, che con due dita si
accomodava gli occhiali sul naso per guardare in viso più attentamente
la sua interlocutrice.

--Mi è stata fatta una proposta che, sotto un certo aspetto, potrebbe
essere una fortuna... per la Mary.

--Dica, dica! Quella bambina l'ho sempre a cuore!--e il Consigliere
sospirò.

--Avrei da farle leggere una... una lettera, che mi è arrivata....

--Vediamola.

--Prima per altro si ricorda che mi ha fatto giuramento....

--Di mantenerle il segreto.--E lo Spinelli per dar più forza alla sua
promessa prese la mano della Balladoro e la strinse con calore.

Questa, frattanto, cominciò a frugarsi nelle tasche per trovare la
lettera famosa; poi cercò nel manicotto, ma inutilmente: non la trovava
più.

--E sì, presa, l'ho presa di sicuro!--borbottava Donna Lucrezia a mezza
voce cominciando a perdere la pazienza.

--Pensi un po' se non l'avesse dimenticata a casa.

--Chè! Chè! Mi ricordo bene d'averla presa; e son venuta qui
direttamente!

--Provi a guardare un'altra volta nel manicotto!

--Non c'è; le dico che non c'è!--E Donna Lucrezia sbuffava e dava in
smanie. A un tratto si alzò da sedere, e tirò fuori e buttò sulla
poltrona tutto quello che aveva nelle tasche e nel manicotto; meno,
s'intende, lo strofinacciolo.

--Santi Numi!... Sta a vedere che l'ho perduta!... È sicuro,
sicurissimo che l'ho perduta! Oh santi Numi, santi Numi, santi Numi!

Il Consigliere voleva farsi dire a voce che cosa le avevano scritto;
ma la Balladoro non gli badava. Tornava a vuotarsi le tasche, in cui
aveva già rimessa la roba, e le rovesciava, e gemeva, e gridava. e
pestava i piedi quando all'improvviso le balenò in mente dove l'aveva
messa, e allora, aprendosi il vestito:--_Sia malignaza!_--esclamò,
calmandosi e sorridendo, e la tirò fuori con aria trionfante.

Il Consigliere la prese e cominciò a leggerla a mezza voce, fermandosi,
come per riflettere, sui punti più importanti, e la Balladoro, seria,
impettita, prendeva un'aria di maggior sussiego a mano a mano che in
quell'altro vedeva crescere la maraviglia.

--Per bacco, cara la mia Dogaressa!--esclamò lo Spinelli appena ebbe
finito di leggere,--è proprio una fortuna che le piove dal Cielo!

--Oh in quanto a me...--soggiunse Donna Lucrezia con un certo tono,
come avendosene a male.

--Cioè, volevo dire una fortuna che capita alla signorina Alamanni.

--Crede?

Il Consigliere chinò il capo gravemente in seguo affermativo, e tornò a
leggere la lettera a voce alta e calcando le parole:

_Nobile signora, la Signora Donna Lucrezia Balladoro._

_Non è certo senza un longo riflesso che mi fo lecito, Nobile Signora,
di scrivergli questa mia; ma quantuncue vituperato dai malevoli
invidiosi dei buoni risultamenti del mio lavoro e fatiche di molti
anni, ho cuore e memoria meglio di tanti per non incurarmi dei miei
primi benefattori._

--Non si poteva cominciar meglio!--osservò il Consigliere interrompendo
la lettura per guardare Donna Lucrezia.

--Certo: scrive come un cane, è naturale; ma le idee sono buone.

_Se come sono senza vergognarmi di umile estrazione e povero sono
riuscito non solo a portarla fuori negli affari, ma pure a procurarmi
un qualche comodo, non scorderò di aver fatto i primi passi coi pochi
risparmi della defunta e compianta mia consorte e non posso scordarmi
dell'affezione della medesima in riguardo alla Nobile Signora Lucia._

_Ragionato e curatore per conto di alcuni minori interessati nella
Agenzia Micotti e Comp. sita in Milano in Via del Pesce, mi sono
trovato in delle mani nel bilancio settimanale di mia spettanza,
un'oggeto di valore che non mi lasciò dubbio in quanto alla
provenienza, e che rifusa la cassa sociale, detengo fin dora a suoi
riveriti comandi._

--Avevo da pagare le lezioni della Mary, il salario alla Filomena, e
poi varie altre spese; chè non mi piace di lasciar debiti in giro.... E
capirà che ho dovuto umiliarmi, e subire anche questa mortificazione:
io; una Balladoro!

Donna Lucrezia, così dicendo, s'era messa a singhiozzare; ma
ricordandosi che aveva preso lo strofinacciolo invece del fazzoletto,
si asciugò in fretta gli occhi col manicotto, mentre il Consigliere
seguitava la lettura.

_Facendo voti perchè la Signoria Vostra Illustrissima e la Nobile
Signorina Maria sua degna nipote venghino reintegrate nei loro Averi,
io mi dichiaro pronto intrattanto ad addivenire ad un'accordo previo il
Di Lei assenzo e consenso._

_Metto al disposto della Nobile S. V. per ragione e conto della Nobile
Signorina Maria Alamanni la somma annua di lire austriache 6000 (dico
sei mila) e ciò fino alla liquidazione totale dela sostanza dela
prellodata Signorina Minore, previo l'Interesse posticipato e graduale
del cinque per cento...._

--Troppo giusto!--esclamò interrompendosi il Consigliere.

--Nè, da parte nostra, si vorrebbe accettare, come si dice, un prestito
gratuito.

_....e alla condizione_,--seguitò a leggere lo Spinelli,--_che il
sottoscritto venghi investito di mandato legale onde rappresentare la
Tutela della prellodata Nobile Minorenne Maria Alamanni e ciò al fine
di prestare la propria esperiensa al servizio della Casa e di contare i
propri esborsi di capitale e Interessi._

_Della Vostra Signoria Illustrissima--Il suo devotissimo obbligatissimo
servitore_--P. BARBETTA-BARBARÒ.

P. S. _Dalle undeci ant.^e alle quattro di ciascun giorno eccettuati
i festivi sono reperibile nel mio studio sito sul Corso Francesco
43--dove detengo in'oltre la Miniatura all'ordini sempre della V. S.
Illustriss._--c. s. _ds._ P. B.-B.

--Dunque che mi consiglia di fare?--domandò Donna Lucrezia appena lo
Spinelli ebbe finito di leggere.

--Accettare, cara mia! Accettare a occhi chiusi, e subito!

--Adagio un po'; adagio un po' e non precipitiamo; perchè deve sapere
che questo tale è stato portinaio in casa nostra.

--Portinaio?... In casa sua? Questo signor...--e il Consigliere rilesse
la firma,--questo signor Barbetta-Barbarò?

--Per l'appunto: nostro portinaio.

--E come ha fatto a mettere insieme un patrimonio?--esclamò il
Consigliere cogli occhiettini miopi pieni di maraviglia e di
ammirazione.

--Mah!... Se ne dicono tante... tante... tante, che non stanno nè in
ciel nè in terra!

--Eh via, i cani si lasciano abbaiare. Ma lei, dal momento che è stato
suo portinaio, dovrebbe conoscerlo bene?

--Ecco... veramente, era portinaio del babbo della Mary; che è poi lo
stesso.

--Appunto.

--Bisogna risalire un dieci o dodici anni addietro, egli non aveva
altro che un nome solo: Barbetta.... Si chiamava Pompeo Barbetta _tout
court_.... Adesso si è appiccicato quel Barbarò, che era il cognome
della sua povera moglie: perchè poi, Dio lo sa!... Forse per darsi aria
e vedere di ficcarsi tra i nostri pari!

--Sia pure; non sarebbe altro che una debolezza... scusabile anche
sotto un certo aspetto.

--Ma la mia condizione... capirà... ho dei parenti a Venezia... a
Milano. I Badoero... i Collalto... che la guardano per la sottile... in
certi argomenti.

--I suoi parenti, punto primo, non dovrebbero saper nulla di questo
affare.

--Sicuro: non ci pensavo. È un'osservazione giustissima.

--Eppoi nello stato in cui si trovano... in cui si trova la signorina
Alamanni, non si deve sofisticare sulle origini di chi, in certo modo,
viene a rappresentare la parte della Provvidenza.

--Così ho subito pensato anch'io, nel leggere quella lettera: non ho
diritto di far perdere una fortuna alla mia pupilla, per le mie idee,
per i miei sentimenti personali.

--Benissimo, dunque, su questo punto andiamo d'accordo.

--Perfettamente.

--E ora mi dica tutto quel che sa di questo Barbetta e se le pare uomo
da potersene fidare.

--Qui sta il _busillis_!--e Donna Lucrezia che non voleva dir
troppo, per non mettere in pericolo l'affare che le andava molto a
genio, e che d'altra parte non poteva assumersi tutto il peso di una
risoluzione così grave, tossì per prender tempo.--Dovevo andare più
adagio--pensò--e riflettere per la strada al caso mio!

--E dunque? che cosa ne sappiamo!..--riprese il Consigliere
allungandosi sulla seggiola e spingendo i tizzoni verso la fiamma colla
punta delle scarpe.

--Ecco, dirò, quand'era in casa nostra, passava per un fior di
galantuomo.... Un po' tirato ma onesto e fedele a tutta prova. La
sua pôra moglie, alla quale, per dire la verità, aveva sempre fatto
buonissima compagnia, quantunque... basta, c'era poco da stare allegri,
morendo gli deve aver lasciato un qualche migliaio di svanziche. Poca
roba,--soggiunse la Balladoro facendo boccuccia,--ma per quella gente
lì, si sa, può essere una fortuna.

--Ma come aveva fatto sua moglie ad avere questo danaro?

--Oh Consigliere mio benedettissimo, come fanno tutti coloro che,
pur di risparmiare, vivono come dice il nostro popolino: _de pan e
spuazza!_... Era sempre stata una donnetta economa; figlia di gente
buona che l'aveva allevata colle _fregole_ di casa Alamanni... La
povera Lucia, che le voleva bene, la ricordò anche nel suo testamento.
E poi tutti noi insomma, le si regalava sempre qualche cosa. Anch'io,
non fo per dire, ma ogni momento le donava e danari e vestiti e
biancheria, perchè era proprio una buona creatura; seria, onesta, che
badava a' fatti suoi, e non come quella smorfiosa, sfacciata, pezzente
che...--ma a questo punto Donna Lucrezia si fermò, sebbene sulle gote
giallognole fossero salite a un tratto le fiamme della stizza.

--Fin qui--osservò il Consigliere che faceva di tutto perchè la sua
cliente non uscisse dal seminato--fin qui non vedo nulla che possa
offendere l'onoratezza del Barbetta.

--E lo dico anch'io, ma ci sono altre voci....

--Ebbene?...

--C'è chi pretende che abbia fatta fortuna col... col... col negoziare
_in cravatte_!

E Donna Lucrezia, allungando il suo collo di cicogna, fe' il gesto
favorito di mastro impicca.

--E le prove?... Le prove ci vogliono, cara signora mia!--esclamò
il Consigliere al quale non pareva vero di levarsi d'attorno quella
mignatta della Balladoro, e però si sentiva molto disposto a difendere
il Barbetta.--Intanto l'affare che adesso le propone--continuò--non è
certo da usuraio!

--No, no, per dire la verità!...

--Dunque?

--Ma... c'è dell'altro!

--Che cosa c'è? sentiamo.

--Dicono....

--Dicono?

--È un'accusa molto... molto grave. Scommetterei anch'io, giuocherei
la testa che sono calunnie; ma intanto la voce corre e... e capirà,
Consigliere, il solo dubbio in questo caso mi metterebbe in un brutto
impiccio e... ma devono essere calunnie, tutte calunnie!

--Intanto non m'ha detto ancora di che si tratta....

--Scusi, Consigliere benedetto, scusi anche lei; ma sono cose... cose
che mi fanno rimescolare il sangue soltanto a pensarci.

--Si faccia coraggio, e sentiamo; da brava!

Il Consigliere si avvicinò daccapo alla Balladoro, che appariva sempre
più impacciata ed esitante. Se per caso quel che stava per dire facesse
mutare d'opinione allo Spinelli? S'egli le avesse a dichiarare che
le proposte dell'ex-portinaio non erano accettabili a nessun patto,
allora, ritornando a casa, come avrebbe fatto a pagar la legna da
ardere e il dolce di crema?

....Veramente... veramente aveva precipitato un po' troppo nel dare gli
ordini alla Filomena!

--E dunque?

In fine non poteva tacere: lo Spinelli, pur troppo, era il curatore
della Mary... e quell'altro aveva messo la condizione di rappresentare
la minorenne.... Si tirò ancora più innanzi sulla poltrona, e siccome
il Consigliere cercava di non guardarla in faccia perchè potesse
parlare più liberamente, e tutto curvo attizzava il fuoco con le
molle, essa gli si accostò tanto da sfiorargli con la bocca le basette
brizzolate, bisbigliandogli nell'orecchio alcune parole.

--Oibò!--proruppe il Consigliere alzandosi inorridito.--Calunnie!
calunnie! calunnie!

--Benedetta sempre sia la bocca della Giustizia!--esclamò Donna
Lucrezia, alzandosi alla sua volta, e non potendo più oltre trattenere
un gran sospiro di sollievo.--L'ho sempre detto, l'ho sempre ripetuto
anch'io che non potevano essere altro che calunnie!

--Ma, cara signora, non sa che adesso, quando si vuol rovinare un
uomo è presto fatto?... Gli si dà dell'austriacante e della spia! Ma
non bisogna badare alle chiacchiere dei tristi, bisogna guardare alle
azioni della gente!

--Sicuro, sicurissimo!... Io mi vanto di non aver mai guardato altro
che alle azioni!... Alle nobili azioni!

--Crede forse che non diranno anche di me, che sono un austriacante, un
codino?

--Eh, eh! se lo dicono!--rispose Donna Lucrezia, alzando le mani per
dar più forza all'esclamazione. Ma non c'era bisogno di tanto strepito;
il Consigliere, che aveva voluto tastare il terreno, si era già fatto
livido.

--Eppure...--balbettò....--Eppure, quando s'è trattato di far del bene
a qualcuno, non ho mai badato alle sue opinioni politiche....

--Evviva la faccia di chi può dir così.... Mentre invece vi sono certi
tomi, che se ha da spuntare davvero il giorno della Reden.... Basta...
non dico altro! Dovranno impallidire anche se, puta caso, avessero il
muso nero come un carbon... come uno spazzacamino!

Adesso, per altro, che capiva di avere il Consigliere dalla sua,
sicura che la pensioncella non le scappava più, voleva farsi un po'
pregare prima di accettarla, mettendo innanzi una lunga sequela di
dubbi, di scrupoli e di delicatezze. E intanto il Consigliere volpone,
che conosceva bene i suoi polli, si affannava e fingeva anche lui di
arrabbiarsi perchè "quella cara Dogaressa" non voleva intendere le cose
"pel loro verso!"

--Ma ragioniamo un po', bella signora mia; ragioniamo un po': se fosse
proprio vero ciò che dicono del Barbetta, crede lei che l'Alamanni non
avrebbe trovato il modo di farlo sapere alla sua famiglia e a' suoi
amici per smascherarlo e metterli in guardia?

--Pare anche a me!

--Crede lei che in tanti anni non sarebbe venuta fuori qualche prova di
fatto?

--Pare anche a me!... Pare anche a me, tesoro mio!...--continuava
intanto a rispondere Donna Lucrezia, alla quale pareva infatti che
quelle cinquecento lirette al mese fossero proprio irresistibili.

--Dunque sono riuscito a convincerla?--conchiuse lo Spinelli dopo
un'altra mezz'oretta di chiacchiere.

--Ah, se si trattasse di un interesse mio e potessi dare ascolto
soltanto alla mia delicatezza... perchè, senta, Consigliere, quando mi
toccano certi tasti io divento come una sensitiva.... Ebbene, piuttosto
di accettare i servigi di un... Barbetta, piuttosto, dico, mi adatterei
a vivere di polenta e torsoli di cavolo!... Io, capisce? una Balladoro,
che sono stata allevata, si può dire, col nèttare degli Dei! Ma...
visto e considerato che non devo sacrificare mia nipote, subirò questa
umiliazione... e farò... e farò quanto lei mi dirà di fare.

--Brava, brava! molto brava!--esclamò lo Spinelli, tossendo e
raschiandosi la gola asciutta pel gran discorrere che avea fatto. La
nostra cara Dogaressa ha sempre mostrato di aver cuore, e lo prova
esuberantemente anche in questa circostanza.

Donna Lucrezia credette proprio che il Consigliere fosse in buona fede;
e rimase tanto convinta di ciò che egli le aveva detto, da sentirsi
commossa per la propria bontà e per il proprio buon cuore.

--Basta!--mormorò con un sospiro, ammirando l'effetto della sua mesta
rassegnazione nello specchio del caminetto.--Sia fatta la volontà del
Cielo... per altro è un gran passo doloroso questo che lei mi obbliga a
fare!... ascendo, si può dire, sul mio Calvario!

--Senta un po', Donna Lucrezia--soggiunse allora il Consigliere, dopo
di aver sospirato anche lui levando gli occhi al soffitto.--Senta un
po': s'ella credesse mai che la mia compagnia le fosse per riuscire
di qualche sollievo, si potrebbe combinare di andarci insieme da
questo signor Barbetta. Oggi no, perchè ho da fare tutto il giorno in
tribunale, ma domani sono a sua disposizione.

--Domani?!... no, no!... Ci vado io sola; ci corro subito, all'istante!
Ma le pare, Consigliere benedetto? Dal momento che devo bere l'amaro
calice, non voglio lasciare un minuto di più in quelle manacce...
sporche, il ritratto, la reliquia, della mia povera Lucia!

Ciò detto aggiustò il fiocco del cappello, e un'ultima volta (durante
l'intenerimento dell'addio) si fregò il naso sul manicotto. Poi
abbandonò la mano del Consigliere, abbassò la veletta, sussurrò con
un gemito represso:--Mio Dio, mio Dio che spasimi!--e si precipitò di
corsa, e sempre scodinzolando, sulla via del suo Calvario.

Ma quando ne discese aveva le gote rosse, gli occhi sfavillanti; e
ci fu un momento, appena uscita dallo studio del Barbarò, in cui non
capiva più nella pelle, e allora strinse il manicotto contro il petto,
mormorando con un grido represso di gioia:--corocochè!

Quando invece, un po' più tardi, infilò la porta di casa, riprese, e
più che mai, la sua aria di sussiego. Era tutta piena di scatole e di
involti, e aveva dietro un fattorino anch'esso carico di roba.

L'occhiata che lanciò nello stanzino della portinaia, fu quel giorno
sprezzante in sommo grado, e sebbene ci fosse la mamma al finestrino,
pure volle dare i suoi ordini proprio alla Rosetta, per umiliarla e per
farle dispetto:

--Oggi ricevo: suonerete il campanello ad ogni visita.




III.


--Filomena! Filomena!

--Comandi, signora padrona!--rispose la vecchiarella affaticandosi a
tener dietro alla Balladoro che entrava gloriosa e trionfante, con
tutto il suo bagaglio, nella camera da letto.

Essa aveva pagato al carbonaio del Gesù, a _pronti contanti_, la
carretta della legna da ardere; aveva anticipato una _bàvara_ alla
Filomena perchè pagasse pure _illico_ ed _immediato_ il dolce di crema,
regalando poi otto soldi al fattorino che le avea portata la roba.

In quanto alla Filomena, continuava a credere al miracolo. Essa
guardava la padrona a bocca aperta, senza nemmeno darle una mano (tanto
grande era il suo sbalordimento), mentre questa metteva giù alla
rinfusa scatole e involti sul letto, sul cassettone, dappertutto.

Donna Lucrezia appariva alla serva in uno splendore mai più veduto!

Aveva un cappellino nuovo con due gale rosse scarlatte; poi una bella
rotonda di panno scuro cogli alamari di giavazzo; poi, finalmente,
attorno al collo un boa di color bigio che le scendeva quasi fino
a terra. Ma non era tutto: levatosi il boa, Donna Lucrezia slacciò
lentamente gli alamari, mostrando, alla Filomena stupefatta, che la
rotonda era tutta foderata di astracan.

--Vergine santissima!... E dove ha rubato i danari per fare tante spese?

--Mi sono ordinata anche un bel vestito di grò _fleur de thé_... un
verdolino pisello.... Vedrai, vedrai, _piavola_, che metamorfosi!...
Ma adesso ti raccomando; quando mi verrai intorno, devi aver sempre le
mani pulite.

--Non dubiti, non dubiti, padrona!

--Il verde, vecchia mia, è il colore della speranza. Viva l'Italia!...
Ormai la giornata dei tiranni "è giunta a sera!" E il lutto, sai, lo
dovranno portare gli austriacanti e gli usurai! Bisognava vedere quel
cane dello Spinelli: tremava ad un mio cenno!... Fa presto, dammi un
fazzoletto da naso perchè ho sofferto l'impossibile!... Guarda, che
cosa mi sono trovata nel manicotto!--e le mostrò lo strofinacciolo, che
tirò fuori con due dita da una tasca della sottana, e che le buttò tra
le mani.

--Oh finalmente, sia lodato Dio!... E ora sta attenta perchè hai da
vedere ancora delle cose.... delle cose straordinarie.

Donna Lucrezia si levò il cappello e la rotonda che distese sul letto
senza lasciarla toccare dalla Filomena, e incominciò l'esposizione
dei vari oggetti, che avea portato a casa insieme col fattorino. Ma
prima di farli vedere voleva, per divertirsi, che la donna tirasse a
indovinare.

--Che cosa credi che ci debba essere in questa scatoletta?... E in
quest'altra?... E in questo involtino?... E in questa cassetta di
legno?...

La Filomena rimaneva come incantata: si sforzava per cogliere nel
segno, ma non ci riesciva mai. E la padrona a ridere e a canzonarla
mentre schierava sul cassettone tutto un bazzarre di roba. Guanti,
collane, ninnoli di similoro, pettini, profumerie, saponi "al muschio"
involti in carta dorata; e tutto ciò mentre la vecchietta esclamava
capo per capo, colla monotonia di un ritornello:

--Oh Vergine santissima! Dove ha rubato i danari per comperare tanta
bella roba?!

Il cassettone era tutto pieno, quando Donna Lucrezia prese di sopra
a una seggiola un'altra scatola grande di cartone bianco legata con
un nastrino rosso e la posò adagio sopra un tavolino ch'era vicino al
letto.

--Questa volta se non indovini da te non ti dico nulla!

--Che può mai essere?

--Devi indovinare.

La Filomena ci pensò un pochino: poi esclamò:--È un cappellino per la
signorina!

--No. Ho lasciato il mio alla modista, e lo ridurrà per la Mary.

Ci fu un altro momento di silenzio.

--Se non indovini tu, io non ti dico nulla.

--Sarà... sarà un manicotto per la signorina!

--Chè! Non avrà il mio?... Mutata la fodera è come nuovo!

--Insomma, padrona, se non me lo dice lei, non indovinerò in cent'anni!

--Allora guarda, mammalucca!

Donna Lucrezia sciolse delicatamente il nastrino rosso, movendo le
dita e tenendo il mignolo alzato, con una grazia quasi rispettosa. Poi
tirò fuori un oggetto pesante involto con molta carta velina; levò la
carta, lo posò sul tavolino: era un bellissimo calamaio da scrivania,
di bronzo dorato, con un busto di Petrarca nel mezzo.

--Ti piace? È Francesco Petrarca; un gran poeta!

--Oh, com'è grasso. Madonna Santa!--osservò la Filomena, che lì per lì
non potè celare un certo malumore.

--Eppure è lui tal e quale: io l'ho visto, in un ritratto a stampa,
e lo posso dire. Quando saremo alle frutta, subito dopo il dolce di
crema--continuò Donna Lucrezia indicando il calamaio--lo porterai
in sala e... stammi attenta, _piavola_, e non far quel muso da
addormentata!... e lo devi mettere con garbo, ma senza dire una
parola, dinanzi al professore. Ti darò anche un mio biglietto di
visita: ho pensato di scriverci sopra "al _Cigno di Rialto_" e
basta!... Vorrei un po' vedere se quell'antipatica della Rosetta e
quella grassonaccia _malignaza_ della sua padrona--(l'affittacamere del
professore, che era un'altra spina al cuore per la vedova)--sarebbero
capaci d'un pensiero così gentile e nobile nello stesso tempo.
Oibò, oibò! Avessero anche i danari che ci ho io, tanto e tanto non
saprebbero pensarle certe cose: il sangue non è acqua, e la botte dà
del vino che ha!

Ma la vecchina stava sempre muta, colla testa bassa, senza più dire una
parola.

--Stasera--soggiunse poi Donna Lucrezia andando su e giù per la
camera, affrettandosi a metter la roba a posto nell'armadio e nel
cassettone--stasera aggiusterò i miei conticini anche con te!

--Faccia il suo comodo, padrona... Io non le ho ancora domandato
nulla!--rispose la Filomena, un po' mortificata e anche impermalita per
quelle parole.

--Non avertene a male, viscere mie, ma d'ora in poi li terrò io i
danari, chè non voglio abbia da ripetersi il brutto caso di stamattina,
che mi son trovata asciutta asciutta senza saperlo!

--Come vuole, padrona!

--Farò anche uno spoglio di tutto il mio guardaroba, e i vestiti che
non sarà conveniente ridurre per la Mary gli avrai tu, in regalo....
Voglio che tu ti vesta a garbo, diamine!... Si deve subito capire che
sei la mia cameriera e non una serva qualunque!

--Sissignora... sissignora: cercherò di contentarla!

La Filomena non ne capiva niente di tutte quelle ricchezze.--Che la
sua padrona avesse avuta un'eredità?... Oppure che ci fosse proprio
la vincita di un terno al lotto, come aveva dubitato in principio?
Quella famosa lettera gialla doveva pure aver portato una notizia
straordinaria assai!--Ma siccome poi, alla fin dei conti qualunque
fosse, l'avvenimento pareva propizio per la sua padrona, la buona donna
si sentiva più che disposta ad accettare la provvidenza ad occhi chiusi.

--Le robe frattanto erano state messe tutte a posto: il calamaio
solamente rimaneva in mostra sul cassettone.

--Ed ora lesti lesti a far _toilette_!... Dio mio, è il tocco e mezzo!
Presto comincieranno le visite!

Ma mentre Donna Lucrezia in accappatoio (quello appunto che aveva
servito per riparare dalla polvere il tavolino di noce) stava
pettinandosi seduta dinanzi allo specchio, indirizzò una domanda alla
Filomena, che, se questa fosse stata meno semplice, avrebbe potuto
metterla sulla buona via per iscoprire il segreto.

--Chi è stato a darti l'indirizzo dell'agenzia Micotti... non tirarmi i
capelli, bada!... e a permetterti di palesare il mio nome?

--Ma....

--Che _ma_! E perchè diventi rossa?

--M'è stato tanto raccomandato... di non dirle nulla....

--Animo, animo, di' su; e spicciati.

--Una mia parente, la quale per l'appunto si trova al servizio di un
riccone, che è il padrone de' padroni di quell'agenzia.

--E chi t'ha dato il permesso di andar in giro a spifferare le
mie faccen... _Sancta sanctorum_, visite; e non sono ancora
vestita!--esclamò la Balladoro, interrompendosi a un tratto e con un
accento quasi di disperazione.

In fatti una forte scampanellata aveva risuonato nell'anticamera.

--Ah, Gesù benedetto, fate almeno che non sia mia cugina la
marchesa!... Dio, Dio, se le fo fare anticamera, quella lì è
capacissima di non tornarci più. Corri, Filomena, corri ad aprire,
e sia lei o chiunque altro, di' loro che si accomodino e che io
vengo subito, subito, subito! Ma guarda di far le cose per bene, mi
raccomando!... Andiamo, corri dunque!... No, aspetta un momento!...
Pulisciti prima il grembiule.... Ma guarda, beata Vergine, come sei
tutta spettinata!... Vien qui che ti aggiusto un poco!--e la Balladoro
ravviò col suo pettine le ciocche bianche della vecchina.--Oh così...
puzzi di cipolla come una frittata, santi numi!... Va', va' lesta,
muoviti, tartaruga!... E mi raccomando: educazione, legna nelle stufe,
e cammina diritta!

Rimasta sola, Donna Lucrezia continuò a gemere contro l'avverso
destino che le mandava le visite prima ancora ch'ella avesse finito
di abbigliarsi.--Tutti gli affari, tutti gl'impicci mi devono sempre
capitare al mercoledì!... Ci sono sette giorni nella settimana; ma
signori no; è sempre al mercoledì che mi levano il fiato!... Dove ho
messa la retina del _chignon_?... Oh, celesti numi, non la trovo più!
Chi sa dove me l'avrà ficcata quella mammalucca della Filomena!... Oh,
eccola qui!

Messo a posto il _chignon_, impomatato il ricciolo in mezzo alla
fronte, si preparava a darsi la cipria, quando ritornò la Filomena.

--Chi è?--domandò la Balladoro col piumino alzato, a voce bassa,
trattenendo il respiro.

Non era la marchesa di Collalto, ma quasi: erano il conte Prampero di
Castelnovo, colla sua figliuola. Allora la stessa gravità del caso le
diè coraggio per compiere un'eroica risoluzione: infilò in fretta e in
furia la rotonda nuova, e si presentò sull'uscio ai suoi visitatori
col viso ancora impolverato di cipria, come un pesce da friggere, e
spandendo nel salotto un odore acutissimo di acqua di Felsina.

--Non ho potuto resistere!... Scusatemi, conte mio, se mi presento in
_disabigliè_; scusami tanto, Angelica cara, ma proprio non ho potuto
resistere!... Quando ho sentito annunciare il vostro nome, ho indossato
la pelliccia... qui fa un freddo da Siberia.... Filomena, metti legna
nelle stufe!... e sono corsa da voi _isso-fatto_!

Il conte Prampero per poco non ebbe la mano storpiata in quelle prime
effusioni, e Angelica, abbracciata e baciata con gran trasporto
dall'ardente cugina, rimase con le guance e il giubboncino di panno
scuro sparsi di cipria. Ella sorrise, arrossì un poco e ricambiò
le carezze con un'amorevolezza tranquilla e aggraziata. Era una
figura soave di fanciulla bionda: alta, pallida, flessuosa. A chi la
vedeva per la prima volta pareva quasi un'apparizione, e dopo non la
dimenticava più. Il conte Prampero dalla persona svelta, asciutta,
elegante e dai lineamenti del viso dava subito a vedere di essere
suo padre, ma pure lo sguardo freddo, altezzoso e i sorrisi brevi,
finissimi, i quali facevano l'effetto come di altrettante punture che
penetrassero uggiose nell'anima, dicevano chiaro che la rassomiglianza
tra il babbo e la figliuola era solamente esteriore: finiva tutta al
viso e alla persona.

--Non v'incomodate e non fate cerimonie, Donna Lucrezia. Sono venuto
con Angelica, volendo adempiere ad un dovere, ma ci sbrigheremo in due
parole...

--No, no; mai, mai! Non vi lascio andare così subito; neppure per
idea!... Volete farmi dire: "Non prima vidi il sol che ne fui priva?"
E sei proprio un sole, Angelica mia cara!... Un sole di bellezza e di
eleganza!

E Donna Lucrezia ritornò daccapo a baciare ed abbracciare la leggiadra
fanciulla, che sempre composta e silenziosa tratteneva il fiato e
chiudeva le palpebre, come soffocata da quella foga di carezze.

--Vi partecipo,--disse infine il conte Prampero colla sua voce arida,
secca,--ho l'onore di parteciparvi il matrimonio di mia figlia con
nostro cugino, il marchese Alberto di Collalto.

Donna Lucrezia si alzò in piedi; prese tutte e due le mani del conte,
se le strinse sul cuore, e cercò, cercò le parole che fossero proprio
degne della circostanza; ma non trovò altro da dire che:--Le mie
più vive... le mie _più vivissime_ felicitazioni;--ed anche questo
complimento banale le rimase strozzato per via del raffreddore.

Angelica, pallida pallida, abbassava intanto gli occhi azzurri, che
avevano sempre un'espressione mesta, come di preghiera, e ch'ella non
ardiva mai di tener alzati in volto a suo padre.

--Oh, ma che bella notizia, conte mio garbatissimo!... Che bella
notizia!... È un connubio degno dell'Olimpo. È un... è un poema; un
poema d'amore!... Ah, chini il capo, gioia mia?! Su, su, chè voglio
vederti in tutta la tua felicità e voglio darti un altro bacio perchè
m'hai proprio consolata! Hai portato la luce, la primavera; ecco, la
primavera nel mio salotto giallo.

Ma la fanciulla non alzò il viso gentile e non ricambiò quel bacio;
invece rispose con un tremito, un tremito angoscioso dell'anima sua,
alla parola _amore_.

Donna Lucrezia, preso l'aire, non si fermava più. Portava fino al
settimo cielo i meriti sommi dello sposo e la bellezza e le virtù della
sposina, e passava in rassegna i più illustri parentadi successi nelle
grandi case Bodoero, Collalto e Castelnovo, ma non riusciva a trovare
"una coppia migliore (che migliore!) neppure da reggere al confronto
col poema, proprio col poema, che formavano insieme suo cugino Alberto
e sua cugina Angelica, dimodochè lei veniva ad essere, come per dire,
cugina doppia di tutti e due!" E poi faceva gli occhietti dolci, e
diventava rossa, fra le chiazze della cipria, figurandosi l'amore e la
felicità dei fidanzati, e ritornava seria, impettita quando parlava
della soddisfazione vivissima di tutto il parentado; e sdilinquiva
dondolandosi sul canapè a proposito della gioia dei genitori. E tutto
ciò senza un momento di respiro, come fosse una macchina montata: ora
soffiandosi il naso, od asciugandosi gli occhi; ora baciando Angelica
e premendosela al cuore; ora alzandosi all'improvviso per stringere
un'altra volta la mano al conte Prampero; ed ora lagnandosi del freddo
da Siberia, quantunque la sua rotonda fosse foderata d'astracan.

Angelica si sentiva oppressa. Aveva tentato d'interrompere Donna
Lucrezia per chiederle notizie della piccola Mary, ma non le era stato
possibile. Il conte, seccato, cominciava a fare il broncio, e aspettava
impaziente che la figliuola lo guardasse un poco per farle cenno di
accommiatarsi e di andar via.

Ma quel giorno doveva essere proprio tra i più felici della Balladoro.
Quando già i suoi ospiti si erano alzati e stavano per salutarla, si
udì nell'anticamera un'altra forte scampanellata ed entrò nel salotto
la piccola Mary seguita dal professore Zodenigo, che avea voluto
accompagnarla in persona a casa, per fare la sua visita del mercoledì.

Donna Lucrezia non capiva più nella pelle, gongolando di mostrarsi
al caro poeta nel pieno splendore della sua illustre parentela. Essa
era tanto confusa che tirava via la poltroncina al conte Prampero per
offrirla al professore; poi, visto lo sbaglio, s'affrettava a cedere
la propria e la spingeva innanzi, e in fine avrebbe voluto che tutti
si mettessero a sedere sul canapè. Ma per altro, cessato appena quel
primo sbalordimento, cominciò subito le presentazioni con un gesto ed
un inchino cerimonioso.

--Il professore Eugenio Zodenigo, di Venezia!--Poi, chinandosi
all'orecchio di Angelica, le disse a mezza voce:--È un celebre
poeta!--e subito soggiunse più piano ancora, ma sempre coll'aria di
metterla a parte di un altro grande pregio del professore:--Tisico
spedito!--Quindi, a voce forte ripigliò:--Mia cugina la contessina
Prampero di Castelnovo, che si fa sposa a mio cugino il marchese
Alberto di Collalto, i quali, si diceva adesso, diventano, per questa
bellissima unione, miei cugini due volte!... Il conte Prampero di
Castelnovo, il padre, l'artefice di questo capolavoro di grazia e di
bellezza!... Ma accomodatevi, cari miei: accomodatevi come potete. Il
mio salottino giallo è un po' ristretto, ma c'è posto per tutti!

Il professore, col fare distratto e con un gran sussiego, salutò
chinando il capo circondato da una zazzera enorme, che faceva sembrare
il suo visetto ancora più piccolo e sparuto. Invece il conte Prampero,
senza muoversi punto, si cacciò le lenti sul naso e cominciò a
guardarlo coll'aria di chi sta a vedere una bestiola curiosa assai.

La Balladoro, da signora che sa ricevere, fece subito gli elogi del
poeta, citando la lirica: _Il Ponte dei Sospiri_, e concludendo che
appunto in occasione di quel fausto imeneo avrebbe dovuto inspirarsi
per un'altra bella poesia _da far epoca_.

Il poeta, per mostrarsi disinvolto, si arricciava i baffettini
incipienti, ma rimaneva muto e nel suo interno si sentiva un poco
sconcertato. Capiva di non aver fatto alcuna impressione sull'animo
della contessina di Castelnovo e già cominciava a meditare un canto
libero contro la stoltezza dei blasoni.

Angelica si teneva abbracciata alla piccola Mary; discorreva, rideva
con essa, e proprio non gli badava punto.

Il bel ricciolo nero, impomatato, che il poeta portava in mezzo
alla fronte, come la foglia ripiegata di una arancia, e che veniva
amorosamente imitato dalla sua padrona di casa, da Donna Lucrezia e
dalla figliuola della portinaia, non otteneva nessuna ammirazione
da parte della contessina. Essa era tutta affaccendata dietro alla
cuginetta; le accarezzava i lunghi capelli ondati, e le baciava il viso
gentile e delicato, non ancor bello, ma che prometteva di farsi tale, e
che già inspirava simpatia. Anche la bimba aveva il suo povero nasino
rosso, gonfio pel raffreddore, e le manucce screpolate dai geloni;
però, come vergognandosi, le teneva nascoste sotto la mantellina, e
guardava Angelica senza osare di toccarla, e rispondeva alle carezze di
lei con uno sguardo affettuoso de' suoi occhi neri neri, che parevano
ancora più grandi e profondi in quel viso palliduccio.

--Ma io lo pregherò tanto,--continuò donna Lucrezia insistendo sempre
nel suo primo pensiero,--che te lo dovrà proprio fare, sai, Angelica,
un bel sonetto.... Sì, sì, professore; glielo dovete fare. Già voi
avete l'estro facile. Non siete come quegli sgobboni, santo cielo, che
sudano tre giorni prima di trovare una rima!

Non c'era versi: bisognava risolversi e rispondere qualche cosa. Allora
lo Zodenigo sospirando, crollando mestamente il capo e mangiando l'erre
in un modo che gli faceva dire _patia_ invece di _patria_ e _cetaa_
invece di _cetra_, mormorò che, "_duante_ il lutto della _patia_
l'esule _cetaa imaneva_ muta."

Il conte Prampero tornò a mettersi le lenti sul naso e tornò a guardare
fisso il poeta, mentre Angelica nascondeva il viso dietro la testina
della Mary. Anche Donna Lucrezia sentì in quel momento che lo Zodenigo
non veniva apprezzato secondo il merito, e però, per fargli onore,
voleva ad ogni costo che la bimba si provasse a recitare una poesia
del professore, _Memorie e lacrime_. Ma la bimba, a quell'invito,
arrossiva e minacciava di fare i lucciconi, mentre lo Zodenigo con
una vivacità che contrastava assai col fare dignitoso di prima:--Non
_pemetto_! non _pemetto_!--gridò subito come spaventato:--non _pemetto_
assolutamente!

--Modestia, professore; tutta modestia!--La Balladoro non si diede per
vinta, e vedendo che la Mary faceva l'ostinata cominciò lei a recitare
le prime strofe, senza lasciarsi intimorire dall'autore:

  Io canterò. Su quell'avel ti siedi,
  Su quell'avel ti sederò d'accanto:

--Smetta, Donna _Luchezia_, smetta! Sono fanciullaggini!--gridava lo
Zodenigo facendosi sempre più rosso e tentando invano d'interrompere la
Balladoro che continuava a declamare, dondolandosi:

  Ai dì che fûro con la mente riedi;
  Cerchiamo un delicato estro nel pian...

Ma finalmente uno sternuto e un po' di tosse vennero in aiuto del
professore e le _Memorie e lacrime_ finirono lì.

All'udire que' versi il conte Prampero aveva fatto un movimento
drizzando il capo e stringendo le palpebre, come se avesse voluto
ricordarsi di un ronzìo che non riusciva nuovo al suo orecchio. Ma
Angelica, invece, avea subito capito donde proveniva l'inquietudine
del professore; però, buona com'era, ne sentiva pena per lui e volendo
aiutarlo a levarsi d'impiccio le domandò di Venezia, e se l'aveva
lasciata da molto tempo.

Lo Zodenigo era lì lì per aprir bocca: ma Donna Lucrezia gli tolse la
parola, affrettandosi a rispondere in vece sua.

Essa era convinta che que' pochi versi dovevano aver colpito Angelica
fortemente, visto che la fanciulla, abbandonata la propria naturale
ritrosia, si era subito messa a discorrere con lui. E però le premeva
di mostrarsi benissimo informata di tutte le faccende del professore,
e di far vedere che la loro amicizia, la loro intimità, erano proprio
straordinarie. Poi, a poco a poco, a proposito di Venezia e dei
_Canti patrii_ dello Zodenigo, Donna Lucrezia venne a cadere col
discorso anche sulla guerra che si sperava vicina, entusiasmandosi per
Garibaldi, per Vittorio Emanuele, per Napoleone III e per tutti que'
bravi giovanotti che passavano a frotte il confine, e correvano in
Piemonte ad arruolarsi.

A questo punto il conte Prampero tornò a fissare la figliuola
attentamente, duramente, come se volesse comprimerle con quello sguardo
anche i moti dell'anima. Angelica, pallida pallida, abbassava gli
occhi, e il respiro del suo petto si faceva più affannoso sotto il
giubettino attillato.

Ma Donna Lucrezia era stordita dalle sue stesse chiacchiere, e senza
badare ad altro, chinandosi all'orecchio della cugina le sussurrava
piano indicandole il professore, che ricominciava ad arricciarsi
i baffettini:--Poveraccio, anche lui sognava di arruolarsi, ma io
non ho voluto. È tisico spedito!--E così seguitò a chiacchierare, a
chiacchierar sempre... e le angosce di Angelica crescevano ad ogni
momento. Col sicuro istinto del cuore essa aspettava un nome che doveva
allora essere pronunciato, e che rendeva minaccioso l'occhio di suo
padre, sempre fisso sopra di lei. Lo aspettava agitata, tremante, ma
pure nel tremito suo, insieme colla timida soggezione e collo sgomento,
c' era l'ansia segreta di tutto il cuore, dell'anima tutta!... Più la
facevano soffrire e la tormentavano per quel nome, e più essa lo amava!

L'amore è dolore: lo sapeva già, lo sapeva bene, la povera fanciulla!

--Insomma: Italia libera e Dio lo vuole! ecco, è proprio
così--esclamava con enfasi la Balladoro:--ed è appunto perchè _Dio lo
vuole_, che ogni giorno si vedono cose che paiono miracoli! Finchè, per
esempio, corrono ad arruolarsi i giovani del popolo, si capisce: sono
abituati agli stenti e alla vita da cani. Ma tutte quelle pòre creature
del nostro sangue, cresciute fra gli agi e il lusso e che si mettono
a fare il soldato, ma proprio il soldato semplice?... E mi dicono che
devono spazzare anche le caserme?!... Figuriamoci che stomaco, Gesù
bambino! Eppure scappano via allegri e contenti come se andassero a
nozze. E ogni giorno ce n'è una filza di nuovi, e ogni giorno c'è
sempre il nome del tale o del tal altro, tutte persone di nostra
conoscenza!...

Angelica ebbe un sussulto che sembrò le arrestasse per alcuni momenti i
battiti del cuore.

--Lo saprete certo, cugino caro, che è fuggito in Piemonte, per
arruolarsi, anche Andrea Martinengo?...

--Già, già; me l'hanno detto... l'ho sentito dire... alcuni giorni
fa!--rispose il conte Prampero, alzandosi, senza aspettare che fosse
Angelica la prima a muoversi.

Essa celava il viso accarezzando colla sua guancia, che bruciava, la
guancia morbida della piccola Mary.

--Noi vi salutiamo, Lucrezia: abbiamo ancora parecchie visite da fare.
Quando scrivete a Francesco Alamanni ditegli che speriamo... speriamo
di vederlo presto!

--Oh, gli scrivo tutti i giorni, tutti i giorni!--E Donna Lucrezia e
la Mary accompagnarono i Castelnovo nell'anticamera.--Dio, Dio, che
freddo!... Filomena, la porta!

--_Supebiosi_, antipatici!--mormorò fra sè lo Zodenigo, rimasto solo un
momento. I Castelnovo lo aveano appena salutato con un cenno del capo,
senza guardarlo. Pure, ad onta del suo disprezzo, si sentiva più libero
assai, adesso che que' due se n'erano andati. Buttò il cappello sopra
una seggiola, si sbottonò il soprabito nero e con una mano si aggiustò
la zazzera.

Donna Lucrezia ritornò sola perchè la Mary era corsa in cucina colla
Filomena.

--Santi numi, santi numi, ho proprio paura di averla fatta grossa, ma
grossa come una balena!

--Perchè?

--Ho perduta la testa!... Sono andata a parlare coi Castelnovo di
Andrea Martinengo!

--E dunque?

--Caspita! Dicono che ci fosse del tenero fra il Martinengo e
l'Angelica!

--O come? Ma se sposa quel _maachese_... quel _maachese_...

--Il marchese di Collalto, mio cugino... Sicuro! Ma sarà stato Prampero
a combinare questo matrimonio, e con Prampero non c'è da scherzare:
quel che vuole vuole! Ma dopo tutto non ho detto nulla di grave; nulla
che li potesse offendere, dunque?... "Non ci curiam di loro!" Venite
qui, venite qui, tesoro mio; venite qui vicino a me!--E Donna Lucrezia
si tirò accanto lo Zodenigo sul sofà.--Come siete bello, oggi!...
Come siete elegante!--Così dicendo gli toccava appena colla punta
delle dita tremanti, e come per volerlo aggiustare, il ricciolo alla
rubacori.--Ed è tutto per me questo lusso? E sono tutte per me queste
bellezze?... Sentite, Eugenio, mi dovete proprio concedere che per
oggi, giacchè ormai mi avete veduta così, possa restarmene come sono.
Mi seccherebbe tanto di dovervi lasciare per ritornar di là a finire la
mia _toilette_!... E poi questa rotonda è tutta foderata di astracan
vero...--e ne sollevò un lembo per fargliela vedere di sotto:--e ci sto
dentro così bene, calduccia, calduccia!

Lo Zodenigo le concesse il favore richiesto, ma per altro le fece, per
suo conto, dei gravi rimproveri. "Non voleva assolutamente ch'ella
facesse imparare alla Mary i versi suoi, e tanto meno che li facesse
recitare quando c'era gente... Ne andava del suo amor proprio, diamine;
ed anche del suo nome d'artista! E poi lei non sapeva scegliere! Si
metteva a declamare poesie giovanili... scritte magari al caffè...
insieme con qualche amico, con qualche confratello, ed in cui egli
non ci aveva messo di suo altro che le idee... perchè già lui era
_insoffeente di lima_!"

--Benedetto da Dio! Benedetto da Dio! Quanta umiltà in questo tesoretto
caro, caro, caro!--E la Balladoro gli si accostava sempre più e gli
si stringeva addosso, facendo smorfie e leziosaggini. Il suo viso
diventava acceso, le narici rosse e piene del naso intasato avevano
tremiti nervosi e sulle labbra che si assottigliavano stirandosi
e scoprendo le gengive pallide e sdentate pareva errassero ancora
quelle parole _caro, caro, caro_, che non osava ripetere, ma che le
prorompevano dal sangue e le sfavillavano dagli occhietti lustri.

--"_Cerchiamo un delicato estro nel pianto!_..." Quanta malinconia
e quanta passione in quattro parolette: _un delicato estro nel
pianto!_... Lasciate che ve lo dica, Eugenio, lasciate che ve lo dica,
ma quando volete proprio toccare la nostra corda sensibile, siete un
gran mostro!

Lo Zodenigo non disse di no; ma continuò a tenersi in un riserbo pieno
di sussiego. Egli voleva rifarsi coll'alterigia sua propria della
freddezza del Castelnovo, tanto più avendo avuto una prova chiara
e lampante che il suo nome cominciava a godere un certo credito. I
biglietti di visita che aveva distribuiti in giro ai librai e ai
parrucchieri ottenevano il loro effetto; e per l'appunto in que'
giorni avea ricevuto la visita di un ricco signore (con una catena
d'oro grossa un dito e un mazzetto di ciondoli che tintinnavano come i
sonaglioli de' cagnolini) il quale, senza lesinare sull'onorario, lo
aveva subito preso come ripetitore per il suo figliuolo.

E però tutte le donnicciuole che vennero dopo il Castelnovo a visitare
la Balladoro furono guardate dall'alto in basso dallo scontroso
poeta, precisamente come "quell'antipatico del conte _Prampeo_" aveva
fatto con lui. Ma erano compensate dalla padrona di casa, ancora più
espansiva del solito. Essa era felice di poter mostrare e presentare
alle sue amiche e protette il famoso "Cigno di Rialto, tisico spedito."
Era beata di potersi scusare con tutte loro per il _disabigliè_ in
cui si trovava, per la rotonda "tutta foderata di vero astracan" che
si era buttata addosso, essendo stata sorpresa, mentre ancora faceva
_toilette_, da suo cugino il conte Prampero, venuto colla figliuola
per partecipare, prima a lei che ad ogni altro, il matrimonio della
contessina di Castelnovo col marchese Alberto di Collalto, "i quali
venivano in tal modo a essere due volte suoi cugini!"

Il professore ascoltò tutto il giorno, senza muoversi mai dal suo
posto, la continua ripetizione di que' medesimi discorsi. Poi, quando
Donna Lucrezia (verso le cinque, dopo una mezz'oretta che non c'era più
gente) gridò alla Filomena che avea finito di ricevere, perchè anche
lei, infine, sebbene fosse mercoledì, aveva diritto di fiatare, lo
Zodenigo, che conosceva le abitudini della casa, si alzò e andò vicino
alla stufa a riscaldarsi le mani.

Allora succedeva sempre un altro po' di tramenìo nel salotto giallo,
che veniva mutato in sala da pranzo. Gli album, le strenne e i ritratti
di tutti i nobili parenti andavano a finire dietro al canapè; la
Filomena capitava tutta frettolosa colla paletta a levare la brace
dalla stufa, che portava in cucina per metterla sotto la casseruola.
Donna Lucrezia andava e veniva, anche lei tutta in faccende: dava
un'occhiatina ai preparativi del pranzo; assaggiava il brodo col
mestolo, faceva qualche raccomandazione alla Filomena, annusava lo
stufatino e preparava il piatto dell'antipasto, ammucchiando con
garbo il salame e il prosciutto sopra un limone col burro intorno e
con qualche fiorellino fresco. Quel giorno, dopo essere, stata in
cucina, passò in camera sua; cambiò il fazzoletto da naso, scrisse il
bigliettino che andava messo dinanzi al busto di Petrarca, tornò a
guardarsi bene la rotonda, alla quale in tutte quelle ore non aveva
potuto dare se non qualche occhiata furtiva; si provò il cappellino
nuovo, trovò che le stava d'incanto, si sparse il viso di cipria, e
poi, udendo il poeta che fischiettava, si sentì felice appieno, e in un
impeto di contentezza non potè trattenersi dal mormorare ancora, con
una fregatina di mani, _corocochè, corocochè_!

Alla fine del pranzo fu presentato il calamaio al professore dalla
piccola Mary. La Filomena, cocciuta, colla scusa che aveva da preparare
il caffè, volle spuntarla col non esser lei che portava il regalo "a
quel tisico da commedia!" Ma il pensiero gentile, il bigliettino e il
benessere che si sentiva intorno per quel desinaretto gustoso, finirono
col commuovere il professore, il quale, smessa la boria, cominciò a
sorridere, a ravviarsi i capelli ed a mettere a parte Donna Lucrezia
delle sue glorie letterarie. Fra le altre raccontò la visita ricevuta
del ricco signore, e ne disse il nome.

--È uno dei _signooni_ di Milano!--aggiunse poi, dondolandosi sempre
sulla seggiola e guardando Francesco Petrarca con uno sguardo benigno,
da collega non invidioso:

--E volete che io non lo conosca? Ma non è un _signore_: no; bisogna
fare la distinzione, tesoro mio: è un ricco, un riccone e niente più.
E sapete, Eugenio, chi glieli ha dati i primi quattrini?... Sono stata
io.... Figuratevi, era il mio portinaio!

Il poeta guardò la Balladoro, e per la prima volta gli sembrò una donna
maravigliosa.

--Oh, per me ha sempre avuto grande reverenza. Trema ancora, si può
dire, ad un mio cenno!...

Intanto la piccola Mary passava in cucina tutta la serata, aspettando
per andare a dormire che, partito il professore, le riducessero a
uso di lettino il divano dell'anticamera. La Filomena le puliva col
grembiule un canto della tavola, e la fanciullina vi si metteva co'
suoi libri a studiare. Ma poi quando l'altra, finito di rigovernare,
le si sedeva vicina rattoppando qualche straccio suo o della padrona,
la Mary alzava dal libro la testina palliduccia e voleva sempre che le
parlasse della mamma, che la vecchia avea veduta tante volte alla messa.

E la Filomena, sonnecchiando, ripeteva tutte le sere le medesime
cose colle medesime parole, e tutte le sere, vedendo la bimba che
la guardava ansiosa, senza mai perdere una sillaba, finiva sempre
dicendole così:--Era buona come una santa, era bella come una madonna,
e aveva gli occhioni neri neri... e dolci dolci... proprio come i tuoi!




IV.


Il signor Barbarò (i suoi dipendenti per andargli a genio lo chiamavano
con questo nome, perchè da lui preferito), il signor Barbarò non
nascondeva il disprezzo olimpico che sentiva per lo Sbornia.

"Figurarsi! Un ubriacone incretinito che voleva mettersi anche lui a
fare l'Italia!... Non ne aveva buscate a dovere quando, insieme con
quell'altro bel matto del Garibaldi, era corso a difendere la rep...
pubblica Romana?" E nel pronunciare questa parolaccia, _repubblica_,
il _signor_ Barbarò, batteva doppio il _pi_, gonfiando le labbra e
ghignando. "Allora, a Villa Corsini, gli era toccato un colpo di
baionetta che per poco non lo mandava all'altro mondo, senza il
passaporto! Ma la lezione non aveva giovato; lo Sbornia non era uomo:
era un otre ripieno di vino e di acquavite!" E il Barbarò rimbrottava
aspramente e teneva muso alla Veronica, perchè non sapeva comandare al
marito. "Già, era sempre stata una fannullona non buona ad altro, che a
mangiare e bere."

Tuttavia non bisogna credere che Pompeo ci si scalmanasse per affetto:
oibò! Si arrabbiava e gridava perchè non volea perdere lo Sbornia che
gli era divenuto più che mai necessario.

--Dove trovare un altro uomo di fiducia che fosse sicuro come il
Micotti? Un altro bestione così ignorante e così devoto, onesto fino
allo scrupolo verso il suo _principale_ e nello stesso tempo pronto a
sfidare anche la galera, pur di eseguire ciecamente un ordine ricevuto?

Lo Sbornia era bravissimo pei conti, e fuori dei conti non capiva
un'acca: non parlava mai, discuteva ancora meno, e lasciava ragionare
al padrone. No, no!... non si poteva trovarne un altro a meno di non
farselo fare apposta dal Padre Eterno!... E le preziose doti che
ornavano un tal uomo si erano svelate appunto anche in que' giorni
coll'appalto delle forniture militari concluso a Verona, tra il
feldmaresciallo Ignazio Teimer (per conto del governo austriaco) e la
ditta Micotti e C. In quella circostanza poco mancò che lo Sbornia
non fosse processato; e le truffe commesse dai fornitori furono così
numerose e incredibili da diventare quasi leggendarie fra le gesta dei
birbaccioni.

Il Barbarò, sempre tenendosi al sicuro dietro lo Sbornia, che egli
faceva girare e muovere con lunghi fili, come i burattini, era riuscito
a corrompere mediante raggiri e grosse mance alcuni impiegati addetti
alle _sussistenze militari_; in tal modo le ruberie si commettevano
a man salva e quel negozio delle forniture fruttò tesori alla ditta
Micotti e C. Ma il rischio era tutto del Micotti e i quattrini
entravano nelle tasche del compagno. Perciò premeva molto al principale
di non perdere il suo gerente, e temendo che all'aprirsi della guerra
coll'Austria egli volesse ritornare con Garibaldi, ogni volta che si
trovavano insieme, si metteva a predicare contro gli esaltati, che
rovinavano la famiglia per scappare in Piemonte a farsi bastonare.

È chiaro come la luce del sole: l'Austria lo sonerà ben bene l'esercito
alleato! E l'uomo di proposito, caro mio, non dimentica mai che i primi
e sacrosanti doveri sono verso la famiglia. Uno scapolo, può ancora
fare il matto, se gli gira. Ma un padre di famiglia che si lascia
attirare da simili pagliacciate?... Chè! Merita di essere impiccato,
senza processo.

