L'amore di Loredana

By Luciano Zùccoli

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Title: L'amore di Loredana

Author: Luciano Zùccoli

Release Date: November 16, 2010 [EBook #34346]

Language: Italian


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  L'AMORE DI LOREDANA




  DEL MEDESIMO AUTORE:

  _La Compagnia della Leggera_, novelle        L. 3 50




     L'AMORE DI LOREDANA




            ROMANZO

              DI

        LUCIANO ZÙCCOLI




            MILANO

   FRATELLI TREVES, EDITORI

             1908




  PROPRIETÀ LETTERARIA


  _I diritti di riproduzione e di traduzione sono riservati per tutti i
  paesi, compresi la Svezia, la Norvegia e l'Olanda._


  Milano.--Tip. Treves.





L'AMORE DI LOREDANA




PRIMA PARTE.




I.


--Prendi quelle valigie e portale in questo scompartimento. Su, presto,
che il treno riparte!

La voce nota diede un sussulto a Loredana, che stava sola, ancora col
velo grigio abbassato sugli occhi, come quando era partita da Venezia.

--In questo?--domandò il facchino.

--Ma sì, su questo!...

Filippo salì, sorrise a Loredana, si volse a prender dalle mani del
facchino le valigie, le collocò sulla rete, e sedette infine di fronte
alla giovane, con un sospiro di sollievo. Poco dopo, lo sportello era
chiuso e il treno riprendeva la marcia.

Filippo non aspettò altro, e si chinò a baciar le mani dell'amica, poi
il volto e le labbra, senz'attendere ch'ella raccogliesse il velo sulla
fronte.

--Hai fatto bene,--egli disse, enunziando mille pensieri in una
volta.--Siamo soli. Fra un'ora saremo giunti. Sai chi ho trovato alla
stazione di Venezia? Mi hai visto parlare con un signore alto e calvo? È
il conte Lombardi: mi ha invitato a pranzo per lunedì, e ho accettato.
Dove saremo lunedì?... Ma tu, cara, sei spaventata?... Quanta
gratitudine ti debbo, cara!... Vedrai: non aver paura, non accadrà
nulla, non ti toccheranno, non ti faranno nulla....

La campagna triste fra Verona e Peschiera era sinistramente illuminata
dalla luce sanguigna del tramonto che alcune nuvole grige
interrompevano.

Loredana non diceva parola, tenendo le mani tra le mani di Filippo,
sempre col viso celato da quel velo bigio, che pareva la togliesse dal
mondo, l'allontanasse da tutti, la dovesse nascondere come una
delinquente.

--Ascoltami, cara,--seguitò Filippo.--Hai scritto alla mamma?

--Sì....

--Che cosa le hai scritto?

La fanciulla non rispose subito. Le veniva innanzi agli occhi della
mente la visione della sua casetta bianca nel campiello solitario; e la
mamma che ogni mattina entrava a chiederle che cosa desiderasse per
colazione; poi la mamma usciva, andava per la spesa, e, tornata,
preparava la colazione per la figliuola, che con una vestaglia bianca e
lunga, raccoglieva intanto i capelli intorno alla testa e si guardava
nello specchio e si dava un po' di cipria e si sorrideva. La vestaglia
bianca e lunga era stata abbandonata, anche quella, come tutto il
resto....

--Le ho scritto,--rispose Loredana scuotendosi.--Le ho scritto che non
si dia pensiero; che avrà mie notizie.... Voglio scriverle anche
stasera, subito.... Si può?

Filippo scosse la testa.

--Domani ci raggiungerebbe! Puoi scrivere, e io manderò la lettera a un
mio amico a Roma, perchè la faccia partire di là.

--Così la mamma la riceverà tardi,--osservò Loredana,--e per tanto tempo
non saprà nulla.

--Due giorni: fra due giorni sarà a destinazione....

La fanciulla rimase muta e guardò il tramonto tragico. A quell'ora, la
mamma e la figlia terminavan di cenare, e si mettevano alla finestra
prospiciente il campiello, dove i bambini del vicinato si raccoglievano
a far chiasso. Sul davanzale la mamma disponeva il vassoio col bricco, e
andava centellinando l'ultima tazza di caffè....

Loredana guardò acutamente Filippo. Che sapeva egli di tutte quelle
cose, delle piccole cose amate, tanto piccole nei giorni di pace e tanto
tristi a rammentar come perdute?

Ella ritrasse le mani dalle mani di lui e sentì che il cuore le doleva,
che la vita era cupa e misteriosa, che quel cielo pareva farle entrar
nell'anima tutta la disperata violenza del suo colore di sangue.... Con
quali parole avrebbe ella potuto esprimere quel tormento a colui che le
era così vicino e così lontano?...

A Peschiera, nello scompartimento salì un uomo: andava a Brescia e non
aveva trovato posto in seconda classe. Vedendo Filippo e la signora col
velo, si ritrasse in un angolo, dopo aver posto sulla rete una valigia
grossolana, biancastra con gli angoli di pelle rossa; e chiuse gli
occhi, senza addormentarsi, quasi per far comprendere che non voleva
disturbare, che sentiva di essere importuno, ma sapeva esser discreto.

--Sei stato mai sul lago di Garda?--chiese Loredana, dopo aver guardato
con diffidenza il nuovo viaggiatore.

--Sì, due volte. In questo mese, con questo caldo, siamo sicuri di non
trovar nessuno che possa importunarci.

--Come farò?...--disse nuovamente la fanciulla, ma poi s'interruppe
impacciata.

--Come farai, che cosa?--domandò Filippo, riprendendole una mano e
accarezzandola.

Era venuto in mente alla ragazza, fra tanti pensieri gravi e terribili,
era venuto anche in mente che non aveva abiti, non biancheria, nulla di
nulla. Fuggita dalla casa col pretesto di salutare un'amica, non
possedeva che gli indumenti dei quali era vestita, e aveva tre lire nel
borsellino.

--Non vuoi dirmi?--incalzò Filippo con la dolcezza di chi prega.

La fanciulla trovò modo di cambiar la frase:

--Ci son negozii a Desenzano?

Filippo capì e si mise a ridere.

--Oh non importa,--disse.

Loredana non osò più insistere e chiedere spiegazioni: non importava, la
sua roba, non contavan nulla i suoi abitini modesti, a parecchi dei
quali aveva dato mano la mamma; non contavan nulla i suoi oggetti
d'abbigliamento, i braccialetti, gli anelli, i pettini per la testa....
Tutto perduto e scomparso per sempre, come la vestaglia bianca! Ella
sospirò e si guardò l'abito nero, che aveva indossato di furia, perchè
capitato prima sotto gli occhi in quell'ora di decisione suprema.

Il treno rallentò la corsa e si fermò.

--San Martino!--gridò un impiegato,--San Martino della Battaglia!...

Filippo stava per additare alla sua amica la torre storica, allorchè lo
sportello fu aperto e un signore attempato salì nello scompartimento.

Era un uomo sui sessant'anni, robusto, acceso in volto, con basette
brizzolate e ancor folti capelli bianchi; gli occhi grigi fissarono un
istante Filippo, e più attentamente la sua compagna, il volto della
quale era sempre celato dal velo.

--Buona sera,--disse Filippo sorridendo.--Vai a Fasano?...

--Oh,--esclamò il signore, mentre stendeva la mano a Filippo.--Non ti
avevo riconosciuto!... Sì, vado in villa, per qualche giorno....

Guardò di nuovo Loredana, facendole un inchino, al quale essa rispose
con un cenno del capo.

--E tu?... Non ti ho mai veduto da queste parti...!

--Un capriccio,--borbottò Filippo impacciato.--Farò una corsa fino a
Riva....

--Bravo, bravo, bravo!--concluse il signore con tutta l'aria di chi non
crede una parola.

E mentre il treno si rimetteva in moto, aperse la valigia e ne trasse un
libro, lanciando un'occhiata sospettosa all'uomo che stava nell'angolo
dello scompartimento e teneva ancora gli occhi chiusi....

Filippo guardò Loredana ed ambedue pensarono che quell'incontro era
noioso, ma senza pericolo. La fanciulla conosceva di vista il signore e
ne aveva udito parlare molto a Venezia.

Zio di Filippo, il conte Roberto Vagli, noiato, stanco, indifferente, si
occupava poco degli affari altrui, e punto di ciò che faceva il nipote.
Egli trovava tutto possibile, tutto giusto, tutto bene, purchè non gli
si desse noia e non lo si disturbasse nelle sue abitudini....

Col libro in mano, un romanzo inglese, si volse ancora a Filippo:

--Ti fermi all'Albergo Reale?--domandò.

--Sì, e riparto domattina.

--Io pure: ma tu partirai col battello delle dieci e venti?

--Sì.

--E io più presto, col legno.

Rassicurata così la coppia, poichè per non disturbare e non essere
disturbato avrebbe dormito a un altro albergo se fosse stato possibile,
il conte Roberto aperse finalmente il libro e si mise a leggere.

Loredana, allora, osò guardarlo un istante con un lieve sorriso. Dalle
poche parole scambiate con Filippo, riconosceva bene l'uomo che Filippo
le aveva così spesso descritto, e sentì una strana gratitudine pel
signore che non si occupava di lei. Forse egli stesso, molti anni
addietro, aveva viaggiato in qualche parte del mondo con una fanciulla;
certo, i suoi amori non erano stati sempre regolari; aveva fatto male e
aveva fatto bene, aveva visto molte cose esotiche, molti paesi lontani,
aveva conosciuto molta gente, ormai dispersa. E non giudicava.




II.


A Desenzano, di piena sera, sul piazzale della stazione, si dovette
aspettare che i bagagli di Filippo fossero caricati.

Il conte Roberto era già salito nell'omnibus dell'albergo; Loredana vi
si era pure rincantucciata, all'angolo opposto; solo Filippo restava
fuori, impaziente, presso la fanciulla.

--Dimmi,--chiese il conte Roberto.--Hai molti bagagli?...

--Cinque bauli, due valigie e tre cappelliere.

--Santo Dio, potevi dirmelo.... Avrei preso una carrozza, per non
rimanere in questo sporco omnibus ad aspettare tanto!

Filippo si mise a ridere.

--Ora vengono, zio!... Eccoli qua.

--Cinque bauli!--ripetè lo zio.--Tu viaggi con gli utensili di
cucina?...

Ma ricordandosi che il nipote non viaggiava solo, si morse le labbra e
si pentì dell'osservazione, che poteva sembrare scortese....

--Sono pesanti!--esclamò poi, udendo sul capo il rimbombo dei bauli
calati sull'imperiale.--Chi sa quante deliziose galanterie!...

E sembrandogli così d'aver rimediato allo sgarbo, non disse più parola.

Quando l'omnibus, traballando sul selciato, si mosse, Loredana si sforzò
di veder qualche cosa, guardando fuori del finestrino, ma la città le
sembrò orribile, soffocata, male illuminata, coi ciottoli che davano al
veicolo sobbalzi continui.

Un senso improvviso di paura le pervase l'animo. Pareva che tutto fosse
finito, che la mamma fosse morta, il sole sprofondato tra la nuvolaglia;
la fanciulla si strinse tacitamente a Filippo, il quale doveva essere
per lei ogni cosa al mondo, e Filippo le prese una mano e la tenne
finchè l'omnibus non entrò sotto l'atrio dell'albergo.

Scesero primi gli amanti; poi il conte Roberto.

--Buona notte, Flopi,--disse il vecchio al nipote: e volgendosi al
direttore dell'albergo, che era accorso salutando, aggiunse:--Questo
vostro omnibus balla come un orso....

--Colpa dei ciottoli, signor conte,--rispose il direttore
sorridendo.--L'omnibus è solido.

--Buona notte, zio!--disse Filippo stringendo la mano al vecchio.

Il conte salutò, inchinandosi, la sconosciuta e scomparve su per la
scala.

Filippo volle due camere comunicanti; ordinò di portar tre bauli in
quella della signora, e due nella sua, e li indicò al facchino.

La camera di Loredana era tappezzata di giallo, coi mobili di damasco
giallo; la zanzariera azzurrastra, scendendo da un baldacchino centrale,
celava tutto il letto. La camera di Filippo era addobbata di stoffa
rossa e disposta identicamente all'altra.

Loredana corse al balcone a guardare il lago, che nella penombra
sembrava infinito; solo, nettamente, si distingueva il fanale rosso del
faro sulla diga.

Ella stava assorta in quella contemplazione, pensando che il paese
sconosciuto era ineffabilmente triste, allorchè udì il passo di Filippo.
Egli aveva aperto i bauli e sorrideva.

--Mi hai chiesto se ci sono negozii a Desenzano,--disse, quando l'amica
gli fu vicina.--Vedi che ho già pensato a tutto? Questo è il baule della
biancheria; gli altri due contengono gli abiti....

La fanciulla si chinò per guardare, ma Filippo le afferrò la testa fra
le mani e le ricoperse il volto di baci.

--Come sei bella!--esclamò.--Non ti vedevo da tanto, con quel velo
misterioso sulla faccia....

Loredana gli rese i baci con un piacere quasi violento, sentendosi
rassicurata da colui che ella s'era abituata a credere più forte, più
audace, più potente, più libero, più sicuro di tutti.... E, l'anima
divenuta a un tratto leggera e aperta, un sorriso sulle labbra, la
giovane s'inginocchiò a terra e sollevando con l'agile mano quel cumulo
di biancheria e di trine, guardò rapidamente come fosse composto il suo
tesoro.

Filippo in piedi osservava la persona snella e pieghevole, la cara testa
dai capelli bruni con bei riflessi dorati e il collo bianchissimo e le
piccole mani.

--Sì, a tutto; hai proprio pensato a tutto!--disse Loredana, alzando gli
occhi a guardare l'amico.--E che cosa è questo?

Ella teneva fra le mani uno scrignetto trovato sul fondo del baule.

--Apri: dev'essere aperto,--disse Filippo.

Loredana mise lo scrigno sul bordo del camino, e aperse. V'erano diversi
astucci e ciascuno conteneva un gioiello: orecchini formati da due
piccole perle, due braccialetti d'oro a catenella con qualche turchese,
e una collana d'oro a maglie piccoline che sosteneva una medaglietta col
motto: «Sempre» da una parte, e dall'altra la data di tre mesi prima: «8
maggio 1893». Poi un anello con una perla nera ed uno con una grossa
turchese....

Filippo aveva voluto che tutto fosse elegante e semplice, i gioielli,
gli abiti e la biancheria, perchè l'amica sentisse d'essere ancora
fanciulla, legata ancora alla sua vita di ieri. Ella parve comprendere
quella cura gentile e sorrise dolcemente.

--Una mamma non avrebbe fatto meglio,--mormorò.

E andava volgendo e rivolgendo sul palmo la collana e la medaglietta con
quella data fatale.




III.


--Data fatale!--ella pensò e disse ad alta voce, senza rammarico.

Poi rapidamente si slacciò il corpetto, passò la catena attorno al
collo, e sorrise. Nessuno, all'infuori di Filippo, doveva veder quella
catena, e nessuno, all'infuori di Loredana e Filippo, sapere e ricordar
quella data.

--Gli abiti li vedremo poi; ora scendiamo a cenare,--disse Filippo.

--E tuo zio?--mormorò la giovane titubando.--Se cena anche lui, mi vedrà
senza velo.

--E rimarrà ammirato,--concluse Filippo.

Cenarono sul terrazzo illuminato da tre lampioni a gas; il lago era
scuro, ma a Loredana pareva meno tetro e misterioso. Sulla strada
innanzi all'albergo non poca gente passava e guardava la coppia, forse
invidiando. Un piccolo gatto bianco e nero, poi un cane pòmero vennero a
corteggiare i forestieri e ad accattar qualche boccone. Le zanzare
attratte dalla luce danzavano intorno al capo dei due amanti.

Durante la cena, Filippo spiegò il programma per l'indomani: dovevano
cercare un piccolo albergo nascosto o una villetta discreta a Salò o a
Maderno o a Gargnano; e veder anche la sponda veronese, dove assai
minore era la probabilità d'incontrar gente, poichè i piroscafi non vi
approdavano.

--La sponda veronese di là dalla penisola di Sirmione: Salò da questa
parte, oltre il capo Manerba....

E Filippo faceva dei gesti in direzione del lago, mentre l'amica sua
sorrideva perchè non riusciva a distinguer nulla.... Ma un gesto restò a
mezzo: era comparso sul terrazzo lo zio Roberto, seguito dal direttore
dell'albergo.

--Se il signor conte permette,--diceva quest'ultimo,--gli servirò io
stesso una cena di suo gusto....

--Sì, roba leggera, ve ne prego!--rispose il conte, sedendo a una delle
tavole di marmo, poco lontano da Filippo.

E vedendo il nipote, come non si fossero lasciati un momento prima, gli
fe' cenno con la mano, salutando:

--Oh, ciao, Flopi!

--Buon appetito, zio!...

Il conte attese che Filippo riprendesse il discorso a bassa voce con la
fanciulla per darle un'occhiata; e la vide bellissima, con quel viso
bianco e fresco e con quei capelli scuri, che due pettini scintillanti
di _strass_ trattenevano a pena. Ma gli parve pure che ella fosse
estremamente giovane, non solo per Filippo che aveva da sei anni
valicato la trentina, ma per chiunque se la fosse portata via senza
passare dal sindaco e dal parroco....

--Che cosa le ha dato da intendere?--pensò il conte Roberto.--Non mi
pare un'oca, e sta ad ascoltarlo come l'oracolo.... Che cosa le ha dato
da intendere, dico io?

Egli si volse udendo uno stropiccìo di passi: ma mentre s'aspettava di
vedersi posta innanzi la prima vivanda, scorse invece il cameriere che
gli tendeva un telegramma sopra un piatto....

--Un telegramma per me?--disse stupito.

Filippo troncò il discorso con Loredana e guardò lo zio, che apriva il
telegramma. Il conte Roberto lo lesse un paio di volte e se lo mise in
tasca senza dir verbo e senza più volger l'occhio al nipote.

Ma cenò di malavoglia, scoperse che il Bardolino non aveva un bel colore
e acchiappò con le mani un paio di zanzare che gli ronzavan troppo da
vicino.

Loredana s'era ormai alzata da tavola e rientrava; passando presso il
conte Roberto abbassò il capo. Filippo la seguiva.

--Ascolta,--disse il conte Roberto,--verrai quest'anno a San Martino a
veder la Torre? La inauguriamo a ottobre....

Ma non appena s'accorse che la fanciulla era scomparsa, mutò voce:

--La mamma chiede tue notizie,--disse.--Come la facciamo?

--La mamma?--ripetè Filippo sbalordito.--Che mamma?

--Tua madre, mia cognata, la contessa Vagli, quella che ti ha dato alla
luce, bontà sua!--esclamò lo zio Roberto irritandosi.

--E come può sapere che noi siamo qui?

--Chi, _noi_? Quanto a me, lo sapeva, perchè gliel'ho scritto. Quanto a
te, avrai fatto le cose con la testa nel sacco. To' guarda!

E il conte Roberto levò da una tasca e mise sotto gli occhi di Filippo
il telegramma:

«Flopi partito oggi constami trovarsi sul lago. Se incontri avvertilo
domani denunzieranlo Procura Re.--Bianca».

Filippo gettò il foglio giallino sulla tavola e non disse nulla.

--Mi pare, insomma,--concluse lo zio,--che non tiri vento propizio per
te da queste parti.... Io tornerei indietro....

--Indietro?--esclamò Filippo.--E dove? A Venezia?

--Se preferisci che ti denunzino al Procuratore del Re, è un altro
conto.

--Ma perchè mi denunzierebbero?

Il conte Roberto alzò le spalle.

--E me lo domandi, tu che sei avvocato? La tua compagna di viaggio è una
bambina; ti denunzieranno per corruzione, per seduzione, che so io? per
ratto....

E ricordando la famosa _grida_ citata dal Manzoni, aggiunse con voce
tranquillamente allegra:

--«Per rapto de dona honesta».

--Non faranno niente,--disse Filippo.--In ogni modo, ci penserò....

--Bravo, pensaci! Il Procuratore del Re penserà anche lui a modo suo: e
quella disgraziata tua madre si divertirà un mondo, fra due pensatori di
questo genere....

Il conte Roberto si guardò intorno, poi seguitò con voce più cauta:

--E chi è quella ragazza?

--Lo hai detto: una bambina, che amo pazzamente, che mi ama, e che
voglio tener con me.

--Ma non ha più di sedici anni....

--Diciotto....

--Son sempre pochi. E ha il padre, i fratelli, una famiglia?

--Non ha che la madre.

--La vuol tenere con sè,--mormorò il conte Roberto, come ripensando alla
frase del nipote.--O che cosa significa questo?

--Vedremo più tardi,--disse brevemente Filippo.

--È di modesta nascita?--riprese lo zio.

--Di modestissima nascita. Con una madre che l'adora, e che è troppo
debole, troppo ingenua, troppo facile a credere, la poveretta si sarebbe
perduta....

Il conte Roberto interruppe passandosi la mano tra i capelli bianchi,
con un gesto di comico stupore.

--E tu la salvi,--disse poi,--menandola a passeggio sul lago di Garda?

--Chi sa?--rispose ancora brevemente Filippo.

Il direttore dell'albergo ricomparve e i due uomini tacquero.

--Buona, la vostra cena,--gli disse il conte Roberto.--Ma il Bardolino
non aveva un bel colore. E poi dovete cambiar posto alle scuderie: il
puzzo di lettiera e di fieno vi ammorba tutto l'albergo.

--Il signor conte ha ragione,--assentì il direttore.--Vedremo più
tardi!

--Vedrà più tardi, anche lui!--borbottò Roberto fra i denti.

Si alzò da tavola e s'appoggiò al braccio di Filippo ch'era rimasto
pensieroso innanzi al vecchio. Il conte Roberto era più alto e più
tarchiato del nipote; Filippo aveva statura media, capelli neri e lisci;
gli occhi chiari dallo sguardo rapido e vivo dicevano un'anima
irrequieta e audace; ma il colorito del volto che intorno agli occhi
pareva quasi grigio e certe rughe sottili ricordavano una vita di
tempeste e di disordini. L'uomo di sessant'anni, col volto acceso e i
capelli bianchissimi, dava più grata impressione di freschezza, o avesse
goduto e sofferto meno, o avesse sortito una tempra meno sensibile.

Roberto e Filippo salirono le scale fino al primo piano; innanzi
all'uscio della sua camera, lo zio disse a bassa voce:

--Arrivederci. Io parto domattina presto. Pensa a quello che fai;
comunque vada a finire, mi sembra una corbelleria, perchè io credo che
l'uomo non è monogamo.

--Grazie. E... scusami, che cosa scriverai alla mamma?

Il conte Roberto alzò bruscamente le spalle e sparì nella sua camera
senza rispondere.




IV.


--Perdonami, cara,--disse Filippo entrando e avvicinandosi a Loredana,
che scriveva, seduta innanzi a un tavolino.--Mi ha data una lezione di
storia: la torre, la battaglia, i quadri con gli episodii più
importanti.... Un quadro rappresenta anche lui, che a quei tempi era
tenente di cavalleria e si è battuto a San Martino.... E tu, che hai
fatto?

Loredana scriveva a sua madre una lettera felice e disperata, piena
d'umiltà e di carezze. Filippo vide che gli occhi dell'amica erano
umidi.

--Amore mio,--disse, chinandosi a guardare,--se tu adoperi la carta
dell'albergo con la veduta del lago, di Desenzano, dei piroscafi, e il
nome del proprietario e l'indirizzo, tanto vale chiamar qui la mamma e
il Procuratore del Re.

Si morse le labbra, ma ormai troppo tardi: Loredana lo fissava
corrucciata e pallida.

--La mamma e il Procuratore del Re?--disse.--Che cosa significa?

--Nulla, proprio nulla, ti assicuro,--rispose Filippo, accarezzandole
lievemente i capelli.

--Che cosa volevi dire?--incalzò la fanciulla.--Come ti son venute
queste idee?

--Volevo dire che non dobbiamo trascurare ogni precauzione e che le
imprudenze potrebbero recarci qualche noia.

Loredana prese il foglio di carta già coperto di scrittura diritta e
uguale, lo fece in pezzi minuti e li gettò a terra.

Filippo conosceva da tempo l'anima sdegnosa e taciturna della fanciulla.
Non pareva fosse nata da piccola gente operosa (il padre era stato
mercante di stoffe a Rialto); ma la sensibilità intellettuale,
l'intelligenza acuta, la rapida intuizione e sopra tutto un orgoglio e
un coraggio più pronti all'azione che alla parola, facevan pensare a
un'origine aristocratica, a un atavismo imperioso, a un ambiente
squisito. E tuttavia, ella ora così carezzevolmente e voluttuosamente
femmina, così sommessa a chi sapeva guidarla, che Filippo non ricordava
d'aver conosciuto una donna più varia d'atteggiamenti e più degna
d'amore.

Da tre anni ella si recava a villeggiare con la madre a San Donà, in una
villetta confinante coi poderi dei conti Vagli; e così Filippo le era
diventato amico, senza sognare che un giorno egli, a tanta distanza
d'età, avrebbe avuto bisogno di quella giovanetta, allora tuttavia con
le sottane corte e coi capelli sciolti, che le scendevan per le spalle.

Egli le aveva raccontato molti fatti della sua vita, che gli amici più
intimi di lui ignoravano; e senza amarlo, ella ne sentiva la protezione
e la forza. Quand'egli partiva o da San Donà o da Venezia per qualche
viaggio, una tetra malinconia le piombava sul cuore. Ella trovava in lui
i modi, le forme, la perizia di vita, che scarseggiavano o mancavano
interamente fra le persone le quali frequentavano la casa della mamma,
piccole borghesi che con l'instancabile chiacchierìo la inviperivano e
l'allontanavano.

In tre anni, la bambina s'era fatta una giovane bella, della fresca e
molle bellezza veneziana, e a Filippo piaceva. Ma anch'egli non l'amava;
era la piccola amica....

La piccola amica! Quante volte, sprofondato tra i cuscini della gondola
silenziosa, o seduto in un salotto a fianco d'una dama, o in un palco
della Fenice tra la luce dorata e lo scintillìo dei diamanti, Filippo
Vagli aveva pensato alla piccola amica, che dormiva tranquillamente
nella casetta bianca sul campiello muto! E rideva dentro di sè,
chiedendosi che cosa avrebbero detto quelle patrizie, le amiche
officiali, se avessero conosciuto l'umile sua confidente, colei che
sapeva farlo sorridere, sapeva parlare come a lui piaceva, sapeva
ascoltare e discutere.

In quei tre anni egli aveva avuto più d'una amante; e la voce, per i
meandri molteplici del pettegolezzo veneziano, esagerato ed innocuo, era
giunta fino all'orecchio di Loredana, la quale non capiva se quei
racconti le facevan piacere o se l'angustiavano; ma intanto si studiava
d'osservare le donne che la voce popolare additava quali amanti di
Filippo, per vedere s'eran belle, se vestivan bene, se non erano indegne
di lui.

Osò parlarne con Filippo, che ne rise.

--Stia attenta,--egli le disse,--e vedrà che ogni mese e fors'anco di
quindici in quindici giorni il nome della mia amante cambia. Son
discorsi di sfaccendati, i quali mi rendono il favore di sviar la
curiosità dietro mille tracce, e non si sono ancora avveduti che io
passo tanto tempo vicino a lei.

--Non ha amanti, allora?--chiese Loredana.

Essi parlavan di sera, nel tinello; una sera a metà gennaio del 1893.
Spesse volte si trovavan così quasi soli, perchè la mamma, con la
fiduciosa ospitalità veneziana accresciuta dalla stima ch'ella aveva per
la figlia, non vigilava i loro discorsi e stava innanzi alla finestra
della saletta a centellare la ventesima tazza di caffè.

E quella domanda, la quale sarebbe parsa ardita e sconveniente per
un'altra fanciulla, ai due amici sembrò così naturale, che si stupirono
di non aver mai parlato d'un argomento che si prestava a tante
confidenze.

--No, non ho amanti,--rispose Filippo.

Loredana si mise a ridere.

--Neanche la contessa Fausta di Montegalda?--domandò maliziosamente, e
soggiunse:--Fausta! Che bel nome!

--Toccato!--pensò Filippo. Quindi rispose:--No!

--Eppure, si ricorda quella sera che andai alla Fenice l'inverno scorso,
con la mamma e gli zii? Lei era nel palco della Montegalda, che aveva un
così bel diadema di brillanti sui capelli neri; e qualcuno mi disse che
lei era innamorato della contessa. Io guardai attentamente e capii che
avevano ragione.

--In ogni caso,--osservò Filippo,--tra innamorato e amante v'è un
abisso.

--Oh sicuro!--esclamò Loredana con gravità comica.--Un abisso!... E lei,
tanto timido, si spaventa degli abissi....

La fanciulla rise e Filippo la guardò. Non gli era mai parsa così
bambina come in quell'ora, e tutta fresca, con la bocca sinuosa e
ardente appena ombreggiata da una lievissima pelurie sul labbro
superiore; e la luce che veniva dai grandi occhi scuri gli sembrò più
vivida del consueto.

Prima ancora di riflettere, si chinò e baciò quegli occhi e quella
bocca, mentre Loredana abbassava la testa, attonita e sommessa.

--Ciò che egli fa, è ben fatto!--ella pensò.--Ciò che egli fa, si può
fare!

Loredana pensava in tal maniera, pure senza amare Filippo, e Filippo la
baciava senza amarla. Ma ambedue con ogni sforzo avrebbero difeso quella
loro strana amicizia, perchè sentivano l'un per l'altra una fiducia, che
nessuno al mondo aveva mai loro ispirato.

Fu in quello stesso mese di gennaio che Filippo trovò un giorno la
casetta in festa. Era l'onomastico della mamma e v'eran due o tre
famiglie, recatesi a portar dolci e augurii alla buona donna. Intorno a
Loredana, tutta vestita di rosa e lievemente scollata, stavano altre
fanciulle, e alcuni giovanotti scherzavano con la piccola amica di
Filippo, la quale rideva e si scaldava presso il caminetto, avanzando i
piedini con una mossa non priva di civetteria.

Filippo guatò lo spettacolo. Tra quei giovani, uno fermò specialmente la
sua attenzione, un biondo con occhi cerulei; si chiamava Adolfo
Gianella, era impiegato in una banca e possedeva qualche po' di terra in
provincia di Vicenza. Parlava poco, vigilava gli amici, ascoltava,
serrando le labbra, i madrigali ch'essi rivolgevano alla giovinetta; e
sopra tutto, pareva noiato e diffidente per la presenza di Filippo. Egli
stava presso il caminetto, in piedi, di fronte a Loredana; e v'era nel
suo atteggiamento muto un significato di padronanza e di protezione, che
svelava in lui il fidanzato o almeno l'innamorato serio. Dai suoi occhi
si sprigionò più d'una volta qualche occhiata cupida al collo bianco e
perfetto di Loredana. Il contegno di Adolfo Gianella divenne a poco a
poco tanto chiaro, che i suoi compagni smisero di corteggiare quella e
si volsero alle altre ragazze.

Filippo se ne andò, con un male in cuore, con una rabbia, con
un'angoscia, che lo stupivano e lo facevano tremare.

Entrò nel salotto della contessa di Montegalda e parve distratto tutto
il tempo che vi rimase. Fausta gli passò vicino, gli fece un lieve cenno
di seguirla e quando furono nella sala da ballo, deserta, gli chiese:

--Che cosa avete, Flopi?

--Mi fa male il cuore!--egli rispose.

--Male?--ripetè Fausta.--Un male fisico?

--Fisico. Un aneurisma,--disse Filippo sbadatamente.

--Mio Dio!--esclamò la contessa con voce soffocata.--Siete pazzo? Di
aneurisma si può morire!

--Si può morire di tutto, amica, mia!--concluse Filippo.

La giovane voleva insistere, chiedere quali cure facesse, ma Filippo le
lanciò un'occhiata stranamente beffarda, e rientrò nel salotto, dove si
intavolava una partita di _boston_.

Egli aveva bisogno di sapere, e tuttavia stette parecchi giorni senza
recarsi a trovar le signore De Carolis. La comparsa di quel giovanotto
biondo con gli occhi cerulei gli aveva fatto sentire che un giorno
Loredana gli sarebbe stata tolta per sempre e ch'egli non avrebbe potuto
nulla per impedire una cosa tanto semplice e tanto grave, poichè non
aveva intenzione di sposare la fanciulla, d'affrontare una lotta con la
propria famiglia, con la madre, con le sorelle e coi cognati....
Loredana avrebbe appartenuto ad Adolfo Gianella, impiegato di banca e
piccolo possidente.

Fausta di Montegalda conobbe in quei giorni molte amarezze; Filippo era
irascibile e pareva che il fasto e l'eleganza della giovane signora lo
irritassero, quando per l'addietro gli erano stati tanto cari. In un
convegno, egli sbadigliò più d'una volta, mentre Fausta gli esponeva,
come nei primi tempi del loro amore, i progetti per la primavera, per
l'estate, per l'autunno, tutto un programma di divertimenti, studiato in
modo da non dover vivere troppo lontani l'uno dall'altra.

Quello stesso giorno, Filippo incontrò in Piazza, sotto le Procuratie
Nuove, Loredana che camminava frettolosa, di ritorno dall'aver fatto
alcune compere. Egli la salutò e tirò dritto, perchè evitava di farsi
vedere dagli amici con una fanciulla, ch'essi non conoscevano e che non
apparteneva al loro «mondo»; il quale era un gruppo di men che duecento
persone. Ma tornò presto indietro, e corse a casa delle De Carolis.

Loredana era molto impacciata; Filippo era freddo e pieno di rabbia.
Anche il fatto, punto nuovo, d'averla trovata sola per istrada, gli
faceva dispiacere, sebbene non avesse mai ignorato che la signora De
Carolis permetteva alla figlia, come del resto usavan tutte le sue
amiche, di uscire sola a far compere o di andare sola a far visita alle
conoscenti.

Infine, per togliere quell'ombra che s'addensava tra di loro, la
fanciulla raccontò a Filippo che l'avevano fidanzata, da un mese circa,
ad Adolfo Gianella.

--Le piace?--domandò Filippo.

--No, per niente.

--Le pare che sarà felice con lui?

--Ne dubito molto.

--E allora?

Allora? La mamma aveva consigliato così; la famiglia Gianella era
contenta; Adolfo era innamorato e minacciava d'uccidersi e di uccidere,
se Loredana non fosse stata sua. Poi, che cosa poteva fare ella al
mondo? Adolfo era un giovane onesto, in buona posizione, e le voleva
bene davvero.... Ella s'era rassegnata e il fidanzamento era avvenuto.

--Senza dirmi nulla!--interruppe Filippo.

--Non osavo,--confessò la fanciulla, guardando l'amico a occhi
socchiusi, tra le lunghe ciglia.--Del resto, che cosa poteva importare
a lei? Lei non si occupa di queste piccole miserie.

Filippo non rispose, ma disse a se medesimo, che infatti egli non poteva
e non doveva occuparsi dell'avvenire di Loredana, poichè non voleva
toglierla ad Adolfo e sposarsela lui.

--Tutto ciò che la riguarda m'interessa,--osservò.--La mia amicizia
aveva qualche diritto.

La fanciulla chinò il capo e non rispose. Una sofferenza nuova sorgeva
nel suo cuore per quell'interrogatorio. Aveva qualche diritto, Filippo?
E allora anche lei aveva qualche diritto, e pur tuttavia Filippo le
aveva sempre taciuto, anzi le aveva sempre negato quell'amore per la
contessa di Montegalda, del quale si parlava ormai con sicurezza in
città.

La madre sopravvenne, e mostrò a Loredana i campioni di alcune stoffe
per gli abiti della fanciulla. Filippo volle sceglierne due egli stesso,
ma la signora De Carolis osservò ch'eran troppo cari; bisognò
contentarsi dei più semplici, che a Filippo sembrarono anche molto
brutti. Egli comparò mentalmente la vita modesta, quasi povera della sua
piccola amica col lusso onde si circondava Fausta; e fu intenerito,
ricordando che Loredana non si lagnava mai, non badava a quei
particolari meschini, non invidiava nessuno.

Fausta sarebbe rimasta intontita se avesse potuto sapere che la povertà
di Loredana era più gradita a Filippo che non l'eleganza di lei.

Una sera a pranzo dalla contessa Lombardi, Filippo s'irritò sordamente
incontrando Fausta gemmata come un idolo, coperta di merletti preziosi,
superba. C'era il marito, il conte Ettore di Montegalda, e Filippo non
potè subito dire a Fausta qualche parola crudele; ma non gliene mancò
l'occasione durante la serata; e ripensando ai campioni delle stoffe per
gli abitini di Loredana, sentì il bisogno di criticare l'abbigliamento
di Fausta, con tanta ingiustizia, che la contessa ne rimase stupefatta.

--Via, via,--ella disse, sforzandosi a ridere,--voi non potete giudicar
di queste cose!

--Voi, piuttosto, non potete dare un giudizio di nulla e di
nessuno!--rimbeccò Filippo.--Credete di vivere, e siete tanto lontana
dalla vita quanto la terra dal sole!

Fausta aveva l'abitudine di comandare, d'imperare sempre e dovunque. Era
bella, alta, formosa, coi capelli nerissimi e gli occhi azzurri; gli
uomini la desideravano, le amiche ne tolleravano il potere, il marito ne
era orgoglioso senza mai aver pensato ad amarla.... Sentendosi, per la
prima volta dacchè viveva, così umiliata e torturata da Filippo Vagli,
ella ne provava un dolore inesprimibile, e invece di ribellarsi, a poco
a poco era tratta a soggiacere a quella forma di dominio non mai
provata. Se un giorno ella aveva amato Filippo tepidamente, lasciandosi
prendere per accidia e per noia, ora la rudezza insospettata
dell'amante, la prepotenza che si tramutava qualche volta in sarcasmo,
la soggiogavano; e temeva di perderlo, e si chiedeva ansiosa se quella
irascibilità, quella voglia di tormentare non fossero i sintomi della
stanchezza; e divenendo umile, moltiplicava le cure gentili per
l'innamorato, cercava di farsi piccola e buona.

Ma ella era ormai condannata a scontare ciò che Filippo soffriva per
Loredana; ogni episodio triste o increscioso dell'amicizia tra la
fanciulla e il conte Vagli si ripercuoteva nell'amore tra il conte Vagli
e Fausta; la quale non capiva, non sapeva darsi ragione, non sospettava
menomamente la causa di quella mutazione improvvisa, e cominciava a
credere che Filippo fosse malato davvero, seriamente, più di quanto egli
aveva detto.

--Quel suo fidanzato è molto antipatico!--disse un giorno Filippo a
Loredana.--Perchè mi guarda sempre di sottecchi, e scappa appena giungo
io? Non potrebbe trattare da persona educata?

Adolfo Gianella voleva togliere di mezzo Filippo: la presenza di
quest'ultimo, le sue cortesie e la sua assiduità presso una fanciulla
dalla quale non doveva sperar niente, gli sembravano strane e sospette.

--È il mio amico!--aveva risposto Loredana alle insistenze del
fidanzato.--È il solo amico che io abbia: mi vuol bene come un fratello.
Perchè devo fargli uno sgarbo e mandarlo via, dopo tre anni d'amicizia
onesta?

Adolfo non capiva. Un conte, un libertino, un pessimo soggetto, preso da
sentimento purissimo per una giovinetta di diciotto anni, bella e
povera? Non aveva mai udito raccontar nulla di simile. Ed essa, fredda e
testarda, continuava a ripetere ch'era l'amico, e che non lo avrebbe
mandato via, e che Adolfo non doveva pensar male.

Ogni giorno si tornava daccapo; il carattere passionale d'Adolfo
s'accendeva e s'inveleniva; il giovane avrebbe voluto che la signora De
Carolis intervenisse a favore di lui, ma la mamma giudicava con la testa
della figlia, e non ricordava nemmeno di averla rimproverata una volta
in diciotto anni. Anzi, vedendo che la figlia era triste, anche la
signora De Carolis cominciava a pensare, senza avere il coraggio di
dirlo, che Adolfo era brutale; e si pentiva d'avere accolta e favorita
la proposta della famiglia Gianella, che voleva unire i due giovani. Non
si poteva negarlo: la pace della casetta bianca era stata turbata da
Adolfo Gianella; Loredana, sempre allegra, aveva mutato carattere per
colpa di lui; egli, geloso, inquieto, pieno di sospetto, guardava tutti
in cagnesco, non voleva che si andasse a teatro, s'irritava per la
spensieratezza di Loredana, l'offendeva con incessanti osservazioni,
pretendeva ch'ella fosse già grave e prudente come una madre di
famiglia, e infine, anche nei momenti buoni, era querulo e noioso,
pedante e meschino.

Per quel contrasto incessante, la fanciulla era accasciata; e più d'una
volta Filippo la trovò con gli occhi rossi e gonfi.

--Non bisogna sposarlo, sa?--egli diceva recisamente.--È un matrimonio
impossibile. Che cosa farà quel ragazzo quando sarà suo marito e avrà i
diritti più stupidi e più antipatici? Vuole che parli io con la mamma?

La fanciulla non aveva il coraggio di togliersi da quella situazione
tormentosa: tutta la famiglia Gianella, madre, padre, zii, cugini di
Adolfo, le stavano attorno, magnificando le virtù del giovane, facendo
disegni per l'avvenire, dimostrandosi tanto sicuri, tanto lieti per quel
matrimonio singolarmente felice, che Loredana soffocava e taceva. Ma non
si sarebbe potuto trovare un uomo il quale fosse più di Adolfo incapace
di comprenderla, tanto che essa, buona con tutti, era sempre con lui
irritata, nervosa, dolente.

Da ultimo egli voleva anche legger le lettere ch'ella riceveva dalle
amiche, delle quali non si fidava punto; una mattina, mentr'egli s'era
recato a dare il buon giorno alla fidanzata, sopravvenne il
portalettere, e Adolfo s'impadronì della posta, aperse la lettera d'una
ragazza che scriveva a Loredana da un paese della provincia, domandò
notizie delle persone ch'eranvi ricordate, e finì col mettersi la
lettera in tasca.

Quando giunse Filippo verso sera, la fanciulla vibrava ancora tutta di
sdegno e d'ira; raccontò ogni cosa all'amico, anche quel che aveva
taciuto fino a quel giorno, le angherie, le taccagnerie, la diffidenza
oltraggiosa, la gelosia irragionevole, la presunzione di Adolfo.

--Non lo voglio, non lo voglio, non lo voglio!--esclamava con gli occhi
sfavillanti di rabbia.--Qualunque cosa piuttosto di questo matrimonio!
Mai, mai, mai!

Filippo aveva ascoltato in silenzio, guardando il pavimento a piastrelle
bianche e rosse e segnando col piede il ritmo d'una marcia.

A un tratto sollevò il capo, afferrò le mani dell'amica, e chiese:

--Vuole venire con me?

La fanciulla non capì subito.

--Dove?--ella domandò.

--Via, lontano, fuori di Venezia, per sempre!--incalzò Filippo.

--Fuggire? Fuggire con lei?--ella disse sottovoce, già tremando senza
saperne la ragione.

--Mi ascolti,--mormorò Filippo.

Andò fino al limitare della saletta, vide che la mamma leggeva
attentamente un libro mal rilegato, e continuò, tornando presso
Loredana:

--Quella che noi chiamiamo amicizia, non è che amore. Se n'è accorta?

Essa, ferma e fissa, con gli occhi spalancati, non rispose.

--Me ne sono accorto io,--proseguì Filippo.--So che ti amo, sento che ti
amo, sento che noi possiamo essere felici. Io non posso sposarti;
capiscimi bene, non posso sposarti perchè tutta la mia famiglia ci
darebbe tali e tanti dispiaceri, che, in confronto, ciò che hai sofferto
finora ti sembrerebbe una gioia. Sono ignoranti, caparbii e feroci....
Ma ti offro lo stesso il mio amore e la mia vita.... Anch'io sono
stanco; anch'io non posso più trascinare questa esistenza tormentosa e
inutile. Dimmi che accetti, e saremo felici.... Partiremo subito....

Loredana tolse le mani dalle mani di Filippo e si alzò in piedi: fece
alcuni passi come per uscir dalla camera, ma si fermò e si addossò al
muro; piangeva in silenzio e le lagrime le scendevan giù per le guance.

Filippo le si avvicinò di nuovo. Era pallido e la sua voce tremava.
Disse:

--Sei offesa?

Ella negò con un movimento del capo.

--Allora non mi ami d'amore, come ti amo io?

La risposta non venne. Loredana guardava l'amico attraverso il velo
delle lagrime. Egli fece un passo come per allontanarsi, ma la
fanciulla, rapidamente, istintivamente lo trattenne con un gesto.

--Sì, l'amo anch'io,--ella mormorò sottovoce.

Filippo l'afferrò per il busto e la baciò sulla bocca.

--Pensaci,--disse.--Pensa che saremo tanto felici.... La mamma
perdonerà. Ti vuol troppo bene per condannarti. Capirà che tu avevi il
diritto di vivere, di sottrarti a un avvenire spaventoso. Tu saprai
farti perdonare, non è vero? poichè conosci la strada per giungere al
cuore della mamma! Dimmi che accetti, e partiremo subito....

Essa, sempre addossata al muro, sempre immobile, con gli occhi pieni di
lagrime, non rispondeva. Ma una scampanellata fece sussultare lei e
Filippo.

La fanciulla s'asciugò prestamente gli occhi, e corse nella saletta.

--Dev'essere Adolfo,--ella disse alla mamma.--Io ho l'emicrania, non
voglio vederlo, mi chiudo nella mia camera!

La mamma sospirò e alzò lo sguardo al soffitto. Loredana tornò da
Filippo, gli strinse le mani, mentr'egli la baciava ancora sulla bocca.

--Pensaci!--ripetè Filippo.

Ella fece un gesto vago e scomparve, per chiudersi nella sua cameretta.

Adolfo Gianella saliva le scale, e Filippo udendone il passo, diceva con
la signora De Carolis:

--Mi dispiace molto che la signorina sia indisposta; spero non sarà
nulla....

--È malata?--chiese Adolfo sopraggiungendo e salutando Filippo con un
saluto freddo e un'occhiata di sbieco.--Dov'è stata iersera? Avrà preso
freddo, o avrà mangiato qualche cosa d'indigesto....

Filippo se ne andò subito, e senza volerlo si disse, ridendo dentro:

--Tu, dovrai mangiare fra poco qualche cosa d'indigesto!...

Ripensò, quella notte, all'idea della fuga, balenatagli così di repente;
e più vi pensava e più gli pareva buona. La signora De Carolis non
avrebbe osato nulla contro la figlia adorata; Adolfo avrebbe trovato una
consolazione nel pensiero che una fanciulla capace di scappar col conte
Vagli non era degna di lui.... Infine, la cosa si sarebbe saputa da
pochi, malamente, e si sarebbe sminuita, polverizzata per così dire, nel
classico pettegolezzo veneziano. Filippo trovava l'onestà della sua
disonestà; amava Loredana; sentiva che le sarebbe stato fedele, che
l'avrebbe fatta contenta, ch'ella non avrebbe sofferto, e poichè di
matrimonio era assurdo parlare a causa dell'opposizione formidabile che
avrebbe trovato in famiglia, la fuga, una fuga prudente, senza troppo
scandalo, senza chiasso, metteva termine a una situazione insopportabile
per lui e per la piccola amica.

Gli venne anche il pensiero di Fausta; ma la disgraziata donna s'era in
quel periodo di tempo totalmente perduta agli occhi di lui, pel suo
strano contegno d'umiltà, nel quale egli non capiva nulla. Egli pensava
con rammarico alla devozione della sua amante: Fausta non era fatta per
obbedire, per tacere, per soffrire; ogni donna ha il suo fascino e il
suo destino. L'asservimento aveva smorzato la bella fiamma di quegli
occhi cilestri e tolto al viso il colorito della fresca giovinezza.

--È veramente doloroso,--pensava Filippo,--ch'io non possa amarla!

A poco a poco, ribadita dal conte, l'idea della fuga conquistava anche
Loredana; nulla pareva più dolce che la vita con Filippo, e la fanciulla
non trovava termini di paragone se non nella paura di quel matrimonio.
Adolfo aveva svelato un nuovo difetto, insolito in un giovane:
l'avarizia. Egli spiegava certe sue miserabili economie con la necessità
di aver denaro pel giorno degli sponsali, d'aver molto denaro per far
bella figura; ma la fidanzata gli credeva poco, e notava, senza volerlo,
quasi arrossendo, che intanto lo spirito gretto di lui si rivelava nei
regalucci ch'egli le faceva e che sarebbero rimasti in casa a fare non
bella, ma triste figura. Egli anche--aveva scoperto Loredana, ormai
maestra di scoperte incresciose--egli mangiava troppo, ingordamente,
magnificando la bontà delle salse e dei sughi. La madre sua si beava
vedendolo così allegro, con un appetito quasi insaziabile; e Loredana,
per non odiare l'uno e l'altra, inventava un'emicrania ogni qualvolta la
signora Gianella l'invitava a pranzo.

Sui primi di maggio, quando la ragazza pensava di farsi qualche abitino
nuovo e di comperarsi qualche piccolo oggetto d'eleganza, Adolfo decretò
che gli abiti e i cappelli dell'anno precedente, ritoccati qua e là,
potevano servire ancora; e la petulanza del fidanzato le sembrò tanto
grave, che senza ribatter verbo, ella si ritirò nella sua camera e vi
restò fin che Adolfo non se ne fu andato.

Ma egli giudicava quei malumori con la presunzione di un esperto
conoscitore di donne, sorridendo e aspettando che la bufera si calmasse.

Era ben lungi dall'imaginare che proprio quel giorno, otto maggio,
qualche cosa di terribile e d'irreparabile doveva avvenire nella vita di
Loredana.

Sua madre l'aveva lasciata sola in casa, dopo la visita di Adolfo; la
donna di servizio era andata alla stazione a incontrare il fidanzato che
giungeva a Venezia per passarvi alcuni giorni di vacanza. Loredana non
doveva aprire ad alcuno e stava nella sua camera, sdraiata sul
lettuccio, leggendo un romanzo. Verso le quattro udì una scampanellata;
corse al balcone, vide Filippo, e la tentazione fu troppo forte: andò
subito a tirare il cordone e la porta si spalancò innanzi al conte, che
credeva di trovar la fanciulla con la mamma.

Quando seppe ch'era sola, egli la guardò in silenzio ed ella guardò lui;
le loro bocche si unirono e così, dopo tre anni, la piccola amica
diventò la piccola amante.

Quella medesima sera, la fanciulla andò a teatro con la madre e un'altra
signora. Aveva il suo abitino rosa lievemente scollato e un cappellino
di paglia rossa a tricorno, sotto il quale i capelli parevan più bruni e
i riflessi più dorati. Ella stava attentissima alla rappresentazione,
«L'amore ricama», una commedia francese in tre atti; teneva gli occhi
fissi alla scena, la bocca dalle labbra purpuree un poco schiusa.
Filippo la vide e fu colpito da quell'atteggiamento ingenuo, quasi
infantile, come se un'altra anima, la vera anima della giovinezza
indifesa, si fosse sovrapposta a quella ch'egli conosceva. Sentì il
rimorso per ciò che aveva osato poche ore innanzi, nella cecità della
passione e dell'egoismo.

Ma l'atto finiva e parecchi spettatori alzandosi e volgendosi guardavano
la fanciulla con ammirazione.

--Imbecilli!--mormorò Filippo, guardando a sua volta Loredana,
sorridente e bianca sul fondo scuro del palchetto.--È mia!

E la certezza di quell'amore tacito e misterioso, pericoloso e crudele,
potè meglio d'ogni altro pensiero. Filippo stette un istante a fissar
la folla in platea, la quale, ammirando la piccola amante non osava
sospettare ch'ella conoscesse già i baci, tutti i baci d'un uomo; e la
stupidità della moltitudine non gli sembrò mai più amena.

Due mesi eran passati da quel giorno indimenticabile, quando, sui primi
di luglio, Loredana si decise, e abbandonò la casetta bianca sul
campiello solitario per seguire Filippo Vagli.




V


La mattina dopo l'arrivo a Desenzano, Loredana corse al balcone
dell'albergo e vide sotto il sole fastoso scintillare il lago di
cobalto. Lontano, a levante, un piccolo paese si spingeva per una lingua
di terra molto innanzi nell'acqua.

--Andremo laggiù,--disse tra di sè, contenta di vedere paesaggi nuovi,
ella che non si era mai allontanata da Venezia se non per pochi
chilometri.

Il colore del lago, così azzurro da dare quasi all'acqua una densità
materiale, era mirabile. La fanciulla, abituata alle trasparenze leggere
della laguna, ne restò meravigliata e sentì come un piacere intenso per
quella vita liquida che si stendeva ampiamente sotto i suoi occhi.

Filippo bussò discretamente all'uscio ed entrò.

--Amore mio, come sei elegante!--disse.

Loredana vestiva tutta di bianco, con una cintura bianca e lo scarpe
bianche, e sorrideva all'amico, il quale era superbo della sua candida
bellezza.

--Ogni cosa fatta a pennello!--dichiarò Loredana, indicando l'abito; e
soggiunse, dopo una lieve esitazione:--Tu mi portavi con te, nella tua
mente, quando ordinavi i miei abiti!

Ma il pensiero non le si era presentato così; era stato piuttosto un
senso di molestia per quella strana perizia dell'amico suo, la quale
svelava una lunga e costante dimestichezza con le donne, una singolare
esperienza d'anime e di corpi femminili. Nulla a lei importava di ciò
che era finito ieri: ma domani?

Ella disse, attirando Filippo sul balcone:

--Vedi, laggiù? Quel paese che si spinge nel lago? Là, vuoi andare?

--No,--rispose Filippo.--Quello è Sirmione; noi andremo a Maderno o a
Gargnano o più oltre, nel Trentino, a Riva....

--Che peccato! Dev'essere molto bello, laggiù.

--Vuoi? Se ti piace, io non ho nulla in contrario. Farà molto caldo,
ecco tutto. Sirmione è grazioso. Manderemo a vedere se vi sono
alloggi....

Mandarono a vedere; partì un uomo dell'albergo con la vettura; tornò
dopo colazione. V'erano alloggi, modesti ma puliti, nell'unica trattoria
del paese; si poteva tentare....

La cosa piacque molto a Loredana. In quel tempo, Sirmione non vantava
ancora alcun grande albergo nè uno stabilimento di bagni. Vi arrivavano
di tanto in tanto gli escursionisti, quasi tutti tedeschi, a visitar le
grotte leggendarie di Catullo; mangiavano, ammiravano, ripartivano. Il
piroscafo v'approdava una volta al giorno, se il tempo non era cattivo.
Tutto questo, raccontato dal direttore dell'Albergo Reale, accese la
fantasia della ragazza, che già pensava di vivere più anni in quella
penisoletta con Filippo, lontani dal mondo e pur vicini, obliati e
felici....

Nel pomeriggio, sotto un sole rovente, per la strada piana e bianca di
polvere, gli amanti partirono in una carrozzella alla volta di Sirmione,
seguiti da un baroccio coi bauli che avevano spaventato il conte
Roberto. Quando giunsero al punto nel quale si lascia la strada
provinciale per volgere a sinistra e inoltrarsi nella penisoletta, la
fanciulla fu molto contenta. Dal balcone dell'albergo di Desenzano non
avrebbe mai imaginato un paesaggio così bello. A destra e a manca, tra i
rami degli ulivi e il fogliame degli alti pioppi, scintillavano le acque
del lago riccamente turchine, immote nella accidia delle ore calde. È a
un gomito di quella strada che s'incontra una casetta modesta, con uno
svelto cipresso innanzi, e sotto si stende il lago irto per buon tratto
di canne fragili; angolo pittoresco, riprodotto migliaia di volte da
sapienti e da timidi pennelli.