Un giorno, verso la fine di aprile del 1859, il Barbarò passando da
Verona avea invitato a pranzo lo Sbornia alla _Regina d'Ungheria_,
e in tutto il tempo non avea fatto altro che dir roba da chiodi dei
volontari, di Garibaldi e del Re di Sardegna. Lo Sbornia, come al
solito, rimaneva muto, a capo basso. Ma pure, certe volte, pareva
distratto: disegnava sgorbi e cifre sul piatto con uno stecchino, e
allontanava il bicchiere quando l'altro gli voleva versar da bere.
Simili novità non isfuggivano punto all'occhio sagace del padrone il
quale, perduta la pazienza, cominciò anche a minacciarlo direttamente:

--E ricordatelo bene: se ti frullasse nella zucca di tornar da capo
colle _quarantottate_, io butto la Veronica e il tuo scimmiotto in
mezzo alla strada!

Lo Sbornia, sempre assorto ne' suoi pensieri, continuava a disegnare le
sue figurine.

--Hai capito? Alza il muso quando parlo.... Hai capito?

--Sì, signor padrone!

Ma Pompeo non si chetò: anzi gridò ancora più forte e quando, finito
il pranzo, andarono al passeggio lungo il _Listone di Piazza Brà_,
continuò a brontolare e a minacciare, fermandosi ogni tanto per dar più
forza alle parole; e il predicozzo durava ancora, che arrivavano alla
locanda; e seguitò lungo le scale, e quando il Barbarò fu sull'uscio di
camera sua, dove il Micotti lo aveva accompagnato, gli ripetè a mo' di
conclusione:--Non ho ragione, bestiaccia!

--Sì... signor padrone.

--E ricordati che parlo pel tuo bene!

--Sì, signor padrone! La ringrazio e... buona notte, signor padrone!...
Buona notte!

Pompeo entrò in camera e sbattè l'uscio in faccia allo Sbornia.
L'altro, mentre il Barbarò spariva, alzò il capo e lo guardò cogli
occhi imbambolati, in cui c'era la mestizia affettuosa d'un can barbone
che abbia ricevuto dal padrone un calcio immeritato.

La mattina dopo, quando Pompeo si svegliò, credeva fosse ancora presto
e si voltò nel letto per riaddormentarsi.

Il Micotti, appena arrivata la prima posta, soleva venire a destare
il padrone, battendo all'uscio della camera, e a portargli la
corrispondenza.

Pompeo si voltò e si rivoltò nel letto, ma non gli riusciva di
ripigliar sonno. Aprì del tutto gli occhi e s'accorse che era giorno
ben chiaro; il sole traspariva giallo e lucente dietro le persiane. Si
drizzò per guardar l'orologio che aveva sul tavolino accanto:

--Per Dio!...

Erano le nove!

--Sta a vedere che quell'animale me l'ha fatta, ed è scappato via coi
miei danari.

Tutto sconvolto, suonò strappando quasi il campanello.

--Sono stato una gran bestia!... Non mi dovevo fidare!...

Saltò fuori del letto per aprire l'uscio al cameriere, poi si ficcò di
nuovo sotto le coperte.

Il cameriere entrò, e spalancate le finestre gli consegnò una lettera.

--Chi l'ha portata?

--Il signor Micotti.

Pompeo, presa la lettera in fretta, la scorse tutta con un'occhiata.

"Illustrissimo signor principale,

"Lui a ragione da vendere ma io sono una bestia e o il bruciore che non
posso più e parto domandandole perdono e assicurandolo che se torno
indietro sarò sempre suo umilissimo servo e intratanto l'avverto di
aver passato all'Amministrazione la ricevuta del vaglia bancario per
quelli dinari che o spedito, come da suo ordine a Milano.

"Stii bene come sempre li ugura.

  Verona li 30-4-1859.

  "_Suo devotis. e umiliss. servo_

  "MICOTTI."

--Meno male che non è scappato coi soldi!--pensò subito il Barbarò
consolandosi un poco.--Ma è sempre una canaglia! Piantarmi in asso
proprio in questo momento!... Con tanti affari che ho sulle braccia!...
Canaglia, canaglia, canaglia!... Mah!--e Pompeo sospirò mettendo la
ricevuta nel portafoglio:--è sempre stato il mio destino, di seminar
benefizi e raccogliere ingratitudine... Pezzo d'asino!--borbottò poi
rileggendo la lettera più attentamente--non mi raccomanda nemmeno
il suo figliuolo come se fossi obbligato di mantenerlo!... Pezzo
d'asino!... Se torna indietro davvero gli farò ripassare il confine a
suon di calci!

Ma invece, appena giunsero le prime notizie della guerra, la collera
del Barbarò parve acquetarsi; a mano a mano, le vittorie di Palestro,
di Magenta, di Varese, di Solferino gli riempirono il cuore di
patriottica gioia, e i Francesi e i _Piemontesi_ non erano ancora
arrivati a Milano, che già splendeva all'occhiello del suo abito una
bella coccarda tricolore. Era un presente della Balladoro che ne
aveva fatte tre "colle sue proprie mani." Una per Francesco Alamanni,
un'altra per il professore Zodenigo ed una terza per l'avvocato
Spinelli.

Ma l'Alamanni era partito anche lui con Garibaldi, e Donna Lucrezia non
sapendo come fargli avere la coccarda e avendo bisogno di una piccola
sovvenzione, pensò di farne un presente al Barbarò, sebbene quella
vecchia testarda della Filomena brontolasse assai per il cambio.

--Taci là, _piavola_! La verità innanzi tutto, e la proclamo
altamente!... Quel _bonomo_ del Barbarò (adesso non lo chiamava più
Barbetta nemmeno la Balladoro) è sempre pieno di attenzioni e di
premure per la Mary, ed io che non ho una _patata_ al posto del cuore,
non posso non mostrarmene sensibilissima!

La coccarda fu accettata con piacere e anche l'anticipazione fu
concessa.

In quei giorni gli affari del Barbarò andavano a gonfie vele.

--Mi ci vorrebbe una guerra ogni tre anni!--mormorava spesso fregandosi
le mani.

La sconfitta degli Austriaci gli era stata assai vantaggiosa. A
cagione del precipizio della ritirata, i magazzeni erano rimasti pieni
di foraggi e di viveri che la ditta _Micotti e Compagno_, dopo aver
venduti al governo austriaco, non si sa bene con quali frodi, riuscì a
rivendere all'esercito alleato.

E non solo intascò molti quattrini, ma anche, in quell'occasione,
Pompeo Barbarò cominciò a gustare il profumo degli onori.

Trovandosi a Brescia per sorvegliare, senza troppo dar nell'occhio,
i suoi affari, avea fatto distribuire negli ospedali dove giacevano
i feriti parecchie casse di limoni guasti che erano state protestate
alla ditta Micotti dall'Intendenza Militare.... Pochi giorni dopo
questo fatto, gli capita da Milano una gazzetta sotto fascia: l'apre,
la spiega, e trova una corrispondenza da Brescia segnata in rosso
e firmata _p. E. Z._ In essa egli veniva elogiato e segnalato come
esempio di filantropia e di patriottismo per l'elargizione fatta delle
casse di limoni.

--È il poeta, non v'ha dubbio, è il poeta della vecchia matta che ha
voluto scrivere questa buffonata! _p. E. Z._ Sicuro!... _professor
Eugenio Zodenigo!_... È un tiro birbone!... Proprio, un tiro birbone!

Ma per altro non se n'ebbe a male, anzi quell'improvvisata di vedersi
stampato sulle gazzette gli colorì di rosso per un attimo le guance
olivastre. Lesse più di una volta gli elogi fatti al suo bel cuore,
e la sera scrisse ai gerenti della ditta Micotti per sapere se nei
magazzeni vi fosse nient'altro di guasto da regalare ai martiri della
patria.

--Non occorre farsi sbudellare--pensava con soddisfazione--per compiere
azioni patriottiche!--E il giornale lo chiuse a chiave in un cassetto,
iniziando così, forse senza nemmeno pensarci, l'archivio storico di
casa Barbarò.

Intanto era successa all'armistizio l'inattesa pace di Villafranca;
Garibaldi, soffocando nella grande anima gl'impeti generosi, avea
sciolto il giovane esercito dei _Cacciatori delle Alpi_, vittorioso a
Varese, a Como, ovunque si era battuto; e lo Sbornia ritornava a Milano
con un braccio al collo, e si presentava smagrito, affranto e a capo
chino, come un colpevole, dinanzi al signor padrone.

Il pover'omo, che era rimasto tranquillo e freddo in mezzo alle
fucilate, in quel punto avea paura: si aspettava una sfuriata
terribile; temeva di essere scacciato. Ma invece, con suo grande
sbalordimento, il principale gli si precipitò nelle braccia, piangendo
di tenerezza e di gioia!--Sono qui, signor padrone--balbettò lo Sbornia
che aveva sempre la sua faccia assonnacchiata:--sono qui per... per
domandarle perdono anche stavolta, e se ha da comandarmi la servirò in
modo da rifarla del tempo perduto.

--Tempo perduto il combattere per l'Italia?--esclamò il Barbarò
scandalizzato:--ma tu mi ritorni bestia, come quando sei partito?!

Pure si rabbonì subito e volle accompagnarlo in persona in _Via del
Pesce_, godendo di farsi vedere in giro col garibaldino ferito.

Già in ogni cosa Pompeo sembrava molto mutato. Era diventato un gran
politicante, aborriva lo straniero, e anche in cuor suo, non sapeva
perdonare a "quei cani di Tedeschi" la misera fine di Giulio Alamanni.

"Un agnellino" pensava "a cui sarebbe bastata una paternale, e che
doveva esser morto dallo spavento!... Lui sì, se non avesse avuto
giudizio sarebbe stato impiccato per davvero!... A poco a poco andava
sempre più persuadendosi di aver scampato il martirio soltanto per la
sua furberia..." e raccontava allo Sbornia e alla signora Veronica che
"a' suoi tempi era andato anche lui molto vicino alla forca." E rideva
compiacendosene, ogni volta che rammentava col suo gerente le gesta
della ditta Micotti e Compagno.

--Gli abbiamo conciati pel dì delle feste quegli zucconi di croati!...
Ma, in fine, non è stato altro che una restituzione... Erano danari
nostri, sacrosantamente nostri, che i ladroni ci aveano rubati!

Un giorno, dopo pranzo, prese dal cassetto, dove era chiusa, la
_Gazzetta_ colla corrispondenza da Brescia e la lesse allo Sbornia,
senza dire per altro chi l'aveva scritta.

Io non dò peso alle lustre dei giornali; voglio soltanto farti vedere
che la mia parte, in certo modo, l'ho fatta anch'io!

Ma la letizia del Barbarò non fu di lunga durata, e quando si cominciò
a buccinare intorno ai moti delle Sicilie, tornò a mostrarsi di cattivo
umore. "Quel Garibaldi era un matto ambizioso, che voleva rompere
l'uova nel paniere a _papà Camillo_!"--E in quanto a te--predicava
allo Sbornia--che a suo tempo hai mostrato di averci il fegato,
adesso sei in dovere di insegnare la prudenza e la moderazione...
Dobbiamo conservarla questa Italia, che ci costa tanto sangue e
tanti milioni!... Un'altra guerra!... Bravi: come se già non fossimo
scorticati abbastanza dall'esattore!

Poi si metteva a sghignazzare giocherellando colla mano nei ciondoli
dell'orologio.--Bei matti!... Vogliono andare a Napoli, a Palermo, come
se si trattasse di fare una gita di piacere! Ma e i Borboni?... Non li
contate per niente i Borboni?... Non sapete che hanno uno zampino in
tutte le corti d'Europa e che sono protetti dalla diplomazia e dallo
stesso gabinetto delle _Tuilliri_?

Lo Sbornia come al solito non rispondeva nulla. Lo stava a sentire
sempre rispettoso e mezzo intontito; poi una bella mattina volò a
Genova, e di là a Quarto, dove fu imbarcato sul piroscafo il _Lombardo_
della compagnia Rubattino.

Il Barbarò anche questa volta montò in furia.... Ma anche questa volta
il buon successo dell'impresa lo acquetò, e dopo aver maledetto alla
partenza il garibaldino, come un ostinato ubriacone, pericoloso per
lo Stato e senza cuore per la famiglia, andò a riceverlo al ritorno
proclamandolo un eroe.

Solamente una terza volta, dopo Aspromonte, il ritorno fu non meno
burrascoso della partenza. Il signor Pompeo inferocito mise fuori
dell'uscio il povero Sbornia; non voleva più riceverlo, non voleva più
vederlo, e non lo riprese al servizio se non dopo molte preghiere e
più che altro "per riguardo" diceva "verso Donna Lucrezia, che si era
intromessa in favor suo."

Fra il Barbarò e la Balladoro c'era un grande screzio d'opinioni in
politica, e si accapigliavano spesso; ma tuttavia quei battibecchi non
guastavano punto la loro amicizia, e dopo essersene dette di cotte e
di crude, il Barbarò finiva sempre coll'offrire la mano alla nobile
avversaria, che la stringeva con effusione esclamando:

--Amici come prima, _coinon_!

In fatti, mentre Pompeo si mostrava più ministeriale degli stessi
ministri, Donna Lucrezia gridava e smaniava schierandosi fra i
_malcontenti_. Il giorno della redenzione era arrivato, ma non erano
arrivati i quattrini, e però la vedova fegatosa aveva giurato che tutti
i Governi erano _ladri_ allo stesso modo, e che il comando doveva
passare in altre mani, se si voleva diventare i _sovrani_ del mondo,
come i Veneziani d'una volta. "Su questo proposito ne sapeva lei più
degli altri, perchè avea avuto dogi e dogaresse nella sua famiglia."

Ogni volta che fumava uno di quei _fetenti_ sigari di _Virginia_ lo
strizzava forte fra le dita, e faceva boccacce per mostrare quanta
fatica ci volesse a tenerlo acceso; e dovea confessare "per onor del
vero" che gli altri erano più buoni assai.

Con Napoleone terzo l'aveva a morte: lo chiamava sempre coll'apostrofe
hughiana "_Napoleone il piccolo!_"

--Dopo aver proclamato ai quattro venti "l'Italia libera dall'Alpi
all'Adriatico" si era fermato a Villafranca, il traditore!, e _a sti
pôri martiri_--così dicendo indicava lo Zodenigo, che sospirava--_el
ga_ interdetto il _suolo natìo_!

Il poeta che in que' tempi di guerra stava col collo fasciato da un
fazzoletto di lana bianca a cagione del deperimento lento, ma continuo,
della sua salute, accompagnava coi gemiti le sfuriate dell'amica
fedele, ma per altro col volgere degli occhi e coi cenni del capo
approvava sempre quanto diceva il Barbarò, mostrandosi pure assai
preoccupato "dell'_equilibiio euoopeo_."

E oltre all'equilibrio dell'Europa, egli badava molto anche al suo
proprio, e professava due politiche opposte: una in versi e l'altra
in prosa. Nei versi, che facevano andare in visibilio Donna Lucrezia,
e montavano la testa alla Rosetta e, una dopo l'altra, alle sue
varie padrone di casa, era repubblicano; nella prosa, che scriveva
per le _gazzette_ e leggeva adagio al signor Barbarò, faceva il
moderato costituzionale. Ma d'altra parte, lui non poteva perdersi
a fare il dilettante, e i giornali moderati, sovvenuti sempre dalla
gente danarosa, pagavano meglio degli altri. Nè una così palese
contraddizione gli toglieva credito presso al Barbarò: tutt'altro!
Dacchè il precettore si era fatto giornalista, Pompeo lo trattava con
molta deferenza; lo invitava spesso a pranzo, calmava le gelosie di
Donna Lucrezia, e spendeva molte buone parole colla Rosetta. Di rado,
ma gli faceva pure qualche imprestito, sempre su cambiali che rinnovava
coll'aumento dei frutti, per tenerselo legato, e non volendo rimetterci
del tutto il denaro suo, si tratteneva in conto il mensile delle
lezioni, e si faceva scrivere o correggere dal poeta la corrispondenza
giornaliera. Poi gli apriva il cuore intorno ai propri disegni e alle
proprie aspirazioni. Il Barbarò sentiva di non aver fatto abbastanza
col dono delle casse di limoni, ed era disposto a maggiori sacrifici
verso la patria, alla quale, più che altro, desiderava offrir l'aiuto
della sua esperienza e della sua generosità. Egli, insomma, avrebbe
voluto cominciare a prender parte alla cosa pubblica. E aveva creduto
di mettersi in buona vista facendo figurare il suo nome ogni qual volta
dai giornali venivano aperte sottoscrizioni per sovvenire ai pubblici
disastri, o per erigere monumenti. Liberalità che pure lo angosciavano
in segreto, e alle quali cercava di rimediare con qualche nuova
strozzatura della ditta Micotti.

Ma l'opinione pubblica gli si mostrava contraria. Essa accettava il
suo danaro, senza voler sapere della sua persona; e il povero Barbarò,
dopo tante spese, non era mai stato eletto, nemmeno fra i membri di
un comitato di Beneficenza! Questo era il guaio, non si aveva fede
nelle sue ricchezze.--Dov'erano i milioni del Barbarò? Chi li avea
veduti? Chi li avea contati?... E la gente diffidava di lui, lo aveva
in sospetto, mormorando prudentemente:--danari e santità, metà della
metà. Intanto gli invidiosi frugavano nel suo passato, sussurrando
che avesse fatto la spia nel quarantotto; che avesse avuto parte nelle
tenebrose operazioni della ditta Micotti nel cinquantanove: insomma che
si fosse arricchito colle bricconate....--Arricchito?... Uhm!... Se
pure anche le ricchezze sue non erano simulate e prese a prestito come
il nome di Barbarò!

--Imbecilli!--mormorava Pompeo sogghignando, mentre accumulava
nel cuore odio e disprezzo contro quella gente boriosa e timida
che non lo voleva accogliere e che pur non osava di francamente
respingerlo.--Imbecilli... e vigliacchi! Vuol dire che ancora non mi
credono ricco abbastanza! Ma ciò non conta. Verrà il giorno che li avrò
tutti ai miei piedi; verrà il giorno che sarò il padrone di Milano, e
allora... Allora inalzerò una statua all'orefice del _Gobbo d'oro_ che
mi ha insegnato, per il primo, dove vanno a finire i minchioni!

Ormai egli avea trovato la buona strada e non l'avrebbe abbandonata
più. Il suo passato non gli faceva paura. Egli era in pace colla
coscienza e con Domeneddio e non temeva le calunnie degli sfaccendati.
Non c'erano la Balladoro e la piccola Mary per difenderlo, per
testimoniare in suo favore?

Egli avea mantenuto alla povera Betta "che gli era morta fra le
braccia" quanto le aveva promesso, e ne' suoi disegni avvenire pensava
di rendere all'Alamanni molto più di quella bagatella delle cinquanta
mila lire, che infine avea avuto cura di amministrare e impiegare
vantaggiosamente, per conto della povera figliuola!

Dunque la coscienza non gli rimordeva, anzi ne meritava
l'approvazione. Con messer Domeneddio era in buoni termini; perchè
sentiva messa tutte le domeniche in una data chiesa, vicino ad un certo
altare di una Madonna miracolosissima, avendo notato che ogni qual
volta avea mancato di andarci, gli era sempre toccata nella settimana,
_per combinazione_, una qualche contrarietà. E proprio con un senso
di superstizioso terrore si sentiva obbligato a soccorrere la Mary
Alamanni, e a proteggerla; e voleva associarla alla sua fortuna, come
fosse un talismano che gli dovesse tener lontano le disgrazie. Soltanto
avea pensato al modo di riuscirvi senza spogliarsi, in tutto o in
parte, dei quattrini suoi: e il modo lo avea trovato facilmente.

--Perchè la signorina Alamanni non avrebbe sposato Giulio Barbe...
Barbarò? Non aveva quattrini? Pazienza; egli era un uomo di cuore, e
avrebbe chiuso un occhio. Come sarebbero rimasti maravigliati alla
notizia di un simile matrimonio tutti quei moralisti senza un soldo,
che gli gridavano la croce addosso, e lo chiamavano "strozzino!" E poi
sarebbe cresciuto il suo credito. Chi avrebbe dubitato della solidità
della casa Barbarò, quando il figlio unico del principale potea darsi
il lusso di un matrimonio d'amore?... E poi c'era bisogno di un po'
di sangue nobile nella famiglia... e poi il nome degli Alamanni era
di moda, era un nome patriottico e... e a questo punto pensava:--Sono
pochi i galantuomini come me, che mantengano fino allo scrupolo i
giuramenti fatti a una morente.... e senza testimoni!

"Povera Mary! Povera figliuola, se non ci fosse stato lui a tenerla
d'occhio e a impedirle di morire di fame!... Sola con quella balorda
della Balladoro e con quel matto dello zio Francesco avrebbe certo
finito male!..."

L'Alamanni era uno dei capi del partito di azione. Aveva fatte tutte
le campagne con Garibaldi, lo avea seguìto a Sarnico e ad Aspromonte,
e adesso teneva viva l'agitazione per la conquista di Roma. Però non
stava mai fermo in un luogo ed era stato poche volte a Milano, e sempre
per pochi giorni. Aveva dato ampia procura all'avvocato Spinelli perchè
le briciole che ancora potevano rimanere del patrimonio Alamanni, ormai
libero dalla confisca, fossero interamente devolute alla Mary, sperando
per tal modo di provvedere bastantemente ai bisogni della nipote: e
bastantemente in fatti ci avrebbe provveduto, se non ci fossero stati
in più i cappellini e le sciarpe della zia, e i pranzettini del poeta.
Per conto suo avrebbe continuato a vivere dando lezioni d'inglese in
Italia... e occorrendo d'italiano in Inghilterra.

Con Pompeo Barbetta, il suo antico portinaio, Francesco Alamanni non
si era mai incontrato in casa Balladoro; e ciò per opera di Donna
Lucrezia, la quale si era ben guardata anche dal metterlo a parte delle
sovvenzioni ricevute.

--È inutile spifferare tutti i pettegolezzi a mio cugino
Francesco--avea raccomandato la Balladoro allo Spinelli:--quel puritano
senza testa non avrebbe l'abnegazione di sacrificare i propri principii
all'utile di nostra nipote!... Così, per Francesco Alamanni il nome
del Barbarò non figurò mai altro che come quello di un creditore nei
rendiconti dell'amministrazione.




V.


Ma se gli affari di Pompeo continuavano a prosperare, pareva sempre che
i suoi disegni per l'avvenire dovessero incontrare un qualche ostacolo:
tra Giulio Barbarò e la Mary Alamanni non c'era punta simpatia. I due
ragazzi erano spesso insieme, perchè lo Zodenigo che doveva impartire
al suo allievo anche la scienza degli usi e delle cerimonie sociali,
se lo tirava dietro ogni qualvolta andava in conversazione in casa
Balladoro. E il ragazzo, entrato appena nel salotto giallo per imparare
a dar la mano a Donna Lucrezia, scappava poi subito in cucina in cerca
della Mary e della Filomena. Ma la bimba, quando lo vedeva arrivare,
si rannicchiava vicino alla vecchia fantesca e non voleva saperne di
giocare con lui.

Non lo poteva proprio patire quel brutto ragazzo magro magro cogli
abiti che gli facevano addosso tante grinze, coi capelli radi che gli
cascavano spettinati sul viso lungo e smorto.... Egli non faceva altro
che vantare la roba del suo babbo, mostrava a tutti il suo orologio
d'oro, e si divertiva a mortificare la Filomena contandole il grosso
salario che pagavano alla loro cuoca ed al loro servitore. Maleducato
com'era, toccava tutto, voleva saper tutto, diceva parolacce,
avea il vizio di menar le mani, e con lei si era subito messo,
impertinentemente, a darle del _tu_.... No, no, non le piaceva quel
brutto ragazzo! E la Mary lo stava a guardare quando faceva il chiasso,
senza parlare, senza mai accostarglisi esprimendo solo una maraviglia
sdegnosa dagli occhioni grandi e dal visino serio serio. Una sera
Giulietto avea portato con sè un piccolo bersaglio, e voleva che la
Mary si facesse prestare i soldi dalla Filomena per giocar con lui.

--La zia non vuole che si giuochi di danari--rispose la bimba sempre
tutta seria:--poi il bersaglio non è un divertimento adatto per le
signorine.

--Oh! oh! La signorina colle sottane corte! La signorina _senza un
soldo_!--E il ragazzo si mise a sghignazzare e a strillare dandole la
baia.

La Mary diventò rossa di collera, ma non rispose una parola.

--Fammi un po' di posto sulla tavola--mormorò con voce sorda alla
Filomena:--voglio studiare!

La vecchietta tirò in un canto le stoviglie e asciugò la tavola col
grembiule. La bimba andò alla credenza e, alzandosi in punta di piedi,
cavò fuori da un cassetto dove teneva i suoi libri il compendio di
geografia: lo portò sulla tavola, si sedette, lo aprì, e per tutta la
sera non levò più gli occhi dal libro.

--Oh! oh! La signorina colle sottane corte!... Oh! oh! La signorina
senza un soldo!--continuò Giulietto a borbottare per un pezzo: ma poi,
vedendo che la Mary assorta nello studio non gli badava più, cominciò
per distrarla e infastidirla a far correre sulla tavola un pezzo da
cinque franchi nuovo, che aveva nel taschino.

La sera dopo capitò a casa Balladoro con un piccolo teatro e una
compagnia di burattini sotto il braccio.

--Co' burattini--pensava il ragazzo--potranno giocare anche le
signorine!

Invece la Mary non si degnò neppure di guardare que' bellissimi
giocattoli, e s'indispettiva contro la buona Filomena che al vederli
prorompeva in esclamazioni di meraviglia, e per farla star zitta la
toccava co' piedini sotto la tavola.

Un'altra volta il ragazzo portò un giuoco di pazienza giapponese, poi
la battaglia di Solferino colla musica, e Napoleone III e Vittorio
Emanuele a cavallo, ma non c'era versi!... La Mary non diceva mai una
parola, non alzava mai gli occhi dal suo compendio di geografia.

Giulietto, allora, infastidito, dichiarò a suo padre che si seccava
troppo in casa Balladoro e che la sera non ci voleva più andare.

Il Barbarò prima tirò ben bene le orecchie al figliuolo per insegnargli
che il _voglio_ non si doveva mai dire in presenza sua, poi gli
dichiarò che non intendeva di dar da mangiare ai professori per
allevare un asino!

--La Mary non mi può soffrire!... non mi guarda nemmeno!--mormorò il
ragazzo piagnucolando.

--Prova a regalarle uno de' tuoi burattini e ti guarderà! Coi regali si
pigliano le donne!

Giulietto si arrischiò, e le offrì Napoleone III; ma la Mary non lo
volle accettare; lo ripose nella scatola, e continuò a leggere a mezza
voce il suo libretto.

Allora il ragazzo finì anche lui col mettersi il cuore in pace e col
non curarsi più altro della piccola permalosa. Invece chiacchierava
tutta la sera colla Filomena sempre vantando i molti danari e il lusso
del babbo, e sperando così di pungere e di umiliare la superbia della
Mary. Ma la ragazzina, assorta ne' suoi studi, pareva non prestasse
nessuna attenzione al racconto di quelle grandezze; e poi a lei non
piacevano i danari: essa non li aveva mai contati, non li aveva mai
fatti correre sulla tavola. È vero, per altro, che Donna Lucrezia
non le avea mai dato più di un soldino la domenica per far la carità
durante la predica.

Ma una volta anche la Mary perdette a un tratto la pazienza.

--Oggi il babbo mio--raccontava Giulietto--ha comperato due cavalloni
magnifici e una bellissima carrozza quasi nuova, e abbiamo preso un
cocchiere che era prima in servizio da un conte, e gli dobbiamo dare di
salario novanta franchi al mese. Tu non li prendi in un anno, Filomena,
novanta franchi!

--Anche la mamma mia,--esclamò allora la fanciulletta, irritata perchè
il brutto ragazzo avea umiliata la Filomena,--anche la mamma mia teneva
carrozza e cavalli, ma non aveva superbia!

Il piccolo Barbarò a quell'uscita improvvisa rimase un po' sconcertato,
ma poi un'altra sera, volendo rifarsi dello scorno patito, portò per
far maravigliare la Filomena tutto il gruzzolo dei suoi danari.

La Mary, vedendo le monete d'oro e d'argento, strinse i labbruzzi con
aria sdegnosa, ma la vecchia non potè far a meno di esclamare con un
grosso sospiro:

--Quanta bella provvidenza, Gesù benedetto!... E dove li spende tutti
questi danari?

--Io non li spendo,--rispose il ragazzo, mettendosi in sussiego,--non
sono matto. Io lo fo fruttare il mio capitale.

La Mary alzò gli occhi dal libro e fissò Giulietto maravigliata.

--Quando sono stato bravo e son riuscito a metter da parte diciannove
franchi, il babbo, in premio, me ne aggiunge un altro di tasca sua,
e mi regala un bel marengo d'oro. Quando poi arrivo a poter sommare
cinque marenghi, allora li dò al babbo che li mette nella sua banca e
mi dà l'otto per cento.

La Mary scrollava il capo e storceva la bocca. Fece per rimettersi a
leggere, ma poi vedendo che l'altro continuava a contare e a lustrare
quei suoi stupidi danari, si rivolse alla vecchia domandandole
lentamente, ma con voce chiara, penetrante:

--Non è vero, Filomena, anche la mamma mia era ricca?

--E come!... Ma era una santa la tua povera mamma e i _capitali_ li
metteva a frutto in Paradiso.

Il ragazzo si fermò, attonito, colle monete lustre fra le mani. Egli
guardò in faccia la Mary e la Filomena: non capiva bene quel discorso.

--Vuoi dire che li metteva a frutto in Paradiso,--seguitò la piccola
Alamanni,--perchè li spendeva nel far del bene?

--Già... sicuro... e l'amavano tutti, ed era benedetta da tutti, la tua
povera mamma!

--Se ne avessi anch'io dei danari vorrei imitare la mia mamma: vorrei
far del bene!--E la ragazza disse queste semplici parole, così
soavemente, da commuovere la vecchia fino alle lacrime.

--Benedetta anche te, la mia creatura! E la baciò sulla testolina
riccioluta.

Giulietto rimaneva sempre là come istuipidito, colle mani piene di
danari. Poi, a un tratto, sfogò il malumore con un'alzata di spalle,
e tornò a contare e a lustrare le sue monete prima di rimetterle nel
borsellino. Ma pure sentiva, mal suo grado, che quel tesoro aveva
perduto di attrattiva. Tornò a guardare la Filomena che s'era rimessa
a rammendare una calzetta, e guardò, ma di sottecchi, anche la Mary
che leggeva attenta attenta il suo libricciuolo. Aprì ancora il
portamonete, lo guardò dentro, lo richiuse, tornò a metterlo in tasca,
a levarlo fuori, ma poi a un tratto si fe' animo e un po' imbroncito,
un po' impacciato, domandò con un sussulto nella voce:

--E come si fa, poi, a far del bene?

La vecchia sorrise: la Mary alzò la testina e lo fissò attentamente, e
notò per la prima volta che "il povero ragazzo" aveva il viso pallido,
affilato.




VI.


Dopo che Giulio e la Mary ebbero stretta amicizia, il Barbarò cominciò
subito a impensierirsi per certe novità che scorgeva nel suo figliuolo.

"Si lisciava e si ungeva come un topo! Strimpellava il pianoforte
invece di ficcarsi nella zucca un po' di aritmetica! Non
aveva più amore al danaro! Lo sciupava in elemosine e in cento
cianciafruscole!--Asinaccio!"

E, a buon conto, Pompeo non gli dava più un soldo, visto che i
quattrini non rientravano poi, per esser messi a frutto, nella cassa
paterna!

"Asinaccio! Voleva crescere scialacquatore come sua madre!... Già le
somigliava in tutto; e se non era gobbo lo doveva all'olio di merluzzo
e ai bagni di mare. Gli era costato un occhio per farlo crescer
diritto, e ora si storceva per un altro verso."

A rimettere il giovinetto nella buona via il babbo prudente non
risparmiava ammonizioni e scappellotti, e si raccomandava allo Zodenigo
perchè gl'instillasse quei precetti di economia "che soltanto potevano
formare la prosperità dell'individuo unitamente con quella della
Nazione." E voleva che il professore facesse in proposito acerbe
paternali anche alla Mary. "La disgraziata non aveva un soldo di dote e
conveniva avvezzarla per tempo al risparmio e alle privazioni. Diamine!
Cominciava anch'essa a non essere più una bambina!... Bisognava aprirle
gli occhi!"

Il Barbarò aveva presentito che nel mutamento del figliuolo doveva
entrarci, o poco o molto, l'influenza dell'Alamanni, e gli premeva
fosse corretta di quel brutto viziaccio dello spendere, e tanto più
gli premeva per quel suo disegno che aveva in mente, di farsene la
propria nuora. Non impedì per altro che nel trascorrere del tempo
l'intrinsichezza dei due giovinetti si facesse sempre più stretta, e
sapendo ormai di avere in mano, ben legata, Donna Lucrezia, mentre
aspettava che gli potesse giovare nel caso di una qualche intempestiva
rivelazione, egli, da uomo pratico, sapeva servirsene per le sue
operazioni finanziarie.

In mezzo alla vasta e illustre parentela della vecchia vedova il
"_bonomo_ servizievole e _tuto cuor_" avea trovato modo di concludere
parecchi affaretti eccellenti. Era riuscito, prendendoli destramente
all'amo della cambiale, a spogliare i Badoero del ricchissimo stabile
e della splendida villa di Panigale, nel Milanese, e pure con l'aiuto
di Donna Lucrezia, non del tutto conscia di que' raggiri, aspirava di
levar di dosso la pelle anche ai Collalto.

Il marchese Alberto non era molto ricco per il gran nome che portava.
Tuttavia finchè era vissuta sua madre non avea fatto debiti e il
patrimonio rimaneva ancora bene assestato quando, alla morte del
suocero, seguita poco dopo quella della vecchia marchesa, egli
ereditava la tenuta estesissima di Villagardiana, così denominata
appunto perchè situata sulla riviera pittoresca del lago di Garda fra i
paeselli di Padenghe e di Moniga. Ma questa ricca possessione era stata
trascurata assai dal povero conte Prampero, il quale non si era mai
dato altro pensiero, che di abbellire di continuo la villa splendida
e il giardino di lusso. I vigneti abbisognavano di nuove piantagioni,
le case dei contadini erano in rovina. Fatti gli opportuni assaggi
in alcune valli, era stata scoperta la _torba_ in abbondanza; e però
volendo rendere prospera e attiva Villagardiana occorreva l'impiego di
un grosso capitale, che il marchese di Collalto non aveva in cassa. Di
più egli che si era dato fino allora ad una vita spensierata e galante
ne sapeva assai poco di agricoltura e di amministrazione; ma pure,
presuntuoso e caparbio, credeva intendersi di ogni cosa; e stimolato
inoltre da uno spirito di contraddizione non comune volle mettersi
a coltivare Villagardiana perchè sua moglie e il suo ragioniere gli
avevano consigliato di cederne i fondi in affitto.

In breve, fidandosi soltanto della sua testa, si trovò con la cassa
asciutta senza aver concluso nulla di bene. Aveva fatto venire un
enologo francese; si era messo in mano di un ingegnere tedesco per la
fabbrica delle case agricole, in legno e ferro fuso, e avea speso un
monte di quattrini nella costruzione di un _tramvai_ a cavalli per
trasportare la torba. Ma col clima del Garda, i metodi dell'enologo
francese non fecero buona prova; le case rurali erano quasi
inabitabili, perchè troppo fredde l'inverno e troppo calde l'estate
e, infine, la torba che si poteva raccogliere annualmente non era in
tale quantità da poter nemmeno ripagare le prime spese del _tramvai_.
Il marchese, imbizzito, sfogò la rabbia pigliandosela colla moglie e
licenziando il ragioniere. Ma intanto molte partite rimanevano ancora
da aggiustare e i conti dell'ingegnere tedesco non erano stati saldati.

Allora appunto, introdotto da Donna Lucrezia, Pompeo Barbarò si
fece avanti e presentò al Collalto le sue proposte. Egli sarebbe
entrato in società col marchese nell'amministrazione e nella condotta
di Villagardiana, anticipando i capitali per pagare i debiti già
incontrati e per compiere le opere incominciate. Questo capitale poi
gli dovea essere rimborsato in rate annuali, trattenute dal Barbarò
sulla rendita dello stabile e coll'aggiunta degl'interessi a compenso
scalare. Tutta la villa e il giardino rimanevano a disposizione dei
Collalto; al Barbarò era riservato solamente un piccolo quartierino del
secondo piano.

Il marchese Alberto fu costretto, per togliersi d'impiccio, ad
accettare una tale profferta, per sè stessa, del resto, onestissima
e vantaggiosa; ma non avendo più da contraddire alla moglie nè da
gridare col ragioniere e non potendo commettere pazzie a Villagardiana,
perchè il Barbarò lo invigilava, egli ci perdette l'amore. Ritornò a
viaggiare e a vivere molta parte dell'anno a Parigi fra i cavalli e le
donne, finchè assai malandato in salute, capitò sul lago per curarsi,
piangendo un po' con tutti la sua disgrazia e specialmente chiedendo
conforti a sua moglie, della quale, tanto per cambiare, cominciava ad
innamorarsi.

Intanto il Barbarò anticipando sempre nuove somme di danaro tirava
innanzi coi restauri.

A novembre, al momento del rendimento dei conti, il marchese, e più
ancora la marchesa Angelica, vedendo che le spese fatte superavano di
molto l'entrata, non risparmiavano le osservazioni; ma _quel bonomo
tuto cuor_ metteva fuori per la circostanza una parlantina assai
efficace e finiva sempre con aver ragione.

--Sono restauri necessari, signor marchese: opere tali che faranno
rifiorire e triplicare in cinque o sei anni la rendita dello stabile!

I Collalto rispondevano allora che se la rendita di Villagardiana era
tutta assorbita dai miglioramenti, ciò che rimaneva del patrimonio non
poteva più bastare per la casa.

--Troppo giusto, signor marchese illustrissimo: troppo giusto! Vuol
dire che anche per l'annata in corso potranno disporre per intero della
rendita di Villagardiana. Le spese che ho creduto bene di fare, più
per il vantaggio del signor marchese che non per il mio (perchè già il
padrone rimane sempre il signor marchese, e quando volesse potrebbe
mettermi alla porta con un calcio), le spese, dicevo, rimarranno a mio
credito.

--La ringrazio, caro signor Pompeo,--rispondeva il marchese col suo
fare altezzoso,--ma io non vo' obblighi con nessuno.

--Certo, certissimo, obbligato le sarò io, se mi permetterà di
servirla! Intanto, se crede (ci ho pensato appunto volendo prevenire
le obiezioni della sua nobile delicatezza), prenderò un'ipoteca su
Villagardiana... Ma poi... In quanti anni?... In dieci anni al più,
ella potrà, volendolo, affrancare il capitale e fare ancora un buon
avanzo. Una volta che Villagardiana abbia raggiunto il pieno sviluppo,
deve fruttare come la terra promessa; dev'essere la California della
nobile casa Collalto.

La marchesa Angelica rimaneva più stordita che convinta da tante
chiacchiere; ma invece al marchese Alberto, sempre pieno di sè, e
sempre compreso del lustro singolare del suo nome, pareva proprio che
la gentuccia gli dovesse essere tributaria come i vassalli del buon
tempo antico. Stimava naturale che anche il signor Pompeo si pigliasse
il gusto di servirlo per godere di un tanto onore; e come pensava di
essere lui medesimo qualche cosa di straordinario, così non dubitava
nemmeno che tutto quello che gli apparteneva non fosse privilegiato; e
quando l'altro tirava in ballo la California, sorrideva non dell'idea,
ma della volgarità borghese di quella metafora.

Frattanto il Barbarò, trovandosi tra la boria del marito e la bontà
della moglie, conduceva a buon punto i propri affari, e mentre
sperava di diventar in poco tempo e con poca spesa il solo padrone di
Villagardiana pensava pure di approfittare dell'intimità che doveva
nascere dalla vita comune fra lui e i Collalto per introdursi nel bel
mondo e vincere le antipatie e la diffidenza che circondavano la sua
persona.

--Anche a me non manca più che il punto d'appoggio per sollevare il
mondo, come ad _Aristotele_!--mormorava Pompeo, che fra Donna Lucrezia
e lo Zodenigo andava accattando, a orecchio, una certa erudizione.

Ma se il primo disegno gli riusciva bene, pel secondo, invece, doveva
toccargli un fiero disinganno.

Angelica si mostrava affabile col Barbarò, ma pure nel modo stesso
con cui lo chiamava _signor Pompeo_, v'era il tono di bontà quasi
compassionevole col quale trattava le persone di condizione
inferiore. E, peggio ancora, quel _signor Pompeo_ quand'era
pronunciato dal marchese Alberto aveva un'intonazione arrogante e
un pochino canzonatoria. Egli lo comandava a bacchetta, e nelle
discussioni gli dava sulla voce aspramente. Sparlava di lui cogli
amici dipingendolo come un mezzo imbroglione, e si compiaceva di
screditarlo presso i fittaiuoli e i contadini. A pranzo il _signor
Pompeo_ aveva l'ultimo posto e non era presentato a nessuno, e con
tanta gente che frequentava Villagardiana egli, che avea sperato
di farsi strada nell'aristocrazia, non era riuscito a far amicizia
altro che coll'accordatore del pianoforte. Con tutti i suoi milioni
era considerato come l'amministratore di casa Collalto, ed anche per
le persone che dipendevano solamente da lui, e che egli manteneva e
pagava, era sempre il _signor Pompeo_; nient'altro che il _signor
Pompeo_.

Insomma dall'ultimo contadino all'arciprete (al quale il Barbarò avea
conservato una piccola prebenda perchè non voleva disgustarsi colla
Chiesa) tutti a Villagardiana non riconoscevano altri padroni che il
signor marchese, la signora marchesa e il marchesino Stefano.

Pompeo faceva ben capire ai fittaiuoli e ai coloni che il marchese era
rovinato e che lo stabile ormai era suo di fatto, ma con questi sfoghi
non giungeva se non a farsi pigliare in uggia maggiormente.

--Se non fosse stato quel tirchio del signor Pompeo,--mormoravano,--il
marchese Alberto gli avrebbe trattati come figliuoli!

Il Barbarò schiattava di rabbia, diventava sempre più duro coi suoi
dipendenti e faceva proponimento di rispondere per le rime alla prima
occasione a quel pitocco superbioso.

Ma poi, dinanzi al marchese, l'antico portinaio prendeva ancora il
sopravvento sul nuovo banchiere, e quando l'altro alzava la voce, gli
morivano le parole sulle labbra, e restando confuso, chiudeva in cuor
suo tutta la gran collera.

Si consolava poi riflettendo che venuto il momento egli sarebbe
ritornato a Milano, e avrebbe mandato il suo avvocato a regolare i
conti.--Che bomba, che bomba!--esclamava sogghignando e pensando al
giorno in cui si sarebbe vendicato col mettere i Collalto fuori di
casa; e intanto si mostrava ancora più ossequioso col signor marchese.
Se non che, quando la bomba fu in punto, e non mancava più altro che
appiccarvi il fuoco, aspettò di giorno in giorno ancora una settimana,
e poi un mese a farla scoppiare, e in fine non ci pensò più.

Egli si era invaghito della marchesa Angelica, e non voleva
allontanarla da sè, e rinunciava alla sua vendetta, per altri e nuovi
disegni e non meno malvagi che covava in cuore.

La marchesa, di primo acchito, non gli avea fatto alcuna impressione.
Doveva essere, pensava, una di quelle pallide madonnine che bisognava
adorare mettendosi in ginocchioni, impassibili come statue, e cogli
occhi e colla testa sempre nel mondo della luna. A lui, le donne,
gli piacevano propriamente donne, e le sante le lasciava ai preti!
Ma poi certe volte che vedeva di lontano, in mezzo al prato verde e
lungo l'ombra quieta del viale quella persona gentile che si moveva
con languida mollezza sotto il grande ombrellino rosso, sfolgorante,
non poteva trattenersi dal sostare e voltar il capo per ammirarla.
Quando Angelica parlava colla sua lentezza garbata, l'ascoltava muto
e rapito. Una mattina presto, l'incontrò col bimbo presso la riva
del lago: essa aveva addosso una veste di mussolina quasi gialla,
così fine che lasciava trasparire sotto le maniche il roseo delle
braccia rotonde. Il bel viso, solitamente pallido, pareva animato in
quell'ora da un'espressione luminosa di benessere. Aveva le labbra
socchiuse e i capelli biondi rialzati e raccolti sul capo scoperto. Il
Barbarò, salutandola, rimase a guardarla a bocca aperta, con desiderio
voluttuoso; pur tuttavia gli pareva sempre troppo fredda in quella
compostezza aggraziata. "Il marchese Alberto doveva sentir soggezione
a darle un bacio!" Per altro, il profumo suo, delle sue vesti, com'era
delicato e soave!... Era proprio il profumo della gran dama! Gli
ricordava quello sentito molti anni addietro... quando la signora
Alamanni passava dalla porteria. "Perchè mai i signori dovevano avere
un odore diverso dagli altri?" Egli aveva regalato alla Veronica certi
estratti sopraffini che costavano un occhio, eppure la villana sapeva
sempre di burro rancido!

Se non che un giorno il signor Barbarò venne a sapere che alla
magnifica statua batteva il cuore. Sentì dire che Angelica era
innamorata di Andrea Martinengo! Dunque non era vero che fosse fredda
e impassibile: essa era viva, proprio viva! Ma allora chi sa quanto
fuoco doveva covare sotto quella superficie di neve!... Ma allora....
Ma allora voleva riscaldarsi lui a quel fuoco: lui e non altri.

Andrea Martinengo?... Chi era poi alla fin fine, questo signor
Martinengo che osava alzar le mire alla marchesa di Collalto? Era uno
spiantato! Un misero capitano d'artiglieria che non avea un soldo più
della paga!... Balordo presuntuoso!... Ma lui, co' suoi quattrini, lo
avrebbe soppiantato!... No, no, la marchesa non gli poteva sfuggir di
mano!...

Come doveano esser dolci e carezzevoli le parolette d'amore che
uscivano da quella bocca di miele!... Sfacciata!... Avrebbe voluto
morderle le labbra mentre le profferiva! Sì, voleva averla per sè,
voleva farla sua, e che il Martinengo ne morisse di gelosia e di
rabbia!... Lo odiava quel pezzente bellimbusto!...

Ma la marchesa Angelica faceva la superba, la noncurante. Tutt'al più
degnava di un sorriso di compatimento _il signor Pompeo_! Ebbene,
facesse pure! Ma il giorno in cui egli l'avrebbe messa nell'alternativa
o di cadere in miseria o di mutare di gusti, oh la bella signora ci
avrebbe pensato due volte!... L'importante era di non lasciarsela
sfuggire; poi, una volta spinta fino all'orlo dell'abisso, pur di
ritornare indietro e salvarsi avrebbe trovato modo di vincere ogni
sua ripugnanza verso _il signor Pompeo_!... Ma anche allora sarebbe
sempre stata innamorata di un altro... E che per ciò?... Doveva essere
un ben magro conforto per il bell'Andrea!... E il Barbarò sogghignava
mentre si mordeva i peli radi e corti dei baffettini. Gli occhi della
marchesa, pensava, dovevano essere ancor più belli a vederli nuotanti
nelle lacrime! Egli l'avrebbe sentita gemere, pregare e supplicare
colla sua voce d'oro. Avrebbe veduto il bel viso farsi pallido e
spaurito per la foga dei suoi baci e delle sue carezze!... No, no, non
gli poteva sfuggire! Era lui, lui solo che teneva la cassa fra tanti
spiantati e dovea essere il padrone di tutto a Villagardiana, anche
di quella creatura che aveva il corpo di una statua e la voce di una
sirena.

Per Iddio, piuttosto di cederla al Martinengo, l'avrebbe lasciata
marcire in prigione!... Sicuro, in prigione: e perchè no?... D'ora
innanzi non avrebbe più dato un soldo al Collalto senza riceverne in
pagamento una cambiale e avrebbe voluto, per avallo, anche la firma
della marchesa!

Tuttavia, coll'andar del tempo, l'odio geloso ch'egli sentiva contro
Andrea Martinengo pareva che si dovesse acquetare. Il Martinengo era di
presidio a Napoli e non dava mai segno di vita a Villagardiana.

D'altra parte, che cosa avevano riferito al _signor Pompeo_? Che i
due giovani si amavano assai quando il conte Prampero avea costretta
la figlia, ad ogni costo, a sposare il Collalto. Poi, dopo le nozze
non si erano mai più riveduti. Insomma era stato il solito romanzetto
sentimentale che fanno tutte le ragazze col biondino spiantato, prima
di rassegnarsi... al _buon partito_! "Certo, certo, il bell'Andrea
l'aveva dimenticata!" Ma il Barbarò, non meno per ciò n'era geloso, nè
lo odiava meno, nè riusciva a frenare la sua passione per la marchesa.

Tutti i suoi pensieri erano sempre rivolti ad Angelica; tutto il suo
sangue era come infocato dalla sua immagine; e forse, trascinato
dalla bramosia, avrebbe commesso qualche imprudenza, se il timore di
perderla scoprendosi prima del tempo, prima di averla ridotta proprio
all'estremo punto del precipizio, non gli avesse dato forza per tenersi
in carreggiata.

Egli, fino allora, non avrebbe potuto altro che spogliare i Collalto di
Villagardiana e invece, per essere sicuro del colpo, bisognava tenere
sotto gli artigli tutto l'intero patrimonio.--E a buon conto,--ripeteva
fra sè, spaventato che l'amore gli potesse far commettere una qualche
minchioneria,--a buon conto non perdiamo di vista gli affari! Gli
affari devono essere come la bussola dell'uomo: quanto più soffia la
burrasca tanto più bisogna tenerla d'occhio!

Ma intanto ch'egli tendeva cautamente le sue reti la marchesa Angelica
non poteva più fare un passo senza vederselo a un tratto comparire
dinanzi.

Ogni volta che andava a passeggiare, o sola, o col piccolo Stefanuccio,
s'imbatteva sempre nel _signor Pompeo_, che sbucava all'improvviso
da una siepe, da un viottolino, o si mostrava di sotto ai pampani
della vite. In casa, appena Angelica usciva di camera, lo incontrava
sempre, o lungo i corridoi o su per le scale. E le guance stirate e
olivastre del Barbarò si tingevano allora d'una fiamma rossiccia, gli
occhi piccoli e loschi scintillavano iniettati di sangue, e la voce
gli usciva spezzata dal petto affannoso. Ma pure egli trovava sempre
qualche pretesto per fermare e intrattenere la marchesa: un giorno
aveva un'istruzione o un'informazione da chiederle: un'altra volta un
ordine da farle ripetere; e quando la trovava sola la conduceva lontano
per mostrarle qualche nuovo restauro.

Angelica, se pareva ancora una fanciulla per la squisita purezza delle
sue forme, era davvero ancora una bimba per l'ingenuità del cuore;
e invece d'indovinare ciò che l'avrebbe fatta morire di ribrezzo,
non attribuiva il gran turbamento del signor Pompeo, se non alla
soggezione ch'essa gl'inspirava. E però si studiava di mostrarsi sempre
più affabile, e sovente rideva e scherzava con lui per cercare di
rinfrancarlo.

Il Barbarò certe volte credeva d'impazzire. Il sangue gli saliva
alla testa, ansimava, non sapeva più quello che si dicesse, ma pure
guardava sempre Angelica di sottecchi non fidandosi ancora di fissarla
in volto. In sulle prime, ingannato da tanta cortesia, avea osato
concepire, nella sua volgarità di villan rifatto, una goffa speranza.

--Che la biondina--pensava--abbia già messo gli occhi sopra i miei
quattrini?--Ma poi, quando comprese che tutte le premure della marchesa
non erano altro che affabilità e degnazione, il suo livore e la sua
passione s'inasprirono maggiormente.

--Fa, fa pure la superba!--borbottava fra i denti, dopo averla
accompagnata sull'uscio di casa o del salottino ed essere stato
licenziato con un sorriso e un cenno del capo, senza una stretta di
mano.--Fa pure la superba: sfogati finchè puoi!... Ma si avvicina il
giorno nel quale dovrai smettere le smorfie! Quel giorno, marchesina
bella, dovrai essere molto umile e sottomessa col _signor Pompeo_!...
Certo, certo, non ti sembrerò un amorino come il capitano; ma sono i
milioni, core mio, sono i milioni che contano, e che cantano, e lo
saprai bene quando ti avrò nelle mani....--Sicuro!... In queste manacce
grosse e nere, che tu sdegni di toccare!

Pur tuttavia, sebbene il Barbarò sprezzasse i damerini, cercava anche
lui, adesso, di farsi bello. Si tingeva i capelli duri, a spazzola che
cominciavano a incanutire, e faceva sfoggio di ciondoli, di catene
d'oro, di bottoni e di spille di brillanti, tutta roba rimasta in casa
Barbarò dopo liquidata l'_Agenzia di prestiti sopra pegni di Via del
Pesce_. E ogni giorno aveva un abito nuovo, o troppo stretto o troppo
largo--perchè--predicava sempre a quello zuccone di Giulio--bisognava
essere uno stupido per farsi vestire dal sarto, quando lo stesso abito
si poteva comprare a metà prezzo e bell'e fatto al bazar!

Ma se l'amore lo abbelliva, o almeno lo lustrava, era certo, per
altro, che non lo ingentiliva. In casa i mostrava di un umore tristo
e inquieto; ed ogni giorno si faceva più avaro volendo rifarsi in
anticipazione di ciò che, col tempo, gli avrebbe potuto far perdere la
marchesa. Quando capitava a Milano pe' suoi affari gridava con tutti,
era sempre malcontento di tutto. Sentiva, di tratto in tratto, un
impeto di avversione strana, feroce contro la florida signora Veronica,
e allora la maltrattava e la batteva.

Quella "bestiaccia grassa e vecchia" gli faceva nausea!--Lo Sbornia non
ne indovinava una, nemmeno per sbaglio. Aveva sempre la testa intronata
per i continui rabbuffi e girava attorno balordo e addormentato colla
faccia trista e spaurita.

Il Barbarò gridava che "quei due sudicioni" gli rubavano il pane!... Si
erano fatti ladri e poltroni!... Avevano sempre la testa pesa per il
troppo mangiare e per il troppo bere.... Affogavano nel grasso.... Lo
assassinavano!

E quando alla fino del mese c'era da pagare la pensione di Beppe
Micotti, che andava a non studiar niente nell'_Istituto Tecnico_, il
Barbarò strillava tanto da farsi sentire in istrada.

--La pensione l'avrebbe pagata doppia, senza fiatare, per farlo
rinchiudere fra i discoli, quel monellaccio!

Ma non parlava così davanti al figlioccio. Una volta gli aveva tirato
troppo forte gli orecchi e il ragazzo s'era rivoltato addentandogli la
mano. D'allora in poi il padrino, quando lo vedeva, gli faceva gli
occhiacci, ma non gli diceva più nulla.

Solamente la Balladoro era rispettata in quelle furie, ed anzi se ne
avvantaggiava. Per essere un po' parente della marchesa Angelica, per
quel suo privilegio di poterle parlare dandole del _tu_, il Barbarò la
teneva in maggiore considerazione. In ogni sua corsa a Milano, egli
passava tutte le ore che aveva libere nel salottino giallo, testimonio
muto, ma sempre più unto, della taccagna ingratitudine dei ministri
italici. E lì, colla scusa dei saluti, non si faceva altro che parlare
di Angelica. Il Barbarò voleva saper tutto e conoscere tutto bene:
la sua vita di bimba e di fanciulla: i suoi gusti, le sue abitudini,
l'amoretto col Martinengo e le lacrime sparse quando avea dovuto
maritarsi contro genio. E il Barbarò lodava assai la fermezza del conte
Prampero, il quale aveva fatto benissimo a non assecondare i ghiribizzi
romantici della figliuola, a mandare a spasso il bell'Andrea e ad
obbligarla invece a sposare il Collalto. Ma sempre, a questo punto,
la discussione si riscaldava, perchè Donna Lucrezia voleva sostenere,
gridando e dimenandosi, che "_anche el cuor vol la sò parte!_" e che
"suo cugino il conte Prampero, parlando da vivo, era un _bucefalo_
spietato!"

Ma poi, a poco a poco, il Barbarò finiva di interrogare e di
contraddire, e la Balladoro continuava a parlare, a parlare, sicura che
que' discorsi piacevano al suo compagno e lo disponevano bene in suo
favore e nello stesso tempo sempre smaniosa e orgogliosa di provare
l'intimità sua coi Collalto e i Castelnovo, e la considerazione in
cui era tenuta, e l'affetto che le prodigavano. Ricordava i balocchi
"splendidi" che avea regalato all'Angelica quand'era bimba; descriveva
le feste e i doni "magnifici" ch'essa faceva all'Angelica quando andava
a levarla dal collegio, nei giorni d'uscita, e assicurava, "non per
vantarsi, ma perchè era proprio la verità," che suo cugino il conte
Prampero non avrebbe mai affidato l'Angelica in altre mani, e che
l'Angelica, quand'era ragazza, non voleva star altro che con lei!

Il Barbarò ascoltava tutto con una grande attenzione e gli pareva
che la voce rauca e raffreddata della Balladoro si facesse limpida
e insinuante per quel nome di Angelica sempre ripetuto, per quella
immagine di Angelica sempre tenuta viva dinanzi. Adesso non la
interrompeva, non fiatava più. Soltanto quando Donna Lucrezia lodava
con la sua enfatica vivacità la "maravigliosa bellezza della cugina"
e "i capelli biondi come l'oro" e "le spalle larghe e tornite, uniche
al mondo" e "i piedini, che per trovarne di simili bisognava correre
in China" e "gli occhioni ch'erano un poema" e "il bel _personale_
alto, dritto, slanciato come d'una vera dea dell'Olimpo," il Barbarò si
sentiva bruciare le gote e si spelava le dita nervosamente.