--Andremo un giorno a vedere quei paesi laggiù!--disse Loredana,
indicando i gruppi di case sulla sponda veronese.--Voglio veder tutto il
lago.

--Ti piace?--domandò Filippo.

--Ah, immensamente! Sarò felice!--esclamò la fanciulla in un impeto di
gioia, battendo le mani.

Tacque. La fronte le si rannuvolò subitamente; ripensava alla mamma, cui
non aveva ancor dato notizie, e che era sola ormai nella casa deserta.
Per celare a Filippo la tristezza improvvisa, si volse indietro a
guardare il baroccio che correva tra un nugolo di polvere.

Ma già si vedeva la torre del castello Scaligero, cinta a metà da mura
grigiastre, e la strada si ampliava; la carrozza oltrepassò il ponte di
legno che dalla porta del castello mette in paese, e la rocca apparve
lacerata da lunghe feritoie, circondata tutta intorno dall'acqua; lo
stemma degli Scaligeri, ancor visibile, il leone di San Marco, in
rilievo, la croce bianca in campo rosso del Comune, posti
simmetricamente sull'alto della porta che guarda a occaso, dicono i tre
dominii che si susseguirono.

Le donne e i pescatori raccolti in gruppo sulla piazza osservarono
l'equipaggio insolito e il carro coi bauli, ma nessuno si mosse. Non
avevano alcun bisogno dei forestieri. L'acqua li faceva liberi, e
quell'anno la pesca delle sardelle era stata insolitamente fortunata.

Si fece incontro alla vettura il proprietario dell'albergo, e aiutò
Loredana a discenderne. Era un uomo tozzo dal viso rubicondo; non
abituato a cerimonie, salutò con una certa dimestichezza e annunziò che
gli «sposi» si sarebbero trovati benissimo in casa sua. Aveva tutto
approntato, rinfrescato, ripulito con cura; le due camere e il salotto
guardavano il lago; di giorno faceva caldo, ma si tenevan le persiane
chiuse e si scendeva in giardino; di sera, poi, era una bellezza
ovunque. A pochi passi di là, comparve anche la moglie dell'albergatore,
più timorosa per l'aspetto signorile di Loredana, della quale notò in un
batter d'occhio l'abito, la figura slanciata, il viso freschissimo, la
bella bocca. Essa dichiarò che era felice di non alloggiare i soliti
tedeschi con la piuma di gallo sul cappellino verde.

Mentre i due vetturali scaricavano i bauli, gli amanti salirono a veder
le camere, e sulla scala s'imbatterono in una signora ampia di forme,
col viso pitturato e le sopracciglia duramente segnate a nerofumo. Ella
salutò chinando la testa, e si fece da un lato.

--È la signora Teobaldi, di Verona,--disse l'albergatrice, che
seguiva.--Una buona e bella signora.

Filippo la guardò appena, rispondendo distratto al suo saluto, Loredana
sorrise per quelle spaurevoli sopracciglia; e per la maschera di biacca
e di belletto che le deturpava la faccia.

Le due camere da letto erano grandi e pulite, ciascuna con un armadio a
specchio, un cassettone di legno chiaro, una tavola rettangolare coperta
da un tappeto modesto ma nuovo. Il salotto era addobbato con carta a
fiori d'oro sul fondo rosso; i mobili mal disposti, in ordine
scrupolosamente simmetrico, facevan pensare a lunghi mesi d'abbandono,
quantunque non vi fosse un grano di polvere. Il pianoforte, del quale
Filippo toccò alcuni tasti, emise un miagolìo prolungato che fece ridere
Loredana.

--Bisognerà comprare molti oggetti inutili per nascondere la bruttezza
degli oggetti utili,--osservò Filippo, senza badare alla faccia scorata
dell'albergatrice.--Va bene,--seguitò con quest'ultima.--Faccia portare
subito i bauli....

--Sì, signor conte,--disse la donna.

--A proposito: sa il mio nome?

--Me lo ha detto l'uomo che è venuto stamane a vedere le
camere,--rispose l'albergatrice.--Il signor conte Filippo Vagli e la
signora contessa, di Venezia. Anzi, volevo chiedere alla signora
contessa se suona il piano....

--Perchè?--domandò la giovane.

--Perchè in tal caso lo farei accomodare: è un po' scordato.

--Lo faccia accomodare,--disse Filippo.

E quando la donna se ne fu andata, seguitò con l'amica sua, che si
toglieva il cappello:

--Non vorrei esser caduto in un covo di pettegole....

--Dove sarebbero?--domandò la fanciulla stupita.

--Quella signora di Verona, per esempio: Teobaldi o Tibaldi o
Ribaldi....

--L'albergatrice ha detto che è buona....

--Sì,--osservò Filippo,--ma ha detto pure che è bella! E allora, stiamo
freschi!

Loredana diede in una risata, pensando alle terribili sopracciglia
immobili. Ella s'era affacciata alla finestra e sembrava compenetrarsi
della luce folgorante che saliva dal lago, dardeggiava la linea
onduleggiata delle montagne, incendiava le case di Desenzano, faceva
frinir le cicale sugli alberi.

Ad un tratto si volse e disse:

--Oggi scrivo alla mamma.

--Appunto,--rispose Filippo.--Anch'io....

E stava per continuare, quando fu bussato alla porta ed entrarono gli
uomini con un baule.

--Che cosa dicevi?--domandò Loredana, allorchè gli uomini uscirono per
prender gli altri bagagli.

--Volevo dirti che ho intenzione di andare a Venezia, fra qualche
giorno. Bisogna ch'io sappia ciò che si dice,--dichiarò Filippo, sedendo
in una poltroncina.--La mia assenza non può essere stata notata: a
Venezia son rimaste poche famiglie che io conosco, e in quest'epoca,
tutti gli anni io vado in campagna. Ma voglio udire se si fanno
chiacchiere e voglio, se mi riuscirà, aver notizie di tua madre.

--Come farai?...

Di nuovo gli uomini entrarono con un baule, che Filippo ordinò di
deporre nella sua camera.

--Non dev'esser difficile,--egli continuò poscia,--mandare qualcuno da
lei con un pretesto. Anzi, servendomi d'una persona fidata, potrei farle
consegnare la tua lettera.

La fanciulla tacque un istante. Quel disegno di Filippo le pareva logico
e pure la turbava; appena arrivata in un paese nuovo, tra gente
sconosciuta, doveva rimaner sola, di giorno e di notte. E all'idea che
Filippo volesse abbandonarla, un tale spavento la prese, che si sentì
sbiancare il volto, come tutto il sangue le si fosse gelato nelle vene.

Ritornò alla finestra, per nascondere il suo turbamento; ma non vedeva
nè il lago, nè il sole, nè la città dirimpetto, che un minuto prima le
era parsa sfavillante....

--Che pazza!--disse a sè medesima.--Come potrebbe abbandonarmi, se mi
ama, se lo amo, se gli ho dato tutta me stessa? Non lo conosco da tre
anni, non sono stata per tre anni la piccola amica, e non sono oggi la
piccola amante?

Udì che gli uomini, recato l'ultimo baule, salutavano e uscivano
ringraziando. Si tolse dalla finestra, e disse a Filippo, con voce un
po' debole:

--Sì, è giusto. Devi andare.


Quella stessa mattina, il conte Roberto, arrivato a Fasano in carrozza,
spedì subito un telegramma a sua cognata. Il telegramma, alla forma del
quale aveva pensato durante tutto il viaggio, diceva: «Non ho visto
nessuno. Lascia fare».

E la contessa Bianca ricevendolo si chiese se quel «Lascia fare»
significasse «Fida in me» o non piuttosto: «Lascia che ciascuno viva a
modo suo».

Ma le parve che la seconda interpretazione fosse la buona.




VI.


A Venezia, la scomparsa di Loredana De Carolis non aveva sollevato
rumore. La fanciulla e sua madre Emma vivevano una vita modesta, fra
poche conoscenze e pochi parenti, senza attinenze con la grande società.
I vicini di casa, che dopo qualche giorno non videro Loredana al balcone
come di solito, credettero fosse partita per la campagna. La madre,
atterrita dalle conseguenze dei pettegolezzi, dovette farsi sua
complice, e a quelle amiche le quali chiedevano di lei, rispondeva
ch'era andata a San Donà, ove ella stessa l'avrebbe fra poco raggiunta.

In fondo, la povera donna non sapeva che fare: solo innanzi
all'avvenimento inaspettato aveva compreso ch'ella era stata colpevole,
che l'amicizia di Filippo alla quale aveva creduto così stupidamente non
poteva non mutar forma, e ch'ella avrebbe dovuto, per la salvezza di sua
figlia, mettere alla porta Filippo con una mano e Adolfo con l'altra.

Per acquetare Adolfo, la signora Emma inventò dapprima delle bugie:
Loredana era uscita, poi stava poco bene, poi era a letto con un male a
un piede. Ma la faccia pallida della signora, e qualche cosa strana in
tutta la casa e il contegno misterioso della donna di servizio, che
voleva bene alla signorina, odiava Adolfo il quale non le aveva mai dato
un soldo, amava il conte Vagli ch'era stato sempre con lei generoso, e
infine approvava pienamente la fuga e la trovava proprio
stupenda,--qualche cosa strana, inusata, avvertì Adolfo Gianella che lo
si voleva ingannare.

E quando la signora De Carolis dovette finalmente dire che Loredana non
era a Venezia, ma, rifugiatasi presso alcuni parenti, dichiarava di non
voler più a nessun patto sposare Adolfo, quest'ultimo s'accasciò d'un
colpo; la superbia, l'albagìa, la cieca sicurezza in se stesso, la
esperienza del cuore femminile ond'egli andava tanto orgoglioso, tutto
precipitò in un attimo. Pianse e poi diventò violento. Voleva vedere la
fanciulla, persuaderla, prometterle di cambiar carattere.

Per più giorni la signora De Carolis ebbe la casa assediata dai parenti
di Adolfo; chi la rimproverava, chi la chiamava pazza, chi gridava al
tradimento, e tutti chiedevano l'indirizzo della fanciulla per farle
mutar pensiero. La signora Emma dovette tener testa a quei furiosi e
seguitare a ripetere che rispettava la volontà di sua figlia e non
voleva influire sulla sua decisione. Adolfo minacciò di girare l'intera
provincia alla ricerca della scomparsa; poi minacciò di uccidersi; ma
non fece nè una cosa nè l'altra, e la signora De Carolis notò ch'egli
non era men roseo o meno grasso del consueto.

--Vedremo,--egli diceva,--vedremo chi sarà il fortunato che sposerà sua
figlia! Son proprio curioso di conoscerlo!

Egli era certissimo che un miglior marito di lui Loredana non avrebbe
mai potuto trovare; e cercava intanto nell'amor proprio offeso un
principio di consolazione.

--Non era degna di te!--dichiarava la signora Gianella ad Adolfo.--Forse
è una fortuna che questo matrimonio vada in fumo!

--Non era degna!--pensò finalmente anche Adolfo, rinunziando al
suicidio.--Dopo tutto, era senza un soldo e non aveva che superbia!

I parenti di lui lasciarono in pace la signora De Carolis, che per
quelle emozioni s'era fatta palliduccia e magra in una settimana; ma non
trascurarono le occasioni di parlar male di lei e di sua figlia, la
quale aveva respinto un così bel «partito». I più allegri furono i
colleghi di Adolfo, che non potevano soffrirlo; essi risero quando
seppero che la sua fidanzata lo aveva messo alla porta; uno rammentò
l'aria d'importanza ch'egli si dava quando spiegava loro la psicologia
del cuore femminile; un altro ne imitò i gesti quando, nei giorni di
molto lavoro, mangiava in ufficio e la sua testa spariva dietro il fumo
di una «minestrina» che sarebbe bastata per quattro; un terzo ricordò
ch'egli andava superbo della intelligenza della sua fidanzata.

--Perdio!--esclamò quest'ultimo.--Bisogna dire ch'egli avesse ragione,
perchè il calcio che la ragazza gli ha dato, prova ch'era intelligente
davvero!

Gli altri risero, e la fanciulla ignota diventò simpatica a tutti gli
impiegati della Banca.




VII.


Loredana e Filippo vissero a Sirmione alcuni giorni di felicità senza
pari; lungi dagli sguardi indiscreti, non conosciuti, sicuri l'un
dell'altra, s'imaginavano d'essere in qualche isola perduta nell'Oceano.
Tutto era bello.

Le grotte di Catullo, i ruderi maestosi e robusti, che l'erba circonda,
che il vento accarezza, che il sole riscalda, parvero loro una cosa
divina. Di là essi ammiravano la grandiosità del lago, ora illuminato
con cruda forza, ora soffuso di nebbia, leggera come un pulviscolo; e
seduti, verso il tramonto, ai piedi del promontorio, dove le rocce
levigate sorgono dall'acqua limpidissima, i due amanti stavano spesso in
silenzio a guardare, raccolti e commossi, ciascuno sentendo d'essere
troppo felice e temendo che l'incanto si smagasse presto.

Qualche volta uscivano con la barca, una barca tozza a guisa di canotto,
che danzava bene sulle onde; remava Filippo e l'amica sua stava a poppa,
dapprincipio un po' timorosa e poi contenta come una bambina. Ella era
ormai tranquilla; aveva ricevuto due lettere dalla mamma, respinte da
Napoli a Roma, da Roma a Firenze, da Firenze a Brescia e a Sirmione per
mezzo di amici fidati di Filippo; e in quelle lettere non
un'imprecazione, non un rimprovero; solo una ineffabile tristezza, che
la fanciulla sapeva di poter calmare con buone parole. La mamma dava le
notizie della famiglia Gianella e di Adolfo, che seguitava a mangiare e
a parlar di suicidio. La mamma non malediceva, non rimproverava, non
faceva minacce; era sola, e tra le righe delle lunghe lettere si poteva
leggere l'espressione dell'unico desiderio di lei, che la figlia
tornasse, che la solitudine finisse.

Al principio della terza settimana, Filippo si decise finalmente a
recarsi per poco a Venezia; Loredana volle accompagnarlo fino a
Peschiera, in carrozza, e là, quando lo vide salire in treno e salutare
mentre il treno si rimetteva in moto, la giovane ebbe una fitta in
cuore. Tornò a Sirmione in carrozza, con gli sguardi perduti, colla
mente presa dai pensieri più strambi, imaginando che Filippo non dovesse
più rivederla, che sua madre lo facesse arrestare, che qualcuno potesse
ucciderlo. Le era parso molto preoccupato al momento di abbracciarla,
come egli pure temesse qualche cosa nuova e imprevedibile.

Ella non vide la strada; sentì che la carrozza si fermava, si guardò
intorno, riconobbe il piccolo albergo, discese.

Al momento di pagare, non trovò moneta. Filippo le aveva lasciato cento
lire in un biglietto; ma mentre ella si volgeva per incaricare la
padrona di pagare il vetturale, la signora Clarice Teobaldi, dalle
sopracciglia al nerofumo, comparve improvvisamente e si offerse.

--Lasci, lasci, signora contessa,--ella pregò con la voce forte e
melata.--Mi permetta che le presti io....

Trasse dal borsellino alcune monete d'argento, le diede al vetturale,
gli disse che bastavano per una corsa a Peschiera, che la signora
contessa non era un'inglese da svaligiare, ebbe un breve alterco, e finì
per vincerla.

--Con questa gente bisogna andar cauti,--osservò poi, mentre si metteva
a fianco di Loredana ed entrava con lei nell'albergo.--Sono abituati coi
forestieri; ma noi siamo italiani....

Lanciò alla fanciulla un'occhiata ammirativa, e aggiunse:

--E che bel sangue italiano!... Il signor conte è partito?

--Sì,--disse Loredana, fermandosi ai piedi della scala, mentre il volto
esprimeva ingenuamente una noia senza pari.

--Tornerà presto, si capisce,--seguitò la signora Clarice per conto
proprio.--Non vuol mica lasciare a lungo un fiore così bello,
abbandonato in questo selvaggio paese.

--Oh il paese è magnifico!--rimbeccò la ragazza, offesa che si
criticasse ciò che piaceva a Filippo.

--Sì, ma in due lo si ammira meglio!--disse argutamente la signora
Clarice.

--Mi perdoni,--interruppe Loredana, salendo le scale.--Le manderò subito
ciò che mi ha prestato. La ringrazio....

--Di che? Lei deve disporre di me, signora contessa, come d'una vecchia
amica, come d'una mamma....

Dall'alto delle scale, Loredana lanciò alla donna un'occhiata furibonda.
Voleva farle da mamma, quella vecchia stopposa? Non l'aveva lei, la
madre sua, tanto buona?

Quando fu in camera si gettò sul letto a piangere.

Quella settimana doveva essere un inferno, a giudicar dalle prime ore.
Senza Filippo, senza la mamma, col titolo di «signora contessa» che le
facevan tuonare all'orecchio ogni istante e che aveva per lei un
significato d'ironia, Loredana si sentiva perduta.

Fissò la tappezzeria della camerina da letto, una tappezzeria cilestre a
fiori mavì, che parevan piccoli cavoli o piccole teste rincorrentisi in
lunghe file verticali e orizzontali; si mise a contar quei segni, a
guardar gli spazii cilestri tra fiore e fiore; e restò così, con gli
occhi rossi e velati, fin che l'albergatrice non le recò la colazione,
disponendola sulla tavola del salotto.

La fanciulla voleva restare sola tutto quel giorno, tutto il tempo che
Filippo fosse rimasto assente; ma aveva appena bevuto l'ultimo sorso di
caffè, che udì battere all'uscio.

--Avanti!--disse.

E invece dell'albergatrice, essa vide comparire la Teobaldi, sorridente
e incerta.

--Mi perdoni, signora contessa,--cominciò questa, ferma sul
limitare.--Ho pensato che lei era sola e che forse avrebbe gradito di
scambiar qualche parola con una persona più intelligente che quella
povera donna.... Io sono vecchia, ho visto molte cose a questo mondo,
ho sofferto, e valgo di più, modestia a parte, dell'albergatrice.... Mi
permette?

--Prego....--mormorò Loredana, stupefatta d'un'audacia della quale non
aveva ancora idea.

La Teobaldi s'avanzò guardandosi intorno.

--Ah, molto ben messo, molto carino!--disse.--Come si sente la mano
della donna, d'una signora! Ma s'io fossi una signora come lei,
indiscrezione a parte, non verrei in un paese bizzarro come questo. Ci
sono tanti bei siti, in Cadore, nella Svizzera, nella Scozia, nel
Caucaso....

Ella sedette presso la tavola, di fronte a Loredana, la quale non sapeva
che cosa dire e che cosa fare.

--Oh ecco il pianoforte!--esclamò la Teobaldi.--Lei suona il pianoforte?

--No,--rispose la fanciulla.

--Peccato! Io suono e canto. Ah sono stata una cantante, modestia a
parte, coi fiocchi; e compongo anche; ho delle romanze scritte da me.
Tamagno ne ha cantata una l'anno scorso.

Loredana s'accorse che la Teobaldi le cercava con gli occhi la mano
sinistra, che la fanciulla teneva sul grembo, mentre aveva l'altra
distesa sulla tavola. E capì; l'intrusa voleva vedere se portava
l'anello nuziale.

La giovane se ne sentì così turbata, che la fronte le s'imperlò di
sudore. Non aveva pensato a quel particolare; veramente non aveva
pensato di dover trovarsi mai a conversare con una persona che non fosse
Filippo; e ora, se la Teobaldi avesse scoperto ch'ella non aveva
l'anello nuziale, avrebbe capito tutto.

--Ah, lei canta!--disse.

Si decise. Levò la sinistra dal grembo e si mise a giocherellare col
laccio argenteo del tovagliolo; gli occhi della Teobaldi le si fissarono
sulla mano e il suo volto carico di biacca non disse nulla.

--Canto per diletto, da povera vecchia,--seguitò malinconicamente.

S'alzò, traversò il salottino e andò a sedere innanzi al pianoforte,
sullo sgabello di reps rosso; le mani corsero agilmente sulla tastiera,
mentre la testa accompagnava il ritmo con voluttuoso abbandono.

--«Mon rêve»,--annunziò d'un tratto.--Il mio sogno!

Era una romanza, per soprano. La Teobaldi lanciò alcuni trilli
preliminari, così acuti che parvero lacerar l'aria, poi iniziò una nenia
lagrimosa con un ritornello singhiozzante; la cantatrice tremolava da
capo a piedi, e le si agitavano i riccioli grigi sulla fronte; essa
aveva gli occhi levati in alto, quasi a cercare il suo sogno tra gli
arabeschi stampati del soffitto.

A Loredana parve che stonasse due o tre volte; del resto la fanciulla
non sapeva se ridere o piangere, se gridar di rabbia per quella visita
sfacciata o cercar di svagarsi al grottesco spettacolo. Pensava a
Filippo, che le note tristi del piano e la cantilena funebre le facevan
desiderare ancor meglio, con un impeto disperato e selvaggio. Dov'era?
Che faceva? Egli pure la desiderava così, la cercava con la mente e col
cuore? E aveva visto la mamma sua?

Un grido straziante interruppe il suo pensiero; la vecchia aveva finito
e restava con la bocca spalancata, con gli occhi fissi al soffitto e i
riccioli definitivamente sciolti sulla fronte, come fulminata dalla
passione traboccante. Ma non udendo parola di elogio, si girò sullo
sgabello, guardò la ragazza, e disse:

--Eh?...

--Canta molto bene,--rispose Loredana.

--No; non voglio complimenti. Ma che bella romanza, eh?

--Bellissima.

--C'è tutta un'anima qua dentro! Già, io mi commuovo troppo!

Loredana vide infatti che la vecchia aveva gli occhi lucidi per le
lagrime, e si dolse di non poter piangere a sua volta per quel «Mon
rêve» ch'era così diverso da quello che la fanciulla aveva in cuore.

La Teobaldi fece un mezzo giro sullo sgabello, si ritrovò innanzi al
piano e cominciò un _galopp_.

--«Folletto!»--disse, enunziandone il titolo.--Le piace ballare?

La risposta di Loredana si perdette tra una tempesta di note senza tempo
e senza misura, che la vecchia accumulava con frenesia, come se il
ballabile le avesse fatto perdere ogni nozione musicale.

Ma quel fracasso e la vista della donna che nell'ebbrezza di una danza
imaginaria dimenticava anche la presenza di lei, crebbero la tristezza
di Loredana; ella si alzò, fece cadere a bella posta il coltellino
delle frutta, smosse le sedie e riuscì ad interrompere la musica del
«Folletto», che già le pareva interminabile.

--Ho un po' di emicrania e desidero riposare,--disse alla Teobaldi, che
s'era rigirata sullo sgabello.--Spero che scuserà....

--L'emicrania! Ha l'emicrania e non me lo dice!--esclamò l'altra,
drizzandosi in piedi.--Vada, vada a riposare; io le porterò una boccetta
di sali, un rimedio infallibile.... Esco e torno subito....

--No!--disse Loredana bruscamente, atterrita dal nuovo supplizio che la
vecchia le minacciava.--Ho bisogno di stare sola. La ringrazio!

La Teobaldi guardò la fanciulla e capì che avrebbe insistito vanamente;
la voce l'aveva scossa, aveva sentito un fremito di sdegno e di
antipatia in quella che pareva la più docile e la più timida delle
ragazze.

--Va bene, va bene,--mormorò.--Buon riposo, dunque; sarà cosa da nulla.
Arrivederla, signora....

I suoi occhi cercarono istintivamente di nuovo la mano sinistra di
Loredana; e la vecchia non aggiunse «contessa».

Ma il supplizio della sua presenza, evitato pel momento, si rinnovò più
tardi, si rinnovò nei giorni successivi. La Teobaldi, non avendo
assolutamente nulla da fare, s'appiccicava alla giovane, l'accompagnava
alle Grotte, la seguiva sulla strada di Sirmione, veniva a coglierla
quando stava sola in giardino, si presentava in salotto chiedendo di
rievocare al piano qualche ballabile antico o qualche canzone della sua
giovinezza.

E parlava, parlava, parlava, in dialetto veronese, infaticabilmente;
parlava di sè, degli amici suoi, di Loredana, del conte, dei pescatori,
di gente del paese che la ragazza non conosceva affatto, dell'orario dei
piroscafi, dei trionfi del defunto Teobaldi tenore, dei vini e dei cibi
dell'albergo, dei dissapori tra l'oste e l'ostessa, della moda e della
cucina, della vita di Venezia, dell'amore antico e dell'amore moderno; e
di tutto a rifascio, senza nesso, passando dall'uno all'altro argomento
e non mutando mai voce....

Una volta domandò:

--Lei, quando si è sposata?

Loredana fremette e sentì che impallidiva; ebbe la tentazione di
rispondere seccamente, brutalmente: «Non sono sposata; non voglio
commedie!» Ma gliene mancò l'ardire, e balbettò, guardando in un angolo:

--Il mese scorso....

--A Venezia non è vero?--incalzò la Teobaldi.

Loredana non rispose.

Le due donne erano in giardino; la fanciulla sedeva sul parapetto,
fissando l'acqua verdastra del lago e i piccoli e i grossi pesci che
passavano aspettando qualche manciata di briciole; la vecchia, adagiata
in una poltroncina di vimini, lavorava all'uncinetto.

--Già,--disse, tanto per concludere qualche suo pensiero. Poi
aggiunse:--Io mi sono sposata a sedici anni, nel.... nel....

Ma non trovò subito una data decente, s'imbrogliò e corresse:

--Bei tempi! Si figuri ch'io era bionda come il grano, avevo un busto
così, un piedino così....

Loredana, senza badarle, raccolse un pugno di ghiaia e lo gettò nel
lago, scompigliando il corteo dei pesci.




VIII.


Arrivato a Venezia, Filippo si recò a palazzo Vagli.

Erano le cinque; sua madre riceveva.

Egli, indugiatosi un istante nella grande sala, nella quale non era
alcuno, udì le voci che provenivano dal salotto attiguo. Parlavano, a
volta a volta, sua sorella contessa Ada de Idris, la contessa Osvaldi,
la contessina Fioresi, e dall'acciottolìo di chicchere e di piattini si
comprendeva che le gentildonne stavano bevendo il tè.

Filippo era per ritirarsi e salire nel suo appartamento, allorchè la
contessina Fioresi, tutta vestita d'azzurro, uscì correndo dal salotto,
vide Filippo che s'era messo innanzi a uno specchio il quale occupava
intera una parete, e si mise a ridere.

--Colto in flagrante!--esclamò.--Si fa bello, qui, solo? Ma la contessa
Bianca ci annunciava poco fa che lei era in campagna....

--Dalla campagna non si può tornare?--disse Filippo, sorridendo e
stringendo la mano alla fanciulla dai capelli fulvi.

--Chi c'è? Chi c'è, Giselda?--chiesero più voci dal salotto.

--C'è Flopi che si arriccia i baffi!--rispose Giselda Fioresi; e ridendo
uscì per andare a prendere una cartella di musica.

--Davvero, Flopi?--esclamò la contessa Bianca, apparsa subito sul
limitare.

Ella era alta e magra, vestita di scuro; dal volto pallido spirava
un'aria di maestà e di dolcezza insieme; gli occhi castani avevano
sguardi placidi e dritti; la bocca ben disegnata, col labbro inferiore
un po' sporgente, sorrideva volontieri. Tutti i capelli della contessa
Bianca erano candidi come neve e un poco ondulati.

Filippo si chinò a baciarle la mano; ella lo baciò in fronte e gli
disse, presto, sottovoce:

--Che hai fatto? Che hai fatto?

Ma anche le altre signore apparvero sulla soglia, e Filippo si avanzò
per salutarle.

--Dove sei stato fino a oggi?--domandò la contessa Ada de Idris, ch'era
bionda e aveva una carnagione rosea delicatissima.

--In giro, sono stato,--rispose Filippo.--Avevo qualche cosa da sbrigare
a Milano e a Torino.

La contessa Osvaldi, piccoletta, irrequieta, bruna, diede in una risata;
ma Filippo non se ne curò, perchè quella rideva sempre.

Tornarono nel salotto, tappezzato di stoffa antica, giallina ad
arabeschi tenuemente rosei, che un raggio di sole, penetrando dal
balcone prospiciente il Canalazzo, sembrava cospargere d'una
imponderabile polvere d'oro.

Ada de Idris, ripreso un discorso interrotto dall'arrivo di Filippo,
parlò della campagna. Il conte de Idris era in campagna, e Ada doveva
raggiungerlo; poi sarebbero andati a Lucerna, dove l'anno prima s'erano
molto affaticati e punto divertiti.

--O perchè vi ritorni?--domandò Filippo, prendendo una tazza di tè dalle
mani di sua madre.

--Sai che Leopoldo non vuol campagne romantiche; odia le
_chaumières_....

--E anche _ton coeur_?--chiese sbadatamente la contessa Osvaldi.

Ma le chiacchiere furono interrotte di nuovo.

Entrò il conte Lombardi, alto e calvo, che, vedendo Filippo, fece un
gesto di piacevole maraviglia, andò a baciar la mano alle signore, e
disse:

--Tornato?... Io ti faceva così lontano!

--E perchè?--rispose Filippo.--L'ultima volta che ci siamo visti....

--Ma sì, alla stazione,--seguitò il conte Lombardi.--Mi sembravi
nervoso, allegro, inquieto....

Filippo, che stava in piedi presso un alto stipo di mogano a fregi d'oro
sbiadito, sentì gli sguardi di sua madre.

--Anzi,--continuò il Lombardi,--ti avevo invitato a pranzo, tu avevi
accettato, noi ti abbiamo atteso.... e ti rivedo ora, da quel giorno!

--Questa è grossa, Flopi!--disse Ada.

--Hai ragione; non so come scusarmi,--convenne Filippo, sorridendo, ma
noiato per quel ricordo.

--Ti dirò io come puoi essere scusato,--rispose il conte
Lombardi.--Vieni a pranzo da noi, domani. È detta?

--È detta!--ripetè Filippo, pensando che aveva sperato di ripartire
subito, ma che a quel secondo invito bisognava arrendersi.

--Ecco, benissimo,--osservò Ada de Idris.--Domani vai a pranzo da
Lombardi, e domani l'altro mi accompagni a Vittorio, da Leopoldo, e ti
fermi da noi.

--No, cara,--disse Filippo recisamente.--Ho da fare qui.

--Ha da fare a Venezia, in luglio!--esclamò la contessa Osvaldi,
ridendo.--Voi avete da fare a Milano, a Torino, a Venezia! Mi sembrate
un ministro....

--Anzi, la negazione d'un ministro,--corresse il conte Lombardi.--Un
ministro non ha mai da far nulla, in nessun paese del mondo!

Filippo non seguì oltre la conversazione; s'avvicinò a uno dei
poggiuoli, gettò un'occhiata distratta in Canalazzo, dove non passava
che una gondola lenta.

Quei discorsi, quegli accenni a persone e ad abitudini familiari, quelle
amiche, tutto lo noiava. All'infuori di sua madre, nessuno pareva
conoscere l'ultima scappata di lui; ma le poche parole scambiate in quei
brevi istanti, gli facevan comprendere che si sarebbe saputo tutto da
tutti, poco più tardi.

La sua vita, la vita a Venezia, tra quella società aristocratica tanto
esigua di numero, era troppo nota, confidenziale, metodica. Si svolgeva
sempre tra le medesime persone, che ripetevano, senz'accorgersi forse,
le medesime occupazioni, ogni anno, ogni giorno. Le donne erano strette
in gruppi; gli uomini erano stretti in gruppi; nulla poteva sfuggire in
quel circolo nel quale egli pure era chiuso da anni.

Giselda Fioresi gli passò daccanto col suo fascicolo di musica.

--Dunque,--ella disse.--È stato in campagna? Ora si ferma?

--Le pare?--rispose Filippo.--Fermarmi a Venezia? Credo che la mamma
parta a giorni; e io rimarrei qui solo?

--Allora accompagna la mamma, come sempre?...

Come sempre! Egli guardò la fanciulla, che gli stava innanzi, col suo
fascicolo sotto l'ascella, il busto eretto, i capelli fulvi arruffati
sulla fronte. Era graziosa; gli occhi avevano qualche lampo di malizia,
e la bocca, schiudendosi, mostrava bei denti.

Filippo si mise a ridere.

--Come sempre?--ripetè.--Io vorrei invece quest'anno far qualche cosa di
diverso.

--Ah, bene!--esclamò Giselda.--Allora al Polo Nord, in cerca
d'avventure.

--Già, in cerca d'avventure!--mormorò Filippo.

--Mi dispiace. Speravo vederla in campagna!

Filippo s'inchinò leggermente.

--Lei è molto gentile. Ma, le avventure? Le avventure a San Donà?

La fanciulla scosse la testa, lo guardò un attimo, rise con gli occhi:

--Eh, siamo d'accordo!--disse.--Se ha intenzione di fare il matto, San
Donà non le conviene. Mi dispiace, ripeto!

Veramente non sapeva nemmen lei, Giselda, perchè la partenza di Filippo
le spiacesse, e non sapeva perchè andasse ripetendoglielo; ma la vita di
quell'uomo aveva il curioso potere di irritarla, a quando a quando.
Avrebbe voluto mettersi a cavalcioni d'una sedia, accendere una
sigaretta e udirlo raccontare ciò che faceva e ciò che pensava.
L'ignoranza alla quale era costretta, la pungeva continuamente.

--Bene,--concluse.--Buone avventure, dunque!

--Ma no; non vorrei che desse alle mie parole un significato che non
hanno. Intendo fare un piccolo viaggio, ecco tutto!--spiegò Filippo.

--E a me lo racconta?--esclamò Giselda, allontanandosi.

--Che originale!--pensò Filippo con un sorriso, mentre la seguiva con
gli occhi.

Ella andò a parlare con la contessa Bianca.

--La ringrazio,--disse, mostrando il fascicolo di musica.--Fra un paio
di giorni glielo rendo!

--Ma non importa, bambina!--esclamò la contessa Bianca ridendo.--Fra un
paio di giorni io sarò già forse in campagna.

--Sola; perchè Filippo va a fare un viaggio. Al Polo Nord, mi ha
detto....

La contessa lanciò un'occhiata interrogativa a suo figlio, che finse di
non vedere e di non comprendere.

Ma quando le dame e il conte Lombardi si congedarono, verso le sette,
Filippo si avvicinò a sua madre, le baciò di nuovo la mano sorridendo, e
disse:

--Ebbene, mamma, so che tu sei inquieta....

--Sono sdegnata, Flopi,--rispose la contessa Bianca, severamente, pur
non potendo abbandonare il diminutivo col quale sempre aveva chiamato il
figliuolo.--Sono sdegnata per quello che so e per quello che si dice....

--Quanto a quello che si dice,--osservò Filippo,--non è il caso di
curarsene; a Venezia si dice sempre qualche cosa di qualcuno, per ozio e
per abitudine. Quanto a quello che sai....

--È questo!--interruppe la contessa, con gli occhi vivi di luce,
fissando il figlio.--Tu hai fatto fuggire di casa una onesta ragazza e
te la sei portata via; con quale coscienza, con quale diritto? Che ne
farai, quando il vergognoso capriccio sarà sazio e non potrai più
mentire? Mi spaventa l'idea che tu sia di quelli i quali, per un istante
di concupiscenza, osano spezzar la vita d'una donna e abbandonarla a un
destino orrendo; e mi sembra anche ridicolo che tu, a trentasei anni,
non sappia calcolar l'importanza delle tue azioni e non veda dove tu
vai....

Filippo, ch'era seduto in una poltroncina assai bassa, quasi alle
ginocchia di sua madre, la guardò più inquieto per la verità semplice e
logica delle sue parole, che non per lo sdegno onde s'era imporporato il
bel viso pallido di lei.

--Bisogna conoscere gli ambienti,--egli osservò.

--Gli ambienti?--ripetè la contessa.--C'è dunque un ambiente nel quale
tu abbia il diritto di non essere onesto? Se questo ambiente esiste, un
gentiluomo non deve mettervi piede.

--E dàlli!--esclamò Filippo, allungando la mano fino a togliere da un
tavolino un astuccio, e accendendo una sigaretta.--Tu sei rigida come la
matematica! Non ti dico che io abbia il diritto di essere disonesto; ti
dico che ogni colpa ha le sue attenuanti.

La contessa si alzò, passeggiò lentamente pel salotto, a capo chino,
meditando; e dopo un istante di silenzio, disse:

--Forse noi non ci comprendiamo. Tu credi che io voglia ascoltare le
attenuanti della tua colpa per giudicarti. No, di questo non mi occupo,
perchè le tue attenuanti non mi commoverebbero, e la colpa è, in ogni
caso, alla tua età, nella tua posizione, imperdonabile ed enorme.

Fece una pausa; sedette di nuovo, sopra un divano, all'altro angolo del
salotto. La luce morente che entrava dai poggiuoli aperti illuminò i bei
capelli candidi della signora e il viso un po' roseo per l'interna
agitazione; c'era in quella donna forte ancor qualche cosa di giovane e
di fresco, una purezza di linea e d'espressione, che pareva riflettere
la purezza del sentimento e del pensiero. Nei suoi occhi non era mai
passata un'ombra.

Soggiunse:

--Ma è di lei, capisci? che io mi preoccupo! Di quella, giovinetta, di
quella illusa, di quella tua vittima, io voglio sapere. Che ne farai? È
spaventevole pensare che tu non abbia il concetto giusto della vita....

Filippo, che stava scuotendo la cenere della sigaretta in un piattino
d'argento, alzò la testa.

--No, tu non sai, ancora oggi, che cosa sia la vita, perchè non sai che
valga una creatura di Dio. Credi che quella fanciulla sia nata pel tuo
piacere, che il suo corpo, la sua anima, la sua intelligenza, i suoi
sentimenti, le sue speranze, i suoi sogni giovanili, tutto quanto è più
misterioso, più delicato, più nobile ed alto in una creatura umana,
credi sia stato creato per te, perchè tu ne goda e ne abusi, perchè tu
ne decida come un padrone e un giudice. E di una fanciulla, ti fai una
concubina; e di una concubina farai una donna perduta! Mi parli di
attenuanti, per questo delitto di prepotenza e di superbia, per questo
scandalo, per questa ribellione alla volontà di Dio? Non ce ne sono, non
potresti essere scusato che quando tu mi dicessi d'esser diventato
pazzo. Soltanto a un pazzo non si chiede conto di ciò che fa; soltanto
un pazzo può essere perdonato se reca ingiuria a Dio nelle sue
creature....

Sotto quell'irruenza, stretto in quella inesorabilità di logica, toccato
nei sentimenti intorpiditi ma sempre vivi coi quali era stato allevato,
Filippo non osò replicare. Mormorò soltanto:

--Se non mi lasci dire una parola, mamma....

La contessa si rischiarò in volto e aggiunse con voce subitamente più
calma:

--Hai ragione.

--Io non ti posso rispondere, per ora, intorno alla sorte della
ragazza,--seguitò Filippo.--Fui travolto da un impeto di passione, ed è
giusto che tu mi rimproveri la mia debolezza; ma appunto perchè la
passione era ed è sincera, non posso risponderti circa l'avvenire che è
serbato a me e a quella ragazza.

--Tu mi spaventi!--interruppe la contessa, levandosi in piedi.--Non ho
mai udite parole così gravi dalla tua bocca.

--Gravi e leali, mamma, perchè non voglio ingannarti,--rispose Filippo,
guardando sua madre con occhio tranquillo.--Ma devo aggiungere subito
che comunque gli avvenimenti si svolgano, io non dimenticherò nè il nome
che porto, nè i doveri che ho verso una fanciulla onesta e buona....

--E vai così, alla ventura, senza un'idea, senza la stessa percezione di
ciò che fai? È deplorevole, è veramente deplorevole....

La contessa tacque; aveva udito, lontano, fin dalle ultime camere, un
passo cauto e lento; indi a poco, sulla soglia comparve un valletto in
livrea verde scura, e s'inchinò.

--Pranzi in casa, Flopi?--disse con voce mutata la contessa.--Dammi il
braccio. Stasera siamo soli.




IX.


Col pretesto di mutarsi finalmente d'abito e d'indossare lo _smoking_,
Filippo salì nel suo appartamento dopo pranzo, e scrisse una lunga
lettera a Loredana, che le avversità gli rendevano più cara. Dovette
confessarle che il soggiorno a Venezia si sarebbe prolungato oltre le
previsioni, perchè non gli riusciva di sottrarsi a qualche invito e
fors'anche a una gita nelle campagne di suo cognato de Idris.

S'affacciò a una finestra e vide il Canal Grande immerso quasi
totalmente nell'oscurità, con qualche linea più nera, una gondola, che
passava silenziosa, distinta appena dal fanale piccolo e rossastro. I
palazzi, in fila, come spettri bianchi che si dessero la mano, erano
muti e chiusi; ai pali innanzi alla gradinata scorse giù alcune gondole
ferme, che avevan recato i visitatori, i pochi amici non ancora partiti
per la campagna. Le note d'un valzer gli giunsero all'orecchio, e nel
Canal Grande, da una gondola lontana, arrivò la strimpellata vivace e
improvvisa d'un mandolino. Poi passò una barca, zeppa d'uomini e di
donne, illuminata a palloncini, silenziosa; era una serenata, che
s'avviava nel bacino di San Marco, presso i grandi alberghi; e di nuovo
l'oscurità e la quiete pesante si stesero sul Canale.

Filippo discese e passò qualche ora in salotto, a fianco di sua madre.

Gli ospiti ridevano ascoltando le chiacchiere del conte Mercatelli,
piccolo, pelato, rosso in volto, che magnificava il sonno.

--«Le sommeil»,--diceva, rivolto a una francese, madame de la
Chaux.--«Le sommeil»; io non conosco che questa voluttà: dormire,
dormire, dormire quanto mi è possibile. Se non avessi dormito tanto,
avrei fatto certo qualche cosa di straordinario.... Ma dormire mi piace,
mi piace troppo! Sembra che l'anima si volatilizzi, che il corpo si
riduca in una materia imponderabile. «Qu'en dit madame de la Chaux»?

E senza aspettare che madama, vestita di violetto scuro, con un merletto
prezioso sui capelli grigi, enunziasse una risposta, il conte Mercatelli
seguitò:

--«Moi, je vous assure» che l'imprevisto non si trova, se non nel sonno.
Dove potreste incontrare qualche cosa che somigli a un sogno, nella
realtà d'ogni giorno? Uomini che volano, bestie che parlano, mostri non
mai veduti, gioie, terrori, fughe, combattimenti, scene che si
dissolvono e si sovrappongono.... «Moi, je vous assure que votre Dumas
n'est qu'un imbécile en comparaison de ce romancier inépuisable qui
s'appelle rêve....»

Madame de la Chaux ebbe un debole sorriso.

Filippo disse qualche parola a un domestico, fece preparare il tavolino
da giuoco, e mentre le dame e le fanciulle ascoltavano quella specie di
conferenza sul sonno, egli sedette al tavolino col conte Lombardi, col
marchese di Spinea e con Berto Candriani.

Berto Candriani era temutissimo per la sincerità pazzesca delle sue
parole. Egli diceva ad alta voce tutto quel che pensava e tutto quel che
sapeva, a costo di parere insolente o mal educato. Qualcuno in società
aveva espresso il dubbio ch'egli fosse un po' matto, e poichè questa
induzione accomodava molte cose, risparmiava la noia di indignarsi e
toglieva ogni valore a quanto raccontava, tutti convennero ch'egli era
un po' matto e che bisognava lasciarlo fare.

Del resto, bel giovane non ancora trentenne, snello, con capigliatura
nera foltissima e occhi castagni dallo sguardo pungente, piaceva alle
signore, che ne ambivano la lode, perchè rara.

Egli, quella sera, aveva tentato più volte di dire a Filippo ciò che gli
stava fitto in testa dal momento che l'aveva visto; ma il tema della
conversazione, la presenza della contessina Fioresi e di qualche altra
fanciulla, glielo avevano impedito.

Appena i quattro uomini furono appartati pel giuoco, presso la finestra
d'angolo, Berto Candriani disse a Filippo:

--Dunque, come va?

Filippo s'aspettava qualche razzo di quei famosi, ma ormai, dopo le
spiegazioni con sua madre, poco gli importava ciò che si poteva dire.

--È vero,--domandò Berto quietamente,--che hai fatto scappar di casa una
ragazza?

Il conte Lombardi e il marchese di Spinea, che disponevano le carte
nella sinistra, alzarono sbalorditi il capo, e videro Filippo che
sorrideva.

--Ti sembra,--egli rispose,--che se avessi una ragazza per le mani,
starei qui a giuocare?

--Evvia, Flopi! Polvere negli occhi! Non sei mica vecchio per niente, e
fai le tue cose benino, pian pianino, in punta di piedi.... Insomma,
questo è l'ultimo pettegolezzo e dovevo pur dirtelo!

Filippo fece un cenno con la testa, come per ringraziare il Candriani
della sua premura; e nell'intervallo seguente, Berto riprese:

--M'hanno detto che è un tesoro, quella ragazza! Una delle nostre più
belle e più caratteristiche borghesi....

--Sai che ho buon gusto!--rispose Filippo, sempre sorridendo.

--Già; ma mi dispiace che il cattivo gusto sia dall'altra
parte!--mormorò Berto con rammarico sincero.

I giuocatori diedero in una risata. Risonò la voce del conte Mercatelli,
che diceva:

--Dormendo circa dodici ore al giorno, io mi trovo benissimo....

--O perchè non va a dormire anche adesso?--osservò Berto, senza curarsi
di abbassar la voce.

E seguitò la partita; mentre la contessina Giselda Fioresi, che non si
divertiva a parlar con le altre fanciulle, dopo aver gironzato qua e là
a occhieggiare i vecchi quadri che conosceva da tempo, andò a mettersi
alle spalle di Filippo, guardando il giuoco.

--Non so,--disse Berto Candriani,--perchè voglia portar fortuna a
Flopi, contessina. È già tanto fortunato! Venga dalla mia parte.

Giselda non rispose, e coll'indice sottile indicò a Filippo una carta
che doveva giuocare. Filippo obbedì.

--Andiamo, andiamo!--esclamò il Candriani.--È proibito immischiarsi nei
giuochi degli altri. Il giuoco di Flopi è poi così pericoloso!

La fanciulla non battè palpebra, e indicò a Filippo un'altra carta. Ma
le parole di Berto Candriani le parvero oscure, e trovò conveniente non
allontanarsi, per udir qualche cosa di più significante. Alla fine di
quel giro, Filippo s'era avvantaggiato molto sugli avversarii, e Berto
Candriani, mentre il conte Lombardi mischiava le carte, protestò:

--Io la sequestro, tesoro mio! Lei fa vincere Flopi per ridere di noi.
Le assicuro che il nostro amico non ha bisogno di lei, proprio non ha
nessun bisogno!

--Com'è noioso!--esclamò Giselda.--Stia zitto e tiri avanti!

--Bisognerebbe fargli la cura di Mercatelli,--osservò Filippo.--Se
dormisse dodici ore al giorno, sarebbero tante chiacchiere di meno.

Berto diede un'occhiata a Giselda, sempre ritta alle spalle di Filippo;
era giovane e magra; l'abito leggero lasciava trasparir gli omeri scarni
e delicati; il corpo esile faceva pensare alla donna futura, non più
magra ma snella, non più scarna ma sottile e flessibile. I capelli
fulvi, illuminati dalla luce elettrica, davano al volto bianco qualche
ombra viva e tagliente.

Filippo sembrava non accorgersi della presenza di Giselda.

--Mi pare un gatto che vigila,--pensò il Candriani.--Se la porti via
anche questa?

Ma la partita finiva; la contessina Fioresi volse le spalle ai
giuocatori, tornò fra le donne, e subito trovò un appiglio per
interloquire.

--Mi direte voi,--chiese Berto al Lombardi e al marchese di Spinea,--che
cosa ha questo vecchio satiro per piacere alle ragazze?

--Vecchio satiro!--esclamò il marchese di Spinea.--Ma non ha
quarant'anni; e che cosa dovresti dire di me, che ne ho cinquantasette?

--Satiro decrepito!--sentenziò il Candriani.--Filippo, occhio alla
Fioresi! Quella sta facendo una passione per te, vorrà scappare anche
lei.

Filippo stette ancora muto. Egli rispondeva raramente a Berto Candriani;
dacchè lo si era classificato per matto, Filippo lo lasciava parlare, e
il più delle volte non ascoltava nemmeno le sue parole, col pensiero
rivolto altrove. Così, se non fosse stata la necessità incoercibile di
dire tutto quanto gli frullava pel capo, Berto Candriani, a sua volta,
non avrebbe mai parlato con Filippo; e quando v'incappava, se ne pentiva
sempre.

Egli si alzò indispettito e andò a raggiungere il conte Mercatelli, che
fumava una sigaretta, sdraiato sopra un divano, beatamente, gli sguardi
perduti in alto.

--_Ciò_!--disse Berto.--Non dormi? Vattene, su; è quasi mezzanotte....

--Hai ragione,--rispose il conte mansueto.--Nel mio letto starei tanto
bene!

Si mosse, andò a porgere il saluto alla contessa Bianca, alle signore,
agli amici, ed uscì lentamente.

Poco dopo, anche gli altri visitatori presero congedo.




X.


Quella notte, Filippo Vagli sentì crudelmente la solitudine in cui lo
piombava l'assenza di Loredana. Vagò fino ad ora tarda per le calli
deserte, immerse in un'ombra che un fanale rompeva a pena, e salito in
una gondola si fece condurre alla ventura; i rii, coi muri delle case a
picco, parevan chiusi, senz'aria; ora la gondola sfiorava la scalea d'un
palazzo, ora scivolava lungo qualche casipola, dalle finestre della
quale giungeva il chiacchierìo infaticabile delle popolane; e se una
gondola passava rasente, era una visione d'ombra, una linea nera e
fugace, un uomo ritto a poppa, una figura indistinta sdraiata sui
cuscini; poi silenzio, rotto dal remo che grondava acqua.

Allorchè tornò a casa, Filippo notò quel che già aveva sentito durante
il giorno: la sua camera non gli diceva più nulla, il suo ricco
appartamento, al quale era andato per tanti anni recando belle cose
d'arte e oggetti di pregio, non gli importava più dell'appartamento
d'un albergo. Le ore gli sembrarono eterne; il pensiero di quella
ragazza, lasciata sola in un piccolo paese, in un alloggio che differiva
poco da una taverna, gli martellò il cervello tutta notte.

Prese sonno verso l'alba; e non si svegliò da quel torpore se non quando
gli parve che qualcuno camminasse cautamente per la camera.

Era un servo, mandato dalla contessa Bianca, la quale, vista l'ora
tarda, temeva che Flopi stesse poco bene.

--Che ora è, Piero?--domandò Filippo.

--Sono le undici, signor conte.

Piero stava immobile presso il letto ad aspettare gli ordini.

--Va, va!--gli disse il conte.--Non ho bisogno di nulla. Avverti la
contessa che mi alzo subito.

E poco dopo, mentre attendeva alle cure della persona, Filippo sentì la
noia plumbea per quelle ore che ancora gli toccava di passare a Venezia,
per il pranzo dei conti Lombardi, per le chiacchiere insulse alle quali
avrebbe dovuto prestare orecchio. Egli era irritato e malcontento. Dopo
una colazione quasi sempre silenziosa, perchè sua madre cercava ella
pure di schivare allusioni ed argomenti spiacevoli, egli uscì, gironzò
qualche tempo in Piazza e sotto le Procuratie, fece parecchi acquisti
per Loredana, e quasi senz'accorgersi, camminando lentamente, si trovò
nel campiello, innanzi alla casetta bianca della piccola amica.

Egli aveva promesso a Loredana di portar notizie di lei alla sua mamma;
e quando rivide la casa, con quelle finestre bifore, alle quali la
fanciulla s'affacciava un giorno per salutarlo; e quando sentì la
familiarità di quel tranquillo angolo di Venezia, dov'egli veniva per
salvarsi dalle omelíe della contessa Fausta, per vivere la vita modesta
degli altri e dimenticar la propria, inutilmente ricca e fastosa; quando
mille ricordi semplici e graditi gli tornarono in folla al pensiero,
Filippo non si perdette a riflettere oltre: si avvicinò alla porta,
dipinta in verde scuro, con un bel battente di bronzo foggiato ad anello
che una testa di leone teneva fra le mandibole; e suonò il campanello.

A una delle finestre si affacciò indi a poco la domestica, piccoletta e
nera in viso, che voleva bene alla fanciulla.

Essa fu così stupita alla vista di Filippo, che mandò un'esclamazione:

--Maria a te provveda! Il conte! Il conte! Il conte!...

E d'un subito si mise a correre per la casa, in cerca della signora,
gridando a perdifiato:

--Il conte! Il conte! Il conte!

La signora De Carolis, che era occupata a stirare, accorse tutta
maravigliata e tremante; si affacciò alla finestra ella pure, s'assicurò
che il visitatore era il conte Vagli, e infine si decise a tirare il
cordone.

La porta s'aperse, e Filippo entrò.

In alto della scala, proprio sull'ultimo gradino, vide ritta e pallida
la signora Emma; la quale, senza rispondere al saluto di lui, scese
qualche scalino per abbreviar la distanza, e domandò con voce rauca:

--E Lori, dov'è?

--Sono venuto a portarle sue notizie,--rispose Filippo, salendo con la
signora, tuttavia incerto dell'accoglienza.--Sta bene, mi parla sempre
di lei.

Passarono innanzi alla domestica, la quale rimaneva a bocca aperta,
guardando Filippo con ammirazione attonita.

--Buon dì, Rosa!--egli le disse.

E l'altra fece una riverenza, non potendo esprimere la voglia d'aver
notizie della signorina.

La signora Emma e Filippo entrarono in quella saletta dal pavimento a
piastrelle bianche e rosse, dove il conte e la fanciulla avevano
concertata la fuga; Filippo notò subito, sopra una mensoletta di legno,
una figurina di _biscuit_, che abitualmente era sulla tavola, e che un
giorno la ragazza andava girando e rigirando, mentre l'amico le
susurrava all'orecchio parole ardenti d'amore e speranze di giorni
felici.

Egli prese le mani della signora De Carolis, e le disse con voce
malcerta:

--Io devo chiederle perdono. Le ho portato via Loredana, la sua Lori! Ma
essa è oggi felice con me. Ho fatto male, ho agito per impulso,
ciecamente. Non oso scolparmi, lo vede! Pure, Loredana è felice, e
questo non risponde a tutti i suoi dubbii, a tutte le sue paure?

La signora scosse tristemente la testa e ritrasse le mani dalle mani di
Filippo.

--No,--ella rispose.--Sarebbe felice se potesse andare a fronte alta:
ma così, quale umiliazione! Ora non comprende; comprenderà più tardi....
È una fanciulla disonorata; non ha nome; e nessuno crederà all'amore. Il
mondo è cattivo; sarà accusata d'essersi venduta per vizio o per
bisogno....

Filippo fece un movimento con la mano, come per protestare.

--Oh, non neghi!--interruppe la signora, il cui volto bianco, dalle
occhiaie scure, diceva quante notti tormentose e quante ore d'angoscia
aveva passato la povera donna.

Ella sedette sopra un divano, dimenticando di accennare una sedia a
Filippo; e proseguì:

--Nessuno di quelli che la conoscono sa ancora nulla; ma il mistero non
può durare più a lungo, e il giorno si avvicina in cui dovrò confessare
la sua colpa. Che cosa dirò per farla perdonare, o perchè gli altri le
siano indulgenti? Non aveva la sua mamma che le voleva bene? Forse le
mancava qualche cosa, qui, dove io non pensava che a lei? Non voleva
sposare quel Gianella maledetto? E io l'avrei aiutata, e io le avrei
permesso di scegliersi persona più degna.... Ma fuggire, ma diventar
l'amante d'un uomo che non potrà mai sposarla, e abbandonare la mamma
sua, la casa, tutto e tutti, come una disperata, e rovinare la sua
giovinezza!... Sì, è giovane, era inesperta, io mi fidava ciecamente....
Io posso assolverla; il mondo riderà di lei e di me, cadute vittime di
un falso amico, d'un egoista senza cuore....

Filippo, tuttavia in piedi, col cappello di paglia tra le mani, udendo
l'accusa scudisciargli il viso, fece un passo, sentì il viso
avvampargli, ma si rattenne e non disse parola.

La signora Emma lo guardò, e aggiunse freddamente:

--Si sieda! Mi parli di Lori. Dov'è adesso?

--A Sirmione,--rispose Filippo.

--Verrò a prenderla,--annunziò la signora con voce decisa.

--A prenderla?--esclamò il conte sbalordito.

--Sì, a prenderla. Forse sono ancora in tempo a riparare uno scandalo.
Ho detto a chi mi chiedeva di lei che è in campagna. Ebbene, bisogna che
da questa campagna Loredana ritorni. Io non confesserò mai mai, che mi è
fuggita di casa, capisce? Il suo ritorno, la sua presenza, la ripresa
delle nostre abitudini faranno tacere le cattive lingue. Mia figlia è
conosciuta da poca gente modesta, che certo non villeggia a Sirmione.
Forse sono ancora in tempo a salvarla se Dio mi aiuta. E lei, conte, non
si opporrà. Ha commesso un'azione disonesta, non vorrà commetterne una
seconda....

--Ma io l'amo, Loredana!--proruppe Filippo.--Non permetterò che me la
portino via; io vivo per lei, cerco di renderla felice, mi allontano io
pure dal mondo, per dedicare a lei le cure più affettuose, e ho fatto
della sua vita la mia.... Non permetterò che me la ritolgano, a nessun
costo; non permetterà ella stessa, Loredana, perchè mi ama e non domanda
nulla a nessuno!

La voce del conte vibrava di tanta sincerità e di tanto affanno, che la
signora De Carolis ne fu scossa e lo guardò un istante, presa da
esitazione.

--Sono venuto da lei a chiederle perdono,--proseguì Filippo,--a
chiederle perdono con una umiltà che non è nelle mie abitudini. E
lealmente le ho detto dove viviamo, perchè non volevo continuare con lei
una finzione antipatica; se l'avessi ingannata, se le avessi detto che
viviamo a Roma o a Parigi, ora potrei ridermi delle sue minaccie.

S'interruppe e camminò pel lungo e pel largo nella saletta.

--Non me la porterà via!--soggiunse.--A qualunque costo, non me la
porterà via! Appartiene a me, ora, e a nessun'altro al mondo! Non me la
porterà via!

La signora De Carolis comprese che non poteva ragionare con un uomo in
tale stato d'animo. Filippo aveva le labbra bianche e il suo corpo
tremava come scosso da febbre violenta; egli si abbandonò in una
poltrona, nascose il volto tra le mani, e stette così, per lungo tempo,
in silenzio, agitato sempre da un tremito invincibile.

Emma tacque ella pure, a lungo, guardando l'uomo superbo, ridotto da una
parola come uno schiavo o come un mendico, accasciato sotto il peso
della sua passione.

--Veda,--cominciò infine la signora.--È necessario! Appunto perchè vuol
bene a Loredana, la lasci tornare con la sua mamma.... Lei si pentirà un
giorno di questo rifiuto.

--Non mi pentirò mai!--esclamò Filippo, staccando le mani dal volto.

La signora De Carolis vide che le lagrime solcavano il viso del conte,
ebbe un lampo forse di riconoscenza, certo di pietà, ma seppe frenarsi,
e continuò, quasi non avesse notato nulla:

--Per parlare come lei parla, bisognerebbe dirmi quale avvenire attende
mia figlia. E lei non lo sa, perchè l'avvenire di Loredana dipende dal
capriccio, dalla volontà, dall'interesse del conte Filippo Vagli, il
quale oggi l'ama sinceramente e domani può considerarla un impaccio....

Filippo crollò le spalle, ma la signora aggiunse, senza badargli:

--È possibile che io accetti una situazione simile per mia figlia?
Ripeto che forse sono ancora in tempo a impedire uno scandalo enorme; se
non mi ingegnassi di riuscirvi, sarei non una madre, ma la più vile, la
più spregevole delle donne....

Nel turbamento di tutto il suo spirito, Filippo sentiva che la disgrazia
aveva dato una lucidità di comprensione, un'energia e una volontà, a
quella donnina fragile e dimessa, quali egli non avrebbe mai potuto
sospettare. La signora De Carolis aveva il viso pallido tutto
rischiarato dalla luce d'una decisione, dalla speranza di salvare la
figliuola; Filippo intuì che era impossibile lottare con un sentimento
così forte, il quale aveva l'aureola di qualche cosa di sacro. Egli non
poteva opporre che le ragioni del suo amore, cioè di un sentimento
comune, fatto di egoismo, di concupiscenza, di orgoglio.

Disse lentamente:

--Loredana penserà che io l'ho tradita, che son venuto apposta a Venezia
perchè lei andasse a ripigliarsela, dopo quindici giorni....

--Oh no,--interruppe la signora Emma,--io saprò parlarle, e le spiegherò
come sono avvenute le cose....

Seguì un breve silenzio. Filippo era sempre seduto, con le labbra
bianche, gli occhi annebbiati dal pianto: la signora Emma gli si
avvicinò, gli mise una mano sulla spalla, e disse:

--Lei non deve opporsi. Dio aiuta le madri. Se lei non mi facesse trovar
più la mia Lori a Sirmione, ebbene, scandalo per scandalo: agirei con la
forza, come non ho osato fino ad oggi....

Il conte sollevò il viso a fissare la donna, e rispose brevemente:

--Non minacci!

--No, non minaccio,--disse la signora più calma.--È stato Dio che l'ha
mandato, per quest'atto di pentimento e di sincerità....

Tacque, guardò Filippo, che pareva in quell'istante un fanciullo domato,
un mendico febbricitante, così scosso dal tremito implacabile. La
signora si ritrasse, perchè non voleva mostrar gli occhi che le si
velavano di pianto, e uscì in fretta.

Filippo rimasto solo, si guardò intorno come trasognato....

Era dunque la realtà, quella? Non doveva più vedere Loredana, la sua
bella, la sua cara amica, e non più baciarne i capelli bruni dai
riflessi dorati, e non più udirne la parola, e non più farla fremere di
piacere e di gioia? Quale demonio l'aveva così scioccamente condotto in
quella casa, a chiedere un più sciocco perdono, a dire stupidamente dove
Loredana era nascosta?

Tutto crollato, tutto finito in un lampo! E Loredana, la fiduciosa
amica, abituata a considerar lui come il più forte, il più libero, il
più saggio degli uomini? Che avrebbe pensato?...

La porta della saletta si aperse ed entrò la signora Emma, recando ella
stessa un vassoio col caffè e una bottiglia di liquori.

--Prenda qualche cosa,--ella disse.--Le ho preparato un caffè; beva una
goccia di cognac.

Essa versò, mise innanzi il vassoio a Filippo, riempì di cognac un
bicchierino, glielo porse: egli lasciava fare, macchinalmente, e sorbiva
il caffè, senza sentirne il gusto.

--Non capisco,--disse a un tratto, rimettendo sul vassoio la
chicchera.--Non capisco. Loredana torna qui? Lei va a riprenderla?... E
io....

La signora Emma non rispose, ma Filippo incalzò:

--Mi dica: non la vedrò più?

E poichè la signora rimaneva sempre silenziosa, anch'egli non domandò
più nulla, e restò immobile, con gli occhi fissi nel vuoto, come a
seguire qualche fantasma spaventevole.

Finalmente si alzò, prese il cappello, stese la mano alla signora De
Carolis, e uscì senza far parola. In anticamera, la domestica lo
aspettava per dirgli qualche complimento, ma vedendolo così pallido e
sfatto, corse in cucina e vi si richiuse, perchè egli non avesse a
soffrire incontrandola in anticamera.




XI.


Il sole che arroventava il campiello e illuminava le case con una luce
quasi insopportabile, ebbe potere di scuotere Filippo da
quell'accasciamento che pareva sonnambulismo. Si drizzò, sentendo che le
spalle gli si erano incurvate, e si guardò intorno con occhio sicuro.

Perdere Loredana? Obbedire a sua madre? Tutto finito, tutto crollato?

--Parto col primo treno,--promise a se stesso.--Arrivo a Sirmione,
prendo Loredana e questa sera saremo lontani e sicuri. Qualunque cosa,
piuttosto di perderla. Ho commesso una fanciullaggine con sua madre;
bisogna riparare subito, subito, subito....

Non aveva ancor finito il suo pensiero, che una voce nota gli risonò
alle spalle.

--Guardalo qui! Dove vai, così meditabondo?

Era Berto Candriani, che, fattoglisi al fianco, lo squadrò e rimase
stupefatto.

--Accidenti! Che cosa t'è successo? Ti hanno bastonato?

Filippo gli disse con voce secca:

--Non ho voglia di scherzare, Berto!

--E non scherzo. Mi dispiace sinceramente di vederti così, come ti fosse
avvenuto qualche cosa di molto grave. Eri tanto allegro iersera....

Il conte non rispose, e i due uomini procedettero qualche tempo senza
far parola urtati dalla gente che passava per le calli; ma quel giorno
doveva essere singolarmente disgraziato per Filippo, perchè allo svolto
d'una viuzza s'imbattè col conte e con la contessa Lombardi.

--Ah, bene, bene, bene!--esclamò il conte Lombardi, aprendo le braccia,
come per impedire il passaggio ai due amici.--Venite a proposito!

La contessa ebbe un sorriso di compiacenza alla vista di Filippo, che le
stava innanzi a capo scoperto e la salutava.

--Abbiamo la gondola a due passi di qui,--ella annunziò,--e si parlava,
proprio di voi, Flopi. Noi facciamo un giro, e vi conduciamo con noi.
Anche Berto Candriani ci farà compagnia....

--Un giro?--ripetè subito Berto con circospezione.--Che cosa deve
intendersi per un giro, contessa?

--Muoviamoci,--ella rispose.--Noi impediamo il passaggio alla gente. Ora
entriamo in gondola, e vi spiegheremo.

La contessa Lombardi era ancora piacevole, benchè avesse valicato la
quarantina. Il suo corpo era svelto, i capelli eran chiari, gli occhi
vivi; solo la carnagione aveva perduto la sua freschezza; ma poichè la
contessa dichiarava ella per prima di esser vecchia e finita, tutti la
guardavano con simpatia e la trovavano assai più giovane di quanto non
dicesse.

Arrivati al traghetto dove aspettava la gondola a due remi, la contessa
vi montò, Berto vi balzò dentro, dicendo:

--Spiegateci il giro!

Ma Filippo disse:

--Contessa, io devo scusarmi....

--Ah bah!--esclamò la contessa.--Flopi, voi mi fate pensare che la
nostra compagnia vi dispiaccia. Quando noi vi facciamo un invito, voi
avete subito pronta una scusa.

--Cara contessa, siete crudele!--mormorò Filippo.

--Oh, a proposito,--aggiunse il conte Lombardi.--Ricordati che sei a
pranzo da noi, stasera.

--Dunque, vi decidete?--domandò la contessa, guardandolo.

Filippo comprese che bisognava decidersi, si appoggiò al braccio del
gondoliere, e salì....

Il giro della contessa durò per più ore; la gondola, spinta con agile
vigorìa, uscì dal bacino di San Marco in un batter d'occhio, e prese il
largo verso il Lido, poi, per le Vignole, arrivò a San Francesco del
Deserto.

La contessa Lombardi e Berto Candriani erano allegri.

--Non è vero che almeno così godiamo un po' di fresco? Sentite che bel
fresco, Flopi?--diceva la contessa.

Filippo aveva perduto ogni velleità di ribellarsi. Le ore passavano e
gli cadevano sul cuore come goccie di piombo, con un presentimento
funesto; ma egli era troppo abituato alle commedie del mondo perchè il
suo volto lasciasse trasparir l'angoscia febbrile alla quale tutta
l'anima sua era in preda. Sarebbe partito l'indomani: ormai bisognava
adattarsi e non far pesare i proprii dolori sugli amici che volevan
godere la sua compagnia.

Con un rude sforzo riuscì a dominarsi e parve felicissimo di quella
gita, di quello sciupìo di tempo, infinitamente prezioso per lui;
scherzò con Berto Candriani, il quale non sapeva comprendere una
mutazione così rapida, ed era stupefatto; Filippo fece anche un po' di
corte alla contessa, col consenso del marito, che sorrideva.

--Io non so dove tu sia stato,--osservò a un tratto il conte
Lombardi.--Se ne raccontan di belle, a questo proposito....

--Di bellissime,--rincalzò Berto.

--Non so dove tu sia stato, Flopi, ma la campagna ti ha fatto bene. Sei
allegro....

--Allegro,--ripetè Filippo, sentendo l'ironia di quella affermazione.

Tornavano verso Venezia, e la città si scorgeva tutta bianca, come
tutelata dall'angelo d'oro del campanile vetusto: i palazzi marmorei
parevan da lungi portentosi ricami, fragili merletti diuturnamente
lavorati dall'uomo e dal tempo; le acque ai loro piedi si stendevan
placide, con un trasparente color di smeraldo, che gli ultimi raggi di
sole facevano scintillare.

--Ma io vorrei sapere,--osservò la contessa,--che cosa si dice della
campagna di Flopi....

I tre uomini si guardarono.

--Ecco,--disse Berto Candriani,--si dice che....

--È sottinteso,--interruppe Filippo,--che voi, contessa, non crederete
parola di quanto sta per raccontarvi Berto. Voi conoscete quest'uomo? Il
più fantasioso dei maldicenti....

--Non crederò nulla,--rispose la contessa.--Ma vorrei sapere.

--Si dice,--continuò Berto Candriani,--che Flopi, innamorato d'una
bella, d'una bellissima ragazza, sia scappato con lei.

La contessa Lombardi diede in una risata.

--Che pazzo!--esclamò.--È scappato, ed è qui in gondola, al mio fianco?

Berto crollò le spalle.

--Siete ingenua, contessa, mia! È qui per un giorno o due. Domani sarà
scomparso di nuovo.... Sa far le cose da maestro, la vecchia volpe....

La contessa stette un momento a pensare, poi osservò:

--Credevo meglio. Queste cose vanno sempre a finir male; e se
l'avventura è come si racconta, Flopi ha perduto la testa davvero.

Filippo sorrise con l'indifferenza dell'uomo che ascolta cose senza
alcun senso.

--È come ve la racconto io,--assicurò Berto Candriani.--Fuga romantica
con giovinetta.

La contessa alzò le spalle.

--Via, via,--esclamò,--sono maldicenze sciocche: sarebbe nato uno
scandalo senza esempio, e invece non c'è che qualche diceria.... Voi non
sapete ragionare, povero amico!

--Oh guarda,--protestò il Candriani,--Flopi scappa con una ragazza, e
chi non sa ragionare sono io! Voglio mettermi anch'io a far fuggire le
fanciulle, per vedere se mi troverete ragionevole....

Gli amici risero, e la conversazione fu mutata.

A Venezia, giunsero sull'imbrunire; Filippo e il Candriani, scendendo
dalla gondola presso la piazza San Marco, presero congedo per correre a
casa a mutarsi d'abito e per ritrovarsi indi a un paio d'ore nuovamente
dai conti Lombardi.

Non appena fu solo, nella sua camera, Filippo sentì calargli sulle
spalle il peso di quella giornata nefasta, l'accoramento per la sorte di
Loredana. Gli tornò il pensiero d'andarsene subito, di giungere in piena
notte a Sirmione, di prendersi la fanciulla e fuggir lontano.

Ma di nuovo, le abitudini lo dissuasero. Era impossibile mancare al
pranzo, dar quella clamorosa conferma alle voci delle quali il Candriani
s'era fatto eco. Bisognava partire all'alba; ormai non si trattava più
che di poche ore, dell'ultimo sacrifizio.

Quando Filippo, in marsina, con una gardenia all'occhiello, varcò la
soglia del palazzo Lombardi, egli aveva dipinta in viso una tale
espressione di pace, che lo si sarebbe giudicato l'uomo più tranquillo
del mondo.

Berto Candriani, il quale l'aveva preceduto di poco, rimase, al vederlo,
stupefatto per la terza volta.




XII.


Loredana, accasciata per la lettera nella quale Filippo le annunziava
che la sua lontananza si sarebbe ancora prolungata di alcuni giorni,
stava sul divano, a occhi chiusi, non udendo, non pensando, nella
disperazione di far passare quel tempo che doveva essere eterno.

Le fiamme della gelosia cominciavano a divorarle il cuore. La società
alla quale apparteneva Filippo e nella quale era momentaneamente
rientrato, pareva alla fanciulla singolarmente pericolosa. Egli vi
avrebbe ritrovato Fausta e mille altre donne come quella, aiutate dal
lusso e dall'eleganza. E che cosa poteva far lei, povera ragazza ancora
ingenua, contro le malìe di quelle femmine sapienti, cariche di gioielli
prodigiosi, ornate di tutte le grazie? Per la sua fantasia inesperta i
convegni mondani eran come convegni d'amore nei quali Filippo avrebbe
dimenticata presto la piccola amica che soffriva.

E il pensiero venne a colpirla con tanta durezza, che la fanciulla balzò
in piedi, corse nella camera da letto, ne uscì con un largo cappello
bianco che piantò risolutamente in testa, e s'avviò, tenendo un
ombrellino scarlatto fra le mani.

Nel vestibolo trovò la signora Teobaldi, la quale s'avviava appunto
dalla ragazza per strimpellare il piano. Clarice era vestita alla
Pompadour, con amplissimi disegni sul corsetto e sulla gonna: questa,
troppo corta, lasciava scoperti i piedi calzati di scarpe bianche; e
così abbigliata, coi fianchi prominenti, la figura tozza, la Teobaldi
pareva una trottola accuratamente pitturata di fresco.

--Esce?--ella domandò con voce triste.

--Sì, vado a passeggiare,--rispose Loredana.--Vuol tenermi compagnia?

Eran le quattro; il sole abbruciava, la luce era acciecante, sugli
alberi strillavano le cicale.

Clarice, fattasi sulla soglia, gettò un'occhiata intorno, aggrottò le
terribili sopracciglia, e disse:

--Non so se mi convenga arrischiare....

--E perchè no?--chiese Loredana stupita.

--Sa, per la voce; potrei prendere un riscaldo....

La fanciulla crollò le spalle e uscì.

Voleva andare a quelle Grotte di Catullo che avevano visto la sua
felicità, quando vi passava con Filippo quasi l'intera giornata,
imaginando d'esser con lui in un'isola perduta dell'Oceano. Ma per la
certezza che quei ricordi, uniti all'amaritudine presente, l'avrebbero
fatta soffrire di soverchio, Loredana s'avviò sulla strada di Sirmione,
verso la strada provinciale.

Camminava adagio, riparata dall'ampio ombrellino scarlatto, e guardava
gli alberi, l'erba, l'acqua, le barche dei pescatori, per distrarre la
mente, perdendosi in osservazioni oziose. Si fermò a rintracciar fra
l'erba una cavalletta, stette a vedere una lucertola che, immobile, la
fissava coi piccoli occhi neri e acuti. A un punto della strada, alcuni
monelli uscirono a giuocar coi noccioli delle pesche, e Loredana
assistette a una partita, come un monello essa pure.

Così s'era già dilungata verso la strada provinciale, quando da un
nugolo di polvere che si scorgeva lontano, comprese che una carrozza
s'avvicinava; e perchè la cosa non era troppo frequente, Loredana
sedette sopra un muricciuolo, aspettando l'arrivo insolito. La vettura
correva rapidissima e si udiva il tintinnìo dei campanelli.

Un pensiero balenò nel cervello di Loredana:

--Fosse Filippo?

Ma non volle fermarsi a quell'idea, assurda, e che pur le faceva battere
il cuore con tanta ansietà.

Del resto la carrozza era ormai a pochi passi. Loredana si alzò in
piedi, gettò un'occhiata, e vide....

Era possibile? Aveva visto bene? Non si trattava d'un'allucinazione?

La carrozza procedette ancora per alcuni metri, poi si fermò, e una
donna ne discese, tornò indietro a corsa, gridò:

--Lori, Lori, Lori!

Loredana le andò incontro, smarrita, felice, non riuscendo a
comprendere; e sulla strada, innanzi al vetturale attonito, madre e
figlia s'abbracciarono e si baciarono piangendo.

--Vieni con me,--disse la signora De Carolis alla figlia.--Andiamo
all'albergo. Devo parlarti....

Le due donne saliron di nuovo nella vettura, che riprese la sua corsa.

--Oh mamma, come sono felice!--esclamò Loredana, tornando ad
avvinghiarsi al collo della madre, e baciandola con forza.--Chi ti ha
detto che ero qui? Sei venuta a farmi compagnia? Sono sola, tutta sola.
Starai con me. C'è una bella camerina all'albergo, e te la farò
preparare subito, subito, perchè devi essere stanca, con questo caldo.
Ah, come sono felice, mamma! Mi pareva che qualche cosa mi chiamasse per
questa strada!

Mentre ascoltava le parole e rendeva i baci, Emma andava considerando la
sua figliuola, così elegante nell'abito leggero di seta cruda color
d'oro, con la vita stretta in un'alta cintura rossa, con
quell'ombrellino scarlatto dalla impugnatura d'avorio bruciato.

Era molto bella, e molto diversa da un giorno. Il soffio misterioso
dell'amore le aveva dato un'espressione nuova, inconsciamente più
ardita; se prima era ammirata, adesso poteva svegliare la concupiscenza
e accendere la passione degli uomini. Ma Loredana pareva ignorare e il
mutamento compiuto e la significazione pericolosa della sua bellezza.
Tutto pareva ella ignorare; anche l'abisso in cui era precipitata, dal
fondo del quale sorrideva a sua madre.

Emma evitò di rispondere, il cuore stretto da uno struggimento oscuro;
per fortuna il supplizio durò poco; la carrozza giunse innanzi
all'albergo, e Loredana, svelta e leggera, balzò a terra, e stese la
mano ad Emma.

Una donna assisteva a quell'arrivo impensato: Clarice Teobaldi, la
quale, pavoneggiandosi nell'abito troppo corto alla Pompadour,
passeggiava avanti all'albergo, per farsi ammirare da alcuni pescatori,
che la guardavano con ironia mal celata.

Loredana si volse, vide la Teobaldi e sorrise.

--È tornata in carrozza?--disse l'altra, sorridendo a sua
volta.--Credevo fosse arrivato il signor conte.

--No, è la mamma, la mia mamma!--esclamò gioiosamente Loredana.

La Teobaldi fece un inchino alla signora De Carolis, che la squadrò con
un'occhiata, non rispose al saluto, ed entrò nell'albergo, seguita dalla
fanciulla.

Quando giunsero alla camera di Loredana, Emma, appena varcata la soglia,
si volse e chiuse l'uscio a chiave.




XIII.


Quella era la camera che aveva visto e tutelato gli amori di Loredana
con Filippo; tra quelle pareti s'era svolto il dramma eterno della
fanciulla che si tramuta in donna; e forse ogni oggetto, ogni mobile,
ogni ninnolo conservava un ricordo, aveva un significato pei due amanti.

Emma De Carolis gettò uno sguardo a sua figlia, e disse bruscamente con
voce secca:

--Sono venuta a prenderti.

Loredana, la quale era in piedi, ancora col cappello in testa, non potè
frenare un sussulto, e ripetè:

--A prendermi?

--A prenderti,--annunziò Emma di nuovo.--A prenderti e a condurti a
casa. Credi che sia venuta qui per assistere a questo scandalo, a questa
vergogna? Su; levati codesto abito, metti il tuo vestitino nero; fa
presto, perchè non abbiamo tempo da buttar via.

Loredana, udendo quella rampogna espressa con voce fredda, decisa, che
non avrebbe attesa mai da sua madre, diventò pallidissima e si appoggiò
allo schienale d'una sedia. Non comprendeva ancora bene, ma intuiva
oscuramente che il suo amore era finito, spezzato, cancellato per
sempre.

--Véstiti,--ripetè Emma.--Fa presto.

La fanciulla le si avvicinò, ma non osò stendere le braccia, per
attirarla a sè.

--Mamma,--disse,--che cosa avviene?

Si passò una mano sul viso, come per fugare una nube che le avesse
ottenebrato la vista; e seguitò:

--Mamma, non comprendo....

--Lo so; lo so, che non comprendi,--rispose Emma.--Obbediscimi; va a
vestirti; ti spiegherò tutto, dopo.

--Ma dove andiamo, mamma?--esclamò Loredana, stendendo le mani quasi ad
implorare.

--Dove andiamo? A casa; torniamo a casa nostra, a Venezia.

La fanciulla fece ancora un gesto, smarrita, guardandosi intorno.

--E Filippo?--domandò.--Lo sa, Filippo, che sei venuta, a prendermi?

Emma si sentì avvampare la faccia ed ebbe un lampo nello sguardo.

--Filippo?--ripetè.--Io, tua madre, ho da chiedere il permesso al conte
Vagli per riprendere la mia figliuola? E tu obbedisci a lui, piuttosto
che a me?... Lori, non farmi parlare, non tormentarmi....

Le due donne eran di fronte e si guardavano, ambedue timorose di far
male e tuttavia nell'impossibilità di capirsi. Loredana tremava da capo
a piedi, come già Filippo aveva tremato innanzi ad Emma; ma la
fanciulla, invece di piangere e di smarrirsi, sentiva tumultuare
nell'animo una ribellione sorda, imperiosa, veemente, che a pena era
frenata dalla presenza della madre.

--Filippo,--essa mormorò,--Filippo non sa nulla, e io non posso partire
così, senz'avvertirlo. Mi ha scritto che tornerà fra qualche giorno;
ebbene, mamma, aspetta; glielo dirai tu, che io devo tornare a casa....

Emma non potè trattenersi, avanzò qualche passo, afferrò un braccio
della figliuola, e la scosse con forza.

--Ma che cosa dici?--esclamò.--Chi è Filippo? Che diritti ha su di te,
perchè tu non possa muoverti senza il suo beneplacito? Io non so chi
sia, colui.... È un libertino che ti ha sedotta; e io devo aspettarlo
qui, per chiedergli il permesso di riprendere mia figlia? Che cosa dici,
pazza?

Per la durezza di quelle parole, per la stretta nella quale sentiva
preso il braccio, per le offese lanciate a lei e al suo amante, Loredana
proruppe. Si liberò dalle mani di sua madre, fece un passo indietro, e
con gli occhi scintillanti, colla persona eretta come se tutti i nervi
si fossero tesi rudemente nel suo corpo fragile, ella rispose:

--Ma è inutile, sai? È inutile che tu insista! Io non parto: io non mi
muovo.

--Lori,--mormorò Emma,--pensa a quel che fai....

--Non parto, non mi muovo, se prima non è tornato Filippo,--rincalzò
Loredana con voce che le usciva tronca dalle labbra.--Filippo ha dei
diritti, su di me; tu puoi ignorarli; io non posso, se non sono una
ragazza spregevole. I suoi diritti non li ha inventati lui; glieli ho
dati io, perchè l'amo, e ho abbandonato ogni cosa per seguirlo. Egli non
mi ha sedotta; gli volevo bene, gli voglio bene oggi più che mai; vivo
qui sola, in questo paese, per lui. Che colpa ha Filippo in tutto
questo? Se anche avessi sposato Adolfo, oggi vorrei bene a Filippo,
perchè non ho mai amato che lui; e perciò Filippo è un libertino? Se
anche fosse? Io lo amo, gli ho dato tutti i diritti su di me, e tanto
peggio per me, dunque! Del resto, mamma, non è questione di diritti. Io
dovrei partire senza avvertirlo? Egli torna, felice di stare con me, e
non mi trova più? Che cosa mi ha fatto, per trattarlo a questo modo? Non
parto, non mi muovo, fin che io non lo abbia rivisto....

Emma ascoltò in silenzio; il suo sdegno, a mano a mano che la figlia
parlava, andava cadendo. Ella raffrontava mentalmente le parole di
Filippo con le parole di Loredana, e sentiva di trovarsi alle prese con
una passione senz'argini, fatta d'impeto, contro la quale era
impossibile agire con la forza.

Sedette in una poltrona, e quando Loredana tacque, ella disse,
addolcendo la voce:

--Capisco che lo ami. Lo ami più di me. Io sono una povera mamma. Ero
venuta per perdonarti.... Quante mamme avrebbero perdonato?

Udendo quella voce, la solita voce buona di sua madre, Loredana
s'avvicinò, si mise in ginocchio presso la poltrona, ricinse con le
braccia il busto di Emma; e mentre le scendevan le lagrime silenziose
per le gote, susurrò:

--Sì, mamma. Io ti voglio tanto e tanto bene....

Esitò un istante, poi aggiunse con qualche incertezza:

--Ma per Filippo è un'altra cosa; non lo amo di più, lo amo
diversamente. E non posso, credimi, abbandonarlo in questo modo.... Tu
mi hai perdonato, mamma; e sono così felice! Ma non posso abbandonare
Filippo senza dirgli una parola.... Ah tu non sai come voglio bene a te,
come voglio bene a lui! Ho tanto sofferto, pensando a te, che eri sola;
non ho mai avuto un giorno di requie; non dirmi che io ti ho
dimenticata....

Cautamente, mentre Loredana parlava, Emma le tolse il lungo spillo e le
liberò la testa dal cappello, posandolo sulla tavola vicina; poi con la
mano leggera le accarezzò i bei capelli dai riflessi dorati.

--Lo so,--disse,--che mi vuoi bene. E per ciò ti ho perdonato. Ma il mio
perdono, vedi, non servirà a nulla, se non potrò aiutarti....

--Aiutarmi, come?--interrogò Loredana stupita.

--Nessuno sa che tu sei fuggita col conte. A tutti io ho narrato che sei
fuori, in campagna, presso una famiglia amica. La cosa è parsa vera, e
non si parla più della tua assenza; ma i giorni passano, e se tu non
torni, verrà il momento ch'io dovrò confessare la tua fuga.... Hai
capito, Lori? Io dovrò confessare la tua fuga, e tu non potrai più
tornare a Venezia, se non vorrai che tutti ti segnino a dito, e ridano
di me e di te. Hai capito, Lori? Ecco perchè son venuta a prenderti;
siamo ancora in tempo; il tuo ritorno sembrerà naturale, e con l'aiuto
di Dio, se nulla di peggio avverrà, questa brutta pagina della tua
giovinezza sarà un mistero per tutti. Hai capito, Lori?

Loredana tentennò il capo, e si alzò, asciugandosi gli occhi.

--Non me ne importa niente,--disse poi.--Perchè devo occuparmi di ciò
che si dirà un giorno?... Tu agisci, mamma, come se io un giorno dovessi
sposare Adolfo Gianella o qualche altro. Io appartengo a Filippo, e
apparterrò sempre a lui. Non si tratta d'una pagina della mia
giovinezza; si tratta della mia vita intera, che ho donata a Filippo....
Gli altri non esistono più per me.

La madre sospirò, mulinando di pronunziar qualche parola decisiva, e
temendo di pronunziarla; fece sedere la fanciulla sulle ginocchia, le
fece appoggiar la testa alla sua spalla, e osservò cautamente:

--Dici bene, Lori. Hai dato la tua vita intera al conte. Ma se il conte
si stancasse di te, e se tu comprendessi un giorno che gli sei di peso?

Loredana balzò in piedi, guardando sua madre con gli occhi spalancati.

--Non dirlo, mamma! Non lo pensare nemmeno!--esclamò.--Sai qualche cosa
tu? Ti hanno raccontato qualche cosa di lui?

Emma allungò le braccia, fece sedere di nuovo la figlia in una
poltroncina ch'ella aveva avvicinato; e di nuovo con voce dolce e piana,
disse:

--Non so nulla, cara, non mi hanno raccontato nulla. Ma gli uomini sono
facili a stancarsi e a mutare....

--Filippo è diverso, sentenziò Loredana prontamente.

--Il conte,--osservò Emma,--gode una posizione privilegiata, ha
abitudini signorili; può stancarsi non di te, ma della vita che per te
sarà costretto a condurre; forse i parenti gli daranno dei dispiaceri,
e, non conoscendoti, giudicheranno che tu sia una donna cattiva. Il
conte è ricco, e si fa presto a supporre che una ragazza viva con lui
non per amore, ma per calcolo.

Loredana ascoltava inorridita, con le mani strette, fremendo come
l'avessero obbligata a piegarsi e a guardare in un gorgo minaccioso, dal
quale presto ella doveva essere ingoiata.

--Che cose ripugnanti mi dici, mamma!--esclamò, torcendo istintivamente
la bocca.

Ma Emma sorrise con tristezza, e accarezzò le mani della figlia,
bianche, dalle lunghe dita.

--Son cose vere, di tutti i giorni,--ella disse poi.--Ed è per questo
ch'io son venuta a prenderti. Ah, imagina, Lori, che sarebbe di me, se
dovessero accusarti non solo di aver gettato il tuo onore, ma di esserti
venduta a un ricco! E non pensi che potrebbero sospettare anche di me,
come se io avessi visto, compreso e permesso? Io sola conosco la verità;
io sola ho udito le tue parole e le parole del conte....

Si morse le labbra, volle aggiustar la frase, ma già Loredana l'aveva
afferrata e già di nuovo, con un balzo, era dritta innanzi a sua madre.

--Di Filippo?--gridò.--Hai udito le parole di Filippo? L'hai visto,
dunque? È stato da te? Che cosa ti ha detto?... Anch'egli mi ama, non è
vero? Me l'aveva promesso, che ti avrebbe fatto giungere mie notizie; ma
egli è venuto a trovarti.... Vedi come è leale? Se volesse abbandonarmi,
se pensasse di potere stancarsi di me, non verrebbe a parlarti.... Dimmi
quando l'hai veduto; che cosa ti ha detto?

Emma dovette raccontare, e raccontò della visita e del colloquio avuto
con Filippo; la fanciulla stava attenta, quasi senza respirare,
accompagnando la narrazione di sua madre con brevi cenni del capo; e
quando Emma ebbe finito, Loredana tornò a sedersi e restò a lungo muta e
cogitabonda.

--Infine,--ella osservò a un tratto,--egli ha acconsentito alla tua
idea, e ti ha permesso di venire a prendermi. È molto strano il suo
amore....

--Io l'ho persuaso,--disse Emma.

--Oh aveva paura, dunque?--domandò Loredana.--Di che cosa aveva paura?
Io non ho avuto paura di nulla, quel giorno....

Tacque nuovamente; a poco a poco l'espressione del suo viso mutava,
diventando chiusa e dura, come se uno spasimo contraesse i muscoli del
bel volto giovanile; la fronte bianca e fresca fu solcata da una ruga, e
le labbra si strinsero, mostrando agli angoli una piega di disgusto.

Ella s'alzò.

--Aspettami,--disse.--Mi svesto, indosso il mio vestitino nero, e poi
partiamo!

Emma, che aveva colto con l'occhio intento la mutazione rapidissima di
quel viso, che aveva notato la inflessione recisa della voce, che vedeva
la figlia impallidire, volle seguirla.

Loredana entrò nella sua camera da letto, si guardò intorno come avesse
sentito tremare il pavimento sotto i piedi; s'avvicinò a un baule per
aprirlo; poi si fermò ancora, passandosi una mano sul volto e sulla
fronte.

--Ora partiamo,--ella ripeteva.--Ora partiamo. Aspettami.

Ma, d'un tratto, mentre s'inchinava per sollevare il coperchio del baule
nel quale conservava il suo povero abito nero, mandò un grido e cadde a
terra di schianto.




XIV.


L'albergo fu sossopra; accorsero alle grida della signora De Carolis
l'albergatrice e la signora Teobaldi; poi uscirono ambedue, soffiando e
galoppando, e tornarono l'una con una bacinella d'acqua fresca, l'altra
con una boccetta di sali.

In ginocchio presso la figlia sempre immobile a terra, Emma le aveva
slacciato il busto; ma non riusciva a sollevarla.

La Teobaldi si provò a darle mano, e mentre s'affannava all'opera
pietosa, udì il laceramento del corpetto alla Pompadour, che non aveva
potuto resistere agli sforzi inusitati della cantatrice. Allora ella
uscì, ancora galoppando, con la faccia color paonazzo, e tornò seguita
dall'albergatore; il quale sollevò Loredana come un fuscello, l'adagiò
sul letto, e si ritirò subito.

--Lori,--susurrava la madre,--Lori, tesoro mio, amore mio....

--Le faccia fiutar questa boccetta,--consigliò la Teobaldi,--è
miracolosa! Povera fantolina; le sarà rimasta la colazione sullo
stomaco....

--Ma no,--rispose Emma.--Mi dia dell'acqua fresca.

La Teobaldi recò la bacinella, e con la mano Emma spruzzò il viso della
figlia, due, tre volte.

Loredana sospirò infine, profondamente, e il seno bianco si sollevò come
per un singulto.

--Lori,--susurrò Emma,--amore mio, sono qui.

--Ecco, ecco!--esclamò la Teobaldi.--Rinviene; apre gli occhi....

Apriva gli occhi, infatti, Loredana, e li volgeva intorno senza
raccapezzarsi; ma incontrò lo sguardo di sua madre e sorrise, allungando
una mano per prender la mano di lei. Emma le coprì il viso di baci,
piangendo e balbettando parole di tenerezza.

--Che bella scena!--osservò la Teobaldi, colpita nel suo sentimento
estetico.--Che bella scena d'amor materno!

Loredana riconobbe la voce, e mormorò a sua madre:

--Mandala via!

Emma si volse.

--Io la ringrazio, signora,--disse alla Teobaldi.--Lei è stata molto
gentile....

--Non lo dica, non lo dica,--interruppe Clarice,--io voglio molto bene a
sua figlia. Come si fa a non volerle bene?

Si avvicinò al letto e si rivolse a Loredana:

--Sta meglio, signora? Ah, ma com'è bella, così!... È vero che sta
meglio? Un po' d'imbarazzo, forse. E poi, nella sua condizione di
giovane sposa, un malessere momentaneo può avere tanti significati....

Emma fremette da capo a piedi, quasi fosse stata punta. Quell'udir
chiamare sua figlia «giovane sposa», quell'allusione a una maternità
possibile, la richiamarono d'improvviso alla realtà senza illusioni.

--Lasciamola, lasciamola,--disse alla Teobaldi,--ha bisogno di riposare,
adesso. La ringrazio di nuovo, signora.

La Teobaldi salutò ancora Loredana, salutò Emma, ed uscì tra il fruscìo
dell'abito alla Pompadour e della sottana inamidata.

--Non ti spaventare,--disse la fanciulla a sua madre, non appena l'uscio
fu chiuso alle spalle della cantatrice.--Sto bene, ora; possiamo
partire....

E fece l'atto di scendere, ma Emma la rattenne.

--No,--disse.--Puoi aspettare; partiremo stasera.

Ella avvicinò una poltrona e sedette; Loredana chiuse gli occhi, e per
lungo tempo le due donne non pronunziarono verbo, seguendo ciascuna i
proprii pensieri. Il silenzio era pesante; non risonava nell'albergo
alcun rumore, e appena dal basso veniva il mormorìo del lago, che
lambiva la casa; di tanto in tanto, s'udiva l'ultimo frinire delle
cicale, salutanti il sole ch'era presso al tramonto.

A un tratto Loredana volse il capo, e domandò:

--Ti ha detto lui, che io era qui? Ne sei ben sicura, mamma?

--Come potrei ingannarti, amore mio?--rispose Emma.

--E ti ha permesso di venire a prendermi?

--Ha dovuto cedere; ha pianto, ha pregato, ma ha dovuto cedere....

La fanciulla sorrise con amarezza.

--Io,--disse poi,--io non ti avrei detto nulla, se fossi stata Filippo;
o se per disgrazia mi fosse avvenuto di dirtelo, sarei partita subito,
subito, avrei preso con me colei che amavo, e mi sarei nascosta ben
bene. Io avrei fatto così.

Emma non rispose, e vi fu un'altra pausa lunga.

--Ma che cosa fa, a Venezia?--riprese Loredana.--Te lo ha detto?

--No.

--È tornato nella società elegante,--mormorò la fanciulla, quasi
parlando con se stessa.--Dice che non può muoversi, perchè deve
rispondere alle cortesie e agli inviti che gli fanno; e io ero qui,
sola, di giorno e di notte, in un paese che non conosco, dove tutti mi
guardano in così strana maniera!

Tacque; poi, d'improvviso, domandò:

--Che cosa voleva dire quella sciocca?

--Chi, Lori?--chiese Emma.

--La Teobaldi.

--Non ho udito nulla.

--Ma sì: ha detto che il mio malessere può avere tanti significati....

Emma alzò le spalle con disdegno.

--E una sciocca, lo hai detto,--mormorò.

Verso le otto, pranzarono in silenzio, rapidamente. L'albergatrice, che
le serviva ella stessa a tavola, indovinò qualche avvenimento grande,
e, chieste notizie della «signora contessa», non domandò altro; poi
dispose per avere una carrozza che le conducesse a Desenzano, dove
avrebbero preso il treno; e fu stupita, apprendendo che lasciavano i
bauli e le valigie.

Era un'idea di Emma, la quale non voleva portarsi a casa i regali e il
corredo fatti dal conte a sua figlia.

--Vuol dire che tornano?--osservò l'albergatrice.

--Senza dubbio,--rispose Emma.--In ogni modo, il conte s'incaricherà lui
di dare ordini pel bagaglio.

Appena la donna fu uscita, Loredana svestì l'abito di seta color d'oro,
indossò presto l'abituzzo nero, che agli occhi della madre la
ringiovaniva e quasi la purificava.

La fanciulla non parlava, come avesse avuto bisogno del silenzio per
sostenere la sua volontà e per trovare forza in quegli istanti crudeli,
in quell'ora in cui il passato cadeva nel nulla e un avvenire
torbidamente incerto le si spalancava innanzi.

Quando fu pronta, disse:

--Aspettami, torno subito.

E prima che la madre pensasse a trattenerla, Loredana uscì, discese le
scale, andò in cerca della Teobaldi.

Era ripresa dalla necessità di dire una parola a Filippo, di mandargli
un saluto; non poteva, da un istante all'altro, staccarsi da lui e
dimenticarlo; tutta la sua anima, tutto il suo corpo gli appartenevano
ancora, quantunque egli le apparisse ora così diverso da quello che
aveva sognato, così cattivo e vile.

Trovò la Teobaldi in cucina; parlava sommessamente con l'albergatrice,
presso la tavola, sulla quale eran disposti i piatti e le posate
sporche.

Loredana s'affacciò alla soglia, e con voce che fece dare un sobbalzo
alla Teobaldi, chiamò:

--Signora Clarice!

L'altra le si avvicinò senza rispondere, e la fanciulla la condusse
fuori, nell'atrio; poi prese una matita, vergò alcune parole sopra un
pezzo di carta, e disse:

--Di lei mi posso fidare?

La Teobaldi mise una mano sul petto esuberante, e rispose:

--Tesoro mio, che cosa domanda? Io darei la vita per farle piacere.

--Bene: lei deve spedirmi domattina questo telegramma; vada a Peschiera
e lo spedisca di là; qui non c'è telegrafo. Ma non dica parola ad anima
viva. Mi posso fidare?

Clarice ripetè il gesto, e rispose:

--Le ho detto: per farle piacere, darei la vita; che cosa devo dirle di
più? Domattina alle nove sarà fatto tutto.

--Prenda,--soggiunse Loredana,--questo è il telegramma, questi sono i
denari per la carrozza. Su, su, non voglio che rifiuti. Perchè deve
spender lei? E la ringrazio di cuore. Ma non parli nemmeno con l'aria.

La Teobaldi afferrò la mano della fanciulla, e domandò inquieta:

--Ci rivedremo? Tornerà?

--Sì, ci rivedremo.... Addio, grazie!

Allora Clarice non si rattenne, allungò le braccia, si strinse Loredana
al petto, baciandola sulle guancie impallidite.

--Addio, tesoro! Addio, bellezza! Che la Madonna l'aiuti....

Sentendo in quell'abbraccio il calore d'una affezione sincera, d'una
simpatia verace, Loredana si liberò dalla stretta dolcemente, e sorrise
con malinconia.

--Che la Madonna l'aiuti!--ripetè Clarice.

Ma già la fanciulla saliva rapida le scale e tornava presso sua madre,
la quale le veniva incontro, inquieta.




XV.


Le emozioni della signora Clarice Teobaldi non dovevano finir così
presto.

Quella sera stessa vide partire Loredana con sua madre nella carrozzella
che le conduceva a Desenzano. La fanciulla, vestita d'un abito nero,
inelegante e povero, mostrava gli occhi stanchi per il pianto, e tutto
il suo corpo si reggeva a mala pena, quasi che un peso invisibile e
intollerabile le gravasse le spalle.

Salita nella carrozza, fece alzare il soffietto, si rincantucciò al suo
posto, abbassò il capo, e parve con la mente allontanarsi subito da
tutto quanto la circondava. Sua madre non apriva più bocca, ma aveva
sguardi lunghi e meditabondi per la figliuola.

La vettura, partì, s'avviò per la strada sulla quale Loredana aveva il
giorno stesso incontrata la mamma; sparve nell'oscurità della sera
calante; qualche tempo ancora risonò il tintinnìo dei campanelli, poi il
silenzio ricadde come un velo fitto, che separasse per sempre il passato
da ciò che doveva avvenire.

La Teobaldi, rimasta sola, col cuore gonfio di gratitudine per la
missione delicata affidatale da Loredana, col cuore gonfio di sconforto
per la partenza della fanciulla, disdegnando esprimersi con
l'albergatrice, salì nelle camere di Loredana, ne trovò l'uscio aperto,
entrò.

Sulla tavola stava un doppiere, che la Teobaldi ravvisò nella penombra;
ella lo accese, gettò un'occhiata in giro, afferrò il senso di
desolazione ond'erano invase quelle camere, nelle quali s'era svolto un
poema d'amore. Il piano era tuttavia aperto; in un angolo stava un
grosso baule; sul divano giacevano un cappello bianco, una cintura
rossa, un ombrellino scarlatto, gettati alla rinfusa, quasi con rabbia.

Nella camera da letto, dove la Teobaldi si recò, portando con mano
incerta il doppiere pesante, restavano sul cassettone ancora tutti gli
oggetti graziosi, ch'ella aveva ammirato altra volta; spazzole e pettini
d'avorio, uno spruzzatore d'argento, un bruciaprofumi in bronzo; innanzi
al letto le pantofoline trapunte d'oro; a terra giaceva anche una
camicia da notte, che la Teobaldi raccolse, piegandosi dopo non pochi
sforzi, e ammirò per i bei merletti che l'ornavano.

Aleggiava nell'aria un profumo tenue, come la persona che era vissuta
nella camera avesse lasciato dietro di sè un solco misterioso, fatto di
olezzo inafferrabile e penetrante.

La Teobaldi ritornò nel salottino, depose sulla tavola il doppiere, e si
mise al piano.

Le tornarono alla mente le note di quella romanza, «Mon rêve», che aveva
cantato a Loredana; e le richiamò, dolcemente, stonando con delicatezza,
quasi che la fanciulla avesse potuto ancora udirla. Ella se l'imaginava
come allora, distesa sul divano, tutta bella, tutta superba del suo
amore, nervosa per l'impazienza di riveder presto il conte.

Ma volgendosi, Clarice sentì il vuoto che la circondava, e restò al
piano assorta....

Ah, essa aveva capito subito un mistero nella giovane esistenza di
Loredana, e aveva tremato subito per lei! Chi le avrebbe detto ch'ella
stessa, Clarice, sarebbe stata la confidente in quel dramma, troppo
semplice per non essere compreso?

Di quella fiducia insperata, la Teobaldi conservava così profonda
l'impressione, ch'ella si sarebbe ormai fatta uccidere piuttosto di
parlarne. Non le era mai avvenuto d'essere messa a parte d'un segreto,
perchè i maligni la dicevano pettegola; soltanto Loredana aveva
improvvisamente, istintivamente avvertito ch'ella sarebbe stata capace,
per amor proprio e per gratitudine, d'un silenzio eroico.

Non aveva nemmeno letto il telegramma affidatole da Loredana, e
l'avrebbe spedito senza leggerlo.

Presa questa risoluzione, ella passeggiò con le mani sulla tastiera
ingiallita e suonò lentamente la «Serenata» di Schubert, che le spezzava
sempre il cuore, e che in quell'occasione le fece piover dagli occhi
lagrime abbondanti. Pareva l'addio alla fanciulla lontana, che nel
frattempo viaggiava, viaggiava, verso un destino crudele, verso una
città nella quale non avrebbe trovato se non memorie di giorni
cancellati per sempre; pareva il grido d'un'anima stanca e delusa....

Ma la Teobaldi si destò di soprassalto dal suo sogno.

Aveva udito la voce dell'ostessa, la quale stava ritta sul limitare, e
le diceva:

--Che le viene in mente, signora Clarice? Bisogna chiudere, qui, perchè
mi hanno affidata tutta la roba....

--Non penserà mica ch'io son venuta a portarla via?--osservò la Teobaldi
alteramente.

--Dio me ne guardi!--esclamò l'ostessa.

--Bene, bene, me ne vado,--concluse Clarice.

Si alzò e si avviò verso l'uscio, per recarsi nella sua camera; ma
l'albergatrice aveva voglia di chiacchierare, e riprese:

--Che ne dice?

--Di che?

--Ma di questa partenza. Ha visto com'era disfatta la signora contessa?
Che ne dice, lei?

--Io? Io ho l'abitudine di non impacciarmi degli affari
altrui,--sentenziò la Teobaldi. E aggiunse, con una occhiata di
traverso:--E lei farebbe bene a imitarmi, per rispetto ai suoi ospiti!

L'albergatrice rimase intontita, fulminata da tanta austerità, alla
quale non trovava altra spiegazione se non che gli artisti son tutti
pazzi da catena.

Ma intanto la Teobaldi l'aveva piantata sulla soglia; e quasi ad
aumentar la stupefazione della femmina, riprese con tono imperativo:

--Domattina alle otto, una carrozza per Peschiera!

L'ostessa spalancò la bocca, e allargò le braccia.

--Come, signora Clarice, vuol partire anche lei!--esclamò la povera
donna.--Sarebbe offesa per quel che le ho detto, senza intenzione...?

--Che partire! Faccio una scappata e torno; starò fuori poco più
d'un'ora in tutto.

L'ostessa respirò e non rispose altro, racconsolata.

La Teobaldi fece come aveva detto. La mattina seguente, alle otto, montò
in carrozza, giunse a Peschiera, spedì il telegramma senza leggerlo, si
fece rilasciare una ricevuta, e tornò a Sirmione.

Sulla soglia dell'albergo trovò l'ostessa, che appena la vide, le andò
incontro col più schietto de' suoi sorrisi, e le disse:

--Veda, signora Clarice. Io ho chiuso l'appartamento del conte Vagli.
Queste sono le chiavi, e vorrei pregarla di tenerle lei.

Clarice le prese, le mise in tasca, e rispose:

--La ringrazio; penserò io a tutto. La ringrazio molto.

L'ostessa aveva parecchie domande da fare, ma non osò.

--Anche la signora contessa,--osservò rientrando,--sarà contenta che le
tenga lei, perchè le voleva bene.

--Ah sì, che sia benedetta!--esclamò la Teobaldi.--Mi voleva bene, mi
stimava, mi considerava. Giovane come l'acqua, ma testa fina!...

E a vincer la tentazione di spiattellare ogni cosa, s'arrampicò
bofonchiando per le scale, e riparò nella sua camera.

Vi sarebbe restata tutto il giorno, contentandosi di mangiare il
prosciutto e l'uva che s'era comprato a Peschiera, se verso le quattro
non fosse accorsa l'ostessa trafelata a chiamarla.

--Venga, signora Clarice,--ella disse alla Teobaldi.--È arrivato il
signor conte, e desidera parlarle.

La Teobaldi arrossì per l'emozione.

--Il signor conte?--ripetè.--È già arrivato? Desidera parlarmi?...

Si diede un'occhiata, per incosciente civetteria, in uno specchio che la
faceva verde; si aggiustò i cernecchi grigi, si diede un colpo di mano
alla veste, e finalmente seguì l'altra, che aveva frenato a stento
l'impazienza.

Sotto l'atrio trovarono Filippo, che passeggiava nervosamente, a testa
bassa, arricciandosi i mustacchi. La Teobaldi si sentì stringere il
cuore, vedendo quel viso sbiancato: si sarebbe detto che in così poco
tempo Filippo fosse dimagrito e che una mano invisibile lo curvasse un
poco.




XVI.


--È lei la signora Teobaldi?--egli domandò con voce spenta a
Clarice.--Ha lei le chiavi dell'appartamento?

Clarice si presentava già, le chiavi in una mano e la ricevuta del
telegramma nell'altra.

--E questo, che cosa è?--domandò Filippo guardando il pezzetto di carta.

--È la ricevuta del telegramma, che ho spedito stamane per ordine della
signora contessa,--rispose Clarice, pensando che non le conveniva far
comprendere al conte tutto ciò ch'ella aveva imaginato.

--Ah, l'ha spedito lei! Loredana ha dato a lei questo incarico!--disse
Filippo.--Lei è stata a Peschiera?

--Sì, signore,--confermò Clarice.--La signora contessa era molto buona
con me.

Filippo diede un'occhiata alla Teobaldi, poi, come colpito da un
pensiero improvviso, soggiunse:

--Io devo ritirare i bauli; vuole aiutarmi a mettere un po' d'ordine,
signora Teobaldi?

Clarice non credeva alle proprie orecchie; le maniere cortesi di
Filippo, l'accoglienza gentile, l'invito a dargli mano, la mandavano in
visibilio. Ella squadrò l'ostessa, ch'era rimasta in disparte, e
rispose:

--Io sono molto onorata, signor conte....

Filippo la precedette sulle scale, arrivò al primo piano, aperse, fece
entrare la Teobaldi, richiuse. Egli, che pur sentiva crescergli in cuore
una disperata amarezza, non battè ciglio, vedendo sul divano il
cappellino dell'amante.

--Si sieda,--disse alla Teobaldi.--Mi aiuterà quando le dirò io.

Da un largo baule pendeva il mazzo delle chiavi; Filippo aperse, e
riprese:

--Ecco, signora Teobaldi; qui occorre la sua opera. Il baule della
biancheria non può essere spedito così.

Clarice si alzò dalla poltrona, quasi spinta da una molla, e corse a
vedere: la biancheria era magnifica, in tela finissima, ornata di
merletti e di fettucce.

--Ora ci penso io,--dichiarò la Teobaldi.

E mentre con cura meticolosa estraeva dal baule la biancheria, per
riporvela poi sapientemente, Filippo prese una sedia e si mise a sedere
vicino.

--È partita ieri sera, con sua madre?--egli domandò in capo a un attimo
d'esitazione.

--Sì, signore. Sono andate in carrozza a Desenzano, e di là hanno preso
il treno, io credo.... Ma che stupende sottane!...

--Ed era allegra?--chiese Filippo.

Clarice, che passava con un carico di sottane bianche sulle braccia, si
fermò.

--Ah no, signor conte! Anzi, è stata malissimo, durante il giorno.

Filippo diventò subitamente pallido.

--È stata male?--ripetè.--Per carità, mi racconti, mi racconti tutto.

Allora la Teobaldi depose cautamente le sottane sulla tavola, prese una
sedia ella pure, e raccontò dell'arrivo di Emma, dello svenimento di
Loredana, dell'invio del telegramma, senza obliare l'incidente più
piccolo, senza dimenticar parola, quasi avesse scritto ogni cosa ed ora
rileggesse.

--Ma come ha potuto sua madre ricondurla a Venezia, se stava
male?--esclamò Filippo, quando l'altra ebbe finito.--Come ha osato
commettere questa cattiveria?... Ah Loredana, Loredana, Loredana!...