Ma intanto rimaneva allettato da quelle confidenze e da quelle
chiacchiere, e quando ritornava a Villagardiana dopo le gite di Milano,
sapeva di aver un argomento gradito per intrattenere Angelica: le
notizie e i saluti della signorina Alamanni. Angelica voleva molto bene
alla Mary, per ciò quando Pompeo parlava con la marchesa di quella
"povera signorina" si mostrava sempre commosso.

--In quanto a me, salvo il dovuto rispetto,--esclamava mettendosi
una mano sul cuore--la considero proprio come una mia figliuola!...
Vedesse, signora marchesa, si è fatta grande, graziosina....

--Ed è poi tanta buona!--concludeva Angelica con quella voce
incantevole che certe volte pareva le uscisse dall'anima come un
sospiro.--Quando ritorna a Milano, signor Pompeo, si ricordi di farmelo
sapere.

--Sempre, sempre, signora marchesa. Non mi muovo mai da Villagardiana,
senza prima venire a prendere i suoi ordini.

--Ella è ben gentile, e la ringrazio.--Ed una volta soggiunse:--Le darò
una lettera per Donna Lucrezia. Vorrei pregarla di venire colla Mary a
passare un po' di tempo sul lago.

Il Barbarò non rispose altro che con un profondo inchino; ma due
giorni dopo partiva per Milano e correva subito in _via della Spiga_
coll'invito della marchesa Angelica. Voleva che la Balladoro e la Mary
partissero subito con lui, lo stesso giorno.

--Che furia, benedetto omo, che furia!--esclamava Donna Lucrezia, alla
quale sorrideva assai quella villeggiatura, ma voleva prima avvisarne
il professore.--Lasciatemi tempo.... per respirare, santissimi numi!
Con quella mammalucca della Filomena e con quella _svanìa_ della Mary,
bisogna che faccia tutto da me! E poi, caro mio, qualche spesetta....
sarà pur troppo necessaria. Povera, ma superba: e siccome i Balladoro
in quanto a nobiltà valgono i Collalto, così non vorrei sfigurare per
tutto l'oro del mondo; e se non posso farmi almeno un abito nuovo da
sera e uno da mattina, piuttosto, lo dichiaro altamente, non mi muovo
da Milano.

--Sono proprio stato creato e messo al mondo per far da cassiere
agli spiantati!--mormorò fra sè il Barbarò nell'andarsene.--Ma una
volta che Donna Lucrezia fosse a Villagardiana, saprebbe lui come fare
per tenerla a stecchetto! Allora non ci sarebbero più scuse: non ci
sarebbero più domande di nuovi prestiti... Allora... Ma non era questo
che gli premeva... Egli credeva di avere in Donna Lucrezia una guardia
sicura da poter mettere a fianco di Angelica per sorvegliarne ogni
passo, e insieme una persona amica e di confidenza che gli avrebbe
fatta buona compagnia in mezzo a tutti quegli aristocratici che lo
guardavano d'alto in basso.

Invece, anche per questa volta, egli non avea fatto bene i suoi conti.

La Balladoro, appena arrivata a Villagardiana, si era conformata
subito all'ambiente. Lodava i meriti agricoli e amministrativi "di suo
cugino" il marchese Alberto; andava in estasi dinanzi "a sua cugina"
la marchesa Angelica, e faceva la partita ai tarocchi coll'arciprete,
chiudendo un occhio sul _Potere Temporale_. Ogni volta che il Barbarò
andava a Milano, essa lo incaricava di un monte di commissioni:
spesucce, imbasciate alla sarta, ordini per la Filomena, letterine per
il Professore. Ma poi non si perdeva in ringraziamenti; gli dava spesso
sulla voce; e avea imparato a chiamarlo _signor Pompeo_ colla stessa
aria arrogante e beffarda del marchese Alberto.




VII.


Una notte Donna Lucrezia e la Mary, che a Villagardiana dormivano nella
stessa camera, perchè la vedova in quel "palazzone sconfinato" avea
paura degli spiriti e dei topi, furono destate all'improvviso da un
rumore confuso di voci e di passi, che si udiva dal vicino corridoio.

--Santi numi del Paradiso!... I ladri di sicuro!--esclamò la Balladoro,
e ficcò il capo, spaventata, sotto le lenzuola.

--No, zia mia; ho paura piuttosto che Alberto si senta male.

La Balladoro, un po' rassicurata, si rizzò a sedere sul letto guardando
fissa la Mary cogli occhi imbambolati. Aveva ancora il viso smorto,
pieno di sonno; e il diavolino di carta, in cui la notte avvolgeva il
ricciolo alla Zodenigo, le ciondolava sulla fronte.

--_Vegno... Vegno... Adesso vegno anca mi!_

Ma Donna Lucrezia non si moveva, e l'altra non perdette tempo ad
aspettarla. Appena ebbe infilato una sottana, si buttò addosso lo
scialle e corse fuori per sapere che cos'era accaduto.

La Mary aveva proprio indovinato: il marchese Alberto stava molto male.
Già da vari giorni non si sentiva bene; ma in quella notte, tutto a un
tratto peggiorò, in modo da spaventare Angelica che avea già mandato
una carrozza a Padenghe in cerca del medico.

Questi, appena ebbe visitato il marchese, giudicò il caso gravissimo
e domandò un altro medico per fare un consulto. Il Barbarò, che pure
pareva assai inquieto e turbato, volle andare egli stesso a Desenzano
per telegrafare subito a Padova a un professore illustre, il quale
arrivò in gran pompa a Villagardiana, per dire con molta albagìa e
con una filastrocca di paroloni astrusi, quanto avea già detto più
semplicemente e più chiaramente il suo modesto collega.

Il marchese rimase in pericolo per vari giorni: poi cominciò a
rimettersi a poco a poco, ma superata a stento la crisi, rimase
condannato per tutta la vita: colpito alla spina, gli era sopravvenuta
una paralisi alle gambe, dichiarata inguaribile.

Durante il periodo più acuto della malattia, il Barbarò avea dimostrato
per il marchese tanta premura e sollecitudine, quanta di più non
avrebbero potuto averne nè la Mary, nè la stessa Angelica. Egli,
inquieto, ansioso, stava a guardia giorno e notte attorno al letto
del malato e non pensava nè a riposare, nè quasi a prender cibo.
Dopo le visite accompagnava sempre il dottore per avere le notizie
più particolareggiate e sicure, faceva continue domande alla Mary,
teneva consulto coll'arciprete, e ascoltava con attenzione anche i
suggerimenti e le profezie di Donna Lucrezia. Pareva persino, in que'
giorni, che anche il suo amore per Angelica si fosse calmato: Pompeo
Barbarò temeva, a ragione, se il marchese moriva subito, senza più
poter parlare nè scrivere, di non essere abbastanza cautelato; ma poi
quando cominciò a migliorare, e gli affari furono messi in regola,
allora gli parve che il Dulcamara di Padova lo avesse racconciato anche
troppo bene.

--Che cosa faceva al mondo quel polipo senza gambe e senza quattrini?
Soffriva lui e faceva soffrire gli altri; specialmente sua moglie, che
invece di tanti impiastri e moine avrebbe fatto meglio a curarlo con
due pillole di pasta badese!... Figurarsi!... quella bestia del dottore
per riuscire infallibile gli aveva detto che il Collalto avrebbe potuto
morire in pochi mesi, e campare magari anche dieci anni!... Ma in
dieci anni, coll'appetito suo, era capacissimo di rimangiare due volte
Villagardiana! A buon conto bisognava risolversi: era venuto il momento
di parlar chiaro alla marchesa. L'avrebbe condotta nel suo studio,
le avrebbe fatto vedere coi registri alla mano, che quasi quasi non
avevano più un soldo e... le avrebbe promesso di non abbandonarla. Ma
si dovevano licenziare molte persone di servizio, vendere i cavalli,
insomma diminuire di molto tutte le spese. Certo, certo; non era più
tempo di chiacchiere: ormai i Collalto erano costretti ad accettare il
suo _ultimatum_... ed anche la signora Angelica avrebbe dovuto piegare
il capo... e mostrarsi riconoscente!... Ma che diavolo aveva addosso
quella donna?!... Diventava più bella ogni giorno!

E per ciò appunto, per questa stessa bellezza che lo impacciava, il
Barbarò non sapeva mai risolversi a "parlar chiaro." D'altra parte
avrebbe desiderato trovarla sola; ma sola, adesso, non la si vedeva
mai. Aveva sempre fra i piedi quella mummietta del suo figliuolo, e
il marchese la voleva tutto il giorno vicina: non la lasciava libera
un momento! Aveva aspettato allora, quel balordo, a innamorarsene e a
esserne geloso!

E ciò era proprio vero.

Alberto di Collalto, che avea corsa allegramente la cavallina senza
darsi mai alcun pensiero di sua moglie, aveva cominciato ad esserne
geloso ai primi assalti d'ipocondria, forieri della gravissima
malattia da cui era minacciato. Poi, rimasto infermo, non potendo più
abbandonarsi ad altre distrazioni e avendo sempre dinanzi agli occhi
quella donna, quella bella signora, giovanissima e fiorente, così
soave, così serena nella sua bontà affettuosa e instancabile, se n'era
invaghito sempre più, ma a modo suo; senza il cuore; colla testa e coi
sensi.

--Quando gli avevano sposati,--ripeteva sempre all'Angelica,--essa non
era che una bimba di sedici anni, fredda, anemica! Non sapeva nulla;
non capiva nulla!... Se fosse stata allora com'era adesso, oh! egli
certo non avrebbe avuto altro pensiero che lei: l'avrebbe adorata, come
un devoto, in ginocchioni!

Sapeva e confessava di averci qualche torto e le domandava perdono,
ma in cambio della sincera confessione e del pentimento voleva essere
amato; voleva che sua moglie cominciasse allora con lui un idillio
coniugale; e perchè Angelica gli offriva il sacrificio di tutta
la sua vita, ma si ribellava a quello del suo pudore, la passione
dell'ammalato s'inaspriva e diventava quasi feroce. Ogni mattina il
fattore di Villagardiana (un pezzo d'uomo grosso e tarchiato) saliva
nella camera del marchese, lo pigliava in braccio e lo portava giù, a
terreno. dov'era messo a sedere in una piccola carrozzetta: e Angelica
tutto il giorno lo accompagnava per le stanze e per i viali del
giardino: poi, la sera, essa lo faceva adagiare sur una poltrona colle
rotelle, vicino al pianoforte, e si metteva a suonare e a cantare per
isvagarlo. Finita la musica, gli leggeva le gazzette per più d'un'ora
ad alta voce. Era sempre lei che lo aiutava a vestirsi, che lo faceva
mangiare, che gli preparava le medicine. Se appena appena lo lasciava
solo un momento, egli si metteva a gridare dimenandosi come un ossesso;
ma poi, respinto ne' suoi vaneggiamenti amorosi, contraccambiava con
sgarbi e con querimonie le premure più affettuose; chiamava "ipocrisia"
la bontà di sua moglie, e spesso, dopo averla tormentata dalla mattina
alla sera, la teneva desta anche la notte, spaventandola con gemiti e
vaneggiamenti esaltati.

Certe volte, quando Alberto soffriva la malinconia di morir presto, la
bellezza della moglie l'angosciava colle gelosie del futuro, e allora
erano tragedie per un altro verso. Egli avrebbe voluto che Angelica
diventasse tanto brutta da inspirare avversione, per essere sicuro che,
lui morto, non avrebbe potuto avere altri innamorati. Non voleva quasi
più nemmeno che si abbigliasse e la rimproverava con rabbia perchè le
sue vesti erano troppo sfarzose. Angelica cercava di mostrarsi semplice
e dimessa: ma in quella sua stessa semplicità appariva ogni giorno
più attraente; e il malato allora brontolava che era "la speranza di
trovarsi libera presto, che la faceva star così bene," e che proprio
"bisognava essere senza cuore per darsi il gusto di piacere agli altri,
mentre aveva il marito in fin di vita." La povera donna, offesa ed
afflitta da quelle ingiuste accuse si metteva a piangere; ma le lacrime
rendendola ancor più bella, infiammavano maggiormente la rabbia di
Alberto, il quale smaniava gridando "che era una civetta, una perfida e
che lo tradiva... Sì, era sicuro; glielo vedeva scritto in faccia che
lo tradiva!"

Se poi il marito per caso, o perchè avesse sonno, lasciava all'Angelica
un minuto di pace, Stefanuccio, la mummietta, come lo chiamava il
Barbarò, era subito pronto per divertirsi lui a tormentarla.

Stefanuccio era un fanciullo lungo e malaticcio, coi dentini aguzzi
come una faina ed i capelli radi come un vecchio. Dimostrava un grande
amore per la mamma; pure, a guardarci bene, in tutto quell'amore non
c'era altro che egoismo misto ad un senso strano d'invidia. Odiava la
Mary Alamanni soltanto perchè Angelica le era affezionata e fissandola
cogli occhi torvi la chiamava _pitocca_; odiava Giulio Barbarò perchè
aveva indovinato che voleva bene alla Mary e lo chiamava _plebeo_.
Quando abbracciava Angelica, la stringeva in modo che parea volesse
fare un esercizio ginnastico, ed i suoi baci, più che per l'amore
parevano dati per far dispetto alla Mary che lo ammoniva scherzosamente
"di non sciupare la mamma." Anche Stefanuccio sembrava cucito alle
sottane di Angelica; voleva dormire con lei; voleva pranzare seduto
sulle sue ginocchia; ma poi ogni volta che essa tentava di opporsi ad
un suo capriccio montava subito in furore, la percuoteva colle manine,
pestava i piedini, e strillava tanto da far borbottare fra i denti al
signor Pompeo:

--Evviva la barba del re Erode!

Ma appunto mentre il signor Pompeo invigilava attentamente la marchesa
Angelica, aspettando di trovar l'occasione propizia per poterle fare
il discorsetto che aveva già composto a mente e corretto più volte,
egli cominciò a notare in lei alcunchè di nuovo e d'insolito; molti
piccoli indizi che rivelavano un turbamento, un'ansia, un'irrequietezza
febbrile, che lo faceva maravigliare e entrare in grave sospetto.

Angelica, da alcuni giorni, pareva distratta, nervosa; arrossiva
facilmente, poi diventava pallida a un tratto, e aveva sempre secreti
con Donna Lucrezia:

--Diavolo, diavolo,--pensò il Barbarò.--Che cosa succede? Qui bisogna
tener d'occhio la giovane e la vecchia.

Era successo che, proprio in que' giorni, Andrea Martinengo aveva
scritto per la prima volta alla marchesa di Collalto.

Quando avea saputo che la Castelnovo si era sposata al marchese Alberto
(bisogna tornare addietro di parecchi anni, poco dopo la battaglia di
San Martino), Andrea giaceva ferito a Brescia in un Ospedale militare.
Da prima non avea creduto alla terribile notizia; poi, appena ne fu
certo, imprecando contro la perfida, la spergiura che lo avea tradito,
voleva morire; voleva uccidersi e in un impeto di passione e di dolore
stracciò disperato le bende che lo fasciavano. Poi, soccorso a tempo, e
rinvenuto, maledicendo all'amore, volle vivere per l'odio; per uccidere
Alberto, per isvergognare Angelica, insomma per vendicarsi!

In fine, tutto quel suo gran furore si calmò; ma era una calma solo
apparente. In fondo al cuore, durava vivo, acuto lo spasimo, e collo
spasimo l'amore.

Una signora buona e pietosa, la contessa Fanti di Brescia, zia materna
di Andrea, che lo visitava spesso all'Ospedale, aveva preso a difendere
Angelica narrandogli e spiegandogli il segreto di quel matrimonio così
precipitato.

Fra il conte Prampero di Castelnovo e la marchesa di Collalto erano
già state combinate e fissate le nozze di Alberto con Angelica, mentre
i due ragazzi non erano ancora usciti di collegio. E colle loro idee
autocratiche non ammettevano neppure che la loro volontà potesse essere
contrariata.

Quanto ad Alberto, egli sapeva che un giorno o l'altro, quando fosse
piaciuto alla signora madre, avrebbe sposato sua cugina, e aspettava
senza impazienza. Egli si sarebbe preparato al matrimonio, come avea
fatto per gli altri sacramenti: con una buona dose d'indifferenza, e
pensando a tutt'altro. Angelica, invece, si indispettiva ogni volta
che ne sentiva parlare. Alberto per quel suo fare altezzoso e beffardo
le era sempre stato antipatico. Poi, un giorno, poco prima che il
Martinengo fuggisse in Piemonte, essa tremando, dichiarò a suo padre
che tanto presto, non voleva maritarsi e che, rispetto a suo cugino,
sentiva, capiva proprio, che sposandolo non sarebbe stata felice.

Il conte Prampero per tutta risposta guardò la figliuola con occhi
torvi, e dopo averle intimato di rinchiudersi subito nella sua camera
e di non uscirne mai più, fino a nuovo ordine, corse difilato dalla
marchesa per raccontarle l'accaduto.

--Fanciullaggini--le rispose la Collalto, mostrando i bei denti, ancora
bianchissimi.--Fanciullaggini, caro Prampero; le frullerà ancora
nel capo la bella divisa bleu di un qualche collegialino che avrà
incontrato nelle uscite del Giovedì. Cercate fra le pagine dei suoi
libri di scuola, e le troverete certo un bigliettino con dei versi
scritti sotto a due cuori rossi, infilzati da una freccia gialla!
Fanciullaggini, caro Prampero, e sarà bene non parlarne nemmeno con
Alberto.

Il conte di Castelnovo ritornò a casa più tranquillo proponendosi,
per il momento, di non tornar più sull'argomento del matrimonio con
Angelica, e di stare alle vedette.

Intanto la figliuola cominciava a dimagrare, non rideva più, non
mangiava più; aveva spesso gli occhi gonfi.... Il conte Prampero,
istigato dalla marchesa, frugò tra i libri e nei cassetti
dell'Angelica, ma invece dei due cuori rossi trafitti dalla freccia
gialla, vi rinvenne, nientemeno, una lettera di Andrea Martinengo!

Quella lettera, la sola che Andrea avesse scritto alla signorina di
Castelnuovo, e la scriveva appunto la sera stessa in cui partiva pel
Piemonte, palesava l'amore più puro e rispettoso, e insieme le più
oneste intenzioni; ma con tutto ciò fu per il conte Prampero come un
fulmine a ciel sereno. Maledì la figliuola che aveva disonorato la
sua casa e volea correre anche lui in Piemonte a sfidare e uccidere
il seduttore, l'assassino, l'infame che lo avea ingannato, che aveva
tradito l'amicizia.... perchè Andrea Martinengo, quantunque minore di
età, era uno degli amici del conte di Castelnovo, il quale amava ancora
di menar la vita da giovanotto.

Ma dal tenerselo per compagno al prenderlo per genero, ci correva; e
piuttosto che cedere il signor conte avrebbe aspettato che Angelica
morisse d'amore e d'angoscia. Andrea Martinengo, punto primo e
irremovibile, non avea tutti i quarti, poi non era ricco abbastanza;
poi... poi la sua figliuola doveva sposare Alberto di Collalto.

Angelica, prima della terribile scoperta della lettera, si preparava a
resistere, a lottare e a morire anche piuttosto di venir meno alla data
fede, ma dinanzi alla catastrofe improvvisa, rimase atterrita, muta e
perdette tutto il suo coraggio.

--E la povera bimba--diceva ad Andrea la contessa Fanti, dopo avergli
raccontato quegli avvenimenti--accettò le nozze a cui la obbligavano
per salvare l'onore della famiglia, come in quel punto si sarebbe
assoggettata anche ad una condanna di morte!

--Ebbene, doveva morire!--mormorò Andrea nell'egoismo feroce del suo
amore e della sua gelosia.--Doveva morire, ma non doveva tradirmi!

Tuttavia, dopo qualche tempo, quando già cominciava ad alzarsi e
a uscire, Andrea assicurò alla contessa Fanti che aveva perdonato
all'Angelica, anzi, alla _marchesa Angelica di Collalto_, come
affettava di chiamarla, e che ormai l'aveva dimenticata. "Proprio non
metteva conto di disperarsi. Il torto era stato suo, che avea messo
il cuore in certe mani, che ancora non sapevano custodire altro che
giocattoli."

Ma tutto questo perdono, tutto questo oblìo non erano veritieri,
quantunque Andrea volesse convincersene. Egli non avea dimenticata
Angelica, non le aveva perdonato e tutto quel suo gran disprezzo non
era altro che amarezza e rammarico.

Per istordirsi, e più per un intimo desiderio di vendetta, si abbandonò
senza freno a tutti i piaceri. Volle amare e fu amato.... ma le belle
che gli posavano sul cuore, per contarne i palpiti, la manina candida e
ingemmata, non sentivano altro che l'affannoso ansimare del suo petto.

Tuttavia quegli amori senza l'amore, quei trionfi volgari e fugaci
finirono con infastidirlo. Trovò che le donne erano tutte eguali, che
tutti gli uomini erano mediocri e la vita non gli parve più altro
che una lunga seccatura. Allora si fece scettico di professione e
misantropo. Viveva sempre solo, appartato, e se la guerra coll'Austria
per la liberazione della Venezia non fosse stata vicina, avrebbe
abbandonato anche l'esercito. In quegli anni, avendo quasi consumato il
suo piccolo patrimonio, si era messo ad affettare una povertà stizzosa
e permalosa; una povertà dinanzi alla quale avrebbe voluto che tutti,
e specie i milionari, s'inchinassero col cappello in mano; e aveva poi
dichiarato un odio feroce contro i pregiudizi e la boria aristocratica.
Ma erano collere, erano sdegni che avevano, senza sua saputa, una sola
origine: Angelica.

Non l'aveva forse perduta perchè appunto egli non era nè abbastanza
nobile, nè abbastanza ricco?

Andrea credeva di aver seppellito l'amore, come fosse un cadavere,
ma invece quell'amore era il seme da cui erano generati tutti i suoi
dolori, e tutti i suoi sentimenti. Era la forza che lo trascinava
sempre e che egli voleva sempre negare; era la causa prima di tutte le
sue contradizioni strane, assurde, inesplicabili; contradizioni del
suo passato col suo presente; del suo cuore colla sua testa; dei suoi
gusti, delle sue abitudini, de' suoi affetti, colle sue teorie sociali
e filosofiche. Si spacciava per democratico e faceva boccuccia parlando
della gente bassa; voleva essere e parere cattivo e invece era buono
e generoso; odiava il mondo e malediva la vita e sarebbe bastata una
parola sola di Angelica per fargli ribenedire mille volte l'universo e
Domeneddio!

Si capisce quindi che bastava un soffio a operare il voltafaccia:
infatti, quando Andrea, invitato dalla contessa Fanti, si recò a
Brescia a passare il suo tempo di permesso e quando un giorno a caso,
per un momento, all'improvviso, simile a una apparizione rapida,
ma abbagliante, rivide Angelica, di colpo perdette subito la testa
e lasciandosi trascinare e travolgere dal cuore, le scrisse una
lettera disperata, riboccante di collera e di passione; di accuse,
di rimproveri e di preghiere, dicendole che in tutti quegli anni
avea sofferto come un dannato, e giurando che la teneva sempre viva,
possente nell'anima, come un ideale alto e puro.... Ma voleva rivederla
ancora, una volta almeno, una volta sola, l'ultima, la suprema, prima
della guerra, prima di farsi ammazzare: perchè non intendeva, non
poteva più vivere così!

E Angelica?

Povera Angelica! Essa abbruciò la lettera, appena l'ebbe ricevuta e
credette di aver fatto una gran cosa; ma invece era come niente: quella
lettera la sapeva tutta a memoria.




VIII.


Andrea aveva scritto alla marchesa senza riflettere, senza nemmeno
pensarci; come un matto che si taglia la gola perchè si sente
soffocare; eppure (il caso aiuta spesso gli innamorati) non avrebbe
potuto scegliere un momento più propizio.

Angelica era sempre stata infelice, ma adesso per di più era stanca,
abbattuta e sconfortata. Sino dal tempo della sua catastrofe infantile
essa aveva sofferto col primo dolore anche il primo disinganno. Scemato
lo sbigottimento subitaneo da cui era stata colta, indovinò presto
che suo padre, creduto da lei sempre giusto, per quanto si mostrasse
severo e inflessibile, non si era fatto scrupolo di sopraffare la sua
inesperienza e di accrescere il suo terrore per sacrificarla, con un
matrimonio forzato, a' propri desideri e a' propri interessi. No,
no; nè la lettera, nè il suo affetto per Andrea erano di tal natura
certamente da giustificare la gran collera paterna, nè da portare il
disonore in famiglia; e per ciò, mentre la figura austera del conte
Prampero scadeva di autorità, mentre capiva di essere stata ingannata
da chi aveva il supremo dovere di proteggerla e di consolarla, sentiva
pure che la disperazione e la collera di Andrea dovevano essere tanto
più grandi quanto più la sua condotta gli dovea sembrare perfida, senza
nemmeno una scusa!... Ma ormai la promessa era stata data; tornare
indietro non si poteva e Andrea.... oh, Andrea si era rassegnato
senza un lamento, senza un rimprovero!... Andrea, che avrebbe avuto
il diritto di maledirla, di ucciderla anche in un impeto di dolore,
Andrea non si era fatto più vivo!... Allora ella credette a chi le
andava mormorando, per consolarla, che il Martinengo aveva solo fatto
per chiasso, che quella sua passioncella non era stata altro che una
romanticheria, una fanciullaggine; ma credendo tutto ciò, il bel sole
della sua giovinezza si oscurava.... l'anima pativa l'uggia e il
freddo. E quando i soliti pietosi le riferirono le avventure clamorose
del galante ufficiale, il disinganno si fece più amaro e pensò che
tutti gli uomini erano senza poesia e senza cuore. Di uomini veramente
essa non conosceva altri che il marchese di Collalto, il quale dopo
pochi mesi di matrimonio l'aveva lasciata sola, per seguire una
_donna-volante_ nelle sue peregrinazioni; ma appunto per ciò tutte le
leggerezze e le colpe del marito essa le attribuiva pure ad Andrea,
coll'aggravante, per quest'ultimo, di averla illusa e ingannata.

No, no; nemmeno Andrea era migliore degli altri. Nemmeno Andrea aveva
indovinato il suo dolore immenso, il suo grande sacrificio! Egli si
era subito consolato; l'aveva subito dimenticata.... Ma pure, in que'
primi tempi, non rimase a lungo così triste e sfiduciata. Angelica
ebbe presto un bambino, e allora ritornò la vita a sorriderle piena
di speranze e di affetti; allora il sogno della vergine non fu più
rimpianto perchè la madre aveva pure sogni nuovi e dolcissimi....
Allora la tenerezza del suo cuore, la poesia appassionata della sua
anima ritrovarono la via per espandersi, e si volsero ad un nuovo
culto.

Angelica si rinchiuse nella sua casa in cui adesso non si sentiva più
sola; nella sua casa in cui era libera e signora, perchè dopo il primo
abbandono del marito non c'erano state scene nè rimproveri; soltanto
essa gli avea fatto intendere, risolutamente, che non voleva aver
nulla in comune colle donne più o meno volanti, e che per ciò egli non
avrebbe più avuto in lei altro che un'amica sincera e devota, altro che
la madre del loro figliuolo.

E per alcuni anni la vita di Angelica, se non del tutto felice, pure
scorse tranquilla. Essa divideva le ore fra le cure dedicate al piccolo
Stefanuccio e gli studi prediletti. Nella musica trovava un grande
sollievo e pareva sfogare la sua melanconia sentimentale. Spesse volte,
dopo un notturno o una romanza di Chopin o di Schuman, si alzava
dal pianoforte anelante, abbattuta, colle guance pallide, rigate di
lacrime. Victor Hugo, Leopardi, Alfredo de Musset erano i suoi poeti
favoriti. I dolori di _Esmeralda_, gli amori di _Cosette_ e di _Marius_
avevano un'eco nel suo cuore, e rimaneva triste per la tristezza di
_Rolla_ e di _Don Paez_. Ma più profondamente sentiva la melanconia
amara del Leopardi, e nel piccolo volumetto che portava sempre con sè,
la _Ginestra_, _Consalvo_, le _Ricordanze_, il _Canto del Pastore_,
erano piene zeppe di segni e postille.

Ma dopo quei primi anni non potè più ricorrere per isvagarsi e per
confortarsi altro che a questi amici del suo spirito. Dal piccolo
Stefanuccio aspettava invano un ricambio di tenerezza sentita, di
effusioni gentili. Egli cresceva arido di cuore, irascibile, caparbio
e.... E passato ancora qualche tempo, a turbarle del tutto la pace, a
renderle più amara l'esistenza, incominciarono le smanie del marchese
Alberto.

Allora anche la casa che era stata il suo nido gradito, il suo rifugio,
le diventò insopportabile come una prigione, e l'anima offesa,
soffocata anelava di uscire, di fuggire in traccia di un aere più puro,
di volare in alto, nel sereno, nella luce.

Ora appunto, mentre si sentiva fremere nel cuore l'impeto sordo della
ribellione, le giunse inaspettata la lettera di Andrea; quella lettera
che le svelava a un tratto quanto ella fosse stata ingiusta nelle sue
accuse e come Andrea l'avesse sempre amata; quella lettera in cui
sentiva parlare per la prima volta di un _ideale alto e puro_; quella
lettera infine che faceva risorgere, e risorgere più nobile e più forte
per l'eroismo stesso del lungo silenzio, il primo amore, l'unico amore
della sua vita.

Angelica aveva abbruciato subito la lettera di Andrea, ma intanto
ogni parola le era penetrata nell'anima per non uscirne mai più. E
quando essa si sentiva oppressa e avvilita, il suo pensiero ritornava
involontariamente a quell'amore così soave e rispettoso; e un giorno
finì col credere, la povera illusa, che dopo aver tutto sacrificato
al dovere, e la vita e la felicità e la pace, potesse ancora disporre
del suo cuore, e la preghiera di Andrea la trovò scossa, debole, senza
difesa....

Pure Angelica prometteva fermamente a sè stessa di perseverare nel
silenzio e di non rispondere. Ma ogni giorno la sua vita diventava più
penosa, e ci fu un momento in cui lo sdegno e il ribrezzo le fecero
apparire quasi come una redenzione, la redenzione della sua dignità e
della sua verecondia, quell'_ideale alto e puro_, quell'altro amore,
che quando aveva lo spirito tranquillo e la pace nel cuore, le sembrava
una colpa.

Poi insieme allo sconforto e allo sgomento, cominciarono anche le
insidie profonde della pietà: "Per lei, per lei sola, egli era tanto
infelice. Essa lo aveva tradito e lui l'amava sempre!... E se"
pensava Angelica "ostinandomi nel rifiuto di rivederlo per una volta
soltanto--l'ultima--la suprema--lo dovessi proprio spingere ad un atto
disperato?" E con un fremito dell'anima atterrita ripeteva a sè stessa
le ultime parole della lettera di Andrea: "voglio rivederla ancora
prima della guerra; prima di farmi ammazzare!..."

--Dio mio, Dio mio! Bisogna salvarlo! _Devo_ salvarlo! Sì, Sì. _Devo_
salvarlo a costo della mia vita! _Devo_ salvarlo!

Allora si confortò pensando che il buon Dio le leggeva nel cuore; il
buon Dio che le aveva inspirato quel sentimento di pietà!

Dunque, che cosa doveva fare?... Rispondergli?... Calmarlo? Salvarlo
dalla disperazione?... Sì, doveva salvarlo: essa non faceva nulla
di male; non correva alcun pericolo; era sicura della propria forza
e della lealtà di Andrea. E così in un contrasto atroce, fra i
turbamenti, gli sconforti e le ribellioni di tutto l'essere suo,
anche la coscienza della poveretta si oscurava, non distingueva più
nettamente il bene dal male, tentennava angosciosa fra il dubbio e il
dolore e, sola sola, pensava a chi mai avrebbe potuto rivolgersi per
aiuto, per consiglio, quando la sorte la fece imbattere in chi proprio
non era al caso di guidarla bene; in Donna Lucrezia.

La Balladoro, che si trovava d'incanto a Villagardiana, non aveva
altro che il timore di doversene ritornar presto al suo salotto
giallo così pieno di _pataconi_ e di raffreddori. Mangiava benone; si
trovava "nell'ambiente vero del suo sangue," ed era servita appuntino,
così che al paragone trovava quella tartaruga della Filomena troppo
insufficiente, e diceva a tutti di volerla _pensionare_. E oltre
questi vantaggi Donna Lucrezia aveva poi anche il cuore pienamente
soddisfatto. Lo Zodenigo, che si faceva sempre chiamare professore
quantunque avesse abbandonato l'insegnamento per il giornalismo, e che
faceva frequenti giterelle al confine per attinger notizie intorno
ai preparativi della guerra, invitato dal Barbarò si recava pure a
Villagardiana. E durante le sue visite Donna Lucrezia poteva godersela
a beneplacito, sicura che la Rosetta non gli si metteva alla posta
sulle scale.

Gli anni passavano, ma il cuore e il naso di Donna Lucrezia erano
sempre giovanilmente infiammati, e quantunque il suo Eugenio le avesse
dichiarato esplicitamente che aborriva la _matecia_ e che l'_amoce_ non
doveva essere altro che _spiito_ e contemplazione, essa, innamorata,
soffriva sempre il travaglio di una grande gelosia.

--Spirito! Contemplazione! Va benissimo; tuttavia certe volte, se non
aveste voi per parte vostra molto giudizio, in quanto a me mi sentirei
lì lì per commettere un grossissimo _spropositon_. E allora penso,
Eugenio, che quella vanesia analfabeta ha in suo favore, se non altro,
la bellezza dell'asino e.... No, no, Eugenio, dite di no, perchè
sarebbe la mia morte!

Eugenio diceva di no, e assicurava la Balladoro che dal giorno della
sua partenza da Milano egli non avea più messo i piedi in _Via della
Spiga_.

A Villagardiana dunque c'era il benessere unito colla gioia del cuore.
Peccato di non poterci rimanere tutta la vita!

Di tanto in tanto, quando vedeva il marchese Alberto di buon umore,
Donna Lucrezia, sospirando, cominciava a dire che bisognava risolversi
e che l'ora della partenza si avvicinava; non già perchè a Milano ci
avesse affari urgenti, ma perchè la sua delicatezza le gridava ogni
momento:--Parti, parti, Lucrezia, e non abusare!

--Sono stata anche troppo indiscreta, ma già è il mio solito difetto
quello di essere debole di cuore, e alle vostre preghiere non so
proprio resistere; tanto più che vedo quella cara gioia della mia Mary
rifiorire ogni giorno fra queste aure balsamiche!...

Ma presto la scusa della Mary non le potè più servire.

--Se tu hai proprio risoluto di voler ritornare a Milano, le disse un
giorno la marchesa, ricordati bene che la Mary deve restar qui con noi.
Oltre a essermi cara, quella buona ragazza è per me un aiuto troppo
necessario finchè Alberto ha bisogno di continue cure e di assistenza!

--Ho capito--pensò allora Donna Lucrezia--ho capito,--e cercò ogni via
per rendersi utile alla sua volta.

Cominciò a voler leggere lei i giornali al marchese Alberto, e ogni
poco aveva qualche empiastro nuovo e miracoloso da suggerire; si
mostrava affabile e servizievole con tutte le persone di casa;
s'intratteneva amichevolmente e non dava più sulla voce al signor
Pompeo e chiudeva un occhio sulla "corte spietata" che Giulio Barbarò
faceva alla Mary. Solo ammoniva la nipote di pensarci due volte prima
di perder la testa del tutto, perchè se i milioni del signor Barbarò
fossero stati _ipotetici_ non avrebbe mai acconsentito che una del suo
sangue sposasse il figlio di un Barbetta, ex-portinaio, e tutt'altro
che in odore di santità!

Ma poichè la padrona di casa era Angelica, ed era stata invitata ed era
ancora a Villagardiana per Angelica, così rivolgeva verso la cugina le
sue maggiori seduzioni, cercando più che mai di rendersele gradita e
necessaria.

D'altra parte con Angelica non le potevano servire gli espedienti
che adoperava di solito con profitto. Le adulazioni che, come l'arpa
serafica di Davidde avevano virtù di rabbonire le furie di Alberto,
irritavano invece la marchesa, e già la Balladoro avea dovuto smettere
di andare in estasi per la sua bellezza e per la sua voce di contralto
"che toccava l'anima, _el cuor_ e tutti i sentimenti!" Angelica non
voleva mai mischiarsi nei fatti altrui; i pettegolezzi invece di
dilettarla la facevano andare in collera.

--Che cosa fare, dunque?... Che cosa fare?--E Donna Lucrezia smaniosa
di riuscire, cominciò a studiar ben bene la cugina, e osservò che
era sensibilissima alle premure gentili e a tutte le dimostrazioni
d'affetto.

--Come me, come me: il nostro debole è nel cuore!

Infatti, Angelica sin da fanciulla era stata trattata dal conte
Prampero con molta severità, e poi dal marito, quando stava bene di
salute, con strana freddezza e asprezza di modi. La mamma non poteva
quasi ricordarla: una signora pallida, sofferente, sdraiata sempre in
una lunga poltrona, e appena la figliuoletta le entrava in camera, si
metteva a chiamare quasi spaventata, lamentandosi e mormorando che la
portassero via presto, perchè le faceva crescere l'emicrania. Così
Angelica, che squisitamente sensibile avrebbe avuto bisogno di vivere
fra il dolce tepore delle carezze, si sentiva l'animo intristire come
un fiore di stufa sbocciato a caso in un terreno arido o incolto;
e certe volte bastava una parola buona che le venisse rivolta per
commuoverla e per empirle gli occhi di lacrime.

Trovato il punto di presa, Donna Lucrezia seppe giovarsene destramente.
Si mise d'attorno alla cugina con un'assiduità singolare, e ogni volta
che la vedeva pensosa non le lasciava più pace, assediandola con un
monte di premure e d'interrogazioni. Poi, se Angelica era mesta,
Donna Lucrezia si metteva a sospirare; voleva "saper tutto," voleva
consolarla, voleva entrare a parte dei suoi dolori, de' suoi affanni, e
finalmente un giorno che la vide cogli occhi rossi, le buttò le braccia
al collo e cominciò a piangere anche lei.

--Aprimi il cuore, creatura benedetta! Aprimi il cuore e troverai in me
una sorella, una mamma, tutto ciò che vorrai!

Angelica, sbalordita da quel torrente di parole, soffocata dai baci
e dalle carezze, stretta dalle preghiere e sentendo vivo, urgente il
bisogno di uno sfogo, di un consiglio, di un aiuto, pensò che, infine,
Donna Lucrezia era ciarliera ma non cattiva, che non poteva averci
nessuna ragione per volerle male, e che invece tutto quelle proteste
di riconoscenza e di affetto dovevano essere sincere, e allora,
balbettando, si lasciò sfuggire, con un tremito, il nome caro di Andrea.

La Balladoro non avrebbe potuto desiderare di
meglio:--_Corocoché!_--era proprio a cavallo.

Punto primo, una volta diventata la confidente della marchesa era
sicura che a Villagardiana ci sarebbe rimasta per un gran pezzo, e
poi la sua anima sensibile trovava nei pasticcetti amorosi l'alimento
prelibato.

Angelica timida, riluttante si lasciava strappare di bocca a poco a
poco il geloso segreto, come se ogni parola fosse un brano del suo
cuore sanguinante; l'altra sapeva fare, e l'opprimeva e la stringeva
sempre con maggior calore, in modo da non concederle via di scampo;
e finì coll'esser messa a parte anche della lettera ricevuta in quei
giorni.

--Zizzole, che spasimi!... Bisogna calmarlo, creatura mia, bisogna
calmarlo subito, con quattro parolette. Bisogna impedire una tragedia!

--Come?... Tu mi consiglieresti di rivederlo?--esclamò Angelica con
un sussulto. Ma negli occhi suoi, mentre fissavano attoniti Donna
Lucrezia, fra la meraviglia e il timore, c'era stato un lampo di
contentezza.

--È un obbligo di coscienza, figlia mia!... Si tratta di salvar la vita
di un uomo!

--Ma il mio dovere?... Il mio onore?

--Il tuo dovere è uno solo: impedire una disgrazia!--rispose
Donna Lucrezia con molta prosopopea.--In quanto poi al tuo onore
è sicuro come in una botte di ferro!... Che cosa ti domanda
quell'anima benedetta, dopo sette anni di tortura morale? Rivederti
e nient'altro.... Rivederti e poi morire, come _Consalvo_.... Ma tu,
invece, tu, gioia mia, gli devi imporre di farsi coraggio, di vivere
e di sperare.... Per diandediana, siete giovani tutt'e due e, parlo
schietto, se il Padre Eterno una volta o l'altra volesse aprire il
finestrino per guardare in giù, potreste ancora....

--No, no! Non dire così! Mi dai dolore,--interruppe Angelica commossa e
atterrita.

--Allora acqua in bocca, e aspettiamo gli eventi! Ma intanto bisognerà
pur rispondere a quel _pôro toso_, e senza perder tempo.

Angelica, quantunque in sulle prime si mostrasse molto titubante,
dovette arrendersi dopo qualche giorno, ed accettare i consigli che le
venivano dati dalla Balladoro in nome della prudenza; onde si persuase
a rispondere una lettera, di due righe sole per altro, al Martinengo.
Questi appena l'ebbe ricevuta scrisse di nuovo quattro pagine fitte.
Allora le due righe di Angelica, sempre per quella tal prudenza, si
raddoppiarono, e di rimando i foglietti di Andrea diventarono sei,
otto, dieci, finchè le annunciò che era giunto al termine del suo
permesso, e che colla guerra imminente non avrebbe più potuto ritornare
a Brescia.

E tutte queste lettere era sempre Donna Lucrezia che andava a portarle
e a riceverle, nell'ora solita delle sue passeggiate alla posta di
Padenghe, sperando in tal modo di non destare sospetti; ma invece il
Barbarò che "teneva d'occhio la giovane e la vecchia" e che avea saputo
che il capitano era stato a fare una gita sul lago, ebbe come un
barlume della verità.

--Sta a vedere--mormorò--che quella strega si è messa a far da
mezzana?... Se così fosse le fo far fagotto su due piedi!--Ma poi,
subito mutò pensiero e cominciò a sogghignare giocherellando col
mazzettino dei ciondoli.

--Guarda, guarda... mi piove il cacio sui maccheroni, e mi lamento! La
Balladoro m'appartiene anima e corpo; ne posso fare tutto quello che
voglio!... Non ho da dire altro che due parole, e per mezzo suo potrò
saper tutto, anche i pensieri della marchesa!... Se fosse vero che con
tutte le sue smorfiette ipocrite se la intende ancora col Martinengo,
per Iddio, l'avrà da fare con me! Bisogna spiegarsi e subito. Se
aspetto ancora, il marchese Alberto si pappa tutto l'utile che posso
ricavare da Villagardiana, e il capitano fa il comodo suo colla
biondina!

Quella sera stessa non vedendo Donna Lucrezia in salotto uscì a
cercarla in giardino.

Era una notte nera nera: nero il lago e muto sotto le stelle che
tremolavano minute e lontanissime nel cielo nero. Neri gli alberi
che, inoltrandosi nel giardino, apparivano a un tratto come fantasmi
immobili di giganti. Solamente nell'orizzonte alto, dietro la cima
larga e maestosa del Monte Baldo, un baglior pallido di luce annunziava
il sorgere della luna.

Il signor Pompeo strinse gli occhietti aguzzandoli nel buio, e in fondo
al terrazzo sul lago distinse un punto rosso di fuoco.... Era il sigaro
di Donna Lucrezia.

--Ora ci batteremo noi due, vecchia scema,--borbottò fra i denti, e si
avviò difilato verso il terrazzo, camminando fra le tenebre con passo
sicuro.

--Non ha paura della umidità e del frescolino, Donna Lucrezia?

--Che volete, tesoro mio, raffreddata già lo sono sempre e poi....
ahuf! avevo proprio bisogno di prendere una boccata d'aria. Mio cugino,
stasera, è proprio insopportabile. Brontola, grida, smania, strapazza
tutti, sembra, santa pazienza, che abbia il diavolo addosso!

--Bisogna compatirlo, Donna Lucrezia. Gli affari suoi si mettono
maluccio e perciò sarà di cattivo umore.

--Gli affari di mio cugino?--domandò la vedova stupita.

--Sicuro, cara signora. Il marchese di Collalto spendeva ogni anno un
terzo, quasi, più della sua rendita e, dalli e dalli, tutti i nodi
vengono al pettine!

--Ma e la dote?... La dote di Angelica?

--La dote è sempre stata poca cosa: il conte Prampero, sua vita natural
durante, non ha mai voluto sacrificarsi per nessuno, neppure per sua
figlia.

--Ma morendo, capperi, gli ha lasciato una bellissima sostanza.

--Bellissima... da vedere! Palazzi, ville, giardini; tutta roba che
sarà pure ingoiata come il resto, nella voragine dei debiti, perchè la
signora marchesa ha esposto la sua firma, rendendosi garante e solidale
col marito.

--Misericordia che _rebalton_!--mormorò Donna Lucrezia sbigottita,
fregando contro il parapetto del terrazzo la punta del _virginia_ che,
spento, si cacciò in tasca.

--Eh, sicuramente!... È proprio una gran disgrazia! Io per altro
l'avevo preveduta da molto tempo, e non ho rimorsi. Nella mia
condizione e col caratteraccio bisbetico del marchese Alberto non
poteva arrischiarmi certo a dar consigli; ma tutti gli anni a novembre,
ho sempre messo sotto gli occhi tanto del signor marchese quanto della
signora marchesa lo stato del patrimonio col relativo disavanzo; e i
libri del bilancio sono in piena regola, e pronti nel mio studio per
chi li vuol vedere! Se poi i Collalto, invece di fare un passo indietro
e ristringersi nelle spese, han voluto tirar di lungo a scialare e a
rovinarsi, io non ne ho colpa. Una cosa sola mi restava da fare in
simili frangenti; ricordarmi che avevo un figliolo, e più per lui che
per me assicurarmi del capitale esposto. Non le pare, Donna Lucrezia?

--Certo, certissimo!--balbettò istupidita la Balladoro, avvicinandosi
istintivamente al Barbarò, come il naufrago che cerca di attaccarsi
alla tavola di salvamento.

Il signor Pompeo notò quell'atto e volendo conservare un'aria compunta,
di circostanza, dovette frenarsi per non ridere.

--E non ci sarà nessuna via di scampo per queste _pôre_ creature?

--No, non lo credo!... Eccetto che lo zio, il marchese Diego di
Collalto, non li voglia aiutare!

--Buono! Un _piavolon_ egoista, uno scettico gaudente, un... un
_bucefalo_ sotto le lustre della compitezza, peggio ancora del conte
Prampero, quando era vivo!

--Allora... allora senta, Donna Lucrezia,--riprese Pompeo dopo un lungo
sospiro.--Io non ho proprio avuto il coraggio di togliere a un tratto
le illusioni al marchese Alberto, e non so come fare per aprir gli
occhi alla marchesa, non volendo darle un colpo troppo forte. Perciò ho
pensato a lei, e ho creduto bene di metterla a parte di queste brutte
faccende.

--Avete fatto benissimo, caro Barbarò!... Sono a vostra disposizione!

--Se io volessi, le cose ormai sono a un punto che potrei mettere i
Collalto fuori di Villagardiana anche domani, anche stasera stessa....

--Dio Dio, che cosa sento!

--E se non l'ho fatto ancora, non è certo per il marchese Alberto. Il
marchese è un testardo....

--Vero.

--Un orgoglioso, superbo....

--Verissimo.

--Un ignorante presuntuoso; un uomo senza cuore, senza cervello e che
si ha quello che si merita.

--Anche questo, verità sacrosanta!

--Ma ho voluto aspettare perchè, perchè forse sarei disposto a fare
qualche sacrificio per la marchesa....

--Lo merita, lo merita, da bravo!--esclamò con enfasi la Balladoro.

--E poi ho pensato, sono padre anch'io, a quella mummietta uggiosa, ma
molto disgraziata del suo figliuolo!

--Bravo, bravo, bravo! L'ho detto io, che siete un uomo _tuto cuor_!

--È sempre stato il mio difetto!--rispose il Barbarò con convinzione.

--E allora ditemi, amico mio, che cosa volete da me?

--Ecco... vorrei... ch'ella prima di tutto mettesse a parte la marchesa
di queste mie buone intenzioni, facilitandomi in tal modo il colloquio
che in seguito dovrò avere con lei.

--Benissimo, sarà fatto.

--Poi....

--Poi?

--Farle capire che vorrò avere nelle mie mani la direzione della casa
per quanto concerne le spese.... Voglio che si vendano i cavalli;
si devono licenziare quasi tutte le persone di servizio; non voglio
pranzi, non voglio andirivieni di visite....

--Scusate, caro Barbarò,--interruppe la Balladoro, calmandosi a un
tratto nel proprio entusiasmo;--ma le condizioni le porrete voi, e,
meglio che a mia cugina, ad Alberto!

--No. Invece è proprio colla marchesa che voglio intendermela,--rispose
l'altro un po' piccato.--E anzi, prima di tutto, prima di commettere
forse qualche minchioneria per eccesso di buon cuore, voglio sapere una
cosa da lei....

--Da me?

--Precisamente. Voglio sapere....--Pompeo si fermò guardando fisso
Donna Lucrezia.

La luna, superata la cima del Monte Baldo, illuminava il lago che
allora si era fatto chiarissimo, tutto sparso d'una nebbiarella
cinerea, e i due potevano vedersi bene in faccia.

--Voglio sapere a qual punto sono gli amoretti col capitano.

--E a me lo domandate?

--A lei, sissignora, perchè so che ci tien mano!

--Badate a ciò che dite, signor Pompeo!--esclamò la Balladoro,
scattando per la sua dignità offesa.

Per quanto potesse credere di averne bisogno, pure essa si era sempre
tenuta per molto da più dell'antico portinaio, e in tutti i casi si
sentiva sicura di poterlo mettere a posto con una sola parola.

--Badate a quello che dite!... Non si tratta così con una mia pari, con
una Balladoro, con....

--Senta senta,--interruppe il Barbarò, affrontando la vedova con piglio
risoluto,--finiamola colla superbia e coi fumi della nobiltà, e invece
badiamo all'arrosto dei _bezzetti_!--e così dicendo alzò una mano e,
sogghignando, fregò ripetutamente insieme il pollice l'indice.

--Come sarebbe a dire?

Il viso lungo e scialbo di Donna Lucrezia era sempre accigliato,
ma pure alle ultime parole di Pompeo vi passò sopra come un'ombra
d'inquietudine.

--Sarebbe a dire che è ormai tempo di mettere le carte in tavola e di
venire fra noi due a una buona spiegazione.

--Spieghiamoci pure, ma... non capisco....

--Due parole sole, e capirà!... Quantunque il signor Francesco
Alamanni....

--Che c'entra adesso mio cugino....

--Stia zitta, che c'entra moltissimo!... Quantunque il signor Francesco
abbia rinunciato in favore della signorina Mary alla sua parte del
piccolo capitale rimasto agli Alamanni, io continuo a pagare le
cinquecento lire mensili e sempre anticipate! E noti bene, signora
Lucrezia, adesso non posso più aver nessuna cauzione per garantire i
danari miei. Levata la confisca e riammesso lo zio Francesco ne' suoi
diritti, io sono rimasto escluso, naturalmente, dall'amministrazione
della minorenne. Di più lei mi ha fatto avere il saldo dei miei primi
sborsi facendomi figurare come un creditore qualunque senza nessuna
nota illustrativa, sotto il mio nome, e per una simile dimenticanza
tanto il signor Francesco Alamanni, come la signorina Mary devono
ignorare i miei enormi sacrifici!... Ma a me piace di tenermi in
disparte, all'ombra, e ho lasciato fare tutto a lei e a quella buona
lana dell'avvocato Spinelli; mi son lasciato cucinare dalle loro
signorie, come volevano, all'olio e al burro, e continuo a sborsare
anche oggigiorno e sempre segretamente, per farle comodo, cinquecento
lirette al mese, mediante la sola sua firma, colla quale, scusi, sa,
Donna Lucrezia, ma sulla piazza non ne troverebbe venti! E tutto ciò,
perchè?... Perchè ho veduto nascere la signorina Mary, perchè ho
riposto molta amicizia, molta confidenza nella signora Balladoro; ma
esigo, per Iddio, esigo... non le sembra giusto? di essere ripagato
colla stessa moneta!

--Certo... certo.... Vi sarò riconoscente... obbligatissima per tutta
la vita.

Donna Lucrezia impacciata e spaurita non avea osato d'interrompere
il Barbarò che aveva tirato giù la ramanzina col viso rosso e colle
labbra tremanti dalla collera. Ma quando tacque essa riprese animo, e
volendo vendicarsi e far tremare alla sua volta quell'uomo che l'aveva
umiliata e minacciata, lo fissò in volto arditamente, coll'audacia che
nei casi disperati non sanno avere altro che le donne, e gli rispose
lentamente, spiccando le sillabe e calcando adagio l'ultima parola come
una puntura:--Certo... certo, caro signor Pompeo; ma per ricambiare la
vostra amicizia e la vostra confidenza, non pretenderete già che io
faccia la... la _spia_!

Pompeo rimase impassibile. Non appena la Balladoro aveva aperto bocca
egli indovinò subito dove voleva ferire e parò il colpo, ed anzi volle
mostrare la sua sicurezza, volle stravincere, ripetendo la terribile
parola freddamente, senza un tremito nella voce, senza abbassare gli
occhi, senza arrossire.

--No, io non voglio ch'ella faccia la _spia_; solamente voglio saper
tutto perchè--e a questo punto sorrise malignamente--perchè così saremo
in due a proteggere la marchesa e il suo amante!

La Balladoro dinanzi a simile imperturbabilità si sentì perduta.
Impallidì, ebbe paura del Barbetta; paura di averlo offeso e di essere
rovinata, e non pensò più ad altro che a placarlo e ad arrendersi
coll'onore delle armi.

--Andrea Martinengo, a buon conto, non è il suo amante niente
affatto!...

--No?... E che cos'è dunque?

--Si vogliono bene, ecco tutto!

--Scusate, ma non è poi la stessa cosa?

--Nemmen per ombra, tesoro mio! Siamo come si dice agli antipodi!

La Balladoro voleva esporre la teoria platonica dell'amore, "tutto
spirito e contemplazione;" ma l'altro tagliò corto.

--Chiacchiere, chiacchiere, Donna Lucrezia!... Si potrà cominciare
benissimo come dice lei, colla contemplazione, ma poi... tutte le
strade conducono a Roma!

--Zitto lì, Epicureo senz'anima!--esclamò la vedova mostrandosi
scandalizzata, ma pur insieme esprimendo con un sorrisetto la propria
ammirazione per quel furbone del signor Pompeo.

--Del resto--continuò l'amico--per me è tutt'uno. Solamente mi spiace
e mi addolora che il nome della signora marchesa corra sulle bocche di
tutti, con certi commenti non troppo favorevoli alla sua riputazione.

--Invenzioni, infamie dei soliti pettegoli maldicenti! Ma fosse anche,
Angelica, poveretta, non ne avrebbe una delle scuse, ma centomila,
un _milion_!... Condannata a comprimere il proprio cuore fino dai
primi anni, e a sacrificarsi con un matrimonio odioso; trascurata e
maltrattata da un rospo di marito che ne ha sempre fatte di tutti i
colori, per ricordarsi di aver moglie, e innamorarsene furiosamente
quando per la sua vitaccia si trova ridotto in uno stato che.... Basta,
non dico di più per non diventar rossa... Dio le ha dato una creatura,
è vero, ma che peste d'una creatura!... E poi già, in somma delle
somme, Andrea è stato il suo primo amore, e il primo amore, credetelo,
nel cuor di una donna è sempre vivo!--E la Balladoro sospirò a tutta
gloria dello Zodenigo.

--Va bene, cara signora, ma queste ottime ragioni--osservò il signor
Pompeo--non servono al caso mio.... Capirà... se io sono disposto a
fare qualche sacrificio per riguardo alla marchesa... non voglio poi
che la gente possa dire... che io servo da comodino al capitano....

--Vero... vero!... Verissimo, dal vostro punto di vista!...

--D'altra parte parliamoci chiaro: anche per un riguardo alla signorina
Mary devo impedire che abbiano a nascere scandali a Villagardiana!...
Mio figlio.... Ma dei sentimenti di mio figlio ne discorreremo in
seguito.... Ella per altro dovrà convincersi che io ho diritto
di essere molto geloso del buon nome della signorina... e la sua
convivenza, la sua intimità colla marchesa, continuando le chiacchiere,
potrebbero pregiudicarla. Infine io non voglio che la signora marchesa
per inesperienza commetta qualche grossa minchioneria, e anche lei,
signora Lucrezia, se proprio le fosse affezionata....

--Figurarsi, darei non una, ma dieci volte la vita!...

--Allora bisogna dirmi tutto e cercheremo insieme ciò che si potrà fare
per il bene di sua cugina.

Una scusa qualunque, anche debolissima, era sufficiente al Barbarò
per velare, se non per nascondere, il vero movente che lo spingeva a
fare quelle ricerche delicate; e Donna Lucrezia vedendo che non poteva
avere più altra speranza che nel signor Pompeo, inquieta, spaventata
per cagione dell'assegno mensile, e ormai disingannata sull'effetto che
avea sperato ottenere con certi accenni al passato, doveva pur cogliere
il primo pretesto che le si offriva per cattivarsi l'animo del nuovo
padrone di Villagardiana, salvando in pari tempo la propria dignità.