Egli chiamò l'amante a voce alta, quasicchè ella avesse potuto
rispondergli, ed era nel suo viso una tale espressione d'ambascia, che
la Teobaldi restò inchiodata sulla sedia, senza trovare una frase di
conforto.

--Lei non sa,--riprese Filippo,--lei non sa, non imagina che cosa sia
Loredana per me: è la vita, capisce? Me l'han portata via, come si
strappa un balocco dalle mani di un fanciullo, e vorrebbero ch'io
tacessi, che figurassi anzi quasi un complice, che non la vedessi
più.... Non veder più Loredana, le pare possibile?

La Teobaldi fece un gesto disperato con le mani, come a dire:
«Impossibile», ma il gesto richiamò Filippo alla percezione della
realtà; sentì quasi meraviglia di trovarsi di fronte alla vecchia dalle
sopracciglia al nerofumo e di sorprendersi a parlarle con tanta
confidenza. Mutò voce, e disse:

--Vogliamo riprendere il lavoro?

Clarice riprese tosto, e, curva sul baule, sostando ad ogni poco, trasse
tutta la biancheria e ve la rimise lentamente.

--Lei è di Venezia?--domandò Filippo, dopo una pausa.

--No, signore; son di Verona; ma ho a Venezia qualche parente....

--Ah!--mormorò Filippo.--Allora conosce bene Venezia?

La Teobaldi sbuffò, perchè si rialzava, dopo aver collocato nel baule
una bella collezione di calze di seta.

--Certo,--disse.--Vado a Venezia almeno due volte all'anno.... Queste
calze rappresentano un tesoro; la calza di colore per l'estate è
l'ultima parola della moda.

--Se viene a Venezia,--interruppe il conte,--non si dimentichi di me:
avrò piacere di vederla....

--Ah, conte!--esclamò la Teobaldi.--Metter piede a palazzo Vagli, io,
povera meschina!

Ella s'era fatta più rossa pel piacere, e s'imaginava già d'arrivare in
gondola al palazzo, di salirne le scale preceduta da un valletto in
livrea, di incontrarsi con qualche dama dal nome sonante, e di potere un
giorno destar l'eco delle ampie vôlte con le note d'una romanza,
probabilmente intitolata «Mon rêve»....

--Che idee!--osservò Filippo.--Perchè non dovrei io trattarla come la
trattava Loredana?

Il nome della fanciulla risonò di nuovo nella camera, risonò
dolorosamente nel cuore dell'uomo. Egli ripetè:

--Venga a trovarmi, venga a trovarmi.

E alzandosi, andò alla finestra a guardare il lago, placido nel suo
denso color di cobalto.

Clarice intuì ch'egli era caduto di nuovo in preda al dolore e ai
ricordi, e non volendo riuscire importuna, si studiò di lavorar presto,
senza chiasso, ma con precisione. Riempito un baule, passò nella camera
da letto, raccolse le spazzole, i pettini, le fiale, tutti i preziosi
gingilli ch'eran rimasti sul cassettone e ne fece un imballaggio
accurato; poi guardò gli altri bauli, accomodò quelli ch'erano in
disordine.

E mentre, sudando e soffiando, faticava con tanto entusiasmo e con sì
accorta discrezione, pensava che alla sua non più giovane età--ella non
confessava gli anni nemmeno a se stessa--aveva finalmente il conforto
d'esser compresa. Prima Loredana, poi il conte, uno dei più nobili
patrizii veneziani, riconoscevano in lei la donna saggia, prudente,
fidata; e, oltre la soddisfazione di quella tarda vittoria, ella gustava
la voluttà di vivere in pieno romanzo, tra una tempesta di passione,
della quale sentiva la rossa fiamma, sognava i vaghi episodii.

La voce di Filippo, che le risonava alle spalle, la fece trasalire.

--Io credeva di trovarla qui,--egli disse, pensando a Loredana.--Il suo
telegramma non era chiaro. Se lo ricorda?

--Io non l'ho letto, signor conte,--dichiarò Clarice con solennità.--Ho
eseguito l'incarico affidatomi, e mi sarebbe parsa indiscrezione
riprovevole gettar l'occhio sul....

--Bene,--interruppe Filippo.--Diceva: «Un addio prima di partire».
Credevo d'arrivare in tempo. Ah se non ci fosse stato di mezzo Candriani
con quella sua stupida compagnia e quella gita, e quel pranzo! Ma non è
possibile finirla così.... Che cosa devo fare, che cosa devo fare?

Clarice Teobaldi, udendo parlare di Candriani, di compagnia, di gite e
di pranzi, ebbe la vertiginosa impressione di trovarsi già a piene vele
nell'oceano della grande società; e sedette, si asciugò la fronte con la
pezzuola, ripetè guardando per terra:

--Che cosa dobbiamo fare?




XVII.


«Non si tratta d'una pagina della mia giovinezza; si tratta della mia
vita intera». Le amare parole che la figlia aveva pronunciato in un
grido di dolore, tornarono alla mente di Emma De Carolis non appena ebbe
varcata la soglia di casa a Venezia.

Tutto era mutato. Loredana trascinava con sè, in quelle camere già piene
delle sue risa e del suo canto, qualche cosa d'infinitamente triste,
qualche cosa che non si poteva vincere, qualche cosa che mutava il senso
della vita, rimanendo immutabile.

Emma la guardava camminare, parlare, vivere, senza riconoscerla; la
fanciulla d'un giorno era spenta.

Subito, appena arrivata, Loredana s'era messa a letto con la febbre;
quel viaggio di sera, da Desenzano a Venezia, quella strada già percorsa
in senso inverso con Filippo, e tutta piena di episodii memorabili, le
avevano suscitato in cuore un tale spavento, una tale disperazione, da
farle perdere conoscenza appena tornata nella sua casetta sul campiello
muto.

E di quello strazio le eran rimasti in mente una lettera e un numero, «a
3622 a», ch'erano segnati all'interno sulla portiera del vagone, e che
ella aveva fissato per tutto il tempo del viaggio attraverso la campagna
scura.

Furono giorni orrendi.

La canicola mozzava il respiro; Venezia era deserta; i vaporetti
portavano al Lido orde di disperati in cerca d'aria più leggera; e lo
scirocco pesava, spietatamente, fiaccando il corpo e lo spirito di
giorno e di notte.

Per un mese intero, Loredana non volle uscir di casa; la gente le
incuteva paura, i discorsi la irritavano; se la madre era intorno a lei
con mille piccole cure insolite, ella sentiva la pietà pel suo dolore, e
il dolore le tornava più vivo; se la madre si sforzava di fingersi
lieta, Loredana si sentiva sola, avvilita, torturata da un sogno e da un
rimpianto inutili.

Ad ogni tentativo di sollevarsi, di liberarsi, di rivivere, s'agitavano
in lei i ricordi minuti del suo amore, ed era come chi non potendo
retrocedere, nè avanzare, nè durare sul posto, si dispera in cerca d'un
aiuto o d'una idea o d'un'illusione.

Di Filippo, non più notizie. Che pensava? Che contava di fare? L'aveva
abbandonata così, approfittando dello insperato intervento della madre?
Il suo amore era stato anche più vile e più rapido d'un capriccio;
Filippo aveva voluto il corpo della fanciulla, lo aveva corrotto per la
sua libidine, lo aveva foggiato a strumento di piacere; e, subito
stanco, non tentava nemmeno difendere la sua conquista. Tre anni di
finta amicizia gli avevan dato finalmente il possesso di Loredana; e
pochi giorni eran bastati a saziarlo; essa era stata il suo zimbello per
tutto quel tempo; e non aveva memorie che di Filippo, perchè tre anni
addietro era una piccoletta, che confondeva ancora il conte con le
bambole.

Come vivere, ormai? Che cosa poteva sperare? Aveva provato ogni gaudio
nel giro di brevi giorni; il suo corpo sentiva ancora la carezza lunga e
morbida, che l'aveva iniziata all'amore, dando al sangue un moto più
vivo, più gagliardo, più impetuoso; e tutto d'improvviso le era stato
tolto; e le notti insonni erano insopportabili per lo spasimo del
desiderio che le ricordava una bocca ardente, un abbraccio violento, una
preghiera e un dominio.

Ma non era possibile che Filippo fosse così repentinamente scomparso
dalla sua esistenza. Doveva tornare; sarebbe tornato domani, doman
l'altro, un altro giorno prossimo; l'avrebbe richiamata, per continuare
quel gaudio, per confondere le anime loro....

Il passo di sua madre la faceva trasalire. La mamma aveva snebbiato il
sogno, e invece dell'amore di Filippo le aveva recato il perdono. Chi
chiedeva il suo perdono? Erano felici; lassù, ai piedi delle Grotte, non
si ricordava la madre, non si ricordava il mondo; le acque del lago
erano limpide e gli amanti vi si specchiavano, e le loro voci avevano
toni d'infinita sollecitudine, e le giornate erano brevi, e le notti
erano brevi. Egli la spogliava con quelle sue mani esperte, e ogni sera
ella arrossiva, fremendo e sentendo il fremito di Filippo, che voleva
indugiare e far presto, contemplare e possedere, allontanar la coppa e
bere avidamente. Il mattino, sempre lieto, ascoltava i loro discorsi;
dovevano partire di giorno in giorno. Filippo parlava di Roma con un
entusiasmo che nessuno avrebbe mai supposto in lui; Roma tutta dorata
d'un sole giallo e abbagliante, Roma stupenda a dispetto degli uomini e
del tempo, Roma che ha visto milioni di pellegrini d'amore, sperduti e
obliati nei secoli, contenti e umili, Roma appariva anche nei sogni di
Loredana. E dovevano andarvi di giorno in giorno, ma intanto le acque
limpide del lago e la quiete del paese e il bel silenzio e le care
abitudini di giorno in giorno li trattenevano. Che importava? Vi
sarebbero giunti, più tardi; come presente e come avvenire non avevano
che il loro amore, il quale pervadeva anche tutto il passato di
Loredana; sarebbero giunti più tardi a Roma, col loro amore, grande
abbastanza per così grande teatro....

Invece di quell'arcano, di quell'intimo poema, fatto di realtà e
d'illusione, forte e inebbriante questa come quella, la vita s'era
chiusa d'un tratto. Pareva a Loredana d'essere stata colta nel sonno e
trasportata a Venezia; e nessuna di tante delizie esisteva più; non
restava che il perdono di sua madre e l'obbligo di tacere, simulando una
verginità di corpo e di mente, che aveva offerto da tempo in olocausto,
tutta vibrante di gioia, al solo uomo degno d'insignorirsene.


Poi cominciarono i pettegolezzi.

Emma De Carolis s'accorse in breve, con terrore, che tutti sapevano. Che
cosa sapevano? Ogni cosa e niente. Ma nessuno aveva creduto al soggiorno
di Loredana a San Donà; avevan fatto finta di credere per convenienza;
si era notato che a San Donà Loredana non aveva messo piede quell'anno,
e che sua madre era turbatissima, e che rifuggiva dal parlarne; e che
una notte era tornata da un paese misterioso, con la figlia, che non
pareva più quella, che alcuni dicevano malata, che altri affermavano
essersi imbruttita e che gli uomini esperti giudicavan bella, degna di
concupiscenza e già istruita per l'amore.

S'era saputo che anche quel signore, un conte, il conte Filippo Vagli,
il quale frequentava la casa da amico intimo, anch'egli era stato
assente da Venezia tutto il tempo ch'era mancata Loredana.... Come
s'era saputo? Per quella misteriosa catena di parole e di chiacchiere,
che ha talvolta il primo anello in un'alcova e l'ultimo in una bottega.

La famiglia Gianella, avuto appena sentore di qualche diceria, soffiò
sotto, perchè il giovane Adolfo non tornasse a incapricciarsi di quella
svergognata, non pensasse alle volte di sposarsi quella disperazione. Si
determinarono i fatti: Loredana era scomparsa qualche tempo per mettere
alla luce un figlio, che aveva abbandonato in campagna, presso una
contadina; il figlio era nato dalla tresca tra la ragazza ed il conte,
il quale aveva coronato l'opera abbandonando la sedotta.

E vennero fuori i testimonii improvvisati di quell'amorazzo: chi aveva
visto Filippo entrar nella casa a notte fatta e non partirsene che
all'alba; chi aveva notato che la madre lasciava gli amanti soli, chiusi
in camera, per lunghe ore; una vicina, affacciandosi alla finestra,
aveva dovuto assistere agli amplessi dei due, che si davan baci
spudoratamente; un'altra invece affermava che non appena giungeva in
casa Filippo, le finestre del salotto si chiudevano e si tiravan cortine
e tende.

Questa marea di fango saliva, saliva, a poco a poco; forse in qualche
anima di ragazza brutta o di donna volgare rodeva anche l'invidia per
l'avventura, qualunque ella fosse stata, e ciascuna, pensava che al
posto di Loredana avrebbe ceduto, ma più sapientemente, così da
provvedere anche al proprio domani; e ciascuna si rammaricava di non
aver trovato un ricco signore per amarlo, esserne amata e metter da
parte un peculio. Onde, allo sdegno per la verecondia calpestata, non
andava disgiunto in quelle donne un certo senso di commiserazione
sprezzante per l'idealismo di Loredana, che seminava figlioli senza
assicurarsi l'avvenire.

Ma quella madre! Quella madre che non aveva occhi nè orecchie, e si
lasciava sedurre in casa la figlia, e se la riprendeva poi con tanto
agio! Che pensare di quella madre, se non che ella avesse trovato il suo
tornaconto nell'affaraccio?

Una comare, la signora Opimia Incudi, un vero chiodo dalla testa piccola
sopra il corpo allungato, si presentò finalmente a Emma De Carolis, la
quale non ricordava bene dove l'avesse conosciuta; e avvisò la signora
delle voci che correvano, perchè sapesse regolarsi, perchè non si
fidasse della gente, perchè provvedesse a tutelare l'onore suo e della
figliola, perchè era tempo di metter fine a tanta cattiveria. E nel
frattempo la signora Opimia stava a guardar l'effetto delle notizie
sulla faccia di Emma, e aspettava qualche risposta che servisse a nuovi
comenti e a nuove induzioni. La faccia di Emma era pallidissima, gli
occhi le si appannavano per lo sdegno; ma mentre appunto doveva venir la
risposta, la difesa, la confessione, qualche cosa che ripagasse la
signora Incudi della sua buona opera, comparve in salotto Loredana, la
quale si fece ripetere tutta la storia.

E fu un colpo per la signora Incudi, quando la fanciulla si mise a
ridere. Anche la mamma la guardò con un senso di sollievo, perchè aveva
temuto che Loredana soffrisse acerbamente.

Loredana rideva, senza ostentazione, trovando nuova cagione d'allegria e
di risa nell'aspetto stralunato della signora, alla quale traballava la
punta del naso lunghissimo sotto l'impressione della maraviglia.

Poi, senza dir parola, Loredana uscì, lasciando che sua madre
s'indignasse per le calunnie riferite; e non fu mai così allegra come
quel giorno.

La visita della signora Incudi le aveva fatto bene, le aveva recato un
alito di vita; il susurro di quei pettegolezzi la ristorava. Non aveva
cercato di meglio; ora sapeva, ora aveva il concetto chiaro di quel che
poteva aspettarsi.

Era contenta che si mormorasse; ciò le risparmiava la commedia che sua
madre aveva ingenuamente pensato, quella commedia di verginità, che le
ripugnava. Era stata l'amante di Filippo, non aveva amato che lui ed era
ancora sua.... Doveva fingere per la signora Incudi e per le sue amiche,
doveva far loro intendere la nobiltà del suo sentimento, se quelle
femmine per poco non l'accusavano di avere ucciso un figlio?

Ormai, al confronto di tutto ciò che si narrava, esser l'amante di
Filippo sembrava quasi una virtù; e lieta di quella strana liberazione
dalle paure del mondo, che la malignità del mondo le offriva, Loredana
sentì crescere il coraggio per sostener meglio lo sguardo di sua madre,
per attendere ciò ch'ella sperava in segreto ostinatamente, per vivere
della sua vita, senza curarsi del giudizio altrui. La collana d'oro a
maglie piccoline con la medaglia era diventata un talismano, e la
fanciulla aspettava, credeva, perchè la medaglietta diceva: «Sempre» e
recava una data, che Filippo non doveva dimenticare.

Si rimise a vivere; andò a trovar qualche amica, la quale non pareva
saper nulla, ma non domandava nulla intorno a quanto aveva fatto
Loredana in quell'ultimo tempo; uscì a passeggio, e perfino un giorno,
un giorno dal sole furioso, le salì alle labbra un motivo che non le
piaceva e che pur l'inteneriva, e si provò a cantare, e tacque subito,
perchè quell'aria le rammentava la cameretta cara di Sirmione e la
povera signora Teobaldi, tanto maltrattata in principio, che si girava
sullo sgabello di reps rosso, e diceva, aspettando un elogio:

--Eh?




XVIII.


Poi, d'un tratto, Loredana si rintanò in casa di nuovo, come impaurita,
e non volle più uscirne.

Aveva incontrato Adolfo Gianella per istrada e s'era rifugiata in un
negozio a comprar bottoni e nastri; ma non così presto che Adolfo non
avesse potuto vederla, sentire il sangue avvampargli la faccia e il
cuore martellargli in petto.

Gli avevano tanto e tanto parlato di Loredana, delle sue colpe, dei suoi
amori, della sua perfidia, che mentre egli lavorava a tutt'uomo per
dimenticarla, essa gli tornava alla mente con acre persistenza; e la
fantasia s'infervorava a seguirla nel turbine della nuova vita, tra i
divertimenti che il seduttore prodigava certo intorno a lei, per
ubbriacarla di gioia e avvincerla a sè tenacemente.

Poi Adolfo apprese la notizia del suo ritorno, e ne fu percosso come da
un gran colpo; il ritorno scombuiava tutte le visioni fantastiche. Era
un pentimento? Era una sconfitta? Era una sosta? E i pettegolezzi
incalzavano; il conte l'aveva abbandonata, l'aveva gettata da banda,
come un cencio. Tornava povera come prima, e non era più come prima....

Adolfo imaginò la disperazione di colei ch'egli chiamava un giorno sua
fidanzata; e s'alternava nel suo animo il piacere della vendetta
insperata con la vergogna per quel piacere; e, quando meno se
l'aspettava, s'imbattè in lei, e sentì il cuore martellargli in petto e
il sangue avvampargli la faccia.

Allungò il passo, non sapendo egli medesimo che volesse fare, spinto dal
bisogno di leggere la verità su quel viso, di rintracciare dentro gli
occhi della ragazza la parola suprema dell'enigma; ma Loredana, al
vederlo, si gettava nel primo negozio che le si parava innanzi, e Adolfo
non osava aspettarla all'uscita.

Di quell'incontro egli non soffiò verbo ad alcuno; in casa Gianella, del
resto, dopo un uragano di romanzesche calunnie e di drammatiche
imprecazioni, il nome di Loredana non si pronunziava più; la madre di
Adolfo per poco non spingeva l'ostentato disdegno per la perduta fino a
vestir di gramaglia, come si usa nelle case principesche.

Ma la visione della ragazza bruciava dentro, nel cuore di Adolfo; ed
egli cominciò a gironzare intorno alla casetta bianca, a guardar le
finestre, ad aspettare. E tremava e sperava di rivederla, perchè tutte
quelle avventure, vere o false, gliel'avevano ingigantita nel pensiero,
ed egli temeva di subirne il fascino, come se Loredana avesse compiuto
qualche grande impresa della quale nessuno l'avrebbe detta capace.

In quell'andirivieni intorno alla casa di Loredana avvenne ad Adolfo
d'imbattersi e una e due e dieci volte in una signora, che si poteva
credere lo canzonasse, perchè anch'essa gironzava di frequente nei
dintorni, anch'essa guardava le finestre; anzi, fu più spiccia del
giovane, perchè entrò in dimestichezza con Rosa, la serva della De
Carolis, la quale pareva zelantissima nel recarle notizie. Si trovavano,
la signora e Rosa, in una calle vicina, all'ombra d'un sottoportico, e
generalmente la signora consegnava a Rosa una lettera, alla quale Rosa
portava la risposta l'indomani.

Adolfo non riusciva a capir nulla in tutto quell'armeggiare; la
sconosciuta era assai ridicola, con un certo cappello alla cacciatora,
che le stava appena sul cocuzzolo e ch'era ornato d'una penna di
fagiano, ardita come una sfida al cielo; ma c'era di peggio: la signora
guardava Adolfo con occhiatacce mezzo beffarde e mezzo compassionevoli,
le quali avrebbero fatto perder la pazienza a chiunque non avesse avuto
un demonio più sarcastico e più fiero nel cervello.

E fu appunto per le stratte di quel demonio, che non voleva star queto e
che aveva tutta l'andatura d'una passione irragionevole, fu appunto in
un impeto di dubbio, di gelosia, di paura e d'amore, che Adolfo Gianella
varcò la soglia della casetta, e su a corsa per le scale, dietro Rosa
che, rientrando, non gli aveva badato.

In anticamera, Adolfo si fermò. Gli giunse, netta e squillante, la voce
di Loredana, la quale doveva essere nel salottino; e la fanciulla
cantava a distesa, con pieno abbandono, come se tutta la bella gaiezza
veneziana, come se tutta l'audacia della giovinezza avessero ripreso il
loro dominio. E tra l'una e l'altra strofe del canto s'udiva il rumor
delle forbici posate sul tavolino da lavoro o il passo svelto della
ragazza, che si muoveva per la camera.

Senza discutere con se stesso, Adolfo spinse la porta, e si trovò alla
presenza di Loredana, la quale stava adattando un pezzo di seta gialla a
una certa forma di ferro ch'era un paralume da candela; innanzi a sè la
fanciulla aveva altri pezzi di stoffa a colori e diversi gomitoli di
seta; ed era così assorta nel lavoro e nella canzone, che il giovane
dovette chiamarla:

--Loredana!

Ella alzò il capo, e trattenne a stento un grido; ma Adolfo aveva già
detto ogni cosa, e non sapeva come continuare, come esprimersi, come
riprendere d'un subito le abitudini di padronanza.

Sprofondò le mani nelle tasche della giacca, e disse:

--Sei stata l'amante del conte, non è vero? Così, ti preparavi a
sposarmi? E non hai vergogna?

Loredana mandò un lampo dagli occhi. Aggredita di fronte, non esitò un
attimo a rispondere:

--Io mi preparava a sposar lei? Non mi è mai venuta per la mente un'idea
così malinconica, sa? Era la sua famiglia, che mi seccava tutti i giorni
per ottenere questo sacrificio. Io non pensava a sposare nessuno....

--Già, volevi conservarti per il conte,--osservò Adolfo con ironia.--Ti
sei conservata benissimo, non c'è che dire!

La ragazza arrotondò con le forbici una certa lingua, di seta violetta,
che doveva ricadere sul paralume a uno dei quattro angoli; misurò
l'altezza, adattò, provò, cambiò, tranquillamente, senza occuparsi del
giovane, fremente nell'attesa di una discolpa.

--Non so,--disse poi,--come ha potuto venire fino in casa; ma se per la
stessa strada se ne andasse, non mi dispiacerebbe.

--Mi metti alla porta?--esclamò Adolfo.--Invece di scolparti, invece di
giurarmi che col conte non c'è stato nulla di nulla, tu mi metti alla
porta?

--Scusi, perchè dovrei scolparmi? Che cosa rappresenta, lei? Chi è,
lei? Che diritto ha lei di giudicarmi?

A queste parole di Loredana, Adolfo si lasciò calare in una poltrona,
come annichilito. Chi era, che cosa rappresentava, che diritto aveva?

--Io,--mormorò,--sono pronto a sposarti.

Loredana si mise a ridere.

--Ma non sono pronta io, vede?--rispose, arrotondando un'altra lingua di
seta violetta.--E, del resto, la sua dichiarazione mi stupisce: mi crede
o non mi crede l'amante di Filippo.... del conte?

Adolfo si strinse nelle spalle.

--Me l'hanno detto,--mormorò.--Me l'han detto a casa, che tu sei stata
col conte fuori di Venezia.

--E tuttavia mi sposerebbe?--incalzò Loredana.

--Ma perchè non ti difendi?--gridò Adolfo balzando in piedi.--Perchè non
mi dici se sei stata o non sei stata l'amante di colui?...

Egli era avanti al tavolino da lavoro, con le mani aperte e stese
dirette al volto di Loredana, la quale lo guardava, piuttosto attonita
che intimorita.

--Vede,--ella rispose pacatamente,--innanzi tutto non basta dire a una
donna: «Son pronto a sposarti» per acquistare il diritto di indagarne la
vita; poi, io m'ingannerò, ma lei mi sembra disposto a sposarmi in tutti
e due i casi, che io sia stata, o che io non sia stata l'amante di
Filippo.... del conte. E allora, a che pro una discolpa o una
confessione?...

Adolfo, il quale era rimasto, ancora con le mani aperte e stese, ad
ascoltar la risposta della colpevole, si sentì vinto, e si lasciò calar
di nuovo nella poltrona. Egli ritrovava, immutati, l'anima sdegnosa, la
sensibilità intellettuale, l'intelligenza acuta, la rapida intuizione,
l'orgoglio, il coraggio, che facevano la ragazza tanto superiore a lui.
Egli era andato arrovellandosi per sapere che cosa volesse, che cosa
intendesse fare, e se lo sentiva dir dalla bocca di Loredana, e doveva
riconoscere che quella bocca diceva giusto....

--Non so,--egli riprese, tanto per riattaccare il discorso.--Non so
nulla. Ti hanno accusata anche d'aver avuto un figlio e di essertene
sbarazzata.

Lo forbici, che stavan nella mano della fanciulla, descrissero uno
stretto arco nell'aria, e andarono a cadere ai piedi di Adolfo. Il viso
di Loredana avvampò di collera, e le labbra le tremarono.

--Mi hanno detto, ti hanno accusata!--ella ripetè, imitando il tono
piagnucoloso del giovane; poi esclamò con forza:--E lei, che cosa
faceva, che cosa diceva, che cosa raccontava? Stava ad udire, soltanto?
Non son tre mesi, lei veniva per casa tutti i giorni e sapeva della mia
vita ogni cura, minuto per minuto; e non ha trovato un argomento per
difendermi, come amico, come fidanzato? Bel rispetto avevan di lei
quanti venivano a dirle quei complimenti!... E vuole ch'io mi difenda
innanzi a un pupazzo del suo genere, e che tremi davanti a un giudice
della sua levatura? Non capisce d'essere stupido? Se in casa sua si
sparlava della ragazza che doveva un giorno portare il suo nome, lei
aveva l'obbligo di farla rispettare, mi sembra! Invece, porta qua tutto
il rifiuto dei pettegolezzi, pretende ch'io lo ascolti e vuole sapere
anche se, caso mai, avessi avuto un figlio! Non s'avvede, non sente di
essere ridicolo?...

--No, ascolta,--interruppe Adolfo, alzando la destra quasi a frenare
quel torrente.--Io non voglio sapere nulla....

Ed era, per seguitare, quando la porta s'aperse e comparve la signora
Emma, seguita da Clarice Teobaldi, col cappellino alla cacciatora.

--Ah, è lei!--disse Emma, vedendo Adolfo, che s'era levato in piedi.--Mi
era parso di riconoscere la voce....

Non aggiunse parola per lui; poi si rivolse a Loredana:

--Lori, questa signora dice che tu l'aspettavi....

La fanciulla andò incontro a Clarice e le strinse la mano sorridendo,
mentre Adolfo, combattuto tra il desiderio di capire, la convenienza
d'andarsene, l'impressione per la gelida accoglienza fattagli dalla
signora De Carolis, restava in piedi a guardare or l'una or l'altra
delle tre donne.

--Se m'aspettava!--esclamò Clarice, gettando le braccia al collo di
Loredana.--Doveva aspettarmi, questo tesoro, perchè da tanto tempo
desideravo rivederla! Ho sempre nel cuore quella partenza, di sera, con
la carrozzella.... Lei era così bianca, così debole....

Soggiunse, guardando Emma:

--Già, erano bianche e deboli tutt'e due, madre e figlia....

Loredana disse presto:

--Le presento il signor Adolfo Gianella.

Clarice fece un cenno con la testa, verso Adolfo che s'era avanzato di
qualche passo; poi tutti tacquero; Clarice e Loredana sedettero l'una a
fianco dell'altra sul divano, come intime amiche, sorridendosi.

--Fa molto caldo a Venezia,--riprese Clarice.--A Verona non abbiamo
questo scirocco....

--Sì, fa molto caldo,--confermò Emma, la quale stava sempre a un passo
dalla porta, e si augurava che l'uno o l'altra, Adolfo o Clarice,
comprendesse la necessità di ritirarsi.

Ma erano ostinati ambedue. Adolfo, ormai, aveva ripreso posto nella
poltrona, e sembrava deciso a voler seguire la conversazione.

--A Venezia abbiamo poi le zanzare,--egli disse.

--Le zanzare, sì, ma ci sono le zanzariere,--osservò Loredana.

E tacquero di nuovo.

Emma si sentiva morire per quella commedia, maravigliandosi che la sua
Lori vi prendesse parte. La buona donna, al ritorno da Sirmione, aveva
perduto l'energia e la volontà, soffrendo per la sofferenza della
figlia, chiedendosi se il suo intervento non fosse stato inutile di
fronte al traboccar della maldicenza, tormentandosi ogni giorno per
mille timori, studiando ansiosamente negli occhi di Loredana il pensiero
segreto, la segreta ambascia, e rideva quando rideva la sua Lori, e
piangeva quando la sua Lori piangeva, e ormai non avrebbe più discusso,
non avrebbe più riflettuto, pur di vederla felice, a qualunque costo.

Per ciò, la visita della Teobaldi le era gradita, perchè sembrava
gradita a Loredana; ma non le piaceva che si dovesse fingere innanzi al
Gianella, come se la Teobaldi fosse venuta per tramar qualche intrigo.

--Lei non è di Venezia?--domandò Adolfo a Clarice.

--No; ma conosco bene la città,--rispose l'altra.

Un silenzio pesante ricadde; e allora, comprendendo ch'era impossibile
uscirne, Adolfo prese congedo.

--Tornerò, se permette,--disse a Loredana.

Questa non rispose. Egli s'avviò, seguito da Emma, la quale ardeva di
sbarazzarsi dell'impaccio per lavorar nella sua camera ad una coperta da
letto, nella quale doveva ancora ricamare trenta foglioline in seta
verde e sessanta viole del pensiero.




XIX.


Dal giorno in cui era tornato a Venezia, Filippo aveva passato molte
brutte ore.

L'onda del pettegolezzo aveva varcato anche la soglia della sua casa, e
le chiacchiere s'eran fatte più strambe e più inverosimili. All'orecchio
della contessa Bianca giunse la voce che Filippo aveva avuto un figlio
dalla sua amante, e perchè la contessa non sapeva a qual tempo
risalissero quegli amori, e perchè si parlava di tre anni addietro, ella
credeva a quel legame, ormai indissolubile, a quella paternità
inconfessata.

La contessa Bianca andava da tempo accarezzando l'idea d'un matrimonio
tra suo figlio e Giselda Fioresi, buona e bella ragazza, di eccellente
casata; e la notizia le rompeva il sogno e la sbalestrava in un mare
d'incertezze e di dubbii.

Fu necessario spiegarsi, riparlar di Loredana, discutere un amore che la
vecchia dama avrebbe voluto obliare. Avvenne una scena brusca tra lei e
Filippo, il quale negò l'esistenza di un figliuolo, ma s'impennò
all'idea di sposar quella «canna da zucchero» di Giselda Fioresi. Egli
voleva esser libero; per dare scandalo, diceva la contessa Bianca;
perchè era ancor troppo giovane, diceva lui.

Un'altra scena, più breve ma più cruda nella forma, avvenne poco di poi
tra Filippo e il cognato, conte Leopoldo de Idris, il quale viveva senza
passioni e senza turbamenti una vita di piaceri semplici, in campagna,
amministrando i suoi poderi, interessandosi all'agricoltura e alla
politica modesta della provincia. Leopoldo si stupì che Filippo si
perdesse ancora dietro una _cocotte_, ma fu addirittura spaventato
quando seppe dalla bocca di Filippo medesimo che non si trattava d'una
_cocotte_, bensì d'una ragazza, la quale doveva aver dunque delle
pretensioni, una specie d'onore, molto da perdere e più ancora da
guadagnare. Fu spaventato per Filippo, che certo non avrebbe saputo
cavarsela con garbo, senza troppo danno da ambo le parti.

E qui Filippo sentì scappar la pazienza.

--Ma che cavarsela! Ma che garbo!--egli esclamò.--Le voglio bene sul
serio, e non penso affatto a cavarmela. Ho fatto male a cominciare,
siamo d'accordo, benchè in queste cose ci si accorga sempre troppo tardi
dell'errore commesso; ma farei peggio a finirla con qualche gherminella!

Il conte Leopoldo, ancora più inquieto per quelle dichiarazioni, domandò
a Filippo se pensasse mai di tirarsela in casa....

--In casa, di chi?--rispose Filippo.--In casa tua, no di certo; tocca a
me provvedere, e non so perchè, dunque, voi tutti vi disturbiate.

Leopoldo, allora, tornò alle idee generali, osservando che all'età di
Filippo si doveva vivere quieti, pensare a far figliuoli legittimi, che
continuassero la casa e allietassero la bella vecchiaia della contessa
Bianca, la quale non meritava d'essere travagliata nei suoi ultimi anni.

L'argomento era di quelli che trovano la strada del cuore; e Filippo,
sentendosi toccato, s'infastidì, rispose a Leopoldo ch'era stufo di
dover rendere conto a tutti delle più minute cose della sua vita come un
collegiale, che desiderava ormai vivere libero, senza tutela e senza
giudici.

E su quel «vivere libero» si scatenò una gragnuola di osservazioni da
parte di Leopoldo, il quale temeva che libero per Filippo fosse sinonimo
di libertino; e, presa ormai la corsa, rammentò altre avventure del
cognato, che avevan fatto chiasso, col risultato finale di voltargli
contro l'opinione pubblica.

Ma peggio fu, quando Filippo si vide comparire lo zio conte Roberto, del
quale non aveva più avuto novella dopo l'incontro a Desenzano. Roberto
gli snocciolò un discorso assai lungo e reciso, che Filippo ascoltò
sbalordito, perchè aveva creduto di trovare nello zio il compatimento
ch'era la caratteristica più nota della sua buona indole, quel
compatimento che Roberto non lesinava a nessuno per nessuna colpa, la
quale non fosse ignobile e vile.

Roberto, invece, dichiarò al nipote che la condotta di lui era assurda,
per non dir peggio; Filippo aveva messo lo scompiglio nel parentado, in
causa d'una ragazzetta, d'una monella, e tutti erano addosso allo zio,
come al più vecchio, perchè si valesse della sua autorità a far cessare
quella tresca.

Filippo capì; lo zio era sdegnato, perchè seccavano lui e mettevano in
giuoco il suo prestigio; lo avevan toccato nel suo egoismo senile, ed
egli era pronto a mandare al diavolo il nipote e la «monella», pur di
non avere più noie.

--Del resto,--osservò il conte Roberto,--mi maraviglio di dover dirtele
io, certe cose. Non ha una madre, un padre, quella tua bambola? E come
si spiega che stiano zitti, e che tocchi a noi, a tua madre, a tuo zio,
a Leopoldo, a tua sorella, di richiamarti al dovere?

--Ha una madre,--rispose Filippo.--Ha una madre, e la madre è venuta a
Sirmione e me l'ha ripresa....

--Bene!--esclamò Roberto.

--Sì, benone; ma, ora io la riprendo alla madre!--dichiarò Filippo, che,
torturato ed esasperato da tante chiacchiere, si sentiva capace di
strappar Loredana anche agli artigli di quel diavolo, al quale Roberto
l'avrebbe consegnata.

Il vecchio, stupefatto per tale sfacciataggine, gridò che rinunciava a
discutere con un matto di quella forza. L'ostinazione di Filippo
oltrepassava il credibile; tutto gli andava a seconda, grazie a una
madre dabbene, che si riprendeva la figliuola dopo quel po' po' di
scappuccio; ed egli invece era per ricominciar la festa e per condurla a
termine, a un termine che non doveva e non poteva aver nulla
d'invidiabile.

--Come devo dirtela?--seguitò il conte Roberto.--È uno scandalo; te lo
hanno già cantato in musica; io non ho nulla da aggiungere. Tutti ne
parlano; anche l'altro giorno, a Tai di Cadore, da Fausta Montegalda ho
udito i particolari di questa farsa, e puoi imaginarti che gusto provavo
io! La contessa dice che ti rovini, e non si può darle torto.

Filippo sorrise.

--Eh, ridi, ridi fin che vuoi, ma la Montegalda dice giusto!--esclamò
Roberto.--Dice che, alla fin fine, nessuno sa chi sia quella tua
pupattola, e che potrebbe aver fatto con altri quel che ha fatto con
te.... Chi ne sa niente, chi la conosce!

--Povero zio Roberto!--mormorò Filippo.--Va da una donna a chiedere
informazioni di questo genere! Perchè non domandi il suo parere anche
alla Fioresi, che mi vogliono appioppar come moglie?

Roberto alzò le spalle.

--Insomma,--concluse,--io sono indignato per i tuoi vizii, e la cosa non
va.

--Non ti ho indignato io,--osservò Filippo.

--Ma non dimenticherò che hai sorriso dei miei consigli!--rimbeccò il
conte.

--Ho sorriso per le critiche della Montegalda.

--E per le mie; e non si deve ridere d'un vecchio.

--Per la Montegalda, per la Montegalda!--gridò Filippo.

--Già, e intanto ti ripigli la sbarazzina!

--Ciò non ti riguarda, zio.

--Ne riparleremo!

--Spero di no; vedo che più che se ne parla e meno ci si capisce.

--Ne riparleremo, ne riparleremo!--si ostinò il conte Roberto.--Perchè
io sono sempre dell'opinione che l'uomo non è monogamo. Tu non vuoi
prendere moglie per essere libero; ma allora, nè mogli nè amanti! Questa
è logica. E hai deciso che cosa te ne farai?

Alla domanda inaspettata, Filippo non diede risposta; onde Roberto
seguitò:

--Te lo dirò io: ne farai una mantenuta, da coprir di gioielli e da
condurre a teatro e in carrozza; ti costerà ventimila lire l'anno, ti
peserà come una moglie e ti sarà infedele.

--Perbacco, zio,--esclamò Filippo con aria beffarda.--Vedo che te ne
intendi!

Roberto s'indispettì.

--Spero che non ce la metterai sotto il naso, come a Desenzano, la tua
conquista!--osservò con rude cipiglio.

E credendo d'aver rimbeccato fieramente l'insolenza del nipote, troncò
il colloquio e andò a riferirne alla cognata contessa Bianca.

Tali e simili furono i discorsi che Filippo dovette ascoltare in quel
tempo nel quale, tornato da Sirmione, non osando più ripresentarsi in
casa De Carolis, andava torturandosi il cervello per trovare un
espediente che lo riavvicinasse all'amante. E tra il desiderio che,
insaziato, si faceva di giorno in giorno più molesto, tra la logomachia
di casa e gli sdegni di tutta la parentela, Filippo conduceva una vita
piena di tristezza, che non aveva riscontro negli anni precedenti.

Rimaneva a Venezia, schivando gli inviti, passando mezza giornata al
Circolo dell'Unione, dove mancavan gli assidui, e l'altra mezza in
casa, dove s'occupava lunghe ore a leggere libri e riviste su tutti gli
argomenti; la sera usciva in gondola pel Canalazzo o pel canale della
Giudecca, lontano dai rumori e dalla luce.

Ma il pensiero di Loredana lo seguiva passo per passo, ora per ora,
senza tregua, fatto più vivo dagli episodii di quella battaglia che la
fanciulla gli aveva inconsciamente scatenato contro; Filippo non
ricordava nulla di simile in tutta la sua vita, quantunque più volte si
fosse parlato delle sue avventure. Ma perchè si era trattato sempre di
donne conosciute tra i gaudenti o saldamente legate ad altri, i suoi di
casa s'eran guardati dall'occuparsene e dal fargliene parola.

Un giorno gli fu annunziata la signora Clarice Teobaldi.

Da Sirmione, poco dopo la partenza del conte, ella era tornata a Verona,
e qui era rimasta, aspettando che passasse tempo sufficiente per poter
ricordare l'invito di Filippo e recarsi a Venezia.

Piero, il valletto di Filippo, precedeva la signora, la quale, come
aveva sognato, saliva veramente lo scalone marmoreo del palazzo Vagli,
giungeva al primo piano, traversava una fuga di sale immerse nella
penombra, dentro la quale si vedevano i mobili dorati, le pallide
tappezzerie antiche, gli oggetti d'arte; e di nuovo saliva una scala
meno larga e più breve, ed era finalmente introdotta nello studio di
Filippo.

La Teobaldi guardò avidamente, nel tempo dell'attesa, le carte sparse
sulla scrivania, semplici fogli da lettera, senza cifra e senza stemma;
e guardò le pareti, dalle quali pendevano quadri antichi in vecchie
cornici. Si vedeva, in uno, una donna--Venere doveva essere, tutta nuda,
o Danae--sdraiata sopra un largo divano, e una ancella, con rapido atto
sembrava voler coprire d'un manto porpureo che aveva tra le mani, la
superba nudità della sua signora, perchè di tra le pieghe d'un pesante
cortinaggio, sullo sfondo, apparivan la testa e il busto d'un importuno,
che poteva essere Marte, desideroso ma accigliato per la prudenza
dell'ancella.

La Teobaldi si stupì che quella fosse Venere, perchè non aveva, ai suoi
occhi, nulla di particolare; era una femmina nuda, nè meglio nè peggio
di tante altre. E anche non le piaceva quella tinta scura, quasi nera,
che il quadro aveva preso qua e là, a danno dei colori.... La fotografia
d'una bella dama moderna in abito scollato le sarebbe andata a genio,
assai più di quel preteso tesoro d'arte.

Ma non ebbe tempo di seguitar nelle sue critiche, perchè Filippo
sopraggiunse, e si dimostrò lietissimo della visita. Fece sedere la
Teobaldi, la interrogò cortesemente per sapere quanto intendesse
fermarsi a Venezia, esprimendo la speranza che si fermasse a lungo; e di
chiacchiera in chiacchiera, mentre Piero recava un tè squisito in un
servizio d'argento massiccio e molti biscottini deliziosi, vennero a
parlar di Loredana.

--Ah, bisogna ch'io riveda quella mia fantolina!--esclamò Clarice,
quantunque avesse la bocca piena.--Andrò a trovarla, andrò ad
abbracciarla. Non l'ho mai dimenticata un'ora, in tutto questo tempo.
Così bella, così buona, quella creatura di Dio.... Grazie!

Filippo le versava una seconda tazza dì tè, qualche goccia di latte, e
le porgeva il canestro argenteo coi biscottini.

--Grazie. Bisogna ch'io la riveda, e che le parli.

Bevve alcuni sorsi, e, incoraggiata dalla simpatia che risvegliava
nell'animo di Filippo rievocandogli l'amante perduta, Clarice riprese:

--Ma le pare, conte, che le cose possano andare avanti a questo modo?
Lei non osa avvicinarla, per colpa della madre; Loredana non osa
chiamarlo; e intanto vivono infelici l'uno e l'altra, mentre son fatti
per intendersi, e si adorano.... Sono certa che io ho una missione, in
questo dramma; sento che potrò riavvicinare due anime, due destini, due
cuori. Ho certamente una missione; io non m'inganno! È stata Loredana
stessa che mi ha chiamata a parte, quella sera, quella sera del
telegramma, e mi ha additato ciò che dovevo fare. Sera fatidica!...

Filippo non avrebbe mai pensato che due tazze di tè potessero ubbriacare
la buona donna, meglio che due coppe di sciampagna; ed esitando rispose:

--Vuole? Vuole parlare a Loredana? Le dica, allora....

Ma si tacque, non parendogli di poterla trattare, di punto in bianco, da
ambasciatrice in un'impresa così delicatamente intima.

La Teobaldi diede fondo alla tazza, mangiò ancora un paio di biscottini.

--Sono _baicoli_, specialità di Venezia, non è vero?

E seguitò, aprendo un ventaglio spettacoloso di carta, e facendosi aria:

--Non ho bisogno che lei mi consigli. So quel che devo dire; ho, qui
dentro, un consigliere infallibile che si chiama cuore.... Prima
cercherò di studiare le abitudini della casa e di sapere come sta, quel
tesoro di Dio, come la pensa: e poi, se tutto va a seconda, mi
presenterò alla madre. È più prudente e più.... corretto. Le pare?...
Scusi, è una Venere, quella che si vede lassù?

--Venere,--rispose Filippo.

--L'avevo capito subito; vecchi capolavori. Ah conte, lei non può
imaginare quanto io sia fiera del compito che mi assumo.... Quando vedrò
sorridere quelle labbra di fanciulla, io che l'ho vista partire disfatta
da Sirmione, sarò felice più di tutti!

Filippo sorrise, prese una mano della Teobaldi, la tenne un istante fra
le sue, e rispose:

--Lei è molto buona, cara signora, e vuole impedirmi di ringraziarla. Ma
creda che, comunque le cose finiscano, io non dimenticherò mai, mai, ciò
che lei ha fatto per me, per tutti e due!

--Le dico: io servo il mio cuore, e nessuno mi deve nulla. Se permette,
quando avrò notizie, verrò a portargliele.

--Ma venga anche tutti i giorni, la prego. Faccia conto che questa casa
sia sua,--esclamò Filippo, incalorito dalla speranza di aver finalmente
nuove dell'amica.

La Teobaldi si alzò e s'incamminò con passo svelto, a testa alta, il
ventaglio nella destra, pensando a un figurino di gran dama che aveva
visto in un giornale di moda. E camminando, seguita a un passo da
Filippo, domandò:

--Questo è il suo appartamento particolare, conte?

--Sì, sono le mie camere,--rispose Filippo, mentre, all'uscire dallo
studio, premeva il bottone d'un campanello elettrico.--Ho la mamma in
campagna.

--Messe con gusto principesco,--osservò Clarice, traversando un
corridoio e poi una sala.--Magnifiche tappezzerie!... Non si disturbi,
non si disturbi!

Filippo volle accompagnarla alla scala, ai cui piedi stava Piero in
attesa di ricondurre la visitatrice attraverso il primo piano fino alla
porta d'uscita. Al momento di stringerle la mano, Filippo non potè
vincersi, e disse:

--La vedrà subito, non è vero?

--Domani!--promise Clarice, e ridendo d'un bel riso grasso,
aggiunse:--Ma non sono a Venezia per questo?

--Grazie, grazie, grazie!--esclamò il conte inchinandosi.--Arrivederci!

Clarice scese la scala, e preceduta da Piero, ripercorse tutte le sale
che aveva già intravedute; nell'anticamera, scorgendo sopra una tavola
un Sileno coronato di pampini, circondato da baccanti ebbre, disse a
mezza voce, con tono di persona esperta:

--Bello quel _biscuit_!

--Legno policromo del seicento!--enunziò Piero, senza guardar la
signora, come avesse parlato all'aria.

Ella passò, a testa alta, imperturbabile, il ventaglio nella destra,
mentre il valletto, premuto il bottone elettrico per dar avviso al
portiere, si piegava fino a terra.




XX.


Così fu che Loredana potè aver notizie di Filippo e dargliene.

Il giorno in cui la Teobaldi si decise a varcar la soglia di casa De
Carolis--quel giorno avverso ad Adolfo Gianella--Loredana fu contenta da
non trovar parole per esprimersi.

Partita appena Clarice, la fanciulla corse nella cameretta dove sua
madre stava ricamando la quattordicesima fogliolina in seta verde, e
infantilmente si mise a ballare.

--Ebbene, Lori, che hai?--domandò Emma stupita.

Ma Loredana seguitava a girare in tondo, gli occhi scintillanti e le
labbra aperte a un sorriso di pace.

Si arrestò d'un tratto, con un ultimo giro, in modo che le gonnelle le
si gonfiassero d'aria, e si mise in ginocchio presso la mamma, la quale
andava seguendola con l'occhio.

--Ho,--disse Loredana,--che Filippo mi ama sempre, anzi meglio di prima,
e che non mi sono ingannata fidando in lui, e che mi pento d'aver
pensato male, e che è qui, e che è mio, e che io sono sua....

--Questa bella ambasciata è venuta a farti la signora
Teobaldi?--interrogò Emma, mentre una ruga profonda le solcava la
fronte.

--Sì, mamma, la Teobaldi è buona. Anche su di lei m'ero ingannata. È
buona, è prudente, e non bisogna rimproverarla. Non ha che il difetto di
dipingersi male, e di vestirsi peggio. Hai visto, mamma, quel suo
cappellino alla cacciatora, e subito sotto, quelle terribili
sopracciglia al carbone? Oh che paura e che risate a Sirmione, quando la
vidi la prima volta!...

Si mise a ridere, a gola spiegata, e balzò in piedi, a riprendere il
ballo, cantarellando l'aria di un valzer.

--Lori,--esclamò Emma severamente, arrestandola con lo sguardo.--Che
pensieri hai? Che cosa conti di fare?

--Io?

La fanciulla, ritta in mezzo alla camera, stette pensierosa un momento;
poi disse:

--Io? Non temere nulla, mamma! Ah come ho imparato a vivere in questi
pochi mesi, come son diversa da una volta! Flopi non saprà più
riconoscermi, e mi dirà con meraviglia: «Sei una donnina, sei veramente
una donnina!» E tu non temere, mamma; io sarò felice....

--In nome di Dio,--interruppe Emma, respingendo il lavoro, e
alzandosi,--che cosa intendi con queste parola? Vuoi tornare con lui?

Loredana le corse incontro, l'abbracciò stretta, le diede molti baci,
dicendo:

--O mamma bella, o mamma cara, non sgridarmi, ma sì, ecco, voglio
tornare con lui! Ed egli vuole tornare con me, o mamma bella, perchè
niente gli piace senza di me, e il lusso non è il lusso, e il suo
palazzo è una casupola, e le donne sono pupattole, e le abitudini sono
catene.... Me l'ha scritto, e l'ho imparato a memoria, e gli credo....

--Povera, povera bambina!--esclamò Emma.--Tu credi tutto; ma non gli hai
domandato perchè non ti sposa?

Loredana allentò le braccia e lasciò sua madre.

--Non glielo domando,--rispose, oscurandosi in volto,--perchè se anche
egli volesse, io non vorrei. Ah no, non vorrei morire per tutta la
guerra che la sua famiglia mi muoverebbe contro prima di cedere, e per
tutte le umiliazioni che dovrei subire da quella sua gente e dai suoi
amici, il giorno ch'io fossi moglie di Flopi. Vedi: io so, perchè egli
non mi sposa; perchè non mi tormentino e prima e dopo fino alla morte.
Sarò la sua amante; dunque meglio che la sua sposa.

--E calpesterai anche il ritegno, e lascerai che tutti sparlino di te e
di tua madre?--osservò Emma con voce dolente.

--O mamma cara, non parlan male di te e di me, ora, tutti?--rispose
Loredana.--E che premio ho io dunque di ciò che credono il mio
ravvedimento? Hanno saputo, hanno inventato, mi hanno già uccisa
nell'anima; nulla può accrescere il male che già mi fu fatto, e se io
non sono morta per gli altri, gli altri sono ben morti per me. O mamma
bella, tu, tu sei la bambina che crede; io non potrò mai essere tanto
cattiva quanto si è detto....

--E vuoi andartene ancora, e lasciarmi sola?--domandò Emma, guardandola
con gli occhi annebbiati.

--Non so, mamma; non interrogarmi, non turbarmi, oggi. Oggi io sono così
contenta, perchè egli mi ama ancora; e non bisogna turbare chi è
contento dopo un lungo dolore.

--Ma come, dunque,--insistette Emma,--se ti ama tanto non è venuto più
qui?

--O mamma, cara, tu lo sai. Tu gli hai detto che ogni cosa doveva essere
finita e che non varcasse più la soglia della nostra casa. Egli ha
obbedito; non lo rimproverare; è stato lontano da me, pensando che io
pure non lo volessi, temendo che io gli facessi colpa--e gli facevo
colpa!--di avere svelato il luogo ov'ero rifugiata.... Non lo
rimproverare; egli ti ha obbedita.

--Poi ti ha mandato quella donna a dirti che ti vuole ancora!--esclamò
Emma.--Così mi ha obbedita, il briccone!

--Volevi ch'egli morisse?--domandò Loredana.--Volevi ch'egli mi
lasciasse morire?

--Non si muore per queste cose, bambina!

--Io sarei morta, o mamma bella! Io ero già sfinita e non avevo più
forza per resistere all'avvilimento! Si può essere vivi e morti, non
sai? Io era viva e morta, fin che di lui nulla sapevo; ed oggi soltanto
sono tutta, tutta viva!...

--Oh che pazza!--esclamò Emma, andando a sedersi in un angolo della
cameretta.--Che pazza è dunque diventata mia figlia?

Ma non ardì continuare il lamento.

Guardò Loredana e la vide, com'essa diceva, tutta, tutta viva; la
fragranza di quella giovinezza s'effondeva per la camera; la fanciulla
dritta, svelta, bella, sembrava una prigioniera in quel piccolo spazio;
qualche voce che nessuno poteva udire, echeggiava intorno a Loredana,
chiamandola per la sua strada ampia o aspra; e nulla avrebbe potuto
arrestare la forza misteriosa, che gli uomini chiamano destino, e che
parlava inconsciamente per gli occhi ardenti di Loredana.

Emma sentì questo in confuso; e capì che ogni ostacolo sarebbe stato
travolto; si domandò se avesse diritto d'imprigionare ancora sua figlia,
e del suo diritto dubitò.

Riprese in silenzio il ricamo, abbassò la testa sul lavoro, non disse
più nulla.

Loredana, in punta di piedi, non potendo trattenersi, ricominciò a
ballare il valzer chetamente.




XXI.


Essa non potè mai dimenticare quella notte, quell'angoscia, quelle
emozioni.

Sol per aprire la porta della camera e per discendere le scale, dovette
radunar tutta la sua volontà; e ad ogni scalino le sembrava che il
fruscìo della gonna fosse strepitoso, che il suo respiro fosse veemente
così da destar chi dormiva; e i ginocchi le scricchiolavano.

S'era avvoltolata intorno alla testa una sciarpa nera, che le cadeva
fino in grembo; ed era tutta vestita di nero; il viso bianco e i grandi
occhi scuri attraevan meglio lo sguardo, per quella sciarpa che
incorniciava l'ovale delicato del volto; ma Loredana credeva d'essersi
mascherata, sentendosi avvampar dal caldo.

Finalmente, aperto, con un ultimo brivido, l'uscio a pianterreno, si
trovò in istrada, e vide Clarice.

Le due donne si misero a camminare senza far parola, spaurite dalla
propria audacia e pensierose. Era di poco valicata la mezzanotte; da una
taverna uscirono alcuni uomini e squadrarono quella coppia frettolosa,
non comprendendo di quali femmine si trattasse; e poichè l'uno diceva
con parole villane la sua ammirazione per la ragazza, un altro lo ammonì
sarcasticamente:

--Lascia andare, figliuolo. Lì, occorrono biglietti da mille!

Loredana vibrò da capo a piedi; mormorò a Clarice:

--Ho paura. Torniamo indietro.

--Su, su, coraggio!--disse la Teobaldi, che tuttavia non era meno
inquieta della sua giovane amica.--Non siamo lontane.

Ella stentava ad agguagliare il passo di Loredana; ma correva aiutandosi
con qualche piccolo salto, facendo sobbalzar tutta la sua povera carne.

--Presto!--diceva Loredana quasi ad ogni passo.--Non ci segue nessuno?

--Nessuno!--rispondeva Clarice, cogliendo il destro per rallentare un
poco, e voltarsi.

Un ubbriaco, in una calle stretta, parlava e gesticolava da solo. Non
gli tornava il conto della serata e nominava alcuni uomini illustri
della città, dichiarando che all'indomani li avrebbe chiamati a
testimoni contro l'oste e i compagni di giuoco. Vide le due donne, le
lasciò avvicinare, e si rivolse a Loredana:

--Dica: se io spendo sessanta per un litro e mezzo....

E pencolò maledettamente; Loredana mandò un grido soffocato e si mise a
correre.

--Lei, la vecchia, è più ragionevole,--osservò il beone, guardando
Clarice che s'allontanava a passo celere.--Non corre, la vecchia, perchè
ha i piedi in malora. Ma se io spendo sessanta per un litro e mezzo....

--Lori, Lori, mi aspetti!--disse a mezza voce Clarice.

La fanciulla si fermò, la Teobaldi le si mise al fianco, e ripresero a
camminare.

--Che paura, tesoro mio!--esclamò Clarice, tentando di sorridere.

--Ah sì, muoio di paura! Quell'ubbriaco per poco non mi cadeva
addosso!... Ma quanto dobbiamo camminare ancora?

--Adesso ci siamo. Volti a destra....

--Non ne capisco più nulla,--mormorò Loredana.

Essa stentava a riconoscere le calli, in quell'ora notturna; tutte le
porte eran chiuse, le finestre chiuse, e di tratto in tratto una larga
chiazza d'ombra toglieva la vista delle case, dei confini, degli angoli;
poi appariva un lampione dalla luce rossastra, e, a quando a quando, un
rio dall'acqua immota e nera. Nel silenzio solenne, dentro le calli più
anguste, i passi delle due donne davano un rimbombo prolungato;
lontanamente, per due volte in due punti diversi, risonò la voce
gutturale d'un gondoliere, che s'internava con la sua gondola in un rio;
e qua e là una zaffata di odore salso giunse alle nari di Loredana, che
storse la bocca.

--Ci siamo!--disse improvvisamente Clarice.

Loredana alzò gli occhi, e riconobbe il palazzo Vagli, balzato fuori
dall'ombra come per magìa; largo e tozzo, ammantellato nell'oscurità,
lasciava a pena intravedere le finestre bifore e le colonne patinate dal
tempo; era tutto muto.

Ma la fanciulla non ebbe agio a contemplare; un uomo si staccava dalla
porta fiocamente illuminata, le veniva incontro, l'abbracciava con tale
veemenza da sollevarla da terra e trasportarla dentro in un sol gesto.

Richiuse d'un colpo lo sportello, e stringendosi la fanciulla al fianco,
cingendole col braccio destro il collo quasi a difenderla da un nemico
invisibile, inoltrò.

Restarono per sempre impressi nella mente di Loredana il cortile buio,
l'atrio buio, illuminati a sprazzi dal fanale, che l'uomo teneva nella
sinistra; e la scalinata e quelle sale dove lampeggiavan fugacemente uno
specchio, la doratura dei mobili, la superficie levigata d'una tavola o
d'una statua.

I passi risonavano sordamente sul tappeto, e tanto silenzio era intorno,
che benchè nessuno vegliasse a quell'ora, i due amanti non parlavano.

Loredana si volse a cercar Clarice, ma non vedendola più, alzò gli occhi
a guardar Filippo, e gli sorrise.

Obliata la madre, la notte, la casa, essa era felice e superba della
propria audacia; il palazzo le sembrava immenso, ma sicuro, e quel
braccio attorno al collo era il segno d'una protezione quasi
onnipotente. Le tornava l'imagine di Filippo più forte, più audace, più
fidato di chiunque al mondo, e ne fremeva di piacere.

--Qui?--ella domandò sottovoce.

--Qui,--rispose Filippo, liberandola dalla stretta.

Erano nella camera di lui. Loredana vide larghi e pesanti cortinaggi
alle finestre, un letto ampio, una pelle di tigre, con la testa enorme e
gli occhi fissi, stesa a terra; sopra un tavolino moresco incrostato di
madreperla ardevan cinque candele in un candelabro di vecchio argento; a
una parete scintillavano le guaìne metalliche di armi stravaganti.

Non vide altro, nel tumulto della gioia; pensò che il suo amore
seguitava, riallacciando quella notte col giorno malinconico in cui era
tornata tutta sola da Peschiera; oh, anche il suo amore gagliardo
vinceva gli ostacoli, e i baci che sentiva eran più saporosi dopo tante
lagrime...!




SECONDA PARTE.




I.


Giselda Fioresi, al braccio di Berto Candriani, s'era fermata innanzi
alla tavola del buffet, in casa della contessa Lombardi.

La lunga tavola era tutta occupata da piatti colmi di pasticcini e di
dolci; due grandi samovar d'argento fumavano, e da un'enorme zuppiera un
servo scodellava nelle tazze il punch freddo, mentre altri versavano lo
sciampagna gelido dalle caraffe di cristallo e distribuivano i sorbetti
rosei e bianchi.

--Se lei non fosse venuto a salvarmi,--continuò Giselda, accennando con
la testa a un signore tozzo e rubicondo, che sorbiva adagio una granita
di caffè,--gli sarei caduta fra le braccia....

--Oh Dio!--singhiozzò comicamente Berto Candriani.

--Per la noia, per la noia!--disse Giselda ridendo.--Non sa parlare che
del suo automobile, e s'atteggia a disdegnare i cavalli....

--Così le ha fatto sapere che ne ha....

--Ne ha dieci, nelle scuderie della sua tenuta di San Polo; ma vuol
venderli....

Nuove coppie, gli uomini in marsina, le donne in abito scollato e grande
cappello, erano sopraggiunte e facevan coda, incalzando, alle spalle di
Berto e di Giselda.

--Vuole sciampagna?--domandò Berto, prendendo una coppa dalle mani d'un
servo e passandola a Giselda, che vi bagnò appena le labbra.

--Datemi due gelati,--ordinò qualcuno che stava dietro il Candriani.

--Aspetta,--disse questi al marchese di Spinea, che aveva al braccio la
contessina Cafiero,--ti lasciamo il posto.

E avviandosi con Giselda, seguitò ad alta voce:

--Bada, che c'è molto punch bollente, che non si beve, e poco sciampagna
freddo che si berrebbe volontieri.

--Zitto, maldicente!--gli disse il marchese di Spinea.--Vedremo che cosa
ci offrirai quando verremo da te.

--Bravo, stai fresco!--esclamò Berto.--Resto scapolo apposta per non
avere seccatori in casa!

Sul limitare, Berto e Giselda dovettero fermarsi. La duchessa di
Torrecusa e la contessa Osvaldi, tenendo ciascuna una coppa di
sciampagna, s'esercitavano a portarla alle labbra, dopo aver fatto col
braccio destro alcuni giri a spirale. La duchessa vi riuscì, versando
dall'orlo metà del contenuto, e la contessa Osvaldi, che rideva a gola
spiegata, vuotò la coppa intera sul tappeto, e rinunziò alla prova,
perchè i cavalieri intorno la facevan ridere troppo.

Berto Candriani s'aprì un varco tra i gruppi, traversò con Giselda un
lungo corridoio, poi la sala pei fumatori, dove sedevano alcuni uomini,
timidi o noiati, che si scambiavan gli astucci delle sigarette o i gravi
propositi d'una più energica politica internazionale; passò oltre la
sala rossa, tutta rossa fiammante per le tappezzerie e pel colore dei
mobili dorati, e si fermò nella sala rosea che precedeva la sala da
ballo.

--Andiamo laggiù!--disse, accennando un alto e lungo paravento sul quale
eran trapunte in oro parecchie grosse cicogne, brillanti sopra uno
sfondo color chiaro di luna.

--Dietro il paravento?--chiese Giselda, lasciandosi trascinare senza
troppa resistenza.

--Sieda,--ordinò Berto.--Io siedo qui di di fronte; lei metta fuori le
punte dei suoi piedini, così quelli che passeranno per andare a saltar
come pere secche, capiranno che qui c'è qualcuno.

--Ma no, ma no, è sconveniente!--osservò Giselda.--E poi, lei ha
l'abitudine di parlar male di tutti, e potrebbe sparlare proprio di
quelli che passano....

--Ingenua fanciulla!--esclamò Berto Candriani.--C'è l'occhio della
cicogna!

--Che cosa vuol dire?--domandò la contessina Fioresi con un sorriso, che
pregustava qualche strana storia.

--Vuol dire che son forati gli occhi d'una cicogna, e di qui vedo
benissimo senza essere veduto. Guardi che bei buchi!

Giselda si alzò a guardare, appoggiandosi lievemente alla poltrona di
Berto; attraverso due fori, che corrispondevan dall'altro lato agli
occhi d'una gigantesca cicogna, si vedevan benissimo il resto della sala
e la porta dalla quale dovevan passare le coppie. Giselda diede in una
risata.

--Ma quando ha fatto questo lavoro?--domandò.

--Badiamo: è un segreto che si rivela a una gentildonna; i buchi li ha
fatti Silvestrelli, il capitano di corvetta, due anni or sono, e prima
di partire per il giro del mondo li ha confidati a me. Io sono l'unico
erede di questi buchi, e nessuno se n'è mai accorto. Spero che lei
apprezzerà tutto il valore della mia rivelazione.

--Sono utilissimi,--dichiarò la Fioresi solennemente.--Non dirò parola
ad anima viva.

Berto fece un cenno con la mano; qualche coppia passava, dirigendosi al
salone da ballo e chiacchierando; alcuni cavalieri sopraggiunsero,
diedero un'occhiata, videro la sala vuota e se ne andarono di nuovo.

--Ha notato, contessina, che stasera non c'è Flopi?--riprese Berto con
la sua voce più melliflua, piano piano.

--Non ho notato nulla!--rispose Giselda bruscamente.--Perchè dovrei
notare queste inezie?

--Inezie? Non ci sono inezie per chi ama.... Si vorrebbe sapere dove è
Flopi a quest'ora, che cosa fa, che cosa dice.... Non è vero?

--Non è vero; io non voglio sapere nulla. Il conte Vagli non m'interessa
più di quanto sia lecito, e io non ho l'abitudine di amare chi non si
occupa di me.

--Non dico sia un'abitudine,--osservò Berto.--Può essere una
fatalità.... Zitta!--soggiunse, dopo aver dato uno sguardo ai buchi
della cicogna.--C'è lo zio!

Il conte Roberto Vagli entrava in quel punto con un altro vecchio
signore; il conte Roberto era dritto e magnifico, il largo petto
inquadrato dal panciotto della marsina, all'occhiello della quale era
fissato un superbo garofano bianco; tra le mani il conte teneva il
gibus, alla maniera antica.

--Io ti assicuro,--egli seguitava,--che è una corbelleria, questa di
voler tanti treni fra Venezia e Milano; treni diretti, treni
direttissimi, o, come si dice ora, treni-lampo! Sai che cosa avverrà?

L'amico sedette in una poltrona, e il conte ripetè, standogli innanzi:

--Sai che cosa avverrà? Avverrà che Venezia fra pochi anni sarà un
sobborgo di Milano, e le nostre civette andranno a far le compere a
Milano, e i nostri giovanotti si vestiranno a Milano, e tutti i nostri
quattrini ingrasseranno Milano, e il nostro commercio e la nostra
industria rimarranno quel che sono ora, una povera cosa. Non mi diceva
un momento fa il Cavenaghi, sai, quel mercante di carbone, che si pensa
d'attuare un treno per tempissimo, cosicchè si possa andare a Milano,
starvi sei o sette ore, e tornar la sera medesima? Io ti domando!...

L'amico si alzò, e tutt'e due s'avviarono.

--Io ti domando se questo si chiama far l'interesse di Venezia....

--Che bella mente!--esclamò Berto Candriani, quando fu sicuro che i due
se n'erano andati.--Non vuole i treni diretti; bisognerà offrirgli un
servizio di muli. Dopo la battaglia di San Martino, non ha capito più
nulla. E Flopi deve lottare con questi suoi parenti, i quali, nonchè
l'amore, non sanno intendere nemmeno la ferrovia!...

--Ma io non comprendo perchè Flopi debba lottare coi parenti,--osservò
Giselda.--Lotta per che, per chi?

--Bah,--esclamò Berto Candriani, arricciandosi i mustacchi con studiata
espressione di mistero.--Affari riservati! Non dimentichiamo che lei è
una signorina.

Giselda si sentì avvampar la faccia: aveva ventitre anni, molta voglia
di vivere, fors'anco molta violenza contenuta dall'abitudine e dalla
educazione; e nulla più l'irritava che l'ignoranza e l'espressione di
candore che dovevan formare la sua maschera sociale.

Ella crollò il capo e rispose con voce dura:

--Quali sciocchezze! Ma se so tutto!...

--Tutto?--ripetè Berto, sicurissimo che non sapeva nulla, ma contento
d'essere esonerato dalla discrezione.--Lei sa che Flopi ha un'amante?

--Ma certo!

--La quale è bellissima?

Giselda esitò un attimo.

--Ciò non importa. Chi la dice bellissima,--rispose,--chi mediocre, chi
brutta!

Berto sorrise fugacemente, e incalzò:

--Bellissima; e lei sa che Flopi l'ha rapita, l'ha sedotta, la tiene con
sè, e che ora ha sulle braccia tutti i parenti?

--Di lei; è naturale,--osservò Giselda.

--No, di lui; i parenti di lui sono spaventati, perchè non capiscono che
cosa voglia farne, e temono che la sposi....

--Ma i parenti di lei perchè non intervengono?--domandò Giselda quasi
con impazienza.

--Per una ragione ottima, contessina mia,--rispose Berto
ridendo.--Perchè sono nel regno dei cieli, ad eccezione d'una madre, la
quale se l'è ripresa una prima volta, ma se l'è vista ripartire con
Flopi; onde la povera donna ha rinunziato a lottare e a discutere.

--E dove sono ora?--chiese Giselda con aria distratta.

--Chi? I parenti? Lo zio era qui poco fa, a parlar di treni....

Giselda interruppe, battendo un piede a terra, spazientita.

--Ma no, mio Dio! Flopi e quell'altra!...

--Ah!... Sono a Venezia; anzi ho pranzato oggi da loro. Bisogna dire che
se qualche cosa d'irregolare è in quella casa, non lo si vede certo
nella disposizione dei mobili, nella scelta delle vivande, nella qualità
degli oggetti che adornano l'appartamento. Tutta roba squisita.... Credo
che Flopi verrà stasera a salutar la contessa, sul tardi....

--Lei è molto addentro nella confidenza di Flopi!--osservò ironicamente
Giselda, alzandosi.

--Sì, sono dei pochi che frequentano la casa,--disse Berto drizzandosi
in piedi e offrendo il braccio a Giselda.

--No, grazie,--rispose questa, freddissima.--Devo dire una parola alla
Torrecusa, che vedo seduta laggiù, nella sala da ballo.

E s'avviò sola, ma si fermò di repente:

--Quale casa?--domandò sottovoce.

--Sì, la casa di Flopi. Egli vive solo, ora; voglio dire non vive a
palazzo. Ha un bellissimo appartamento sulle Zattere....

--Con la bellissima compagna!--concluse Giselda, che si lasciò sfuggire
una risatina troppo stridula per essere sincera.

Berto s'inchinò, girò sui tacchi, e perfettamente sicuro d'aver fatto il
bene di Giselda, di Flopi, e fors'anco di Loredana, passò nella sala
rossa, e si mischiò a un gruppo di dame che ridevano in piedi con alcuni
ufficiali di marina.

L'orchestra attaccò un valzer; i cavalieri traversarono la sala,
s'incrociarono, ricomparvero con le dame al braccio, s'avviarono alla
sala da ballo; fu una sfilata rapida di coppie, un'ondata di profumi.

Il valzer diceva: «Queste gioie fallaci, tutte simili all'invisibile
onda delle mie note, si dissolvono nel tempo, e nulla più rimane quando
l'alba livida vi richiama alle case. Abbandonatevi a queste gioie
malinconiche, a quest'onda invisibile, e sognate tutti i vostri sogni,
prima che l'alba vi risvegli....»

Il maggiordomo comparve a un tratto nella sala rossa, si presentò alla
contessa Lombardi, le disse qualche parola inchinandosi.

La contessa ebbe un sorriso e mosse lentamente verso la porta d'entrata,
mentre un susurrìo di curiosità si propagava nella sala tra i gruppi
degli invitati che avevan preferito la conversazione alla danza.

Quasi contemporaneamente un signore non alto di statura, largo di
spalle, con lunghi favoriti biondi, varcava il limitare e dirigendosi
rapidamente incontro alla contessa, le prendeva la mano, così da
impedirle l'inchino che la dama aveva abbozzato.

S'udì la voce dell'uomo, una bella voce molle:

--«Je vous suis bien reconnaissant, comtesse»,--egli diceva, baciando la
sottile mano guantata.

--Chi è?--domandò Berto Candriani.

--Non lo conosci?--disse il tenente di vascello Paolo Orseolo.--È Milan,
l'ex-re di Serbia.

--Oh guarda!--esclamò Berto.--Si muove bene in un salotto, meglio che
sul trono, l'animale....

Il conte Orseolo diede una gomitata a Berto.

Milan s'inoltrava, tenendo al braccio la contessa Lombardi, che gli
presentò gli invitati.

Berto aveva ragione: Milan aveva piuttosto l'aria d'un gran signore
annoiato che non l'aspetto d'un Sovrano. I favoriti e i baffi biondi
contrastavano con l'espressione di lassezza diffusa sul volto; e dentro
gli occhi grigi e freddi passavan talora lampi improvvisi, come per
effetto d'un pensiero che sopraggiungesse e illuminasse o facesse
tremare quell'anima.

Egli disse qualche complimento alle dame intorno, con misura e con
gusto, sorridendo e socchiudendo gli occhi.

A Berto Candriani domandò:

--«Est-ce que vous êtes du Rowing-Club, comte?»

--«Mais sans doute, Altesse!»--rispose Berto Candriani prontamente.

Milan gli sorrise soddisfatto; e mentre egli si allontanava con la
contessa per dirigersi alla sala da ballo, Berto soggiunse a bassa voce
con Paolo Orseolo:

--Mai visto il Rowing-Club! E tu?

Il conte Orseolo si mise a ridere.

Milan era giunto a Venezia in quei giorni, proveniente da Abbazia, dove
aveva passato qualche settimana col giovane re Alessandro, suo figlio. I
giornali avevano anzi parlato d'un tentativo d'avvelenamento commesso
dai nemici degli Obrenovich contro Alessandro; e Milan, che in
quell'epoca dimostrava pel figliuolo una vera tenerezza, ne era rimasto
foscamente impressionato.

Era sceso all'«Hôtel d'Europa»; la contessa Lombardi, che l'aveva
conosciuto alcuni anni prima a Biarritz, l'aveva invitato alla sua
_sauterie_.

Berto Candriani stava per seguirlo a distanza e per gustar le altre
presentazioni, ma vide entrare in quel punto Filippo Vagli, e gli corse
incontro.

Filippo lo guardò interrogativamente.

--C'è Milan,--annunziò Berto.

--C'è già?--disse Filippo.--È simpatico?

--Un tozzo di pane. Ti domanderà se sei del Rowing-Club. Ti prego di
dirgli di sì, perchè ciò gli fa piacere.

--Va bene. E la contessa è con lui?

--Naturalmente. Adesso che ha una specie di re per le mani, tu puoi
risparmiar di salutarla, perchè conti anche meno del solito.

I due amici s'avviarono ridendo verso la sala rossa.

--A proposito,--soggiunse Berto.--Ti ho reso un piccolo servizio, questa
sera.

--Mi fai tremare!--esclamò Filippo.

--Coraggio! C'era la Fioresi che schiattava dalla voglia di saper che
cosa fai, come vivi, dove ti nascondi. Io le ho raccontato tutto.

--Le hai parlato di Loredana?--esclamò Filippo, arrestandosi.

--No. Le ho parlato di te, della tua passione, delle baruffe con la tua
famiglia; quadro completo, insomma!

--E lo chiami un piccolo servizio, questo?--disse Filippo, stringendo la
mano di Berto.--Ma è un servizio impareggiabile, prezioso, magnifico....

--Un servizio per dodici persone,--mormorò Berto.

--Proprio! Così avrò costei sulle braccia, come non bastassero tutte le
altre!--concluse Filippo.--Ma dove hai la testa? Quando imparerai, tu, a
essere discreto?...

Berto era un po' confuso; aveva creduto, dapprincipio, che Filippo lo
ringraziasse e gli stringesse la mano per davvero; ed ecco che tanta
gratitudine si risolveva in un rimbrotto.

--Non ti arrabbiare, Flopi,--egli disse.--Alla fin fine, che cosa
avverrà? Che la Fioresi non ti annoierà più coi sospiri e gli sguardi
languidi....

--Ma ti prego di credere che la Fioresi non ha mai fatto nulla di
simile, caro mio, e che queste son fantasie del tuo cervello ozioso....

Berto non potè replicare.

Giunti nella sala rossa, videro nel bel mezzo Milan Obrenovich che
parlava con la duchessa di Torrecusa.

--«Nous avons fait un pari, la comtesse et moi,»--diceva.--«La comtesse
disait que vous avez les yeux gris clairs, moi je disais que vous les
avez verts, ce qui vous sied excessivement bien. Et voilà, j'ai gagné!»

La duchessa sorrideva, un po' impacciata, sotto la fiamma che
sfolgorarono a un tratto gli sguardi di Milan. Si sarebbe detto ch'egli
avesse voluto bere la luce che sorgeva dal corpo sottile, dalla
carnagione rosata, dai capelli aurei della giovane dama.

Gli altri tutt'intorno sentirono quella vampa di desiderio, che il re
del tappeto verde e delle alcove aveva recato con sè, e tolsero gli
occhi dalla coppia e seguitarono per discrezione i loro discorsi.

--Oh perchè non si ricoverano dietro il paravento?--mormorò Berto, con
un'occhiata al principe.--Se vuole io gli insegno i buchi, a Milan....

--Quali buchi?--domandò Filippo stupito.

--I buchi del paravento. Li ha trovati comodissimi anche la Fioresi.
Vieni, che ti faccio vedere; è un segreto, il segreto che si rivela a un
gentiluomo....

In quel punto, la Fioresi, giungendo dalla sala da ballo con passo
svelto, alta la testa, un tranquillo sorriso sulle labbra, fermò
Filippo, stendendogli la mano.

--Buona sera!--ella disse.--Si disperava di vederla tra di noi....

Berto Candriani rattenne un ghigno di malizia, ma Giselda lo indovinò
più che non lo vedesse.

--Mi dia il braccio!--ella soggiunse a Filippo.--Facciamo un giro,
lontano da questo re che non mi piace!

Filippo le diede il braccio e s'avviò presto con lei fuori della sala.

--Ha ragione se non le piace quel re,--disse.--Perchè pensava che io non
sarei venuto stasera?

Berto, sprofondate le mani nelle tasche dei calzoni, rimase a guardar
Filippo e Giselda che si allontanavano; poi squadrò di nuovo Milan
Obrenovich, e gli venne in mente un verso, un verso del quale non
avrebbe potuto dir l'autore, ma che gli sembrava adatto alla sua
situazione:

    "Messo là nella vigna a far da palo".

--Senta che bel galopp!--gli disse la contessina Cafiero, passandogli al
fianco.

Berto l'afferrò per il braccio, quasi a volo, con tal furia che la
fanciulla fece un gesto di spavento; e conducendola seco di corsa:

--Andiamo!--disse.--Qui tutti galoppano! Galoppiamo anche noi!...

La Cafiero, vestita di rosa, alta e bruna, un neo in mezzo alla fronte,
cominciò a ballar con Berto, ridendo e socchiudendo gli occhi
voluttuosamente.




II.


Dopo la notte trascorsa da Loredana al palazzo Vagli, Filippo aveva
trovato e arredato l'appartamento sulle Zattere, di fronte al largo e
torpido Canale della Giudecca; aveva persuaso con molta facilità del
resto, la signora Clarice Teobaldi a lasciar Verona e ad allogarsi
nell'appartamento; di poi era toccato alla Teobaldi, nelle
frequentissime sue visite, a persuader Loredana, che combatteva tra il
desiderio di raggiungere finalmente Filippo e la crudele necessità di
dar nuovo dolore alla mamma.

Loredana s'era decisa un giorno in cui Adolfo Gianella l'aveva
affrontata in istrada, dichiarandole di volerla accompagnare per vedere
se mai andasse dal conte. L'insolenza del giovane l'aveva così esaltata
che quel pomeriggio medesimo, invece di tornare a casa, aveva raggiunto
Clarice Teobaldi, e alla mamma aveva scritto ch'era a Venezia, ch'ella
non temesse, ma che ormai «il suo destino la chiamava».

Così Clarice era diventata la dama di compagnia di Loredana; e Loredana
l'amante, alla faccia del sole, di Filippo. Egli volle festeggiar
l'avvenimento con un piccolo viaggio, e partirono i due innamorati per i
laghi lombardi, lasciando Clarice a Venezia.

La dama di compagnia, altera del suo nuovo e delicato ufficio, aveva
rinunziato agli abbigliamenti vistosi; vestiva sempre di nero, ma con
quel suo vezzo di indossare abiti troppo corti, che le lasciavano
scoperto tutto il piede, sembrava da lontano un vecchio merlo.

Quando Loredana e Filippo tornarono, ella potè annunziare che la signora
Emma era stata due volte a cercar della sua Lori, e che non si lagnava
più, e che aveva piegato il capo, anche lei, sotto quella raffica di
passione. La signora Emma, travolta dal furore altrui e dalla debolezza
propria, la quale pareva esser cresciuta dopo l'unico atto energico da
lei compiuto a Sirmione, aveva veramente abbandonato le redini, non
sperando ormai che nella onestà di Filippo, nella saggezza di Loredana,
in qualche lontano avvenimento tuttavia incomprensibile.

La sua Lori andava a trovarla spesso, in quella casetta bianca sul
campiello muto, dalla quale i pettegolezzi ostinati e i fatti veri
avevano allontanato amici e conoscenze, cosicchè la signora Emma viveva
ora quieta e sola, abbandonata e placida. Qualche volta Lori si fermava
a colazione o a pranzo; e mai le due donne non parlavano del conte;
bensì, era in tutto l'atteggiamento della fanciulla verso la madre una
premura nuova, un'affettuosità timorosa, che parevan chiedere
continuamente il perdono nel silenzio; e quel perdono era già nel
riserbo della signora Emma, che non aveva più detto parola dei suoi
presentimenti.

Loredana traversava allora un periodo di selvaggia e franca voluttà.
Filippo era l'amore, e l'amore l'inebbriava, come se il calore di quel
principio d'autunno avesse bruciato le vene di lei, moltiplicandone il
desiderio e i capricci notturni e diurni. Il suo corpo bianco finemente
venato, i seni duri dai capezzoli che ricordavan le fragole odorose, il
ventre piccolo chiaro come ambra, le gambe dai bei ginocchi e dalle
cosce muscolose,--splendevan la notte sotto i baci di Filippo, tra i
veli della zanzariera, che chiudevan gli amanti come nell'onda azzurra e
dolce d'un acquario.

Al ritorno dall'escursione dai laghi lombardi, Filippo chiamava Loredana
«la viperetta» ed ella sorrideva misteriosamente. Quel che di più gaio,
di più sano e di più forte era nella sua anima veneziana, sfolgorava
nella passione libera, così che nessun dono era per la giovane premio
più ambito che un'ora di baci e di carezze.

Baci e carezze di Filippo; mai non aveva pensato potessero essere
d'altri; mai non aveva guardato i facili ammiratori che, protetti
dall'angustia e dalla cattiva luce delle calli, la seguivano, fosse sola
per correre dalla mamma, o fosse accompagnata da Clarice, e le
susurravano, passando, brevi frasi, e osavano qualche sorriso e le
ronzavano intorno.

Ella aveva per Filippo una gratitudine cieca, una specie di religione;
ma lungi dall'essere timorosa, era lieta ed uguale; risuonava il suo
canto la mattina, nel torrente di luce che invadeva le camere; e tutto
il giorno Loredana viveva con piacere, occupandosi con Clarice delle
compere, dando ordini alla cuoca ed alla cameriera, riempiendo la casa
delle sue corse, delle sue risatine, facendo ammattire la povera dama di
compagnia, della quale imitava i gesti al piano e le stonature e il modo
di camminare e il dialetto veronese, con tanto impeto, che Clarice
finiva per riderne.

Filippo si recava tutti i giorni dall'amante, vi si tratteneva a
colazione spesso, a pranzo quasi sempre, e per lunghe ore nella serata.
Ancora non s'era fatto veder per la strada con la ragazza; gli spiaceva
l'ostentazione dei suoi amori, quantunque nessuno potesse ormai
ignorarli.

Egli aveva pensato di vivere con Loredana lungi da Venezia, in qualche
città dove, per esser la vita larga e rapida, la curiosità è meno
molesta. Ma in quei giorni appunto le diatribe coi parenti s'eran fatte
acute.

La contessa Bianca aveva minacciato Filippo di farlo diseredare dallo
zio Roberto; occorreva una punizione materiale, poichè i concetti
d'onesto vivere e il senso del decoro non avevan presa su di lui; e in
verità la perdita d'un patrimonio che, come quello dello zio Roberto, si
aggirava intorno ai due milioni, non poteva non impensierire Filippo, il
quale non possedeva nemmeno un terzo di quella ricchezza. Allontanarsi
decisamente da Venezia e con Loredana in un frangente simile, sarebbe
stata imprudenza grave, anche perchè la minaccia non era venuta sino
allora che dalla contessa Bianca e nulla diceva nel contegno dello zio
Roberto ch'egli pensasse a tanto estremo. Anzi, di Loredana non aveva
più parlato.

La contessa Bianca, infatti, s'era avveduta presto che di Flopi, dello
scandalo, della «monella», dei soliti discorsi, il cognato era
arcistufo; poteva egli bensì dare un consiglio, ma considerava i
consigli a guisa dei denari, dei quali se si regalano o se si prestano,
non è lecito al donatore invigilar l'uso e rinfacciar la prestanza.

Prudentemente, la contessa Bianca smise d'intrattenere il cognato sulle
follie di Filippo, ripromettendosi di tornar daccapo ad occasione
propizia; e dopo un ultimo colloquio breve, secco, perentorio, col
figlio che si mostrò rispettoso e cocciuto, ella si ridusse nella sua
campagna di San Donà.

Ciò che la contessa aveva previsto, si avverava fatalmente: il vincolo
tra Flopi e Lori si era fatto via via più saldo; non era Loredana
l'amante, nè la mantenuta, ma qualche cosa tra la moglie e l'amica,
qualche cosa che non si vende e non si compera, che si può abbandonare
ma che non si dimentica più, che con rapidità propaga il suo dominio dai
sensi al cervello e dal cervello al cuore. Si trattava d'un caso d'amor
libero, che talune condizioni potevano spezzar da un giorno all'altro, e
che talune, più probabili, potevano un giorno trasformare in un
matrimonio.

Filippo, tutto preso dalla «viperetta», dimenticò finalmente la prudenza
e andrò a vivere egli pure nell'appartamento sulle Zattere, che per
Loredana era troppo grande; la camera attigua a quella in cui dormiva la
giovane fu ridotta, da salottino, in camera da letto per Filippo; e tra
l'una e l'altra si aprì una porta di comunicazione. Il conte fece
trasportar mobili, libri, oggetti suoi nella nuova dimora; vi condusse
anche Piero, il domestico silenzioso, e si ripromise di vivere da quel
giorno, ora in casa di Loredana, ora nel suo palazzo, secondo che le
convenienze e gli obblighi sociali avrebbero permesso.

Loredana non aveva chiesto mai nulla, e tutto le veniva profferto
spontaneamente, con fresco entusiasmo, con incredibile audacia da quello
stesso uomo, che andava sostenendo tanta guerra per il suo amore. Ad
ogni piccola novità, ella rideva nervosamente, quasi smarrita, rilevando
che la casa si trasformava, si faceva bella e intima, che Filippo le
dava a poco a poco una sua impronta personale.

--«Folletto», che ne dite?--chiedeva Loredana qualche volta alla
Teobaldi.

«Folletto» era il nomignolo che Loredana aveva scelto per Clarice in
memoria del famoso galop di Sirmione.

--Dico che è magnifico!--rispondeva il grosso folletto, guardandosi
intorno a gustar meglio l'intimità aristocratica del luogo, e a salutar
con un sorriso certi oggetti, come quel legno policromo del 600, i quali
significavan per lei qualche ricordo.--Dico,--seguitava,--che a
Sirmione deve avermi spinta il mio angelo custode; e pensi, contessa,
che vi sono andata a caso, senza voglia....

Ma Loredana interrompeva con un gesto la storia risaputa.

--Non tornerete daccapo?--domandava ridendo.

Dacchè viveva con la giovane signora, Clarice aveva sentito il dovere di
renderle il titolo di contessa, che a Sirmione le aveva lesinato; i
servi imitavano in questo la dama di compagnia, quantunque nessuno
ignorasse da qual vincolo Loredana era legata al conte; e Filippo, non
senza riconoscere la fastidiosa gravità del fatto, s'era guardato dal
muovere osservazioni, che sarebbero state, del resto, assai difficili e
spiacevoli.

Berto Candriani aveva raccontato alla contessina Fioresi ch'egli era fra
i pochi i quali frequentavano la casa della bella amante, e aveva detto
il vero; anzi era il solo che Filippo si conducesse qualche volta a
pranzo.

Aveva cominciato quasi involontariamente, perchè Berto gli si era messo
un giorno alle calcagna, essendosi fitto in capo di pranzare con
Filippo, dovunque quel giorno e con chiunque Filippo avesse dovuto
trovarsi; e quest'ultimo, o perchè di buon umore, o disperando di
levarselo d'intorno, se l'era condotto seco e l'aveva presentato a
Loredana e anche alla signora Clarice Teobaldi.

Loredana n'era rimasta sgomenta e sospettosa; ma passato il primo
impaccio, Berto s'era mostrato così accorto, così savio, così elegante
nelle maniere, pur essendo loquace e malizioso, che a poco a poco
Loredana s'era rimessa dal sospetto e da quel sottile pudore che
l'avevan dapprima turbata. Clarice dichiarò netto che dopo il conte
Vagli, il conte Candriani era il gentiluomo più compito del mondo, forse
perchè, invece di far complimenti usuali alla bella amante, egli aveva
rivolto la sua galanteria scherzosa alla cantatrice, la quale n'era
rimasta ammiratissima.

Berto non abusò del privilegio e non si recò mai da Loredana se non
accompagnando Filippo. Egli pure aveva fiutato in aria che si trattava
d'un legame serio, non indegno di qualche rispetto; parlava bene di
Loredana a Filippo e di Filippo a Loredana, ma chiedeva a se stesso dove
quei due sarebbero andati a parare.

Frattanto, perchè la contessa Lombardi e altre dame s'indugiavano in
città, prolungando oltre il consueto la stagione dei bagni, Filippo
aveva dovuto riprendere quella «vita per la platea» della quale era
abituato a vivere. Si recava spesso a Lido, nelle capanne delle amiche.

Il Lido piaceva a lui, come a tutti i veneziani, per agonia di luce, di
verde, di spazio, d'aria diffusa; anch'egli si contentava dei pochi
viali fiancheggiati da villini brutti, e s'era avvezzo alle costruzioni
terribilmente antipatiche di quegli alberghi nei quali si mangiava
malissimo e dai quali si vedeva una sfilata di capanne tozze, una
spiaggia arida, qualche disegno di giardino con gli alberetti ancor
giovani, sarcasticamente dimentichi di protegger gli uomini dal sole.
Anche a Filippo la terrazza dei bagni pareva una stupenda costruzione
d'arte; la vita e i colori glieli prestavano le oziose belle e gli
oziosi eleganti in abiti vivacissimi, cosicchè quella baracca era come
un animale indecente coperto da parassiti variopinti che ne nascondevano
la sgraziataggine.

Con le dame, con gli ufficiali di marina, coi gentiluomini che a quelle
facevano codazzo e corona, Filippo si lasciò trascinare a gite
frequenti; talora prendeva parte alle «sauteries», che nel linguaggio
barbarico dell'aristocrazia dovevano significare balli modesti, fra
amici.

Egli aveva il proprio pensiero rivolto a Loredana anche in quelle ore,
ma la dimestichezza antica con le famiglie patrizie, la necessità di
rispondere alle cortesie, la germinazione continua di visite da visite,
di pranzi da pranzi, di gite da gite, la rete sottile e densa della vita
mondana, che o si fugge interamente o interamente vi afferra, per lunghi
giorni lo avevano costretto ad abbandonare l'appartamento segreto e caro
delle Zattere, dove non si riduceva che a notte tarda, con la furia di
ricomprarsi il tempo perduto e di compensarne l'amante.

Loredana, che di rimbrotti non era capace, sentì bruscamente d'odiare
quelle donne, quegli uomini, quei ritrovi, quegli spassi; non solo
perchè interrompevano la sua bella esistenza d'amore, ma più perchè la
mettevano innanzi a una barriera.

C'eran dunque famiglie ch'ella «non poteva» conoscere, e donne che «non
dovevano» salutarla? Si era data con ingenua lealtà, fidando, senza un
calcolo, per impeto d'amore; e niente la salvava dalla riprovazione
arcigna del mondo? Ella aveva contro di sè la piccola società borghese
alla quale apparteneva, e la società aristocratica alla quale non poteva
appartenere; l'una e l'altra s'accordavano in un sol punto, nel
biasimarla.

La fanciulla evitò di metter piede a Lido, temendo che la sua mala sorte
la facesse incontrar con Filippo e obbligasse l'uno e l'altra alla
commedia di scambiare un saluto appena percettibile; ma se lo sguardo le
cadeva sui giornali cittadini, vedeva il nome di Flopi nel resoconto
delle feste accomunato con quello di Berto Candriani, del tenente
Orseolo, del marchese di Spinea, e due righe sopra una sfilata di dame,
dalla contessa Osvaldi alla duchessa di Torrecusa, dalla contessina
Fioresi alla contessa Lombardi. Eran sempre le medesime, accompagnate
dai medesimi aggettivi, disposte nel medesimo ordine; e venivan poi i
nomi di signore esotiche, le quali almeno, sparivano e ricomparivano con
maggior varietà.

Che cosa faceva Flopi, come poteva non annoiarsi tra quelle donne,
ch'egli vedeva tutti i giorni, da anni?

Berto Candriani, una sera a pranzo, aveva detto sbadatamente, innanzi a
Loredana, che non si può vincere la noia in società se non a patto di
andarvi per corteggiare una donna, per trovar l'amore o per condurre un
flirt. E aveva svelato i piccoli intrighi, che legavan questo a quella,
sfilando una corona di allegri pettegolezzi ed esagerando molto.

Loredana aveva dato un valore d'assioma alle parole del Candriani, e
aveva guardato Filippo impallidendo; ma Filippo, quella sera medesima
sul tardi s'era recato a una delle solite «sauteries» spinto dalla
curiosità di veder dappresso il famoso Milan Obrenovich, del quale si
narrava in quei giorni la riconciliazione con la regina Natalia. La
giovane s'era coricata subito, per piangere, e nel cupo silenzio della
notte veneziana, a lungo aveva dovuto aspettare il ritorno di Flopi.

Distesa sul letto, i capelli raccolti in fascio dietro la nuca, guardava
tra le lacrime la sua camera e gli oggetti intorno, che le eran tanto
cari. Una lampada ardeva sul tavolino; il letto chiuso nei veli della
zanzariera, che tenevan Loredana come in un'ampia rete, e i mobili di
mogano lucido sui quali splendevano le serrature e le borchie d'argento,
e le due finestre debolmente illuminate dalla fiammella del lampione
ch'era innanzi alla casa, e le poltrone di stoffa a larghi fiori di
velluto in rilievo, tutto era accarezzato come da un raggio lunare, per
la lampada che aveva il globo intensamente azzurro.

Il valzer in casa Lombardi cantava intanto: «Abbandonatevi a queste
gioie malinconiche, a quest'onda invisibile, e sognate tutti i vostri
sogni, prima che l'alba vi risvegli....»




III.


Di quel patriziato veneziano del quale le storie del 1848 non dicono
nulla, quelle del '59 non dicono niente e quelle del '66 dicono poco, il
conte Roberto Vagli era stato a' suoi tempi una fortunata eccezione.

Come ufficiale di cavalleria, aveva preso parte al combattimento di
Montebello, che viene giudicato dai tecnici il primo scontro importante
del 1859; e terribile, perchè secondo alcuni autori, metà della
cavalleria piemontese--lancieri Aosta, lancieri Novara, cavalleggieri
Monferrato--vi rimase distrutta, essendosi urtata con gli Ussari Haller
sotto la fucilata implacabile dei battaglioni austriaci; e stupendo per
l'impareggiabile pertinacia dei cavalieri italiani che si lanciarono più
volte alla carica con una furia, la quale il fuoco e il piombo non
poterono arrestare.

Fu il conte Vagli di poi alla battaglia di San Martino con quegli
squadroni d'Aosta, di Saluzzo e d'Alessandria, che sciabolando
ripetutamente il nemico, l'obbligarono a ripiegare verso Pozzolengo.
Bella battaglia, ideata e svoltasi alla vecchia, con accanitaggine
testarda, con episodii di rabbia incredibile; e l'eco ne giunse tosto a
Venezia, dove nessuno osò per quella vampa di gloria e d'entusiasmo
inanimire il popolo e dare al vento il vessillo italiano.

Il conte Roberto Vagli si sentiva certo meglio di suo nipote Flopi,
gettando uno sguardo al passato, benchè la famiglia fosse stata sempre
più incline a censurare le mende dei numerosi scapestrati onde s'ornava
l'albero genealogico, che non a compensar le gesta dei pochi valorosi i
quali avevan compiuto il loro obbligo. Si sentiva certo meglio, il conte
Roberto, dei suoi coetanei, ch'egli non aveva incontrato nè tra i
lancieri d'Aosta, nè tra gli ussari austriaci, nè tra nemici, nè tra
commilitoni.

Egli fu candidamente felice di poter far parte di quel Comitato che
nell'anno 1893, sotto la presidenza del cavalier Breda, aveva preparato
l'inaugurazione della Torre di San Martino della Battaglia; e mentre la
cognata andava snocciolandogli la litania dei vizii e degli stravizii di
Flopi, e degli amori con la sbarazzina e della necessità di qualche
grave minaccia, il conte Roberto, fattole comprendere d'averne
abbastanza, riviveva le belle memorie, tutto chiuso in pensieri più alti
e più gravi che non fosse l'avvenire del nipote.

Frugava tra carte vecchie, contemplava i vecchi ritratti degli ufficiali
di cavalleria e di quelli dei bersaglieri, che avevano caninamente
disputato il terreno agli austriaci, battendoli passo per passo, da una
casipola a un cimitero, da un albero all'altro; e sentiva quasi sul
volto un alito fresco, certamente nelle vene un sangue gagliardo
scorrere, e voleva ridere di piacere per i giorni gloriosi, che nessuno
poteva cancellare più.

Quel 15 ottobre 1893, in cui la Torre venne finalmente inaugurata alla
presenza d'Umberto e di Margherita, tra una folla di settantamila
persone onde furono allagati i bei viali di cipressi e la pianura, sotto
un mirifico sole, il conte Roberto fu tutto preso da una tenera gioia e
da un'ombra di malinconia, rivedendo parecchi dei vecchi combattenti e
rammentando i molti scomparsi.

Filippo gli era al fianco; a lui quel tuffo in un'epoca vicina e pur
così diversa da quella in cui viveva, diede subito una specie di
sbalordimento. Lo stesso zio Roberto ch'egli si dipingeva sempre al
pensiero come un brav'uomo bizzarro, gli apparve fermo, giovane, sereno.
Ne aveva un poco riso la sera prima, senza malizia, con Loredana la
viperetta; e il mattino, innanzi alla torre storica, vedendolo tutto
lieto, il petto fregiato di belle medaglie conquistate tra lo sciabolare
dei nemici furiosi e vinti, Filippo ebbe quasi un fremito d'invidia e di
rispetto.

Quando il cavalier Breda lo chiamò e lo presentò al Re dall'occhio
fulmineo, dicendo a Sua Maestà nel placido dialetto, a cui il
commendatore non aveva voluto rinunziar neppure in quell'ora solenne:

--«La permeta che ghe fazza conossar sto bravo giovine....»

Filippo, inchinandosi profondamente, si chiese perchè lo presentassero
al Re e perchè egli fosse un bravo giovane; forse non per altro, se non
perchè nipote del conte Roberto.

La folla bisbigliava facendo ala ai Sovrani per vedere la Regina,
augusta bellezza nell'abito violetto, col cappello nero piumato sulla
massa della chioma d'oro; e Filippo, rimasto a pochi passi dal Re,
sentiva gli sguardi avidi fissare il gruppo dei generali, cercar fra
questi il vecchio Cucchiari, e diffondersi il susurro, diventar grido e
tumulto, perdersi lontano dove ondeggiava un mare di teste.

Più tardi, durante la visita all'Ossario, Filippo guardò i teschi degli
ufficiali italiani e austriaci, raccolti e disposti nella scansia
circolare.

Pel vialetto di cipressi che adduceva a quel funereo reliquario, la
battaglia era stata atroce; i colpi di fucile avevano sloggiato i nemici
a uno a uno, quasi in un duello di soldati contro soldati; qua e là
l'iscrizione breve d'una pietra rozza fitta in terra indicava la zolla
su cui un ufficiale italiano era caduto durante la rapida caccia; e la
terra pareva diversa da quella di tutti gli altri campi, quasi il sangue
onde s'era abbeverata l'avesse fatta più grigia e più triste.

Ma Filippo osservò attentamente i teschi raccolti nell'Ossario. Il conte
Roberto, senza parlare, gliene segnò alcuni col dito, gl'indicò il
cartellino col nome; dalle occhiaie e dalle suture sconnesse di alcuni
pendeva per una cordicella il pezzo di piombo che aveva traversato il
cranio o spaccato il cuore; e toccando quei frantumi di proiettili e di
mitraglia, Filippo vide fuggire lungo i palchetti della scansia qualche
scolopendra che aveva preso albergo nei teschi dei valorosi.

Egli guardò Roberto, che sorrise tranquillo.

--È un altr'uomo!--pensò Filippo.--La morte non gli desta alcun orrore;
egli vede i teschi dei commilitoni come fossero ancora animati, e
avessero occhi e carni. Poteva essere lui nell'Ossario; io non l'avrei
conosciuto e non avrei compreso il suo sacrificio.

Roberto lo toccò nel gomito. I due Sovrani uscivano scambiando qualche
parola con gli ufficiali ch'erano intorno; tutto il sèguito si muoveva.

Roberto disse:

--Ebbene, che pensi? Ti piace?

Filippo non potè trattenersi dal ridere sommessamente.

--Che verbo strano tu hai scelto!--egli rispose.--Se mi piace! Come
fossimo a un ballo!

--A me piace molto,--disse lo zio con semplicità.--Ogni passo su questo
terreno mi fa rivivere. Non è stata una grande battaglia, sai? E si sono
commessi spropositi da cavallo; tuttavia è andata bene. A Montebello ci
eravamo divertiti meglio; gli Ussari erano magnifici; bei soldati gli
Ussari; ma qui abbiam picchiato più forte, più deciso. Tu avessi visto
il cimitero! Un carnaio; si dovette conquistarlo a mitraglia e a
fucilate come una fortezza. E la villa Tracagne, presa e ripresa sei
volte? Ha nella fronte ancora diciotto palle da cannone....

Tacque un istante, gli occhi nel vuoto, sopra le teste della folla che
egli non guardava e che guardava lui. Aggiunse, col sorriso pacifico:

--Ci siamo divertiti! Bah! Non potere tornar daccapo!...

Filippo voleva dire qualche cosa; voleva dirgli che lo amava assai in
quel momento, che gli pareva nobile ed alto; ma si rattenne non trovando
la parola discreta, e sorrise egli pure.

Il resto della cerimonia, la messa, il banchetto nel padiglione reale,
non ebbero per Filippo alcun significato; la festa si vestiva ormai
della sua veste ufficiale.

Davanti alla Torre, i due cannoni che la presidiavano con le bocche
rivolte al viale, attrassero l'occhio di Filippo, che pensò i due vecchi
arnesi della guerra già antica serrassero qualche cosa in sè dell'anima
di Roberto; egli era della stessa tempra ingenua e salda.

Ma l'imagine che rimase nitidissima fra tutte nella mente di Filippo fu
quella dei teschi, dei frantumi di mitraglia, delle scolopendre che
correvano smarrite.

Rivide il vialetto dei cipressi già imbevuto di sangue, e si provò a
sognar quell'episodio di furore, la corsa, il crepitìo delle fucilate;
udì quasi l'ansimar dei soldati sotto la tempesta di ferro, e questo e
quello vide cadere, squarciato il viso, rotto il fianco. Il conte
Roberto eccolo alla testa d'un plotone di lancieri sbucare di repente
tra quell'inferno, urlando e sciabolando coi suoi cavalieri indemoniati;
e il sibilo della mitraglia raddoppiare: cavalli impennati, uomini
precipitati di sella; e dietro, altri plotoni e altri, e lampeggiar di
lame e di lance: cavalleggieri Saluzzo, lancieri Aosta, cavalleggieri
Monferrato, tutti addosso al nemico che balena. Poi, d'un tratto
l'uragano scoppia; la furia del cielo si mesce alla furia degli uomini,
violentissima, e al fragor delle armi si unisce il guizzo dei fulmini e
lo scroscio della bufera.

--Torni a Venezia?--domandò il conte Roberto.

Filippo sussultò in modo, che il vecchio si mise a ridere.

--A che pensavi?--disse.

L'altro si passò una mano sul viso come trasognato. Erano tutti in
piedi, al finir del banchetto. Si fece un gran silenzio: i Sovrani si
congedavano; e a Umberto piacque salutare affettuosamente il conte
Roberto Vagli.

--Arrivederci,--gli disse, stringendogli la mano e fissandolo con gli
occhi acuti.--Sono contento d'aver conosciuto ancora un valoroso....

Strinse la mano pure a Filippo, con un breve sorriso.

Sul volto di Roberto s'era diffusa una espressione di compiacimento
quasi fanciullesco, alle parole di Umberto; e il vecchio restò a
guardare il Re che s'allontanava con Margherita, stretti intorno dagli
alti funzionarii.

Filippo gli domandò:

--Sei soddisfatto? Umberto è stato molto gentile con te.

--Molto, molto!--esclamò il vecchio con gioia.--Non potevo desiderare di
più. È stato troppo buono, e mi ha confuso. Per quattro sciabolate!...
In verità mi rammarico del poco che ho potuto fare!... Quattro
sciabolate! Ma se torno daccapo....

S'interruppe e si mise a ridere.

--Oggi mi son fitto in testa di far la guerra,--disse poi.--Si vede che
ho la febbre. Ma ti assicuro che farei meglio, farei pazzie!...

Drizzò la bella persona, quasi imaginando di rotear la sciabola contro
un nemico invisibile; ed era in quella sua fantasia così fiero e deciso,
che Filippo lo guardò ammirato.

Risonava il terreno per un galoppo sordo e continuo; la folla sterminata
correva a veder la partenza dei Sovrani, a prender d'assalto i treni; e
spinta innanzi dalla curiosità e dalla fretta, innalzava un convocìo
incessante che a poco a poco diventava un urlo rauco, quasi il soffio di
una procella vicina.

Più volte Roberto e Filippo vennero urtati; ma essi procedevano adagio e
in silenzio, ciascuno abbandonato all'onda dei proprii pensieri, i quali
eran tanto dissimili che si sarebbe detto i due uomini appartenessero a
due mondi piuttosto che a due epoche diverse.

Roberto ebbe ancora qualche esclamazione:

--Buon Re!--disse, quasi parlando da solo.--Egli ha conosciuto la guerra
e la battaglia; le sue parole mi son più care.

Rintronava il galoppo; passavano intere famiglie, seguite dalla
domestica che recava sulle braccia i canestri vuoti della colazione, e
tutti della famigliuola correvano, chiamandosi e incitandosi ad alta
voce; qualche volta, rapido al par del fulmine, appariva e spariva un
cane, abbaiando per cercare il padrone; di quando in quando passava una
carrozzella, zeppa di gente così da far pensare che le molle stessero
per cedere e il cavallo per rimanere stecchito; e di nuovo la folla
sparsa, una tempesta di ombrellini aperti con colori strani, con le
forme più varie, dal minuscolo all'enorme; e gruppi che procedevan
lenti, a squadre, alternando l'inno di Garibaldi con l'inno di Mameli. I
due uomini seguitavano a camminare adagio, in silenzio, urtati e
stretti, col pensiero lontano.




IV.


Quando, la sera stessa, Loredana gli domandò qualche notizia di quella
festa, Filippo fu insolitamente loquace.

Il salottino nel quale si trovavano era per tutta la parte superiore
immerso nell'oscurità; dalla tavola di mezzo la lampada, coperta con un
paralume rosso, proiettava la luce sul capo di Loredana, che stava un
po' curva a ricamare; e Filippo, sdraiato in una poltrona nell'angolo,
s'intravedeva appena. Egli era ancor tutto vibrante per le impressioni
della giornata, e fu felice di parlarne; disse a Loredana di quella
cerimonia straordinaria e si fece a descrivere i particolari che meglio
avevano attratto il suo sguardo.

--Ah quei teschi, quei teschi!--esclamò.--Che eloquenza viene dalle
cose! Io, vedi, non avevo mai capito, anzi dirò che non avevo mai
apprezzato lo zio; ci voleva San Martino, ci voleva l'Ossario perchè
comprendessi finalmente Roberto e imparassi ad amarlo. È un uomo
semplice e buono, ed è un valoroso. Prima m'infischiavo di lui: oggi in
verità, non vorrei dispiacergli per nulla al mondo.

Loredana tacque: il fervore inusato dell'uomo le giungeva nuovissimo, e
non sapeva come spiegarne la causa.

--Ho sentito,--continuò Filippo,--quanto io sono miserabile al confronto
di quei vecchi. C'era il generale Cucchiari, te l'ho detto? Guardandolo,
ho pensato ch'egli ha visto cose e provato emozioni che io non potrò mai
nemmeno sognare. Io sono un piccolo uomo impegolato in una piccola
guerra di pettegolezzi; e tra me e quei vecchi c'è la stessa differenza
che tra il pettegolezzo e un colpo di cannone.

--Quale piccola guerra di pettegolezzi?--domandò Loredana, senza alzare
il capo dal suo lavoro.

--Ma sì, la solita musica!--disse Filippo.--Voglio dire, tutte le
chiacchiere che si fanno intorno a me, e intorno a te, e le ire dei
parenti, di mia madre, di mia sorella, di mio cognato e anche dello zio.

--Ma allo zio non vorresti spiacere!--osservò Loredana.--E se ti
pregasse di lasciarmi, allora mi lasceresti subito?

Le parole furon dette con accento così teneramente dubbioso, che Filippo
balzò in piedi ridendo, e corse a baciar la testa curva dell'amante.

--Sono uno sciocco!--esclamò.--Anche tu sei una sciocca, a farmi queste
domande. Su, àlzati, su, viperetta!

Loredana si alzò lentamente, e senza comprendere depose il ricamo sulla
tavola; ma Filippo l'afferrò pel busto e la trascinò ballando.

--Su, su!--diceva.--Dobbiamo ballare; non essere triste per queste
sciocchezze....

La giovane, abbandonata fra le braccia del suo Flopi, cominciò a ridere,
lasciandosi trasportare; ma a poco a poco, perchè egli insisteva, si
mosse con giusto ritmo; e la signora Teobaldi, che entrava in quel punto
con un mazzo di carte per il suo abituale solitario, restò a bocca
aperta, vedendo i due amanti che ballavano un valzer in silenzio nella
camera penombrosa.

--Quale spettacolo!--disse ammirata, disegnando nell'aria un gesto
solenne.--Quale spettacolo d'amore perfetto!