--Se davvero si trattasse di fare il bene della mia
Angelica...--mormorò con un'esitazione che appariva sempre più
debole....

--Ne può dipendere tutto l'avvenire!--rispose l'altro seccamente.

--Allora dirò... confesserò ogni cosa.... Ma per altro, ad una
condizione.

--Quale?

--Sotto il suggello del segreto e col solenne giuramento che... non mi
nascondete qualche secondo fine....

--Lasciamo da parte i giuramenti, signora Lucrezia!... Non dobbiamo
tirare in ballo Domineddio in questi affari del diavolo,--esclamò
ridendo il Barbarò che non voleva giurare il falso, potendo farne
senza.--Ho detto e ripeto che desidero impedire alla marchesa Angelica
di commettere spropositi.... E questa è la verità!

--Povero angelo!--mormorò la Balladoro, sospirando questa volta, col
pensiero rivolto a sua cugina.--Quella creatura meriterebbe proprio
tutte le fortune!

Ci fu un momento di silenzio; poi il signor Pompeo domandò più a bassa
voce:

--Dunque, mi dica, dove si vedono?

--Non si sono riveduti ancora....

--No?--ripetè l'altro, che non riusciva a nascondere del tutto la
propria soddisfazione.--Non si sono riveduti ancora?

--No, no; _pôre_ creature. Si scrivono qualche volta, e tutto finisce
lì.

--Capisco, capisco!... Si faranno forza aspettando che il marchese levi
loro l'incomodo.

--Oh Dio, lo penseranno anche, in fondo all'anima, ma non lo dicono
certamente, e del resto Angelica è tanto buona che non vuol neppure
sentirne discorrere.... Adesso poi il Martinengo deve ripartire....

--Sì?!... E dove va?

--Ritorna a Napoli. Molto lontano, come vedete.

--Ma... prima di andarsene, non vorrà fare una corsa da queste parti?

--Siete più furbo che santo, _vecio mio_,--rispose la vedova sorridendo.

--E quando deve venire a Villagardiana?--domandò il Barbarò con un
tremito nella voce.

--Questo poi non so.

--Non è vero! Non vuol dirmelo....

--Non so niente; giuro com'è vero che son nata, non so niente!

Il Barbarò si fece allora più vicino a Donna Lucrezia e le disse a
bassa voce, ma in un tono risoluto, che non ammetteva replica:

--Sarà bene che, per il momento, ella non riferisca nulla alla signora
marchesa di questo nostro colloquio; ma si ricordi che voglio sapere
quando il Martinengo verrà a Villagardiana, e voglio sapere l'ora e il
luogo in cui avranno fissato d'incontrarsi, perchè m'immagino...--e qui
sogghignò come un Mefistofele da strapazzo--m'immagino che la signora
marchesa non vorrà riceverlo in salotto, e presentarlo a suo marito!




IX.


Uno o due giorni dopo che il Barbarò aveva "parlato chiaro" alla
Balladoro, di mattina prestissimo, Angelica con tutta l'angoscia di
una grande inquietudine impressa sul viso, sola sola e quasi al buio,
perchè non avea voluto aprire gli scuri nè chiamare la cameriera, stava
vestendosi adagio, paurosa di fare il ben che minimo rumore. Nella
camera si poteva udire il russare affannoso del marchese Alberto e il
respiro tranquillo e sottile come un soffio del piccolo Stefanuccio,
che dormivano ancora. E se l'uno o l'altro si moveva appena, Angelica
sbarrava gli occhi, e si fermava immobile trattenendo il fiato. Quando
finalmente fu vestita un'altra gran paura la colse: l'uscio non era
chiuso a chiave; ma se la toppa avesse dato la sveglia?...--Si avvicinò
alla porta in punta di piedi, girò la maniglia lentissimamente, ma
tuttavia l'uscio nell'aprirsi cigolò un poco. Angelica trasalì; di
primo colpo si sentì perduta; ma il marchese non si mosse e Stefanuccio
sospirò borbottando; poi subito si voltò e continuò a dormire.

Angelica uscì con prestezza, avvicinò l'imposta senza chiudere la
serratura, rimase un pochino in ascolto, poi quando fu sicura del fatto
suo attraversò il corridoio, e infilata una scaletta interna scese
svelta e leggiera, come se avesse avuto le ali. Giunta al pianterreno,
dove già era incominciato l'andirivieni della gente di servizio, si
fermò un momento per non destare sospetti, e chiamò la cameriera alla
quale diede alcuni ordini concernenti il marchese e Stefanuccio.

--Se si svegliassero prima che io fossi di ritorno e ti domandassero
di me, dirai loro che sono andata a passeggiare fino al lago. Ho
un'emicrania fortissima.

--In fatti, si vede, signora marchesa. Ha gli occhi lividi e non è mai
stata tanto pallida; ma un po' d'aria pura le farà proprio bene.

--E per ciò ho pensato di uscire.

Era la prima volta che Angelica mentiva, pure lo fece naturalmente,
senza arrossire, senza nemmeno accorgersene. Finchè aveva resistito
e aveva lottato contro l'amore, si era fatta scrupolo di ogni cosa,
anche d'un pensiero lontano e innocente; adesso che gli si era appena
abbandonata, sia pure con la scusa della prudenza, sia pure col
pretesto pietoso di voler sottomettere un povero pazzo alla ragione
e impedire una disgrazia, l'amore l'avea già tutta presa; pareva le
avesse mutato la mente e l'anima.

Tuttavia, prima di uscire, si fermò ancora dinanzi allo specchio
dell'anticamera. Era quello per Angelica il momento più angoscioso e
più terribile della vita; quello da cui presentiva che poteva dipendere
tutto il suo avvenire, ma pure, anche piena di spavento e di ansietà
pensò di voler essere bella. Si ravviò i capelli sulla fronte; si
accomodò il fiocco della larga cravatta; indossò una giacchettina di
panno celeste che sul corpo attillato del suo abito di _cheviot_ bianco
le stava a pennello; prese un grande ombrellino rosso col bastone
altissimo.... Dette un'ultima occhiata allo specchio.... Era bella; era
in punto.... Allora, mentalmente si raccomandò l'anima a Dio, come se
fosse per islanciarsi dall'alto nel vuoto d'un precipizio, ed uscì.

Ma oltrepassato appena il cancello e avviandosi nell'aperta campagna,
la quiete silenziosa di quella mattina fresca e nitida le infuse in
sull'attimo un nuovo vigore. Respirando, fuori dell'afa opprimente
della camera, la brezza mattutina, le parve che il petto le si
allargasse e la sollevasse con un libero soffio di vita, onde si sentì
come spinta da un impeto di tutto l'essere suo verso la _Casina delle
Romilie_, che era il luogo del ritrovo con Andrea.

Percorso un buon tratto della strada maestra, prese subito per una
viottola, fra due siepi di biancospino e di nocciuoli selvatici, umide
ancora dalla rugiada; una viottola dritta, lunga, in cui odorava acuta
la menta e l'acetosella, e così stretta che rimaneva tutta chiusa dal
largo ombrellino rosso e dalla veste bianca della bella mattiniera, la
quale si allontanava speditamente col ritmico _tic-tac_ del suo passo
uguale e sicuro.

Quando fu presso lo sbocco incontrò un vecchio contadino che si fermò
per lasciarla passare:

--Servo, _sciurìa_!

Angelica rispose affabile al saluto; attraversò la stradetta cui faceva
capo la viottolina, e salì per una scorciatoia che, dopo una svolta,
calava più ripida fra la festevole varietà degli ameni collicelli, a
viti, a olivi, a gelsi, digradanti dolcemente fino alla riva del lago.

In quel punto un raggio di sole, prima debole e sbiadito, poi subito
più forte, avvivò con un improvviso risalto di colori tutta la campagna
circostante e la distesa del lago azzurrino e le catene bigie de'
monti, ancora avvolti da una caligine cinerea, e lo sfondo vasto della
pianura e delle colline veronesi come sparenti in una nebbiarella
di pulviscoli d'oro. Il verde cupo dei pampani si stendeva con la
simmetria dei filari sul verde giallastro dei campi di grano sparsi di
margherite e di papaveri sfolgoranti; e la fronda glauca degli oliveti
spiccava fra il verde ruggine delle quercie e il verde vivido dei
gelsi, mentre le gocciole di rugiada scintillavano come gemme sui rami
e sulle foglie.

E pure quell'allegrezza luminosa non rischiarò il viso di Angelica.
Il senso di benessere e di gioia che le aveva dato animo, era subito
scomparso. La vista del vecchio contadino era bastata per ricordarle a
un tratto tutto il mondo che aveva troppo presto dimenticato.

--Se quell'uomo l'avesse seguita?--E non osava voltarsi a guardare.--Se
si mettesse dietro a' suoi passi e poi andasse a sparlar di lei?--E il
suo occhio non vedeva più altro che l'ignoto pauroso; e Sirmione invano
sorrideva al sole fra le onde cristalline; e la grande serenità del
cielo non penetrava, non avea più un riflesso nel suo spirito turbato.

Ma soltanto l'espressione del volto, pallido a segno che pareva terreo,
tradiva la violenza di quelle sue angosce: camminava sempre spedita
e risoluta e scese senza esitare un momento per tutto il ripido e
tortuoso sentiero. Se fosse stata certa di essere seguita e spiata,
anche se avesse saputo di trovare la morte, e peggio della morte, lo
scandalo e l'ignominia dov'era Andrea, essa gli sarebbe andata incontro
con la testa in fiamme e col cuore stretto, soffocato, ma senza
interrompere d'un punto, o rallentare i suoi passi.

Capiva di non esser più la stessa donna; capiva di essere vinta e
trascinata da una possanza nuova, che di minuto in minuto cresceva di
forza, ed alla quale non poteva più resistere. Angelica credeva fosse
il _destino_, ed era l'amore.

E per i pericoli stessi che la circondavano, per lo sgomento, per tutte
le nuove pene che soffriva essa, inconsciamente, aveva cominciato a
vivere con Andrea, solo con Andrea, una vita intima, misteriosa, di
terrori e di lacrime, ma tuttavia più palpitante; e appunto quelle
pene non lasciavano tempo e modo al rimorso di arrestarla nella corsa
precipitosa e vertiginosa; al freddo e acuto rimorso che l'avrebbe
presa in quel punto se fosse stata tranquilla e serena, se il colloquio
che aveva concesso ad Andrea fosse stato senza pericoli.

Più assai che per le sue gioie, l'amore può sulla donna per quanto la
fa soffrire. Come si sente legata al figlio suo perchè le costa lo
strazio delle viscere, così lo strazio dell'anima l'avvince sempre più
all'uomo che ama.

Discesa ai piedi dell'altura, Angelica s'internò per un'altra stradetta
pur chiusa fra due campi di vigneti e presto arrivò in vista della
_Casina delle Romilie_ e scorse Andrea che al fruscìo della sua veste
era uscito da un cespuglio folto di pruni e che rimaneva immobile ad
aspettarla. Allora provò una scossa, un sussulto di tutta la persona;
abbassò subito il capo come se avesse avuto gli occhi abbagliati dal
sole; ma non potè affrettare il passo, e quando gli fu vicina col viso
in fiamme e la voce soffocata mormorò appena:

--Dio, Dio!... Che cosa ho mai fatto!

--Grazie.... È molto buona, lei!--balbettò l'altro pallidissimo.

Ci fu un momento di silenzio. Angelica, ansante, si premeva le mani sul
petto come per frenarne l'anelito; Andrea, confuso, intimidito, col
cuore che gli batteva tanto forte da serrargli la gola, non era più
buono di trovar parola.

--Era molto.... molto tempo che l'aspettavo!--esclamò infine, senza
sapere che cosa dicesse.

Angelica gli fu grata di quella commozione, e rimettendosi alquanto gli
domandò con un sorriso:

--E forse cominciava a pensare che.... che tardavo un po' troppo, non è
vero?

--Oh no, no! L'avrei aspettata, contento, tutta la vita!--rispose il
giovane con entusiasmo.

Il dialogo prometteva di riscaldarsi presto e Angelica che per
istintiva timidezza voleva ora allontanare più che le fosse possibile
il momento delle spiegazioni, quantunque fosse venuta lì con quel solo
scopo, finse di non avere inteso le ultime parole di Andrea.

--Com'è bello questo luogo!--esclamò guardandosi attorno maravigliata.

La _Casina delle Romilie_ era posta sul confine di un vasto vigneto
che rimaneva un po' in alto sulla strada. Angelica puntò l'ombrellino
contro la sponda e appoggiandosi forte salì sul campo, passando a
stento per l'apertura della siepe, aiutata da Andrea che avea cura di
allontanare da lei i rami e le fronde spinose.

--Com'è bello!--ripetè la marchesa; e una tinta di sangue le colorì le
gote più piene, mentre le nari fremevano respirando la brezza odorosa.

Il lago azzurro scintillava fra i pampani e i tralci; e la riviera
stendeva al sole i colli verdeggianti, popolati di case rustiche
con gli ulivi sopra e d'intorno, e di paeselli e di villaggi, dove
spiccavano fra i tetti neri gli antichi castelli diroccati, ma ancora
superbi e minacciosi nella loro rigidità.

--Com'è bello!... non è vero?--ripetè per la terza volta Angelica.

--Sì.... proprio.... È una magnifica vista!--rispose l'altro distratto,
pensando a quello che voleva dire e al coraggio che gli mancava.

--È strano,--osservò Angelica che cercava tutte lo vie per tenere il
discorso su cose indifferenti:--la _casina_ è chiusa!--e colle piccole
mani ancora coperte dai guanti, spinse l'uscio vecchio di legno, che
resistette fortemente.--È proprio chiusa a chiave!

--Qualche contadino ci avrà nascosto il tesoro.

--Povera gente!...--mormorò Angelica, e a quell'uscio chiuso non ci
pensò più.

Non era una _casina_ del resto; ma appena appena un casottino da
ragnaia. Quel campo prima di essere coltivato a viti serviva per
uccellare alle allodole, e appunto sul tronco delle _romilie_ che
circondavano il casotto e gli davano il nome venivano appesi i richiami.

Angelica si era levata di dosso la giacchetta e l'avea buttata sopra
una grossa pietra presso la casina, poi, sedendosi, domandò ad Andrea:

--Qui siamo al sicuro, non è vero?

--Lo spero, marchesa.

Rimanevano nascosti dalle _romilie_ ed il vigneto era lontano dalla
strada maestra. D'altra parte nessuno avrebbe potuto avvicinarsi
senz'esser visto.

--Non ha incontrato gente nel venire?

--No; soltanto qui vicino, quando sono stato in principio alla
stradetta, ho veduto un uomo avviarsi verso il vigneto.

--Un contadino?...

--Non mi pareva; ma non l'ho osservato bene.

--Ah mio Dio!... Chi sarà mai?

--Non si spaventi, marchesa. Per non essere scoperto io son ritornato
indietro e ho fatto un altro piccolo giro; intanto deve essersi perduto
pei campi: è sparito!

--Mio Dio, mio Dio!... Se ci vedesse qualcuno?!...

Andrea non rispose. Stando sempre in piedi, vicino a lei, al suo
fianco, si era appoggiato col braccio al muricciuolo, e la guardava.

Angelica sentiva oramai che non poteva tardar più oltre a spiegarsi.
Stava a capo basso, muta, impacciata, non osando alzar gli occhi
mentre continuava colle dita nervose a fare scattare l'elastico
dell'ombrellino chiuso.

--Intanto, marchesa, colle sue paure.... non mi ha stretta ancora la
mano....

Angelica alzò gli occhi un momento, e lo guardò; poi, riabbassando
il capo, cavò fuori dal guanto, che avea già sbottonato, la manina
bianca e morbida e la stese ad Andrea che la strinse lungamente,
appassionatamente.

In quel punto una cingallegra diè un trillo improvviso e volò dalla
siepe sulle _romilie_ dove rimase saltellando fra i rami e cinguettando.

Adesso Andrea Martinengo non tremava più, non cercava più le parole;
ma invece parlava commosso, accalorato, animandosi in viso, mentre
Angelica tremava e sospirava col petto che le balzava sempre più forte
e arrossiva, poi impallidiva, poi arrossiva di nuovo, tutta presa
da un languore dolcissimo che le toglieva la forza di muoversi e di
rispondere.

Che cosa le diceva Andrea?... Tutto ciò che già le aveva scritto nelle
sue lettere.... che era sempre stato infelice, che l'aveva sempre
amata, che l'amava e che l'avrebbe amata sempre!... Ch'essa, per lui,
era più dell'amore; era la fede nel buono, era la fede dell'anima e
che, in fine, non riamato, ma respinto, la vita gli riusciva uggiosa,
inutile, insopportabile e che voleva morire.

Angelica a poco a poco cessò dal tremare e dall'arrossire. Era ancora
pallida e palpitante, ma risoluta, e tratto tratto alzava, per guardare
in viso al giovane, gli occhi dolcissimi, esprimenti a volte un
rimprovero, a volte una preghiera.

Andrea parlava sempre.... e quelle sue parole calde, appassionate
suscitavano in lei pensieri e sentimenti e sensazioni nuove, mutando
per essa tutto il mondo da come lo avea veduto fino allora; tutte le
cose da come fino allora le aveva giudicate; tutto scolorendo, tutto
confondendo innanzi a lei, che non sentiva più altro che l'incanto di
quella voce morbida, insinuante, più altro che quel languore profondo
dell'anima e dei sensi. Allora obliandosi, ed obliando ch'essa era
venuta a quel ritrovo per combattere la passione di Andrea e porre un
termine al suo amore, di tante cose che avea avuto in mente gli disse
soltanto quello che aveva nel cuore: che non dovea morire; che non avea
_diritto_ di morire; che lei _non voleva_!

--Ma se ormai le sono indifferente, se non mi può più voler bene, mi
lasci almeno finirla.... finirla una volta per sempre!

--No, no; mi deve risparmiare un così grande rimorso.

--Rimorso?... Sempre il rimorso; non altro che il rimorso!--E Andrea
sentì un impeto d'ira, che non riuscì interamente a frenare.

--Sì, e.... e insieme col rimorso anche un gran dolore!

--Oh! Non mi parli de' suoi dolori, lei che ha la pace, lei che
è felice!--proruppe ancora il Martinengo con un sorriso d'ironia
amara.--Rimorso sì, lo capisco; ne deve.... ne dovrebbe sentire un
poco; ma dolore?!... No, con me, non ne parli mai; non ne ha diritto!

--Sì, sì, sì!... Dolore.... molto dolore!--rispose Angelica crucciata,
disegnando nervosamente lunghe strisce sulla terra umidiccia colla
punta dell'ombrellino.

--Allora.... allora devo ringraziarla della sua compassione.... della
compassione ch'ella sente per me!

All'ira era subentrata una grande tristezza, e la voce del giovanotto
si era fatta tremante. Egli non guardò più la marchesa, poi, a un
tratto, voltò la testa dall'altra parte. Angelica, allungando la mano,
gli toccò un braccio e, premendolo con dolce violenza, lo costrinse a
guardarla, sicchè vedesse che anche i suoi occhi erano pieni di lacrime.

--Morrei.... anch'io, sa?--e non disse più altro. Abbassò il capo di
nuovo, e ricominciò a fare i suoi disegni coll'ombrellino, ma ora più
lentamente.

La cingallegra, cantando, era discesa fino all'ultimo ramoscello della
_romilia_, e di là era volata sulla siepe. Si vedeva saltellare e
beccare sbattendo le alette, vispa e sicura.

Andrea avea presa la manina bianca di Angelica, e la stringeva
amorosamente; essa, sempre colla testa china, sospirava senza parlare.

--Allora posso.... mi lascia vivere ancora.... per lei?

La marchesa non rispose subito altro che con un fremito che il
giovanotto sentì dalla mano, e allora stringendola ancora più forte,
rinnovò la sua domanda, ma con un'espressione intensa di preghiera
nella voce commossa:

--Mi lascia vivere.... per lei?

Angelica lo fissò un attimo, poi chinò gli occhi e rispose con un
singulto, fra le parole spezzate:

--Senza.... più.... cercare.... di vedermi?

--Se vorrà, proprio.... senza più vederla....

--Me lo promette?

--Lo prometto.... Saprò che lei mi vuol.... che lei penserà a me
qualche volta e....

--Sempre!--interruppe Angelica con un filo di voce che pareva un
sospiro.

--....e sentirò di vivere per lei e vivrò con lei anche non vedendola,
anche da lontano!

--Oh sì, sì!--esclamò la buona e ingenua creatura, con tutto
l'entusiasmo del cuore che le traspariva dagli occhi scintillanti.--E
lei, allora, mi promette di vivere e di perdonarmi?

--Sì, Angelica.

Essa lo guardò lungamente e gli sorrise sicura, senza più arrossire.
In quel punto pensò che avea fatto bene a concedere il colloquio ad
Andrea. Aveva ottenuto il suo intento. Gli aveva ridata la pace, la
calma.... E non sapeva ch'era lei adesso, che la calma e la pace le
perdeva per sempre.

Angelica, in compenso della leale promessa di Andrea, gli confidò
quanto già egli aveva udito dalla contessa Fanti.

Ma della sua infelicità non incolpò nessuno; nè il babbo, nè Alberto.
Anzi, quest'ultimo volle scusarlo, dicendo che erano ambedue così
diversi d'indole e di carattere, che non si potevano intendere, e
che suo marito era stato pure sacrificato quando gliel'avevano fatta
sposare e che, adesso, se qualche volta sembrava ingiusto e la faceva
soffrire non era proprio per cattivo animo, ma perchè era ammalato,
molto ammalato. Ma a questo punto le passò in mente, e le scese fredda
nel cuore, l'insinuazione che, quasi sotto forma d'augurio, le era
stata fatta dalla Balladoro e, alzandosi di scatto:

--Mi deve giurare--esclamò con una viva espressione di angoscia e
quasi di terrore--mi deve giurare che.... che non sarà mai indotto a
desiderare la.... il male di qualcun altro....

--Lo giuro,--rispose Andrea, non senza arrossire un poco.--Lo giuro per
tutto il bene che le voglio!

Poi, quando la marchesa si fu di nuovo seduta, egli, che le era sempre
vicino, al suo fianco, appoggiato al muricciuolo della casuccia, le
domandò piano:

--E lei.... non mi promette, non vuol dirmi nulla?

Angelica chinò il viso e tutta la persona, e anche più in fretta di
prima ricominciò a far rabeschi in terra coll'ombrellino.

--Non vuol dirmi nulla?

Angelica, quasi istintivamente, gli rispose con una rapida occhiata: fu
un lampo che le illuminò il viso e diceva tutto.

--Dunque?--insistè l'altro per ottenere proprio una promessa
precisa.--Dunque?

Angelica guardò di nuovo Andrea, ma lungamente questa volta, e
leggendogli negli occhi ciò che le domandava, ciò di cui la supplicava,
arrossendo e sorridendo, rispose appena con un filo di voce:--Sì....
un poco....--e disse queste semplici parole così dolcemente, così
teneramente che Andrea ne sentì l'impressione come d'un soffio, come
d'una carezza. Commosso, pallidissimo e tremando alla sua volta, le
prese daccapo una mano, poi l'altra, e a un tratto, sollevò Angelica
come per attirarsela sul petto anelante; ma in quel punto sentì le
mani, il braccio di lei irrigidirsi, mentre i begli occhi lo fissavano
attoniti con un'espressione indefinibile di sgomento e di dolore.

--Perdono, marchesa,--balbettò,--perdono, non a me, ma al mio cuore....

Angelica non rispose, tornò a sorridergli affabilmente, e prese fra le
sue mani piccole e delicate le mani forti di Andrea, le accarezzò colla
guancia infocata.

--Sempre.... sempre la bimba, la mia bimba cara e adorata di sedici
anni!--esclamò il Martinengo intenerito.

--No, non ero più la stessa!... È lei che mi ha fatto ritornare come
allora!... Ho tanto bisogno di credere in lei, e di poter pensare a
lei, senza dover arrossire, proprio come al mio ideale _alto e puro_.
Sono parole sue; le ricorda? Le ha scritte in una lettera cattiva,
ma che io le perdono, le ho perdonato, appunto per queste parole, le
sole buone.... ma tanto, tanto buone!... Oh davvero, fossi ancora una
bambina; fossi padrona di me! Adesso sì, mi sentirei la forza, il
coraggio di lottare!... Ma ciò di cui posso disporre, ciò che è ancora
mio.... l'anima.... gliela dò intera!...--E Angelica strinse la mano di
Andrea con uno slancio vivo di passione; poi, subito, si fe' muta e lo
fissò di nuovo cogli occhi smarriti.

--Che ha?... A che pensa adesso?...

--A.... a nulla.

--No, no, non è vero!... Mi dica; la prego, la supplico, mi dica tutto:
voglio saperlo.

--Penso... che nemmeno dell'anima non ho il diritto di
disporre!--rispose infine Angelica con voce fioca e colle parole rotte
da un singhiozzo che si sforzava di soffocare.--No, nemmeno dell'anima!

--Perchè, Angelica?

--Perchè.... perchè ho un figliuolo, e la mia anima è sua: gli
appartiene. E pure, che vuole?... Questi due sentimenti così opposti,
dei quali l'uno è santo e l'altro.... oh l'altro no, Andrea! questi due
affetti che dovrebbero essere in urto fra loro, si confondono invece
nel mio cuore, e si dividono ogni mio pensiero. Ma tuttavia non mendico
scuse, nè voglio farmi illusioni. Sentendo così, e parlando a lei così
so di esser molto colpevole. So che uno solo di questi due affetti
avrebbe dovuto bastarmi; avrebbe dovuto infondermi tutta la forza,
tutto il coraggio di vivere, e che è per colpa mia, solo per colpa mia,
e non d'altri, se l'affetto del mio figliuolo non basta per rendermi
felice, non basta per rendermi sopportabile l'esistenza.

--Non dica così,--interruppe Andrea vivamente,--non confonda la
rettorica colla realtà della vita!

--Non confondo, no; ragiono bene,--continuò Angelica; e nella sua voce
limpida, melodiosa traspariva un'amarezza profonda.--Tutte queste cose
me le son dette e ripetute le mille volte, e le sentivo giuste e vere
nella mia coscienza quando credevo di poter esser più forte contro
di lei; e adesso mi turbano ancora, come un rimprovero e.... e lei
stesso, vede, in questo punto pensa, cerca qualche argomento a mia
difesa; ma onesto e leale, neppur lei non può, non sa trovar nulla!

--No, non è vero; non dica così!--ripetè Andrea un po' sconcertato.

--Vede, vede, che non c'è scuse per me?

--No, non è vero!--ripetè ancora Andrea accalorandosi--non è vero,
perchè il mio cuore non solo la difende e la giustifica, ma l'onora e
l'ammira!

--Il suo cuore, solamente il suo cuore,--balbettò Angelica
tristamente,--ma il giorno che il suo cuore fosse muto per me....

--Ciò non sarà mai!

--Mio Dio, che non sia mai davvero,--interruppe la marchesa con un
sospiro,--perchè il giorno che non mi volesse un po' di bene, non mi
stimerebbe nemmeno più!

--Queste ch'ella dice sono tutte eresie!--esclamò Andrea, il quale,
scosso per un momento dalle parole della marchesa, tornava alle
esaltazioni dell'amore.--Sono tutte eresie; e se mi manca la eloquenza
per ribattere le sue accuse, non vuol dire che mi manchino anche
le ragioni. Lei ha più ingegno, molto più ingegno di me, e però mi
confonde, mi sbalordisce, anche quando non riesce a convincermi. Io
sento che esagera molto i suoi scrupoli; io sento che ha torto quando
parla di rimorsi perchè noi non ci rivedremo più; perchè il suo cuore
me l'aveva già dato quando era padrona di disporne; perchè l'hanno
ingannata e sacrificata!

--Ma dice anche lei che ci vorrebbe eloquenza per difendere la
mia causa,--ribattè la marchesa con un'ostinazione che turbava il
Martinengo.--Dice anche lei che non mi può servire la franchezza
del soldato, ma che ci vorrebbero invece i sofismi del causidico....
No, non si arrabbi,--soggiunse poi, vedendo che l'altro non poteva
trattenere un moto d'impazienza,--so che faccio male a dirle queste
cose. Quando si sentono dentro di sè, e non si ha poi la forza di fare
quel che si dovrebbe, il parlarne è peggio, perchè non si riesce ad
altro che a provare la propria debolezza. Ma, per quanto ci pensi,
non saprei dire quando ho cominciato a essere debole, a transigere,
a cedere. Ecco, questo non so; e questo solo è forse un po' la mia
scusa. Venendo qui non intendevo certamente di accondiscendere a un suo
desiderio; credevo, m'imaginava di compiere un dovere. A malincuore ho
risposto alla sua prima lettera, e ho risposto soltanto perchè così
mi consigliava la prudenza. Non le ho scritto intenerita dalle sue
preghiere e dalle sue lacrime, ma solo spaventata dalle sue minacce.

--Non per altro, proprio?

--No, non per altro!--rispose Angelica con più forza.--Non posso
ricordare in che modo, come, quando, ha cominciato questo strano
mutamento del mio cuore.... e anche un po' della mia testa. Ieri sera
ancora tremavo tanto all'idea di dovere venir qui; era tale il mio
orgasmo, che non mi sarebbe stato possibile di calmarmi per interrogare
me stessa, nè per riflettere se facevo bene o male. Questa notte non
ho potuto chiudere occhio; ero agitata, convulsa per lo spavento, per
l'angoscia di ciò che stavo per fare: tremavo di essere scoperta,
eppure sono venuta!... Ma, sa, credevo proprio di venire, di _dover
venire_, per pregarla e anche per imporle di non pensare più a me, di
dimenticarmi.... e invece....

La poveretta s'interruppe, le lacrime la soffocavano, e allora
premendo il fazzoletto sugli occhi non potè più frenarsi, e cominciò a
singhiozzare.

Andrea, commosso, ma dolcemente commosso, cercava di riprenderle la
mano per vedere gli occhi cari che piangevano per lui, e:

--Quanti che si credono onesti e forti--esclamò--solamente perchè sono
felici, non valgono, con tutta la loro facile virtù, una sola di queste
sue lacrime!...

Intanto la cingallegra continuava a saltellare sui ramoscelli alti
della siepe, ma non cantava più. Pareva volesse sentire anch'essa ciò
che diceva il bel giovane bruno colla bella signora bionda.

--Pensi a questo, marchesa, che volendomi un po' di bene fa un'opera
buona.

--Un'opera buona?--domandò Angelica, maravigliata, alzando il visetto
incantevole ancora tutto rosso e sparso di lacrime.

--Sì, un'opera buona,--ripetè Andrea accarezzadole le mani che teneva
unite fra le sue.--Ero scettico, sfiduciato, e lei mi ha ridata la
fede: la fede nel dolore e nell'amore.--Ero misantropo e tristo, e lei
ha ridestato in me la soave poesia della vita. Il mio cuore arido non
aveva più palpiti, ed ora senta, senta, marchesa, come batte forte
sotto la sua mano!... Pensi che la mia anima è sua; e pensi ch'ella
potrebbe farne anche l'anima d'un dannato! Io per me, per sola forza
mia, non sono nulla, nè posso essere nulla. È lei, sempre lei, che mi
fa e mi rifà come vuole. Ero cattivo perchè lei mi aveva fatto cattivo
col suo abbandono; adesso ritorno buono perchè lei mi vuol bene ancora.
E così sarà sempre; sempre così!... Una madre dà la vita materiale, la
donna che ci vuol bene, creda, marchesa Angelica, ci ridà anche la vita
dello spirito; e però non soltanto il nostro cuore, ma anche la nostra
coscienza è nelle sue mani. Pensi che per cagion sua, un giorno, ho
maledetto ogni cosa del mondo; pensi che non volevo più vivere.... ed
oggi invece, sempre per lei e solamente per lei, ho cara l'esistenza, e
trovo il mio primo giorno di felicità. Sì, è proprio vero. Quantunque
sia questo il momento in cui dobbiamo dirci addio e, chi sa, forse per
sempre, pure è il momento più felice, creda, marchesa Angelica, il solo
veramente felice di tutta la mia vita!

Più che ascoltare le parole di Andrea, Angelica le aspirava coll'anima
ammaliata, e le sentiva scendere nel profondo del cuore e diffondersi
per tutto l'essere suo, soavi, benefiche; poi dopo un lungo silenzio a
cui si era abbandonata, vinta da quel rapimento, mormorò con l'amore
che le prorompeva dagli occhi, e le scoloriva le labbra e le gote:

--Anch'io, sa, ad onta delle mie lacrime e dei miei rimorsi.... perchè
non dovrei dirlo? è la verità.... ad onta anche de' miei rimorsi, sento
che è questo il primo giorno, il primo momento in cui sono felice!

Il sole alto oramai cominciava a dardeggiare. Montebaldo nell'orizzonte
lontano non era più avvolto dalla caligine vaporosa, nè la cima superba
si perdeva dentro un velo bigio di nubi, ma appariva chiara e nitida
nel sereno profondo. Manerba distesa ai piè della rocca odorante di
muschio, dove ancora vagano i canti di Catullo fra il sussurro del
vento che le porta tepido un profumo di cedri; Manerba, con la sua
candida chiesa, splendeva di luce viva; e dall'azzurro cristallino
delle acque, dov'è più verde e amena la riviera, sorgeva Moniga,
romanticamente leggiadra fra la sollazzevole allegria dei vigneti,
ergendo in mezzo al cielo turchino la torre bianca del castello feudale.

Bisognava scambiarsi gli ultimi saluti; bisognava separarsi per sempre.
Tuttavia anche nel momento del doloroso distacco il viso di Angelica
esprimeva, pur fra le lacrime, una vivezza insolita; pareva che un
raggio di quel bel sole le fosse sceso nel cuore.

Non si sarebbero riveduti più, ma promisero di scriversi. E allora, in
quell'ultimo istante, uniti dal comune dolore, si abbandonarono alla
più dolce intimità, e combinarono insieme i loro disegni. Come, dove,
quando avrebbero dovuto scrivere per essere più sicuri?

Angelica raccomandò al Martinengo di spedire sempre le lettere a
Padenghe, dirette alla Balladoro.

--Ma saremo poi sicuri veramente con questa signora?--domandò Andrea.

--Spero; spero di sì,--rispose la marchesa.--Non avrebbe nessun motivo
per tradirmi, per farmi del male. In ogni modo bisogna rassegnarci.
Se mi vuol scrivere non c'è altra via. Mandare le lettere a me
direttamente è impossibile; io non potrei, neppur per sogno, andare a
prenderle alla posta, e non ho un'altra persona di cui potermi fidare.
Poi Donna Lucrezia è una chiacchierona, un po' frivola, un po' leggera,
ma ha molto cuore, e a me ha dimostrata sempre una grande affezione.
Di più è stata lei la prima ad offrirsi e, capirà, anche questa è una
prova di amicizia, e mi ha risparmiato una gran pena.... Io certo non
mi sarei sentito il coraggio di confidarmi per la prima, e di pregarla
di farmi un simile favore....

Andrea si mostrò pago di queste ragioni. Egli, d'altra parte, se aveva
maggior esperienza del mondo e se non si abbandonava ciecamente alla
fiducia di Angelica, non conosceva punto Donna Lucrezia, nè poteva
avere alcun sospetto.

Bisognava proprio partire. Ancora una stretta di mano, ancora un addio,
una preghiera rotta dalla commozione, e poi.... non rivedersi più!

--Ma se proprio avremo la guerra, e....

--Morrei anch'io!--rispose Angelica, che avea indovinato, con una
stretta al cuore, il pensiero di Andrea.

Poco dopo che la marchesa e il Martinengo si erano allontanati dalla
_Casina delle Romilie_ l'uscio si aprì pian pianino, e il signor Pompeo
mise fuori la testa. Alzò la faccia, ancora verde di bile, girò attorno
gli occhietti loschi, spiando se più nessuno non lo poteva vedere, poi
rassicurato uscì dal casottino, e si avviò difilato verso Villagardiana.

--Ah! ah!--mormorò fra sè, stirando le labbra con un ghigno sinistro--è
il tuo primo giorno di felicità?... Aspetta stasera a dirlo, ipocrita,
sfacciata!... Si fa presto a essere forti, e a giurare di non più
rivedersi, quando si ha nel cuore la bella speranza che crepi presto
chi ci è d'incomodo!

Appena il signor Pompeo era uscito dalla casina la cingallegra con uno
strido era fuggita via spaventata, fendendo l'aria, pei campi lontani.




X.


Angelica, ritornata a Villagardiana, s'ebbe molti e fieri rabbuffi, che
sopportò pallida e muta, tutta chiusa nel dolore. Il marchese Alberto
era sulle furie; avea mandato gente a cercarla e non l'avevano trovata,
mentre avea detto alla cameriera che andava a passeggiare verso la
riva; invece Stefanuccio per il gran dolore di non veder la mamma
s'era messo a strillare e non s'era lasciato lavare; ma poi, sempre
ingrugnato, aveva versata tutta la zuccheriera nel caffè e latte,
inzuppandovi tante fette di torta da farsi venire un'indigestione.
E però se l'ira e i sospetti del marito acquietarono un poco, per
naturale reazione, i rimorsi di Angelica, le si ravvivarono alla vista
del figliuolo, col muso imbrodolato di lacrime e di latte.

A colazione essa toccò appena il cibo, senza nemmeno rompere il pane.
Aveva il petto oppresso, la gola stretta; faceva fatica a inghiottire
anche una goccia d'acqua.

Finita la colazione, il marchese Alberto volle essere condotto a
prendere il caffè, come di solito, all'ombra di un grosso castagno
d'India sul terrazzo. C'erano tutti attorno alla carrozzetta: Angelica,
Stefanuccio, la Mary, Giulio Barbarò; tutti, meno Donna Lucrezia. La
rispettabile signora quella mattina non si era fatta vedere. Aveva
detto alla cameriera di scusarla coi padroni se non scendeva a
colazione, perchè "spasimava dal mal di denti." Ma invece del mal di
denti aveva un altro male addosso: era inquieta, era arrabbiata di ciò
che avea dovuto riferire al Barbarò; e si sentiva sossopra per il colpo
terribile che da un momento all'altro doveva rimbombare nella casa.

--Ah, santi numi, santi numi!... Perchè non sono libera e ricca?...
Allora, invece di star soggetta a quel muso da cane, gli risponderei
per le rime!... E fantasticava un bel giorno di repubblica in cui lo
Zodenigo (del _Consiglio dei Dieci_) gli avrebbe fatto impiccare il
Barbetta per farle piacere.

Intanto il marchese Alberto, tutto rattrappito nella carrozzella, colle
gote accese, perchè mangiava e beveva molto, continuava a brontolare
rabbiosamente con Angelica. Adesso s'irritava perchè rimaneva
muta e aveva la faccia intontita.--L'emicrania--borbottava--era
stata una scusa. Non era per lui certamente, per il dolore della
sua prossima fine che si era vestita di bianco e si era fatti i
ricciolini!--Stefanuccio voleva le caramelle col rosolio, e strillava.
Un po' più lontano, seduta sul muricciolo del terrazzo, la Mary
discorreva piano con Giulio Barbarò che rimaneva in piedi, dinanzi
a lei. I due giovani, un po' anche perchè ci erano avvezzi, non
badavano a quelle scene. Giulio era ritornato allora da Brescia, e
aveva portato alla signorina certa musica e alcuni libri, di che essa
lo aveva pregato. E sfogliando i libri e la musica più di una volta
era successo che le dita del giovane avevano incontrato la mano della
fanciulla; e più di una volta alzando la testina dai bei capelli
castagni ondeggiati, la Mary avea sorriso amorosamente all'amico suo
che, sempre un po' timido, non la poteva guardare senza arrossire.

Giulio Barbarò non si era fatto un bel giovane. Aveva il viso
palliduccio, la figura esile e sembrava più piccolo della Mary; ma
quando la fanciulla lo guardava co' suoi occhioni che avevano la
lucentezza morbida del velluto, egli pareva trasformarsi; pareva che
un nuovo calore, una nuova vita si diffondesse in lui e il suo viso
diventava piacente, tanto era l'amore profondo e la docile bontà che
allora esprimeva.

I due giovani continuarono così molto tempo a sfogliare i libri e a
discorrere quietamente, e il marchese Alberto, addormentatosi, avea
finito di brontolare, quando si udì un rumore di passi: Stefanuccio,
seduto sulle ginocchia della mamma, si fermò subito dal succhiare la
caramella e come un cane di guardia puntò chi si avvicinava.

Era il signor Pompeo, umile e cerimonioso, che veniva a informarsi
della salute del marchese Alberto e a presentare i suoi omaggi alla
marchesa Angelica.

Il Collalto si destò subito e, sbadigliando, guardò in giro cogli occhi
pesi.

--Oh _bon dì_, sor Pompeo!

--Sono dispiacentissimo!... Ella riposava un poco, e io l'ho
disturbato....

--Chè! Non dormivo; non dormo mai!... Ho troppi pensieri; troppi
dolori.... E poi, presto, avrò tanto tempo da dormire!...

--Che cosa dice, che cosa dice mai, signor marchese!... Questi,
scusi, sa, sono brutti pensieri che bisogna bandir dalla mente. Ella
è giovane; la gioventù è un gran rimedio e vivrà, diamine, vivrà
lungamente, per tutti coloro che le vogliono bene!...

--Allora potrei crepar domani,--borbottò il Collalto a mezza voce; poi
con un cenno di mano si chiamò vicino il signor Pompeo, che si curvò
sulla carrozzella, e gli domandò all'orecchio:

--E così?

--Ho potuto trovare duemila lire.

--Be'.... per il momento basteranno....

--Dopo giri e rigiri--continuò il Barbarò sempre a bassa voce--le ho
avute a Desenzano, da un mio amico.....

--Bravo bravo, signor Pompeo!

--Ma....

--Ma?

--Ho un dispiacere, signor marchese....--Il Collalto guardò Pompeo con
piglio diffidente.--Dovrò forse farla andar in collera....

--Che c'è di nuovo?

--No, no; niente di nuovo; ma, come al solito, dovremo ricorrere alla
firma della signora marchesa....

--Usurai villani!--grugnì il Collalto stizzito.--La mia firma è stata
sempre onorata a Vienna, a Parigi, a Londra, e non deve bastare a
Desenzano!

--Pur troppo, signor marchese; pur troppo non basta più e, come ho
avuto il dolore di doverle dire altre volte.... il trovar danaro mi
riesce ogni giorno più difficile.... Sarebbe proprio necessario, signor
marchese....

--Va bene, va bene; ho capito.

--Ma....

--Ne discorreremo un altro giorno, quando mi sentirò meglio....

--E se fosso troppo tardi, signor marchese?...

Il Collalto guardò per un momento il Barbarò con apprensione, ma
parendogli di scorgere un sorrisetto balenare negli ocelli furbi
si riconfortò, e sdraiandosi nella carrozzella mormorò quasi
piagnucolando:--Mi sento tanto male.... ho la vita rotta dai
dolori!--poi, rivolgendosi alla moglie:--Angelica--le disse--il signor
Barbarò avrà da parlarti.

Angelica guardò con inquietudine Pompeo che le si era avvicinato, e gli
domandò:

--Ancora?

L'altro abbassò il capo sospirando e soggiunse piano:

--Devo parlarle, signora marchesa: è assolutamente necessario che le
parli.

--Mio Dio!... Lei mi spaventa, signor Pompeo!

--Mah!...--rispose il Barbarò e, sospirando una seconda volta, indicò
il marchese col volgere degli occhi--non mi ha mai voluto ascoltare!...

--Ebbene, fra un quarto d'ora torneremo in casa; se vuol venire
l'aspetterò nel mio salottino.

--Grazie, signora marchesa,--balbettò Pompeo con voce sorda.

Sulle gote verdognole gli passò un guizzo di foco, ma non osò guardare
in viso Angelica. Si avvicinò invece alla carrozzella e inchinandosi
per salutare Alberto gli disse sommessamente:

--Vado e torno; consegnerò il danaro alla signora marchesa.

--_Bon dì_, sor Pompeo!--rispose il Collalto senza nemmeno voltarsi, e
continuando col cannocchiale a guardare Garda, Sirmione, Solferino, e a
cercare i paeselli della riva veronese.

Pompeo era così confuso che andò via senza pensare di salutar la Mary.
Il colloquio, cui era stato volontario spettatore, aveva attizzato
d'odio e di gelosia la sua passione brutale; era in trepidazione
aspettando il momento di trovarsi con Angelica; le mani gli tremavano,
gli ballavano le gambe, aveva le fiamme in viso, non sapea più che cosa
si facesse. Ogni poco guardava l'orologio, ma la mezz'ora d'indugio
che per convenienza si era assegnata, non passava mai; si spazzolò
l'abito, spolverò le scarpe, ravviò i capelli lustrandoli con due colpi
del cerone nero e poi guardò di nuovo l'orologio.... La mezz'oretta
era trascorsa. Allora, invece di essere contento, sentì crescere
l'agitazione.

--Ma se poi la marchesa non avesse voluto accettare le sue proposte? In
tal caso.... tanto meglio!... Tutti quattrini risparmiati!--pensò il
Barbarò che voleva premunirsi in caso di sconfitta.--Tutti risparmiati;
e se la marchesa non vorrà pensare al suo interesse, io farò il
mio!... Ma non è possibile; non le resta più, quasi, da vivere e sullo
zio Diego non c'è da fare assegnamento. Buone parole e complimenti
assai, ma fastidi non se ne piglia per nessuno! Non credo che per un
capriccetto sia poi disposta a stentare e a sacrificare suo marito e la
sua _mummietta_....

Quanto a sè, il signor Barbarò aveva la coscienza di non poter essere
più generoso. Erano rari i "minchioni" che per i begli occhi di una
donnina sarebbero stati disposti a sobbarcarsi a tanti sacrifici. E
poi, alla fine, egli giocava a carte scoperte; non faceva il _gesuita_;
non adoperava sotterfugi; e la marchesa doveva riflettere quietamente a
ciò che meglio le convenisse di fare.

Guardò un'altra volta l'orologio: poteva aspettare ancora cinque minuti.

"Era proprio vero che l'amore lo rendeva un gran minchione!" E intanto
colla cocca del fazzoletto di tela grossa colorata, bagnata di saliva,
si lustrava gli anelli delle dita. "Minchione...." ma non al punto, per
altro, che una volta accettati i suoi patti la biondina potesse sperare
d'ingannarlo. Oh i cancelli di Villagardiana sarebbero stati chiusi
per tutti, e avrebbe pensato lui a tenerla d'occhio e a impedire le
passeggiate mattutine! Non ci sarebbero state più lettere: col capitano
doveva finire ogni corrispondenza. E se al bel damerino spiantato la
pillola sembrava amara, li mettesse fuori lui i quattrini. A buon
conto, quell'altro non aveva che chiacchiere, mentre lui si faceva
avanti coi fatti!... Se la marchesa aveva un po' di testa doveva capire
che "quel bonomo del signor Pompeo" era una provvidenza per lei!... A
Villagardiana avrebbe sempre figurato di esser lei la padrona!... E
mediante la cessione da parte dei Collalto di tutto il loro patrimonio,
egli avrebbe fissato al marchese un assegno vitalizio col quale
avrebbero potuto vivere comodamente, e con decoro.... Poi, era un
galantuomo e, morto il marito, l'avrebbe sposata. Il marchese poteva
morire fra qualche mese, gli aveva detto il medico, e poteva campare
anche dieci anni.... ma al modo onde intendeva regolar le cose avrebbe
potuto aspettare. Intanto non avrebbe perduto tempo e.... avrebbe
abituata la marchesa ad essere economa, e a condursi come piaceva a
lui....

--Morrei!... morrei!...--ripetè poscia fra sè pensando all'addio che
aveva dato Angelica al Martinengo.--Tutte smorfie.... Un po' di
lucciconi in sulle prime, e poi colla vita quieta si farà più grassa!...

Ma quando, preceduto dal cameriere che gli aprì l'uscio, e sparve
subito, il signor Pompeo entrò nel salottino della marchesa, non era
più tanto sicuro.

Colle persiane socchiuse e le tendine calate, il salottino era avvolto
in un'oscurità piacevole e tranquilla, e odorava del profumo proprio
della marchesa: quel profumo che spirava dalle sue vesti, dalla sua
persona, da tutte le cose sue....

E ogni oggetto raccolto nella elegante stanzetta, dai ritratti dei
parenti e degli amici; dalle preziose anticaglie, dai gingilli, dalle
galanterie che riempivano gli scaffali e i palchettini dorati, fino
ai ninnoli, ai fiori, ai libri riccamente rilegati della piccola
scrivania, tutto, si capiva subito, era stato scelto e messo a posto
dalla marchesa; tutto, là dentro, apparteneva a lei esclusivamente; e
pareva proprio che le mani gentili che toccavano sole quegli oggetti
e la predilezione un po' gelosa che aveva Angelica per le cose sue,
infondessero nell'armonico complesso come una fisonomia particolare.

Il Barbarò, in quella semi-oscurità, distinse solo la marchesa per il
suo abito bianco, e si avvicinò alla scrivania dov'era seduta, urtando
in una poltroncina.

--Oh, come son balordo!... Perdoni, signora marchesa.

--S'accomodi, signor Pompeo!... È forse troppo buio, non è vero?...

--No, no!... Ci si vede benissimo! Soltanto venendo dalla strada, al
primo momento si resta un po' confusi....

--S'accomodi.--E Angelica gl'indicò la poltroncina presso la scrivania;
quella che gli era andata fra le gambe.

--Grazie, obbligatissimo!--rispose il Barbarò sedendosi e cercando il
posto dove mettere il cappello, che finì poi per tenere sulle ginocchia
mentre frugava nella tasca interna dell'abito e tirava fuori il
portafoglio grosso di bulgaro. Lo aprì, ci ficcò dentro gli occhietti
storti, e con due dita prese una cambiale e due biglietti di banca che
pose sulla scrivania, dinanzi alla marchesa.

--Devo ancora firmare?--domandò Angelica, guardando il Barbarò con viva
inquietudine.

--Se la bontà sua vuole farmi questa grazia....

--Ma senta, signor Pompeo, ella desiderava spiegarsi con me; poco fa mi
ha detto, anzi, che ciò era assolutamente necessario. Parli dunque, la
prego; mi dica tutto.

--Ecco.... per.... ecco....--Il Barbarò, impacciato, non sapeva da che
parte incominciare.--Il signor marchese non ha mai voluto farmi l'onore
di ascoltare i miei consigli e siamo arrivati al punto.... Sicuro,
tutte le volte che mi credevo in obbligo di accennare allo stato
deplorabile del suo patrimonio....

--Stato deplorabile?--ripetè Angelica sbigottita.

--Deplorabilissimo, signora marchesa!--esclamò il Barbarò traendo un
grosso sospirone e alzando gli occhi verso i putti del soffitto.

--Per carità, signor Pompeo, per carità, non mi faccia morire!...

--Diavolo; come la marchesa ha la morte facile!--pensò l'altro fra sè;
poi, brevemente, facendo prima notare che i registri erano in pieno
ordine e che la signora marchesa avrebbe potuto verificare l'esattezza
di quanto le andava esponendo, e avendo cura di ripetere sempre che il
signor marchese "quel che voleva, voleva" e non gli avea mai lasciato
dire le sue ragioni, concluse colla fredda eloquenza delle cifre che
l'ammontare dei debiti che aggravavano Villagardiana superava il valore
del possesso, anche stimandolo assai alto.

--Ma, signor Pompeo,--esclamò Angelica colle lacrime agli occhi,--ella
diceva sempre che Villagardiana doveva essere la nostra fortuna?!...

--Sicuro; Villagardiana doveva essere la fortuna della nobile casa;
ma, ma, ma.... Pur troppo i ma sono parecchi!... Prima di tutto non
son profeta, e non potevo certo prevedere che per tre anni consecutivi
ci dovesse colpire la grandine!... Non potevo prevedere nemmeno il
fallimento della ferriera di Dardanello che ci ha lasciato in asso
colla torba e.... E infine, scusi, signora marchesa, non avrei potuto
immaginare l'ostinazione del signor marchese nel non voler mai, mai
una volta, aprire gli occhi!... Appena mi arrischiavo a toccare il
tasto dell'economia, montava subito in furia e, quanto a me, oltre
al rispetto e alla soggezione grandissima che ho sempre avuto per il
signor marchese, ho una natura, lo confesso, piuttosto timida, e basta
una parola per chiudermi la bocca!

Angelica, pallidissima, era atterrita e accasciata.

--Poi--continuò il signor Pompeo dopo un momento di silenzio in cui si
era soffiato il naso e asciugato gli occhi--poi il signor marchese,
poveretto, si è ammalato e allora lei stessa, marchesa, mi ricordo
benissimo, mi ha detto, un giorno, che vagamente ho tentato di
condurre il discorso sugli affari, mi ha detto di non infastidire il
signor marchese, di non irritarlo a motivo dei suoi nervi....

--Il momento, me ne ricordo, non mi pareva opportuno, e poi anche dal
tono del suo discorso, non avrei mai creduto che si potesse arrivare a
una simile catastrofe.

--Catastrofe: è proprio la vera parola.

Il signor Pompeo ormai era a cavallo, e trottò via speditamente nella
sua esposizione finanziaria, riuscendo nello stesso tempo a convincere
Angelica che tutta la colpa di quella gran disgrazia doveva attribuirsi
principalmente al signor marchese che non lo avea mai voluto lasciar
parlare, e anche un pochino alla signora marchesa che non aveva dato
importanza a certe mezze frasi, a certi sospiri pieni di sottintesi
del signor Pompeo, che pure avrebbero dovuto essere altrettante
rivelazioni. E quando tacque, finalmente, mostrandosi molto commosso e
addolorato. Angelica, appoggiata coi gomiti alla scrivania, col capo
fra le mani, scoppiò in un pianto dirotto.

--Povero figliuolo mio!... Povero il mio figliuolo!

E nella disgrazia che la colpiva proprio in quel giorno, vedeva adesso
la collera, la punizione del cielo; e pur non potendo strapparsi dal
cuore l'immagine di Andrea, che anzi fra le lacrime pareva farsi ancora
più viva e vicina, sentiva diffondersi nel dolore, nella disperazione
sua lo sgomento pauroso del rimorso.

Pompeo la guardava, la guardava fisso, e un bruciore gli saliva
sulle gote, alle orecchie, a tutta la testa. La voce di Angelica
nel piangere, nel lamentarsi, aveva intonazioni incantevoli. Così,
com'era chinata, col capo fra le palme della mano, egli le vedeva la
nuca bianchissima trasparire fra i capelli biondi e più giù, sotto la
cravatta di trine, dentro l'abito un po' sollevato, il collo morbido
che fremeva palpitante per l'urto dei singhiozzi.

Allora Pompeo col respiro grosso, affannoso; cogli occhietti accesi,
si curvò per farsi più vicino, e colle dita tremanti osò toccarle un
braccio.

--Coraggio.... si faccia coraggio.... signora marchesa....--borbottò
con voce rauca.

--Oh per me.... lo avrei il coraggio! Fossi sola mi sentirei forte,
sopporterei tutto; ma è il pensiero del mio bambino, del povero bambino
mio che mi spezza il cuore!...

Pompeo sollevandosi un po' e tirando forte la poltroncina per la
frangia, si fece ancora più vicino e con tutta la mano prese il braccio
della marchesa che continuava a piangere e a singhiozzare.

--Io.... io ho avuto sempre molta affezione per.... lei....

--Oh so, so ch'ella è buono!... buono assai!

Pompeo alzò la mano, le sfiorò il braccio dove usciva nudo dalla
manica corta, e continuò sempre balbettando, e colla voce sempre più
strozzata:--Se.... se volesse ascoltarmi si potrebbe.... sarei disposto
a tutto per.... per salvarla....

--Oh signor Pompeo, se ancora è possibile ci salvi, non ci abbandoni, e
avrà tutta la gratitudine, la riconoscenza di una madre!--Angelica avea
presa una mano del Barbarò, e lo guardava supplichevole premendola sul
cuore.

Pompeo non intese bene o intese troppo a modo suo quelle parole che
l'estremo della disperazione rendeva così espansive. Rosso in viso,
inebriato da quella bellezza ancora più attraente nel disordine del
dolore, strinse più forte il braccio di lei, poi, all'improvviso,
l'attirò contro il suo petto stringendola forte fra le braccia, e la
baciò violentemente sui capelli della nuca, sul collo, mormorando:

--La salverò!... Sarà padrona lei di tutto! come prima....

Angelica, sorpresa, sbigottita ed anche impaurita in sul primo momento,
diè solo un urlo che le restò strozzato in gola; ma poi subito, colla
forza che le dava il ribrezzo, riuscì divincolandosi a liberarsi e a
respingere il Barbarò lontano da sè.

--Fuori!... Fuori!...--pallida, fremente, non poteva dir altro
indicandogli l'uscio.

Pompeo, sconcertato e confuso, cercava il suo cappello, che era
ruzzolato fino ai piedi di Angelica. Curvo, senza più guardarla, si
avvicinò per prenderlo mentre la marchesa scostandosi rabbrividita come
alla vista di un rettile, ripetè:

--Fuori!...

--Subito.... subito.... cerco.... prendo il mio cappello....

--Fuori!... Fuori!...