Loredana diede in una risata; ma il cuore le martellava dalla gioia; una
fanciullaggine di Filippo, un suo atto gentile, un pensiero di
sollecitudine le snebbiavan dall'anima quelle ore di trepidanza che la
vita mondana di lui le cagionava.

Non era più la vita dei salotti; l'autunno aveva ormai circoscritto i
convegni, e la società elegante si ritrovava nelle sale dei grandi
alberghi sulla Riva degli Schiavoni o lungo il Canalazzo. Ivi i ricchi
stranieri che avevano amicizia con l'aristocrazia veneziana, davano
pranzi e feste: e le riunioni eran tanto curiose e vivaci, quanto e
meglio che quelle della società consueta.

Gli stranieri si dilettavano di recarsi dopo pranzo in gondola alle
serenate, per udir le canzoni e per vedere i palloncini che si
riflettevano dalle barche dei cantanti nell'acqua scura. Filippo, che a
quei pranzi doveva spesso partecipare, si destreggiava sempre in maniera
da evitare il supplizio delle canzoni, e tornava presto a Loredana per
uscir con lei in gondola, lontano, nell'ombra del Canal della Giudecca,
dove il silenzio era stupendo.

A una di quelle feste date da stranieri in un grande albergo, Filippo
non fu poco sorpreso di trovare lo zio Roberto.

--Tu qui?--gli disse Filippo, con espressione di piacere.

--Ti dirò poi; usciremo insieme,--rispose il vecchio.

Alla festa erano intervenuti madame Lodge, una parigina bionda (bionda o
tinta?) e una mistress Stewart col marito, il signor Stewart, il quale
era un grande cacciatore di galli di montagna.

V'era la principessa Stephen, una viennese di trent'anni, che girava il
mondo; suo marito girava il mondo dall'altra parte e non s'incontravano
mai. La principessa parlava costantemente dell'anima e si faceva
corteggiare di preferenza dagli ufficiali. Ella era tutta vestita di
bianco, tre giri di grosse perle al collo, merletti bianchi sullo
strascico; ma aveva le scarpette d'oro come mademoiselle de Toulouse.

Mademoiselle Lucienne de Toulouse, di passaggio a Venezia con la madre,
abitava a Singapore, aveva diciotto anni, sapeva quattro lingue ed era
molto insolente; non la si vedeva mai senza il portasigarette d'argento
stellato di turchesi e una piccola borsa a maglie d'oro. Parlava di
tutto, a grande velocità. Il conte Roberto stava ad udirla con una
maraviglia così schietta, che Filippo scorgendolo non potè trattenersi
dal ridere. Egli conosceva bene quei convegni di gente venuta da tutte
le parti del globo, non legata che da vincoli di cortesia, pronta a
ripartire domani per il Polo Nord o per l'Africa o per qualunque paese
dove la noia fosse minore e la moda imperasse; di volta in volta
ricomparivano vecchie conoscenze e si ingrossava la schiera delle nuove.

Il signor Stewart, ad esempio, passava a Venezia quindici giorni ogni
anno, da trent'anni; e Filippo l'aveva sempre udito parlar della caccia
al gallo di montagna; sopra gli altri argomenti il signor Stewart non
nutriva alcuna opinione; onde Filippo aveva preso tanto in uggia il
gallo di montagna, che avrebbe dato la caccia al cacciatore.

Ma in quelle riunioni di stranieri infierivan l'amoretto, il piccolo
intrigo, ciò che le persone bennate chiamano _flirt_, e mademoiselle de
Toulouse e la principessa Stephen avevano un _flirt_ a ogni angolo della
sala; e abitualmente a Vienna, a Biarritz, a Zermatt, al Cairo, ad
Aix-les-Bains, ovunque le signore si recassero, il _flirt_ si ripeteva
con altri personaggi e con lo stesso effetto; Filippo, sapendo il
giuoco, vi si prestava per cortesia, senza mettervi alcun impegno, come
chi arrischia una partita per ingannare il tempo.

Egli fu molto gentile con la principessa Stephen, la quale desiderava,
civettando con Filippo, d'indispettire il capitano Ketwort, che nel
_flirt_ non era sufficientemente destro e si appassionava in modo
pericoloso; ma quando Filippo s'accorse che negli occhi del giovane
capitano balenavano lampi d'odio, smise subito, fece un lieve cenno al
conte Roberto e insieme con lui si congedò.

Era ormai la mezzanotte; i due uomini percorsero in silenzio la riva
degli Schiavoni battuta dalla luna; l'isola di San Giorgio era così
bianca sotto il raggio, che la chiesa e il campanile parevano di gesso.
Dietro l'isola si effondevano densi cirri color d'argento.

Roberto si fermò d'un tratto e disse:

--Volevo chiederti una spiegazione.

Dal tono, Filippo sentì che si trattava d'un argomento inusitato, e
aspettò.

--Volevo chiederti quante sono a Venezia le contesse Vagli.

--Non capisco,--disse Filippo, guardando stupito lo zio.

--Ecco; oggi ero in un negozio a comprarmi qualche cianfrusaglia, quando
è entrata una ragazza, un cosino, un diavolino alto quattro spanne, che
rivolgendosi al commesso ha detto: «Quella roba per la contessa Vagli
non è ancor pronta?» Io ho guardato la ragazza, ma non la conoscevo. Il
commesso ha risposto: «Sì, è pronta!» E volgendosi al facchino, e
consegnandogli un involto, ha soggiunto: «Porta subito alla contessa
Vagli, sulle Zattere!» Ora io ti domando di nuovo: quante sono a
Venezia le contesse Vagli?...

Filippo non rispose: era annichilito. La descrizione del cosino, del
diavolino alto quattro spanne, gli aveva fatto subito comprendere che si
trattava della cameriera di Loredana, e le osservazioni di Roberto lo
avevano colpito in pieno petto.

--Di contesse Vagli, io non ne conosco che una!--seguitò lo zio:--tua
madre, mia cognata. Se ve n'è un'altra sulle Zattere, ti prego di
presentarmi, perchè avrò piacere di vederla in faccia.

Filippo continuò a tacere; e come se il silenzio di lui lo inacerbisse,
il conte Roberto riprese alzando la voce:

--Si tratta di quella solita birichina che ho visto a Sirmione. Io non
ne ho più parlato perchè non volevo annoiare me e te. Ma ormai le cose
prendono proporzioni fantastiche: non posso permettere, nessuno può
permettere che usurpi un nome e un titolo, i quali non solo non le
appartengono....

Filippo diede rapidamente un'occhiata intorno: sulla Riva i passanti
erano radi e non parevano badare ai due uomini, che si fermavano di
tratto in tratto.

--....ma appartengono a tua madre, la quale è una dama, una vera dama,
esempio d'ogni virtù! Che cosa sarebbe avvenuto se quel diavolino di
quattro spanne si fosse trovato nel negozio con tua madre? Che cosa
avrebbe pensato di te quella povera donna?

--Permettimi!--interruppe Filippo, tanto per interrompere.--Tu ti
arrabbi troppo per la storditaggine d'una cameriera....

--Ah no, poi!--esclamò il conte Roberto, fermandosi.--Non verrai a dirmi
che è un capriccio della cameriera: la cameriera non può inventarsi un
titolo; se lo inventa, la si redarguisce; ma essa ne usa, invece, e ne
abusa, perchè sa che quest'abitudine riesce gradita alla tua monella e
fors'anco a te....

--Io?--disse Filippo, mentendo come un ragazzo.--Io non ne sapeva
niente.

--Tu non ne sapevi niente, è inteso!--ripetè il conte Roberto con
sarcasmo.--In casa, pei negozii, tra pettegole, per le vie, tutti la
chiamano contessa Vagli, e tu non ne sai niente, tu vivi nelle nuvole,
tu non hai orecchie per udire.... Questo è deplorevole, Flopi; bisogna
saper udire e vedere, specialmente quando si ha a fare con donne, le
quali, da ciò che ho appreso, non hanno scrupoli.... Qui si tratta d'una
vera e propria usurpazione di titoli, non solo, ma anche di nomi. Certo,
quella ragazza non è di nostra famiglia; certo, non è contessa....
Questa commedia, insomma, deve finire....

--Finirà,--disse Filippo seccamente, sperando che lo zio si arrendesse.

Ma Roberto, forse animato dalla brezza che soffiava piacevolmente e
dall'ora calma che incitava a lunghi discorsi, volle continuare:

--Tutto potevo aspettarmi da te, all'infuori di questa mancanza che è
quasi una mancanza contro l'onore....

--Zio, non dire spropositi!--rimbeccò Filippo.

--Dico _quasi_: _quasi_ una mancanza contro l'onore,--insistette il
conte Roberto.--Hai dato in balìa d'una ragazza un nome e un titolo
illustri, che a noi devono essere sacri; hai permesso che i servi e le
serve se ne gonfino la bocca e forse ridano alle vostre spalle, sapendo
magnificamente che nome e titolo sono falsi, messi insieme per divertire
la tua mantenuta....

--Ma che mantenuta!--esclamò Filippo, irritato.--È la mia amante!

--Amante e mantenuta sono sinonimi in certi casi,--dichiarò
inappellabilmente Roberto.--La birichina non ha una posizione sociale
che le permetta di vivere senza il tuo aiuto; e dunque tu la mantieni, e
dunque è la tua mantenuta....

--La mantenuta è un altro tipo di donna,--osservò Filippo.--Fa
dell'amore un reddito e un mestiere, allogandosi presso l'uno o presso
l'altro; è un oggetto di piacere che si noleggia per un dato tempo. Il
caso di Loredana è ben diverso....

--Loredana!--ripetè il conte Roberto.--Si chiama anche Loredana, nome
patrizio e storico....

--Non pretenderai mica di toglierle il nome di battesimo?--osservò
Filippo ironicamente.

--Ma è suo? È veramente suo? Non sarà posticcio come il titolo di
contessa?--domandò Roberto con inquietudine.

Per tutta risposta, Filippo alzò le spalle.

--E si deve chiamar Loredana!--seguitò Roberto, quasi parlando tra di
sè.--Una volta si era più guardinghi nella scelta dei nomi, e si
rispettavano quelli che il patriziato rendeva famosi....

--Oggi non si rispetta più nulla,--osservò Filippo con lieve
canzonatura.

--Tu giudichi queste cose con troppa leggerezza,--disse il conte
Roberto.--Sei molto cambiato da qualche tempo, e non hai più le nostre
idee....

--Quali idee?

--Le idee della nostra classe. Ogni classe sociale deve avere le sue
idee e difenderle,--sentenziò il vecchio.--Ne ha il popolo, ne ha la
borghesia, ne ha l'aristocrazia, e dal conflitto nasce la vita, sorge il
progresso. Quando una classe rinunzia alle sue idee e non le difende o
comincia a dubitarne, è perduta. Mi dispiace sempre vedere che i giovani
moderni ridono d'ogni cosa; noi eravamo assurdi, forse, eravamo troppo
rigidi, ma abbiamo difeso il tesoro d'idee lasciatoci dai vecchi, e
abbiamo ritardato il trionfo dell'anarchia.

--Che c'entra tutto questo con Loredana?--chiese Filippo.

I due uomini passeggiavano in lungo e in largo per la Piazza deserta a
quell'ora; la Basilica aveva alla sommità, tra gli archi, le cupole, le
croci bizantine, ancora qualche pallido sprazzo d'oro; e dalle
Procuratie prorompeva qua e là, in diversi toni di giallo sul grigio, la
luce dei caffè aperti. Così spopolata, con le infinite finestre delle
Procuratie, tutte chiuse, la Piazza sembrava immensa.

--Tua madre ha ragione,--dichiarò il conte Roberto, per tornare
all'argomento.--Ella vorrebbe che tu sposassi quella piccola Giselda, la
Fioresi....

--Ma se non mi piace!--esclamò Filippo.

--Non ti piace, non ti piace!... È impossibile che non ti piaccia; una
ragazza come la Fioresi deve piacere a un uomo di buon gusto. Bella,
educazione squisita, intelligenza pronta, nome, titolo, patrimonio
sicuri, ecco la vera contessa Vagli di domani. Io ne sarei
contentissimo, per te e per tua madre.... E sai che cosa vuol dire far
contento lo zio?

Filippo non rispose; procedeva a capo basso, le mani dietro la schiena,
guardando le liste bianche della pietra sul selciato. Era la prima volta
che il conte Roberto faceva allusione all'eredità e al denaro,
quantunque assai discretamente; Filippo stette silenzioso ad ascoltare.

--Lo zio ha molti quattrini inutili,--seguitava Roberto, in tono fra lo
scherzoso e il grave;--molti quattrini inutili, bene impiegati, che
dànno una rendita larga e certa. E se sarà contento, lascerà tutto a
Flopi, a sua moglie, ai piccoli «flopini», e creperà tranquillo, da buon
vecchione semplice e onesto. Ma se lo zio non sarà contento, parola
d'onore, Flopi rimarrà senza un soldo: zero via zero!...

Filippo alzò il capo: non si aspettava una dichiarazione così esplicita,
e se ne sentiva offeso e annoiato. Guardò in faccia Roberto e disse con
accento reciso:

--Non ti ho mai chiesto nulla, zio: non ho mai domandato quali fossero
le tue intenzioni, e mi dispiace che tu confonda una questione di
sentimento con un affare d'eredità. Io devo disingannarti subito: non
farò nulla, non farò nulla mai per allungar la mano sul tuo denaro.

--Ma no,--interruppe Roberto stupito.--Che cosa dici? Mi sono espresso
male: non ti credo capace d'un calcolo. Volevo dirti che la Fioresi
sarebbe una buona moglie per te, e che io vorrei sentirmi tranquillo
circa il tuo avvenire....

--Lasciamo, lasciamo,--fece bruscamente Filippo.--Abbiamo già parlato
troppo. Oggi è di moda la beneficenza, e tu puoi regalare i tuoi
quattrini inutili a qualche istituto umanitario. Ma io mi terrò
Loredana.... Anzi, per soprammercato potresti regalare all'istituto
anche quella maledetta Fioresi perchè la sposassero a qualcuno, tanto da
togliermela di tra i piedi....

Il conte Roberto crollò il capo, disapprovando quel tono impertinente;
poi si fece forza, e disse con rammarico:--Non ci comprendiamo.

--Non ci comprendiamo,--ripetè Filippo.

I due uomini tacquero un istante, poi arrivati in fondo alla Piazza,
all'angolo della Merceria dell'Orologio, si strinsero la mano e si
lasciarono freddamente.




V.


Berto Candriani, che quella sera medesima si era recato al teatro
Goldoni, per veder chi ci fosse e per far qualche visita nei palchi, non
appena fu in platea ed ebbe girato intorno lo sguardo, si rallegrò seco
stesso della sua buona idea.

--Com'è bella!--egli borbottò, senza badare a quelli che gli stavano
addosso e lo urgevano da tutti i lati.

In un palchetto di primo ordine aveva subito scorto Loredana, alla quale
era di fronte Clarice. La fanciulla stava attentissima alla scena ed
alla musica del «Boccaccio», e la dama di compagnia si faceva fresco con
un gran ventaglio, lenta e solenne. Berto gettò un'altra occhiata tutta
in giro per abitudine.

Il teatro era stipato; nelle poltrone molte signore; molte dame nei
palchi, le quali avevano abiti chiari; in platea non v'era modo di
muoversi; nella penombra che avvolgeva il vaso, per dare maggior forza
alla luce e ai colori chiassosi del palcoscenico, si vedevan tuttavia
parecchi binocoli rivolti al palco di Loredana; uomini e donne la
fissavano con curiosità e si scambiavano sottovoce qualche osservazione.

Berto non attese che l'atto finisse; uscì dalla platea, corse per le
scale, aperse l'uscio del palco....

--Oh come mi fa piacere!--esclamò Loredana ingenuamente, al veder Berto
che inoltrava, col cappello nella sinistra.

--Fa più piacere a me!--egli rispose ridendo e chinandosi a baciar la
mano della giovane.

Clarice voleva lasciare il posto a Berto, ma questi la inchiodò con
un'occhiata.

--Mi metto qui,--egli disse,--a fianco della signorina; si sta meglio.
Non c'è Flopi?

--No,--rispose Loredana.--È al «Grand Hôtel», credo, a fare una visita.
Tornerà tardi.

Uno zittìo improvviso le troncò la parola in bocca; gli spettatori della
platea non volevano essere disturbati, e alcuni guardavano in su con
espressione di sdegno. Loredana si mise a ridere sommessamente: poi
sommessamente continuò a parlare.

--Ha fatto bene a venire a trovarci,--ella disse.--Se rimane fino alla
fine, ci può riaccompagnare a casa: io ho la gondola.

--Ma io rimango fino all'alba!--dichiarò Berto, guardando Loredana.

Essa indossava un abito di panno bianco, con la sottana a pieghe
verticali e la camicetta di trine; un gran cappello nero dalle lunghe
piume posava sulla testolina, dandole un'espressione graziosamente
spavalda. Berto si sforzò a imaginare sotto l'abito il bel corpo nitido
e giovanile, il tesoro di voluttà che quella eleganza semplice e degna
avvolgeva misteriosamente; e vicino a lei, con la spalla destra che
sfiorava la sinistra della ragazza, aspirò il profumo che sorgeva dalla
gonna e dal collo.

Forse qualche cosa avvertì Loredana dei pensieri che galoppavano per il
cervello del suo visitatore, qualche lampo nello sguardo di lui,
l'istinto che parla presto e sicuramente nell'anima della donna; essa
non gli volse più gli occhi e si rabbuiò in viso.

--Lei ha un trionfo, questa sera!--mormorò Berto.--Veda quanti binocoli
sono diretti qui!

--Non è vero?--disse Clarice.--L'ho osservato io pure; ma la contessa
non vuol sentirselo dire.

--Hanno ragione, quegli stupidi,--continuò il giovane.--La signorina è
deliziosa; non c'è una, in tutto il teatro, che possa starle a paragone.
Flopi è ben fortunato!

Loredana lo guardò duramente.

--Lei è molto strambo,--disse.--Non mi ha mai fatto complimenti di
questo genere....

--Ho avuto torto, e riguadagno il tempo perduto,--rispose Berto
sorridendo.

--No, la prego: questi discorsi mi affliggono. E voi, Clarice, non dite
altre sciocchezze!

La signora Teobaldi dimenò il ventaglio in tutta furia, dolentissima del
rimbrotto, che la impacciava davanti al Candriani.

--Io vorrei sapere,--riprese questi, ostinatamente,--perchè l'affligga
un'espressione di lode sincera. Io l'ammiro e glielo dico; lei è molto
bella, stasera, e glielo dico; lei veste con molta eleganza, e glielo
dico....

--Perchè?--interruppe Loredana, che aveva sentito una vampa infiammarle
il viso.--Perchè tutti me lo dicono, ecco; per le calli, pei negozii,
sui vaporetti, dovunque io vada, son le solite frasi: a Venezia, gli
uomini non fanno altro, come non avessero mai visto una donna giovane
che non sia un mostro. Io credeva che lei non fosse così. E poi, aspetti
a dirmi che sono molto bella quando c'è Flopi. Perchè non me lo dice
quando c'è Flopi?

--Già!--esclamò Berto.--Come se Flopi avesse bisogno di apprenderlo da
me! E del resto, se aspetto che ci sia Flopi, devo aspettare un pezzo,
perchè mi sembra che Flopi non ci sia mai....

Il giovane s'interruppe e si morse le labbra. Un velo d'angoscia era
calato repentinamente sul viso della ragazza e le aveva dato
un'espressione di tanto dolore, che Berto dovette confessarsi d'essere
stato villano e maligno.

--Come canta bene quella nanerottola!--disse, accennando del capo alla
prima donna, con la speranza di sviare il discorso.

Ma Loredana non rispose. Le parole di Berto l'avevano toccata
profondamente: anche gli altri, dunque, notavano che Flopi sembrava
trascurarla per vivere la sua maledetta vita mondana? E quelle donne,
quegli uomini che glielo toglievano per godere essi la sua compagnia,
quanto erano odiosi ed egoisti! Nei palchi tutt'intorno v'eran parecchie
di quelle donne con le quali Filippo aveva dimestichezza, e Loredana le
avrebbe avvelenate dello sguardo; esse invece la fissavano
insolentemente col binocolo, susurrando poi qualche parola, e insistendo
così che si sarebbe detto facessero a bella posta per irritarla.

Da quando Berto Candriani s'era mostrato nel palco, la curiosità era
cresciuta; molte signore che conoscevano il Candriani, si ripromettevano
d'interrogarlo con affettata indifferenza. Le più sapevano che quella
ragazza era l'amante di qualcuno; altre, che avevano un migliore
servizio di pettegolezzi, sapevano che era l'amante di Filippo Vagli; e
i commenti non erano favorevoli: tutte dicevano che il cappello era
troppo grande; e che Loredana aveva soltanto la bellezza dell'asino; la
camicetta di trine di Burano era pretensiosa; pareva che scherzasse
volentieri, la piccina, con quel maleducato Candriani; se Filippo fosse
stato in un canto, non avrebbe avuto a felicitarsi nè dell'amico, nè
dell'amica!

Nell'intermezzo, Berto si studiò di riparare alla sua sventataggine.

--Povero Flopi,--disse,--io credo che sia sulle spine, a quest'ora. Egli
è costretto a una vita d'apparenza; ci siamo costretti tutti, e tutti ci
annoiamo; nessuno ha il coraggio di vivere per conto proprio,
liberamente. Il mondo non l'abbiamo creato noi!

--Conte, non faccia complimenti,--disse Loredana.--Lei vorrà render
visita a qualche signora: può tornare a prenderci più tardi. Io mi
trattengo fino alla fine, perchè Flopi rientrerà a notte.

--Lei vuol mandarmi via?--chiese Berto con simulata umiltà.

--No, no, rimanga, se non si annoia!--disse Loredana sorridendo.

--Rimango, sa?--dichiarò il giovane.--Prima di tutto, perchè non saprei
allontanarmi....

--La prego!--interruppe Loredana.

--Ho già finito!... E poi perchè è bene si sappia da quelle signore che
io ho buon gusto; a furia di far loro la corte, mi son rovinato la
reputazione. Lei le conosce?

--Non tutte.

--Ma esse conoscono lei, lo giuro,--dichiarò Berto.--Non è la prima
volta che si parla di lei in società.

--Lo credo bene,--esclamò Clarice.--La contessa non può passare
inosservata!

--Una volta ho parlato io a lungo di lei e di Flopi con una signorina.
La contessina..... Aspetti; non c'è; credevo fosse giù a «pepiano»....
Vede quella rossa laggiù, di fronte alla signora dai capelli tutti
bianchi? Non è lei, ma le somiglia.

--Una signorina?--ripetè Loredana.--Che cosa poteva importarle di me?

--Oh molto!--esclamò Berto.--Credo sia innamorata di Flopi....

--Ah!--disse Loredana con voce spenta.--Egli non me ne ha mai parlato!

--Benone!--pensò Berto.--Ecco un'altra «brioche». Questa sera sono
fertile!

E ad alta voce soggiunse:

--È naturale ch'egli non gliene abbia mai parlato: credo non si sia mai
accorto che la ragazza sospira per lui. Me ne sono accorto io, perchè io
mi accorgo di tutto, e perchè la contessina m'interroga sempre intorno
a Flopi. Del resto, sono sciocchezze, le solite scalmane delle
fanciulle, che oggi hanno una simpatia per l'uno, domani per l'altro;
niente di serio, effetto dell'ozio, nulla più....

Ma, quantunque seguitasse ancora su quel tono, Berto s'avvide che
Loredana soffriva orribilmente; era diventata pallida e le sue mani
s'erano chiuse per lo spasimo. Anche sul volto di Clarice, Berto ravvisò
un'espressione di corruccio, che gli fece comprendere la gravità della
sua indiscrezione.

--Non cerchi d'ingannarmi, conte,--disse Loredana con voce grave.--Mi
dica tutto, con lealtà; ormai il peggio lo so, e le parole non servono.

--Sono una bestia!--dichiarò il giovane.--Lei deve credere a chi sa
quali misteri, mentre tutto si riduce a quanto le ho già detto: una
fanciulla ha qualche simpatia per Filippo....

--Come si chiama?--interrogò risolutamente Loredana.

--È la contessina Fioresi, Giselda Fioresi: magra, snella, coi capelli
rossi....

--È da molto tempo innamorata di Flopi?

--Dio sa! Chi può dirlo? Ma non è innamorata: vorrebbe sposarsi, forse,
come tutte le ragazze di questo mondo.

--Ora capisco,--dichiarò Loredana sottovoce, quasi parlando da sola.--I
parenti di Flopi devono saperne qualche cosa, e vedrebbero volontieri
questo matrimonio. Mi dica tutto, conte; non abbia paura.

--Ma io non ho altro da dirle, cara amica!--esclamò il giovane.

--Non vorrà darmi a credere che Filippo ignori ogni cosa. La Fioresi si
sarà fatta comprendere, magari involontariamente! E che cosa vuole da
me? Io non sapeva che lei amava Flopi, io credeva di potergli
appartenere senza far male ad alcuno....

--E infatti,--disse il Candriani,--la Fioresi mi ha chiesto di lei per
semplice curiosità, ma si è guardata dall'esprimere un giudizio.

--Lo spero: non ha diritto a giudicarmi, perchè il mio amore è diverso
dal suo, e la contessina non potrà mai capire questo,--enunziò
bruscamente Loredana.

In quel punto l'orchestra attaccò il secondo atto; la luce in teatro fu
abbassata, e Berto respirò meglio, perchè la conversazione cessava.

Egli andava guardando la giovane, e rattristato dalla gaia musica
dell'operetta, pensava a cose malinconiche. Veramente Loredana gli
pareva sospesa sopra un abisso; misconosciuta da tutti, considerata già
come una donna facile, invidiata secretamente da alcune, disprezzata
apertamente da altre, desiderata dagli uomini, essa non poteva trovare
salvezza che nella protezione e nella fedeltà di Filippo, delle quali
Berto cominciava a dubitare. La sorte di Loredana gli sembrava ormai
decisa; il giorno in cui Filippo se ne fosse sbarazzato, ella avrebbe
dovuto gettarsi alla ventura, accogliendo le offerte degli ammiratori,
che si vedevano già in quello stesso teatro, che eran sempre i medesimi
e non avevano fama nè di molta costanza, nè di liberalità soverchia.

--A che pensa?--domandò Loredana, sorprendendo gli sguardi del giovane.

--Penso che le ho dato un dispiacere senza volerlo, come un
imbecille!--rispose il Candriani irritato contro se stesso.

--No; è meglio che io sappia. Non dirò una parola a Filippo,--dichiarò
la fanciulla.

Berto emise un sospiro di sollievo, che fece sorridere involontariamente
Loredana. Assolto a quel modo dalla sua colpa, il giovane si sentì a suo
agio, si abbandonò a guardare con altri occhi la bella amica, e tornò ad
ammirarla intensamente. Non si poteva negarlo: era fatta per l'eleganza
e pel piacere; vestiva con un gusto gentile che avrebbe ispirato invidia
a più d'una dama; egli giudicava che Loredana non avesse che diciassette
anni, tanto la sua giovinezza era candida e fresca; un magnifico fiore
del quale si poteva andare superbi.

--A che pensa?--domandò nuovamente Loredana.

--Questa volta non glielo dico!--esclamò Berto.

La fanciulla scosse il capo, infastidita.

--Flopi sarebbe molto malcontento di lei!--disse ingenuamente.

Berto si mise a ridere, e Loredana non aggiunse parola, scandalizzata
dal poco conto in cui il Candriani pareva tenere l'opinione di Filippo.




VI.


Ogni volta che Loredana doveva traversare la folla, si sentiva stringere
il cuore. La folla era mutata da qualche tempo per lei; aveva compreso
ch'ella non era più una signorina come tante altre, e la guardava con
sorrisi sguaiati e con occhi insolenti. Gli uomini pensavano che poichè
la fanciulla si dava a qualcuno, poteva darsi a tutti; era una femmina
da prendere e da trattare senza scrupoli.

Questo concetto, che nessuno le aveva spiegato, ma che Loredana aveva
sicuramente intuíto in coloro ch'ella conosceva e nei molti che non
conosceva se non di vista, o non conosceva affatto, le aveva messo in
cuore un grande spavento. Anche l'ammirazione onde si sentiva
circondata, diversa da quella che si tributava ad altre donne, trovava
espressioni petulanti, esclamazioni ciniche ed oltraggiose, che facevano
fremere la giovane.

Quando lo spettacolo fu finito e Berto le ebbe avvolto intorno il lungo
mantello di panno bianco, Loredana disse al suo cavaliere:

--Mi stia vicino, la prego; no, non mi dia braccio; mi stia al fianco.

E uscirono seguiti da Clarice.

Nei corridoi la folla procedeva adagio; l'apparizione di Loredana fu
salutata da un mormorio, e qualcuno si destreggiò in modo da farlesi
accosto e da squadrarla a un palmo di distanza, perchè s'era detto
ch'era dipinta in volto. Un gruppo di uomini che le stava innanzi,
s'aperse e le diede passo, per osservarla meglio; alcuni abbozzarono un
sorriso, ma vedendo che il Candriani l'accompagnava, ripresero il loro
contegno serio.

--Bella, non vi pare?--chiese una voce.

--Carne di lusso,--rispose un altro.

Berto si rivolse prontamente, ma non potè comprendere da chi venisse la
frase villana. Tutti guardavano a terra, perchè eran giunti alle scale e
studiavano dove mettere il piede. Le scale anche rigurgitavano di gente;
si camminava assai lentamente, e Loredana s'irritava in silenzio,
parendole di non poter mai uscire da quella stretta, liberarsi da quei
contatti. Mentre cominciava a scendere, un'altra voce risuonò:

--È la mantenuta del conte Vagli.

Loredana a stento riuscì a trattenere un grido; la definizione le aveva
traversato il cuore come una pugnalata; cercò Berto con gli occhi, ma
questi l'aveva lasciata d'un balzo, era risalito, urtando i più vicini,
s'era gettato tra gli uomini di cui aveva notato poco prima il contegno
insolente. Essi parvero sorpresi della sua furia ed evitarono di
guardarlo, facendogli largo con premura cortese; egli capì che sarebbe
stato assurdo accusar l'uno o l'altro alla cieca, e chieder ragione di
parole delle quali nessuno pareva conoscere la provenienza. Tornò
indietro, raggiunse Loredana, le offerse il braccio e, attraversato
rapidamente l'atrio, la condusse alla gondola. Era una gondola col
felze, a due gondolieri.

La giovane vi entrò, si abbandonò sul cuscino di destra, e non appena si
sentì libera e sicura in quella penombra, proruppe a piangere.

Berto che le sedeva a fianco, era desolato; le prese una mano e
gliel'accarezzò cautamente.

--È la canaglia,--disse.--È la canaglia anonima, che non sa come sfogare
la sua invidia. Non pianga, Loredana.

La signora Teobaldi non aveva parola per l'indignazione che le serrava
la strozza; ella faceva grandi gesti, tenendo in mano il fazzoletto e il
ventaglio, e alzando ora l'uno, ora l'altro in segno di protesta.
Finalmente riuscì a esprimere il suo pensiero:

--Ma il sindaco,--dichiarò,--dovrebbe fare una legge, una severissima
legge contro quelli che insultano le donne!

--Che c'entra il sindaco!--esclamò Berto, alzando le spalle.

--Il sindaco dovrebbe cacciare dalla città tutti i
mascalzoni!--insistette la signora Teobaldi.

--Così Venezia resterebbe vuota!--disse il Candriani, che in quel
momento non aveva voglia di distinguere.

--Povera piccina, povero tesoro bello, non pianga!--riprese Clarice,
volgendosi a Loredana, la quale rimaneva nell'ombra, e liberata la mano
dalle mani di Berto, andava singhiozzando col fazzoletto sulla bocca.

Fa un triste viaggio fino a casa. La gondola scivolava rapida nel
silenzio, che la voce del gondoliere di poppa rompeva di tanto in tanto
col grido d'avvertimento; s'udiva il tuffo dei remi e lo sgocciolìo
dell'acqua.

Nessuno parlava più; il Candriani pensava che non v'era modo di
consolare la giovane, perchè sarebbe stato ridicolo aprire una
discussione sulle mantenute e metterle a confronto con lei; bisognava
attendere ch'ella stessa, giudicando l'inanità dell'accusa, potesse
disprezzarla; ma Berto doveva confessarsi che a tanto dolore non era
sola causa l'ingiuria triviale e ch'egli forse, con la sua leggerezza,
col suo racconto indiscreto, con le rivelazioni intorno alla Fioresi,
aveva fatto il possibile per avvelenare a Loredana quell'ora di svago; e
molestato da questo pensiero, si sentiva goffo e nervoso. La Teobaldi
andava dicendosi che le cose da qualche tempo si guastavano e che
Loredana, la sua Loredana, era troppo spesso malinconica; avrebbe dato
il sangue per quel «tesoro di Dio», per renderle il bel sorriso e la
pazza allegria dei giorni, pur così vicini e già così lontani, in cui
erano andate ad abitare alle Zattere. Bisognava accomodare, bisognava
trovar qualche cosa per renderla ancora felice, ma non sapeva che cosa,
e si struggeva guardando quell'ombra nell'ombra, udendo quel singhiozzo
sommesso; a poco a poco, anch'essa, Clarice, si sentì inumidir gli occhi
e lasciò scorrere le lagrime, con un gran desiderio di stringere la
fanciulla tra le braccia e di accarezzarne la bella faccia dolorosa.

L'episodio della contessina, le imprudenze del Candriani erano ormai
dimenticati dalla giovane; ella si ripeteva mentalmente la parola
«mantenuta» fin quasi a smarrirne il significato; non aveva fatto altro
dacchè era salita in gondola, non ad altro aveva potuto pensare.
Comprendeva d'un tratto il perchè dei sorrisi e degli sguardi procaci
che la perseguitavano, del mormorio che l'accompagnava se compariva in
pubblico: era giudicata, classificata, bollata; non poteva difendersi;
non poteva gridar per le vie il suo amore, le sue illusioni, la sua
fede; credevano che avesse patteggiato e si fosse venduta; era povera un
giorno ed oggi aveva gondola, casa, dama di compagnia, tre persone di
servizio, abiti eleganti, denaro, gioielli. Non aveva chiesto nulla, ma
non importava; era l'amante d'un signore; carne di lusso, avevan detto,
e poi mantenuta; non viveva nel lusso? non s'era accorta del mutamento?
a che valevano le scuse?

In verità non s'era accorta di nulla, perchè il suo piacere era tutto
nell'amar Filippo e nell'esserne amata, e l'avrebbe amato nel lusso o
nella miseria, e agli agi della vita non aveva dato alcun peso. Ma
questo non contava per gli altri. Gli altri? Chi erano gli altri? Erano
uomini che la volevano e le serbavano rancore perchè non si dava; eran
donne che la odiavano pel gusto di odiare, come odiano le donne. Essi
avevano ragione perchè le apparenze eran contro di lei; s'era
abbandonata totalmente a Filippo, il quale avrebbe potuto metterla su un
trono o relegarla in un abbaino, senza ch'ella chiedesse perchè; la
presenza di lui era il perchè d'ogni cosa, ed egli faceva ciò che
doveva, e ciò ch'egli faceva era ben fatto. Ma a queste dedizioni intere
e profonde, nessuno presta credito; e il mondo diceva «carne di lusso»,
«mantenuta»!

Con gli occhi sbarrati nella penombra, dimentica di quelli che le
stavano vicino, la fanciulla si lasciava cullar dalla gondola,
rivolgendo questi pensieri in mente, e torturandosi senza posa; allorchè
la gondola si fermò, ella diede un sobbalzo e s'afferrò al braccio di
Berto, come fosse repentinamente caduta da un'altura.

--Siamo a casa?--domandò.

--Siamo a casa,--ripetè Clarice; e col fazzoletto le asciugò gli occhi
perchè i servi non vedessero, e poi le diede un bacio sulla
fronte.--Tesoro caro!...

Mentre Clarice s'avviava, chinandosi per uscir dal felze, seguita da
Loredana e da Berto, sulla fondamenta risuonò la voce allegra di
Filippo.

--A quest'ora?--egli disse ridendo.--Siete state a teatro? E c'è anche
Berto? Ma è un complotto, allora, una grossa bricconata!

Loredana uscì in fretta, si fece presso a Filippo, con un movimento
rapido e timoroso, quasi cercasse protezione. Era felice di vederlo e di
udirne la voce. Ella disse:

--Siamo state al Goldoni, abbiam trovato il conte, che ci ha ricondotte.

--Potenza dell'amore!--pensò Clarice.--È già consolata! ha la sua voce
solita.

Berto si grattò la nuca ricciuta. L'incontro con Filippo imbrogliava le
cose: bisognava raccontargli ciò ch'era avvenuto a teatro, o tacere?

--Io non racconto nulla!--egli decise tra di sè.--Ci penseranno le
signore se vorranno!

--Sono stato al «Grand Hôtel»,--disse Filippo, mentre tutti si fermavano
presso la porta di casa.--C'era anche lo zio Roberto.... E ti sei
divertita, Lori? Che cosa davano al Goldoni?

--Sì, mi sono divertita molto!--esclamò Loredana, presto.--Davano il
«Boccaccio».

--Non racconta nulla!--pensò il Candriani.--Le confidenze gliele farà
quando saranno a letto....

Egli si scoperse il capo per prendere congedo, ma Filippo lo fermò:

--Non andartene; vieni su. Ti offro una coppa di sciampagna.

--Se paghi da bere....--disse Berto ridendo ed entrando in casa egli
pure.

--Sì, pago da bere!--rispose Filippo allegramente.--Dobbiamo bere. Come
si dice? _nunc est bibendum_? Me n'è capitata una graziosissima.

--Ahi!--pensò Berto.--Una graziosissima, anche a lui!

Erano nell'anticamera; senza badare se Berto vedesse o no, senza curarsi
di Piero, che stava in un angolo ad aspettare ordini, Loredana si gettò
improvvisamente tra le braccia di Filippo e lo baciò sulla bocca.

--Gran Dio, quale passione!--esclamò Filippo stupito.--Scusami, Berto!

Il giovane aveva voltato la faccia contro uno specchio e faceva dei
gesti comici, che potevano essere di protesta o d'assoluzione. La
signora Clarice diede in una risata. Loredana, sorpresa ella stessa e
tornata calma, arrossì fino ai capelli.




VII.


Quando furono nel salottino, mentre le signore s'erano ritirate un
istante per togliersi i mantelli, Filippo disse a Berto Candriani:

--Mi son giuocato più di due milioni.

Berto fece un balzo sulla poltrona, nella quale aveva preso posto.

--Sei matto!--esclamò.--Da quando in qua ti sei messo a giuocare?

--Eh no!--disse Filippo ridendo e accendendo una sigaretta.--Non li ho
giuocati a macao o a faraone; li ho giuocati a parole, con lo zio. Egli
mi ha fatto comprendere, anzi mi ha detto chiaro e tondo che se non
lascio Loredana e se non sposo Giselda, non vedrò un centesimo del suo
patrimonio. Io gli ho risposto che se lo tenga, che faccia della
beneficenza, che vada al diavolo. E così, l'affare è liquidato! Che te
ne pare? Non è il caso di bere un goccio di sciampagna alla salute dei
parenti?

Berto Candriani non rispose subito; pareva guardasse le vecchie stampe
lascivette appese alla parete, raffiguranti il bagno di Diana
cacciatrice, l'incontro con Atteone, Diana e le Ninfe.

--È un grosso pasticcio,--egli sentenziò infine.--Ma tu credi che le
decisioni di tuo zio siano inappellabili?

--Senza dubbio, anche perchè mia madre soffia sul fuoco. Mia madre ha
preso partito per la Fioresi, e tu sai quanto sia risoluta e tenace. Se
Roberto volesse scendere a più miti consigli, dovrebbe lottare con mia
madre, dalla quale gli è venuto certo il suggerimento di queste minacce.
E figurati se lo zio vuol perdere tempo e fiato a discutere!...

In quell'istante comparve il domestico, il quale recava lo sciampagna,
le coppe, il servizio col tè: dispose tutto sopra un tavolino e si
ritirò silenziosamente.

--E vuoi raccontar questo alla signorina?--domandò Berto.

--Non ho ragioni per nasconderlo,--disse Filippo.

Berto gli fe' cenno di tacere: s'udiva nella camera prossima il fruscìo
d'una gonna. Egli susurrò prestamente:

--Non dirle nulla! È troppo agitata stasera.

E si alzò per andare incontro a Loredana, che entrava sorridendo.

--Come siamo eleganti, eh?--disse il Candriani, guardandola così svelta
e bianca.

Filippo fissò la giovane e le si avvicinò.

--È strano!--esclamò.--Ora che ti vedo bene, mi sembri molto pallida; si
direbbe che tu abbia pianto....

Loredana s'appressò al tavolino e si dispose a preparare il tè, cercando
di darsi un contegno e di sfuggire alle indagini di Filippo; ella era
inquieta, come se l'amante avesse scoperto qualche gravo fallo.

--No, sai?--ella balbettò.--Non ho pianto....

--Che cosa è avvenuto?--domandò Filippo al Candriani.--Perchè non volete
dirmelo?

Il Candriani era tornato a sedersi, ma presso il tavolino; aveva preso
da un canestro alcuni biscotti che andava mangiando con pacata
attenzione, e guardava le belle mani della giovane affaccendata intorno
alla teiera e al bricco dell'acqua bollente.

--Glielo diciamo?--egli chiese ridendo a Loredana.--Bisogna dirglielo,
altrimenti crederà che sono stato io a farla piangere.... Ecco, Flopi,
ascolta....

Filippo sedette egli pure vicino a Berto, e sedette anche Loredana, dopo
avere offerto ai due uomini la tazza di tè.

--È stato così:--disse il Candriani.--Mentre uscivamo dal teatro, un
farabutto ha ingiuriato la signorina; non ho potuto scoprire chi fosse;
tutti guardavano a terra e parevano sonnambuli. La signorina, quando fu
in gondola, visto che il tragitto era lungo e noioso, occupò il tempo a
piangere, e io che voleva farle la corte sono rimasto con un palmo di
naso....

Loredana si mise a ridere.

--È tutto qui?--domandò Filippo incredulo.

--È tutto qui,--rispose Berto.--Vedi che ora ride; non potrebbe
dimostrati meglio che si trattava d'una inezia.

Filippo scosse la testa; sapeva bene che vicina a lui, la giovane
dimenticava ogni dolore, e la sua piccola risata squillante non gli
provava nulla.

--Ma che cosa hanno detto?--egli incalzò.

La fanciulla gettò una rapida occhiata a Berto, il quale non si
aspettava una domanda categorica.

--Chi se ne ricorda?--egli fece, impacciato.--Lei se ne ricorda,
signorina?

Loredana tornò a ridere; ormai non le importava delle ingiurie, ed era
tutta felice di sentirsi protetta dall'amante, nella sua casa elegante e
quieta.

--Sì, me ne ricordo,--ella dichiarò, ancora sorridendo.--Mi hanno detto:
carne di lusso....

--Oh, i mascalzoni!--esclamò Filippo, oscurandosi in volto.

--E poi,--soggiunse Loredana col suo placido sorriso,--e poi, mantenuta!

Filippo sussultò; nella stessa ora, la folla anonima e lo zio Roberto
gettavano in faccia alla ragazza la stessa accusa, coprivano di fango il
suo amore. Egli dissimulò il suo turbamento, e disse:

--Hai ragione, cara, di ridere; non si può che ridere di certe
volgarità.... Ora ci verserai una coppa di sciampagna e berremo....,
berremo a dispetto degli invidiosi.

--E ai due milioni!--si lasciò sfuggire Berto.

--E alla carne di lusso!--concluse Filippo ridendo.

Loredana s'era alzata a versare il vino dorato nelle coppe. Un po'
inclinata verso i due uomini, con la bella testa adorna di pettini
scintillanti, il bel corpo chiuso nell'abito bianco, ella era l'imagine
della giovinezza forte e procace. Le tre coppe si urtarono lievemente,
qualche goccia cadde sul tavolino.

--Perchè beviamo ai due milioni?--chiese Loredana d'un tratto, come
ricordandosi.--Che cosa vuol dire?

--Nulla, nulla, vuol dire,--interruppe l'amante.

--Sì, vuol dire qualche cosa,--insistette Loredana.--Vedi: io ti ho
raccontato tutto, e tu non mi racconti.... Quando ci siamo incontrati
stasera, ci hai detto che avevi avuto un'avventura graziosissima. Non è
forse vero, conte?

Il Candriani assentì con un moto del capo.

--Ti racconterò dopo,--promise Filippo.--Non si tratta di un'avventura.
E del resto, non potrei avere un segreto?

--Certo,--osservò Loredana pensierosa.--Ma allora non si annuncia....

I due amici diedero in una risata.

Berto Candriani bevve ancora una coppa di sciampagna, parlò dei prossimi
spettacoli della Fenice, e dopo pochi istanti si congedò.

Non appena egli ebbe varcata la soglia, Loredana gettò le braccia al
collo di Filippo.

--Caro!--ella disse baciandolo.--Che cosa ti è avvenuto? Perchè vuoi
tacere con la tua viperetta?

L'amante sorrise e le passò un braccio attorno alla vita.

--Non voglio tacere nulla,--egli dichiarò.--Berto m'aveva detto che tu
eri agitata questa sera, e perciò non ti raccontavo l'incidente, che non
ha alcuna importanza, del resto; poi egli stesso ha voluto fare il
brindisi ai due milioni, quella testa matta!

--Sai perchè? Mi ha visto ridere e allora ha compreso che non ero
agitata.

Dolcemente, stringendola al fianco, a piccoli passi, Filippo
l'accompagnava nella camera di lei, e la baciava sui capelli. Così
spesse volte egli si largiva il piacere di assistere mentre la fanciulla
si spogliava e talora le prestava mano; in tal modo tra gli scherzi e i
baci, la scena si prolungava e finiva sempre a una maniera.

Quando fu nella camera da letto, Filippo prese posto in una poltrona, e
la giovane s'accinse a togliersi gli abiti.

--Ebbene, Flopi?--ella chiese.

--Ah ecco!--disse Filippo.--Sono stato al «Grand Hôtel» e ne sono uscito
con lo zio Roberto, il quale ha colto l'occasione per farmi una delle
solite prediche. Ci siamo accalorati; egli mi ha minacciato di
diseredarmi, e io gli ho detto che me ne infischio; a quel che pare, i
due milioni dello zio sono così sfumati, ma io preferisco loro la mia
libertà piena e assoluta. Ecco tutto, Lori; vedi che non valeva nemmeno
la pena di parlarne.

Loredana, rapidamente liberatasi della gonna, rimase attonita.

--Due milioni!--ripetè a un tratto.

--Poco più, poco meno,--disse Filippo.--Ma io non ho mai avuto bisogno
del suo denaro, e tu lo sai.

La fanciulla gettò gli abiti sopra una sedia, e restò ritta innanzi
all'armadio a specchio....

--Per colpa mia!--ella esclamò.

--Lori, te ne prego,--disse Filippo.--Mi dispiace quando tu parli così:
non è per tua colpa, ma per colpa dei miei parenti. Non è una novità,
questa: ti ricordi che io te l'avevo detto? I miei parenti non
capiscono, e le discussioni non valgono a niente....

--Vogliono che tu mi lasci?--incalzò Loredana.

--S'intende!--rispose Filippo.--Lo zio Roberto, poveretto, non è che lo
strumento di mia madre, la quale lo fa agire e parlare, ed egli agisce e
parla, tanto per avere pace.

--Vogliono che tu mi lasci?--ripetè Loredana.--E non vogliono altro?

--Per bacco!--esclamò Filippo ridendo.--Mi pare che basti....

--No, potrebbero volere di più,--disse la fanciulla, dopo un attimo
d'esitazione.--Potrebbero volere che tu ti sposi.... Perchè, Flopi, io
non capisco.... Se tu mi lasciassi, che faresti? Vivresti senza amanti e
senza moglie? Pretendono questo i tuoi parenti?... Non vogliono che tu
ti sposi? Non hanno qualche signorina che piace loro e che ti offrono?

Filippo tacque, stupito, e si chiese come mai la piccola Lori, ch'egli
reputava ancora poco più d'una bambina, col solo aiuto della logica,
fosse giunta alla verità. Per nascondere il suo impaccio, egli si alzò e
disse:

--No, no: che ti viene in mente?... Lascia che io ti guardi....

Loredana fece un gesto per allontanarlo, e insistette:

--Veramente, Flopi, non ti hanno mai parlato di matrimonio, non vogliono
che ti sposi?

--Ma no; sono tue fantasie queste!--ripetè Filippo.

--Sei pronto a giurarmelo?

--Te lo giuro....

--Sei pronto a darmi la tua parola d'onore?

Filippo ebbe un attimo di titubanza; ma ormai non poteva più
retrocedere.

--Ti do la mia parola d'onore!--disse.

La fanciulla si coprì il volto con le mani e ruppe in pianto.

--Come!--esclamò Filippo, sorpreso.--Ora piangi? Non sei contenta? Forse
non credi?

Ella gli stava innanzi con le braccia e il petto scoperti; aveva le
mutande di batista che le arrivavano al ginocchio, le calze di seta
grigia, le scarpette basse e bianche: pareva un piccolo gentile Pierrot.

--Così carina,--disse Filippo,--e così cattiva! Ma non sei contenta, ti
ripeto?

Loredana riuscì a rispondere tra i singhiozzi:

--Sì,--dichiarò, mentendo alla sua volta,--piango perchè sono contenta!

Filippo si mise a ridere, e la strinse al petto, sollevandola da terra.

--Vieni,--disse.--Vieni, mascheretta bella, viperetta cara. Tu sei tanto
bella, io ti amo tanto....

La giovane gli si avvinghiò al collo, si lasciò adagiare sul letto, e
tra le lagrime cercò la bocca di lui, che mentiva e baciava così
bene....




VIII.


L'inverno fu singolarmente crudo e lungo quell'anno, a Venezia; nevicò
più volte e nei giorni sereni una gelida bora soffiò con violenza. Molte
famiglie abbandonarono la campagna innanzi tempo e iniziarono la
stagione dei ricevimenti e delle feste prima dell'usato; a metà
novembre, la vita elegante, in causa dei rigori invernali, fioriva già
in tutto il suo rigoglio.

Filippo ne fu ripreso a poco a poco, quasi senz'accorgersene; ritrovò
gli amici, e rifece la solita ruota di visite e di consuetudini, tra
quei soliti gruppi di persone, alla quale era abituato.

Ma per Loredana ebbe le cure più sollecite. Il mormorìo del mondo e
l'astiosità dei parenti gli avevan reso la fanciulla anche più cara, e
spesso rinunziava a qualche trattenimento mondano per dedicarle il suo
tempo. L'aveva circondata di lusso, provvedendole abbigliamenti a
Milano, facendole regali di gioielli, coprendola di sete e di merletti e
di pelliccie, perchè la sua bellezza avesse una degna cornice.

Loredana lasciava fare.

Era mutata; un dolore sordo e profondo andava rodendola dal giorno in
cui aveva scoperto che il suo Flopi mentiva; e mentiva perchè l'amicizia
con Giselda Fioresi doveva avere un significato ch'egli non poteva
confessarle. Dapprincipio, quando s'accorse che Filippo riprendeva le
sue abitudini mondane, la giovane lo seguì col pensiero affannosamente;
si fece raccontar volta per volta ciò che egli aveva visto e ciò che
aveva detto; notò che mai non pronunziava il nome della contessina
Fioresi, anche quando dai giornali si poteva rilevare che la contessina
frequentava le feste e i ritrovi ai quali Filippo prendeva parte. Mille
volte, Loredana era stata in procinto di chiedere spiegazioni, e mille
volte s'era trattenuta, pensando ch'egli avrebbe mentito ancora.

Poi a poco a poco, riuscì a dominarsi; non volle più sapere, non
interrogò più. Ella era la sua amante, che lo attendeva con desiderio
inesprimibile e gli si dava tutta con infinita voluttà; faceva tacere la
gelosia terribile che le attossicava il cuore, divorava in silenzio le
lagrime e si mostrava sempre lieta e sorridente. Era un eroismo d'ogni
giorno, d'ogni ora, che Filippo non sapeva, non avrebbe mai saputo.

Anche quel lusso che la circondava le pareva soverchio; indossava la
pelliccia, infilava nelle dita gli anelli preziosi con un certo piccolo
brivido, pensando che il nome di mantenuta le conveniva allora meglio
che mai. Non gliene importava; il mondo le era così sconosciuto e così
lontano, che non voleva occuparsene; ma sua madre, la buona signora
Emma, s'era inquietata per lei.

Loredana andava sempre a trovare la mamma nella casetta bianca sul
campiello solitario. Ogni volta era certa d'incontrare per la via Adolfo
Gianella, il suo antico fidanzato, il quale le faceva la posta. Egli le
era rimasto stranamente fedele, attraverso l'uragano di scandalo e di
maldicenza che aveva travolto il nome della giovane. La seguiva a
distanza per lunghi tratti, la guardava con intenso piacere, e ne era
forse più innamorato che nei giorni in cui ella era vergine e innocente.
Adolfo aveva appreso tutto dalla bocca dei curiosi e degli sfaccendati,
la vita e l'amore di Loredana, e poi aveva scoperto il nido degli amanti
e s'era posto a gironzare in quei dintorni, a guardar quelle finestre, a
spiar quella gioia. Umile e timido, non confidava ad alcuno i suoi
crucci, non parlava in famiglia di Loredana, perchè la famiglia di lui
la odiava. Egli si contentava di seguir la fanciulla e di vederla bella,
prosperosa, felice.

La cosa era tanto abituale ormai, che Loredana contava sulla presenza di
Adolfo, e s'egli passeggiava nel campiello, essa si tratteneva più a
lungo presso sua madre.

--Bada che è tardi,--le diceva questa qualche volta.

--Oh non importa!--rispondeva Loredana, dopo essersi affacciata alla
finestra.--C'è Adolfo, che mi riaccompagna.

E la fanciulla sorrideva, non sapendo ella medesima se la devozione di
lui fosse ammirabile o ridicola.

Una sera egli s'infuriò, con uno di quegli scatti ciechi e improvvisi
che sono proprii dei caratteri timidi. Loredana s'era trattenuta assai
tardi e ritornava sola, a piedi, verso le Zattere, percorrendo calli
deserte. Ella indossava la pelliccia, aveva una borsetta a maglie d'oro
appesa al braccio, e le buccole di brillanti negli orecchi.

Adolfo le si avvicinò d'un tratto e le disse bruscamente:

--Perchè torni a quest'ora? Non pensi che ti può capitar qualche cattivo
incontro?...

Loredana si fermò sbalordita a guardarlo; poi rise involontariamente:

--Sapevo che c'era lei,--rispose,--e che lei mi accompagna.

Egli si calmò subito; le si mise al fianco, e le disse con espressione
lamentabonda:

--Come sei bella!... Non vuoi, non vuoi proprio sposarmi?

La giovane parve non aver capito; egli continuò:

--Io ti perdono tutto; tu sei l'amante del conte, e non te ne faccio
colpa. Forse io non sapeva trattarti, ma ora ho imparato, perchè ho
tanto sofferto.... Non vuoi sposarmi? Non ti piacerebbe di vivere con
me?

Loredana scosse il capo, accennando di no. Adolfo soggiunse, umilmente:

--Hai ragione. Sei abituata al lusso e all'eleganza.... Il tuo valore è
troppo grande per me....

La fanciulla lo squadrò e rispose:

--Sì, ora valgo più di due milioni....

Adolfo tacque senza comprendere. Che cosa voleva dire? Era impazzita? La
guardò di nuovo, e vedendo che essa sorrideva, non osò chiedere
spiegazioni; le camminò al fianco in silenzio, a capo basso.