Ma nell'avviarsi il timore istintivo di uno scandalo vinse il
turbamento di Pompeo e voltatosi mormorò:--Se parla lei, parlerò
anch'io!... Stamattina.... l'ho veduta....

Era tanto il turbamento e lo sdegno di Angelica, ch'essa non badò
nemmeno a quella minaccia.

--Fuori!... Fuori!...

Invece, in quei pochi istanti, Pompeo era riuscito a rimettersi.

--Diavolo! non doveva aver paura d'una donna, e il marchese non gli
poteva correr dietro in carrozzetta per bastonarlo!--Allora vedendo i
denari ancora sulla scrivania li prese, e cacciandoli in tasca disse
alla marchesa con voce malferma e senza guardarla in viso, ma pure con
un sogghignetto che già gli spuntava sulle labbra:

--Penserà lei a scusarsi col signor marchese per non aver voluto
firmare.... Badi, per altro, di non tirarmi in ballo.... in tal
caso.... parlerò anch'io!

--Fuori!... Fuori!...--ripetè Angelica che non capiva, non sentiva
altro che l'orrore che le ispirava quell'uomo. Il Barbarò uscì, chiuse
la porta, ma allora, nell'allontanarsi udì uno scoppio di pianto.

In fretta, e internamente un po' vergognoso ad onta di tutta la sua
impudenza, egli andò dritto nel suo studio e vi si richiuse. Poi, per
un momento, si fermò in mezzo alla stanza muto, immobile, ancora col
cappello in testa, a pensare.... Il tentativo gli era andato maluccio;
aveva sbagliato i suoi calcoli.... E si sentiva il petto gonfio,
oppresso, e dinanzi a' suoi occhi pareva distendersi un gran buio, un
grande squallore.... Ma presto riuscì a vincersi, e alzando le spalle
e gettando il cappello sul sofà pensò che stava proprio per commettere
una grande minchioneria.

"Quella donna infine, avrebbe imbrogliato i suoi affari! Egli,
nientemeno, correva il rischio di rimetterci Villagardiana!"

Allora pensò di scrivere subito al suo avvocato e di non aver più altra
mira che l'utile proprio.... Ma coll'utile proprio provvedeva anche
alla sua vendetta e per ciò, risoluto a pigliar le cose allegramente,
si fregò le mani, e cominciò a fischiettare.

Cavò poi di tasca il portafoglio, lo aprì, prese i due biglietti da
mille lire, e mormorò sventolandoli:--Tanti risparmiati!... Tanti
risparmiati, signora marchesa!... Con questa roba me la rido delle sue
smorfie e posso averne delle donne quante ne voglio!... Ah, Ah!...
l'aristocratica disprezza il danaro?... Non vuol capire che il danaro
è tutto a questo mondo? Preferisce le parolette dolci? Stupida; me lo
saprà dire più tardi!...

A questo punto gli balenò un pensiero che lo tenne nuovamente
sospeso:--E se una volta che cominciasse a provare lo strettezze e
le privazioni, mutasse parere? Ma non volle abbandonarsi troppo alla
speranza, e tornò ad alzare le spalle.--Chè! Chè! Anche lui aveva il
suo amor proprio, e non ci sarebbe ricaduto in quelle reti! Stava
proprio per commettere uno sproposito grosso!

--Tornate a casa, figliuolini miei, e non vi perdete mai più dietro
alle donne!--diceva poi ai due biglietti da mille lire, nell'atto di
riporli nello scrigno. --È una cattiva speculazione; perchè le donne
costano sempre più di quello che valgono!

E chiuso lo scrigno tornò a fischiettare e a cantarellare:--Tanti
risparmiati!... Tanti risparmiati!...

Ma non c'era verso; l'allegrezza non gli voleva scendere in fondo al
cuore; anche dopo avere scritto all'avvocato non era contento della sua
vendetta e pensava al modo di sciogliere "quella tresca" della marchesa
con Andrea Martinengo.




XI.


Appena Angelica potè reggersi corse subito presso il marito, e
febbrilmente, con parole tronche e concitate, gli raccontò quanto le
era accaduto.

--Mascalzone!... Brigante!... Lo caccerò via a calci, come un
cane!--esclamò il marchese, dimenticando, nel suo furore, che i piedi
e le gambe non gli servivano più nemmeno per camminare.--Quanto
a Villagardiana, prima che se ne impadronisca l'avrà da far con
me;.... farabutto! Non sono una donna io, e non mi lascio intimorire.
Chiamerò il nostro avvocato; e colui gli dovrà mostrare tutti i libri
dell'amministrazione; gli farò causa, proverò che è un ladro e lo farò
mettere in prigione!

--Ha in mano per più di sessantamila lire di cambiali: non c'è altro
da fare che pagarlo!--rispose brevemente la marchesa, la quale vedendo
come il marito continuasse nel solito metodo di pascersi d'illusioni
per risparmiarsi fastidi, credeva ormai necessario di venire alle
strette.--Non c'è altro da fare che pagar tutti i nostri debiti, o non
rimanere un minuto di più a Villagardiana....

--Ma prima voglio vedere i conti....

--Villagardiana, se non si paga, è roba sua! Pensa se possiamo rimaner
qui un minuto di più!

--Ti ha mancato di rispetto per altro!... Ha tentato di baciarti....

--Sì, ma io l'ho respinto: l'ho scacciato!...--mormorò la marchesa,
che dinanzi al pudore non voleva più nemmeno ammettere di essere stata
toccata.

--Prima di tutto mi dovrà rendere ragione!

--No; prima di tutto bisogna pagarlo!

--E tu credi a ciò che t'ha detto quel tartufo col proposito di
spaventarti?... Non capisci che sperava approfittare della mia
infermità, e della tua ignoranza?--E il marchese smaniava gridando
che voleva tirare una revolverata al Barbarò. Ma poi, vedendo che non
riusciva a commuovere la moglie, la quale rimaneva fredda a quelle
smargiassate, cominciò a sgomentarsi anch'esso, e calmandosi a un
tratto le domandò con un altro tono di voce:

--Dunque.... dunque non c'è scampo?... Siamo rovinati?

Angelica rispose appena con un cenno del capo; ma tanto eloquente per
il marchese da spingerlo alla disperazione.

--Ah mio Dio! mio Dio!--esclamò gemendo e dimenandosi sulla poltrona
dov'era sdraiato.--La rovina; la miseria!--e si rivoltò furioso contro
Angelica rimproverandola perchè non sentiva pietà del suo stato.
Se avesse avuto solo un po' di cuore, avrebbe cercato ogni via per
nascondergli una così terribile disgrazia!... Per lasciarlo morire in
pace! Ma poi pensando che non gli rimaneva più altro da sperare che
in sua moglie, e nella subitanea esaltazione avendo paura di essere
abbandonato, scoppiò in un dirotto pianto e le domandò perdono come
un bambino, dicendole che era il male, il gran male che si sentiva
addosso, che lo rendeva nervoso e irascibile.

--Dove andremo, mio Dio?... Dove mi condurrai?...--Sbigottito le prese
le mani; e ricordando le parole di Angelica, gli parve di trovar ancora
un filo di speranza, e le domandò con grande ansietà:

--Hai detto che bisogna pagare tutti i nostri debiti.... Dunque credi
che, forse, si potrebbe ancora trovar il modo di.... di.... farlo?

Angelica rimase muta, pensosa.

--Cerchi un qualche ripiego?... Pensaci! Pensaci!... Hai tanto ingegno,
tanto criterio!... Anche il signor Bernardi, il nostro ragioniere
di una volta (quello sì che era proprio un galantuomo!) anche lui
aveva molta stima di te!... Dimmi, ordina che cosa devo fare, e io ti
obbedirò ciecamente!

Angelica, dopo alcuni istanti di silenzio, un po' titubante e scotendo
il capo come per mostrare che, sebbene tenuissima, quella sua speranza
era pur la sola che ancora restasse, disse a mezza voce:

--Non ci sarebbe altri che lo zio Diego.... Se ci volesse aiutare!...

--Oh Dio! Dio mio!--esclamò il marchese Alberto stirandosi
dolorosamente.

--Pure.... ci vuole molto bene....

--Lo zio Diego vuol molto bene a tutti, quando non c'è da scomodarsi!

Angelica, quantunque non volesse abbandonarsi a troppe illusioni,
tuttavia pensò e fece osservare al marito che alla fin fine non avevano
alcun motivo per credere che lo zio fosse proprio senza cuore. Anche
nell'occasione di quella malattia d'Alberto, egli aveva scritto per
aver notizie. Non tralasciava mai di mandare un bellissimo mazzo di
fiori il giorno onomastico di Angelica e un telegramma per la festa di
Alberto, e diceva a tutti che Stefanuccio sarebbe stato il suo erede,
il successore. Di più, lo zio Diego aveva molto a cuore il lustro della
famiglia, ed anche per ciò, forse, si sarebbe lasciato indurre a fare
qualche sacrificio.

--E poi--soggiunse Angelica--non avrebbe potuto pagare tutti i debiti
che gravavano Villagardiana entrando, senz'altro, in possesso del
fondo?... Così forse, almeno, non sarebbe perduto per Stefanuccio!...

--Sicuro; e anch'io, non è vero? ci potrei rimanere questi pochi giorni
che mi restano da vivere!...

Il marchese non sperava nulla dallo zio Diego, pure fingeva di
lasciarsi persuadere dalle ragioni di Angelica, per guadagnare almeno
un po' di tempo.

--Bisognerebbe scrivere allo zio.... che uno di questi giorni, con suo
comodo, desidererei vederlo.... a Villagardiana.

--No, no; non c'è tempo da perdere!--rispose Angelica
vivamente.--Domattina colla prima corsa andrò io a Milano, e gli
parlerò!

Questa proposta e la fretta di Angelica tornò a far andar in bestia il
marito.

"Lei già quando si era messa in testa una cosa non c'era più bene;
non voleva capire che negli affari bisogna riflettere assai, prima di
muovere il primo passo!"

Ma la marchesa questa volta lo lasciò brontolare e gridare a sua posta,
senza cedere d'un punto: essa gli dichiarò esplicitamente, che non
dovevano aspettare un giorno di più a mettere ben in chiaro il loro
stato.

--Se lo zio non ci potrà aiutare--concluse con fermezza--è per altro
l'unico nostro parente e siamo in dovere, anche per non pregiudicare
l'avvenire di Stefanuccio, di metterlo a parte di questo nostro
disastro e domandargli un consiglio....

--Che consiglio ti vuoi aspettare da lui?!... Non è uomo da consigli
lo zio Diego! Finchè tu gli parlerai delle nostre disgrazie quel
vecchio ganimede non penserà ad altro che a farti la corte!--E vedendo
che Angelica rimaneva ferma nel suo proposito e che voleva partire ad
ogni costo, tornò da capo colla gelosia. Non voleva che la marchesa
andasse a Milano sola; voleva che prendesse con sè Stefanuccio, o che
si facesse accompagnare dalla Mary, o da Donna Lucrezia. Ma Angelica
continuò a mostrare in questa circostanza un'energia tutta nuova, che
fece colpo sul marchese. Essa gli rispose che non voleva prender con
sè Stefanuccio perchè sarebbe partita troppo presto;--di mattina,
all'alba, per poter essere di ritorno ancora in giornata, colla corsa
delle quattro;--e voleva che la Mary rimanesse a Villagardiana per
assisterlo durante la sua assenza. Donna Lucrezia era indisposta, poi
nel viaggio sarebbe stata un impiccio.

Alberto a quelle risposte così risolute, e con in cuore la paura
di essere rovinato, rimase confuso e quasi intimidito. Tornò a
rassegnarsi, a soffocare la gelosia, a mostrarsi docile colla
moglie, pregandola soltanto di non mancare alle sue promesse e di
essere proprio di ritorno subito subito. Egli l'avrebbe aspettata
coll'angoscia in cuore; non poteva vedersi solo, così smarrito ed
oppresso, sotto l'incubo di quella catastrofe.

Alla fine, pensando come Angelica mostrasse tanta sicurezza per il
convincimento di poter ottenere un buon esito dal viaggio, si abbandonò
a un tratto alla speranza che prima gli era sembrata assurda, e tutto
rabbonito le raccomandò più volte di dire e di ripetere allo zio Diego
che "se non faceva in modo che rimanesse a Villagardiana, sarebbe morto
subito di nostalgia!..."

Angelica aveva la febbre. A volte le pareva impossibile che lo zio,
così orgoglioso del nome comune, non li volesse aiutare. A volte invece
perdeva tutta la fede, tutto il coraggio, e vedeva distrutto per sempre
l'avvenire del suo figliuolo. Ma pure in mezzo a tanta agitazione c'era
un punto fisso attorno al quale correvano tutti i suoi pensieri e tutti
i suoi dolori: Andrea!... L'atto villano del Barbarò le rendeva ancora
più caro il segreto del suo cuore, e più strettamente la legava ad
Andrea. E quando la mattina dopo, sola sola nel suo coupé, passava da
Brescia, spinse il capo fuori dal finestrino e guardò con tenerezza
tutta quella città addormentata e avvolta dalla luce pallida e vaporosa
dell'alba.

"Che cosa faceva Andrea in quel momento? Forse dormiva ancora mentre
lei gli passava tanto vicina!... Come avrebbe voluto essere invisibile
per un momento.... e poter entrare inosservata nella cameretta di
Andrea....--Doveva essere tanto gentile e di buon gusto quella
cameretta!... E allora pensò che gli avrebbe scritto pregandolo di
dirle un po' com'era messo il suo quartierino.... Voleva sapere almeno
il colore delle stoffe e degli addobbi e lo stile dei mobili.... Voleva
potersi figurare tutti gli oggetti che lo circondavano e che gli erano
cari.... Insomma voleva colla sua mente poterlo _vedere dov'era_!"

Angelica arrivò a Milano che lo zio Diego era andato a letto appena
da poche ore. Il marchese non aveva mai perduto il suo tempo a fare
qualche cosa, e pure, alzandosi, come usava, quasi all'ora di pranzo e
andando a dormire dopo l'alba, si lamentava con tutti che le giornate
erano troppo corte, e al _Caffè Cova_, e al club, e ad ogni suo
ritrovo giungeva sempre affannato e in grande tardanza. Intanto la sua
_toilette_ richiedeva molte cure e non si poteva dire fossero spese
male, perchè il marchese Diego, alto della persona, magro, pallido,
d'un biondo che invece d'incanutire era diventato verdognolo, riusciva
ancora, veduto un po' da lontano, o in mezza luce, a sembrare quasi un
giovanotto, quantunque si avvicinasse molto alla sessantina.

Angelica, dopo essergli stata annunziata, dovette aspettare assai
nel salottino dello zio, prima di potergli parlare; e più volte si
era presentato il cameriere per dire alla signora marchesa, con una
solennità cerimoniosa, e sempre colle stesse parole e col medesimo
inchino, "che il signor marchese si scusava di doverla far aspettare
ancora un dieci minuti" e per domandarle se intanto abbisognasse di
qualche cosa.

--No, grazie. Dite al signor marchese che faccia pure tutto il suo
comodo; che non ho alcuna fretta,--rispondeva Angelica invariabilmente.

Adesso avrebbe quasi desiderato che lo zio non terminasse mai di
vestirsi; e quando sentiva camminare nelle camere vicine e poi
invece del marchese Diego vedeva comparire il servitore, provava in
sull'attimo come un senso di sollievo.

Sola e raccolta nel cantuccio del canapè, non alzava mai gli occhi
dal suo ventaglio, che continuava ad aprire e a chiudere con le dita
convulse tenendovi gli occhi fissi senza guardare; e in quel punto si
sentiva tanto agitata che non poteva più nemmeno pensare a ciò che
avrebbe dovuto dire per commuovere lo zio.

Il salottino, che sembrava quello di una signora, o meglio di una
_cocotte_, tanto era frivolo e mondano, tutto pieno di ninnoletti
eleganti e inconcludenti, di nudità non sempre artistiche e di ritratti
e di ricordi femminili messi in mostra con ridicola ostentazione, come
avrebbe fatto un fantino coi premi delle corse, non aveva mai attirata
la curiosità di Angelica in tutto quel tempo ch'era rimasta sola ad
aspettare.

Essa non osservava, non vedeva nulla, e il cuore le batteva sempre con
maggior violenza; e quando dallo scricchiolare delle scarpe indovinò
che quella volta non era il cameriere, ma proprio il marchese Diego che
stava per venire, fu presa da un subitaneo sconforto, da un avvilimento
strano.

L'accoglienza dello zio Diego fu affettuosissima. Egli non finiva
mai di scusarsi per averla fatta aspettare e mentre "valendosi dei
suoi diritti" le baciava galantemente la mano, metteva immediatamente
a disposizione dell'adorabile nipotina la propria casa, la propria
persona ed anche il proprio cuore, "pur troppo sempre giovane, anche
_fra le brine e fra le nevi_ della cadente età!"

Ma nemmeno le cerimonie nè la parlantina espansiva del marchese ebbero
virtù di rinfrancarla; e quando, in fine, dovette palesare il motivo di
quel suo viaggio. Angelica si sentiva debole, confusa e non sapeva più
trovare nè l'energia che fino allora l'aveva sorretta, nè gli argomenti
che prima le sembravano i più efficaci. Tuttavia, un po' balbettando,
un po' singhiozzando, riuscì a mettere a parte lo zio della trista
condizione in cui si trovavano; e gli riferì sinceramente il colloquio
avuto col Barbarò, tacendo solo dell'offesa che avea patita e che non
si sarebbe degnata di ripetere.

Il marchese intanto continuava a sorridere mostrando i bei denti finti
e guardando Angelica cogli occhi languidi, mentre le accarezzava una
mano affettuosamente; poi,--cara mia,--le rispose, sempre colla più
squisita affabilità,--tu sai bene che io non sono molto ricco; ho
appena lo stretto necessario per i bisogni miei, e se dovessi pagare i
debiti di tuo marito, allora capirai, bella nipotina, invece di uno, si
sarebbe in due a non averne più abbastanza!

Che cosa si poteva rispondere ad una logica tanto stringente nella sua
forma più amabile? Nulla; e così fece la povera Angelica. Essa chinò il
capo e nascose la faccia contro il cuscino del canapè balbettando, fra
i singhiozzi:--povero figliuolo mio!... povero il mio figliuolo!

Il marchese Diego la rimproverò allora dolcemente perchè si crucciava
in quel modo, a rischio d'ammalarsi, e la fece star ritta col capo,
perchè non le venisse l'emicrania.

--Coraggio, nipotina mia! non piangere così! Non voglio vederli colle
lacrime que' tuoi occhioni belli! Pensa, cara, pensa che tutte le
disgrazie di questo mondo (pur troppo parlo per esperienza) ho veduto
che hanno sempre due facce come il Giano Bifronte. Bisogna dunque,
se ce ne capita una, guardarla subito dalla parte buona.... e se ciò
non è possibile, aspettare che si volti! Intanto ecco, per esempio, un
primo conforto: il nostro nome, che giustamente ti sta molto a cuore,
come a me del resto, perchè se fosse in ballo l'onore del nome ti prego
credere che, occorrendo, venderei anche i cavalli, il nome dunque
rimane puro da ogni macchia. Non avete da pagarlo fino all'ultimo
soldo quel.... quel _Barbò_.... quel _Barabò_.... insomma quel vostro
imbroglione?

--Sì.... ma.... il decoro....

--Il decoro, sta bene, ma per mantenersi con decoro non è necessario
rimanere a Villagardiana, come vorrebbe farti credere tuo marito. In
quanto poi all'avvenire di Stefanuccio.... Ma non ti ho domandato
ancora se preferisci far colazione subito, o aspettare sino alle
dodici, che dev'essere, mi pare, la tua ora solita?

Angelica rispose ch'era indifferente, che non aveva proprio bisogno
di nulla, e allora il marchese suonò e ordinò al cameriere che la
colazione fosse pronta per il mezzogiorno. Poi continuò a parlare
girando per il salottino e prendendo qua e là dai vari vasetti alcuni
fiori coi quali cominciò a fare un mazzolino per l'Angelica.

--Dicevo dunque che all'avvenire di Stefanuccio ci penserò io.
Stefanuccio sarà.... il più tardi possibile, speriamo, sarà il mio
erede e.... Sicuro, nipotina mia, tu che hai tanto criterio, troverai
prudente che anche per questo riflesso io non debba intaccare il mio
patrimonio.--Così dicendo lo zio Diego aveva unita una rosa con un
ramettino di vaniglia e la mostrava all'Angelica.

--Guarda che bella rosa!

--Bellissima!--rispose la marchesa col viso ancora stravolto e pensando
a tutt'altro.

--È del giardino della Ninì Airaldi. Sai, la Ninì non è più bruna; è
ritornata da Parigi coi capelli chiari, quasi biondi, e ha finito tutto
col Manolo Visconti. Adesso, chi le fa la corte è il Gigino d'Atri,
e siccome tutti e due sono ufficiali di cavalleria, così a Milano la
chiamano la bella _saura_!

Angelica sorrise perchè lo zio rideva, ma senza badare a ciò che aveva
detto.

--Dimmi un po',--ripigliò il marchese dopo un momento, staccando alcune
foglioline da un ramoscello di giranio,--e la tua dote?... la dote è
inalienabile.

--Il babbo mi ha assegnato poco di dote: avrò tre.... quattromila lire
all'anno.

--Male, malissimo.... Mah!--e lo zio Diego sospirò, tagliando con una
piccola forbice i gambi del mazzolino--quel tuo genitore è sempre stato
un famoso egoista!... Per altro di tutta la sostanza Castelnuovo dovrà
rimanerti ancora qualche cosa?

--Sì.... quaranta.... cinquantamila lire....

--Ahi! Ahi!... Poco più di quanto spendevate in un anno?

--Sicuro....

Il marchese tornò a sospirare e offrì il mazzolino alla nipote che
lo infilò nell'abito, mormorando a capo chino e con la voce spezzata
di chi non spera più nulla:--Dunque.... devo proprio ritornare a
Villagardiana senza.... senza nemmeno una parola per.... per confortare
Alberto?...

--La parola, bella nipotina, che devi dire da parte mia a quel
tirannello balordo di tuo marito è una sola: Asino!... e ti prego di
non dimenticarla: Asino, Asino e caparbio!--soggiunse il marchese,
senza riscaldarsi, colla solita flemma, sorridendo sempre, mentre
tornava a sedere sul canapè, vicino all'Angelica.

Ci fu un momento di silenzio: lo zio Diego prese ancora una mano alla
marchesa, l'accarezzò ninnolandosi co' suoi ditini affusolati, e la
baciò.

--Allora senti, figliuola mia, che cosa si potrebbe combinare: io sarei
disposto ad assumere.... l'educazione di Stefanuccio.... Quanti anni ha
il nostro caro bambino?

--Sette anni.... a momenti....

--Sette anni?!--esclamò il marchese maravigliato....--Come vola il
tempo, Dio buono!... Sette anni!... Hai già un figlio di sette anni?...
A vederti, nessuno lo direbbe. Sembri ancora una ragazza; uno splendore
di ragazza!... Dunque.... sicuro; dicevamo che fra un anno o due, si
potrebbe mettere Stefanuccio in un collegio... Nel collegio militare,
per esempio. La carriera militare è ancora la più conveniente al suo
nome e al suo stato; ed io m'incaricherò di tutto.

--E.... adesso?--balbettò Angelica guardando ansiosamente lo zio.

--Adesso potreste andar al mare tutti insieme, per un po' di tempo.
L'aria marina, chi sa, farebbe bene anche a tuo marito....

--E.... e poi?

--E poi, dopo, se ti piace, potrei mettere a vostra disposizione la mia
villetta di Gallarate. Intanto cercate di andare avanti col piccolo
capitale che vi rimane, facendo, s'intende, le maggiori economie....
quando poi non ce ne sarà più.... ne riparleremo.... Ma bada, figliuola
mia, che, assolutamente, devi prender tu le redini della casa. Tuo
marito non ha testa: hai veduto; s'è messo nelle mani d'un usuraio,
d'un birbaccione che lo ha rovinato. Sai, sul conto di quel vostro
_Barbò_.... _Barabò_.... _Barabao_.... non ricordo mai come si chiama,
se ne dicono di tutti i colori. Alcuni pretendono, figurati, che abbia
fatto anche la spia: queste, magari, saranno esagerazioni; ma è certo
uno strozzino di prima forza; e se devo parlarti proprio chiaramente,
io non venivo nemmeno più a Villagardiana per non trovarmi con.... con
una canaglia come quella.

Poco dopo l'orologio del salottino suonò le dodici e comparve
sull'uscio il cameriere, che dopo fatto il solito inchino, sollevò la
portiera:

--Oh, senti?...--esclamò allegramente il marchese.--Suona mezzogiorno!
Andiamo dunque a far colazione e bando alle malinconie!

Così dicendo offrì il braccio colla solita galanteria all'Angelica, e
passarono insieme nella sala da pranzo: di affari non se ne parlò più.

Durante la colazione lo zio Diego, mentre mangiava con buonissimo
appetito, riferì alla nipote che, pallida, cogli occhi rossi e col
petto gonfio pur qualche volta si sforzava di sorridere, tutti i
pettegolezzi del bel mondo milanese; discorrendo di mode, di cavalli,
di spettacoli, proprio come se Angelica avesse fatto quel viaggio
per suo divertimento. Poi fece attaccare il _landò_ scoperto per
accompagnarla in pompa magna alla stazione e volle fermarsi a tutti i
costi dal _Cova_, col rischio di farle perdere la corsa, dove prese
una bellissima scatola di dolci da "portare a Stefanuccio con tanti
bacini dello zio di Milano."




XII.


Quando Angelica ritornò a Villagardiana colla scatola di dolci e la
risposta dello zio, Alberto, come al solito, si sfogò prendendosela
con lei. "Era stata sempre una visionaria.... Non sapeva far altro
che sciocchezze!... Non glielo aveva cantato cento volte che a voler
sperare nello zio Diego era tempo perso? Ma lei no; era _dura di
bocca_, non si poteva domare, e mentre la casa era sossopra lei
pigliava una scusa qualunque per andar a viaggiare e a divertirsi!..."
E vedendo che Angelica, senza rispondergli, cominciava a ordinare
e a disporre i preparativi per la partenza di tutta la famiglia da
Villagardiana, egli strillò ancora più forte e infuriato le tirò contro
i cuscini della carrozzetta, il tappeto del tavolo, tutto quanto aveva
sotto mano. "Era lui solo, che aveva il diritto di comandare! Non era
in quel modo che si dovevano trattar gli affari! Voleva vedere i conti!
Voleva parlare coll'avvocato!... Voleva restare a casa sua!"

La marchesa lo lasciò dire e fare, ma si mantenne inflessibile. Essa
aveva già telegrafato a Brescia al loro avvocato perchè venisse subito
a Villagardiana e avrebbero avuto tutto un giorno, e anche due, e anche
tre, occorrendo, per potersi intender bene con lui. L'avvocato, ch'era
pure un vecchio amico della famiglia, doveva poi sovvenire una piccola
somma in acconto dell'attivo che sarebbe loro rimasto, per far fronte
alle prime spese dello sgombero e del viaggio.... Ma si doveva partire
assolutamente. "Per quanto il.... _quell'uomo_ avesse esagerato,
era certo, tuttavia, che Villagardiana non la potevano più tenere;
dunque.... _si doveva_ partire al più presto possibile!..."

Questa fermezza che al marchese Alberto pareva irragionevole e crudele,
quanto costava al povero cuore di Angelica! Il dover abbandonare--e
abbandonare per sempre--Villagardiana, la _sua casa_, dove aveva tutte
le memorie soavi e dolorose della vita; dove era morta la sua mamma,
dove era nato il suo bambino, dove incominciavano i primi ricordi
dell'infanzia e dove.... dove c'era anche l'ultimo ricordo, quello che
allontanandosi a mano a mano nel tempo, invece di dileguarsi si faceva
più vivo.... dove c'era _la loro_ stradetta tutta verde e fiorita
dinanzi al bel lago azzurro.... Oh! il dover abbandonare Villagardiana
era per il povero cuore di Angelica uno strazio senza nome!

Essa aveva molto sofferto, aveva molto pianto in quella casa; e
il luogo che ha veduto le nostre lacrime, che ha udito i nostri
singhiozzi, ci è caro come una parte di noi, ci è sacro come il
santuario dell'anima nostra! E Angelica doveva abbandonarlo nelle
mani del Barbarò il santuario dell'anima sua!... A questo pensiero
la poveretta sentiva ancora il bruciore dei baci che la facevano
rabbrividire. Essa, così gelosa, per un intimo senso di verecondia
e di dignità, di tutto ciò che la circondava e che le apparteneva
strettamente, vedeva il signor Pompeo passeggiare da padrone fin
nella camera sua! Lo vedeva frugare con una curiosità villana in
quel piccolo mondo così pieno della sua vita e della sua tenerezza;
lo vedeva mutare, buttar tutto sossopra, e le pareva che le cose più
care dovessero essere sensibili a quella profanazione e le guardava
lungamente, intenerita e addolorata. Certo, avrebbe raccolto e portato
via tutto ciò che la toccava più da vicino.... ma pure, quanta
parte di sè sarebbe rimasta in quelle mani. "E il Barbarò" pensava
"l'uomo abietto e maligno, l'aveva veduta con Andrea; possedeva il
suo segreto!... E se per vendicarsi lo svelasse a.... a qualcuno?...
Facesse pure; le azioni di quel malvagio non la toccavano."

Angelica non lo temeva; fra tanti dolori, fra tante angosce ci pensava
soltanto adesso, per la prima volta, alle minacce di quell'uomo; ma non
voleva curarsi di lui anche sapendo che le poteva far molto male. Non
era un uomo; era un rettile schifoso. Poteva morderla perchè essa non
era forte abbastanza per ischiacciarlo; ma pure non ci voleva pensare;
non voleva nemmeno pregar Dio che la salvasse da lui; aborriva persino
di mescolare l'immagine di quell'essere odioso alle sue orazioni.

E più della paura di Pompeo la tormentava il dubbio, che di tanto in
tanto le si affacciava alla mente, di poter essere stata tradita da
Donna Lucrezia. Ma era un dubbio tanto orribile e le faceva apparire
il mondo tutto così tristo che lo ricacciava subito spaventata. No,
no; essa voleva conservare la sua fede, le sue illusioni a costo anche
di essere ancora tradita!... Fra tutti coloro che la circondavano non
ci doveva essere stato altri di tristo che il Barbarò. Pure, da quel
giorno funesto, non avea più riveduta Donna Lucrezia, che era stata
prima a letto col dolor di denti poi, mentre Angelica aveva fatto la
sua corsa a Milano per parlare collo zio Diego, in fretta e in furia
era partita anch'essa con un'altra corsa, dicendo a tutti che avea
ricevuta una lettera in cui l'avvertivano che la Filomena era ammalata.
"Figurarsi! _L'appartamento_ era tutto aperto; le chiavi del guardaroba
e dell'argenteria erano in mano della portinaia; una pettegola
smorfiosa che avrebbe approfittato dell'occasione per ficcare il naso
da per tutto!" Era partita sola, affannata, senza la Mary e promettendo
al marchese che sarebbe ritornata "quanto prima."

--Ebbene--pensò Angelica fra sè, per un momento, dopo che Alberto
le ebbe riferito ciò che la Balladoro gli aveva detto nel
salutarlo--ebbene, passando da Milano condurrò io in persona la Mary da
Donna Lucrezia, e vedrò dal suo viso se proprio è stata lei che m'ha
tradita!

Ma in breve tornò a pentirsi e a provare rimorso de' suoi sospetti.
"Non doveva supporre la Balladoro così abietta; non ne aveva
diritto!... E poi, se proprio avesse pensato di tradirla, non poteva
approfittare della lettera, fingendo che l'una o l'altra si fosse
smarrita?... Invece gliele aveva consegnate tutte puntualmente! E,
in fine, a che pro doveva tradirla? Perchè?... Essa non aveva fatto
altro che del bene a Donna Lucrezia.... No, no! Era ingiusta coi suoi
sospetti! E questa persuasione alleggeriva di un gran peso l'animo
fiducioso di Angelica, e subito pensava che cosa avrebbe potuto fare
per Donna Lucrezia, volendo quasi compensarla dell'ingiusto suo
dubbio."

--Intanto, per altro, e senza perder tempo--continuava a riflettere
Angelica--avrebbe dovuto avvertire Andrea che non le mandasse più
le lettere a Padenghe, e che prima di scriverle ancora, aspettasse
le notizie e le istruzioni ch'essa avrebbe trovata la via di fargli
giungere appena potesse.... Dio, Dio! quanti avvenimenti, quante
disgrazie erano accadute proprio in quel giorno.... il primo, il
solo in cui si erano riveduti!... Come già aveva dovuto scontarlo
quel barlume di felicità.... E se tutto ciò non fosse altro che un
avvertimento divino?... Se fosse la punizione della sua colpa?

Angelica, a tale idea, rimase un po' scossa e impaurita, ma poi
stringendosi nelle spalle, alzò rassegnata al cielo i suoi occhioni
dolcissimi, in cui fra la mestizia scintillava un raggio d'amore.

"Ormai aveva promesso: sempre.... _sempre_, a qualunque costo!"

E così, ripensando ai giuramenti fatti e ricevuti, e alle appassionate
parole di Andrea, Angelica, dimentica d'ogni altra cosa, cedette
all'imagine che l'attraeva e alla seduzione che le penetrava nello
spirito e nel sangue con un languore invincibile. Vedeva ancora gli
occhi innamorati che la fissavano sfavillanti di tenerezza, e le pareva
di essere avvolta dalla loro luce, di essere riscaldata dal loro
calore, mentre la cara voce, morbida e insinuante, rendeva più forte
quel fascino, rendeva più soave quell'estasi. Allora, per un momento,
sentì come diffondersi intorno l'infinita serenità di quella tepida
mattina così piena di sole e d'amore; sentì inondarsi l'anima della
grande felicità che le era apparsa in un sogno incantevole; e come i
neri fantasmi della notte si dileguano al sorgere lieto dell'aurora,
così tutti i suoi dolori, tutti i suoi timori si acquetavano, si
allontanavano e svanivano a poco a poco....

Ma il mondo, che Angelica voleva dimenticare, si ricordava invece
sempre di lei; e il giorno stesso in cui i Collalto dovevano partire
da Villagardiana capitò una lettera anonima al marchese Alberto, colla
quale si avvertiva che sua moglie "_aveva una tresca con un capitano
d'artiglieria, che veniva apposta da Brescia per trovarsi con lei nei
boschetti solitari o nei casolari abbandonati._"

--Buffone!--mormorò il marchese che indovinò subito da chi gli doveva
arrivare quella lettera.--Buffone!... non le sa nemmen fare le
bricconate!

E il brutto tiro del signor Pompeo, perchè era proprio stato lui a fare
scrivere l'anonima da uno scritturale dell'Agenzia Micotti, ottenne
tutt'altro effetto da quello sperato.

La gelosia del marchese, sempre pronta ai sospetti più strani e
assurdi, rimase invece indifferente, per una contradizione naturale
al suo spirito debole e sconvolto, di fronte a quell'accusa troppo
specificata, e il suo cuore, come se si destasse allora dopo un
lungo sopore, provò, insieme a un impeto d'ira contro la calunnia
ignominiosa, anche un senso di compassione per la sua povera moglie,
tanto buona e tanto infelice.

--Povera donna!--e per un attimo gli si affacciò alla mente, come
rischiarata, la figura di Angelica, bella e soave nella sua compostezza
tranquilla; sempre così sicura di sè, così infaticabile e paziente e
sempre piena di cure amorose.--Povera donna!... E mentre, sdegnato,
s'infuriava contro la delazione falsa e iniqua, e contro l'enorme
ingiustizia, sentiva pure, per naturale conseguenza, quanto lui stesso,
e ben sovente, fosse stato ingiusto e inumano con lei, e se ne pentiva.
Quelle parole "_aveva una tresca_" erano poi tanto volgari nella loro
perfidia, che non avrebbero potuto mai, in nessun modo, suscitare la
sua gelosia per quanto credula; ma soltanto offenderlo gravemente, per
la grave offesa fatta a sua moglie.

--Anche questa lettera anonima è da mettere in conto per quando avrò le
gambe buone!--mormorò cercando di calmarsi e immaginò che "quel turpe
uomo del sor Pompeo" avendolo sentito spesso fare sfuriate di gelosia
contro Angelica, e non accorgendosi che erano soltanto i nervi che lo
facevano strillare, aveva pensato quel tiro vigliacco e birbone per
vendicarsi di lei e della buona lezione che gli aveva data.

--E mi crede poi tanto cretino da lasciarmi infinocchiare così
goffamente!--E il marchese si adirava contro "il sor Pompeo" anche
perchè questi pareva lo stimasse un gonzo, un balordo; e così un senso
d'amor proprio lo spingeva vie più ad essere e a mostrarsi indifferente
per quella letteraccia.

--_Un capitano d'artiglieria!_--borbottava mettendosi quasi di buon
umore.--Come mai quel villan rifatto è andato a pescare un capitano
d'artiglieria? Mia moglie non ne conosce neppur uno!... E poi, essa
non vede mai anima viva; e poi sono proprio io quel certo tomo che le
lascia il tempo di smarrirsi nei _boschetti solitari_, o nei _casolari
disabitati!_... _Un capitano d'artiglieria che viene apposta da
Brescia!_... E non sa, il gaglioffo, che Angelica ha fatto foco e
fiamme per partir subito da Villagardiana, e andare il più lontano
possibile!... Povera Angelica.... È proprio disgraziata!... Ma non
deve saper nulla di questa lettera.... le farebbe troppo male. In
questo momento poi, ha già tanti dolori, tante amarezze.... Povera
Angelica!--e il marchese Alberto abbruciò la lettera senza parlarne
mai con nessuno, e quando la moglie entrò in camera le disse, per la
prima volta, alcune parole buone di conforto, stringendole la mano con
gentile premura.

Quanto poi al viaggio che dovevano fare, il marchese Alberto aveva
finito coll'esserne contentissimo. Il medico, per compiacere alla
marchesa, gli aveva assicurato che l'aria marina lo avrebbe rimesso in
salute e perciò, dopo aver tanto gridato e smaniato, adesso che tutti
erano in lacrime per il dolore di quella partenza (compreso Stefanuccio
stizzito contro la mamma, che non voleva prendere col bagaglio anche
la mucca bianca del fattore) egli solo rideva e scherzava nella sua
carrozzetta; e se qualche volta brontolava, era per dire che appena
avesse riacquistato le gambe, sarebbe ritornato sul lago per aggiustare
certi conti nei quali l'avvocato non ci aveva da entrare.

Il signor Pompeo, frattanto, nascosto dietro le persiane socchiuse di
una stanza del suo quartierino, stava quasi tutto il giorno attento
e ansioso a spiare i preparativi di quella partenza, e pensava
all'effetto che avrebbe dovuto produrre la lettera anonima. Si rodeva
di non poterne saper nulla di preciso; ma la Balladoro, "maledetta
lei!" era proprio partita in que' giorni. Se fosse stata ancora a
Villagardiana egli l'avrebbe istruita opportunamente, sicchè gli
avrebbe potuto riferire tutte le scene che immaginava dovessero
accadere fra marito e moglie. Tuttavia era sicuro di essersi vendicato
bene.--Il Collalto--pensava--è geloso come una bestia, e se anche
colle smorfie e i piagnistei quella fintaccia riuscirà per il momento
a dargliela a bere, egli d'ora in poi starà in guardia, e madama farà
presto la frittata!

--Ah, ah!... e non è tutto, cara!--borbottava fra sè, arrabbiandosi
sempre più, ogni volta che vedeva Angelica uscir nel cortile per
dare qualche ordine alla gente che caricava la roba.--Tu speri di
sfuggirmi di mano?... T'inganni, bella mia; le mani del signor Pompeo
hanno le unghie lunghe, e ti acchiapperò sempre anche se scappi in
capo al mondo. Non sono contento finchè non avrò mortificata la tua
superbia; finchè non ti vedrò lì, prostrata a' miei piedi, a gemere
e a raccomandarti!... Buon viaggio; buon viaggio, madama!... Ma ci
rivedremo ancora, sai?!... Oh, se ci rivedremo!

Tuttavia, quantunque il signor Barbarò cercasse di sfogarsi col
pensiero della vendetta, que' bauli, quelle casse che vedeva ammontare
sopra il carro gli mettevano addosso, in mezzo a tutto il suo gran
furore, anche un senso di pena.

"Partiva.... non voleva proprio saperne di lui!... Lo aveva respinto,
scacciato!... Partiva fiera, sicura, inflessibile; senza esitare, senza
dire una parola, senza umiliarsi.... Anzi, pareva più superba!...
Come doveva amarlo quello spiantato per sacrificargli tutta la sua
vita! E come l'amore in quella donna, sotto quella corteccia fredda,
impassibile, doveva essere strano, appassionato, ardente!..." e il
Barbarò ricordava e ripeteva fra sè le parole dette dalla marchesa al
Martinengo: _Morirei!... Morirei!..._ "Chi sa? La matta, sarebbe forse
capace di morir per davvero!... E Villagardiana?..." Figurandosela
vuota come doveva restare dopo la partenza della marchesa,
Villagardiana gli sembrava meno bella e meno ridente. Ma lui, non
avendo più impicci, avrebbe disfatto mezzo il giardino per coltivarlo a
viti, chè voleva gli fruttasse anche quello. E intanto si era fermato
sopra pensiero a rodersi le unghie, quando fu scosso da un rumore di
passi e dalla voce di Giulio che entrava nella stanza.

--Che vuoi?--domandò Pompeo al figliuolo, con un fare molto seccato, e
senza muoversi dalla finestra.

--Volevo.... volevo parlarti....

--Chè! Adesso non è il momento; non ne ho voglia. Parlerai stasera, a
tavola!

--Scusa, babbo, ma.... occorrerebbe proprio che ti parlassi ora,
subito....

Sebbene la risposta fosse data colla solita timidezza rispettosa e
quasi paurosa, l'ardire stesso di quell'insistenza fece colpo sul
Barbarò che scostandosi dalla finestra e fissando Giulio maravigliato,
gli si avvicinò domandandogli piano:

--Che c'è?

Giulio, cogli occhi bassi, un po' tremante e tossendo prima per
schiarirsi la voce che non gli voleva uscire dalla strozza, balbettò in
fretta, quasi col timore che l'altro lo fermasse a mezzo:

--Volevo dirti se non sarebbe il caso, visto che i Collalto sono anche
parenti della signorina Mary, di cercare di.... di aiutarli.

--Aiutarli?--domandò il signor Pompeo sgranando gli
occhietti.--Aiutarli?... In che modo?

--Io e la signorina Mary,--rispose Giulio parlando ancora più in fretta
e colla voce sempre più soffocata,--siamo disposti a tutti i sacrifici
possibili per aiutare la marchesa Angelica, e occorrendo, pur di
raggiungere questo fine, ti abiliterei anche a... a impiegare la mia
parte del.... la mia parte di....

--La tua parte?--interruppe ancora il Barbarò che non capiva, o voleva
fingere di non capire.

--La mia parte di.... del patrimonio che mi hai fissa.... che vorrai
assegnarmi.--Il povero ragazzo non aveva più fiato.

--Benissimo!... Si comincia a fare i conti a babbo morto?...

--No, no; non volevo dir questo!--esclamò Giulio vivamente.

--Allora t'insegnerò, cara la mia marmotta--seguitò Pompeo
riscaldandosi e senza dargli retta--t'insegnerò a non dir quattro
finchè non è nel sacco; cioè ad aspettare alquanto prima d'allungar
le mani sulla roba di tuo padre, perchè potresti correre il rischio
di rimanere con un palmo di naso!... Non devi dimenticare che alla
tua età io mi guadagnavo il pane, e che tu invece trovi sempre la
minestra scodellata. Non devi dimenticare che ti ho data un'educazione
che mi costa un occhio; che ti mantengo come un milordino; e che sono
tanto babbeo, da chiuder un occhio sui tuoi capriccetti, benchè mirino
a tirare in casa una gonnella senza un soldo di dote.... Ma, ohi,
adagio, compare!... Non bisogna approfittarsene troppo della mia bontà!
Aspetta, aspetta prima di reclamare la tua fetta di torta, per il gusto
sciocco di cavar la fame ai disperati! Non so ancora, alla mia morte,
se e quanta ce ne sarà; ma per altro quel poco che ci sarà (se ci
sarà) è sangue mio; è frutto dei sudore della mia fronte; e siccome con
te ho già fatto più del dovere, così sta sicuro che se continuerai in
questo bel modo a darmi prova del tuo amore al risparmio, avrò premura,
prima di crepare, di non lasciarti neppur il becco d'un quattrino!

--Scusami, babbo,--rispose Giulio mortificato,--sono un po' confuso, te
lo confesso e non mi sarò spiegato bene!

--Ti ho fatto insegnare il greco, il latino, un monte di storie, e non
sei buono a farti capire?... Per Dio, gli ho spesi bene i miei danari!

--Scusami, babbo,--ripetè Giulio facendosi coraggio,--tu un giorno
hai dichiarato alla signora Balladoro che se si poteva combinare
il matrimonio fra me e la signorina Mary, saresti stato disposto a
fissarmi un buon assegno....

--Ho detto "un assegno conveniente"--interruppe il Barbarò di
malumore--cioè proporzionato non ai fumi degli Alamanni, ma alla nostra
condizione.

--Ebbene--concluse il buon ragazzo risolutamente--la signorina Mary mi
ha promesso di.... di corrispondere alla mia affezione e di rinunciare
a qualunque assegno, purchè si possa aiutare i Collalto.

--E tu le hai risposto?

--Che ti avrei pregato e supplicato per ottenere il tuo assenso.

--Bravo merlo!...--E con queste idee hai in animo di prender moglie,
e vorresti mettere su casa e piantar famiglia? No, caro; non sarò
io tanto matto da permetterlo! Va', va' a cantar poesie al sole e
alla luna! Va', va' a fare lo _stragavante_!... Del resto--continuò
sogghignando--non capisco perchè la signorina Mary, tanto prodiga coi
danari miei, non pensa invece colle proprie economie a soccorrere i
nobili parenti!

--Piange sempre, e si dispera, appunto per non poterlo fare.

--Oh poverina!--esclamò il Barbarò con finta compassione.

--Ma--continuò l'altro--tutta la rendita della signorina Mary è appena
sufficiente, avendo essa da mantenere anche la zia Balladoro.

--Ah, ah!--soggiunse il signor Pompeo sempre con tono ironico--è dunque
colle _sue rendite_, che la signorina Alamanni mantiene sè e la vecchia?

--Sì; e lo può fare soltanto perchè il signor Francesco Alamanni le ha
ceduta anche tutta la sua parte.

--Ebbene, allora ti dirò che la tua _contessina delle smorfie_ è in
grande errore; e ne sono dispiacentissimo perchè ciò mi prova una volta
di più che ha il cervello sopra la berretta; che non si cura mai della
casa, e che non sa fare i conti!... Se leggesse un po' meno romanzi e
badasse un po' più alla cucina e al guardaroba, capirebbe subito che i
pranzetti e i cappellini suoi e della vecchia importano una spesa molto
superiore alle _sue rendite_. E sai chi ha la dabbenaggine di buttar
più di seimila lire all'anno per mantenere in lusso l'illustrissima
signorina? È questo vecchio avaro che non vuol pagare col sudore della
sua fronte i debiti fatti nelle bische, o colle sgualdrine dal nome in
_offe_ o in _iffe_....--Sì, sono io; io che lavoro giorno e notte; io,
l'uomo senza cuore: ma che sacrifico _seimila lire_, e più, all'anno
per una promessa fatta alla tua povera e santa madre,--il Barbarò
alzò gli occhi al cielo,--a lei che in vita aveva adorata la signora
Lucia, e che al letto di morte volle raccomandarmi di assistere la
figliuola!--E siccome Giulio, a questo punto, rimaneva col capo chino,
il signor Barbarò glielo fe' rialzare dandogli una manatina sotto il
mento e dicendogli con enfasi:

--Guardami in faccia, e impara come son fatti i galantuomini!

--Oh babbo mio,--rispose l'altro commosso--non ho mai dubitato del tuo
cuore!

--Lo credo bene, quantunque--e il signor Pompeo fece un altro
sospiro--sia sempre stato il mio destino di seminare benefizi e
raccogliere ingratitudine!... Ma tuttavia senti un po',--continuò
facendosi più insinuante,--se credi proprio che la Mary voglia metter
muso perchè non siamo disposti ad andare in malora noi, per impedire
che ci vadano i suoi nobilissimi cugini, allora spiegale un po' questo
imbroglio delle seimila lire e vedrai, minchioncino, vedrai che tornerà
subito subito a farti il bocchin di zucchero!...

--Oh no, no!--esclamò Giulio spaventato.--Darei troppo dolore, troppa
mortificazione alla signorina Mary, così fiera e disinteressata. No,
no; ti prego, babbo, promettimi, giura, che non saprà mai ciò che ti
deve!

--Giurare? un corno! Io non giuro quando non sono obbligato. Farò,
secondo i casi, ciò che mi parrà più conveniente. E in quanto a te,
invece di lasciarti pigliar per il naso da quella vanesia, tutto fumo
e niente arrosto, dovresti cominciare a farti valere e a governarla
a bacchetta, perchè, ricordati, guai se le donne alzano la cresta!
Dovresti inspirarle un po' di amore all'economia e anche, a dirla
schietta, un po' di rispetto e di gratitudine per il suo benefattore. E
adesso.... non ho altro da dirti. Siamo dunque intesi, e puoi andartene
pe' fatti tuoi. Ti aggiungerò, per un di più, che se anche volessi
aiutare il Collalto non potrei. Siamo in rotta perchè la marchesa è
una matta (e sarà bene, anche pei cattivi esempi che le potrebbe dare,
che la Mary se la tenga alle larghe) e perchè il marchese Alberto è un
burattino. Ormai gli affari nostri sono in mano degli avvocati, e non
sono stato io il primo, lo dico a scarico di coscienza, a voler venire
a questi estremi. Vattene dunque: non posso perdere dell'altro tempo
perchè ho molto da fare!

--Scusa, babbo, ancora due parole sole--insistè Giulio ormai risoluto a
combattere fino all'ultimo.--Tu forse non hai pensato a una cosa?

--Ahuf!... A che cosa?--domandò Pompeo sbuffando.

--La gente, che non guarda tanto pel sottile, potrebbe forse mormorare
che anche tu... con una cattiva amministrazione... hai finito per
mandare in rovina il Collalto.

--Non dire stupidaggini, sciocco! Sta' a vedere adesso che, per le
chiacchiere della gente, dovrò buttare i danari dalla finestra,
dovrò pagare i debiti degli altri!--e il signor Pompeo ricominciò a
riscaldarsi.--A me, sai, i debiti, non me li ha mai pagati nessuno!
E quando, ancora ragazzo quasi, fui tradito dai miei parenti, che
senza curare la mia educazione, come ho fatto io per te spendendo un
patrimonio, non pensavano ad altro che a mangiare e bere, e poi mi
lasciarono nudo al mondo, come mi avevano fatto, credi tu che mi
sia riescito d'inspirare pietà ad un cane? No, mai! Sono stato messo
anch'io fuori di casa, perchè non avevo da pagare la pigione!... E il
mio creditore, un giorno che non dimenticherò campassi mill'anni, mi ha
insultato in mezzo di strada, mi ha preso per il collo, voleva mandarmi
in galera! Capisci, poeta? Capisci, marmotta, che cosa vuol dire il non
aver quattrini?!...--E il Barbarò cogli occhi torvi camminava su e giù
per la camera, smaniando affannato.

Giulio, vedendolo col viso stravolto, e ingannandosi sulla causa
di quella commozione, gli corse vicino come per abbracciarlo; e
prendendogli una mano e stringendola con effusione:--Ebbene--gli disse,
quasi piangendo--se gli altri furono malvagi, noi mostriamoci umani, e
così sarà più contento il nostro cuore, e sarà più benedetto e onorato
il nostro nome!

--C'è una sola contentezza a questo mondo: dominare e schiacciar gli
altri sotto i piedi. C'è un solo modo per essere onorati: avere il
borsellino pieno!--rispose il Barbarò sciogliendosi con uno spintone
dalla stretta del figliuolo.

--La gente--soggiunse poi più calmo--troverà sempre da mormorare sul
conto di chi ha fatto fortuna, perchè la gente è invidiosa; ma è molto
meglio essere invidiati che compatiti, e mentre mormorano ti fanno di
cappello!

--No, babbo. L'opinione pubblica sa distinguere i galantuomini.

--Finiscila, via; non sai dire altro che bestialità!--Ma passato il
primo impeto d'ira, il signor Pompeo volle provarsi a convincere il
figliuolo, e crollando il capo e guardandolo con aria di compassione
ricominciò:--Sì, l'opinione pubblica sa distinguere i galantuomini,
ma non già come credi tu, povero orbo!... Avevo la tua età, press'a
poco, quando mi sono trovato testimonio a un certo fatto, che mi
fece aprire gli occhi sui giudizi dell'opinione pubblica intorno ai
galantuomini. Ero a Milano, e attraversavo una mattina presto la
piazza del Duomo, quando a un tratto vedo venire avanti una frotta
di gente e in mezzo un signore, una persona civile, fra due gendarmi
(allora invece dei carabinieri c'erano i gendarmi) e seguìto da una
bella giovane, ch'era poi sua moglie, e da un bambino, il suo, che
strillavano con quanto fiato avevano in corpo. Era un orefice che
aveva il suo negozio sotto il _Coperto dei Figini_... che adesso hanno
demolito, colla scusa di allargare la piazza, per buttare al diavolo
il pubblico danaro! "Che cosa ha fatto?" chiesi ad uno dei tanti che
stavano colla bocca aperta a guardare; "ha rubato?"--"Chè," mi fu
risposto, "è un fior di galantuomo!"--"E allora perchè lo mettono
dentro?" esclamai maravigliato.--"Perchè? perchè i galantuomini
sono coloro che sanno rubar be...." Ma il Barbarò a questo punto,
sebbene trascinato dall'onda dei ricordi, si fermò, e fu in tempo a
correggersi. "Perchè è un minchione" riprese; "e in galera ci sono più
minchioni che ladri." Io, che non ero uno scemo come te, ho capito
l'antifona e ho approfittato della lezione; e tu dovresti imitarmi;
cioè, guardarti bene nello stesso tempo dall'essere un ladro, e
dall'essere un balordo. Vedi, io non commetto e non commetterò mai
la minchioneria di sacrificare il mio interesse per aiutare chi non
lo merita; ma mi vanto per altro di essere un galantuomo, perchè i
registri dell'amministrazione sono in perfetta regola, e stanno a far
testimonianza del mio operato....

--Oh lo credo, lo credo, babbo mio!--esclamò Giulio vivamente.

--E allora abbi fede in tuo padre, e lascia gridare la gente. Scendi un
po' dalle nuvole, e impara a conoscere il mondo nel quale devi vivere!
Abbi fede in tuo padre, e cerca di aumentare sempre la roba tua; abbi
fede in tuo padre, e pensa che il danaro se non è tutto al mondo, è
per lo meno la base, il fondamento di tutto: della famiglia, della
felicità, dell'onore, dell'amore.... Sì, anche dell'amore! E invece
di fare quella faccia stranita, dovresti riflettere bene che anche la
signorina Mary, con tutta la sua aristocrazia, non sposerebbe mai il
figlio di un...--Pompeo s'interruppe subito prima di dire portinaio--di
uno che si è fatto da sè, se non avesse forse la speranza, un giorno o
l'altro, di poter marciare in carrozza!

--Oh no, babbo! Non dire così!--proruppe Giulio arrossendo, e
con un lampo di collera negli occhi solitamente tanto miti e
riguardosi.--Lasciami le mie illusioni, se sono tali! Le preferisco, le
preferirò sempre a tutte le tue ricchezze!

--Bravo, marmotta! Così finirai all'ospedale!

--E non potrebbe illudersi invece chi crede che l'anima di tutto al
mondo, della famiglia, dell'onore, dell'amore, della felicità non sia
proprio altro che il danaro? In tal caso, illusioni per illusioni,
preferisco le mie. Almeno, anche nel giorno del disinganno mi sentirò
superiore a coloro che mi avranno tradito, e avrò il diritto di
compiangerli!

--Bravo! E questa bella consolazione ti darà da sfamarti! Ma dove, e
da chi hai imparate tante minchionerie? Da tuo padre no di certo; dal
maestro che t'ho dato nemmeno, perchè lo Zodenigo se fa dei sonetti
quando è invitato a pranzo da Donna Lucrezia, nella vita pratica sa
essere un uomo di proposito. Dunque?...--E il Barbarò lo guardava fisso
col desiderio di pigliarlo a scappellotti; ma poi, vedendo che il
figliuolo, toccato sul vivo nel suo affetto per la Mary, si mostrava
disposto a sfidare la sua collera, si contenne, non senza fatica, e
mormorò col risolino beffardo:

--Ah, ah, non vuoi credere alla mia esperienza?... Non vuoi credere che
il danaro sia tutto a questo mondo? L'onore, l'amore, la felicità, la
famiglia?

--No, no, no!--ripetè Giulio con una violenza che lo fece diventar
pallido.

--Ma apri gli occhi, stupido! Guardati attorno, e vedrai se quanto ti
dice tuo padre non è verità sacrosanta!... L'onore? Ma chi ha perduto
l'onore, uomo o donna, col danaro lo ritroverà sempre; o per lo meno
ritroverà gli _onori_... che in fin de' conti sono la stessa cosa.
Uno, per esempio, che abbia ru....--Pompeo, si arrestò a mezzo, fe'
sonare i ciondoli colle dita, e poi scelse un altro esempio.--Mettiamo
una ragazza: non ha un soldo di dote e per eccesso di buon cuore, o
d'inesperienza, mette al mondo un figliuolo: se dopo trova un uomo che
la sposa proprio per amore, costui è dichiarato un imbecille. Se la
ragazza invece porta solo cinquantamila lire di dote, l'uomo che la
sposa è un uomo che si vende, ma scapita nella buona opinione assai
meno dell'altro, e al suo paese lo faranno ancora consigliere comunale.
Se la damigella, poniamo, avesse trecentomila lire: il marito sarà
giudicato un uomo serio, che sa combinare insieme una buona azione e
il proprio interesse e, se vuole, lo faranno deputato.... Ma se poi la
ragazza avesse mezzo milione, un milione!... allora, caro mio, la sposa
subito e volentieri anche il cavalier _Boiardo_ (il Barbarò non era mai
esatto nei nomi storici) e l'aneddoto del cocchiere, del cavallerizzo,
o del maestro di pianoforte, insomma del padre del marmocchio, diventa
un si dice qualunque, a cui nessuno ha mai dato importanza, e che andrà
presto nel dimenticatoio!

--Sarà come tu dici: per altro non si devono confondere gli onori col
vero onore.

--Il vero onore? Benissimo... ma è necessario aver quattrini per
poterlo conservare. Certe case sono piene di donne alle quali è mancato
appena, in un dato momento, uno scudo o un fiorino, per poter vivere
onorate. Le prigioni sono piene di ladri a cui forse in un giorno
d'appetito, non mancarono altro che venti soldi o quaranta per restare
galantuomini. Il mondo è popolato di debitori ai quali non è la buona
volontà che difetta, ma soltanto i _bezzetti_ (come direbbe Donna
Lucrezia) per soddisfare onoratamente ai propri impegni! Questo per
l'onore; in quanto poi alla famiglia, senza la cassa dei quattrini
che la tiene raccolta, la vedrai subito dividersi, squagliarsi, e uno
di qua, l'altro di là, andare in cerca di un altro focolare... perchè
il focolare domestico è lo scrignetto, bambino mio! E poi, sta'
attento, e vedrai: è il babbo che ne tien la chiave? E i figliuoli
sono amorosi anche se è burbero e tiranno; rispettosi anche se è un
poco di buono. È la moglie? Sta' sicuro che il marito... chiuderà
gli occhi! È il marito? Avrà ragione anche quando avrà torto, e la
moglie troverà sempre la forza per sopportarlo!... In fine, a voler
tacere il molto che ci sarebbe ancora da dire per provarti che io
ragiono praticamente e che tu sei nel mondo della luna, ti mostrerò,
coi fatti alla mano, che il danaro, oltre a tutto il resto, oltre a
essere la fonte d'ogni bene e d'ogni benefizio, d'ogni virtù privata
e pubblica, fa pure acquistare, di punto in bianco, anche i meriti
patriottici. Ridi?--Guarda, tra gli altri, il conte Lanfranchi, che
è qui un nostro confinante. Nel _quarantotto_, ai primi segni della
rivoluzione, è scappato in Isvizzera; nel _cinquantasette_ ha dato
alloggio all'imperatore e all'imperatrice d'Austria, quando son venuti
in Lombardia; nel _cinquantanove_ e nel _sessanta_ è stato a vedere, e
quando finalmente fu costituito e riconosciuto il regno d'Italia, ha
speso quarantamila lire per regalare al suo comune un bel monumentino
che ricordasse i "martiri di Belfiore" e... e in seguito a ciò è stato
inscritto fra i benemeriti della patria, e giustissimamente--concluse
Pompeo con una sghignazzata--perchè ne troverai molti che alla patria
offrano il loro sangue, ma pochissimi che le regalino quarantamila
lire!...

--È un paradosso, babbo!--esclamò Giulio che non poteva a meno di
sorridere.

--Che hai detto? Un para...? Che cosa? Non capisco!--rispose Pompeo;
e sempre più infervorato, sembrandogli di avere un po' scosso il
figliuolo, e prendendolo per un braccio e trascinandolo verso la
finestra, continuò,--e a te che hai sempre in bocca Garibaldi e la
Democrazia, ti aggiungerò che il danaro è la vera forza democratica
dei tempi moderni. Vedi quel carro? vedi quelle casse?--e indicò nel
cortile la roba dei Collalto.--Ebbene, io un... uno che si è fatto da
sè, mando i _feudatari_ fuori del castello!... I tuoi _socialisti_ non
arriveranno mai a tanto!...

--Allora ti risponderò una cosa sola--balbettò Giulio confuso, oppresso
e spaventato da tutti quei discorsi--il danaro non sarà mai per me
la felicità.... No, mai! Vorrei essere povero per provarti che la
signorina Mary mi ama per me... soltanto per me... e te lo giuro...
sarei molto più contento, più felice....--Il povero ragazzo non potè
più reggere, e dette in un pianto dirotto.

Il Barbarò lo guardò a lungo, crollando il capo, e mormorò a mezza
voce:--E io chi sa invece... che non riesca a far mutar l'odio in
amore.--Poi aggiunse forte:--Del resto, se non sono un minchione, non
sono nemmeno uno spietato. Potrai assicurare la Mary che il precipizio
di questa partenza non sono stato io a volerlo. Anzi, ti dirò di più
che non avrei mai avuto cuore di spingere i Collalto a un tale estremo.
Sono loro che vogliono andarsene: è la marchesa per la sua superbia, i
suoi capricci... o per qualche altro fine occulto e non buono. Io non
li mando via, ma non li posso nemmeno trattenere a forza. In ogni modo,
vedi se non ho proprio il cuore di pasta frolla: quantunque insultato
da quella gente, ho detto al mio avvocato di ricordarsi bene che
voglio operar sempre da perfetto gentiluomo, come sono!...

E il Barbarò fe' nuovamente sonare i ciondoli, gonfiandosi tutto a
questa parola: _gentiluomo_.




XIII.


 "_Al signor Andrea Martinengo, Capitano d'artiglieria, 8º reggimento,
 2º Corpo d'armata._

  "Ferrara per la Mèsola.

"Non le posso scrivere altro che due righe sole e molto in fretta per
mandarle, come le ho promesso, il mio indirizzo. Siamo arrivati ieri
(ma son già stata alla posta e _sono contenta_) e il quartierino che
abbiamo preso in affitto è ancora sossopra e _orribile_ a vedersi
con quell'aria antipatica e insopportabilmente borghese delle camere
ammobiliate! Ma per altro è vicino alla spiaggia, e la vista è
stupenda. In due o tre giorni spero ridurlo bene. Il salotto ha poi un
piccolo terrazzo, e quando lo avrò assettato a modo mio con tutti i
ritratti che ho portato da Villagardiana, e con tutti i miei _bibelots_
(non ricordo come si dice in italiano) sarà grazioso assai.

"Povera Villagardiana!... Non la rivedrò più!...

"Certo, non potrebbe figurarsi in che stato mi trovo in questi giorni.
Tutta sossopra anch'io, come il mio quartierino, ma non mi sarà tanto
facile di assettarmi. Io stessa non mi riconosco più; sono un'altra
donna. La marchesa di Collalto è sparita: non è rimasta che la
povera Angelica.... La _sua_ Angelica... (sempre--_sempre_--finchè
vorrà lei!). Anche in mezzo allo sbalordimento, ciò che mi agita e
mi preoccupa di più sono le notizie della guerra; e non mi lasciano
quasi nè il tempo, nè la testa da pensare a tutto il resto. Mi sento
come intronata....--E poi tutto è successo in un modo così improvviso
e precipitoso, che mi par ancora di sognare. Ricordo solamente che
quando partimmo da Villagardiana piangevano tutti.... La moglie e
la figlia del fattore, parevano poi come matte: io ho voluto che mi
abbracciassero, povere donne! Il giardiniere, si figuri, non è stato
buono di dirmi nemmeno una parola... ma mi ha riempita tutta la
carrozza di fiori...--i miei fiori di Villagardiana!--e ha detto alla
Mary che voleva licenziarsi, perchè senza i suoi padroni non avrebbe
più potuto vedersi in que' luoghi.

"Quanto a me, se le dicessi... devo proprio dirle tutto, Andrea? Se le
dicessi che... è strano... ma tutti questi cambiamenti, non mi hanno
fatto il senso che dovevano farmi. Non so perchè, ma tante sventure
mi hanno resa più tranquilla, per un altro verso. In fine si ha il
_diritto di vivere_!... Non è vero, Andrea?... E poi posso piangere
liberamente; posso essere triste; non devo fingere un'allegria che non
provo, una tranquillità che non ho. E questo è già un bene, _un gran
bene_, che non sapevo di trovare nel mio nuovo stato. Tutti credono
che io sia malinconica e nervosa per una ragione sola; ma invece... ce
n'è un'altra.... Un'altra che....--Tanto se non l'indovina, Andrea, è
proprio inutile che le dica di più.

"Oggi per altro, sono assai più calma. Ho letto i giornali (pensi,
Andrea, che cosa sono giunta a fare!) e dicono che forse da noi non ci
sarà nemmeno la guerra, perchè l'Austria abbandonerà il Veneto, volendo
concentrare tutte le sue forze contro la Prussia. Sarà vero, mio
Dio?... intanto questa speranza mi fa essere quasi contenta. Vedendomi
un po' serena, mi dicono che sono una _donna forte_. Sono i primi
complimenti che ricevo; e mi hanno fatto diventar rossa rossa, perchè
proprio non li merito!...

"Com'è bella Santa Margherita Ligure, e come mi fa piacere ch'ella
ci sia stato! Così, _mi può vedere_, non è vero, a Santa Margherita
Ligure? Mi vede alla _Cascatella_, allo _scoglio della Immacolata_, a
_Villa Tarsia_?...--Com'è bella _Villa Tarsia_!

"Mi dica per altro se a Santa Margherita c'è stato _solo_. Si ricordi
che _voglio_ saperlo. E poi questo soggiorno mi piace anche perchè
non si vedono tutti quegli inglesi, uggiosi e antipatici, tutti colla
stessa faccia di cartapesta, che guastano tanto la bellezza di San Remo
e di Nizza riducendo quella riviera come un gran giardino d'hôtel;
gente intenta, che consulta il _Baedecker_ anche per guardare il
tramonto, o il levar del sole!

"Vedesse... ma già li ha veduti, e non è vero che sono meravigliosi i
tramonti di questi paesi?...--Avesse visto ieri sera che cosa è stato
di bello!...--Bello per me, perchè appunto non era quello che si usa
dire un _bel tramonto_. Ma mi piaceva di più! Mi piaceva tanto!... Il
cielo aveva una striscia... ma proprio come un bel nastro d'oro; il
resto tutto _bleu_ cupo. Il mare nero, furioso; e sulla spiaggia un
branco di pecore, che correvano spaventate!... Ho pensato che sarebbe
piaciuto molto anche a lei. Io non posso descriverlo e poi... ho
sempre paura di scrivere sciocchezze (e loro signori delle armi dotte,
devono essere un pochino pedanti), ma mi ha fatto _tanto, tanto_
pensare!...--Ci sono anche gli ulivi. Gli ulivi come a Villagardiana!
(E la _Casina delle Romilie_, si rammenta?) A me piacciono tanto gli
ulivi: sembrano figure vive. Che contrasto fra quei tronchi enormi,
contorti, tormentati in mille guise, straziati, si direbbe, dal dolore,
e quelle foglioline pallide e gentili!

"Ed io guardando il mare, il cielo, i miei fiori di Villagardiana (sono
ancora belli: si conservano belli, poveri fiori, per farmi l'ultima
festa) sento un nome salirmi dal cuore alle labbra, e riempirmi gli
occhi di lacrime. Lacrime non più di dolore, ma di tenerezza, di
beatitudine: Andrea, Andrea.

"Quante volte, in un giorno, dirò _Andrea_? È più forte di me... e
quando guardo il mare, il cielo, i miei poveri fiori devo dire... no,
non dico Andrea, ma mi esce dall'anima inconsapevole, come un sospiro.

"Sa? Vuol ridere? Le prime volte che scrivevo _Andrea_, mi sentivo
diventar rossa rossa.... Ma adesso non mi succede più: Andrea, Andrea,
Andrea, Andrea!

"Stefanuccio è stato molto buono in questi giorni. Qui poi ha trovato
altri ragazzi coi quali ha subito fatto amicizia; e si mostra molto
meno salvatico che a Villagardiana. Io ho ricominciato oggi stesso
le mie lezioni. Lo fo leggere, e gl'insegno a scrivere. E, guardi
combinazione: la lettera che scrive meglio è l'_A_ grande. Ma sarà
perchè è la prima dell'alfabeto... la prima che ha imparata, non è
vero?

"Adesso bisogna proprio che finisca: è già tardi; o mi chiamano giù,
alla spiaggia. Poi bisognerà trovar il modo di correre alla posta!...
È qui vicino. Che vergogna ieri, quando ci sono andata a prendere la
sua lettera. Era la prima volta, pensi, che andavo alla posta! Tremavo
tutta!... devo essere diventata di mille colori.... Non ho avuto il
coraggio di dire il mio nome; ho mostrato il biglietto di visita. Ma
è una donna qui che dispensa le lettere (una donnina giovane, con una
bella faccia da buona) e ciò mi ha dato coraggio. Poi, c'era la sua
lettera (l'ho veduta subito nella casellina!) e non ho pensato più ad
altro.--Com'è stato buono di scrivermi! Così ho cominciato la mia vita
a Santa Margherita con lei.... La prima lettera ricevuta qui è stata la
sua: la prima scritta da me è questa... per lei.

"Bisogna proprio che finisca. Le scriverò più spesso che potrò...
sempre!... Il più difficile sarà l'uscire per impostare le lettere, e
per andarle a prendere. Sapesse che diplomazia mi ci vuole, per uscir
sola!

"Sempre Andrea, _sempre_."

"Riapro la lettera, perchè avevo dimenticato l'indirizzo. Per ora,
scriva sempre al mio nome, ferma in posta. Ma mi scriva almeno tutti i
giorni, e più a lungo. L'ultima lettera era di cinque pagine sole, e
scrive così largo che bastano due parole per riempire una riga!

"Io non posso _vederlo lei_ alla Mèsola; sapesse come mi rincresce di
non esserci mai stata!... Dev'essere un bel posto, per altro. È così un
bel nome: _la Mèsola_! E poi... non so figurarmi che possa esser brutto
un paese dov'è lei!...

"Bisogna che finisca. Sempre! Sempre!

"Mi dica il nome dei suoi cavalli, e che cosa fa la sera alla Mèsola.
Si ricordi che voglio saperlo!"




XIV.


Nel frattempo la ditta _Micotti e Compagno_ aveva subìto una leggiera
modificazione nel titolo: si chiamava adesso _Micotti e figlio_. E
mentre il buon Giulietto, il figlio del signor Barbarò, era sempre
tenuto allo scuro di tutti gli affari, Beppe Micotti invece, il figlio
della ditta, cominciava a diventare, ancora giovanissimo, il _factotum_
del principale. Il signor Pompeo lo chiamava spesso a Villagardiana, a
preferenza dello Sbornia; lo mandava in giro per commissioni delicate,
e oltre a valersi dell'opera sua, certe volte ne ascoltava anche il
parere, cosa che con lo Sbornia non gli era mai accaduta. Insomma,
in genere di imbrogli e bricconate, Beppe Micotti pareva proprio un
piccolo portento; e appunto, come i geni, si era rivelato di colpo.
Espulso dall'_Istituto Tecnico_, dove rubava i libri dei compagni (e
per innata passione al commercio, andava a rivenderli dal tabaccaio),
il signor Barbarò non sapeva più in casa che diavolo farne. Fra le
tante, pensò di impiegarlo in Ragioneria, dopo aver ordinato allo
Sbornia di picchiarlo ben bene, in via premonitoria. Ma subito, negli
affari, il giovane Micotti manifestò un ardore di cui non avea dato
nessuna prova a scuola; e in pochi mesi acquistò importanza presso il
padrino che lo istruiva e lo guidava, non senza ripetergli di tratto
in tratto che non doveva ingrassare mangiando il pane a ufo, come
facevano suo padre e sua madre.

Lo Sbornia, sempre maltrattato dal principale, tranne in quei pochi
giorni di gloria goduti nel _cinquantanove_ e nel _sessanta_, dacchè
poi il figliuolo era entrato nell'amministrazione della ditta era stato
messo affatto da parte, colla patente di bestione rimbambito.

--L'ho giubilato--diceva il signor Pompeo.--Adesso non ha proprio più
altro da pensare, che a ubriacarsi e far l'Italia.

Se non che, bandito dagli affari, lo Sbornia era stato subito preso
dalla moglie, e rimesso nelle sue antiche attribuzioni di facchino e
di sguattero. La florida signora Veronica, alla quale col crescere
degli anni erano cresciuti anche i baffetti e ogni altra cosa, non gli
parlava quasi mai altro che a cenni, e quando lo vedeva insonnolito
digerire l'acquavite insieme all'amarezza di non essere più adoperato
dal principale, lo faceva muovere coi pugni e gli spintoni. La signora
Veronica aveva sempre disprezzato il marito guardandolo di mal occhio;
ma adesso, poichè il poveraccio era stato abbandonato dal signor
Barbarò, non lo poteva più soffrire. Tutte le sue tenerezze erano per
Beppe, che amava ciecamente fino all'idolatria, obbligando lo Sbornia a
servirlo in tutto come un padrone. Se per caso le succedeva col marito
di nominare il figliuolo, essa non diceva mai "il nostro Beppe," ma "il
_mio_ Beppe," e con una cert'aria che pareva un'ammonizione. Bisognava
vederla la signora Veronica quando ammirava il figliuolo tutto lustro
negli abiti smessi del padrino, che gli stavano a pennello! Aveva
le lacrime agli occhi e avrebbe voluto mangiarselo dai baci, se non
fosse stata trattenuta dalla paura di sciuparlo e anche da una certa
soggezione. Bisognava vederla quando si trovava presso il suo Beppe,
mentre questi parlava d'affari serio serio, colla faccetta da vecchio
mariuolo!... Allora pareva si gonfiasse per la superbia; camminava
dondolandosi fiera, colle mani sui fianchi, e faceva cenno allo Sbornia
di correre a spazzolargli l'abito, o a lustrargli le scarpe.

In quanto a Beppe Micotti, egli rimaneva indifferente a quella grande
tenerezza della _veggia_. Che il desinare fosse pronto all'ora fissata;
che la sua roba fosse sempre ben in ordine, e che non mancassero i
bottoni alle camicie: ecco tutto quanto gli premeva, e domandava
all'affetto materno. E nemmeno col genitore usava molti complimenti:
non si degnava mai di guardarlo in faccia; non gli parlava altro che
per dargli ordini o per strapazzarlo; gli faceva portar l'acqua,
spazzare lo studio, e se sbagliava in qualche commissione gli dava
dell'addormentato e della bestia. Solamente, ricordandosi gli
scappellotti ricevuti in passato, lo teneva in una certa considerazione
per la sua forza muscolare, e non essendo di natura molto coraggioso,
si faceva accompagnare dal vecc quando si metteva in viaggio con
somme di danaro; e fu pure in sua compagnia che andò la prima volta a
Villagardiana a eseguire gli ordini del _sciur_, com'egli chiamava il
Barbarò.

Partiti i Collalto, il signor Pompeo era ritornato stabilmente a
Milano, e ciò per due ragioni: perchè a Villagardiana, così disabitata
e vuota, non ci si poteva più vedere, e perchè i contadini avevano
minacciato di volergli fare la festa.

In fatti c'era gran fermento a Villagardiana contro il nuovo padrone.
Quelle famiglie di coloni e di piccoli fittaiuoli che, di padre in
figlio, si trovavano già da vari secoli alle dipendenze dei Collalto
o dei Castelnovo, odiavano e mormoravano contro il signor Pompeo,
quel _forestiere_ ladro e assassino, che aveva traditi e spogliati i
buoni signori, non vergognandosi nemmeno di cacciarli dai loro antichi
possessi.

"Ma una volta o l'altra--dicevano fra loro--con una buona schioppettata
faremo le vendette del Marchese!"

Poi, oltre a questo sentimento naturale, oltre alla vecchia ruggine che
nutrivano contro il Barbarò per le taccagnerie che aveva fatte appena
assunta l'azienda dello stabile in società coi Collalto, erano tutti
sossopra temendo le innovazioni, che certo avrebbe voluto introdurre
per intascar più quattrini, adesso che era solo a comandare. E i
contadini si riferivano a vicenda, spaventati, le spilorcerie e le
angherie commesse dal medesimo signor Pompeo a Panigale, dove la gente
gli aveva affibbiato il soprannome di _mercante di pellagra_.

Pompeo Barbarò non aveva amore all'agricoltura. Egli voleva solo cavare
dalla terra, come dagli uomini, il maggiore interesse possibile. "E
siccome la terra" diceva lui, uso a guadagnare in altre operazioni il
cento per cento, "era ladra e mangiava più quattrini che non rendesse",
così per rifarsi, almeno in parte, faceva digiunare chi la lavorava.

Povera gente! Per una fetta di polenta cattiva, innaffiata con
acqua il più delle volte corrotta, doveva ammazzarsi sotto la sferza
del sole, fra i miasmi delle risaie, lavorando giornate eterne, che
cominciavano alle due, alle tre del mattino, e non terminavano che alle
sei o alle sette della sera!... E non mai un momento di ristoro; non
mai il conforto d'un bicchier di vino! Que' contadini magri, gialli,
sfiniti battevano i denti per la febbre e morivano di pellagra; ma
per il grosso debito che avevano col padrone, non erano più liberi di
lasciare il suo servizio, se non per essere portati al cimitero o allo
spedale.

E per gli affamati il lunario segnava sempre cattivo tempo.

--Da noi tempesta ogni anno!--mormoravano cupamente.

In fatti se l'annata era stata prospera, il padrone sequestrava tutto
il raccolto per rimborsarsi del suo credito; se invece era stata
cattiva, infuriava contro i contadini, come se fossero loro che
potevano far la pioggia o il sereno, e rinfacciava loro il misero sacco
di polenta che doveva ancora anticipare.

Ma poi, se per avventura uno dei coloni spinto dall'estremo bisogno si
arrischiava di chiedere al signor Barbarò un qualche piccolo restauro
alla casuccia (erano tutte catapecchie in rovina, umide e malsane),
allora cascava il mondo addirittura, e Pompeo si metteva a smaniare e
a gridare in mezzo alla corte: "che tutte quelle bocche non avevano
nè coscienza, nè discrezione!... Erano i villani che gli divoravano
il patrimonio, e poi pretendevano ancora di essere alloggiati come
principi!"

"Guai se fossi stato tanto minchione da appagare una sola di quelle
ridicole pretensioni!" diceva poi il Barbarò con Don Rosario,
il cappellano di Panigale. "In tal caso i bisogni si sarebbero
moltiplicati all'infinito. I villani erano per natura avidi, furbi e
viziosi. A lasciar fare a loro, avrebbero levata anche la pelle al
povero padrone!"

Don Rosario approvava sempre e subito quanto diceva il signor Barbarò,
da cui riscoteva le prebende, curvandosi come di scatto a mezza vita,
con una mossa sussultoria, accompagnata da una risatina acuta e
squillante, che pareva il _chicchirichì_ d'un galletto.

Era costui un pretino giovane e paffutello, con certi polpacci che
avrebbero fatta la fortuna di una ballerina, e che solo pareva
delegato a essere il rappresentante della buona digestione presso
quel popolo di affamati. Fuorchè nell'inverno, si vedeva sempre,
roseo e saltellante, passeggiar per la Cura in pantofole, senza il
nicchio, e coll'ombrellino di tela bianca foderato di verde. Ma del
rimanente poteva vantarsi, e si vantava in fatti, di far sempre il suo
dovere. Se qualcuno stava per crepare, non rifiutava mai di andarlo a
benedire, magari di notte; e le domeniche e le altre feste, sebbene
non obbligato, faceva anche un po' di predica prima dell'Elevazione.
Era di solito un sermoncino in cui raccomandava l'amore al lavoro,
l'obbedienza e la fedeltà al padrone; e finiva esortando que' cenciosi
all'elemosina (spillava loro anche il quattrinello!), assicurandoli che
la vita terrena non era altro che passaggio e preparazione alla vita
celeste, e che per ciò coloro "che più tribolavano _di qua_, dovevano
consolarsi perchè il Signore li avrebbe fatti più contenti _di là_."

Il Barbarò, quando capitava a Panigale, era sempre arrabbiato. Di
solito non si fermava mai più di un giorno, ma per tutto quel giorno
non faceva altro che gridare, minacciare, strapazzare. I contadini
cominciavano a spaventarsi appena scorgevano la sua carrozza, e
correvano inquieti e sbigottiti a darsene l'annunzio:

--_El padrun!... El padrun!... Guarda, guarda che vegn el padrun!_

Ma poi se il Barbarò si fermava anche a pranzo a Panigale, invitava
sempre Don Rosario a tenergli compagnia: e allora dinanzi alla zuppiera
fumante cominciava a calmarsi, e alle frutta diventava umanitario,
e avvicinando al cappellano la bottiglia di Barolo stravecchio, si
metteva a predicare contro i _radicali_ e i liberi pensatori che
volevano spingere il mondo a fare un salto nel buio:--Sono matti; matti
da legare!

--Senza testa....

--E senza cuore. Don Rosario; senza cuore! Quando avranno tolto alla
povera gente anche quell'ultimo briciolo di fede....

--In un avvenire migliore...--interrompeva il cappellano bevendo
adagio, a centellini, e schioccando le labbra.

--....che conforto, domando io, resterà loro?

--Mah!

--Mah!... E chi allora potrà più governarli? Tenerli sotto? Farli
lavorare? Dovremo spendere di tasca nostra e rovinarci per mantenerli
in prigione a non far niente!

--Guai, guai! Grossi guai!--rispondeva Don Rosario sospirando; e a
sua volta avvicinava adagio adagio al Barbarò la bottiglia polverosa,
toccandola con rispetto e guardandola con ammirazione.

--Per me, dico la verità--continuava il signor Pompeo, diventando
sempre più espansivo--dico la verità, quando sono stato così balordo
da infognare i danari miei in terreni, che a stento rendono il tre, il
quattro per cento, e ho comperato Panigale, ho levato molti abusi, ho
introdotte grandi economie nell'amministrazione, ma il cappellano, il
medico e il veterinario non li ho voluti toccare!

Allora cominciava Don Rosario a dir le lodi del buon cuore e della
filantropia veramente cristiana e illuminata del signor Barbarò,
il quale godendosi gli elogi fatti a fin di tavola, quando appunto
l'uomo, come il coccodrillo, è più facile a intenerirsi, si sentiva
quasi commosso, e persuadendosi di essere proprio un padrone umano e
caritatevole, vuotava a poco a poco un'altra bottiglia nel bicchiere
di Don Rosario e nel suo, lamentandosi perchè in paese lo chiamavano
_mercante di pellagra_!

Don Rosario non sospirava più, ma soffiava, e stentando a tener aperti
gli occhi (era solito a schiacciare un sonnellino durante il chilo) lo
ammoniva che "non bisognava aspettarsi dagli uomini il compenso delle
nostre buone azioni, ma dal Signore che le notava incancellabilmente
sul suo gran registro del dare e dell'avere!"

--Sicuro!--concludeva il Barbarò, cominciando pure a sonnecchiare,
mentre il caffè si raffreddava:--è sempre stato il mio destino quello
di seminare benefici e raccogliere ingratitudine!

Ma appunto a Villagardiana non ne volevano sapere dei benefici del
signor Pompeo. Dopo la rottura avvenuta coi Collalto, egli era
diventato di giorno in giorno più aspro, più cattivo, e sempre più
tirchio. Ormai che gli era fallito anche il bel disegno per entrare e
spingersi nel gran mondo, non cercava più tanto nemmeno di salvare le
apparenze. Aveva messo tutti i suoi pensieri, tutta la sua volontà,
tutto il suo cuore negli affari, soltanto negli affari, e con una foga
da disperato. "Aveva perduta la partita?... Ebbene col danaro, con
molto danaro avrebbe preso la rivincita!... Che importavano i mezzi?...
Era il fine che voleva, che dovea raggiungere."

Pareva sentisse insieme colla smania e colla febbre di far quattrini,
anche un senso strano di rabbia e di odio contro tutto il genere umano;
pareva ch'egli godesse nel danaro che ammucchiava, oltre al piacere di
averlo per sè, anche il gusto di averlo tolto agli altri. Le persone
ammodo lo scansavano, mormorando ch'egli era un disonesto?... Ebbene,
lui se ne vendicava con un'alzata di spalle, e rispondendo, col solito
ghignetto, ch'erano "una folla di spiantati e di pitocchi!"

"E la marchesa di Collalto?... Ah, ah! non era stata detta ancora
l'ultima parola! Chi sa, chi sa che un giorno o l'altro non avesse
trovato anche la biondina in fondo a un sacco di marenghi!"

Pompeo Barbarò aveva finito per sentire antipatia e dispetto contro
Villagardiana. Borbottava sempre che l'aveva pagata troppo cara, che
gli rendeva pochissimo, e intanto cercava tutti gli espedienti per
cavarne il maggior frutto possibile.

Sotto i Collalto, i fondi erano in parte affittati e in parte dati a
mezzeria; invece il signor Pompeo trovò più utile di tener tutto il
fondo a mano. Ma un tale cambiamento nell'amministrazione importava
grandi spese, e lui non voleva saperne. Allora ideò e fece il suo
piccolo colpo di stato: aprì il librone dov'eran notati i debiti dei
contadini, e intimò loro, su' due piedi, di saldare le partite: era
un procedere nuovo e disumano; tutta quella povera gente che da un
momento all'altro si vedeva ridotta in miseria, gridava disperata,
invocando pietà; ma non ci fu rimedio. Il padrone, sordo alle preghiere
e alle lacrime, sequestrò ai fittaiuoli e ai mezzadri il bestiame, gli
attrezzi agricoli, tutte insomma le stime _vive e morte_, e così ebbe
quanto gli occorreva per i suoi disegni senza sottomettersi a nuove
spese. Una sera per altro che se ne ritornava a Brescia in carrozza fu
preso a sassate mentre passava sotto il _Monte del Corno_, e se non lo
accopparono dovette proprio esserne grato alle buone gambe dei cavalli
e al suo cocchiere.

In seguito a questa piccola dimostrazioncella il Barbarò rimase
parecchio tempo senza lasciarsi vedere a Villagardiana: mandava in
vece sua Beppe Micotti, il quale appunto vi capitò la prima volta in
compagnia del _vecc_; ma dopo vi andò anche solo, tranquillamente.

Appena arrivato s'era messo a dire del _sciur_ roba da chiodi. "È un
cane senza cuore! Gli s'attaglia benone quel nomaccio di _mercante di
pellagra_!... Lo avevano pigliato a sassate? Bravissimi; meritava di
peggio. Anche loro due," e con un cenno del capo indicava lo Sbornia,
che senza parlare e senza ascoltare stava intontito a guardar le
rondini che volavano stridendo intorno ai nidi del porticato, "anche
loro due ne dovevano sopportare di tutti i colori; ma non c'era
cristi: gli eran caduti nelle mani e bisognava piegare il collo!
Così, per altro, non la poteva durare. Doveva venire il giorno del
_redderationem_.... Oh, se doveva venire!" E in tal modo, dopo aver
lusingato quella buona gente e essersi fatto un po' compassionare,
Beppe Micotti eseguiva gli ordini ricevuti senza correre alcun rischio,
nemmeno ripassando sotto il _Monte del Corno_.

Ma poi, oltre a questi, egli aveva cominciato a rendere al padrino
altri servigi più importanti assai.

In quel frattempo la ditta _Micotti e figlio_ aveva assunto in
appalto la doppia fornitura delle scarpe e dei fucili per il corpo
dei Volontari, e Beppe Micotti, istruito in proposito dal Barbarò,
che viaggiava continuamente da Milano a Brescia per tenerlo d'occhio,
si comportava in modo di non far perdere alla ditta la bella fama
che si era già guadagnata in simili imprese durante la guerra del
cinquantanove.

Tuttavia il signor Barbarò, quantunque avesse fatto concorrere
i Micotti a quell'appalto, ce l'aveva sempre con Garibaldi e i
Garibaldini. Brontolava, sogghignando, che "l'eroe dei due mondi" non
era altro che un ciarlatano e un falso democratico, dominato dalla
più sfrenata ambizione; un orgoglioso che non voleva sottomettersi a
nessuno, e che avrebbe anche disfatta l'Italia, che costava a tutti
tanti sacrifici, per la smania di mettersi a fare il dittatore!...
Se non fosse stato più superbo di Lucifero, doveva contentarsi,
come il Cialdini, di ottenere il comando d'un corpo dell'esercito
regolare, senza accrescere le difficoltà al povero Lamarmora, e
senza portare un nuovo colpo alle nostre finanze. Per il Barbarò
l'esercito dei Volontari aveva questo solo di buono: in que' giorni
difficili liberava il paese dai matti e dalla canaglia: c'eran tutti
con Garibaldi! Ma il guaio serio sarebbe stato al ritorno delle bande
indisciplinate e armate di tutto punto!...--Chi sa, che cosa andava a
succedere!...--E forse fu per ragioni di prudenza, che i fucili forniti
ai Garibaldini dalla ditta _Micotti e figlio_ non eran altro che
ferravecchi.

Pure, ad onta dello sue ire e de' suoi timori, Pompeo Barbarò fu molto
contento quando seppe che suo figlio, il buon Giulietto, era partito
improvvisamente da Milano, senza dir nulla nemmeno alla Mary, per
raggiungere a Sarnico un reggimento di Garibaldini.

--Bene, benone!--pensava il Barbarò, rosicchiandosi le unghie.--Bene,
benone! Non si sa mai che cosa debba accadere nella vita, e un giorno
o l'altro mi può essere utile anche di avere un eroe in famiglia.
Questo prova intanto che ho educato mio figlio con buoni principii....
E... se per caso tornasse al mondo _Don Miao_.... E poi intanto che il
ragazzo è a Sarnico, e quando, dopo, sarà andato in Tirolo, io avrò
sempre una scusa eccellente per rimanere a Brescia a tener d'occhio gli
affari miei. "Non ci sono già" potrò dire "perchè abbia interessi colla
ditta Micotti, ma perchè voglio essere vicino il più possibile a mio
figlio.... al mio unico figlio, per bacco!"

Intanto Garibaldi era arrivato a Genova da Caprera, e da Genova correva
dritto a Como, a Lecco, a Bergamo a passarvi la prima rivista dei suoi
Volontari, seguìto dappertutto dai voti degli uomini liberi e dalle
speranze degli oppressi... e anche dai brontolamenti del signor Pompeo.
L'entusiasmo ognor crescente per Garibaldi lo infastidiva e lo irritava
sempre più: finiva coll'odiarlo quell'uomo che aveva l'amore di tutto
un popolo, l'ammirazione di tutto il mondo.

Il Barbarò, dopo la speranza di un grosso guadagno sulle forniture,
due altre ne aveva riposte nella guerra; e cioè che Andrea Martinengo
ricevesse una palla nello stomaco (magari una palla di cannone) e che a
Garibaldi toccasse la peggio. La morte del Martinengo lo avrebbe reso
felice; la sconfitta "dell'eroe dei due mondi" gli avrebbe ridato il
buon umore.

"Era tempo di finirla con quella mascherata delle camicie rosse!"

E la sera in cui Garibaldi appunto era aspettato a Brescia, dove teneva
il suo quartier generale, il Barbarò rimase solo solo e imbronciato in
un cantuccio del _Caffè del Duomo_.

La grande sala, sempre affollata e risonante pel frastuono allegro
delle voci e il continuo via vai della gente, quella sera era vuota
e deserta: tutti erano alla stazione; tutti erano andati incontro a
Garibaldi.

Pompeo borbottava:--Gl'Inglesi hanno ragione da vendere, quando ci
chiamano la carnival nassion! Con una guerra terribile alle spalle,
non si pensa ad altro che alle feste e alle luminarie. Matti; matti da
legare!

Ma così solo si annoiava. Sbadigliò, fece alcuni conticini, col lapis,
sul tavolino di marmo, poi pensò ch'era meglio andare a dormire,
e chiamò, per pagare, il cameriere. Questi si faceva attendere:
approfittando dell'occasione s'era ritirato anch'esso in un altro
cantuccio, e faceva un sonnellino.

--Crist'... oforo!--gridò Pompeo, battendo stizzito sul tavolino, colla
ghiera del bastone.--Sono andati con Garibaldi anche i camerieri?!...

Tommaso, il buon Tommaso del _Caffè del Duomo_, si svegliò allora
tranquillamente, si avvicinò bel bello, e fissando il _cabarè_,
cominciò a fare il conto ad alta voce colla sua solita cantilena:

--_Venticinque_ del caffè; _cinquanta_ del cognac; _trenta_ del
_scifone_: uno e cinque per _servirlaa_!

Pompeo buttò una lira e due soldi sul vassoio.

--Grazie al _signoree_!

Ma il buon Tommaso, svegliato del tutto oramai, desiderava fare un
po' di conversazione; e però mentre con una mano teneva sollevato il
vassoio e coll'altra, servendosi di uno strofinaccio, asciugava il
tavolino, domandò sorridendo:--Il signore è rimasto solo stasera?

Il Barbarò non rispose.

--Tutta Brescia--continuò l'altro senza scomporsi--è alla stazione per
veder Garibaldi. Ci sarà in moto, dicono, un ventimila persone!... Ed
io sono inchiodato qua dentro, cane d'un mestiere!... Lei però, che ci
poteva andare, com'ha fatto a star fermo?

Il Barbarò guardò il cameriere di traverso, cogli occhiettini loschi,
rispondendo sgarbatamente:

--Io non sono nè uno spensierato, nè un matto!

Il buon Tommaso ritto, sempre col vassoio in mano, fissò alla sua volta
l'avventore, ma con un'aria sospetta e punto benevola.

--Io penso al mio povero figliuolo--continuò Pompeo sospirando--e non
ho volontà di divertirmi.

--Il signore ha un figliuolo con Garibaldi?--domandò premurosamente il
cameriere.

--Già; con Garibaldi. Un figlio unico.

--Unico?

--Unico e solo!--Così dicendo il signor Pompeo cercò un piccolo
medaglione fra il mazzetto di ciondoli, lo aprì, e mostrò al cameriere
il ritratto di Giulio Barbarò, vestito da Garibaldino.--Deve arrivare a
Brescia domani o doman l'altro, e ci son venuto apposta per vederlo, e
per essergli più vicino!

Il buon Tommaso che aveva guardato il ritratto, tornava a guardare il
Barbarò, ma con un'espressione di simpatia.

--Non ho altro che lui al mondo!... Mia moglie, poveretta--continuò
Pompeo, che aveva notato il cambiamento--è morta nel _quarantanove_,
sicuro; in seguito allo spavento di quella notte terribile in cui
erano venuti i Tedeschi in casa nostra per...--ci pensò un poco, e poi
gli scappò detto--per condurmi al patibolo!--E a questo punto come se
avesse paura di lasciarsi vincere dalla commozione di quei ricordi, si
alzò bruscamente, esclamando forte nell'andarsene:--Buona sera!

--Buona sera, signore!--rispose il cameriere, assai rispettosamente, e
senza la solita cantilena.

Appena uscito dal _Caffè del Duomo_, Pompeo Barbarò era lì lì per
sentirsi commosso; aveva finito col crederci un po' a quanto aveva
raccontato. Ma poi, giunto che fu sotto i portici, la lunga fila di
portici che attraversa il cuore della città da _Piazza Vecchia_ al
_Corso del Teatro_, cominciò di nuovo a brontolare storpiando le
parole:--_Carnival nassion! Carnival nassion!_

I portici erano pieni di gente di ogni età, di ogni condizione. Signore
e donne in capelli, uomini del popolo e ragazzi scamiciati; e tutti si
avviavano in festa verso il _Corso del Teatro_, animati tutti da uno
stesso pensiero, Garibaldi; tutti con una sola parola sulle labbra,
Garibaldi; tutti con un'ansia sola nel cuore, vedere Garibaldi!

Il Generale doveva essere arrivato, e il suo quartiere era stato
fissato all'_Albergo d'Italia_, in faccia ai portici del Teatro; poco
lungi dall'_Albergo del Gambero_, dove aveva preso alloggio Pompeo
Barbarò. Questi per schivare l'ingombro della gente affrettò il
passo: voleva ritornare all'albergo colle costole sane!... Pure, non
ci fu verso; arrivato in fondo ai portici dovette fermarsi. Tutto il
Corso era pieno, stipato dalla folla che chiudeva gli sbocchi come
una muraglia, e che gridava acclamando ad ogni ripresa dell'_Inno di
Garibaldi_, continuamente ripetuto da una banda ormai fiacca e stonata.
Quei mille e mille occhi volevano rivedere Garibaldi al balcone
dell'Albergo; quei mille e mille cuori volevano infiammarsi ancora
alla sua voce, alla sua parola; volevano sentire dalla bocca stessa
dell'Eroe la promessa della vittoria.

--Adesso per Garibaldi non mi è più permesso di andar a
dormire!--borbottò Pompeo sbuffando.--E poi lo chiamano il campione
della libertà!

Ma aveva un bell'agitarsi: non riusciva a sbucare.

--Ecco la libertà che abbiamo guadagnata!... Evviva la libertà!

Pure anche Pompeo, senza avvedersene, rimase attratto dalla commovente
imponenza del nuovo spettacolo, e sempre brontolando si avviò passo
passo, con un muso lungo un braccio, verso l'_Albergo d'Italia_.

"Poichè si trovava lì, e non era possibile di andar a dormire, voleva
vederlo anche lui, questo Garibaldi!"

Camminava sempre sotto il portico e contro il muro per schivare la
gente che guardava di mal occhio, quando a un tratto esclamò:

--Ah, ah, lo Sbornia! Stasera ne avrà bevuti dei bicchierini alla
salute del Dittatore!

Lo Sbornia era vestito da volontario. Adesso che c'era l'aiuto di Beppe
Micotti aveva potuto arruolarsi senza che gli toccassero prediche.
Appoggiato a una delle colonne dei portici, cogli occhi intenti verso
il terrazzo dove da un momento all'altro sarebbe apparso Garibaldi,
stava immobile e muto come una cariatide. Pompeo gli si avvicinò
battendogli sopra una spalla. L'altro si voltò lentamente, ma poi
riconosciuto il padrone si rizzò subito toccandosi il berretto.

In quel punto, da tutta la folla, uscì un immenso evviva, un tuono, un
uragano di evviva. Il vecchio volontario non pensò più al principale;
lo dimenticò affatto, e agitando il berretto verso il terrazzo, mormorò
colla voce cupa e rauca:--Viva il Generale!

--Taci, ubriaco!--grugnì piano Pompeo; ma intanto anche lui dovette
alzare il capo e guardare Garibaldi.

In un attimo in tutta quella moltitudine rumoreggiante non ci fu più un
grido, una parola, una voce: Garibaldi cominciava a parlare.

--Non si capisce niente!--borbottò Pompeo, stringendosi addosso allo
Sbornia.

Invece la voce dell'Eroe, limpida e squillante, si diffondeva chiara
nello spazio: le sue parole erano un saluto di amore, un inno alla
libertà, una promessa di vittoria.

La folla, delirante, rispose ancora con un grido solo, ma in cui c'era
la voce e il cuore di tutti:--Viva Garibaldi!

I petti balzarono; parve tremassero le case alte sotto il cielo
stellato.

Garibaldi salutò sorridendo: biondo, come la leggenda cristiana
immaginò il Nazzareno; sfolgorante nella camicia rossa, rischiarato
dalla luce fantastica delle torce a vento, non era più un uomo, ma una
apparizione, un mito. Era il simbolo della patria, era l'incarnazione
della gloria.

Pompeo, soggiogato, drizzò un'altra volta gli occhiettini miopi verso
il terrazzo; ma il fremito della folla non penetrava in lui. Egli era
solo in mezzo a quel mare di gente. Pure un senso di sconforto e quasi
di avvilimento si era fatto strada nell'animo suo. Sentiva, capiva per
la prima volta che vi era al mondo qualche cosa di più potente, di più
grande del danaro; qualche cosa superiore alla sua intelligenza e al
suo cuore; qualche cosa di alto, di ben alto; a cui montando in piedi
su tutti i suoi milioni, non avrebbe mai potuto avvicinarsi d'un punto.

--Ecco--pensava--se potessi anch'io avere una folla a' miei piedi,
e farmi battere le mani, e gridare evviva!... Allora, chi sa, anche
quell'orgogliosa che adesso mi disprezza, avrebbe per me un po'
d'ammirazione... e... forse forse....

Ma fu un baleno. L'immagine della marchesa Angelica vinse subito
il senso di abbattimento da cui era stato preso. L'odio e l'ira
gli si ridestarono nel cuore e con tanta forza che, non potendo più
contenersi, si sfogò contro lo Sbornia che continuava ad agitare il suo
berretto:

--Diventi matto, buffone?!--gli gridò piano, fra i denti, tirandogli un
pugno nella schiena.

Il Garibaldino si voltò colle guance accese, coll'occhio non più
instupidito, ma scintillante; fissò in faccia il suo padrone e gridò,
ma gridò forte, levando alte le braccia:--Sì!... Viva; viva il Generale!

Pompeo ghignò con un'alzata di spalle e non disse più una parola. Lo
sprezzava troppo; non si voleva confondere! In quel momento avrebbe
desiderato, invece, che tutta la folla fosse piena di debitori suoi,
per averla in pugno e vendicarsi; oppure che capitasse improvvisamente
un buon squadrone di cavalleria per caricarla e disperderla!

In quanto poi a Garibaldi, gli sarebbe piaciuto di trovarsi insieme con
lui, a quattr'occhi, e domandargli:--Dica un po', signor predicatore,
quando l'avrà fatta questa Italia, chi pagherà le tasse e darà da
mangiare agl'Italiani?!




XV.


La carriera dello Sbornia, dal _quarantotto_ alla campagna del
_sessantasei_, non era stata molto splendida: si era fermata al
principio; era rimasto soldato semplice. E ciò perchè non aveva mai
domandato nulla nè ai superiori, nè ai compagni, nè al governo del suo
paese. Quando Garibaldi chiamava i Volontari sotto le armi, egli si
presentava a un comitato di arrolamento e non faceva altro che dire il
suo nome e cognome. Soltanto nel _sessantasei_ aveva fatto valere le
sue campagne, perchè al comitato si facevano difficoltà ad accettarlo,
stante gli anni, che non eran pochi. E un'altra grazia domandò pure
in quell'epoca ed ottenne; di entrare nello stesso reggimento e nella
medesima compagnia di cui faceva parte il figlio del suo principale.
Per altro Giulietto Barbarò non ne aveva mai saputo niente di tali
pratiche. Una mattina, destandosi prima della sveglia (il reggimento
era accampato presso Desenzano) ravvisò lo Sbornia, seduto lì a due
passi, sopra un mucchio di ghiaia, che col muso basso, gli ungeva
le scarpe di sego. Il buon ragazzo, al quale sembrò di vedere in
quell'uomo un pezzettino di casa sua, gli fece subito grandi feste;
poi cominciò colle domande e non la finiva più. L'altro si fermò a
guardarlo a bocca aperta, cogli occhi melensi, rispondendo appena
qualche monosillabo; e da quel momento continuò a servirlo in tutto ciò
che gli poteva abbisognare, sempre muto, colla faccia sonnacchiosa,
dondolandosi anche, qualche volta, ma con una puntualità e una pratica
di tali faccende, degna proprio di una vecchia ordinanza.

Appunto poi nella sua tappa a Desenzano, e poche ore prima di
rimettersi in marcia per Salò, un'altra e ben più cara sorpresa
aspettava il giovane Garibaldino. Come tutti gl'innamorati, anche
Giulio rifuggiva dal chiasso e dalle allegre brigate; però a Desenzano,
dove in quei giorni era un andirivieni continuo di gente, Veneti
emigrati e famiglie intere d'ogni provincia d'Italia, venuti a salutare
gli amici e i congiunti che avevano nel corpo dei Volontari, egli,
quantunque invitato dai compagni, non vi si era mai fatto vedere.
Invece vi andò l'ultimo giorno dell'accampamento per cercare una
lettera alla posta. Prima aveva mandato lo Sbornia, ma questi era
ritornato colle mani vuote.

--Come?... Non ci son lettere?

L'altro fe' segno di no, col capo.

--Non è possibile!... Hai detto chiaro il mio nome?

Ci fu un nuovo cenno, ma affermativo.

--Ti sarai spiegato male!... Non ti sarai fatto capire!

Lo Sbornia non rispose più niente.

Allora il giovanotto,--la speranza è l'ultima che si perde,--volle
andare alla posta in persona per accertarsi.... Ma proprio non c'era
nulla.

"Come mai?... Che cos'era accaduto?"

Tristo e pensieroso, Giulietto Barbarò attraversava la piazza grande
del paese per ritornarsene al campo, senza nemmen badare a tutta
la gente che si accalcava sotto i portici e riempiva la piazza con
un trapestìo assordante, con un brusìo allegro e cordiale, fra cui
spiccavano giovanilmente balde le camicie rosse dei Volontari, quando
tutto a un tratto, e in men che non si dica, udì un grido, poi
chiamarsi per nome, poi una persona che gli si precipitava addosso,
soffocandolo in un abbraccio.

--Eccolo qui, eccolo qui, finalmente _sto moscardin_ benedetto!

--Oh Donna Lucrezia!--esclamò Giulio facendosi rosso in viso, perchè
lì, colla zia, aveva veduta la Mary, rossa rossa anche lei, che
sorrideva.

--Venivo dalla posta in questo punto--balbettò--e....

--E la letterina che aspettavate era in cerca di voi!--interruppe la
Balladoro, indicandogli la fanciulla i cui occhioni neri scintillavano
d'amore e di tenerezza.

Qua e là, dai crocchi vicini, si voltava la gente osservando
quell'incontro così espansivo, e allora Donna Lucrezia, che se n'era
accorta, scodinzolando impettita cominciò a spiegare al giovanotto
com'era nato il disegno del loro viaggio.

Venivano in quel momento da Rezzato, dov'erano state a salutare
"Francesco Alamanni, tenente colonnello, addetto allo Stato Maggiore
di Garibaldi." E la Balladoro ripetè più volte e molto alto quel
nome e quel grado; anzi nel suo fervore stringendo un poco i legami
della parentela faceva tutt'uno di sè colla Mary, dicendo sempre "il
colonnello nostro zio."--"Poi, partite da Rezzato" e qui la vedova
abbassò la voce allontanandosi dai curiosi al braccio del Garibaldino,
"partite da Rezzato e saputo da vostro padre che oggi probabilmente
sareste stato ancora a Desenzano, non mi fu più possibile di trattenere
quella _piavolona_ della Mary e... eccoci qui!"

--Il babbo?... Dove lo hanno veduto?

--A Brescia, e _sempre di quell'ottima_!

La Mary non aveva detto ancora una parola, ma camminando al fianco
della zia spingeva innanzi la bella testina per veder meglio il giovane
Volontario, che rimaneva dall'altra parte, e un po' nascosto.

Giulio, dal canto suo, pareva assai impacciato e aveva il respiro
affannoso, come se avesse corso. Egli sapeva già che la Mary in quei
giorni doveva incontrarsi collo zio Francesco; sapeva pure che la
nipote avrebbe tenuto allo zio un certo discorsetto assai importante,
ed era appunto per tutto ciò che un momento prima, non avendo ricevuto
lettere, si sentiva così inquieto e addolorato. Ma adesso, invece, non
c'era più dubbio! La risposta doveva essere stata favorevole!... Perchè
dunque non si mostrava allegro? Perchè rimaneva muto, confuso?...

Povero Giulio! era la troppa felicità che lo turbava, che gli toglieva
le parole!... In fine, si fece coraggio, e allungando il collo alla sua
volta per veder la Mary:--è proprio stata un'apparizione!--balbettò,
ringraziandola cogli occhi.

Ma c'era là in mezzo a loro Donna Lucrezia, la quale prese per sè il
complimento, e fermandosi su due piedi e sciogliendosi dal braccio del
giovane gli disse lentamente con un mesto sorriso:

--Un'apparizione.... Giusto giusto, poteva essere un'apparizione perchè
in tutti i modi anche morta sarei venuta coll'anima a salutarvi; ma,
guardatemi bene: poco ci mancò, tesoro mio!

Giulio la guardò: aveva il cappellino rotondo alla _Teresita_; la
camicetta rossa, di seta; ma, in complesso, era lunga stecchita,
col naso gonfio e umido, tale e quale come quando l'aveva lasciata.
Solamente, in mezzo alla fronte, era sparito il ricciolo alla Zodenigo.

--Scusi, Donna Lucrezia... non capisco. Sarebbe stata forse ammalata?

--Agli estremi--rispose la vedova con accento tragico.

--Come mai? Che cosa ha avuto?

--Che cosa ho avuto?... Mary--soggiunse rivolgendosi alla fanciulla--va
avanti due passi!--La giovane quietamente si allontanò, e allora la
Balladoro, preso ancora il braccio di Giulio e stringendoglisi più
vicina.--Quel mostro--gli sussurrò all'orecchio--altro che _spirito_ e
_contemplazion_!... ha ingra...--e finì la parola col gesto--la Rosetta!

--Oh povera ragazza!

--Povera ragazza un corn... (non mi fate spropositare!) Poveretta
me, dovete dire! Non ho potuto reggere allo strazio di tutti i miei
ideali, e un dopo pranzo mi sono avvelenata!... Mary, torna pure che
ho finito.... È stata lei che mi ha salvata--continuò Donna Lucrezia
indicando la fanciulla--e in due modi. Primieramente arrivando in tempo
col contravveleno; poi ricordandomi il giuramento fatto a suo padre di
non abbandonarla mai!

La Mary sorrideva: essa non pareva molto commossa per quel terribile
racconto. In fatti a rimettere la zia dalla morfina era bastato un
po' di caffè carico, ch'essa ingoiò mormorando "_lasseme morir!_ Mio
Dio, _che spasimi!_... _lasseme morir!_" Ma Giulietto invece rimaneva
perplesso, con una cera lugubre di circostanza, tanto che Donna
Lucrezia medesima credette fosse il caso di confortarlo.

--Via, via! Rassicuratevi; sono stata una stramba, ma adesso... non
ci penso, non ci voglio più nemmen pensare! Ha ragione la Filomena,
nella sua ignoranza, di chiamarlo un tisico falso: con due parolette,
_zaffete_, è fotografato!... È bensì vero che la piaga del _cuor_
sanguina sempre, anche per l'oggetto indegno al quale sono stata
posposta, ma... non uso far soffrire a chi amo i miei tormenti.
Piuttosto, conduceteci in qualche alberghetto dove si possa mangiare
un bocconcino un po' da cristiani. È tutto il giorno che _andemo a
zirandolon_ e scommetto che anche la Mary deve avere una fame da lupi!

Giulio Barbarò condusse subito le signore alla locanda del Mayer. Ma
nelle sale terrene era tanta la confusione e la ressa della gente, che
non era possibile trovar posto.

--Oh Dio, si soffoca!--esclamò la Balladoro.

--Se vogliono provare di sopra, ci sono altre sale ed anche la gran
terrazza!--disse loro, tanto per liberarsene, un povero cameriere
trafelato, che correva tenendo in equilibrio un monte di piatti e
vivande.

La Balladoro e i due giovani salirono al primo piano e rimasero subito
un po' ristorati trovandosi a respirare sopra un bel terrazzino, di
prospetto al lago, tutto coperto da una folta vite. Anche lì non c'era
più posto; per altro alcuni Garibaldini, amici e compagni di Giulio
Barbarò, lo invitarono colle signore alla loro tavola; "si sarebbero
ristretti un poco, ma avrebbero potuto pranzare tutti insieme." Colla
fame che avevano, non si perdette tempo a far complimenti. Donna
Lucrezia, ritta impalata, accettò il posto d'onore, e Giulio si sedette
vicino alla Mary.

Tuttavia l'appetito dei due giovani durò poco; mangiavano in furia
per potersi guardare, arrabbiandosi coi camerieri che aspettavano una
mezz'ora fra un piatto e l'altro. Essi avevano già adocchiato un
cantuccio della ringhiera dove avrebbero potuto parlarsi da soli; e la
fanciulla faceva raccolta di midolla di pane per gettare ai pesci.

Dopo l'arrosto non ci fu più verso di tenerli a tavola. Si alzò prima
la Mary, e si avviò tranquillamente verso la ringhiera col pane per i
pesciolini; Giulio, facendosi rosso, le tenne dietro quasi subito.

Sul terrazzo c'era troppa allegria e troppo baccano, perchè la gente
potesse badare ai due innamorati; e Donna Lucrezia, smesso il sussiego
del primo momento, aveva cominciato a parlare del "loro zio Francesco
Alamanni" che tutti i Volontari conoscevano bene, se non di persona,
almeno di fama, e a mano a mano, infervorandosi nel discorrere, non
pensava più ad altro.

--Guardi, signor Giulio, guardi che spettacolo incantevole!--esclamò la
fanciulla ad alta voce, tanto per far credere intorno che il giovanotto
le si avvicinasse per ammirare la bellezza della veduta.

Era cominciato il tramonto e Sirmione, fra le onde turchine, appariva
dorata dall'ultimo raggio di sole. Era fantastica la linea rossa di
fuoco, che chiudeva l'orizzonte; era maraviglioso il profilo cupo delle
montagne sullo sfondo trasparente del cielo; ma i due giovani non
vedevano nulla di tutto ciò: si guardavano; e tutto il mondo della Mary
era negli occhi di Giulio, tutto il mondo di Giulio era negli occhi
della Mary.