--Lei mi ha perdonato?--riprese Loredana d'un tratto.--Ma è inutile; io
non le ho chiesto il suo perdono, e non le ho fatto nulla di male,
perchè ho disposto di me liberamente. Crede lei che per vivere la mia
vita non occorra del coraggio?...

Si morse le labbra, temendo di dir troppo; e con voce secca aggiunse:

--Mi sorvegli, ma non mi stia al fianco; potrei incontrare persone che
conosco, e non vorrei far credere che io passeggi coi giovanotti la
sera, per le calli perdute....

Adolfo rallentò il passo, in modo da starle alle spalle e da proteggerla
senza accompagnarla. La fanciulla si sentì presa da tenerezza, per il
querulo amante, volse il capo, e disse con un sorriso:

--Grazie. Così va bene....

Egli la seguì fino alle Zattere e poi scomparve.

Per più giorni andò ruminando la frase della giovane: «Ora valgo più di
due milioni». Che cosa aveva voluto dire? Forse la pelliccia, i
brillanti, gli abiti che portava indosso valevano più di due milioni?
Era impossibile.... Allora qualcuno le aveva offerto due milioni per
abbandonare il conte?... Questo era più verosimile; egli, Adolfo, due
milioni gli avrebbe dati per la gioia di far sua Loredana, e un ricco
signore poteva pagarsi caro quel capriccio.... Andava galoppando nel
mondo delle fantasie e degli assurdi, senza venire a capo di nulla,
divorato dal bisogno di sapere, annaspando nelle tenebre.

La frase sfuggitale aveva scosso Loredana medesima. Ella pure vi ripensò
nei giorni seguenti, come le parole fossero state una rivelazione, come
il fatto avesse trovato in quelle una consacrazione impreveduta e
strana.

Valeva ella veramente più di due milioni? Filippo non pensava mai al
patrimonio che le aveva sacrificato con tanta prontezza?

Loredana si mise a studiarlo attentamente, a scrutarne il pensiero, a
sorprenderne le intenzioni. Egli era imperturbabile; non più parola
usciva dalla sua bocca a proposito di quella eredità, non un accenno ai
parenti, allo zio, alle noie che dovevan dargli. La sua educazione e le
sue abitudini di gran signore non gli permettevano di gettare uno
sguardo di rammarico a quel tesoro perduto; gli sarebbe parso di
commettere la più ignobile delle bassezze. Parlava all'amante di ogni
cosa, fuor che di quell'incidente, al quale aveva dato minore importanza
di quel ch'egli medesimo si aspettasse, forse perchè sui due milioni
dello zio non aveva mai fatto grande assegnamento.

Egli possedeva circa trentamila lire di rendita e non giuocava; tutto il
suo lusso e tutto il suo piacere erano in Loredana, la quale gli costava
poco oltre la metà del reddito; viveva così in perfetto equilibrio
economico, e finiva per giudicare che le recise dichiarazioni dello zio
gli avevan tolto una preoccupazione fastidiosa e gli avevan dato la
libertà assoluta di vivere a proprio talento.

Loredana non riusciva a penetrare il pensiero dell'amante. Lo vedeva
padrone di sè, sereno, quasi spensierato, e credeva a una finzione....

Un giorno in cui egli andava ammirandola e accarezzandola, la giovane
non riuscì a dominarsi. Gli chiese:

--Ti piaccio?

--Molto,--rispose Filippo ridendo.--Ne dubiti forse?

--Mi ami?--incalzò Loredana.

--Molto,--ripetè Filippo.

--Ti pare che....

Si trattenne, si sentì confusa, diventò rossa in volto.

--Che cosa?--domandò Filippo.--Che cosa deve parermi?

--Ti pare che...? Ti pare che io valga più di due milioni?--disse
finalmente la ragazza.

Filippo la strinse fra le braccia ridendo.

--Più di due milioni?--esclamò.--Ma più che tutti i milioni della terra!
Quali domande tu mi fai! Si direbbe che tu mi creda pentito di non avere
accettato un patto vergognoso, e che io ripensi a quei denari con
rincrescimento....

Corrugò la fronte e seguitò con espressione più grave:

--Questo è offensivo per me, Lori. Tu non dovresti giudicarmi così male.
Io ho avuto fortunatamente un'educazione, la quale mi ha abituato a non
contare mai sul denaro. Se non fossi ricco, lavorerei, e saprei
guadagnarmi da vivere; in ogni modo, certo, non venderei una donna che
mi ama per un patrimonio anche enorme.

Loredana si passò le mani sul volto e si mise a ridere infantilmente.

--Questo mi fa bene,--disse respirando.--Mi fa bene a udir queste
parole. Io pensava sempre ai due milioni, e mi dicevo che non valgo
quella somma....

Filippo le mise una mano sulla bocca.

--Tu mi hai scambiato per un mercante di donne,--interruppe, sorridendo;
e aggiunse con certo orgoglio che Loredana non aveva mai rilevato
prima:--_Noi_ non ci pieghiamo per denaro....

Scivolatagli dalle braccia, ella gli stava davanti in ginocchio,
ammirandolo con espressione ingenua; lo guardò, coi grandi occhi dolci e
ridenti velati da ciglia lunghe, e rimase immobile, così che Filippo
dovette scuoterla. L'ammirazione di lei, che aveva qualche cosa di alto
e di religioso, lo commuoveva sempre; egli se ne sentiva avviluppato e
preso in ogni ora, e ne era quasi sgomento, perchè sapeva ormai che la
fanciulla viveva della sua vita, respirava il suo respiro.

In quell'istante nel quale, caduta involontariamente a ginocchi,
Loredana pareva adorarlo estatica, l'uomo pensò che se il vecchio
Roberto l'avesse vista, avrebbe compreso l'affetto e la protezione
ch'egli Filippo le consacrava, e si sarebbe pentito d'averla chiamata
mantenuta con tanta leggerezza: Filippo si volse a guardare se lo zio
non fosse in un canto, e poi sorrise della propria allucinazione.




IX.


La signora Marta Serrantoni, una giovane dalla grascia pallida, coi
capelli color fiamma, avida di cibo e di denaro, aveva mosso gran guerra
in principio a Loredana e a sua madre, in nome della morale. Poi vedendo
la fanciulla per le vie tutta elegante, e per il Canal Grande nella
gondola a due remi, la signora Marta s'era a poco a poco ravveduta. Il
conte trattava bene l'amica sua, bisognava pur dirlo: non era il
libertino capriccioso e volubile che si credeva, e dal contegno di lui
era naturale concludere che non aveva intenzione di piantare un bel
giorno l'amante nuova come tante altre.

La signora Marta diceva questo con solennità, quantunque avesse detto il
contrario pochi mesi prima, con la medesima solennità; e il codazzo di
giovani e vecchie pettegole che davan peso alle sue parole, andavan
ripetendole, e di giorno in giorno si riavvicinavano alla madre di
Loredana e riprendevano a frequentarne la casa.

Così mentre la signora Emma era malcontenta per il lusso della figlia,
che a lei pareva eccessivo, le altre se ne felicitavano; quando
Loredana veniva dalla sua mamma e trovava le amiche, queste le
passavano una rivista minuta, pregandola talvolta di alzare un po' la
gonna per mostrar le calze di seta, osservando la biancheria,
divertendosi a infilar gli anelli, a provarsi il cappellino, a indossar
la pelliccia. La loro morale taceva innanzi al pregio della roba
lussuosa; esse s'inchinavano all'amante ricco e liberale. Anche ne
godevano, perchè più volte avevano avuto in dono gli abiti ancor freschi
che Loredana smetteva, e i cappellini ch'ella mutava sovente.

La giovane aveva spesso in tasca qualche biglietto delle amiche, le
quali chiedevano protezione al conte per il marito, per il fratello, pel
nipote; e il conte riusciva ad allogar l'uno, a migliorar la posizione
dell'altro, senza conoscerli, per far cosa grata alla sua viperetta.

I concetti morali di quelle piccole donne avevano sorpresa e disgustata
Loredana, che ignorava gli avvolgimenti e le mutazioni dell'umana
vigliaccheria; le avrebbe preferite nemiche aperte; e parlandone con
Filippo, si sentiva in obbligo di scusarle, perchè egli non le
giudicasse troppo severamente.

Ma egli ne rideva, e se ne faceva ripetere le frasi ammirative,
divertendosi ai loro pettegolezzi e al loro mormorìo; qualche volta per
mano dell'amante inviava dolci o fiori, ch'esse si disputavano
vivamente, e talora anche sulla tavola delle borghesi pettegole
comparivan le bottiglie polverose della cantina del conte. A questa
maniera, senza conoscerle di persona, Filippo s'era creato intorno un
circolo di amiche, le quali correvano dalla signora Emma a esaltar la
generosità di lui e a felicitarsi della fortuna che era toccata alla
figliuola.

La signora Emma non pareva del loro avviso, e da qualche tempo era anzi
inquieta.

Come sarebbe finita quell'avventura? La fedeltà del conte l'aveva
stupita senza persuaderla. Nelle sue lunghe ore di riflessioni, ella
aveva accarezzato la speranza che Loredana avesse un figlio; il legame
avrebbe consacrato quell'amore con vincoli quasi sacri, obbligando
Filippo per tutta la vita, forse spingendolo a un passo decisivo. Ma
nulla era avvenuto; Loredana era sterile.

La signora Emma non poteva acconciarsi a questa idea; guardando la
figliuola bella e gagliarda, non le riusciva di credere ch'ella fosse
infeconda; le era balenato il sospetto che la sua sterilità fosse voluta
dall'esperta astuzia di Filippo. Impossibile parlarne a Loredana, che
egli aveva avuto vergine e ignorante d'ogni cosa; sarebbe stato assurdo
interrogarla.

Una volta che la giovane scherzava col bambino di Marta, la signora Emma
osò domandarle:

--Ebbene, Lori, non ti piacerebbe avere un bimbo anche tu?

La giovane diventò vermiglia in faccia.

--Certo,--balbettò,--un bambino anch'io....

--Forse al conte non piacciono?--osservò la signora Emma.

--Non ne abbiamo mai parlato,--rispose Loredana.

E bruscamente andò alla finestra senza proseguire.

--Un bel bambino, che si potrebbe chiamare....--seguitò la madre.--Come
lo chiameresti, Lori?

La giovane si volse e le disse:

--Oh, mamma, non parlarmi così! Mi confondi!

Emma non aggiunse parola, ma quel turbamento la sorprese e le parve la
conferma dei suoi sospetti. Non aveva capito che Loredana si sentiva a
disagio, perchè le sembrava che il discorso aprisse un spiraglio di luce
sul suo amore pel quale aveva sempre un riserbo timoroso, una verecondia
inquieta.

L'argomento ritornò più volte; la Serrantoni, alla quale la signora Emma
aveva confidato i suoi sospetti, s'incaricò d'interrogare Loredana; ma a
lei mancò l'animo di spiegarsi e Loredana la guardò attonita per
quell'interrogatorio, disordinato e confidenziale insieme.

La giovane s'infuriò.

--Se ancora mi parlate del bambino,--dichiarò un giorno,--io non verrò
più a trovarvi! È un'insolenza; tutti vogliono sapere che cosa pensa
Flopi dei bambini; tutti mi domandano che cosa ne penso io; non ci
lasciano più vivere! La Serrantoni mi ha perfino chiesto se sono sicura
che Flopi mi voglia bene come un marito!... È orribile questo
pettegolezzo....

E diede in uno scoppio di pianto, mentre la madre e le amiche le si
facevano attorno a consolarla. Le amiche, specialmente, eran premurose
perchè si vedevano sfuggire le sottane di seta e i cappellini
civettuoli; e quando Loredana accarezzata dalle une, baciata dalle
altre, rassicurata da tutte, cominciò a sorridere attraverso le lagrime,
le donne esalarono un grande sospiro di sollievo....

--Non capisce!--dissero tra di loro più tardi.--È ancora innocente come
l'acqua....

In verità, non capiva; non capiva che cosa volessero da lei, non capiva
le perifrasi prudenti, non capiva che cosa importasse loro la sua
maternità probabile, non capiva sopratutto come questa volta anche sua
madre prendesse parte al coro.

--Ma che cosa mi domandano? Ma di che cosa si occupano?--chiese infine
alla signora Emma.

--Esse credono,--spiegò Emma,--che se tu avessi un bambino, il conte ti
amerebbe di più.

--E che cosa importa loro se Flopi mi ama di più o di meno?

Emma si strinse nelle spalle.

--Mio Dio,--disse, confusa.--È un pensiero che hanno per te, perchè ti
sono affezionate.

--Ma è un pensiero stupido, mamma!--protestò Loredana.--Se io avessi un
bambino, Flopi mi amerebbe ugualmente. Che ne so io? Fors'anco mi
amerebbe meno.

--Davvero?--esclamò Emma scandalizzata.--E perchè mai?

--Perchè sarei malata, perchè diventerei brutta, per tante ragioni
noiose, insomma....

--Allora sei tu che non lo vuoi, Lori?--domandò Emma.

La ragazza la guardò intontita, e poi si mise a ridere.

--Io?--disse.--Come posso io volerlo, o non volerlo?

--Allora è il conte che non vuole?--insistette Emma.

--Flopi?--esclamò Loredana.--E tu pensi che Flopi si curi di queste
sciocchezze? Tu pensi che Flopi sia come la signora Serrantoni?

--Non sono sciocchezze, Lori,--sentenziò Emma gravemente.--Alla fin
fine, tutto dipende dalla volontà del conte.

Loredana scoppiò in una lunga risata.

Le preoccupazioni di sua madre e delle sue amiche risvegliavano in lei
un allegro stupore. Ebbe la tentazione di parlarne all'amante, poi con
lo spirito d'intuizione che spesso la guidava, sentendo nella curiosità
delle donne qualche ombra di mistero, si trattenne; ma istintivamente
scaltra, riuscì per una via indiretta a sapere che cosa Filippo pensava
dei bambini.

Quando egli usciva solo a passeggio, le chiedeva che dovesse portarle a
casa.

--Vuoi i dolci, Lori? Vuoi un palco per questa sera? Devo mandarti i
fiori per la tavola?

Loredana sceglieva; il più delle volte non sceglieva nulla.

--Voglio che tu ritorni presto,--rispondeva.

Ma pressata dalla inquisizione delle pettegole, un giorno si arrischiò:

--Voglio che tu mi porti a casa un bel bambino....

--Di cioccolata?--domandò Filippo ridendo.

--No, un bel bambino vivo,--disse Loredana.

Filippo, che già stava per uscire, tornò indietro e le si avvicinò:

--Veramente?--chiese.--Veramente, tu desideri un bambino?

A guardarla, non si sarebbe detto; ella sorrideva, osservando la
maraviglia dell'uomo, una maraviglia commossa e dolorosa.

--Hai ragione,--egli continuò, accarezzandole i capelli.--Tutte le donne
vogliono il loro bambino.... Ma un bambino, per noi, in questo
momento....

Sembrava molto intrigato, e la cosa divertiva immensamente Loredana, che
non l'aveva mai visto così.

--Certo,--riprese Filippo,--un bambino ti terrebbe compagnia e tu gli
vorresti bene.... Ecco: l'anno venturo avrai il bambino. Te lo prometto.
Sei contenta? L'anno venturo....

Ma s'interruppe. Loredana rideva, fino ad averne umidi gli occhi; poi
con uno scatto gli balzò al collo, e sempre ridendo gli disse:

--Tu hai creduto davvero che io voglia un bambino? Ma no; ma non vi ho
mai pensato, mai, mai, mai! È la signora Serrantoni che mi annoia coi
suoi discorsi e vuole sapere perchè io non ho bambini! A me non importa
nulla! La Serrantoni dice che è colpa tua se non abbiamo bambini, e poi
dice che è colpa mia, e non sa nemmeno lei.... Ma io voglio ciò che tu
vuoi, e non ho mai pensato a queste sciocchezze. Non è vero che sono
sciocchezze?

--E la Serrantoni,--disse Filippo racconsolato,--non ti ha spiegato
perchè è colpa mia se non abbiamo bambini?

--Ah no!--esclamò la giovane, ridendo ancora.--Non mi ha spiegato
niente. Mi ha fatto dei discorsi stranissimi, e in ultimo ha deciso che
io sono una grande oca, perchè non ho capito una parola. Io, però, le ho
dichiarato che se mi secca ancora, non le porterò più i dolci.

--Hai fatto benissimo,--approvò Filippo, baciandola sulla bocca.--E le
dirai che della nostra vita e del nostro amore siamo padroni noi.

Le parole di Filippo diedero un grande coraggio a Loredana, e mentre le
pettegole evitavano quel solito argomento per non addolorarla, ella lo
provocò a bella posta qualche giorno dopo.

--Ho parlato con Flopi del bambino,--disse.

La madre e le amiche, le quali stavano intorno, mandarono una
esclamazione di stupore.

--E che cosa ha detto il conte?--domandò la Serrantoni, trepidando.

--Ha detto che il bambino lo avrò l'anno venturo,--rispose la giovane
categoricamente.--Ma un bambino, per noi, in questo momento....

Ella tacque; le altre tacquero, guardandosi. Loredana era stupefatta per
il successo impreveduto delle sue parole. Finalmente la signora Emma si
passò una mano sulla faccia, e disse sottovoce alla Serrantoni:

--Avevo indovinato. È lui che non lo vuole!...




X.


La serata al teatro Goldoni era stata fatale per Berto Candriani.

Innanzi tutto egli aveva visto Loredana sotto un aspetto nuovo; fino a
quel giorno aveva considerata la giovane come una piccola borghese presa
nella luce della vita mondana per un capriccio di Filippo e destinata a
scomparir presto con quel capriccio; ma standole a fianco, ammirandone
l'eleganza e la freschezza, vivendone alcune ore la vita, notandone
l'ingenuità non priva d'orgoglio, s'era dovuto ricredere. Loredana era
destinata a non scomparire presto: aveva tutte le qualità per essere
un'amante di primo ordine, o una mantenuta lussuosa, o un'amica
affezionata e fedele, a seconda dell'uomo che l'avesse guidata nel suo
cammino.

Da quella sera in poi, Berto aveva notato che se ne parlava molto tra le
dame; dal canto suo, tartassato di domande, aveva dovuto raccontare una
quantità di cose vere e una quantità di cose false, per rispondere alla
curiosità acuta delle amiche. Forte della sua fantasia, aveva prodigato
particolari bizzarri, che raccontava dapprima ridendo; ma perchè le dame
parevano credere, a poco a poco aveva ripetuto quei particolari ed altri
ne aveva aggiunti con gravità; in modo che intorno alla ragazza s'era
formata una leggenda.

Fausta di Montegalda, la quale ancora non poteva persuadersi che «quella
stracciona» fosse una rivale, s'era involontariamente prestata a
diffondere la leggenda. La ragazza si faceva chiamare Loredana e
prendeva un bagno nel latte ogni mattina; mangiava fragole tutto l'anno,
e il povero Flopi spendeva un patrimonio per procurargliele durante la
stagione invernale. La camera dove riposava, con le pareti ricoperte di
specchi, aveva un enorme specchio in luogo del soffitto, cosicchè la
ragazza si vedeva riflessa, in tutte le pose e per ogni lato; la
vecchiaccia che l'accompagnava era vedova, ma si diceva avesse
avvelenato il marito.... Povero Flopi! Tra l'amante e la dama di
compagnia s'era proprio _encanaillé_ fino al collo.

Se qualcuno, in nome della verosimiglianza e della logica, osava qualche
obiezione, Fausta rispondeva:

--Ma è così, ve lo assicuro. Domandatene al Candriani. Egli la conosce
per benino, la ragazza....

E Berto era interrogato e doveva confermare o mitigare i racconti
fantastici, i quali, passando di bocca in bocca, avevano ormai rivestito
incredibili forme.

La celebrità di Loredana era fatta. Nessuno pensava più a negare che la
ragazza prendesse un bagno di latte ogni mattina e vivesse di fragole;
la signora Teobaldi, poi, aveva decisamente avvelenato il marito.

Berto non sapeva se riderne o temerne, perchè capiva che se Filippo
avesse conosciuto quel romanzo e il suo autore, le cose si sarebbero
fatte molto serie.

E mentre l'immane pettegolezzo sobbolliva, la vita di Loredana aveva
avuto una buona ripresa. In quell'inverno la giovane era andata più
volte a teatro, ora con la Teobaldi, ora con Filippo, scatenando una
bufera di commenti e di discussioni, che non giungevano fino al suo
orecchio. L'appartamento sulle Zattere, tutto raccolto e ben riscaldato
pareva più intimo e voluttuoso.

Loredana aveva dimenticato Giselda Fioresi e i due milioni e la taccia
di mantenuta; viveva spensieratamente con la cieca sicurezza di poter
vivere sempre così felice.

Ella fu un po' sorpresa di vedersi un giorno comparire in casa Berto
Candriani, il quale non le faceva mai visita nelle ore in cui Filippo
era assente.

Berto indossava la redingote, aveva un garofano bianco all'occhiello, e
in una mano i guanti paglierini; era addobbato per una visita di
società, e anche questo maravigliava Loredana, che lo riceveva sempre
come un vecchio amico, senza cerimonie.

Pareva lievemente impacciato.

--Credevo ci fosse Filippo,--disse,--ed ero passato a prenderlo.

--No,--rispose Loredana.--Flopi è andato al tè in casa Lombardi....

--Ah, sicuro!--mormorò Berto.--Sono le cinque, infatti; le cinque e un
quarto, anzi.

--Se lei non ha niente di meglio a fare,--seguitò cortesemente la
giovane,--può trattenersi un istante, e il tè gliel'offrirò io.

Berto battè le mani.

--Anzi, anzi, non domando che questo!

La conversazione languì un attimo. Loredana si chiedeva mentalmente:
«Che cosa vuole?». Berto si distraeva a guardar la fanciulla, la quale
indossava una semplice vestaglia tutta liscia colore scarlatto, serrata
ai fianchi da una fascia alta di seta nera. Egli si diceva che era
straordinariamente desiderabile.

--Flopi è sempre di buon umore?--domandò.

--Certo,--rispose Loredana.--È sempre di buon umore con me.

--Non ha più parlato di quegli incidenti al teatro?

--Di quali incidenti?

--Di quella sera, ricorda? quando io ebbi l'onore di riaccompagnarla, e
si fece anche un brindisi....

La giovane sorrise.

--Ah mio Dio!--esclamò.--Di noi tre, se ne ricorda lei, soltanto!...
Sarebbe curiosa che io e Flopi ne parlassimo ancora!...

Berto si morse le labbra.

--È vero; lei e Flopi han da dirsi qualche cosa di meglio,--mormorò.

--Caro conte,--osservò Loredana, corrugando le sopracciglia,--sa che io
detesto i sottintesi.

--Non ci sono sottintesi; dicevo una verità. Due persone che si amano,
non han tempo di badare ai pettegolezzi.

Loredana si alzò per accendere la luce elettrica; la conversazione
ricadde.

--Flopi le ha narrato la storia dei due milioni?--chiese Berto a un
tratto.

--Mi ha narrato ogni cosa.

--Egli non li rimpiange di sicuro?

--Pare di no,--rispose Loredana sorridendo.

Entrò Piero, recando il servizio per il tè, che dispose sul tavolino. Vi
fu una pausa lunga, durante la quale Loredana versò l'acqua bollente
nella teiera, spense il fornelletto a spirito, avanzò il cestello dei
biscotti verso il suo ospite.

--È un bel patrimonio,--riprese questi.

--Che cosa?--domandò Loredana.

Non s'era mai trovata sola col giovane, al quale sapeva di piacere, e se
ne sentiva intimorita, perchè gli occhi di lui non l'abbandonavano mai.

--Dico che due milioni formino un bel patrimonio,--egli spiegò,
prendendo una tazza dalle mani della fanciulla.--Un magnifico
patrimonio, al quale pochi uomini rinunzierebbero per l'amore.

Loredana guardò Berto inquieta.

--Che cosa significa?--domandò.

--Non ci sono sottintesi,--dichiarò Berto sorridendo.--Volevo dire
quello che ho detto; pochi uomini rinunzierebbero a due milioni per
l'amore di una donna. Flopi è di questi uomini, e ciò mi fa piacere....

--No, conte,--interruppe Loredana, bruscamente.--Non è il caso di
scherzare; lei sa qualche cosa?

--Non so nulla!

--Forse Filippo le ha confidato che è malcontento?

--Le do la mia parola, d'onore che Filippo non ha mai aperto bocca con
me....

--E allora?--chiese la giovane freddamente.--Perchè trova strano che
Filippo mi ami?

--Non trovo strano; dico che tra una donna, chiunque ella sia, e due
milioni, quasi tutti gli uomini sceglierebbero questi e lascerebbero
quella.

Loredana non rispose; la bella faccia ridente aveva preso un'espressione
dura, che gli angoli rialzati della bocca facevan più recisa; e gli
occhi fissavan dritti in volto il Candriani, cercando di scrutarne il
pensiero riposto.

--È quello che io ho osservato a Flopi,--ella, disse.--Ma egli mi ha
risposto che io lo scambiava per un mercante.

--Doveva rispondere così,--osservò Berto.

--Doveva essere sincero, perchè io con lui sono stata sempre sincera.

--Lei non aveva nulla da nascondere; ma la sincerità qualche volta è
incomoda,--ribattè il Candriani.--Non si può dire a una donna: «Io
preferisco due milioni al tuo amore»....

Loredana balzò in piedi.

--Perchè mi parla a questo modo?--esclamò.--Filippo le ha dato
l'incarico di esprimere le sue idee?

--No,--rispose Berto, stendendo una mano verso la giovane come a
tranquillarla.--Filippo non mi ha dato alcun incarico, glielo posso
giurare! Sono pensieri miei, quelli che esprimo.

Fece una pausa, si alzò egli pure lentamente in piedi, e movendo un
passo verso la ragazza dritta nella veste flammea, aggiunse:

--Non si spaventi, non si turbi, Loredana. È un amico che le parla. Io
voleva dirle questo fin dalla sera in cui ci siam trovati a teatro.
Volevo dirle che, qualunque cosa avvenga, in qualunque momento, io sarò
lieto di accorrere a una sua parola e di poter esserle utile....

--Come?--domandò Loredana smarrita.--Lei non crede sincero Filippo?

--Non so. È sincero oggi, forse. Domani potrebbe pentirsi, non tanto per
il patrimonio al quale deve rinunziare, quanto per la guerra che gli va
movendo la famiglia. E se quel giorno venisse, le ripeto, ella deve
ricordarsi che ha un amico devoto e pronto a tutto per lei....

La giovane squadrò da capo a piedi il suo ospite; non era più
intimorita; un sorriso ironico le increspava le labbra e una luce vivida
le sfolgorava dagli occhi.

--Io la disprezzo!--ella rispose pacatamente.

--Loredana!--esclamò Berto.

--Sì, sì, la disprezzo!--ripetè la giovane con calma.--Lei ripaga a
questo modo l'amicizia di Flopi? Lei viene a mettermi il sospetto nel
cuore, mentre io era felice! Lei viene ad accusare Filippo, mentre egli
è così buono con me, così fiducioso con lei! E tutto questo senza una
ragione al mondo, solo per dirmi.... Per dirmi che cosa? Che lei
vorrebbe succedere a Filippo, non è vero? Perchè lei crede che se domani
Filippo mi abbandonasse, io prenderei un altro amante, forse il primo
che mi capitasse, con la indifferenza con cui si muta d'abito? Questa è
la stima che lei ha di me?...

S'interruppe, dando in una risata sardonica; e proseguì:

--Caro conte, ha commesso un'azione cattiva, e io dovrò avvertirne
Filippo, perchè si guardi da lei, che è un falso amico! Lei è stato il
solo ammesso in questa casa, e ne ha compensato Flopi tentando di farmi
credere che rimpiange il denaro perduto, e cercando di portar via a
Flopi una donna che egli ama. Mi ha messo l'inferno nell'anima, mi ha
fatto dubitare, mi ha torturata....

--Loredana, non esageri, per carità,--interruppe Berto
avvicinandosi.--Lei non mi ha compreso.

--L'ho compreso, l'ho compreso!--esclamò Loredana, mentre le lagrime
cominciavano a scorrerle per le guance.--Ho compreso il suo scopo! Se
avesse detto quelle malignità senza uno scopo, sarebbe pazzo! Ah, che
dolore mi ha dato! Ora questo pensiero non mi si leverà più dal
cervello; ora io continuamente mi domanderò se Flopi è contento, se non
rimpianga il denaro perduto, se mi ama davvero! Ed ero così felice, così
stupidamente felice!...

Si lasciò cadere in una poltrona, e nascondendo il volto tra le mani,
scoppiò in singhiozzi che le fecero sobbalzare violentemente il seno. A
piccoli passi, piano, adagio, Berto si avvicinò, si curvò sulla
spalliera, osò stendere una mano quasi per carezzare la testolina
dolorosa:

--Loredana,--susurrò,--io le domando perdono; io non credeva di....

Ma dovette troncare. Loredana era scattata in piedi nuovamente; pareva
davvero una viperetta, con la testa dritta e gli occhi sfavillanti:

--Vada via!--gridò.--Vada via; non mi tocchi! La disprezzo, gliel'ho
detto. Vada via, vada via subito!...

Berto si ritrasse.

--Vada via subito!--incalzò Loredana.--Non voglio più vederla! Vada via
subito, o chiamo!

Il tono perentorio, la voce squillante, il fremito visibile che agitava
la fanciulla, fecero comprendere a Candriani ch'era impossibile
resistere; se avesse osato una parola o un gesto, Loredana avrebbe
chiamato il servo o Clarice, facendo uno scandalo. Berto camminò a
ritroso fin sul limitare, s'inchinò, uscì.

La giovane stette in ascolto qualche poco, indi si abbandonò sul divano,
tuffando il volto tra i cuscini. Ella rimase in tal positura, immobile e
con gli occhi asciutti, sforzandosi a pensare, fin che non udì
nell'anticamera i passi di Filippo che rientrava. Allora balzò in piedi,
si diede una occhiata nello specchio, afferrò un libro che giaceva sulla
tavola e finse di leggere.

Filippo entrò:

--Buona sera, piccola,--disse.

--Buona sera, Flopi. Ti sei divertito?

--No, per niente. E tu, che cosa hai fatto?

Un brivido passò nell'anima di Loredana; chinato il capo di nuovo sul
libro, mormorò con indifferenza studiata:

--Nulla. È venuto il Candriani a trovarmi....

--Berto?--esclamò Filippo stupito.--A che ora?

--Alle cinque e un quarto, o alle cinque e mezza, non ricordo.

--E che cosa voleva?

--Era passato a prenderti per andare dalla contessa Lombardi.

--Ma è impossibile, Lori; pensa bene a ciò che dici!--esclamò Filippo.

Loredana s'impaurì; impossibile? perchè era impossibile?

--Ha detto così,--ella insistette.

--Ma dalla contessa Lombardi dovevamo trovarci più tardi,--osservò
Filippo.--E infatti è venuto, mi ha visto, e non mi ha detto ch'era
stato qui. Tutto questo è stranissimo....

Tacque; s'avvicinò all'amante, ancora seduta sul divano, e la scrutò
attentamente.

--Tu sei molto agitata,--soggiunse.--Mi nascondi qualche cosa....

Loredana si sentì morire. Che cosa poteva credere Filippo? Bisognava
raccontar tutto?... Alzò il capo, e disse, disperatamente:

--Io, il Candriani, non voglio più vederlo!

Filippo sussultò, l'attirò al petto, e baciandola rispose con calma:

--Ho capito. Non lo vedrai più!




XI.


Il conte Filippo Vagli e il conte Berto Candriani, col pretesto d'un
diverbio politico, si batterono alla sciabola tre giorni dopo la visita
di Berto a Loredana. Al Candriani toccò un colpo di figura interna, che
partendo dall'orecchia destra, gli tagliava il naso, le labbra, il
mento; Filippo, a causa dell'incontro avvenuto in quell'attimo, ebbe una
sciabolata all'avambraccio destro, lunga ma non profonda.

Loredana quando vide in quel pomeriggio freddo e nebbioso tornar Filippo
col braccio al collo, diventò come pazza; correva da una camera
all'altra, gridando e piangendo; era stata lei la causa del duello;
Flopi s'era dovuto battere per lei; ella era la sua maledizione; già
tanti danni aveva avuto dal suo amore, già tanti dispiaceri, e oggi
anche un duello, una ferita, oggi anche il sangue aveva dovuto dare!

Il chirurgo che accompagnava Filippo le assicurò che la ferita del conte
non era grave; Filippo e Clarice furono attorno alla giovane per
confortarla; ma essa era così sbigottita, coi capelli sciolti e gli
occhi dilatati dallo spavento, che il medico dovette occuparsi prima di
lei che del suo ferito.

A poco a poco, quasi svegliandosi da un terribile sogno, Loredana si
rimise e cominciò a credere che Filippo non fosse minacciato da morte
imminente. Ma non appena il chirurgo si congedò, essa volle udire il
racconto della scena, e Filippo dovette raccontare, mentre Clarice
Teobaldi pensava alle più belle pagine del teatro melodrammatico.

--La conclusione si è,--terminò Filippo,--che io intendo partire non
appena mi sarà possibile. Questo duello farà troppo chiasso. Andremo a
Roma a passar l'inverno: lasceremo qui Clarice a vigilare la casa, e
torneremo a primavera....

La signora Teobaldi sentì il dispiacere del futuro distacco, temperato
dalla soddisfazione di quell'incarico di fiducia, e pensò che Filippo
era veramente un eroe.

--Mi dispiace per Berto,--soggiunse il conte.--Gli è toccato un colpo
crudele, ma non potevo misurarlo. Del resto, la lezione gli insegnerà a
tener la lingua tra i denti.... e a rispettar l'amicizia.

Filippo non s'era ingannato, prevedendo che il duello avrebbe fatto
chiasso. Per tutto il giorno dovette ricevere amici nel suo studio, i
quali venivano ad assicurarsi che non era gravemente ferito. In città il
fracasso era enorme, e quelli che ne sapevano meno erano i più esatti e
più sicuri nel raccontar particolari.

Non si trattava del solito pettegolezzo, qualche volta campato
interamente in aria, sempre mormorato con grazia; era un'onda di ciarle
e di commenti fragorosi che dilagava per tutto, nei caffè, nei teatri,
nei salotti.

L'aristocrazia veneziana, la quale conta forse i nomi più classici del
mondo, s'angustiò per quell'incidente di cui si sapevano anche le cause,
perchè il pretesto del diverbio non aveva ingannato nessuno. Da anni a
Venezia non avvenivano duelli se non tra giornalisti; una cordialità
simpatica legava i signori l'uno all'altro, e la più squisita cortesia
presiedeva ai loro convegni, tanto che al momento di trovare i padrini,
Filippo e Berto avevano incontrato non poche difficoltà, perchè gli
amici di quello erano amici di questo; Filippo aveva scelto due
ufficiali di marina giunti da poco a Venezia, e Berto due ufficiali di
cavalleria che stavano a Padova.

Il conte Roberto e la contessa Bianca furono costernati all'annunzio; nè
l'uno nè l'altra avrebbero imaginato che Filippo giungesse a tanto per
la «monella»; e l'uno e l'altra, d'intesa, fecero comprendere la loro
riprovazione ostentando di non voler parlare dell'accaduto e trascurando
di chiedere notizie del nipote e del figlio.

Era lo scandalo; lo scandalo aperto, irrimediabile, gigantesco; perchè
sapendo che Filippo si era battuto per una donna, e non già per la
politica come voleva dare a intendere, nessuno pensava che questa donna
non l'avesse tradito, ch'egli non l'avesse sorpresa fra le braccia del
Candriani, ch'egli insomma non avesse fatto una brutta figura. Il nome
di Loredana correva per le strade, e la curiosità interribiliva.

Loredana! Chi era? Dove l'aveva trovata? Che cosa faceva prima di darsi
al conte? Era quella del bagno di latte e delle fragole? Ah era quella!
Allora la medesima che una sera al teatro Goldoni civettava col
Candriani; che sfrontata! Mantenuta dell'uno, andava a teatro con
l'altro! Filippo spendeva un patrimonio per coprirla di seta e di
gioielli ed essa lo ricompensava a questa maniera; la colpa era di
Filippo, che doveva aver perduto la testa. Chi l'avrebbe detto, lui così
pronto una volta a cambiar d'amanti, così garbato e accorto, così
scettico ed egoista! È proprio vero che il gatto, all'ultimo, vi lascia
lo zampino; Filippo doveva essere invecchiato; questo amore aveva tutta
la goffaggine d'una passione senile.

Non parliamo del Candriani, tanto ben ricompensato della sua amicizia;
per poco Filippo non gli aveva portato via naso, orecchia e labbra in un
colpo solo; ad ogni modo il povero Berto rimaneva sfigurato per sempre;
la cicatrice era spaventosa; venti punti di sutura; ma che venti?
trenta, o quaranta; un macello.... E intanto Filippo s'era giuocato per
quella donna l'eredità dello zio, una diecina di milioni; lo zio l'aveva
avvertito più volte, l'aveva pregato e scongiurato, e finalmente aveva
perduto la pazienza. Chi poteva dargli torto? Era un vecchio onesto e
semplice, che non voleva pasticci in famiglia.... E quell'altra, la
madre, la contessa Bianca, quale conforto aveva dal figliuolo, ch'ella
voleva accasare! S'era trattato di matrimonio con la contessina Cafiero;
no, con la Fioresi, una ragazza che gli avrebbe portato, anche lei, una
diecina di milioni; ma Filippo aveva mandato all'aria ogni cosa; e in
tal modo, dieci della fidanzata e dieci dello zio, erano ormai venti
milioni sfumati.

Qualcuno osava una parola in difesa di Filippo, ma era peggio.... Come
difenderlo? Figurarsi: permetteva che la sua mantenuta si facesse
chiamare contessa Vagli; in tutti i negozii di Venezia, per contessa
Vagli s'intendeva non già la veneranda contessa Bianca, ma quella
ragazza; e una volta la contessa Bianca s'era vista portare a palazzo
una scatola di trine e piume, ch'eran destinate all'altra; anzi più
volte i fornitori sbagliavano, e mandavano da pagare alla contessa
Bianca le note della ragazza. Una commedia, una farsaccia, permessa,
voluta da Filippo, che neanche rispettava più il nome della famiglia....
Come si poteva difenderlo?... Tutti a questo mondo han fatto le loro; a
tutti piacciono le donne; ma c'è maniera e maniera. Un avvocato diceva:
«Nisi caste saltem caute»; il buon gusto, la decenza, non si devono mai
offendere; e da gente, poi, che ha obblighi sociali e dovrebbe dar
l'esempio.... Se così faceva un patrizio veneto, si poteva imaginare che
cosa avrebbe fatto qualche povero diavolo, un facchino della Marittima,
un plebeo....

E a proposito di plebei, che cosa era quella sua amante? La chiamava
Loredana, lui, per rialzarla; ma veniva dal basso, era uno _scialletto_,
nè più nè meno che un'infilatrice di perle a Castello; pensate che
educazione poteva avere e che linguaggio; ma faceva ogni giorno un bagno
nel latte. È per questo che la dicevano tanto caritatevole; distribuiva
ai poveri il latte che le era servito pel bagno. Quanto alla bellezza,
poi, a Venezia se ne potevan trovare mille, diecimila più belle; bastava
guardarsi intorno, e giusto a Castello e a Cannaregio v'eran certi
musetti, si vedevan certi occhi e certe capigliature; la Resi, per
esempio, e la Nana, e quell'altra, quella bionda, la Màlgari; e nessuno
si pensava di portarsele a casa, di rinunziare a venti milioni, di
chiamarle contesse, e di metterle in conserva nel latte. Ci voleva
proprio un patrizio, e un patrizio come Filippo, per queste
minchionerie!

Filippo rimase schiacciato sotto quella valanga. Caldo per ira e per
gelosia, aveva provocato Berto, senza prevedere che la responsabilità
dell'avvenimento sarebbe andata a battere contro Loredana, la quale ne
usciva compromessa irrimediabilmente; e compromettere una donna era per
Filippo azione così vigliacca e stupida, ch'egli spasimava d'esserci
involontariamente incappato. Tutto il fango della strada, l'ira degli
uomini, l'invidia delle femmine, si sollevava e ricadeva sull'amante
sua.

Era una cosa spaurevole. Fra gli amici venuti in quei giorni a trovar
Filippo fu il conte Alvise Priùli, un vecchio d'oltre sessant'anni,
dalla vita cristallina, maestro di cortesie, oracolo in materie
cavalleresche, franco nel parlare.

--Ti sei cacciato in un ginepraio,--egli disse a Filippo.--Perchè non
consigliarti con qualcuno, prima di agire?... A provocare e a battersi
v'è sempre tempo. E tu sai che quando c'è di mezzo una donna, chiunque
ella sia, un gentiluomo deve evitare duelli e scenate fin che gli è
possibile....

Filippo, col braccio al collo, passeggiava nervosamente per lo studio,
angusto alla sua furia. Si arrestò innanzi al vecchio che aveva candidi
capelli e faccia rosea:

--Che cosa dicono?--chiese avidamente.

Il conte Alvise fece un gesto desolato.

--Un disastro,--rispose.--Tutto quello che puoi imaginare di più
antipatico, di più losco, di più sciocco; è una vera orgia di
contumelie....

--Contro di me?

--Contro di te, e contro la signora, voglio dire la signorina, insomma
la tua amica.

--Per esempio?--incalzò Filippo.

--Che esempio!--esclamò Alvise sorridendo.--Non è il caso di darti
esempii; anche tu sai che cosa è la folla quando si sbizzarrisce a
inventare e a deridere.

Filippo battè i piedi a terra, riprese a camminare, e camminando disse:

--Che cosa mi consigli? Che cosa devo fare, Alvise? Bisogna ch'io ne
esca....

--Io ti consiglio di cambiar aria,--disse Alvise.--Fa un viaggio, un bel
viaggio lungo. Se tu rimani, finisci per batterti altre venti volte, e
lo scandalo cresce. Del resto, come puoi pigliartela con gli anonimi?
Tutti parlano ora che ti sanno chiuso in casa; pròvati ad uscire e non
avrai che strette di mano e sorrisi....

--Ipocriti! Vigliacchi!--esclamò Filippo.

--Ma no, caro, hai torto,--osservò prontamente Alvise.--Il mondo è
fatto così; non intende aggredirti di fronte, perchè gliela faresti
pagare; aspetta che tu volti le spalle. E in questo, Venezia, Parigi,
Londra, Pechino, sono una città sola....

--Dunque un viaggio, tu dici?--riprese Filippo, fermandosi un'altra
volta davanti al vecchio amico.--Io aveva pensato di passar l'inverno a
Roma....

--No, no, un viaggio. A Roma si sa tutto, come a Venezia; figùrati se la
Montegalda, la Fioresi, e venti altre, se di Spinea e lo stesso
Candriani non hanno scritto agli amici di laggiù! E ciascuno a modo suo.

--Come sta Berto?--domando Filippo.

--Bene, puoi imaginare. Gli hai cambiato faccia, ma non sono avvenute
complicazioni, e se la caverà in un mese o poco più....

Filippo tacque, guardando a terra.

--Me l'aveva fatta grossa,--mormorò poi.

--Sai che è un caposcarico; potevi parlargli e persuaderlo a non
molestare la tua amica. E anche la tua amica, via, confessiamolo, doveva
essere più prudente, metterlo alla porta alla chetichella e non dirtene
nulla.

Filippo scosse la testa.

--Loredana non ha alcuna colpa,--ribattè.--È abituata a dirmi tutto; e
se l'avesse messo alla porta, io non me ne sarei avveduto e non avrei
chiesto spiegazioni? Era il solo che veniva a trovarci, e ci voleva poco
ad accorgermi che non c'era più!... E la mamma e lo zio, che cosa
dicono?

Il conte Alvise fece un altro gesto in aria, più desolato del primo.

--Non ne parliamo, caro Flopi!... Credo che Roberto pensi a fondar col
suo denaro un istituto di beneficenza....

Filippo sorrise.

--Gliel'ho consigliato io!--disse.

--Bravo!--esclamò Alvise.--Non ti conoscevo come benefattore
dell'umanità. Quanto a tua madre, povera donna, questo è un colpo, è un
colpo grosso.... Sai le sue idee, anche in materia di duello; e qui poi
si tratta d'un duello inutile, d'uno scandalo gigantesco.

--Povera mamma!--disse Filippo, meditabondo.

--Dovresti scriverle chiedendole perdono,--suggerì Alvise.--Non ti
risponderà, ma la lettera la calmerà un poco, e servirà a prepararti un
colloquio.

--Le scriverò; è una buona idea,--dichiarò Filippo.--Quanto a colloquii,
non ne avremo: essa mi chiede ciò che io non voglio concederle,
l'allontanamento di Loredana. Non voglio e non posso: tu capisci che se
oggi, quando è aggredita da tutta una folla, da tutta una città,
mettessi Loredana sul lastrico, sarei un farabutto....

--È giusto,--convenne Alvise.

Altri amici sopravvennero, e Filippo li interrogò, e da ciascuno ebbe la
conferma che lo scandalo dilagava, che in alto e in basso, nel salotto e
nell'osteria, ancora non si parlava se non del duello; qualche amico più
addentro nella confidenza di Filippo ripetè, attenuando, i discorsi che
correvano, e anche attenuati, specialmente per Loredana, erano
oltraggiosi e provocanti....

Le visite si susseguirono fin quasi all'ora del pranzo; e Filippo ne
uscì in uno stato di fredda disperazione. Piegò il capo sul braccio
sinistro appoggiato alla tavola, e restò immoto a pensare.




XII.


A pensare; ma non seppe mai quanto rimanesse in quella positura.

Lievemente, con un passo che il tappeto smorzava del tutto, Loredana
entrò nello studio verso le otto, per chiamar Filippo a pranzo. Ella
sorrideva, perchè da qualche giorno era certa della guarigione
dell'amante, e quel viaggio a Roma, di cui s'era parlato, le piaceva
molto. Intorno a Roma avevan ricamato mille fantasie l'estate innanzi, a
Sirmione, poi non se n'era fatto più nulla per le vicende susseguite.

Loredana si fermò di botto sul limitare, e fu per mandare un grido.

Filippo era seduto, con la testa reclinata sul braccio, immobile.

La giovane accorse, gli toccò una spalla, ed egli alzò il capo
sussultando.

--Che c'è?--disse.

Loredana vide ch'egli aveva gli occhi lucidi di lagrime, e ne rimase
sbigottita.

--Hai pianto?--chiese.--Flopi, hai pianto? Che cosa è avvenuto?

L'amante scosse la testa, infastidito e confuso.

--No, no,--disse,--non ho pianto....

--Sì, hai gli occhi rossi e umidi.... Che cosa è avvenuto, in nome di
Dio?

Filippo si alzò, fece un giro per la camera, silenzioso, mentre Loredana
lo guardava attonita, quasi non lo riconoscesse; ella avrebbe potuto
imaginare nei suoi sogni qualunque cosa strana, ma non avrebbe imaginato
mai di dover vedere un giorno il viso di Filippo bagnato dalle lagrime;
questo spettacolo superava tutto che di più orribile e di più
straordinario ella poteva sognare....

--Dimmi che cosa hai!--insistette.--Per carità, Flopi, non farmi morire
di spavento; rassicurami, dimmi una parola, non esser crudele a questa
maniera....

Filippo s'arrestò nel bel mezzo della camera.

--Che cosa ho?--disse.--Non ne posso più, ecco! Ho tutta la città contro
di me, tutti i parenti, tutti gli amici, tutti gli sconosciuti, tutti
gli sfaccendati, tutti, i ricchi e i poveri, i buoni e i cattivi, tutti
sono contro di me. Questo duello ha sollevato uno scandalo senza
esempio, e ha coperto di fango me e te. Io sono un vanesio che
compromette le donne, un «trombone» come dicono a Venezia, e tu una
sgualdrinella, e i nostri nomi sono popolari.... Ah sì, popolari
ormai!... Nelle taverne ci conoscono come nei palazzi, e non abbiamo
uno, un solo che ci difenda! Hai capito, Lori, che cosa ho? Un uomo non
può combattere contro la folla; sono stritolato da una tempesta che ho
sollevato io; non mi posso muovere, perchè la folla son tutti e non è
nessuno.... Chi prendere? A chi chiedere ragione? Che cosa devo fare? Io
non lo so; Priùli mi ha detto di fare un lungo viaggio, e sta bene, ma
poi? Dovremo tornare, non potremo viaggiar tutta la vita, e rimettendo
il piede a Venezia, io sarò il «trombone» e tu la sgualdrina.... È
odioso, Lori! Non mi sono mai perduto d'animo, non ho mai piegato, fin
che si trattava di discutere coi parenti; ma oggi non so dove dar la
testa, perchè ho di fronte una città, l'intera città, ti dico, nella
quale il pettegolezzo è un'arte, la sola rimasta a questi cialtroni.
Capisci, Lori, che cosa ho? Non ne posso più, non ne posso più, non ne
posso più!...

Loredana aveva capito; aveva chiaramente e interamente capito.

Dopo il primo senso di terrore e di smarrimento, la giovane stava come
agghiacciata, rigida e muta. Aveva compreso; Filippo era vinto; non si
poteva chiedergli di più; perduta la famiglia, aveva resistito; perduta
una fortuna, aveva resistito. Ora, davanti al ridicolo, davanti ai
ghigni della moltitudine, davanti alla gazzarra, allo scandalo osceno,
davanti al disonore--non lo accusavano di compromettere le
donne?--Filippo era vinto, e piangeva. Lei, con la sua leggerezza
incredibile, lo aveva lei con le sue mani spinto in quell'abisso.

Ella rimaneva a testa china, le braccia pendenti lungo il corpo.

Filippo la vide e le si avvicinò.

--Scusami,--disse.--Scusami, Lori. È stata una debolezza imperdonabile,
la mia; non dovevo affliggere anche te. Ora è passata.... Faremo un
lungo viaggio, ti piace? Prima a Costantinopoli, e là poi decideremo
dove andare: io posso rimanere assente anche due, tre anni. Odio
Venezia, ormai, non mi ci posso più vedere! Non mi rispondi, Lori?

Ella non rispondeva: aveva capito e stava pensando che cosa dovesse
fare, che cosa il suo amore chiedesse da lei, e tutto le pareva orrendo.
Cercava dentro il cuore l'energia per il domani, e sentiva il cuore
gelido, come pervaso repentemente da un veleno mortale.

--Non mi rispondi?--chiese Filippo di nuovo.--Guardami, non sono più
triste; ha ragione Priùli: un lungo viaggio ci farà dimenticare, e
intanto saremo felici. Condurrò con noi anche la Teobaldi, il povero
folletto, e la faremo cantare.... Che ne dici, Lori?

Ella non rispondeva. Il suo amore era finito. Bisognava far qualche
cosa, non si poteva accettare il sacrificio ultimo dell'uomo che aveva
sacrificato già tanto; l'amore, l'amore vero, voleva da lei qualche cosa
di più.

--Va bene,--disse fievolmente, per dire.--Va bene, Flopi. Ora guarisci,
perchè non puoi partire così; e dopo decideremo tutto.... Va bene....
Sì, anche Clarice; la faremo cantare....

Tacque subito per non dare in uno scoppio di pianto, in un urlo di
dolore.

--È tardi,--soggiunse.--Andiamo a pranzo....

A tavola li aspettava, come al solito, la signora Teobaldi, la quale
aveva preparato un discorso intorno a certe opere che si davano alla
Fenice, e voleva esprimere alcuni giudizii categorici sulla musica
moderna, sulla morte del bel canto.... Ma rimase esterrefatta vedendo
Lori e Flopi; il conte pallido come un cadavere; la ragazza pareva
intormentita. Mangiarono in silenzio, senza guardarsi; Filippo e
Loredana anzi, dimenticavano spesso di mangiare e restavano con gli
sguardi perduti nel vuoto. Piero cambiava le posate, senza che il conte
avesse toccato cibo; anche Piero era costernato per quello spettacolo di
tristezza. Certo, era avvenuta qualche sciagura; ma dove, ma quando, se
proprio quel giorno nessuno era uscito di casa, se proprio quel giorno
non era arrivato nemmeno un telegramma? Il conte aveva di tanto in tanto
un fremito subito contenuto; ripensava alla folla che correva le strade,
trascinando il suo nome e il nome di Loredana; gli pareva d'udir le
sghignazzate degli oziosi maligni.... La fanciulla, inerte, con un gran
freddo dentro, si rivolgeva alcune domande angosciose, alle quali non
trovava risposta.

Subito dopo il caffè, il conte le baciò la mano e si ritirò.

Clarice e Loredana rimasero sole, innanzi alla tavola, che Piero,
interamente smarrito, aveva dimenticato di sparecchiare. Un grande
silenzio, un silenzio d'angoscia invase la sala; non si udiva fuori se
non la cantilena monotona della pioggia che cadeva fitta e instancabile
da più ore.

--Contessa,--mormorò Clarice con voce supplichevole.--Contessa, mi
dica....

Ma Loredana rabbrividì da capo a piedi, come un'aspide l'avesse morsa.
Guardò la vecchia amica dalle terribili sopracciglia al nerofumo, la
buona donna che le era sempre stata al fianco, i tristi giorni e i
lieti. Una raffica di vento sfiorò la casa fra le tenebre e fece
traballare i cristalli alle finestre.

La giovane stese le braccia nel vuoto. Perdutamente, con uno scoppio di
pianto, disse:

--È finita!... È finita!... È finita!...




XIII.


Per le calli e le callette per le quali la plebe, il popolo, la
borghesia si dan di gomito e i ragazzi sgusciano da ogni parte e la
gente va, accodata qualche volta a una coppia lenta e pigra, che sbarra
tutta la strada, Loredana si recò da sua madre.

L'alito di quella vita intima le soffiava in volto; finestre di case
spianti le case di faccia; dalla soglia d'un negozio dov'erano appesi
stoccafissi secchi, le parole e le bestemmie che al suo passaggio si
tramutavano in madrigali grossolani; più là, in alto, un'esposizione di
panni variopinti e teste di donne che si affacciavano a guardarla; per
quest'altra calle, un facchino rotolante una botte vuota e il codazzo
di monelli che correvano a dar mano per arrestare d'un tratto il viavai
e obbligare i passanti a farsi contro il muro o a ripararsi dentro le
porte. Una baruffa di femmine armate di ciabatte, lo scialle scivolato
dagli omeri raccolto sotto il gomito sinistro, e una bordata d'ingiurie
metaforiche furono, presso la sua casa, gli ultimi incidenti della
corsa; e Loredana salì, l'anima chiusa da una malinconia infinita. Era
stanca.

Lo spettacolo della miseria morale e materiale del popolo non l'aveva
mai colpita come in quel giorno in cui il suo cuore era vinto da uno
sconforto immenso. Tutta la vita non le pareva se non una trama di
dolori, di cose turpi e infami, di giunterie e di volgarità, un torrente
di fango al quale gli uomini devono abbeverarsi. L'illusione li sorregge
un poco e li guida; poi d'un tratto l'orribile sapore avvelena la bocca
e i bevitori si svegliano allo sconcio inganno.

Anche in casa di sua madre, non sapendo raccapezzarsi tra le mille
storie che correvano le vie, le amiche avevan filato caligine; tanto che
se non fosse stata la ritrosia e quasi il pudore di varcar quella
soglia, la signora Emma sarebbe andata lei da Loredana a chieder
notizie.

La giovane raccontò a sua madre tutto quello che era seguito: Emma
impallidì, quando apprese che Filippo aveva pianto.

--Ahi, povera mia Lori!--esclamò.--Non hai avuto un'ora di bene, non un
giorno di pace, dacchè hai abbandonato la tua casa!... Ah, Lori, Lori,
quale rovina! E doveva finire così; il conte non può resistere più a
lungo, non può disconoscere sua madre per te!...