--E dunque?... ha parlato collo zio?--domandò il giovane piano piano
alla fanciulla.

Donna Lucrezia, che da qualche tempo si mostrava molto smaniosa di
veder concludere le nozze della nipote con Giulietto Barbarò, aveva
fatto capire che se il mettere a parte lo zio Francesco di un tale
avvenimento era un atto doveroso per la Mary, pure del suo consenso ne
avrebbero potuto anche far senza.

--_Contenta mi, contenti tuti!_--ripeteva sempre la Balladoro. Ma
così non pensava la Mary. Essa adorava lo zio Francesco, e ne andava
superba. Ricordava i sacrifici ch'egli aveva fatti per lei in ogni
tempo, e che continuava a fare, e lo ricambiava con una tenerezza e una
sommissione di figlia.

Per tutto ciò la voce di Giulio tremava un pochino, mentre faceva la
sua domanda alla signorina Alamanni.

--Ha parlato col signor Francesco!

--Sì; ho colto il momento in cui non c'era la zia presente e....

--Che ha risposto? Che ha risposto?--interruppe Giulio al quale non
premevano i particolari, ed era ansioso di venire alla conclusione.

--Ha risposto che, in regola generale, era sempre stato il suo più
vivo desiderio quello di sapermi... di vedermi collocata.--E adesso
toccò alla bella fanciulla ad arrossire; ma per nascondere il vivo
turbamento, si chinò sulla ringhiera, e ricominciò a gettare le
briciole di pane ai pesciolini.

--Gli ha detto proprio tutto?--insistè il giovane, avvicinandosi di
più.--Gli ha detto che... che mio padre, in origine, non era... un
signore?

--Sì, e lo zio mi ha risposto che non si ricordava di aver mai
conosciuto, nè veduto il signor Barbarò; del resto egli non faceva caso
nè della nascita, nè delle ricchezze; voleva, e gli premevano due cose
soltanto: che il nome fosse di gente onorata e che io....

--E che lei?...--insistè il giovanotto, fissando la fanciulla che si
era interrotta.

--Non ho più pane--esclamò la Mary mostrando al giovane le sue manine
vuote.--Vado a prenderne dell'altro,--e scappò via in fretta, piantando
lì il Garibaldino, un po' confuso e mortificato, che non aveva saputo
trattenerla, e non osava andarle dietro.

Donna Lucrezia, nel frattempo, col viso acceso e la voce forte, aveva
raccontato ai nuovi amici tutti i grandi sacrifici compiuti per la
patria dagli Alamanni, dai Badoero e dai Balladoro. Poi gli aveva fatti
ridere a proposito del consigliere Spinelli, un _coinon_, un vero
_bucefalo_ che le era stato messo alle costole dalla polizia austriaca
per tenerla d'occhio e per martirizzarla; e, in fine, dal cavaliere
Spinelli era passata a sfogarsi contro certi _italianoni_, ai quali
il _governo dei moderati_ accordava la sua grazia!... Certi tomi,
capaci capacissimi di fare il tisico quando era il momento di andare
a battersi, e che per la patria non avevano versato mai altro che
inchiostro!...

--Avrei un'azionaccia da raccontare, un'azionaccia...--ma a questo
punto la Balladoro vide la nipote che si avvicinava, e allora--acqua in
bocca, Lucrezia--esclamò--e siamo prudenti!

La Mary fe' un girettino attorno alla tavola, prese alcuni pezzetti
di pane, poi tranquillamente tornò ad avvicinarsi alla ringhiera dove
Giulio l'aspettava, dicendogli, come per intavolare un discorso un po'
diverso da quel di prima:

--Sa?... Ieri ho ricevuto lettera dall'Angelica!

--La marchesa sta bene?--domandò il giovane un po' distratto.

--Bene; e Alberto pure. Sembra proprio che l'aria marina gli sia molto
propizia....

--E dunque non mi vuol ripetere tutto quello che le ha detto il signor
Francesco?--riprese il giovanotto, con voce sommessa, mentre la Mary,
chinata sulla ringhiera, scioglieva colle dita la midolla del pane che
lasciava cadere nell'acqua.

--Non so bene.... Mi pareva di aver raccontato ogni cosa.

--No, no; mi ha detto solamente che il signor Francesco pretendeva che
il nostro nome fosse onorato.... Ma l'altra condizione vorrei sapere...
quella che tocca proprio lei?

La Mary sorrise; buttò ai pesci in una volta sola tutto il pane che
aveva portato, e mentre la mano di Giulio si avvicinava sulla ringhiera
fino a toccar la sua, mormorò guardandolo serenamente "l'altra
condizione è... che io gli voglia _tanto_ bene!" e quel _tanto_ non era
del signor Francesco; lo aveva aggiunto lei.

--Allora?...--Giulio si era fatto pallidissimo e non fissava più gli
occhi, ma le labbra tremanti della fanciulla.

--Allora... dopo la guerra verrà subito a Milano... per conoscere il
signor Barbarò....

--E... poi?

--E poi, e poi non so più altro!--esclamò ridendo la Mary, alla quale
piaceva molto la timidità modesta dell'amico suo.

Si guardarono ancora lungamente.... Erano proprio felici!... Ma, a un
tratto si affacciò il pensiero del distacco vicino, della guerra, dei
mille pericoli... e allora gli occhi sereni della Mary si fecero mesti,
peritosi e il bel sorriso finì fra le lacrime.

--Non ho paura, sa; no, non ho paura!--disse poi rompendo il silenzio
con uno schianto dell'anima.--Stanotte ho sognato la mamma, e ciò mi ha
sempre portato fortuna!

Bastò quell'idea a dissipare ogni nube: tornarono a guardarsi;
tornarono a sorridere....

Poveri ragazzi!... Essi non avevano più alcun timore "dopo la guerra;"
non temevano nemmeno la venuta dello zio Francesco a Milano, per
assumere informazioni!

E, in fatti, che ne sapeva Giulio di suo padre?... Che ne sapeva la
Mary, del signor Barbarò?... Il giovanotto allevato lontano dal mondo,
senza amici, credeva che il babbo fosse un po' inflessibile, un po'
troppo positivo e attaccato al guadagno, ma... ma come avrebbe potuto
un figliuolo, e un figliuolo semplice e buono, dubitare dell'onestà di
suo padre?... Alla signorina Alamanni avevano detto che il Barbarò era
un po' avaro, ecco tutto.

Era vero che Donna Lucrezia a giorni ne diceva roba da chiodi e a
giorni, invece, lo portava alle stelle; ma la fanciulla non faceva gran
caso tanto dei biasimi, quanto delle esaltazioni della zia. La marchesa
Angelica poi aveva capito che Giulio e la Mary si volevano bene, e per
uno scrupolo delicato non avea mai voluto parlare colla cuginetta sul
conto del signor Pompeo.

Non dubitavano, non temevano nulla i due ragazzi!... Eran vicini
vicini, curvi addosso alla ringhiera; sempre muti, si guardavano
sempre. In fine, attratti da un fascino irresistibile, si avvicinarono
ancora di più: la camicia rossa del Volontario toccava l'abitino di
percallo a righe bianche e azzurre e ci fu un momento in cui un soffio
d'aria più forte portò un ricciolo della Mary sulla tempia di Giulio
Barbarò.

Intanto si era fatto notte; sulle tavole avevano accese le lucerne,
e Donna Lucrezia, cogli occhietti lustri e con in bocca il suo bravo
sigaro di Virginia, si lasciava trascinar dalla foga, a raccontare
tutto ciò che prima avea durato molta fatica a tacere, cioè che "quel
tisico falso," il quale tirava sempre in ballo la luna e le stelle,
lo spirito e la _contemplazion_ aveva... rovinata una sua dipendente.
Una _beota_, del resto, senza grazia nè meriti, che si tingeva gli
occhi e le guance mentre lei aveva sempre avuto per principio che per
conservare la bellezza di una donna c'era solo uno specifico: acqua
fresca in abbondanza!--E poi--continuava levandosi il sigaro di bocca e
guardandosi attorno, mentre abbassava la voce--e poi... devo dirla?...

--Dica, dica!--esclamarono tutti i Garibaldini che se la godevano con
la Balladoro, come fossero alla commedia.

--Poi, la donna deve mantenere sempre di più di quel che all'occhio
promette e... _corocochè_!

Le risa, le acclamazioni risonarono per tutto il terrazzo.

La Mary, rossa per aver pianto, si voltò, inquieta, a guardare la zia,
poi subito le si accostò, seguita da Giulio, pallidissimo, cogli occhi
aridi e infossati.

Donna Lucrezia, appena li vide vicini, fece la faccia seria,
mormorando, con timidezza affettata:--zitto, zitto; cambiamo discorso:
c'è qui il mio carabiniere!

--Allora un brindisi all'Italia!--proposero i Garibaldini alzando i
bicchieri.

--Oh questo sì!--e Donna Lucrezia cominciò:

  Ah se l'Italia frangere....

ma s'interruppe di colpo con una smorfia. Erano i versi dello
Zodenigo.--Che frangere d'Egitto; lo farò io il brindisi!--e dopo
averci pensato un istante, ripigliò fra gli applausi:

  Viva l'Italia una
    Dall'Alpi alla laguna!

In quel punto si udì squillare la fanfara dei Volontari, che
attraversava il paese. Tutti i soldati balzarono in piedi, ricambiarono
in fretta i saluti, e sparirono in un lampo dal terrazzo.

Giulio e la Mary si lasciarono con una stretta di mano, senza potersi
dire una parola. Dagli occhi della fanciulla le lacrime colavano
grosse, silenziose.

Un'ora dopo i Garibaldini erano in marcia sulla strada che costeggiando
il lago di Garda conduce da Desenzano a Salò. Era una notte chiara
di plenilunio, e i canti, le allegre voci e gli evviva all'Italia, a
Venezia, a Garibaldi si effondevano nel silenzio vasto delle acque
pallide e tranquille, e si ripercuotevano echeggianti per le valli
cupe, soffocando il sussurrio infinito degli insetti e sollevando le
strida acute degli uccelli notturni. Ma poi, a poco a poco, le voci
divennero più fioche, più rade, poi quasi a un tratto cessarono e per
la strada lunga e bianca non si udiva più altro che il brusìo confuso,
e il passo misurato della marcia.

I Garibaldini, per giungere a Salò, passavano da Padenghe, da
Villagardiana, da Moniga, da Manerba; e Giulio, frattanto, salutava i
luoghi così pieni per lui di memorie, così cari al suo cuore, e fra le
ombre nere e al mite chiarore della luna, quei paeselli gli apparivano
qua e là come amici soffermatisi sul suo passaggio che mestamente lo
salutassero. Allora il buon ragazzo fu preso da un senso di malinconia
dolce e soave, e rivedendo col pensiero innamorato il viso bello della
sua fanciulla, ancora molle di pianto, egli pure versò qualche lacrima,
ma di tenerezza, di amore, di felicità.... Pensò a suo padre, e si
consolava per la certezza che sotto un'apparenza aspra e burbera c'era
pure in lui molto cuore! Lo avea veduto commuoversi quando si erano
salutati: lo avea veduto fiero, superbo!

--Francesco Alamanni?... Oh, avrebbe provato all'Alamanni che il cuore
dei giovani valeva bene quello dei vecchi, e il nome di Giulio Barbarò
non sarebbe stato solamente il nome di gente onesta, ma pur quello di
un valoroso. Ah, per Dio, se avesse potuto guadagnarsi una medaglia!

--Ma... se non fosse più tornato indietro?... Povera Mary!... Era
certo, però, sì, sì... era certo che non si sarebbe più maritata!

Lì accanto al figlio del suo principale, marciava pure lo Sbornia,
ma senza pensare a niente. Colla testa bassa, cogli occhi socchiusi,
camminava dormendo.




XVI.


Mentre Giulietto era in marcia per Salò, la Mary si trovava in
viaggio per Milano. Le due signore avevano potuto rimaner sole nello
scompartimento, e Donna Lucrezia, dopo uno sternuto formidabile,
(si era raffreddata a pranzar fuori, sul terrazzo) avea finito
coll'addormentarsi, e così lasciava libera la nipote nel suo
raccoglimento.

La Mary, appoggiato il capo presso il finestrino, fissava cogli occhi
intenti la campagna, che sembrava più vasta nella notte chiarissima,
e che per la grande velocità del treno pareva correre dinanzi il suo
sguardo con apparizioni svariate e fantastiche... ma il pensiero e il
cuore erano lontani.... Erano in marcia verso Salò. Anche la fanciulla
sospirava il giorno in cui la guerra sarebbe stata finita, e lo
immaginava come un sogno di beatitudine e d'amore. Pur troppo anche
alla sua fantasia si affacciò involontariamente un'idea paurosa; fu
un momento di angoscia crudele; si sentì diacciare il cuore e pensò
che--_se mai_--si sarebbe fatta suora, suora di carità... per il poco
tempo che _gli_ avrebbe potuto sopravvivere.

A Milano, in que' giorni, era sempre mesta, inquieta; aveva sovente gli
occhi rossi e faceva disperare la buona Filomena perchè aveva perduto
l'appetito, e andar sulle furie Donna Lucrezia perchè non si vestiva
più bene, perchè non voleva più uscire a far visite, nè veder gente.

--Nessuno più di me--brontolava la vedova--è al caso di comprendere e
compatire le pene del _cuor_; ma, santi Numi, ci vuol coraggio... e
_distrazion_!

Invece la Mary di distrazione non ne volea sapere, e il coraggio le
veniva meno ogni giorno. Tutti i timori, tutte le angosce di que'
momenti terribili avevano un'eco dolorosa nell'anima sua. Aspettava
una lettera che le era stata promessa, e tutta la sua vita era lì,
nell'attesa di quella lettera, che non arrivava mai!

E lo zio Francesco?... Anche dello zio non si avevano notizie, e questa
era un'altra grande inquietudine.

La mattina, prestissimo, la Mary usciva colla Filomena per ascoltare la
prima messa nella piccola chiesetta di Sant'Andrea e pregava lungamente
inginocchiata presso l'altare della Vergine, col capo chino e il viso
nascosto nell'uffiziuolo. Pregava, perchè arrivassero le notizie tanto
desiderate, e perchè Giulio ritornasse, e ritornasse presto, insieme
collo zio. Pregava, e quando rialzava gli occhi dal libro erano gonfi
di lacrime.

La Filomena non poteva reggere a stare tanto tempo inginocchiata, e
però rimaneva seduta presso la Mary, e diceva anche lei le orazioni
facendo scorrere fra le dita tremolanti una lunga corona di cocco.

La vecchiarella, che continuava a servire la Balladoro colla promessa
della pensione appena la padrona si fosse accomodata con un'altra
serva che dovea aver tutti i numeri, ma che non si trovava mai, adesso
zoppicava con tutt'e due le gambe. Più assecchita, pareva ancora più
piccola; ma aveva sempre i bei riccioli bianchi attorno alla faccetta
vispa e buona. Anche la Filomena pregava per il signor Francesco, per
quella lettera benedetta, e pregava per il signor Giulio, sospirando
nel guardare con tenerezza la figura elegante della fanciulla che le
stava inginocchiata dinanzi. Tutte le pene e i dolori della padroncina
erano pur sentiti dalla Filomena, che piangeva e temeva e sperava con
essa.

Colle sue premure umili, ma insistenti, non la perdeva d'occhio
un minuto, e tutto il giorno era un continuo andar su e giù della
vecchiarella dalla cucina alla camera della Mary. La confortava co'
suoi presentimenti sempre lieti, e con certi ragionamenti che, se non
avevano un gran valore, pure ottenevano sempre un buon effetto; e
quando poi le parlava della sua povera mamma, di quella santa della
signora Lucia "ch'era in Paradiso di sicuro e che doveva assistere _i
suoi figliuoli_" allora negli occhi della Mary appariva un sorriso fra
le lacrime, sorriso che veniva colto a volo dalla Filomena, per far
mangiare alla padroncina qualcosetta di sostanzioso.

Ma presto nemmeno la Filomena non seppe più come darle animo. La
battaglia di Custoza, che dissipò tante balde speranze, aveva messo
la fanciulla in uno stato di continuo sbalordimento. Pallida, smunta,
non parlava più, non piangeva nemmeno più. Guardava in viso la zia, la
Filomena, cogli occhi smarriti che esprimevano una domanda angosciosa,
ma alla quale nessuno poteva rispondere, perchè mancavano affatto le
notizie dal campo Garibaldino.

--_Povareta mi!_... La perde tutti i sentimenti!--esclamava donna
Lucrezia.

--Seguitando così, muore sfinita--sospirava la Filomena.

E davvero la povera ragazza non avrebbe potuto continuare ancora per
molto tempo in quello stato; ma per fortuna la lettera tanto attesa
arrivò finalmente a rimetterla in vita, e a ridarle un po' di speranza.

Giulio Barbarò aveva scritto a Milano, dal _Ponte del Caffaro_ fino dal
ventisette giugno; ma la lettera non era arrivata in _via della Spiga_
prima del due di luglio.

La Mary, appena l'ebbe fra le mani, andò subito a rinchiudersi nella
sua camera per quanto la zia le fosse corsa dietro e picchiasse
all'uscio gridando che anch'essa era _tuta in convulsion_ e che voleva
saper qualcosa. Tuttavia non aspettò molto. L'altra uscì quasi subito,
ancora colla lettera spiegata in mano, ma affannata e piangente.

--Santi Numi, una disgrazia?...

--S'è... s'è.... s'è battuto!

--È rimasto ferito?

--No... no....

--E allora consoliamoci senza tanti spasimi, creatura benedetta!

--Ma zia... pensa che.. poteva...--e la fanciulla si buttò sul canapè,
e proruppe in un pianto dirotto.

--Bisogna compatirla--mormorò la Filomena ch'era venuta anche lei
per sentire, portando un bicchiere d'acqua alla Mary:--sono scosse
che fanno perdere la testa a una povera ragazza. Beva, beva un sorso
d'acqua!... Vuole che ci metta anche un dito di caffè?

La Mary fece segno di no, col capo, poi andò a sedersi presso la
finestra, e balbettando e singhiozzando cercò un brano della lettera
che voleva leggere.

Le due donne aspettavano in piedi, con grande ansietà.

--Andiamo... comincia dal principio!

Ma invece la Mary ostinata, cominciò a leggere in fondo della prima
pagina:

--"...ie... ieri... fi... finalmente."

--Santa pazienza!... Guarda, Filomena, dove ho messo gli occhiali!
Leggeremo insieme o non si va più avanti!...

--..."ieri finalmente--ricominciò la giovane con voce più
sicura--abbiamo avuto il primo scontro a _Ponte del Caffaro_...."

--Dov'è?... Dov'è questo _Ponte del Caffaro_?

--Sarà in Tirolo--osservò la Filomena.

--Grazie tante, _siora_ mammalucca!

--..."eravamo in pochi: la mia compagnia e quella del capitano Egisto
Bezzi, che si è battuto come un leone...."

--L'ho conosciuto questo Egisto Bezzi; sicuro, sicuro. Non ti ricordi,
Mary, a Desenzano? Un bel pezzo d'omo?

--..."fummo assaliti inaspettatamente, ma quantunque i nemici fossero
al doppio di numero e molto meglio armati di noi, con certe carabine
che non sbagliavano d'un punto, dopo una lotta accanita, disperata, li
abbiamo respinti.

--Bravi _tosi_; evviva l'Italia!

--"Ma--e qui la voce della Mary tornò a farsi tremante--ma pur troppo
dobbiamo lamentare fra i nostri molti morti e feriti. Io poi ho perduto
un compagno che mi era affezionato; un antico agente di mio padre; un
bravo soldato che fino dal _quarantotto_ aveva fatte tutte le campagne
con Garibaldi...."

--Lo Sbornia--esclamò la Balladoro.--Oh povero Sbornia!... Chi sa, chi
sa, il signor Pompeo! ne sarà disperato!

La Mary alzò gli occhi, guardando la zia come per interrogarla. Essa
non si rammentava d'averlo conosciuto questo agente del Barbarò.

--Da parecchio tempo non si vedeva quasi più col signor Pompeo, ma una
volta era il suo factotum.... Tira via....

--... "Egli è morto, si può dire, fra le mie braccia. Durante il
combattimento, il Micotti...."

--Bravo; il suo nome era appunto Micotti, ma tutti lo chiamavano
Sbornia per... per antonomasia, come dice quel cane d'un... del....
Tira via, tira via!

--"Durante il combattimento, il Micotti era rimasto ferito a un piede
da una palla morta. Ci tenevamo tutt'e due per riparo, inginocchiati
dietro il grosso tronco di un albero; anche ferito egli non aveva
detto una parola; aveva continuato a far fuoco, e per ciò, non m'ero
accorto di nulla. Ma poi, quando i nemici cominciarono a ritirarsi ed
io mi alzai, volendo raggiungere i compagni, egli allungò il braccio,
e traballando mi afferrò con una mano.--Sei ferito?--gli chiesi subito
notando il suo pallore.--Non è niente--mi rispose sforzandosi per
camminare. Allora cercai di aiutarlo e di reggerlo quanto più potevo,
e lo condussi passo passo, verso l'ambulanza. Eravamo soli (i nostri
compagni ci avevano preceduti perchè era stato sonato a raccolta)
eravamo soli in fondo a una valletta angusta, chiusa fra le rocce, e
che dovevamo attraversare. A un tratto, in alto, su per que' dirupi,
scorgo appena due _Jäger_e il luccicare delle carabine, e quasi
nello stesso tempo sento il fischio di una palla passarmi vicino
all'orecchio; sento echeggiare nella valle il fragore delle fucilate,
e il mio compagno che stramazza mormorando:--Buona notte!--Mi chinai
per soccorrerlo; era morente. Una palla lo aveva colpito giusto in
mezzo al petto.--Rialzai subito il capo, aguzzai l'occhio: gli _Jäger_
si allontanavano, arrampicandosi come camosci. Presi di mira il più
vicino, feci fuoco, ma che!... i nostri fucilacci sbagliano anche le
montagne!... Guardai di nuovo: gli _Jäger_ si arrampicavano ancora
tutt'e due... e a un tratto sparirono per quelle gole...."

--Misericordia!... Un filo; proprio per un filo!--esclamò la Balladoro,
mentre la Filomena, senza poter parlare, con le lacrime che le
gocciolavano dagli occhi, tremante, avvicinava il bicchier d'acqua
alla Mary, che vi bagnò appena le labbra, poi di colpo, corse via
esclamando:--E lo zio Francesco?... Lo zio Francesco?!--e andò in
camera nuovamente, e vi si richiuse.

--Dio, Dio, Dio, che angosce!--gemette allora Donna Lucrezia buttandosi
sulla sedia, dov'era prima la nipote.--Senti il polso. Filomena!...
Scommetto, non ho più sangue.... Dammi quell'acqua... no, aspetta...
con una goccia di vermut.... Io già sono così; mi sforzo, per far
coraggio a quella creatura; mi sforzo, mi sforzo, mi sforzo e poi non
posso più reggere e soffro l'impossibile!... Dio, Dio, Dio, per un
filo; proprio per un filo!...

Alcuni giorni appresso arrivava a Milano un'altra lettera di Giulio; ma
diretta a suo padre, il quale dopo la battaglia di Custoza era scappato
da Brescia. Questa seconda lettera conteneva pure una brutta notizia:
Francesco Alamanni era stato ferito e fatto prigioniero. E Giulio
pregava il babbo, se avesse creduto opportuno di comunicare la cattiva
nuova alla signorina Mary, di farlo con molto garbo, preparandola a
poco a poco, perchè non le cagionasse troppo dolore.

--Be'... be'!... Questa seccatura è per Donna Lucrezia. Quattro
parolette, quattro smorfiette, e tutto è presto passato!

E Pompeo Barbarò, che alla notizia della morte dello Sbornia aveva
esclamato colla signora Veronica "una bocca inutile di meno!" pensò
adesso, in cuor suo, che se Francesco Alamanni non fosse più ritornato
da quella guerra, non sarebbe stata una grave disgrazia.

--Ma invece--borbottava--pareva proprio che anche la mitraglia avesse
rispetto per gli spiantati.... Anche quel Florindo del capitano
Martinengo s'era trovato a Custoza, e l'avea passata liscia senza
rimetterci nemmeno un pelo dei mustacchi!... Saranno state le orazioni
della marchesa--continuava facendosi verde--che gli avran portato
fortuna. Come sono _ipocrate_ le donne!... Ficcano Domeneddio anche a
fare il terzo coi loro amanti!...




XVII.


Non erano scorsi molti mesi dalla morte del vecchio Micotti, quando
un giorno Pompeo Barbarò, chiuso solo nel suo studio, dinanzi a certe
carte, dovette convenire seco medesimo che il brav'uomo era proprio
crepato a tempo. Quelle carte si riferivano a un processo che veniva
intentato dal _Ministero della guerra_ contro la _Ditta Micotti e
figlio_, assuntrice per la fornitura delle scarpe e delle armi al Corpo
dei Volontari.

Le frodi e i brogli commessi dagli appaltatori sarebbero forse rimasti
inosservati o, come succede quasi sempre, lasciati nel dimenticatoio,
se i ferravecchi forniti per armi ai Garibaldini non avessero sollevato
il pubblico sdegno, e messo a rumore il campo del giornalismo. Tutti
que' giovani pieni di vita e di valore erano andati a farsi ammazzare
con macchinosi schioppettoni impotenti a resistere, impotenti a
rispondere alle famose carabine degli _Jäger_. Le gazzette riportavano
di continuo miracoli di valore rimasti senza frutto, e vittime
innumerevoli dovute non alla bravura del nemico, ma alla disonestà
degli speculatori, che era stata cagione di lutto e di lacrime per
tante famiglie italiane. E quella indignazione che correva per tutto il
paese, arrivò a farsi sentire in alto, e fu chiesto e fu istruito il
processo contro la Ditta Micotti. Tuttavia se la giustizia avea potuto
mettere le mani sui complici minori, "il capo e l'anima dell'impresa",
narrava _Il Moderatore_, un nuovo giornale, come apparisce dal titolo,
temperato e cauto, "era stato sottratto dalla morte al meritato
gastigo."

--Chi era costui?--si domandava l'un l'altro.

--Un poco di buono; un imbroglione raffinato. Avea avuto anche la
malizia di arruolarsi con Garibaldi per gettare la polvere negli occhi;
ma Dio non paga il sabato. Era stato ammazzato a _Ponte del Caffaro_
con una fucilata nella schiena, mentre fuggiva a gambe!

--Bene, per bacco!... Benone!... Ma anche il resto della compagnia--si
gridava nei caffè, nei pubblici ritrovi--i soci, i ministri, i
manutengoli, bisogna impiccarli tutti, senza misericordia!...

Intanto, a poco a poco, prima mormorato qua e là vagamente, come un _si
dice_, poi pigliando la consistenza di un fatto vero, accertato, veniva
messo in ballo il nome di "un certo Pompeo Barbarò" in tutte le losche
operazioni della Ditta Micotti; ed anzi finì coll'essere accusato
appunto "questo Pompeo Barbarò" e non più il Micotti, come la vera
anima dell'impresa, il _capitalista_; colui insomma che disponeva dei
quattrini.

--Allora bisogna impiccar lui per il primo!

--Certamente, se si potesse metterlo in gabbia!

--È scappato?...

--No; ma contro questa canaglia mancano le prove legali--rispondevano i
meglio informati.--Bisognerebbe in tal caso, che i gerenti della Ditta
cantassero chiaro. Se l'altro Micotti, il figlio del morto, volesse
fare delle rivelazioni, allora il Barbarò sarebbe spacciato; ma tutti
invece, si vede, devono trovare il proprio vantaggio nel tener nascosto
il principale, perchè nessuno fiata. Anche Beppe Micotti resta muto
come un pesce, e dichiara soltanto di aver eseguito sempre e ciecamente
tutte le istruzioni e gli ordini di suo padre.

--Ma anche questo Pompeo Barbarò, chi è infine? Da dove diamine è
sbucato?

--Chi può saperlo?... Ha sempre fatto l'affarista, l'usuraio; ma in
grande. Ha rovinato mezzo mondo; i Badoero fra gli altri, ed anche
il marchese di Collalto. Di sicuro, si sa una cosa sola; che ha più
milioni in tasca, che capelli in testa!

--Oh oh, davvero è proprio un riccone?!--esclamavano in molti a questo
punto.--Se ha tanti quattrini allora... niente paura!

--Paura, ne deve avere in ogni modo--soggiungevano i più
arrabbiati.--Dovrà pur comparire alle Assise, se non altro come
testimonio, e allora lo serviremo a suon di fischi e di legnate, quel
cane, quel boia!...

Infatti anche Pompeo Barbarò, pensando al giorno in cui, per i suoi
rapporti personali verso la Ditta Micotti, avrebbe dovuto presentarsi
all'udienza per deporre sui precedenti degli imputati, si sentiva
addosso la tremarella.

Era sicuro di averla fatta in barba alla legge, ma... se il pubblico,
vedendolo, si fosse messo a schiamazzare?... Gli accusati erano
lasciati a piede libero, e il Barbarò aveva potuto accomodar bene le
sue faccende; ormai era sicuro di Beppe Micotti e degli altri, ma... ma
s'egli stesso si fosse imbrogliato, confuso, tradito nel rispondere al
Presidente?

Poi, passato ancora qualche tempo, due o tre sere prima che
incominciassero i dibattimenti, ad accrescere la sua apprensione e le
sue inquietudini, gli capitò proprio un tegolo sul capo, da dove meno
avrebbe temuto.

Pompeo Barbarò era ancora a tavola a predicare, a brontolare e a
sbuffare con Giulio, che lo stava a sentire ansiosamente, sul proposito
dell'imminente processo. Dichiarava appunto che lui aveva sempre detto
e ripetuto che quel bestione dello Sbornia gli avrebbe fatto avere dei
dispiaceri, ma che del resto poteva vantarsi, e avrebbe provato di aver
le mani e la coscienza nette, quando entrò nella stanza il portinaio,
per avvertirlo che era venuta una donna a cercare di lui, e che gli
voleva parlare subito, sul momento.

--A quest'ora?... Chi è?...--domandò Pompeo maravigliato.

--M'ha detto di annunziare "la Veronica" e che lei avrebbe capito.

Il Barbarò, sbuffando, diede un'occhiata al figliuolo come per dirgli
"Capisci?... quella gente non mi dà requie neppure quando sono a
pranzo"; poi tornò a domandare:

--È ancora giù?

--Sissignore.

--Be'... falla salire.

Il portinaio uscì. Pompeo, continuando a sbuffare, accese una candela e
gli tenne dietro, fermandosi ad aspettare la Veronica sul pianerottolo;
poi, quando fu sopra, senza salutarla, nè guardarla in faccia, la fece
entrar nel suo studio, ch'era dall'altra parte della scala.

--E così?... Che c'è di nuovo?--domandò quando ebbe chiuso l'uscio, e
messo il candeliere sopra lo scrittoio.

L'asma, che aveva per la pinguedine, e l'affanno per aver fatto troppo
in fretta le scale, non lasciavano fiato di parlare alla signora
Veronica.

--Sono stata dall'avvocato.... dall'avvocato di Beppe!--esclamò
sedendosi sopra una seggiola presso lo scrittoio.

--Perchè? domando io; che sugo c'era?!... Sempre quel brutto vizio di
ficcarti e di pettegolare!

--No, no, signor padrone!... Non creda proprio--rispose la donna
ancora intimidita; ma poi facendosi coraggio e sforzando la voce,
soggiunse:--Volevo saper tutto!

--Tutto?... tutto che cosa?

--Ciò che riguarda il mio Beppe.

--Va bene: e che t'ha detto l'avvocato?...

--M'ha detto--rispose la Veronica con un terrore e un'angoscia
inesprimibili,--m'ha detto che, come s'è messa l'istruttoria, il mio
Beppe non potrà cavarsela del tutto pulito.... Lo metteranno dentro!...

--È ancora minorenne!... Gli toccheranno, al più, due o tre
mesi!--rispose il Barbarò alzando le spalle.

--Due o tre mesi?... Ma è come un anno, signor padrone!... Come dieci
anni!... È il disonore per tutta la vita! Per sempre!...

--Chè!... La vita è lunga.... Basta saper fare....

--Ma dunque lei sembra disposto... lei potrebbe permettere, signor
padrone, che mio figlio, che il... che Beppe... Beppe!... signor
padrone, vada proprio in prigione?--esclamò la donna pallida, tremante,
sbigottita.

--E che ci posso far io?

--Mi avevano ingannata allora!... Mi avevano promesso che mio figlio
sarebbe stato assolto!

--Chi aveva promesso?... Io no, di sicuro.

--Beppe medesimo; tutti gli altri!

--E allora perchè vieni da me?

--Perchè lei può salvare il mio Beppe.

--Sei matta; io non c'entro!

--No, no, no, signor padrone!... Per carità, per amor di Dio, non dica
così; la supplico in ginocchio, non dica così.

Pompeo girò su e giù per la stanza, bestemmiando fra i denti e
pestando i piedi; poi si fermò crollando il capo e guardando biecamente
la Veronica che si era lasciata scivolar giù dalla sedia ginocchioni.
Singhiozzava e si asciugava le lacrime colla veletta.

--Su, alzati, marmotta!... Non hai parlato con Beppe?

--Sì, ma si vede che non mi ha detto tutto, che ha voluto nascondermi
la verità--rispose la Veronica, rizzandosi, grassa com'era, con molta
fatica. Essa piangeva sempre.

--Andiamo; smettila!... Pari un mantice!... Ti avrà detto che io
sono... sono disposto a fare per lui un grande sacrificio?...

--Sì, ma credevo fosse... in cambio del silenzio; non già che il mio
Beppe dovesse andar lui in prigione.

--Metti che sia andato a fare un viaggio, e breve perchè, ti ripeto,
gli terranno conto dell'età.

--No, mai, mai, mai! Nemmeno un giorno!... Sapere il mio Beppe in
prigione!... Dio, mi strozzerei!

--Avrai un bel fare con quella pappagorgia!

--E strozzerei anche... qualcun altro!--soggiunse la donna con
voce sorda, avvicinandosi a Pompeo che indietreggiò d'un passo,
istintivamente.

--Oh, oh!... Diventi matta davvero?

La Veronica pallida, colle ciglia aggrottate, colle labbra stirate e
smorte sotto la riga scura de' baffi che in quel punto davano al suo
viso un'espressione maschia e risoluta, tremava ancora, ma di collera
e di sdegno. Non poteva più contenersi; il suo cuore era vicino a
scoppiare; la rivolta, da tanti anni soffocata e domata, stava per
prorompere.

Pompeo la fissava muto. Alla scarsa luce della candela fumosa quel
donnone grasso e forte aveva alcunchè di terribile. Nella stanza si
udiva solo l'ansimare del suo petto enorme, che a mano a mano si faceva
più forte e più violento.

Tuttavia Pompeo Barbarò, più che impaurito, era maravigliato. Quella
servaccia, che dinanzi a lui non osava fiatare, adesso alzava la voce e
minacciava!... Eppure egli non le aveva mai dato troppa confidenza!...
Ma forse, chi sa? Lo sapeva sulle spine, e voleva averci anch'essa la
sua parte di provvisione, per i segreti della Ditta....--Ah, mondo
ingrato!

--Senta, signor padrone,--disse in fine, balbettando la Veronica,--ho
una parola sola da dirle. In prigione il mio Beppe non ci deve andare
e.... a impedirlo ci pensi lei.

--Di' un po', crederesti di farmi paura.... Non ho paura di nessuno,
io, e se credi di far la brava, farò metter dentro anche te.

--E che importa?... Faccia pure!... Io non voglio saper nulla!
Solamente so che è ormai troppo, troppo, troppo! So che questa è
un'infamia che non posso sopportare, e per dian de diana, non la
sopporterò!... Lei ha sempre fatto di me, signor padrone, tutto quello
che ha voluto; sissignore, scoppio, sento che scoppio, e glielo dico
in faccia!... Lei si è servita a suo piacimento del mio corpo e della
mia anima. Giovane mi ha cacciata nel suo letto con un pugno; vecchia,
me ne ha scacciata con un calcio. Mi ha fatto mentire, mi ha fatto
rubare, mi ha fatto assassinar la gente: io ho sempre taciuto, ho
sempre obbedito, ho sempre fatto in tutto e per tutto ciò che lei mi
comandava. Quando ha saputo che dovevo avere un figliuolo, per non
trovarsi in impicci, mi ha imposto di sposare.... chi voleva lei. Un
uomo che mi faceva schifo, e che aborrivo. Pure ho chinato il capo, e
mi sono sacrificata. Ma la rassegnazione mia, il sacrificio mio avevano
una mira. Non era per lei, sa, signor padrone, che inghiottivo tanti
bocconi amari, ma per il mio Beppe!... Avevo creduto, avevo sperato
di preparar la via, col mio corpo, e colla mia anima, alla fortuna di
mio figlio!... Ma adesso, che per i suoi fini vorrebbe cacciarmelo in
prigione, le dico no, no, no; questo poi no! Io non ci capisco molto in
fatto di onori e di delicatezze: ma so bene che la prigione rovina un
uomo per sempre, e in prigione mio figlio non ci deve andare, e non ci
anderà. Non so che cosa gli ha promesso, che cosa hanno macchinato. Ma
se il mio Beppe è tanto minchione di tacere a costo di andar dentro,
per fargli servizio, badi bene, signor padrone, perchè questa volta
parlerò, dirò tutto io!

--Zitta, zitta! Non far tanto rumore!... Siediti e ragioniamo.

Il Barbarò era inquietissimo, e guardava sovente verso l'uscio colla
coda dell'occhio, temendo che ci potesse esser qualcuno sulle scale ad
ascoltare. La Veronica, non più pallida, ma rossa in viso, col ciuffo
arruffato e la grossa treccia di capelli ancor nera, che le cadeva
dalla nuca sul collo, pareva in preda a una vivissima esaltazione, e si
stringeva, si accomodava addosso, con strapponi convulsi, lo scialle a
fiorami.

--Confessami la verità, bombolona; hai un po' bevuto questa sera?

--No, no! non ho bevuto, non bevo mai, altro che veleno. So benissimo
quello che mi dico, e non c'è tanto da ragionare. Il mio Beppe non
anderà in prigione, o farò io la frittata in tribunale, col signor
Presidente, coi giurati!

Tuttavia lo scoppio di quel gran dolore e di quella gran collera era
stato troppo violento; la Veronica non potè reggere a lungo, e di
nuovo si lasciò cadere sulla seggiola, gemendo e singhiozzando. Pompeo
respirò.

Dal momento che essa piangeva, non dovea poi sentirsi tanto forte...
Allora le si avvicinò pian pianino, e battendole sopra una spalla, per
iscuoterla, le domandò a bassa voce:

--T'ha detto Beppe che per compensarlo del danno, arrivo fino alle
ventimila lire?... E non sono, bada, quel gran riccone che dicono a
Milano!

--Gli poteva dare anche il doppio: è suo figlio!

--Non dire balordaggini; questa è sempre stata una tua fissazione!

--Ah una fissazione?!--tornò daccapo a gridare la Veronica alzandosi di
colpo, e fissando il Barbarò con i pugni sui fianchi.--Una fissazione?

--Sia pure come dici; devi convenire per altro che, su questo punto,
nè prima, nè dopo, nè mai, non ti ho lasciato alcuna illusione. Sono
un galantuomo e parlo sempre schietto. Ti ho dichiarato subito, che
tuo figlio non sarebbe mai stato il figlio mio, ma che invece (come
si dimenticano i benefici!), invece ti avrei data una fortuna; avrei
pensato io a trovare un padre, un nome per chi doveva nascere, e ti ho
fatto sposare lo Sb.... il signor Micotti!

--Grazie tante! Dopo avermi chiusa la bocca promettendomi che se
accettavo le sue condizioni senza mormorare, senza accampare altre
pretese, avrei fatto la fortuna della mia creatura, e minacciandomi, in
caso contrario, che l'avrebbe messa agli esposti, e che la mia creatura
non l'avrei più veduta!

--E non sono stato di parola?--Chi ha fatto allevare tuo figlio? Chi
l'ha fatto istruire? Chi lo ha instradato negli affari?

--Vorrebbe anche instradarlo verso la galera lei!

--Ecco un'altra ingiustizia! Gli ho preso un avvocatone che mi costa
un occhio, oltre alle ventimila lire che mi son levato di tasca.... in
questo momento di crisi. Poi, dato il caso che il processo non finisca
del tutto bene, quando avrà scontato quei pochi giorni, lo terrò sempre
con me.

--E sarebbe questa la sua ultima parola?

--Ma....

--Dica, dica, sarebbe proprio questa?

--Ma.... non saprei diversamente come fare!

--Allora senta anche la mia: se Beppe deve essere condannato, vuol dire
che andranno dentro insieme!

Il signor Barbarò provò a minacciare, a infuriarsi, a pestar i piedi
per la rabbia; poi a pregare, a supplicare colle lacrime agli occhi....
ma non ci fu verso di smuovere la Veronica, la quale fuori di sè,
trasportata e trasformata dal furore e dalla disperazione, e ormai
risoluta, a costo della vita, a salvare suo figlio o a vendicarlo,
minacciava alla sua volta quell'uomo che non temeva più, che odiava
adesso, che esecrava, e andò via ripetendo:--Si ricordi bene: se il mio
Beppe sarà condannato, andranno in prigione insieme!

Partita la Veronica, Pompeo Barbarò era rimasto sbigottito; ma poi
si tranquillò un poco: la mattina dopo, avrebbe visto Beppe Micotti,
e insieme avrebbero trovato il modo di calmare la vecchia. Uscì un
momento per prendere una boccata d'aria, ma rientrò in casa quasi
subito, e si ficcò in letto. Cercava sempre più di rassicurarsi,
pensando al suo colloquio con Beppe, pensando all'influenza che questi
poteva avere sopra sua madre per consigliare, e, occorrendo, imporle il
silenzio. Poi, riflettendo allo strano e improvviso mutamento di quella
donna che, dopo essergli stata umile e sottomessa per tutta la vita, a
un tratto gli si era rivoltata contro come una furia, sperò ancora che
la comparsa della vecchia fosse stata una commedia, combinata d'accordo
col figliuolo per carpire altro danaro, oltre alle ventimila lire.

"In tal caso bisogna tener duro e non lasciarsi spaventare!... Ma... ma
se invece non fosse stata una commedia? Se proprio la vecchia si fosse
esaltata all'idea che suo figlio dovesse andare in prigione?..... Così
pensando, lo sbigottimento di prima tornò a farsi strada nell'animo di
Pompeo, diventando a mano mano, pel silenzio e l'oscurità della notte,
più vivo e affannoso....

"Se Beppe non potesse calmar la vecchia?... Se questa facesse delle
pazzie?... Se spiattellasse ogni cosa e facessero il processo anche a
me?... Allora.... allora andrebbero a rivangare nel mio passato e...."

Il Barbarò, a questa terribile idea che gli apparì d'improvviso
si rizzò spaventato a sedere sul letto; accese il lume, e rimase
un pezzo a pensare colla faccia livida, cogli occhi sbarrati, col
petto oppresso. Per la prima volta tutto il passato gli si affacciò
chiaramente dinanzi, nella sua nuda verità.

Le scuse, gl'infingimenti, gl'inganni che per tanto tempo avevano
addormentata e acquetata la coscienza erano spariti a un tratto:
la paura stessa del grande pericolo da cui si credeva minacciato,
rievocava il suo delitto e le sue colpe con una schiettezza brutale.
"Sì.... era vero; aveva fatto la spia a Giulio Alamanni per rubare
le cinquanta mila svanziche!... Sì.... era vero; aveva soffocato sua
moglie per paura di essere scoperto!..." E dietro all'Alamanni e
alla Betta, sfilavano, sfilavano tutte le altre sue vittime. Era una
processione che non finiva mai!...

C'erano gli avventori dell'_Agenzia di prestiti sopra pegno_ in _Via
del Pesce_ e c'erano i più ricchi clienti spogliati d'ogni loro avere;
e chi per l'ingordigia sua aveva perduta la pace, l'onore.... chi era
morto di crepacuore!... E mentre gli passavano dinanzi quelle facce
pallide, disperate, lo chiamavano spia, ladro, strozzino, mercante di
pellagra. E fra tutta quella gente c'era pure la marchesa di Collalto,
il cui viso dolce e soave guardando Pompeo fissamente diventava severo,
accigliato con un sorriso di sprezzo.

Nascose il capo sotto le lenzuola; aveva paura. Ansiosamente aspettava
e desiderava il mattino per alzarsi subito, e correre da Beppe....

"Dio, Dio, com'era eterna quella notte...."

Rannicchiato nel letto, non osava voltarsi, nè muoversi. Non gli
riusciva di chiuder occhio; di minuto in minuto cresceva la sua
agitazione, il suo orgasmo; batteva i denti; aveva la febbre!... Già
si figurava che la vecchia avesse parlato, che le guardie venissero
ad arrestarlo, e quantunque i gendarmi austriaci non ci fossero più,
erano gli stessi che avevano condotto in prigione l'orefice del _Gobbo
d'oro_!... Già si vedeva trascinato dinanzi ai giudici.... ma la folla
rumoreggiante insorgeva fischiandolo, e voleva ammazzarlo per vendicare
i Garibaldini traditi.

"Dio, Dio santo! Perchè mai era andato a cacciarsi in quell'impresa?...
Perchè?!... Era già ricco, ricchissimo; poteva tenersi quietamente alle
operazioni sicure.... e onorate.... Perchè?... perchè Dio non paga il
sabato; perchè è proprio vero che il diavolo insegna a far la pentola,
ma non il coperchio!... Dio?... Il Diavolo?... Che ci fossero proprio
davvero?... Che! Tutte storie dei preti; tutte superstizioni!... Ma
pure dal momento che hanno inventato il proverbio, _qualcosa_ ci
dev'essere; sarà magari il destino, sarà magari la combinazione, ma
_qualcosa_ ci dev'essere."

"E poi, continuava a pensare Pompeo atterrito, io ne sono una prova: ci
sono cascato da solo in questo pasticcio, senza che nessuno mi abbia
dato la spinta!"

E a questo punto si rammentò a un tratto che da molto tempo non andava
più la domenica in quella certa chiesa, ad ascoltare la messa, vicino
a quel certo altare che gli portava fortuna. Anche quella era una
combinazione; non poteva essere altro; ma pure ecco che si ripeteva
ancora!

".... E se vi avesse fatto dire una messa per combattere la
jettatura?... Sì, sì; prima del processo l'avrebbe fatta dire."

Tuttavia il suo giuramento lo aveva mantenuto scrupolosamente. Aveva
sempre aiutata la Mary; aveva fatto in modo che suo figlio se ne
innamorasse, e gliel'avrebbe data in moglie quantunque non avesse un
soldo di dote. E la Betta, la Betta, che sapeva ogni cosa, gli aveva
pur perdonato, facendosi promettere soltanto che avrebbe restituite
alla piccina le cinquantamila svanziche.

"Altro che cinquantamila svanziche!... Un giorno o l'altro avrebbe
finito per avere tutto il suo!"

In quel punto un _brum_ passò di corsa sotto le finestre, facendo
tremare i vetri e rintronando nella camera: Pompeo respirò. Non era
più solo. Pensò che anche la casa era piena di gente; che il servitore
dormiva proprio sopra alla stanza sua; che Giulio era lì, poco
distante.... Allora cominciò a muoversi più liberamente, ad allungar
le gambe sotto le coperte, a mettersi bene per dormire. ".... Non
era proprio vero che avesse soffocata la Betta; era morta.... dopo,
mentre lui anzi correva in cerca del medico!... In quanto poi alla
vecchia, avrebbe pensato due volte prima di aprir bocca. Che interesse
aveva a perdere il padrone quando Beppe, in ogni modo, non lo poteva
salvare?... Certo.... certo.... un po' colle buone, un po' colle
cattive, questo calcolo le sarebbe entrato nella zucca!..."

L'alba era vicina; al _brum_ tennero dietro altre carrozze; poi, in
fine, si udì in istrada la voce e il fruscìo degli spazzini, e Pompeo
si addormentò.




XVIII.


La mattina seguente Pompeo Barbarò si mostrava preoccupato pensando
a' casi propri, ma era assai più tranquillo, e dopo il colloquio che
ebbe con Beppe Micotti fu del tutto rassicurato. Il figlioccio gli
promise di pensarci lui a far tacere la vecchia, e ad ogni buon fine
l'avvocato, accampando per la Veronica la sua condizione di madre d'uno
degli accusati, avrebbe chiesto che fosse cancellata dalla lista dei
testimoni.

Tuttavia il giorno in cui Pompeo dovette proprio presentarsi
all'udienza, tornò a sentirsi poco bene, e quando si trovò nella stanza
dei testimoni, gli pareva d'essere già messo in prigione. Sudava, era
impacciato, confuso, gli tremavano le ginocchia, ma per mostrarsi
disinvolto salutava tutti, sorrideva con tutti con una smorfia
stentata, parlando del più e del meno. Appena l'usciere lo chiamò,
gridando forte il suo nome sulla porta, si sentì soffocare. Pure
rispose subito alla chiamata "Eccomi! Eccomi!" e intanto sempre più
sbalordito, cercava il cappello che aveva in testa, e inciampò nello
scalino che dalla stanza dei testimoni metteva nella sala dov'era la
Corte. Appena fu dentro, dinanzi alla maestà delle toghe, fra il rumore
del pubblico e l'afa soffocante, ebbe un po' di capogiro, ma gli passò
subito.

La folla stipata, ansiosa, accolse l'importante testimonio con un lungo
mormorìo; non era per altro che un semplice mormorìo di curiosità; il
Barbarò se ne avvide subito, e dopo le prime domande del Presidente
non era più tanto impacciato. Le cose per lui si mettevano bene. Era
sicuro, oramai, che non avrebbe avuto nè fischi, nè busse.

In quegli ultimi giorni era successa realmente nell'opinione del
pubblico una certa mutazione in suo favore. Il suo nome, non molto
noto prima che si cominciasse a discorrere del famoso _Processo dei
fonitori_, era diventato celebre in breve tempo, e tutti ormai a
Milano sapevano che c'era al mondo il milionario Pompeo Barbarò; e
mentre la litania delle sue bricconate, essendo poco più, poco meno,
sempre la medesima per tutti coloro che han fatto malamente una grande
fortuna, aveva finito col non divertire più nessuno; i particolari,
invece, delle sue ricchezze straordinarie, delle sue ville, dei suoi
immensi possessi, de' suoi capitali accumulati alle banche e, più
di tutto, della somma assai notevole in moneta effettiva che aveva
sempre in cassa quantunque il marengo si negoziasse allora in Borsa "a
_ventidue_ e anche a _ventidue e mezzo_" suscitavano molta maraviglia e
moltissima curiosità.

"Gran città, Milano!... Piena di _risorse_!..." si andava dicendo.
"Quando meno si crederebbe salta fuori un nome affatto nuovo e: Chi
è? Chi non è? È un Creso che ha dieci, dodici, venti milioni!...
Gran città Milano, e piena di _risorse_! Ci sono, sì, gli ambiziosi,
i matti, gli imbecilli che vanno a gambe levate; ma ci son pure le
persone pratiche e positive, che lavorano sul serio e che, senza tanto
lusso e senza tanto chiasso, mettono insieme patrimoni colossali!...
Anche quel Pompeo Barbarò, per esempio, viveva quieto quieto, non
faceva spacconate, aveva una tavola modestissima, e tutto il suo gran
lusso erano un paio di rozze e una vecchia carrozzaccia colla quale
andava in campagna a curare i propri affari!"

E però la gente, in generale, faceva un merito e si mostrava grata a
quel riccone che non l'offendeva colla pompa sfacciata delle proprie
ricchezze. Era quel sentimento assai diffuso e complesso d'invidie, di
gelosie, di desideri non soddisfatti, che procura ai ricchi avari, nel
mare magno della vita quotidiana, non solo maggiore considerazione, ma
anche maggiore simpatia a fronte dei ricchi prodighi, i quali finiscono
coll'essere mal visti, e appena appena si tollerano per la speranza che
andranno presto in malora.

E oltre a tutti questi vantaggi, un'altra ragione giovava per far
ricredere il pubblico a poco a poco sul conto suo: ne aveva fatte
tante, e tante se ne raccontavano, che la gente s'era stancata di
sentirle e non le credeva più.... o ci faceva la tara.

"Figurarsi, che storie!... C'era stato il--tal di tale--al _Caffè
Martini_, il quale voleva sostenere che il Barbarò aveva messi insieme
i primi danari facendo la spia, all'Austria. Era proprio una linguaccia
sopraffina--quel tal di tale!"

...."E un altro non si ostinava a dire che, tempo addietro, il Barbarò
scannava il prossimo tenendo un banco di prestiti sopra pegni, in _Via
del Pesce_?...

"Tempo addietro?... Ma quando?... Se nessuno era buono a ricordarsi che
nemmeno ci fosse stato un ufficio simile in _Via del Pesce_?!"

--Adagio a dar retta alle chiacchiere--esclamavano gli uomini savi e
imparziali.

".... A Panigale, chiamavano il Barbarò _Mercante di pellagra_... sì,
questo era vero; ma d'altra parte i fondi rendevano una miseria, e gli
speculatori non pensavano certo a seppellire il danaro sotto terra,
quando si poteva comperare la rendita al 40 e al 41!... Poi se le
annate erano cattive il Barbarò non poteva certo fare un contratto col
sole o colla pioggia per favorire i raccolti e i contadini!"

Un altro appunto che gli facevano era di aver rovinato il marchese
di Collalto.... "Ma se il marchese di Collalto era da dieci anni
che si rovinava da sè?..." Dunque non bisognava mai precipitare nei
giudizi; bisognava mettere in quarantena le ciarle dei malevoli,
degli invidiosi, degli interessati. Se era proprio il figlio di un
cuoco, tanto maggior onore per lui! Che talento, che occhio, che
attività!....--Ma la storiella del nome?...--Non era vero che il nome
l'avesse mutato; aveva aggiunto al suo quello di sua madre.... o di sua
moglie.... Tutte scioccherie che non significavano nulla!... Sì, in
quel pasticcio dei fornitori c'era del torbido assai, e nessuno certo
voleva concludere che il Barbarò fosse candido come un agnellino; ma
bisognava vedere dal processo, fino a che punto c'era entrato. Lui,
in fine, da quel poco che si sapeva, non avea fatto altro che prestar
danari alla Ditta Micotti.

--Il vecchio Micotti?... quello era una canaglia davvero, e hanno fatto
benone ad ammazzarlo!

--Ad ammazzarlo?... Come?...

--In Tirolo.... l'hanno freddato con una fucilata mentre svaligiava i
cadaveri!... Ma ha lasciato un figliuolo che non smentisce la razza!...

--Quel piccolo mariuolo cogli occhi loschi e la faccia vizza da
vecchietto?

--Appunto.

--Starebbe bene in galera per tutta la vita!

Beppe Micotti, col suo contegno cinico e sfrontato, si era attirato
le antipatie e gli odii del pubblico durante l'udienza; e però anche
la grande canaglia dai colori incerti e fantastici del Micotti padre,
ritrovava in quel farabuttino primaticcio la propria incarnazione.
Tutte le furfanterie della Ditta Micotti ricadevano dal babbo morto
sul figlio vivo... ed anche per questo motivo quando Pompeo si presentò
nella sala del dibattimento fu accolto più bene che male, con un
senso di maraviglia e di curiosità, cui non erano affatto estranei nè
l'Eccellentissimo Presidente, nè il Procuratore del Re.

"Come mai?... Quell'omicciattolo da niente aveva tanti milioni? Era
il Nababbo di Milano?" E, su quel subito, la volgarità dell'aspetto,
dei modi, degli abiti del Barbarò, fu presa per una cert'aria di
bonarietà modesta, mentre anche nel tempio magno della giustizia i
molti quattrini del signor Barbarò infondevano a tutti, sebbene a tutti
inconsapevolmente, un certo rispetto.

Il Presidente medesimo, dopo le prescritte formalità, invece di
mandarlo al posto coll'imperativo "sedetevi!" gli si era rivolto con un
"s'accomodi pure" assai garbato, e aveva poi continuato a interrogarlo
dandogli del _lei_.

Il Procuratore del Re, s'era messo l'occhialino per guardarlo bene, e
lo stava ad ascoltare, spianate le ciglia, sembrando approvare con un
moto regolare del capo, mentre si lisciava le fedine nere, lucenti,
colla bella mano lunga e bianchissima.

I giurati poi, appena avevano udito chiamare il Barbarò, s'eran messi a
bisbigliar piano fra loro, e adesso lo mangiavano cogli occhi.

--Lei, non è vero, era in istretti rapporti col defunto
Micotti?--chiese il Presidente, dopo aver fatte alcune altre domande a
Pompeo.

--Sì... ecco... per l'appunto. L'ho conosciuto giovane, ancora ragazzo.
Era stato al servizio di mio padre, il quale avea preso a volergli
bene... e mi aveva raccomandato di aiutarlo, come avrei potuto.

Il Barbarò prendeva animo, e rispondeva sempre più spedito.

--E che uomo era questo Micotti?...

--Per dire la verità non saprei bene. In questi ultimi anni non lo
vedevo quasi mai. Poco espansivo, parlava di rado, tutto dedito agli
affari....

--Ma lei, questo vorrei sapere, lo riteneva un galantuomo?

--Sicuro, dal momento che gli avevo aperto un credito illimitato!

Molti giurati, come il Procuratore del Re, approvarono col capo.

--E... non sapeva di che... diremo, di che razza fossero questi affari?

--Ne sapevo pochissimo. Il danaro era al sicuro, era impiegato
bene e... occupato tutto il giorno ne' miei affari particolari non
avevo tempo di badar molto a quelli degli altri. E poi il Micotti
era, come si direbbe, una _porta di prigione_. Intendo dire un uomo
impenetrabile; chiuso a quattro catenacci!

Nel pubblico ci fu una risata. Era spiritoso il Nababbo!

--Favorirebbe spiegarmi--domandò allora a sua volta il Procuratore del
Re, non lisciandosi più le fedine, ma invece lustrandosi le unghie
lunghe e rosee con un fazzoletto di battista--favorirebbe spiegarmi
come poteva essere sicuro del suo capitale dal momento che non aveva
alcuna cognizione intorno alle operazioni della Ditta Micotti e figlio?

Ma a questo punto, invece del Barbarò, fu pronto a rispondere
l'avvocato difensore di Beppe Micotti, il quale domandò vivamente "se
si voleva fare il processo agli accusati oppure ai testimoni." Ne
nacque un battibecco fra la Difesa, l'Accusa, il rappresentante la
Parte Civile, e la Corte era sul punto di ritirarsi per deliberare
se sì o no poteva permettere all'Accusa d'insistere nel suo
interrogatorio, quando Pompeo Barbarò, con soddisfazione generale,
dichiarò che non aveva nessuna difficoltà a rispondere a qualunque
domanda gli venisse rivolta. In fatti egli si era tenuto sempre
al corrente degli affari della Ditta e non ignorava certo che il
Micotti, fra le altre cose, faceva anche il fornitore. Aveva saputo,
aveva consigliato alla Ditta di concorrere all'appalto per la
somministrazione delle scarpe e dei fucili al corpo dei Volontari, ma
da ciò, all'esser messo a parte anche dei particolari della gestione
interna, c'era un bel tratto. Dopo che aveva prestato i danari e prese
le necessarie garanzie lui, per tutto il resto... si lavava le mani,
come Pilato nel _Credo_.

Nella sala ci fu un altro bisbiglio favorevole: "Com'era furbo l'omino!
Come sapeva bene levarsi d'impiccio! Senza tante chiacchiere, senza
andar tanto per le lunghe, senza aver bisogno d'avvocati!....,"

Pompeo si sentiva contento, leggero: gli sembrava di essere diventato
più giovane di dieci anni. La sua deposizione, ormai, era pressochè
finita; non aveva più nulla da temere, credeva ogni pericolo scomparso.
Credeva: perchè invece, dopo di essere stato licenziato dal Presidente,
e mentre attraversava l'aula per uscire, scôrse la Veronica in piedi,
in mezzo al pubblico, pallida, cogli occhi spalancati, che lo fissava
ostinatamente, minacciosamente. A quella vista il Barbarò rimase
come fulminato, e perdette di nuovo tutta l'audacia. Le ginocchia
gli ricominciarono a tremare, prese una carrozza, e appena a casa si
richiuse sbuffando nello studio.

"Dio, Dio santo!... Non dovevano mai finire le sue angosce?!... Che
cosa avea fatto di male... più di tanti altri, che vivevano tranquilli,
felici, onorati? Niente, proprio niente!... E perchè dunque doveva
star sempre sulle spine?... Era proprio disgraziato!..." e tornava a
sospirare, a gemere, ad arrabbiarsi.

"Che cosa voleva, che cosa minacciava, la vecchia?... Perchè era andata
al processo?... Perchè lo fissava in quel modo?..."

E intanto attendeva con ansia inquieta, paurosa, perdendo la testa e
la voce, e spellandosi le dita, il ritorno di un suo messo fidato,
che doveva correre a riferirgli la sentenza, appena fosse stata
pronunciata. Venne, che era già sera, ben tardi; ma il signor Barbarò
lo aspettava ancora, solo nel suo studio, senza aver pranzato, senza
aver veduto nessuno. Appena lo sentì per le scale, gli corse incontro
sull'uscio, lo fece entrare in fretta e richiuse a chiave.

--E così?... Com'è andata?--balbettò livido, colla voce fioca.

La risposta, ch'ebbe dal messo, lo tenne un istante sopra pensiero...
poi diede un'alzata di spalle e respirò più liberamente.

Ormai il pericolo era proprio passato.

Il processo si chiudeva con una condanna relativamente mite per tutti
gli imputati. Il più grande colpevole, come era apparso dal processo,
era sfuggito colla morte alla giustizia umana.

Beppe Micotti, che avea avuto l'attenuante dell'età, era stato
condannato appena a sei mesi di reclusione; ma mentre il Presidente
leggeva la parte della sentenza che lo risguardava, una donna di mezzo
al pubblico sorse a imprecare contro la giustizia, contro i magistrati
e contro i giurati, protestando che il suo Beppe era innocente, e che
il vero ladro era il principale, il signor Pompeo, il signor Barbarò,
il signor Barbetta, il mostro, il cane, l'assassino del proprio
sangue!... E gridando e smaniando, voleva gettarsi in mezzo ai giudici,
voleva prendere i giurati per il collo.

Ci vollero quattro uomini per tenerla; poi, dopo il medico, vennero gli
infermieri; fu legata, imbavagliata, messa in un _brum_, e condotta
allo spedale.

La Veronica era impazzita.

La gazzetta _Il Moderatore_, dopo aver dato il giorno appresso,
per disteso, la relazione dell'importante processo, ed aver lodato
l'illuminato verdetto dei Giurati, l'elaborata sentenza dei Giudici,
l'imparzialità e l'acume dell'Eccellentissimo Presidente, la parola
calma e ragionata della Parte Civile, la requisitoria dotta e
stringente del Procuratore del re, e la calorosa ed efficacissima
eloquenza degli avvocati, finiva con una noterella di cronaca.

"EPISODIO TRISTE. Ieri sera, verso la fine del famoso _Processo dei
fornitori_ e, precisamente durante la lettura della sentenza, la madre
d'uno degli imputati, il Micotti, uscì improvvisamente in grida e in
ismanie, tanto che si dovette ricorrere alla forza, per trattenerla
dal commettere qualche eccesso. La povera donna, dedita alle bevande
alcooliche, ed esaltata per la condanna subìta dal figlio, era stata
presa da un accesso di pazzia furiosa.

"Sappiamo poi, da buona fonte, che il signor Pompeo Barbarò, il cui
padre, in altri tempi, ebbe in proprie dipendenze la famiglia Micotti,
fece ricoverare la povera donna in una casa privata di salute. Simili
atti filantropici dell'Egregio Gentiluomo non sono nuovi del resto. A
Brescia ricordano ancora le larghezze da lui usate nel _cinquantanove_
in pro degli spedali militari; larghezze ripetute pure nel
_sessantasei_, mentre il suo unico figlio, Giulio Barbarò, combatteva
da valoroso in Tirolo con Garibaldi."

Il nuovo giornale _Il Moderatore_ era diretto dal professore Eugenio
Zodenigo.




XIX.


O bene o male, ormai Pompeo Barbarò aveva raggiunto la così detta
_notorietà_. Il suo nome era molto discusso, nella sua probità non ci
credeva nessuno, ma tutti credevano invece nei suoi milioni, e perciò
anche i più feroci nel combatterlo dietro le spalle, sul muso gli
si mostravano solleciti e cortesi. La gente per istrada si voltava
indietro a guardarlo, e molti lo salutavano ch'egli neppur sapeva chi
fossero. Insomma si ammiravano da tutti, se non il genere de' suoi
affari, la sua avvedutezza, il suo ingegno, la sua fortuna, sicchè
cominciava a passare per un ometto straordinario. Ma, si sa bene,
ciò non poteva bastare nè agli stimoli della sua ambizione volgare,
nè alle mire della sua grossolana furberia. Egli voleva salire per
dominare, e anche per mettersi a capo o per aver parte nelle imprese
o società colossali, in cui si può guadagnare molto danaro, e insieme
consolidare il proprio credito, e la propria riputazione. Ma lì c'era
ancora una grossa muraglia che gli sbarrava la via. Non solo il signor
Pompeo Barbarò non era ricevuto in quelle grandi case che avevano fatta
la fortuna e data la fama a suo padre; ma anche la ricca borghesia
gli teneva chiuse le porte. Nessuno dei grandi finanzieri a cui aveva
affidati i propri capitali, lo aveva accolto nell'intimità della
famiglia, o invitato ai pranzi od alle feste; nessuna Banca lo aveva
eletto a far parte del proprio Consiglio d'Amministrazione. Men che
meno poi il suo nome avrebbe avuto probabilità di riuscita, se si fosse
presentato come candidato nelle elezioni amministrative.

Lo stesso Zodenigo, che lo consigliava in proposito, gli raccomandava
sempre di essere molto prudente. Bisognava prima che si fosse _peepaato
il teeno_ con qualche opera grandiosa di beneficenza, che facesse colpo
sul pubblico, e gli aprisse la strada alla popolarità.

--Preparare il terreno sta benissimo,--rispondeva il Barbarò,--ma
vorrei condurmi in modo da non rimetterci il mio.

Preferiva piuttosto di restare terra terra... colle tasche gonfie. Egli
avrebbe voluto ideare e compiere qualcosa di notabile in vantaggio del
suo paese, ma che fosse nello stesso tempo anche un buon affare. "Se
per salire, per arrivare in alto arrischiava di rovinarsi, allora,
diavolo, appena su, sarebbe nuovamente capitombolato al basso."

E una volta che lo Zodenigo, lodando questa sua avvedutezza, citò
per esempio "_il volo d'Icao_" il Barbarò gli fece notare che le ali
d'Icaro, si erano appunto liquefatte perchè di cera.--Se fossero
state d'oro--concluse con un risolino--lo avrebbero tenuto sempre in
equilibrio, e invece di struggersi al sole avrebbero sfolgorato!...

--No, no, non bisogna abbandonarsi a un colpo di testa, bisogna invece
pazientare... e aspettare un colpo della fortuna.

La fortuna è capricciosa, ma spesse volte fedele, e anche il colpo
desiderato capitò ben presto al signor Pompeo, che fu pronto a non
lasciarselo sfuggire.

Poco dopo la guerra del _sessantasei_, e a cagione della medesima,
Milano, come tante altre città d'Italia, ebbe ad attraversare un
periodo di crisi economica e monetaria, assai funesta. Mancava il
danaro, e mancava pure il _numerario_, e se la legge sul _corso
forzoso_ dava modo di far fronte colla carta-moneta agli affari in
grande, era poi affatto insufficente ai bisogni del piccolo commercio
per la scarsità del rame, e specialmente della valuta spicciola di
una e di mezza lira. Allora sorsero nuove Banche e nuovi Istituti
di credito, i quali per sopperire al bisogno misero in circolazione
per una data somma prestabilita, altrettanti biglietti fiduciari di
_piccolo taglio_. Ma mentre molti di questi Istituti prosperarono,
altri parecchi invece, per varie cagioni, andarono all'aria, e in
quest'ultimo caso, chi possedeva biglietti fiduciari delle casse in
discredito o fallite temeva di non avere, o non aveva davvero più altro
in mano, che cartaccia sudicia, di nessun valore. A Verona, a Napoli,
a Bologna accaddero disordini gravi, in seguito appunto al fallimento
di taluna di codeste Banche. I biglietti emessi non avevano più corso,
e la povera gente che li aveva sudati, che non li poteva più spendere,
e che non ne aveva altri per comperarsi il bisognevole, gridava,
strepitava, minacciava e faceva tumulto.

Anche a Milano era sorto in quel tempo un nuovo Istituto di credito
denominato la _Banca degli Interessi Lombardi Provinciali_, che aveva
emesso per oltre un milione di carta fiduciaria. La Banca, in sulle
prime, prometteva bene. Fra gli amministratori suoi figuravano i più
bei nomi del patriziato e della ricca possidenza milanese. A presidente
era stato eletto il marchese di Rho, gentiluomo di stampo antico, di
idee conservatrici, ma il cui nome era la bandiera dell'onestà e del
carattere. Tuttavia gli azionisti dovettero accorgersi in breve che se
gli amministratori della _Banca degli Interessi Lombardi Provinciali_,
erano il fiore dei galantuomini, non erano del pari gente avveduta. Gli
affari che facevano erano scarsi e di scarso profitto. Largheggiavano
troppo nello sconto delle cambiali, senza premunirsi colle debite
cautele, e però, in un mese solo, avevan dovuto sottostare, con
gravissima perdita, a tre grossi fallimenti, uno dopo l'altro, e il
suo Direttore era stato costretto a dare lo dimissioni. Tutto ciò,
naturalmente, aveva scosso il credito della Banca, e i biglietti
fiduciari cominciarono ad essere accettati di mala voglia, poi con
gran difficoltà, poi, in fine, non ebbero quasi più corso. Allora alla
sfiducia successe il timor panico, e si andò, giù giù, a precipizio.
Tutti i possessori dei biglietti della _Banca degli Interessi Lombardi
Provinciali_ corsero in folla per il cambio alla cassa, tanto che
un giorno venendo a mancare il denaro, gli sportelli furono chiusi
improvvisamente prima delle due pomeridiane, e si sparse la voce per
Milano che non sarebbero stati riaperti nemmeno il giorno seguente.
Nel frattempo una circolare urgentissima del _Consiglio di Presidenza_
chiamava gli azionisti, per quella sera stessa, in Assemblea Generale.

Fra questi c'era pure il signor Pompeo Barbarò. Egli non aveva voluto
affidare un grosso capitale alla _Banca degl'Interessi Lombardi_,
perchè i reggitori, dal suo punto di vista, non gl'inspiravano molta
fiducia, ma pure aveva pensato di acquistare un piccolo numero di
azioni, desiderando che il suo nome figurasse in quell'accolta di
persone tutte nobili ed egregie.

E quantunque ne facesse parte, aveva contribuito ugualmente a mettere
in pericolo l'Istituto. Aveva fatto girare per Milano certe sue persone
fidatissime le quali, spaventando il pubblico con falsi allarmi,
ritiravano a poco prezzo i biglietti della _Banca degl'Interessi
Lombardi Provinciali_, che nelle botteghe e sulla piazza non si
volevano più ricevere, ma che presto o tardi, il Barbarò ne era sicuro,
sarebbero stati pagati fino all'ultimo soldo.

Era un buon affaretto che aveva intravveduto, e non c'era ragione
che se lo lasciasse scappare o rubar di mano; ma poi, dopo di aver
lavorato di giorno come doveva, per l'interesse suo, si recava la sera
tranquillamente all'Assemblea, volenteroso di offrire i propri lumi, in
vantaggio della Società.

Pompeo Barbarò era entrato solo nella grande aula dov'erano raccolti
gli azionisti. Questi, per la maggior parte in marsina o in abito di
sera elegantissimo, anche in que' momenti di agitazione e di timori
non infondati, conservavano sempre negli atti e nelle parole la
loro compostezza signorile e un po' altezzosa, discorrendo piano,
lentamente, garbatamente senza mai irritarsi e senza mai commuoversi.

Nessuno, nella sala, si era voltato per guardare il Barbarò; nessuno
lo aveva salutato; nessuno si era mosso per fargli posto. Tutti lo
sprezzavano e non volevano trovarsi a contatto con lui.

Pompeo, un po' intimidito, un po' impacciato, si avanzò umile,
riguardoso, tenendo il cappello in mano, verso il banco della
Presidenza. Poi rimase un momento confuso, senza saper che dire nè che
fare, salutando chi non lo guardava... ma a un tratto pensò che, in
fine, se _quegli altri_ avevano molta superbia, lui aveva pure delle
_azioni_, e allora facendosi animo si avvicinò al marchese di Rho, che
discorreva in mezzo a un gruppo d'amici, e alzando troppo la voce,
per paura che gli mancasse, domandò "che cosa c'era di vero, nelle
chiacchiere che correvano in piazza."

Il Presidente, guardando da tutt'altra parte, gli rispose che, aperta
la seduta, "avrebbe esposto la situazione finanziaria" e subito si
allontanò voltandogli le spalle, mentre gli altri azionisti facevano
altrettanto, piantando solo il Barbarò in mezzo alla sala.

--Saprebbero forse qualcosa intorno ai biglietti della Banca che ho
fatto ritirare?--pensò Pompeo.--No, non è possibile: l'operazione è
stata condotta con tanta oculatezza.... E allora questi spiantati
perchè fanno i superbiosi?...

Su quel subito si sentì voglia di andarsene; ma non ebbe coraggio di
farlo. Gli dava noia quel tratto di cammino che gli restava da fare
per arrivare all'uscio, e aveva paura di ciò che avrebbero potuto dire
di lui quando fosse partito. "No, no; voleva rimanere fino alla fine,"
e si ritirò nel vano di una finestra. "A buon conto aveva il pieno
diritto di rimanere, era in _casa sua_, come _quegli altri_" e per far
valere la propria autorità, ordinò sgarbatamente a un fattorino, che
gli passava accanto, di chiuder meglio la porta della sala.

Quasi subito il marchese di Rho, in piedi, al tavolo della Presidenza,
sonò il campanello: si fece un gran silenzio nell'assemblea, e allora
il marchese espose brevemente e chiaramente lo stato della Banca,
concludendo che senza la sfiducia sorta nel pubblico, e senza quel
precipizio di dover rimborsare in poche ore tutto il grosso capitale di
biglietti fiduciari messo in circolazione, l'Istituto avrebbe potuto
riparare in breve tempo alle perdite subìte, e rimettersi ancora
sulla buona via. Ma occorreva una forte somma in moneta effettiva per
la mattina dopo: era certo che alle nove antimeridiane una folla si
sarebbe presentata agli sportelli per il cambio dei biglietti, e se il
cambio non si poteva subito effettuare sarebbe stato inevitabile un
disastro.

A queste parole corse nell'assemblea un mormorìo di sbigottimento, e il
marchese di Rho, sebbene si mostrasse calmo e dignitoso, era tuttavia
più pallido del solito, con due righe profonde che gli solcavano le
guance sotto gli occhi.

Invece Pompeo Barbarò si sentiva in preda a un'ansia indicibile, e gli
batteva forte il cuore.

"Che bel colpetto ci sarebbe stato da fare!... Con quella gente
il danaro era certo al sicuro e... e se avessero accettate le sue
condizioni... si sarebbe imposto a tutti, e sarebbe salito tanto alto
come non aveva mai osato sperare..."

Allora si fe' animo, e con voce più sicura domandò, tenendosi fermo al
suo posto, la cifra di moneta effettiva che occorreva alla Banca in
quel momento, e come il Consiglio di Amministrazione aveva pensato per
provvederla.

L'interrogazione era importante e già, prima che la facesse il Barbarò,
era nel cuore e sulle labbra di molti; ma nessuno degli azionisti
rivolse un cenno d'incoraggiamento all'oratore.

Il marchese di Rho bevette un mezzo bicchiere d'acqua zuccherata, e
rispose che la somma occorrente era di ottocentocinquantamila lire, e
che il Consiglio d'Amministrazione in quella fatale ristrettezza di
tempo, non aveva potuto rivolgersi, per averla in prestito, altro che
alla Banca Nazionale, offrendo pure, oltre a tutte le garanzie che
poteva dare l'Istituto, anche la firma propria, e quella degli altri
membri della Presidenza.

--Se ho avuto la malaugurata idea di voler mettermi negli
affari,--concluse il marchese di Rho,--non soffrirò mai per altro,
che un Istituto del quale mi trovo alla testa, debba dichiarare il
fallimento. Sono disposto a perdere tutto il mio patrimonio purchè la
Banca possa far fronte ai propri impegni, e anche in queste gravissime
e dolorose emergenze ho almeno la compiacenza di poter far noto
all'assemblea che tutto il Consiglio d'Amministrazione è concordemente
risoluto nell'imporsi, occorrendo, il medesimo mio sacrificio. Sventura
vuole che la _crisi_ odierna ci abbia sprovvisti dei fondi necessari.
Tutto il nostro _numerario_ lo abbiamo già dovuto versare alla Cassa
per sostenere la situazione fino ad oggi, e se la _Banca Nazionale_
rispondesse, visto le condizioni difficili del momento, con un rifiuto,
domani saremmo obbligati a... tener chiusi gli sportelli....

A questo punto si udirono improvvisamente dalla strada grida e urli
minacciosi; poi una pietra lanciata a viva forza fece cadere i vetri
della finestra dov'era Pompeo, che saltò spaventato in mezzo alla sala.

Tutti gli altri azionisti si voltarono appena, sorridendo sdegnosamente.

--Vogliamo il nostro danaro!... Vogliamo il sangue nostro! Cani
di signori!... Ladri della povera gente!--continuava intanto a
schiamazzare la folla, battendo coi pugni e coi piedi contro il portone
della Banca.

Il marchese di Rho rimaneva impassibile; solamente a quella parola
"ladri" la riga che gli solcava le guance sotto l'occhio, si fece
ancora più livida.

Appena, in quel giorno malaugurato, la _Banca degli Interessi Lombardi
Provinciali_ avea dovuto chiudere gli sportelli senza poter continuare
nel cambio dei biglietti, s'erano formati vari gruppi di persone
dinanzi al palazzo, che andavano dispensando ai curiosi che capitavano
in cerca di notizie, le informazioni più strampalate e inquietanti. "La
Banca non avrebbe più riaperti gli sportelli: doveva dichiarare il
fallimento: chi aveva avuto, aveva avuto: il marchese di Rho avrebbe
pagato del suo: no, questa era una lustra per guadagnar tempo, e tener
a bada la povera gente;" e così via. Intanto altri continuavano a
giungere mentre i primi se ne andavano; finchè la sera i capannelli
riempivano la strada e discorrevano, vociavano sempre più forte e
accalorati.

Si sapeva che il Consiglio di Amministrazione aveva riunito d'urgenza
l'assemblea degli azionisti, e si tenevano d'occhio le finestre
illuminate del palazzo, dove appunto risiedeva la Banca.

--Son chiusi lassù a confabulare quei cani di signori!--mormorava la
poveraglia coi biglietti in tasca che nessuno voleva più ricevere,
altro che con un ribasso sempre maggiore; e così cominciava a sfogare
il malcontento cogli urli, coi fischi, colle minacce.

Era pur corsa la voce della domanda del grosso prestito fatto alla
_Banca Nazionale_, e chi comperava i biglietti a ribasso, faceva
credere ad arte che i reggenti della medesima avessero già risposto con
un rifiuto.

--Vogliamo il danaro nostro!... Il sangue nostro!... Abbasso i signori!
Morte ai ladri del popolo!...

Di sopra, nella sala dell'assemblea, Pompeo Barbarò, sempre più
spaventato, gridava intanto "che si _barricasse_ il portone, che si
mandasse a chiamare la forza;" ma invece gli altri soci, al vedere
la paura di quell'omiciattolo, rimanevano tranquilli al loro posto,
mostrando tutti una sicurezza, che alcuni forse non avevano in cuore.

--Il portone è molto solido--rispose il marchese di Rho, sorridendo
colle labbra pallide.--Del resto se i dimostranti vogliono salire a
farci una visita, saremo pronti a riceverli.

--Che spacconate!--pensò Pompeo fra sè.

Ma quasi subito, ad acquetarlo, si udì risonare nella strada il passo
affrettato di una pattuglia e subito le grida e i fischi si rivolsero
contro le guardie di questura.

L'assemblea intanto, ansiosa e inquietissima ad onta della calma
apparente, attendeva la risposta della _Banca Nazionale_ che non doveva
tardar molto a venire, perchè quel Consiglio si era pure riunito
d'urgenza per deliberare sollecitamente in proposito.

Pompeo Barbarò era ritornato solo in un angolo della sala, ma adesso
assai lontano dalla finestra. C'eran le guardie, non aveva più tanta
paura dei dimostranti, e tornava invece a pensare, a riflettere su ciò
che aveva in animo di fare in quel momento. "Se si lasciava scappar
l'occasione, sarebbe stato un minchione... ma se avesse corso pericolo
di rimetterci del suo, sarebbe stato un più gran minchione ancora!..."
Si sentiva il petto oppresso... aveva la testa in fiamme....--Che cosa
doveva fare? Che cosa doveva fare?...

--Intanto aspettare anche lui la risposta della _Banca Nazionale_. Se
fosse stata favorevole l'assemblea avrebbe fatto sapere ai tumultuanti
che il giorno dopo sarebbero stati aperti gli sportelli per il cambio
dei biglietti, e allora... non c'era più bisogno di lui.

--.... Ma la _Banca Nazionale_ avrebbe voluto disporre su due piedi, in
quei giorni di crisi, d'una somma così rilevante.... e per un Istituto
privato già scosso nel suo credito?...--E se non si arrischiava la
Banca a fare il prestito, poteva arrischiarsi lui?

Pompeo fissò gli occhiettini miopi sul marchese di Rho, sugli altri
membri della Presidenza, e si sentì rassicurato.... Non c'era proprio
nulla da temere.... Quella gente si sarebbe ridotta in sul lastrico,
piuttosto di venir meno ai propri impegni.

Ma tuttavia era un gran momento di perplessità, di angoscia... un
momento solenne!.... Tirar fuori di tasca ottocentocinquantamila
lire!... E se avesse rinunciato ai suoi disegni, e si fosse invece
tenuto i quattrini? Forse già, era il partito migliore!... Ma se non
si trovava la via di calmare i dimostranti, come faceva a ritornare a
casa?... Avrebbero bastonato anche lui!...--Maledetto il momento ch'era
venuto all'assemblea!

In quel punto, fra il brusìo della folla, si udì il rumore sordo del
portone che si richiudeva.

--Ecco la risposta della _Banca Nazionale_,--esclamò il Presidente,
lisciandosi la barba appuntata, colle dita tremanti.

Poco dopo infatti entrò nella stanza un impiegato che avvicinatosi
al marchese di Rho, gli consegnò una lettera suggellata. Tutti gli
azionisti si erano levati in piedi; fissavano tutti quella lettera,
muti, palpitanti.... Il marchese di Rho ne aprì lentamente i suggelli,
poi ebbe come un sobbalzo di tutta la persona, e mormorò, con voce
fioca:

--La Banca Nazionale ha rifiutato lo sconto...--e si lasciò cadere
accasciato, sulla poltrona. Gli azionisti, atterriti, si avvicinarono
di colpo al banco della Presidenza, e nel medesimo tempo la folla, come
se fosse stata spettatrice di quella scena, rinnovò ancora con più
forza le grida e le minacce.

--Per Dio,--pensò Pompeo,--sono dieci i consiglieri
dell'amministrazione,--che le loro firme, dal più al meno, non debbano
valere centomila lire l'una? Allora si cacciò le dita nel goletto della
camicia che stirò fortemente per poter parlare (soffocava) e balbettò
pallido, colla fronte bagnata di sudore:

--Domando la parola!

I soci a questo punto si voltarono tutti ansiosi a guardarlo. Il
momento era supremo; più che supremo, disperato, e bisognava accettare
un buon consiglio da chiunque fosse dato. Il presidente impose silenzio
e fe' segno al Barbarò che poteva parlare.

--La somma,--cominciò Pompeo,--la... somma... le ottocento...
cinquanta... mila lire rifiutate dalla _Banca Nazionale_... posso...
potrei... potrò... prestarle io... alla società!...

Ci fu per tutta la sala un mormorìo, un fremito prima di sorpresa,
poi di maraviglia, in fine di contentezza, e i soci istintivamente si
scostarono premurosi per lasciar posto di avvicinarsi al Barbarò, e per
accoglierlo in mezzo a loro.

Il ghiaccio era rotto. L'interesse, i pericoli del momento facevano
superare e vincere in un attimo le prevenzioni, le antipatie, le
diffidenze, lo sprezzo, e l'omiciattolo trionfava.

--Non pongo altro che una condizione,--continuò Pompeo fatto ormai più
sicuro.

Tutti lo guardarono ansiosamente, senza fiatare.

--Voglio far parte del Consiglio di Amministrazione per tutelare anche
il mio interesse, insieme con quello della Banca.

--Ha ragione!... È troppo giusto!--si gridò subito da ogni parte,
mentre il marchese di Rho, vinto, commosso da quell'atto apparentemente
generoso, si alzò dalla poltrona esclamando:--Io rinuncio la Presidenza
al signor Pompeo Barbarò, e propongo che venga eletto in vece mia, per
acclamazione.

--No,--fu pronto allora a rispondere Pompeo,--metto pure l'altra
condizione, che rimanga in carica, come presidente della Banca, il
marchese di Rho!

Si poteva essere più abili? No certo; e Pompeo, mentre cogli
occhietti scintillanti e gli zigomi rossi riceveva ringraziamenti e
congratulazioni, pensò che avrebbe fatto maravigliare, colla sua grande
diplomazia, lo stesso Zodenigo.

Bisognava pensare adesso a calmare il furore dei dimostranti e a
scioglierli pacificamente, prima che accadessero più gravi disordini.

Il delegato, dinanzi al portone della Banca aveva già fatto sonare
i tre squilli di tromba, ma la folla irritata strepitava sempre più
forte, quando all'improvviso il marchese di Rho, spalancate le imposte
di una finestra, annunziò alla moltitudine rumoreggiante, che la Banca
era in istato di far fronte ai propri impegni, e che il giorno dopo,
alle nove antimeridiane, sarebbero stati riaperti gli sportelli, come
il solito, per il cambio dei biglietti.

Bastarono queste parole a mutare i fischi in evviva; evviva che ebbero
un'eco nell'assemblea, ma diretti a Pompeo Barbarò, che per un momento
ancora, vedendosi fatto segno a tante dimostrazioni di stima, domandò
a sè stesso se non era andato troppo innanzi, se proprio non aveva
commesso uno sproposito.

--No, no; tutto il merito stava solo nell'averle in cassa, le
ottocentocinquantamila lire!

L'assemblea non si sciolse prima di aver stabilito le norme e i
preliminari del prestito, e Pompeo Barbarò, che poche ore prima era
entrato alla Banca solo, e si vedeva schivato da tutti, ne usciva a
fianco del marchese di Rho e degli altri membri del Consiglio.

In istrada c'era ancora molta gente. Era stato riferito che
quel riccone del Barbarò aveva prestato un milione alla _Banca
degl'Interessi Lombardi Provinciali_, intimando "ai signori di non
tradire il popolo" e volevano vederlo mentre sarebbe uscito, e infatti
sulla porta del palazzo una frotta di monelli lo seguì, schiamazzando
sempre, e lo accompagnò sino a casa. Là si formò di nuovo la folla dei
curiosi, e mentre Pompeo stava per andare a letto, udì gridare il suo
nome fra gli evviva.

--Che diavolo succede?--domandò al servitore, che entrava in quel
momento, anche lui tutto stupito.

--C'è la strada piena di gente! Lo vogliono vedere alla finestra,
gridano: Viva Pompeo Barbarò! Viva il figlio del popolo! Viva il
salvatore della povera gente!...

--Dov'è Giulio? Chiama il signor Giulio!... Che venga anche lui, a
sentire!--esclamò il Barbarò, mentre tornava a vestirsi in fretta,
colle mani che gli tremavano per la commozione.

--Il signor Giulio non è ancora tornato a casa.

--Fuori Pompeo Barbarò!... Evviva Pompeo Barbarò!--continuavano a
strillare le voci acute dei monelli.

--Bisognerebbe dar da bere a quella gente....

--Ci vorrebbe altro, signor padrone; gli bevono anche le botti!

--Allora no,--rispose Pompeo, avvicinandosi alla finestra. Vedendo
rischiararsi i vetri, gli evviva al Barbarò raddoppiarono, e quando
egli sporse il capo ringraziando, scoppiarono più fragorosi.

--Anche a me come a Garibaldi!--pensò nel richiudere le imposte;
poi:--Speriamo almeno che mi lascieranno dormire!--borbottò sbuffando
col servitore, fingendo di esser quasi seccato di tutte quelle feste.

Si spogliò in fretta, e si cacciò in letto; ma quantunque i dimostranti
se ne fossero andati, egli stentò ad addormentarsi. Aveva addosso
l'irrequietudine, la smania che dà la contentezza.

I biechi fantasmi della coscienza erano svaniti; Pompeo pensò allora
che se aveva lavorato tutta la vita per farsi un patrimonio, sapeva
poi anche impiegare le sue ricchezze pel bene pubblico... e si sentiva
commuovere all'idea di essere un vero benefattore dell'umanità.

La mattina seguente sognava ancora di aver sposata la marchesa Angelica
con ottocentocinquantamila lire di dote ereditate dallo zio Diego, e
sognava pure che lo avevano nominato Direttore della Banca Nazionale,
quando fu destato da Giulio, all'improvviso, che gli capitò in camera
disperato, piangendo e singhiozzando.

Francesco Alamanni, dopo essere stato lungo tempo infermo nello Spedale
militare d'Innsbruck, ritornato da pochi giorni a Milano, aveva la sera
innanzi dichiarato alla Mary, che non avrebbe mai acconsentito al suo
matrimonio col figlio di Pompeo Barbarò.


                        FINE DEL PRIMO VOLUME.




                        NOTE DEL TRASCRITTORE:


--Corretti gli ovvii errori tipografici e di punteggiatura.

--L'indice non è compreso nell'opera originale. Ne è stato prodotto
  ed aggiunto uno dal trascrittore.

--Gli apici sono stati resi con un accento circonflesso: parola^a indica
  la lettera a soprascritta.






End of the Project Gutenberg EBook of I Barbarò vol. I, by Gerolamo Rovetta

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access to or distributing Project Gutenberg-tm electronic works
provided that

* You pay a royalty fee of 20% of the gross profits you derive from
  the use of Project Gutenberg-tm works calculated using the method
  you already use to calculate your applicable taxes. The fee is owed
  to the owner of the Project Gutenberg-tm trademark, but he has
  agreed to donate royalties under this paragraph to the Project
  Gutenberg Literary Archive Foundation. Royalty payments must be paid
  within 60 days following each date on which you prepare (or are
  legally required to prepare) your periodic tax returns. Royalty
  payments should be clearly marked as such and sent to the Project
  Gutenberg Literary Archive Foundation at the address specified in
  Section 4, "Information about donations to the Project Gutenberg
  Literary Archive Foundation."

* You provide a full refund of any money paid by a user who notifies
  you in writing (or by e-mail) within 30 days of receipt that s/he
  does not agree to the terms of the full Project Gutenberg-tm
  License. You must require such a user to return or destroy all
  copies of the works possessed in a physical medium and discontinue
  all use of and all access to other copies of Project Gutenberg-tm
  works.

* You provide, in accordance with paragraph 1.F.3, a full refund of
  any money paid for a work or a replacement copy, if a defect in the
  electronic work is discovered and reported to you within 90 days of
  receipt of the work.

* You comply with all other terms of this agreement for free
  distribution of Project Gutenberg-tm works.

1.E.9. If you wish to charge a fee or distribute a Project
Gutenberg-tm electronic work or group of works on different terms than
are set forth in this agreement, you must obtain permission in writing
from both the Project Gutenberg Literary Archive Foundation and The
Project Gutenberg Trademark LLC, the owner of the Project Gutenberg-tm
trademark. Contact the Foundation as set forth in Section 3 below.

1.F.

1.F.1. Project Gutenberg volunteers and employees expend considerable
effort to identify, do copyright research on, transcribe and proofread
works not protected by U.S. copyright law in creating the Project
Gutenberg-tm collection. Despite these efforts, Project Gutenberg-tm
electronic works, and the medium on which they may be stored, may
contain "Defects," such as, but not limited to, incomplete, inaccurate
or corrupt data, transcription errors, a copyright or other
intellectual property infringement, a defective or damaged disk or
other medium, a computer virus, or computer codes that damage or
cannot be read by your equipment.

1.F.2. LIMITED WARRANTY, DISCLAIMER OF DAMAGES - Except for the "Right
of Replacement or Refund" described in paragraph 1.F.3, the Project
Gutenberg Literary Archive Foundation, the owner of the Project
Gutenberg-tm trademark, and any other party distributing a Project
Gutenberg-tm electronic work under this agreement, disclaim all
liability to you for damages, costs and expenses, including legal
fees. YOU AGREE THAT YOU HAVE NO REMEDIES FOR NEGLIGENCE, STRICT
LIABILITY, BREACH OF WARRANTY OR BREACH OF CONTRACT EXCEPT THOSE
PROVIDED IN PARAGRAPH 1.F.3. YOU AGREE THAT THE FOUNDATION, THE
TRADEMARK OWNER, AND ANY DISTRIBUTOR UNDER THIS AGREEMENT WILL NOT BE
LIABLE TO YOU FOR ACTUAL, DIRECT, INDIRECT, CONSEQUENTIAL, PUNITIVE OR
INCIDENTAL DAMAGES EVEN IF YOU GIVE NOTICE OF THE POSSIBILITY OF SUCH
DAMAGE.

1.F.3. LIMITED RIGHT OF REPLACEMENT OR REFUND - If you discover a
defect in this electronic work within 90 days of receiving it, you can
receive a refund of the money (if any) you paid for it by sending a
written explanation to the person you received the work from. If you
received the work on a physical medium, you must return the medium
with your written explanation. The person or entity that provided you
with the defective work may elect to provide a replacement copy in
lieu of a refund. If you received the work electronically, the person
or entity providing it to you may choose to give you a second
opportunity to receive the work electronically in lieu of a refund. If
the second copy is also defective, you may demand a refund in writing
without further opportunities to fix the problem.

1.F.4. Except for the limited right of replacement or refund set forth
in paragraph 1.F.3, this work is provided to you 'AS-IS', WITH NO
OTHER WARRANTIES OF ANY KIND, EXPRESS OR IMPLIED, INCLUDING BUT NOT
LIMITED TO WARRANTIES OF MERCHANTABILITY OR FITNESS FOR ANY PURPOSE.

1.F.5. Some states do not allow disclaimers of certain implied
warranties or the exclusion or limitation of certain types of
damages. If any disclaimer or limitation set forth in this agreement
violates the law of the state applicable to this agreement, the
agreement shall be interpreted to make the maximum disclaimer or
limitation permitted by the applicable state law. The invalidity or
unenforceability of any provision of this agreement shall not void the
remaining provisions.

1.F.6. INDEMNITY - You agree to indemnify and hold the Foundation, the
trademark owner, any agent or employee of the Foundation, anyone
providing copies of Project Gutenberg-tm electronic works in
accordance with this agreement, and any volunteers associated with the
production, promotion and distribution of Project Gutenberg-tm
electronic works, harmless from all liability, costs and expenses,
including legal fees, that arise directly or indirectly from any of
the following which you do or cause to occur: (a) distribution of this
or any Project Gutenberg-tm work, (b) alteration, modification, or
additions or deletions to any Project Gutenberg-tm work, and (c) any
Defect you cause.

Section 2. Information about the Mission of Project Gutenberg-tm

Project Gutenberg-tm is synonymous with the free distribution of
electronic works in formats readable by the widest variety of
computers including obsolete, old, middle-aged and new computers. It
exists because of the efforts of hundreds of volunteers and donations
from people in all walks of life.

Volunteers and financial support to provide volunteers with the
assistance they need are critical to reaching Project Gutenberg-tm's
goals and ensuring that the Project Gutenberg-tm collection will
remain freely available for generations to come. In 2001, the Project
Gutenberg Literary Archive Foundation was created to provide a secure
and permanent future for Project Gutenberg-tm and future
generations. To learn more about the Project Gutenberg Literary
Archive Foundation and how your efforts and donations can help, see
Sections 3 and 4 and the Foundation information page at
www.gutenberg.org Section 3. Information about the Project Gutenberg
Literary Archive Foundation

The Project Gutenberg Literary Archive Foundation is a non profit
501(c)(3) educational corporation organized under the laws of the
state of Mississippi and granted tax exempt status by the Internal
Revenue Service. The Foundation's EIN or federal tax identification
number is 64-6221541. Contributions to the Project Gutenberg Literary
Archive Foundation are tax deductible to the full extent permitted by
U.S. federal laws and your state's laws.

The Foundation's principal office is in Fairbanks, Alaska, with the
mailing address: PO Box 750175, Fairbanks, AK 99775, but its
volunteers and employees are scattered throughout numerous
locations. Its business office is located at 809 North 1500 West, Salt
Lake City, UT 84116, (801) 596-1887. Email contact links and up to
date contact information can be found at the Foundation's web site and
official page at www.gutenberg.org/contact

For additional contact information:

    Dr. Gregory B. Newby
    Chief Executive and Director
    [email protected]

Section 4. Information about Donations to the Project Gutenberg
Literary Archive Foundation

Project Gutenberg-tm depends upon and cannot survive without wide
spread public support and donations to carry out its mission of
increasing the number of public domain and licensed works that can be
freely distributed in machine readable form accessible by the widest
array of equipment including outdated equipment. Many small donations
($1 to $5,000) are particularly important to maintaining tax exempt
status with the IRS.

The Foundation is committed to complying with the laws regulating
charities and charitable donations in all 50 states of the United
States. Compliance requirements are not uniform and it takes a
considerable effort, much paperwork and many fees to meet and keep up
with these requirements. We do not solicit donations in locations
where we have not received written confirmation of compliance. To SEND
DONATIONS or determine the status of compliance for any particular
state visit www.gutenberg.org/donate

While we cannot and do not solicit contributions from states where we
have not met the solicitation requirements, we know of no prohibition
against accepting unsolicited donations from donors in such states who
approach us with offers to donate.

International donations are gratefully accepted, but we cannot make
any statements concerning tax treatment of donations received from
outside the United States. U.S. laws alone swamp our small staff.

Please check the Project Gutenberg Web pages for current donation
methods and addresses. Donations are accepted in a number of other
ways including checks, online payments and credit card donations. To
donate, please visit: www.gutenberg.org/donate

Section 5. General Information About Project Gutenberg-tm electronic works.

Professor Michael S. Hart was the originator of the Project
Gutenberg-tm concept of a library of electronic works that could be
freely shared with anyone. For forty years, he produced and
distributed Project Gutenberg-tm eBooks with only a loose network of
volunteer support.

Project Gutenberg-tm eBooks are often created from several printed
editions, all of which are confirmed as not protected by copyright in
the U.S. unless a copyright notice is included. Thus, we do not
necessarily keep eBooks in compliance with any particular paper
edition.

Most people start at our Web site which has the main PG search
facility: www.gutenberg.org

This Web site includes information about Project Gutenberg-tm,
including how to make donations to the Project Gutenberg Literary
Archive Foundation, how to help produce our new eBooks, and how to
subscribe to our email newsletter to hear about new eBooks.


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will be renamed.

Creating the works from public domain print editions means that no
one owns a United States copyright in these works, so the Foundation
(and you!) can copy and distribute it in the United States without
permission and without paying copyright royalties.  Special rules,
set forth in the General Terms of Use part of this license, apply to
copying and distributing Project Gutenberg-tm electronic works to
protect the PROJECT GUTENBERG-tm concept and trademark.  Project
Gutenberg is a registered trademark, and may not be used if you
charge for the eBooks, unless you receive specific permission.  If you
do not charge anything for copies of this eBook, complying with the
rules is very easy.  You may use this eBook for nearly any purpose
such as creation of derivative works, reports, performances and
research.  They may be modified and printed and given away--you may do
practically ANYTHING with public domain eBooks.  Redistribution is
subject to the trademark license, especially commercial
redistribution.



*** START: FULL LICENSE ***

THE FULL PROJECT GUTENBERG LICENSE
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To protect the Project Gutenberg-tm mission of promoting the free
distribution of electronic works, by using or distributing this work
(or any other work associated in any way with the phrase "Project
Gutenberg"), you agree to comply with all the terms of the Full Project
Gutenberg-tm License (available with this file or online at
http://gutenberg.org/license).


Section 1.  General Terms of Use and Redistributing Project Gutenberg-tm
electronic works

1.A.  By reading or using any part of this Project Gutenberg-tm
electronic work, you indicate that you have read, understand, agree to
and accept all the terms of this license and intellectual property
(trademark/copyright) agreement.  If you do not agree to abide by all
the terms of this agreement, you must cease using and return or destroy
all copies of Project Gutenberg-tm electronic works in your possession.
If you paid a fee for obtaining a copy of or access to a Project
Gutenberg-tm electronic work and you do not agree to be bound by the
terms of this agreement, you may obtain a refund from the person or
entity to whom you paid the fee as set forth in paragraph 1.E.8.

1.B.  "Project Gutenberg" is a registered trademark.  It may only be
used on or associated in any way with an electronic work by people who
agree to be bound by the terms of this agreement.  There are a few
things that you can do with most Project Gutenberg-tm electronic works
even without complying with the full terms of this agreement.  See
paragraph 1.C below.  There are a lot of things you can do with Project
Gutenberg-tm electronic works if you follow the terms of this agreement
and help preserve free future access to Project Gutenberg-tm electronic
works.  See paragraph 1.E below.

1.C.  The Project Gutenberg Literary Archive Foundation ("the Foundation"
or PGLAF), owns a compilation copyright in the collection of Project
Gutenberg-tm electronic works.  Nearly all the individual works in the
collection are in the public domain in the United States.  If an
individual work is in the public domain in the United States and you are
located in the United States, we do not claim a right to prevent you from
copying, distributing, performing, displaying or creating derivative
works based on the work as long as all references to Project Gutenberg
are removed.  Of course, we hope that you will support the Project
Gutenberg-tm mission of promoting free access to electronic works by
freely sharing Project Gutenberg-tm works in compliance with the terms of
this agreement for keeping the Project Gutenberg-tm name associated with
the work.  You can easily comply with the terms of this agreement by
keeping this work in the same format with its attached full Project
Gutenberg-tm License when you share it without charge with others.

1.D.  The copyright laws of the place where you are located also govern
what you can do with this work.  Copyright laws in most countries are in
a constant state of change.  If you are outside the United States, check
the laws of your country in addition to the terms of this agreement
before downloading, copying, displaying, performing, distributing or
creating derivative works based on this work or any other Project
Gutenberg-tm work.  The Foundation makes no representations concerning
the copyright status of any work in any country outside the United
States.

1.E.  Unless you have removed all references to Project Gutenberg:

1.E.1.  The following sentence, with active links to, or other immediate
access to, the full Project Gutenberg-tm License must appear prominently
whenever any copy of a Project Gutenberg-tm work (any work on which the
phrase "Project Gutenberg" appears, or with which the phrase "Project
Gutenberg" is associated) is accessed, displayed, performed, viewed,
copied or distributed:

This eBook is for the use of anyone anywhere at no cost and with
almost no restrictions whatsoever.  You may copy it, give it away or
re-use it under the terms of the Project Gutenberg License included
with this eBook or online at www.gutenberg.org/license

1.E.2.  If an individual Project Gutenberg-tm electronic work is derived
from the public domain (does not contain a notice indicating that it is
posted with permission of the copyright holder), the work can be copied
and distributed to anyone in the United States without paying any fees
or charges.  If you are redistributing or providing access to a work
with the phrase "Project Gutenberg" associated with or appearing on the
work, you must comply either with the requirements of paragraphs 1.E.1
through 1.E.7 or obtain permission for the use of the work and the
Project Gutenberg-tm trademark as set forth in paragraphs 1.E.8 or
1.E.9.

1.E.3.  If an individual Project Gutenberg-tm electronic work is posted
with the permission of the copyright holder, your use and distribution
must comply with both paragraphs 1.E.1 through 1.E.7 and any additional
terms imposed by the copyright holder.  Additional terms will be linked
to the Project Gutenberg-tm License for all works posted with the
permission of the copyright holder found at the beginning of this work.

1.E.4.  Do not unlink or detach or remove the full Project Gutenberg-tm
License terms from this work, or any files containing a part of this
work or any other work associated with Project Gutenberg-tm.

1.E.5.  Do not copy, display, perform, distribute or redistribute this
electronic work, or any part of this electronic work, without
prominently displaying the sentence set forth in paragraph 1.E.1 with
active links or immediate access to the full terms of the Project
Gutenberg-tm License.

1.E.6.  You may convert to and distribute this work in any binary,
compressed, marked up, nonproprietary or proprietary form, including any
word processing or hypertext form.  However, if you provide access to or
distribute copies of a Project Gutenberg-tm work in a format other than
"Plain Vanilla ASCII" or other format used in the official version
posted on the official Project Gutenberg-tm web site (www.gutenberg.org),
you must, at no additional cost, fee or expense to the user, provide a
copy, a means of exporting a copy, or a means of obtaining a copy upon
request, of the work in its original "Plain Vanilla ASCII" or other
form.  Any alternate format must include the full Project Gutenberg-tm
License as specified in paragraph 1.E.1.

1.E.7.  Do not charge a fee for access to, viewing, displaying,
performing, copying or distributing any Project Gutenberg-tm works
unless you comply with paragraph 1.E.8 or 1.E.9.

1.E.8.  You may charge a reasonable fee for copies of or providing
access to or distributing Project Gutenberg-tm electronic works provided
that

- You pay a royalty fee of 20% of the gross profits you derive from
     the use of Project Gutenberg-tm works calculated using the method
     you already use to calculate your applicable taxes.  The fee is
     owed to the owner of the Project Gutenberg-tm trademark, but he
     has agreed to donate royalties under this paragraph to the
     Project Gutenberg Literary Archive Foundation.  Royalty payments
     must be paid within 60 days following each date on which you
     prepare (or are legally required to prepare) your periodic tax
     returns.  Royalty payments should be clearly marked as such and
     sent to the Project Gutenberg Literary Archive Foundation at the
     address specified in Section 4, "Information about donations to
     the Project Gutenberg Literary Archive Foundation."

- You provide a full refund of any money paid by a user who notifies
     you in writing (or by e-mail) within 30 days of receipt that s/he
     does not agree to the terms of the full Project Gutenberg-tm
     License.  You must require such a user to return or
     destroy all copies of the works possessed in a physical medium
     and discontinue all use of and all access to other copies of
     Project Gutenberg-tm works.

- You provide, in accordance with paragraph 1.F.3, a full refund of any
     money paid for a work or a replacement copy, if a defect in the
     electronic work is discovered and reported to you within 90 days
     of receipt of the work.

- You comply with all other terms of this agreement for free
     distribution of Project Gutenberg-tm works.

1.E.9.  If you wish to charge a fee or distribute a Project Gutenberg-tm
electronic work or group of works on different terms than are set
forth in this agreement, you must obtain permission in writing from
both the Project Gutenberg Literary Archive Foundation and Michael
Hart, the owner of the Project Gutenberg-tm trademark.  Contact the
Foundation as set forth in Section 3 below.

1.F.

1.F.1.  Project Gutenberg volunteers and employees expend considerable
effort to identify, do copyright research on, transcribe and proofread
public domain works in creating the Project Gutenberg-tm
collection.  Despite these efforts, Project Gutenberg-tm electronic
works, and the medium on which they may be stored, may contain
"Defects," such as, but not limited to, incomplete, inaccurate or
corrupt data, transcription errors, a copyright or other intellectual
property infringement, a defective or damaged disk or other medium, a
computer virus, or computer codes that damage or cannot be read by
your equipment.

1.F.2.  LIMITED WARRANTY, DISCLAIMER OF DAMAGES - Except for the "Right
of Replacement or Refund" described in paragraph 1.F.3, the Project
Gutenberg Literary Archive Foundation, the owner of the Project
Gutenberg-tm trademark, and any other party distributing a Project
Gutenberg-tm electronic work under this agreement, disclaim all
liability to you for damages, costs and expenses, including legal
fees.  YOU AGREE THAT YOU HAVE NO REMEDIES FOR NEGLIGENCE, STRICT
LIABILITY, BREACH OF WARRANTY OR BREACH OF CONTRACT EXCEPT THOSE
PROVIDED IN PARAGRAPH 1.F.3.  YOU AGREE THAT THE FOUNDATION, THE
TRADEMARK OWNER, AND ANY DISTRIBUTOR UNDER THIS AGREEMENT WILL NOT BE
LIABLE TO YOU FOR ACTUAL, DIRECT, INDIRECT, CONSEQUENTIAL, PUNITIVE OR
INCIDENTAL DAMAGES EVEN IF YOU GIVE NOTICE OF THE POSSIBILITY OF SUCH
DAMAGE.

1.F.3.  LIMITED RIGHT OF REPLACEMENT OR REFUND - If you discover a
defect in this electronic work within 90 days of receiving it, you can
receive a refund of the money (if any) you paid for it by sending a
written explanation to the person you received the work from.  If you
received the work on a physical medium, you must return the medium with
your written explanation.  The person or entity that provided you with
the defective work may elect to provide a replacement copy in lieu of a
refund.  If you received the work electronically, the person or entity
providing it to you may choose to give you a second opportunity to
receive the work electronically in lieu of a refund.  If the second copy
is also defective, you may demand a refund in writing without further
opportunities to fix the problem.

1.F.4.  Except for the limited right of replacement or refund set forth
in paragraph 1.F.3, this work is provided to you 'AS-IS' WITH NO OTHER
WARRANTIES OF ANY KIND, EXPRESS OR IMPLIED, INCLUDING BUT NOT LIMITED TO
WARRANTIES OF MERCHANTABILITY OR FITNESS FOR ANY PURPOSE.

1.F.5.  Some states do not allow disclaimers of certain implied
warranties or the exclusion or limitation of certain types of damages.
If any disclaimer or limitation set forth in this agreement violates the
law of the state applicable to this agreement, the agreement shall be
interpreted to make the maximum disclaimer or limitation permitted by
the applicable state law.  The invalidity or unenforceability of any
provision of this agreement shall not void the remaining provisions.

1.F.6.  INDEMNITY - You agree to indemnify and hold the Foundation, the
trademark owner, any agent or employee of the Foundation, anyone
providing copies of Project Gutenberg-tm electronic works in accordance
with this agreement, and any volunteers associated with the production,
promotion and distribution of Project Gutenberg-tm electronic works,
harmless from all liability, costs and expenses, including legal fees,
that arise directly or indirectly from any of the following which you do
or cause to occur: (a) distribution of this or any Project Gutenberg-tm
work, (b) alteration, modification, or additions or deletions to any
Project Gutenberg-tm work, and (c) any Defect you cause.


Section  2.  Information about the Mission of Project Gutenberg-tm

Project Gutenberg-tm is synonymous with the free distribution of
electronic works in formats readable by the widest variety of computers
including obsolete, old, middle-aged and new computers.  It exists
because of the efforts of hundreds of volunteers and donations from
people in all walks of life.

Volunteers and financial support to provide volunteers with the
assistance they need, are critical to reaching Project Gutenberg-tm's
goals and ensuring that the Project Gutenberg-tm collection will
remain freely available for generations to come.  In 2001, the Project
Gutenberg Literary Archive Foundation was created to provide a secure
and permanent future for Project Gutenberg-tm and future generations.
To learn more about the Project Gutenberg Literary Archive Foundation
and how your efforts and donations can help, see Sections 3 and 4
and the Foundation web page at http://www.pglaf.org.


Section 3.  Information about the Project Gutenberg Literary Archive
Foundation

The Project Gutenberg Literary Archive Foundation is a non profit
501(c)(3) educational corporation organized under the laws of the
state of Mississippi and granted tax exempt status by the Internal
Revenue Service.  The Foundation's EIN or federal tax identification
number is 64-6221541.  Its 501(c)(3) letter is posted at
http://pglaf.org/fundraising.  Contributions to the Project Gutenberg
Literary Archive Foundation are tax deductible to the full extent
permitted by U.S. federal laws and your state's laws.

The Foundation's principal office is located at 4557 Melan Dr. S.
Fairbanks, AK, 99712., but its volunteers and employees are scattered
throughout numerous locations.  Its business office is located at
809 North 1500 West, Salt Lake City, UT 84116, (801) 596-1887, email
[email protected].  Email contact links and up to date contact
information can be found at the Foundation's web site and official
page at http://pglaf.org

For additional contact information:
     Dr. Gregory B. Newby
     Chief Executive and Director
     [email protected]


Section 4.  Information about Donations to the Project Gutenberg
Literary Archive Foundation

Project Gutenberg-tm depends upon and cannot survive without wide
spread public support and donations to carry out its mission of
increasing the number of public domain and licensed works that can be
freely distributed in machine readable form accessible by the widest
array of equipment including outdated equipment.  Many small donations
($1 to $5,000) are particularly important to maintaining tax exempt
status with the IRS.

The Foundation is committed to complying with the laws regulating
charities and charitable donations in all 50 states of the United
States.  Compliance requirements are not uniform and it takes a
considerable effort, much paperwork and many fees to meet and keep up
with these requirements.  We do not solicit donations in locations
where we have not received written confirmation of compliance.  To
SEND DONATIONS or determine the status of compliance for any
particular state visit http://pglaf.org

While we cannot and do not solicit contributions from states where we
have not met the solicitation requirements, we know of no prohibition
against accepting unsolicited donations from donors in such states who
approach us with offers to donate.

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any statements concerning tax treatment of donations received from
outside the United States.  U.S. laws alone swamp our small staff.

Please check the Project Gutenberg Web pages for current donation
methods and addresses.  Donations are accepted in a number of other
ways including checks, online payments and credit card donations.
To donate, please visit: http://pglaf.org/donate


Section 5.  General Information About Project Gutenberg-tm electronic
works.

Professor Michael S. Hart is the originator of the Project Gutenberg-tm
concept of a library of electronic works that could be freely shared
with anyone.  For thirty years, he produced and distributed Project
Gutenberg-tm eBooks with only a loose network of volunteer support.


Project Gutenberg-tm eBooks are often created from several printed
editions, all of which are confirmed as Public Domain in the U.S.
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keep eBooks in compliance with any particular paper edition.


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