--Parole inutili!--interruppe Loredana.--Se veramente non avessi fatto
altro che soffrire vicino a lui, non soffrirei tanto ora! Sono stata
felice, felice, capisci?... Che dirti?... Sono felice anche oggi, che
egli è con me.... Sono stata felice sempre, perchè egli era forte, e
avrebbe vinto! Mi guardi? Non sapete amare, e non mi comprendete!...
Flopi sapeva amare; ma l'hanno ferito, infangato, tormentato, e non può
più lottare.... E quel Candriani, quel maledetto!... C'è una sola buona
cosa in tutto questo, vedi, mamma?... C'è che Flopi gli ha dato una
sciabolata spaventosa....

--È dunque vero?--interrogò Emma.

--Una sciabolata così pesante, così piena, che lo ha sfigurato per
sempre. Ne ho piacere: gli ha tagliato la faccia dall'orecchio al
mento.... Vada, ora, a fare il bello con le donne degli altri! Ah, di
Flopi e di me non può più dimenticarsi! Ne ho piacere, ne ho proprio
piacere!

Emma non disse nulla. Si poteva perdonare alla giovane la ferocia di
quel compiacimento per l'umiliazione d'un nemico insidioso.

--E oggi?--chiese dopo una pausa.--Il conte è sempre così triste?

--Stamane ha ricevuto una lettera anonima carica d'ingiurie sciocche, e
ciò l'ha fatto ridere. Ma è un altr'uomo; conta le ore che mancano alla
guarigione, perchè vuol partire; gli amici lo disturbano, è nervoso e
irascibile; sembra abbia paura della città, di se stesso, di qualche
cosa ch'egli medesimo non sa.

--Vuole partire?--ripetè Emma.--E dove andrete?

--Io non partirò, mamma!--dichiarò Loredana con calma.--Egli s'illude
che io l'accompagni, ma ho riflettuto in questi giorni, e ci son troppe
cose contro di me. Per causa mia ha perduto una grossa eredità, la sua
famiglia vuole che sposi una contessina, e questa contessina lo ama.
Vedi quante difficoltà che già esistevano.... Mi ha raccontato tutto il
conte Candriani, una sera a teatro; io credeva lo avesse fatto per
leggerezza, ma ora comprendo che aveva il suo scopo; non me ne ha
risparmiata una, per allontanarmi da Flopi; e oggi devo aprire
finalmente gli occhi.

--E che cosa farai, Lori?

La giovane chinò il capo fissando a terra le piastrelle bianche e rosse,
che un raggio leggero di sole illuminava dolcemente.

--Te lo confesso: avevo pensato d'uccidermi.... No, no, non ti
spaventare, mamma!--disse con rapidità, vedendo che sua madre era
diventata subitamente pallida.--Non lo farò mai, te lo giuro, non lo
farò per te, e anche per lui.... Vi accuserebbero della mia morte; ho
capito anche questo.

--Ascoltami,--interruppe Emma, che passatasi una mano sul volto andava
rimettendosi dal primo impeto di paura.--Marta, la Serrantoni, mi ha
detto che Adolfo Gianella ti segue ancora, e che un giorno vi hanno
visti insieme, e che è sempre innamorato di te....

--È vero; quella pettegola sa tutto!--esclamò Loredana.

--Marta mi ha detto che è diventato buono, che ha perduto la sua
alterigia stupida,--insistette Emma.--Ha compreso ch'egli ti trattava
male, e insomma....

--E insomma ha cominciato ad ammirarmi quando sono scappata con un
altro!--seguitò crudamente la giovane.--Ah, un bel marito sarebbe!...

Emma, con un sospiro, emise una sentenza suprema:

--Gli uomini sono tutti così!

Loredana alzò le spalle.

--Del resto,--disse,--è possibile che io viva a Venezia, moglie di
Adolfo Gianella e a due passi da Filippo? E che egli non mi cerchi, e
che io non cerchi lui? Noi ci amiamo sempre, tra di noi non è avvenuto
nulla, e l'una è pronta a sacrificarsi per l'altro.... In queste
condizioni, mi vedi moglie onesta e fedele di Adolfo?

--Hai ragione,--rispose Emma.--E che hai pensato dunque?

Mentre era per rispondere, Loredana scorse sulla mensoletta di legno
scolpito la piccola figura di biscuit, una pastorella settecentesca con
un canestro infilato sul braccio e un piccolo fiore nella destra che
offriva.

La giovane si alzò a prenderla e la fissò attentamente.

--«Ti ricordi,--susurrò la pastorella,--ti ricordi che cosa egli ti
diceva all'orecchio con la voce ardente, mentre tu mi guardavi come
oggi? «Vieni; vieni con me; noi potremo essere felici; io ti darò tutto
l'amore e tutta la vita». E tu hai preso tutto il suo amore, e oggi puoi
prendergli tutta la vita».

--No!--interruppe bruscamente Loredana.

Allentò il pugno, e la figuretta, cadendo a terra, si frantumò con sordo
rumore.

--Che fai, Lori?--esclamò Emma stupita.

Ma non ebbe tempo a ripetere la domanda.

Un clamore furibondo salì dal campiello; le femmine s'erano avvinghiate
e volavan pettini, schiaffi e ciabatte; si battevano per un maschio, il
quale stava a guardarle come giudice di campo, preparandosi a
intervenire quando gli fosse parso opportuno. Le finestre delle case
disposte intorno a rettangolo eran gremite di teste, e piovvero di là
scherzi atroci e incitamenti, fin che la più giovane virago ebbe la
peggio e si rovesciò in terra con un colpo sordo. Allora il giudice
intervenne: lasciò andare alla vincitrice un ceffone formidabile in
piena faccia, che le fece sprizzar dal naso uno zampillo di sangue.

--A casa!--ordinò.--Va a casa, senza voltarti indietro!

L'altra si mise a correre, urlando contumelie prodigiose, mentre la
vinta si rialzava, si ripuliva, raccoglieva lo scialle, cercava in terra
il suo pettine, e rideva, tutta accaldata, le fiamme negli occhi, i
capelli nerissimi diventati una selva di groviglie.

Dietro i vetri d'una finestra, Loredana aveva seguito le fasi dello
spettacolo immondo, e tra i curiosi, in un gruppo di scialletti che
spiccavano sul colore meno intenso dei pastrani maschili, vide Adolfo
Gianella il quale guardava in su, verso la casa.

--Me ne vado,--annunziò Loredana.--Addio, mamma; ho fretta!

Baciò sua madre, infilò la pelliccia, corse per le scale, fu in istrada.

Faceva freddo, nonostante il sole pallido, e soffiava la bora; la folla
s'era diradata, ma Loredana sentì che i passanti la guardavano, e
parendole che ciascuno sapesse la sua storia, temeva in ogni sguardo una
maraviglia oltraggiosa. Corse per raggiungere Adolfo Gianella, il quale
s'era avviato egli pure e la precedeva di poco.

--Adolfo!--chiamò, quando fu a un passo da lui.

Egli si volse; aveva le mani affondate nelle tasche del soprabito, il
bavero alzato fino alle orecchie. E vedendo che la squadrava da capo a
piedi, senza salutare, Loredana si sgomentò.

--Non mi aspettavi?--chiese dolcemente.

--No,--rispose Adolfo,--non ti aspettavo; non ti aspetto più!

La giovane non osò chiedere altro; ma Adolfo repentinamente s'infuriò,
l'afferrò per un braccio, la scosse.

--Per carità!--disse Loredana sbigottita, guardandosi intorno.--Sei
pazzo?

Egli si ravvide subito.

--Andiamo!--riprese.--Bisogna che io ti parli!

Camminarono presto, in silenzio, portando il peso della muta ironia
balenante negli occhi di quelli che li incontravano o si fermavano a
guardarli. Loredana non interrogò; andavano, chiusi nel loro pensiero
tempestoso, in preda a mille dubbii; salirono il ponte di ferro,
gettarono una occhiata al Canalazzo verdastro con chiazze gialle,
oltrepassarono l'Accademia, e ad un tratto Adolfo disse:

--Entriamo qui. Non ci sarà nessuno.




XIV.


Loredana alzò gli occhi a guardar la piccola trattoria, deserta perchè
gli artisti e gli impiegati che la frequentavano avevan da tempo finita
la loro colazione; e tuttavia, mettendovi piede, la giovane provò una
molestia indicibile, parendole ridicolo o sospetto quel colloquio, in
quel luogo, a quell'ora.

In un angolo, innanzi a una tavola nuda, un giovane ricciuto disegnava a
pastello nel suo albo; distratto dal fruscìo delle gonne e della seta,
drizzò la testa e quando Loredana fu seduta all'angolo opposto della
sala, in faccia ad Adolfo, il giovane voltò pagina, e gettando rapide
occhiate si provò a ritrarne la figurina elegante, strana sul fondo
tenebroso dell'osteria.

Un cameriere portò due tazze di birra, e si ritirò in una cameretta
attigua, dove lo aspettava una colazione molto in ritardo.

--Che vuoi dirmi?--interrogò Loredana.

--E tu,--domandò a sua volta Adolfo,--perchè mi hai chiamato?

--Non so; ti ho visto, ho voluto chiederti se sapevi.... che cosa
pensavi....

--Che cosa penso?--cominciò Adolfo rapidamente, a bassa voce.--Di questa
nuova storia? Hai la sfrontatezza di chiedermelo?... È inutile che tu mi
guardi con gli occhi sbarrati; so bene che non confesserai.... Il conte
ti ha trovata con un altro, e si è battuto in duello con lui.... Per la
politica, no, non si sono battuti!... È dunque per gelosia.... Ma che
gelosia! Quell'altro.... come si chiama?... il conte Candriani, veniva a
casa tua tutti i giorni, e tu andavi anche a teatro con lui.... Si
capisce che cosa è accaduto: un bel giorno siete stati sorpresi, ecco,
presi in trappola.... Ma sì, ma sì, non crollar la testa con tanta
furia!... Non mi sarei mai imaginato un orrore simile; sei una viziosa
senza pudore.... E mi domandi che cosa penso!... Mi maraviglio che tua
madre ti accolga ancora in casa sua.... L'amore per il conte si capiva;
dico, si poteva anche scusare; eri inesperta e lui una vecchia volpe....
Ma il Candriani, il secondo!... Due uomini: avevi due uomini, due
amanti! Come si spiega?

--Ora se la mangia!--pensò l'artista, che all'altro angolo seguitava a
disegnare e a sogguardare.

Egli capiva che il biondo era invelenito, e non poteva afferrarne una
parola. Gli occhi cerulei di Adolfo schizzavano lampi e da rosea la
faccia era divenuta pallida; pure, si conteneva, non alzava la voce,
dicendo a frasi tronche, alla rinfusa, tutto quel che gli passava pel
capo.... E Loredana ascoltava, la gola arsa, il cuore in tumulto per lo
spavento.

Non la calunnia la impietriva, ma lo stupore per quella calunnia così
lata, così precisa, così diffusa, così verosimile, che l'avvolgeva e la
teneva nelle sue spire inesorabilmente. Adolfo, l'innamorato fino alla
cecità, non aveva alcun dubbio, non sognava nemmeno che l'accusa potesse
essere tutta falsa.... Due uomini si battono per una donna; essa è
l'amante dei due che se la disputano a prezzo del loro sangue; ciò è
logico, epperò è vero; la verità non si discute.

--Forse per questo mi hai detto che ora vali più di due
milioni?--seguitò Adolfo.--Non ho capito, allora, ma sotto quella frase
doveva nascondersi qualche brutto segreto, e tu ne ridevi.... E così, si
sono battuti per te; sarai contenta!... Uno scandalo, uno scandalo!...
Io mi seppellirei vivo; tutti corrono a raccontarmene una; a casa non
posso aprir bocca; mia madre ti chiama con certi nomi, e se ti difendo
ridono di me.... Hanno sempre avuto ragione i miei cugini, dicendomi che
quando una ragazza si mette per una cattiva strada.... Insomma, io
scapperò, perchè non voglio più vederti.... Ed ero ancor pronto a
sposarti pochi giorni sono, perchè io, io solo ti credevo onesta, a
dispetto di tutto e di tutti; l'amore del conte, un fallo giovanile, si
scusava, si spiegava.... Ma ora; ora sei la favola di Venezia....

--Guarda che bel nasino e che bella bocca!--pensò l'artista, dando
un'occhiata a Loredana.--E il biondo me la rovina con quelle sue
prediche. È geloso, l'amico; lei gli ha giuocato un tiro; te ne
giuocherà degli altri, sta tranquillo.... È un tipetto capriccioso....

--Basta, basta!--interruppe Loredana sottovoce.--Ciò che ti hanno detto
è falso, dalla prima all'ultima parola.

--Già è falso,--rispose Adolfo dopo un attimo d'esitazione, perchè la
voce velata e lo sguardo smarrito della giovane l'avevano scosso.--È
falso; si sono battuti per la politica, non è vero?... Quello che ti
dico io, è quello che dicono tutti....

--E che importa? È falso!--ripetè Loredana.

Adolfo aveva un suo pensiero e non riusciva a esprimerlo; si fregò la
fronte, si passò la mano sul cranio, si guardò intorno senza vedere;
finalmente si provò a ribattere:

--Anche se è falso, importa poco, perchè quando tutti la pensano a un
modo, è come se fosse vero. Mi capisci? Se uno è accusato d'essere un
ladro, per andare a spasso con lui e per tenergli l'amicizia non basta
credere e anche sapere che è onesto; occorre un coraggio, che io non ho,
perchè gli altri credono ch'egli è un ladro e io non posso essere
l'amico d'un ladro.... Tu hai tutte le apparenze contro di te, e Venezia
intera parla di te come d'una ragazzaccia pericolosa; e che ci posso far
io?... Del resto, qualche cosa ci sarà, non può essere inventato
tutto.... Ma se anche non c'è nulla, proprio nulla di vero, io ho la
famiglia che mi rimprovera d'amarti e di seguirti, ho gli amici che
ridono, ho il direttore della Banca il quale non vuole che gli impiegati
frequentino donne cattive; e come faccio io a persuadere tutta questa
gente che tu non sei una donna cattiva, dopo uno scandalo di cui si
parla da tanti giorni e con tanti particolari in ogni angolo della
città?... Non sarà colpa tua, ammettiamolo, ma sei disonorata, ecco; e
le tue proteste si perdono nel fracasso, e oramai, qualunque buona e
bella cosa tu faccia, non ti potrà giovare....

Afferrò la tazza di birra, l'accostò alle labbra e non la rimise sul
piattello che quando l'ebbe vuotata.

--Ma allora,--disse Loredana con un brivido di terrore,--essere
innocente significa nulla?

--Significa...., significa.... So io che cosa significa?--rispose
Adolfo, il quale non s'accorgeva della sua crudeltà, sbalordito egli
stesso per la bontà delle facili argomentazioni.--Ciò che importa nel
mondo, è di essere creduto, a torto od a ragione; anche i miracoli non
servono, se nessuno vi crede.... E nessuno crede alla tua onestà....
Sarebbe meglio per te essere disonesta, veramente disonesta, e che tutti
lodassero la tua virtù....

Un bel fondo color d'ocra, robustamente tracciato alla brava, incorniciò
nell'albo la testolina della giovane dai capelli a riflessi dorati;
effetto di chiaroscuri che l'artista confrontò con l'originale, movendo
il capo a destra e a sinistra, e tenendo a distanza il disegno.

--Se quell'idiota non finisce di tormentarla,--borbottò a fior di
labbra,--a lui gli faccio la caricatura!

Ma Adolfo non la finiva, esaltato dalla voluttà di torturare quella
ch'era stata sempre in suo confronto vittoriosa, assillato dal bisogno
di calpestare e di distruggere il suo amore, cupamente soddisfatto di
veder la fidanzata d'un giorno ridotta senza difesa, ebbro di ferocia
contro di lei e contro se stesso....

--E poi, perchè discutere la tua innocenza? Io non ci credo, via!... È
possibile che tutta una città si rivolti, così per capriccio, contro una
donna, una ragazza?... Mi dirai che guadagno ci fanno quelli che parlan
male di te!... Perchè non parlan male di tante altre?... Io, vedi,
quando mi avvertono che bisogna diffidare dei pettegolezzi, mi metto a
ridere; i pettegolezzi si fanno contro quelli che se li meritano; di me
non si è mai detto nulla, per esempio?... Sarà meglio non parlare della
tua innocenza, la quale, del resto, se anche fosse, non varrebbe una
saetta, ormai.... Che cosa hai opposto alle accuse determinate e
precise? Che tutto è falso! Ma questo me l'aspettavo; non verrai mica a
raccontarmi i tuoi amori, a me, che ti ho amata davvero, onestamente....
E avevi tanta paura del mio giudizio, che mi hai fermato per istrada e
mi hai chiesto se sapevo.... Ecco un'altra prova.... E poi, devo
aggiungere....

Loredana si alzò lentamente.

--Ti ringrazio,--interruppe con voce malsicura.--Mi hai detto cose molto
utili....

Fece per avviarsi, e barcollò....

--Non ti muovere,--soggiunse, appoggiandosi a un angolo della
tavola.--Voglio uscire sola....

Dopo alcuni passi incerti, mentre Adolfo la guardava con occhio spento,
Loredana riacquistò forza, mosse francamente, passò vicino all'artista,
il quale rimirando il pastello e la giovane, sentì d'amarli ambedue....
Adolfo rimase immobile accasciato sulla sua panca; d'un tratto, il
rimorso gl'invadeva l'animo, lasciandolo con la bocca aperta, in
un'espressione di smarrimento ebete.

Venne voglia a Loredana di strappar dalle mani del disegnatore l'albo in
cui sapeva d'essere stata ritratta, e di batterglielo in faccia. Dovette
chiudere gli occhi per vincersi.

Uscì, tra la nebbia; la nebbia era calata repentinamente, con un lieve
odor di bruciato, rotta qua e là dall'alone rossastro delle fiamme a
gas.

E la giovane si rimise in cammino verso le Zattere, verso Flopi, che
parevan le une e l'altro perduti in quella infinita distesa, densa e
acre.

--Che cosa gli porto?--si domandò Loredana.

Gli portava il suo corpo, che la folla diceva mantrugiato da altri, e il
disonore.

Certo egli s'illudeva, Filippo; non gli avevano cantato in faccia tutte
le accuse e ignorava in qual dispregio fosse tenuta la sua amante; ella
gli portava in casa il ridicolo come un fluido avvelenato. Le parole
d'Adolfo Gianella eran l'eco di quella saggezza che si trova per terra,
fra gli sputi e le carte unte, e si chiama pubblica opinione. Egli
diceva bene: non importa essere, ma parere; quando una calunnia è
ripetuta da tutti, vale una verità: il male è quel che si vede, non
quello che si commette. Aforismi che uccidono; bestialità caparbia;
tirannia inappellabile della maggioranza.... Ma la vita procede su
questo carro della morte, e ogni giorno qualcuno cade sotto le sue ruote
per un gesto sbagliato.

Loredana arrossiva di se stessa; abbeveratasi lunghe ore al torrente di
fango, le pareva d'averne la bocca piena, il corpo inzaccherato, le mani
màcere. Come lasciarsi abbracciare e baciare da Filippo, che avrebbe
notato sul volto di lei le tracce delle sofferenze patite, un solco
nella fronte, un livido sotto gli occhi? Baciarsi ed amarsi tra i ghigni
della platea? Tremare agli sguardi sardonici? Vivere a fianco d'un uomo
che, se non si staccava presto e decisamente da lei, diventava ridicolo?

La folla s'era gettata sul suo amore e l'aveva fatto a pezzi.

Protezione sicura e forte, confidenze gentili e fuggenti attimi di
letizia, tenerezze segrete e impetuosi scoppii di passione, lunghi oblii
d'ogni cosa mortale, viaggi sognati, casetta delle Zattere, bel sole di
Sirmione, tutto affogato nella nebbia per sempre!

Voleva correre a casa e dire a Filippo:

--Tu m'hai avuta ancora bambina, e pel tuo amore tu m'hai fatta donna.
Prendimi; amami un'ultima volta; spegni fra le braccia questa vita che è
tua, e non lasciar che altri uccida lentamente, per odio, colei che vuol
morire per te.

E palpitava alla speranza di morire veramente in uno spasimo di voluttà
che fermasse in eterno i battiti del suo cuore; delicata parvenza
femminile, che camminava tra la nebbia, sorridendo all'ultimo sogno.

V'era nebbia dovunque, nebbia senza forma e senza fine, dentro la quale
gli uomini, a guisa di fantasmi, scivolavano e si dissolvevano; nebbia
che mozzava il respiro, copriva l'insidia, guidava all'abisso. E un
silenzio tragico pesava, grave come lo sterminato drappo di bambagia da
cui Venezia era tutta avvolta.

Loredana giunse a casa, affranta, coi capelli e il veletto bagnati dalla
caligine.

Domandò subito di Filippo.

Clarice le disse che il conte, un'ora prima, era accorso a palazzo Vagli
perchè la contessa Bianca stava male.

E non osando aggiungere particolari, la signora Teobaldi mormorò con
enfasi:

--E un «tradimento proditorio» del destino!




XV.


In quel crocchio di gentiluomini vecchi e giovani che s'eran recati da
Berto Candriani a chiacchierare, a bere, a giuocare, abitudine presa
durante i primi giorni dopo il duello e seguitata poi per tacito
consenso di tutti, il conte Nino d'Este parlava di donne.

Egli stava quasi sdraiato in una larga poltrona di cuoio scuro e
morbido, le lunghe gambe distese sotto la tavola, su cui disseminati
piccoli bicchieri, svelte fiale di liquore, scatole di sigari e di
sigarette, portaceneri di bronzo e d'argento. Nel mezzo era un tripode
alto, che avrebbe dovuto vaporare essenze e che Berto invece aveva
coronato con una larga ciotola di Murano dal bel colore turchino, dalla
quale traboccavan fiori pallidamente rosei.

Nuvole e nuvolette di fumo ondulavan nell'aria, dandole una lieve
trasparenza azzurrognola entro la quale come velati apparivano i volti
degli amici.

--Ho visto ieri il capitano De Sirti con una brutta signora,--disse Nino
d'Este.--Ma brutta assai....

--«Faute de grives»,--osservò Paolino Berlendi.--Mancanza, di tordi; e
quando non ci sono i tordi, si pigliano i passeri....

Egli era tornato recentemente da Parigi e non aveva ancora smessa
l'abitudine d'intercalar frasi galliche al suo discorso. Asciutto di
forme, col mento breve, i mustacchi biondi, i capelli scuri, il colorito
acceso, Paolino Berlendi dava impressione d'un giovane energico e
attivo; possedeva infatti un'anima risoluta, ma stava sfogando
l'esuberanza giovanile in occupazioni tutte intime, alla caccia di
donne; più tardi, secondo ciò che andava raccontando, si sarebbe dato
all'agricoltura.

--È un'americana,--egli aggiunse.

--La conosci?--domandò Nino d'Este.

--No; ma l'ho veduta, e ho capito che è americana.

Nino d'Este non potè frenare una risata.

--Non c'è da ridere,--osservò Paolino Berlendi.--L'occhio d'un
conoscitore non s'inganna; a occhio, si possono giudicar benissimo la
razza e la nazionalità d'una donna, e fra tutte, le americane son più
facili a riconoscersi.

--Ma fammi il favore!--esclamò Nino.--Ci son delle americane piccole,
rotondette, coi capelli neri e gli occhi brucianti, che tu diresti nate
ai piedi del Vesuvio.... Ve ne sono altre, secche, rigide, biondastre,
che possono essere inglesi, russe, norvegesi, tedesche.... A occhio,
giudicherai dell'eleganza e della bellezza d'una donna, e non della sua
nazionalità.

--Storie, storie!--dichiarò Paolino Berlendi.--Piccolette e rotondette,
o rigide e secche, le americane si vedono a un chilometro di distanza;
hanno qualche cosa di speciale nella toilette, nel passo,
nell'atteggiamento, nei modi, nei gesti, che non ti inganna mai. Dico
bene? «Ça te botte»?

--No, nient'affatto, non mi calza niente affatto!--esclamò Nino d'Este.

--L'americana è una donna come le altre,--intervenne Carlo
Martellieri.--Tutt'al più potrai capire a occhio che non è italiana; ma
questo suggello di esoticità è comune alle straniere, ossia la donna
italiana si stacca dalle altre così bene che non è possibile scambiarla
per una straniera.

--«Tu parles»!--disse Paolino.--Ma, caro Martellieri, con le tue parole
vieni a darmi ragione; per te, è l'italiana che si può distinguere con
un'occhiata; per me è l'americana. Vedi che sul principio siamo
d'accordo.

--Sfido io! L'italiana è roba di casa, roba nostra,--interruppe il
Martellieri.--Come non riconoscerla tra mille? L'affare è ben diverso
allorchè si tratta d'un'americana; e innanzi tutto, di quale americana
tu mi parli? Dell'americana del nord o dell'americana del sud?

Paolino Berlendi, che non s'aspettava una distinzione etnografica, si
sentì impacciato a rispondere; e il Martellieri, giovane e pedante, con
la voce acuta che gli fischiava tra le labbra, approfittò di
quell'attimo di silenzio per incalzar più da vicino l'avversario:

--Dirò meglio: intendi parlare dell'americana del nord, del centro, o
del sud? Quale americana tu riconosci a occhio? Quella nata in
Patagonia, nel Cile, nell'isola di Haiti, nel Guatemala, nell'Argentina,
a Filadelfia, a Baltimora, ad Avana, a Buenos-Aires, a Lima, a Quito, a
Cuba? Quella che vive al Capo Horn, o quella che è nata ai piedi delle
Cordigliere o presso il mare dei Caraibi?

Paolino Berlendi stava ad ascoltare a bocca aperta, sbalordito; intorno
a lui altri giovani si erano radunati e ascoltavan pure, sorridendo con
la sigaretta tra le labbra.

--Come si vede che ha viaggiato!--mormorò qualcuno ironicamente.

--Quella,--continuò il Martellieri quasi recitasse una lezione,--quella
che la Terra del Fuoco ha visto nascere, o quella che passeggia lungo
le rive dell'Orenoco, o quella che va a caccia sulle Montagne Rocciose?
Quale americana, insomma? L'America si stende per circa quindici mila
chilometri tra l'Oceano Atlantico ed il Pacifico....

Paolino Berlendi si alzò di scatto, e calò un pugno sulla tavola....

--Quella, quella, quella!--interruppe.--«Tu ne me fais pas crême, va»!
Mi par di essere a scuola! Per americana, io intendo quella che si vede
in Piazza San Marco, nelle sere di concerto!

Una risata clamorosa accolse la dichiarazione di Paolino Berlendi, il
quale, senza badarvi, continuò:

--Certo, non nego che ci possano essere delle donne in Patagonia, ma non
vengono a Venezia! E che c'entra l'Orenoco e che c'entra il mare dei
Caraibi?...

Alcuni giovanotti alle spalle di Paolino approvarono ridendo.

--La colpa è della tua inesattezza!--rispose il Martellieri.--Tu hai
detto che puoi riconoscere a occhio un'americana; e io ti ho detto che
anche le donne della Patagonia sono americane. Le riconosceresti a
occhio?

Il Berlendi si strinse nelle spalle.

--Allora,--egli disse,--anche tu sei stato inesatto. Tu hai detto che
un'italiana si riconosce tra mille: io ti dirò che a Parigi, proprio il
mese scorso, ho incontrato una ragazza che parlava il gergo come tu
parli il dialetto veneziano. Ho avuto per lei «un béguin assez
sérieux»; anzi, ho imparato da lei molte frasi energiche....

--Ce ne siamo accorti!--interruppe Nino d'Este.

--Ebbene, quando io la lasciai, ella mi confessò che era nata a Napoli,
era sempre vissuta, a Napoli e solo da un anno si trovava a Parigi!...
L'avresti riconosciuta per italiana, tu?

--Alla prima occhiata!--dichiarò il Martellieri.

--«Non, mais, faudrait pas me mener en bateau, tu sais»?--disse il
Berlendi, mentre gli altri ridevano alla bizzarra espressione.

--Questa è una frase energica della parigina di Napoli,--osservò Nino
d'Este, versandosi due dita di cognac.--E rimane dunque dimostrato che
l'americana non si riconosce a occhio....

--Non rimane dimostrato niente, caro mio!--protestò Paolino Berlendi.--È
venuto il Martellieri a imbrogliarmi con l'Orenoco e il Mississipì; ma
io ripeto che l'americana elegante, non quella della Patagonia, si
riconosce a un chilometro di distanza. «Si vous rigolez» è un conto, ma
se parliamo da senno è un altro....

Freddo, scuro in faccia, laconico nelle parole, Berto Candriani
all'angolo opposto della sala giuocava alle carte con altri amici; dal
loro gruppo non venivano risate nè schiamazzi; ciascuno badava alle
mosse dell'avversario, e le poste raggiungevano ormai una cifra di
rilievo.

Berto Candriani aveva il viso traversato dalla cicatrice lucida e
ardente come da un formidabile colpo di scudiscio; il segno indelebile
fiammeggiava dall'orecchia al labbro nel pallore stanco del viso, un
pallore che sembrava più manifesto perchè dietro il Candriani si
stendeva la stoffa granata che ricopriva le pareti della sala: e poco
più su, era appeso un gran quadro rappresentante il ratto delle Sabine;
e quei nudi vivaci, le carni ambrate delle donne, i torsi poderosi e
sanguigni dei guerrieri, creavano un rude contrasto con la figura agile
e la pallidezza diffusa del Candriani.

Dal giorno del duello, qualche mutazione era seguita nel suo animo; egli
s'era fatto cupo e inquieto, il suo sguardo pungente era diventato più
acuto, la chiassosa allegria, la sventatezza e l'impertinenza che
l'avevan fatto celebre, erano scomparse. Si sarebbe detto che un
pensiero molesto e pertinace andasse rodendolo; e infatti non tanto gli
importava della cicatrice che gli deturpava la faccia quanto di aver
perduta Loredana per la sua incredibile fatuità.

S'era svegliato come da un sogno, dopo il duello, avvertendo quasi con
paura che per la giovane gli si era annidato in cuore un sentimento
assai più alto e più temibile che la concupiscenza; non avrebbe voluto
confessarlo nemmeno a se stesso, ma l'ingenuità mista ad orgoglio,
l'appassionatezza e insieme il riserbo, l'intelligenza e l'audacia che
formavano l'indole originale di Loredana l'avevano interessato e vinto.

Non ignorava quel che si andava cantando dappertutto, ch'egli era stato
l'amante della giovane e che perciò Filippo l'aveva provocato; e anche
questo gli cuoceva insoffribilmente, non potendo parlarne troppo,
perchè le sue negazioni non avevano alcun valore, e non potendo tacere,
perchè il silenzio sarebbe stato una conferma. In tal modo, dentro un
cerchio di tortura si dibatteva incapace a prendere una risoluzione; ora
pensando a un viaggio, che lo allontanasse da uomini e da cose venutigli
in uggia, ora meditando di rimanere, di riavvicinare Loredana,
d'impossessarsene davvero a qualunque costo.

--Giuoca, giuoca!--gli disse il marchese di Spinea, guardando in faccia.

Berto giuocò: era distratto e andava con la sinistra arricciandosi i
baffi; di tanto in tanto gli tornava il ricordo di Loredana, che gli
faceva subito smarrire il filo del giuoco; anche questa volta la partita
finì con la sua sconfitta.

--Ah, ah!--disse il marchese di Spinea, mescolando le carte.--Chi è
fortunato in amore....

Ma si morse le labbra; la vecchia frase, sfuggitagli per abitudine,
s'attagliava così bene al caso di Berto e alle dicerie di quei giorni,
che lo Spinea tossì più volte, quasi volesse far dimenticare le sue
parole. Il volto di Berto s'era rabbuiato. Egli riprese a giuocare
scuotendo la testa fastidiosamente, ma ancora non potè raccogliere
intorno al giuoco tutta l'attenzione che gli era necessaria.

Dal crocchio nel quale si trovavano Nino d'Este, il Martellieri, Paolino
Berlendi e altri giovanotti, gli veniva di tratto in tratto all'orecchio
qualche frase che lo distraeva. Gli amici parlavano a voce bassa, ma non
così che Berto, avvertito dal ripetersi di alcuni nomi, non potesse
afferrare il senso di ciò che si diceva intorno a lui.

La conversazione era mutata; Paolino aveva rinunziato a dimostrare che
le americane si possono distinguere a occhio, il Martellieri aveva
finito la sua disquisizione etnografica; si parlava di pettegolezzi, del
solito pettegolezzo che occupava tuttavia la città.

--Filippo, secondo me,--diceva Paolino Berlendi,--ha avuto il torto dei
vecchi, il torto di mescolare molto sentimento alla sua avventura.
Questa famosa Loredana lo ha stregato; dicono che sia molto giovane, ma
dev'essere esperta negli intrighi amorosi.

--Che, che!--esclamò Nino d'Este, il quale non andava mai d'accordo con
Paolino, pure essendogli amico.--Ha trovato un cucco, mi dispiace dirlo;
e al posto di lei, qualunque altra, giovane o vecchia, avrebbe insaccato
il povero Flopi.... Le donne sono ciò che l'uomo le fa. Ti piace,
Paolino, questa massima?

Paolino scosse la testa.

--Non mi piace,--rispose.--Io vorrei vedere questa famosa Loredana, per
poter giudicare.

--Io l'ho vista,--annunziò il Martellieri.--L'ho vista più volte a
teatro, con una certa megera tinta e ritinta, che mi pareva quella che
si brucia a mezza quaresima. Ebbene, la ragazza non vale nè più nè meno
di tante altre; è giovanissima e graziosa, ma a Venezia ne abbiamo una a
ogni svolta di strada.

--Che ne dici, Paolino?--esclamò Nino d'Este trionfalmente.

--Dico che il Martellieri di donne non se ne intende,--dichiarò il
Berlendi.--Egli non si intende che delle donne della Patagonia....
Vorrei vederla io.... E tu poi, Nino, sei in queste cose troppo
secco....

--Troppo secco!--ripetè Nino d'Este.--Che cosa vuoi dire?

Paolino Berlendi esitò un istante, guardandosi intorno; ma vedendo tutte
facce amiche e familiari, seguitò:

--«Ben voilà! Y a pas de ma faute»!... Certe cose si possono dire perchè
son vecchie.... Per impadronirti d'una ragazza, non hai tu comprato il
fondo sul quale la ragazza viveva? E poi per liberartene, non hai
venduto il fondo con la ragazza dentro?

Gli amici in giro scoppiarono in una risata fragorosa, che fece alzar la
testa a Berto Candriani. Egli aveva commesso parecchi spropositi e aveva
nuovamente perduto; gettò le carte sul tavoliere, dicendo ai compagni:

--Vi chiedo scusa; oggi non va. Troveremo qualcuno che possa
sostituirmi.

--No, no,--interruppe il marchese di Spinea.--Anche noi siamo stanchi,
non è vero?

Gli altri due confermarono con un cenno del capo, e i giuocatori
s'alzarono.

--Questo è un po' secco,--dichiarava intanto Paolino Berlendi.--«C'est
du citron à la rigolade». Io sono del tuo parere: non troppo
sentimentalismo con la donna; ma dal sentimentalismo di Flopi alla tua
maniera spiccia, v'è un abisso. Dico bene? «Ça te botte»?

Nino d'Este non rispose; si allungò meglio nella poltrona soffice,
epicureamente, e rinunziò a difendersi; ma Berto Candriani, che era
sopraggiunto, rispose per lui.

--Tu hai torto, Paolino,--egli disse.--Questa maniera secca di Nino
d'Este, questo, come tu dici, «citron à la rigolade», è ciò che occorre
per le donne.

Da quando eran corse le voci dei suoi amori con Loredana, Berto
ostentava uno scetticismo che doveva, nel suo concetto, far comprendere
com'egli non si dilettasse che di avventure fugaci e volgari, e
allontanare il dubbio d'una passione per la giovane compagna di Filippo.
Gli amici, i quali non avevano mai udito dalla sua bocca dichiarazioni e
aforismi di tal natura, lo ascoltavano sempre un po' incerti e sorpresi,
temendo ch'egli si beffasse di loro.

Ma Berto proseguì imperterrito, la sigaretta tra l'indice e il medio
della destra, la sinistra affondata nella tasca della giacca:

--Non solo il sentimentalismo è ridicolo, ma è ridicolo anche il
sentimento per questa specie d'animale incomprensibile....

--....«cette espèce de cruche»,--abbellì Paolino.

--....che è la donna,--concluse Berto Candriani.--Per conto mio, senza
essere un conquistatore come te, Paolino, nè un dominatore come Nino
d'Este, ho sempre cercato donne che si potessero mettere alla porta
entro le ventiquattr'ore, e non ho avuto il minimo sentimento per
alcuna, mai, in tutta la mia vita....

La dichiarazione era troppo netta ed esplicita, perchè gli amici intorno
non ne afferrassero il significato; ma Paolino strizzò l'occhio, e disse
ridendo:

--Come parla bene!... Io, intanto, ho trovato il Martellieri che mi ha
dato torto sulla questione delle americane; trovo Berto che mi dà torto
sulla questione del sentimento. Se continua così, rinunzio alla
parola!...

--Ma no; tu non hai torto,--interruppe Berto.--Se ti ho dato torto, mi
sono spiegato male. Io voleva dire....

Alzando gli occhi in quel punto, vide che un servo era sopraggiunto e
dal suo contegno capì che aspettava di potergli parlare.

--Io voleva dire che dei due modi, il modo secco e il modo
sentimentale,--proseguì rapidamente,--preferisco il primo, lo trovo più
logico, più giusto, o almeno più adatto alla nostra indole. A te,
Paolino, non mancano argomentazioni per difendere il tuo pensiero;
specialmente se parli francese!

E mentre gli altri ridevano e la discussione si faceva più vivace, egli
si avvicinò al servo e gli chiese:

--Che cosa c'è?

--Una signora desidera parlarle,--rispose il servo a bassa voce.

--Non ricevo!--disse Berto recisamente.

Ma quando il servo era già per allontanarsi, egli lo richiamò, senza ben
comprendere a quale dubbio rispondesse.

--La signora è qui?--riprese.

--Sì, Eccellenza....

--Non sarà una delle solite mendicanti?

--Non mi pare.

--Che tipo è?

--E giovanissima, molto elegante, e....

--E...?--incalzò Berto.

Il servo esitò.

--E mi pare molto spaventata,--disse infine.

--Che stupidaggini ti passano pel capo?--esclamò Berto.--La farai
accomodare nel salotto grigio, e le dirai che abbia la bontà di
attendere un istante.

--Sì, Eccellenza.

Berto ritornò verso i suoi amici.

--Vi chiedo scusa se vi lascio,--egli disse.--Mi è stata annunziata una
visita d'affari; rimanete qui, ve ne prego.

Nino d'Este s'alzò finalmente dalla poltrona.

--No, no, caro,--egli rispose.--In casa tua si sta troppo bene, e noi
abbiamo fatto tardi. Ce ne andiamo.

Berto Candriani strinse la mano agli amici, e mentre questi, ancora
discutendo e ridendo, uscivano in tumulto, egli si avviò verso il
salotto grigio.




XVI.


Ritta sulla soglia, appoggiato il braccio sinistro allo stipite e il
viso al braccio, Loredana aspettava, tremando. Aveva avvertito un clamor
di voci e di risate, poi un silenzio improvviso; guardava il salotto
grigio, brillantemente illuminato dalle lampadine elettriche, e le
pareva che i divani, le poltrone, le portiere molli, i cortinaggi
pesanti, e una certa atmosfera tepida e profumata dessero al luogo un
senso d'intimità quasi carnale.

Alla sua destra ella vide un piccolo quadro di Félicien Rops, un quadro
strano intitolato: «Le vol et la prostitution dominent le monde»; una
femmina seminuda e un uomo a mezza maschera, stretti insieme da una
fascia, posavano i piedi caprigni sul globo; ed era nel viso dell'una
l'artiglio della crapula e sotto la mezza maschera dell'altro si
delineava il ghigno cinico del delitto....

A poco a poco, fissando la terribile femmina, Loredana ne sentì paura;
le sembrò un simbolo e un monito, e che ridesse di lei, e si movesse a
lei incontro, quasi per serrarla tra le braccia.... Si volse per
fuggire; ma in quell'istante la portiera che le stava di faccia fu
sollevata, e Berto Candriani comparve.

Egli si lasciò sfuggire un grido.

Loredana sentì che la sua personalità l'abbandonava; aveva tanto pensato
a quell'ora, a quel colloquio, che le parve di agire e di parlare come
un automa, come se qualcuno alle sue spalle suggerisse parole e gesti;
pensò alla femmina dai piedi caprigni, e le corse un fremito dalla nuca
alle reni.

Pure, mosse ella per prima, verso Berto, e gli disse con voce soffocata:

--Chi c'è di là?

--Nessuno,--rispose Berto, parlando istintivamente sottovoce.--Erano
amici; sono partiti. Ma come devo interpretare questa vostra visita? Che
cosa devo pensare?

Ella chiuse gli occhi e mormorò:

--Come vorrete....

Berto la vide subito impallidire spaventosamente; avvicinatale una
poltrona, la fece sedere, le si mise a ginocchi innanzi, e Loredana
rimase un istante così, bianca in volto, gli occhi chiusi, mentre Berto
andava baciandole le mani guantate. Poi ella s'accorse che lievemente,
lievemente, con perizia consumata, le toglieva il cappello e il veletto,
e di nuovo inginocchiandosi le posava le labbra sulle mani.

Riaprì gli occhi, e guardandolo ai suoi piedi, notò la cicatrice lucida
e ardente che gli traversava la faccia come un formidabile colpo di
scudiscio.

--Sono da lei,--disse.--Sono fuggita. Ho abbandonato Filippo. Lo amo
ancora, lo amo sempre, non amo che lui; ma sua madre muore, e io devo
fuggirlo.... Sono venuta a ricoverarmi da lei.... Che caldo è in questa
camera; mi sento soffocare!

Senza levarsi in piedi, slacciò la pelliccia e la lasciò cadere intorno,
cosicchè parve che il busto snello sbucasse da quel nido candido e
morbido maculato di nero. Guardandosi in giro, ella si vide in uno
specchio; non aveva più il cappello, non più la pelliccia; era svestita,
quasi fosse tornata nella propria casa; e quell'uomo le stava ai piedi,
muto, umile, e già padrone di lei....

Lo spettacolo la rivelò a sè medesima. Si drizzò di scatto, esclamando:

--No; che cosa faccio? Sono pazza....

Anche Berto s'era alzato, e mettendosele innanzi, le disse prestamente:

--Non fugga: è in casa d'un gentiluomo. Si calmi. Ho bisogno di sapere e
di parlarle. Se vorrà partire di qui, io non la tratterrò.... Mi dia
l'amara soddisfazione di chiederle perdono. Ho scontato il mio errore.
Sono stato veramente colpevole, ma sono parso più colpevole ai suoi
occhi, perchè lei ha creduto a un capriccio, mentre io l'ho amata e
l'amo con profondo sentimento.... Non fugga, la scongiuro....

Loredana tornò a sedere, raccogliendosi intorno la pelliccia bianca.

Non appena Berto la vide così, calma e attonita, uscì dal salotto e
ritornò precipitosamente, tenendo in mano una bottiglia e nell'altra una
coppa. Nè egli nè la giovane avvertirono il ridicolo di quella corsa;
Berto spinse innanzi a Loredana una piccola tavola sostenuta da quattro
svelti grifi, e versando, posò la coppa vicino alla sua ospite.

--Bevete,--disse,--ve ne prego: vi darà forza.

Loredana aveva visto che il liquido gorgogliante era sciampagna; ella
fece un gesto per rifiutare, e rispose:

--No, non è possibile; mi farebbe male.

Il Candriani non l'ascoltava; ebbro di gioia, potendola guardare con
l'intensità di un desiderio non più rattenuto, la guardava tutta,
bramosamente, dalla testa ai piccoli piedi, la cui punta sbucava dal
lembo estremo della gonna.

--Io vi farò dimenticare Filippo,--egli disse a un tratto.--Voi non
l'amerete più; io sono libero e solo, posso dedicarvi intera la mia
vita.... Amatelo oggi ancora, non importa; è giusto che lo amiate; dovrò
io cancellare la sua imagine dal vostro cuore.

E di repente proruppe:

--Sono felice; sono felice di vedervi presso di me; vi siete ricordata
che vi ho offerta la mia amicizia in un caso estremo, e questo mi
consola di molti dolori.... Ah vi assicuro, Loredana, che non sono più
lo sventato che avete conosciuto un giorno! Vi amo teneramente e spero
di potervi rassicurare....

Ella troncò le sue parole con un gesto.

--No,--rispose.--Non vi amerò mai.

Si guardò intorno, e vedendo la coppa, la portò alle labbra che sentiva
arse da un'interna febbre.

--Ascoltatemi,--proseguì imperiosamente.--Sono qui, non perchè vi ami,
non perchè io creda alla vostra amicizia, ma perchè voglio e devo
perdermi.

--Loredana, Loredana, per carità!--interruppe Berto.

--Devo perdermi. Egli sta per commettere un delitto. Sua madre ammalata
gli ha chiesto di abbandonarmi, ed egli ha rifiutato.... No, io non
posso accettare questo sacrificio; è una cosa orrenda; io devo lasciarlo
e in maniera ch'egli non mi cerchi più, non mi desideri più.... Non
voglio far male a sua madre, che per me ha già tanto sofferto.... Se
morisse, ah se morisse, quale rimorso, quale vergogna!... E un giorno
egli si sveglierebbe da questa follia; e tra me e lui, sempre, sempre,
io vedrei il cadavere di sua madre.... Bisogna che io gli impedisca di
disonorarsi!

Berto, ritto in piedi, ascoltava con un senso di maraviglia la giovane,
che parlava velocemente agitata da violento orgasmo; alla prima
pallidezza era subentrato un rossore febbrile che le imporporava le
guance, le faceva brillare intensamente gli occhi, le invermigliava le
labbra dando loro un color di vivo sangue.

Tanto gli piacque così stesa nella poltrona e affondata nella candida
pelliccia, che Berto si chinò ancora a baciarle le mani. Loredana lo
respinse.

--Io voleva uccidermi,--proseguì,--ma sarebbe stato un nuovo scandalo;
avrebbero forse accusato Filippo della mia morte.... Ah come sono
maligni tutti!... Mi è stato detto in faccia che io sono la vostra
amante, che la mia onestà non vale nulla perchè nessuno mi crede, che un
uomo è ladro quando tutti lo dicono ladro.... Quante cose ho imparato,
spaventevoli! E allora ho pensato che avevano ragione. Il solo che non
dubitava di me era Filippo; egli crede al mio amore e alla mia onestà,
di cui tutti ridono; e bisogna dunque ch'egli pure non creda più, perchè
si salvi.... Ho pensato che poichè mi dicono vostra amante, ogni sforzo
è inutile, e io non potrò più liberarmi da questa accusa....

--Non parlare così,--interruppe Berto.--Ti fa troppo male....

Ella lo fissò con gli occhi sbarrati; quel «tu» le parve più brutale
d'un bacio che le avesse chiuso improvvisamente la bocca; ma Berto se ne
avvide, e soggiunse:

--Vi chiedo scusa; non volevo offendervi. Vi amo, e non ho saputo
dominarmi.

--No,--disse Loredana, alzandosi,--mi lasci andare!

Berto osò stendere una mano su di lei.

--Ve ne prego,--mormorò,--rimanete ancora.....

Loredana rabbrividì; raccolta la pelliccia, cercò degli occhi il
cappello. Ma mentre stava per riprenderlo, si arrestò quasi folgorata da
un pensiero.

Dove andava? A casa, sua? Filippo l'avrebbe ripresa. A casa di Filippo?
La madre di lui ne sarebbe morta. E Filippo a quell'ora doveva aver già
letto le poche righe che Loredana gli aveva lasciato: «Non ti
dimenticherò mai; ti amerò sempre; quanto più ti parrò lontana, tanto
più sarò tua....» E dopo questo, ella sarebbe tornata da lui, a capo
basso, a guisa d'una scolaretta pentita, e sempre troppo tardi per
essere perdonata?

Vide ancora quella maledetta femmina dai piedi caprigni, seminuda, che
col braccio destro levato sembrava imporle di fermarsi. Si volse, e
all'altro lato vide Berto, il quale non osava muoversi per trattenerla,
non osava parlare per non impaurirla, e andava guardandola, per
indovinar dal gesto di lei la risoluzione che avrebbe presa.

Ella tornò alla sua poltrona, vi si lasciò cadere, non disse parola.

Seguì in tal modo un silenzio angoscioso di alcuni minuti, durante i
quali Loredana e Berto si fissarono acutamente, immobili, quasi
scrutandosi; ma Berto non potè resistere più a lungo, le si avvicinò di
nuovo, le afferrò le mani.

--Resta!--disse con voce velata dalla passione.--Resta! Te ne scongiuro!
So che non mi ami, e ciò non mi spaventa....

Egli cercava di toglierle un guanto; ella se ne avvide, e lo sbottonò
con un rapido gesto, offrendogli la mano e il polso nudi da baciare; ma
quando sentì quelle labbra avide sulle carni, volse il capo quasi con
ribrezzo.

--No!--disse.--Aspettate!

Afferrò la coppa e la vuotò avidamente, poi la tese di nuovo a Berto
perchè versasse ancora, e di nuovo bevve; ma scorgendosi nello specchio,
gettò la coppa vuota a terra, dove s'infranse.

--Che cosa volete fare di me?--disse poi.

--Tutto quello che tu mi comanderai,--rispose Berto.--Io sono libero;
posso partire oggi stesso, stanotte, domani, quando tu me lo chieda.

--Sì,--dichiarò Loredana.--Partiremo subito. Andremo a Roma.

Ella diede in una risata così cruda e sardonica, che Berto la guardò
impaurito.

--A Roma,--ripetè Loredana.--Dovevo andarvi con Flopi; andrò con voi.
Non è lo stesso? Non sono la vostra amante? Non hanno voluto che io
fossi la vostra amante? Un uomo o un altro, poco importa.... Perchè non
andiamo anche a Sirmione?... Io voglio calpestare tutto il mio passato,
io voglio distruggere ogni ricordo, io voglio che non rimanga più nulla,
più nulla di ciò che mi è stato tanto caro, e che mi farebbe
arrossire!... Ah, voi non sapete l'orrore che io sento per la vita!...
Voi non pensate che a impossessarvi di me; lo vedo nei vostri occhi, e
non capite che io non sono più viva, non capite che io vi odio, e più vi
avvicinate a me e più vi odio!...

Berto non rispose, ma la sua mano che teneva la mano della giovane,
allentò la stretta; egli si ritrasse, percosso dalla veemenza selvaggia
di quelle parole.

--Perchè mi volete?--seguitò Loredana, lanciandogli uno sguardo di
sprezzo.--Io amo Filippo, e mi sacrifico per lui. Non è chiaro? Non è
chiaro che io voglio perdermi per salvare lui? Non ve l'ho detto già! E
ho scelto proprio voi, perchè egli mi disprezzi tanto che non mi cerchi
più!... E voi vi prestate a questo giuoco?... Se io acconsentissi a
diventar la vostra amante, sarebbe quello il momento in cui amerei di
più Filippo, perchè sarebbe quello il sacrificio più grave che io potrei
fargli.... E non lo avete capito? Come devo dirvi che io non vi amerò
mai?

Stretto dalla logica feroce, che sembrava dettata da quel bisogno di
mordere e di distruggere onde Loredana si sentiva tutta vibrare, Berto
non trovò dapprima risposta; poi ebbe la parola unica che spiegava
qualunque follia:

--Ma io ti amo,--disse.--Io ti amo, Loredana; e non so altro....

La giovane lo guardò, sentendo ch'egli non mentiva; le parve sommesso e
vinto, e ne ebbe pietà.

--Suvvia,--mormorò, alzandosi,--mi lasci andare!

--Dove, dove vuoi andare?--chiese Berto, movendo un passo verso di
lei.--Dove vuoi andare, così?

Ella s'era avviata alla porta, senza cappello, come una pazza.

Berto la guardò elegante e sottile nell'abito tutto liscio color
d'ametista, leggiadramente ornato con una lista di pelliccia scura, che
le correva intorno al petto e per l'estremo lembo della gonna a guisa
d'un serpentello.

Usciva, partiva, fuggiva; d'improvviso aveva sentito che il sacrificio
era troppo ripugnante, che meglio era morire, riposare, non pensare più
ad alcuno, e aveva ricordato il canale nero e fondo che scorreva innanzi
alla casa di Berto.

L'ora era tarda, la luce fievole, la gente rada in quella serata
d'inverno. Loredana avrebbe potuto gettarsi all'acqua e affogarvi, senza
che alcuno accorresse.

--Dove vuoi andare?--ripetè Berto.

S'incontrarono sul limitare e si fissarono, l'uno con gli occhi
fiammeggianti di desiderio, l'altra con lo sguardo smarrito della
disperazione; ma perchè essa voleva procedere, egli l'afferrò per le
braccia e la rattenne.

Loredana ruppe di nuovo in una risata.

Aveva in bocca il sapore di quel fango al quale s'abbeverano gli umani,
di quel fango che è tutta la vita, e un'arsura insaziata le bruciava le
vene, come avesse ingoiato un fuoco liquido....

Qualcuno alle spalle di Berto--forse la femmina seminuda dai piedi
caprigni--gli suggerì un pensiero: la giovane non si sarebbe mai decisa
nè a partire, nè a rimanere, nè a vivere, nè a morire; bisognava
forzarla.

Egli l'attrasse bruscamente al petto, le suggellò la bocca con la bocca
dandole un bacio così lungo, che pareva, volesse beverne la vita,
l'anima, il sangue; sentì che Loredana s'inclinava a poco a poco, si
rovesciava indietro, e assecondò il movimento senza staccar la bocca
dalla bocca agognata, e l'adagiò sul divano ampio.




XVII.


Fu una lieta primavera, quella del 1894 a Venezia. Una falange
sterminata di stranieri calò da tutte le parti del mondo, le donne e gli
uomini già ebbri di delizie e di desiderio, con l'anima vibrante di quel
romanticismo sensuale che Venezia, la torpida, ispira.

Nuove passioni e nuovi drammi pullularono tra quell'affoltata di gente,
e la Piazza San Marco divenne in certe serate un prodigioso salotto pel
quale s'aggiravano le eleganti di New-York e di Parigi, di Londra e di
Vienna, di Berlino e di Pietroburgo, lasciando sui loro passi un solco
di profumi esotici.

Esse vedevano Venezia con gli occhi della leggenda e della storia e la
loro anima si trasformava, effondendosi e pervertendosi fra i tesori
d'arte e il silenzio mortale della città voluttuosa. La gondola, lenta e
carezzevole, agile e muta, faceva loro sognare i sogni erotici e le
rapide tragedie dei romanzi; la notte, o rischiarata dal raggio lunare
sui rii e sui canali, o tenebrosa o velata, sembrava loro così
enimmatica e stravagante quale in nessun'altra città del mondo.

Le più belle donne avevano una falange d'ammiratori, quasi tutti
veneziani, che ne aspettavano ogni anno il passaggio, non diversamente
dal cacciatore che aspetta lo stormo della ghiotta selvaggina. Esse
s'imbevevano il giorno della luce e dei salsi umori di Lido, felici di
quella piena vita animale che ingagliardisce il sangue e stende sulle
carni una delicata patina di bronzo; la sera, tornavano alle consuete
eleganze o nelle grandi sale dei grandi alberghi o in Piazza San Marco.

Si susurrava di passioni e di capricci, di gelosie e di tradimenti.

Il suicidio d'una giovane inglese, un duello tra due russi, avevano
messo in tumulto la città; poi rapidamente le grandi feste offerte da un
patrizio alla colonia straniera e uno straripare di lusso portentoso,
una vera orgia di colori e di bellezze e di dovizie, avevan cancellato
la memoria di quelle drammatiche vicende. E l'eco del tripudio non era
spenta, chè la fuga d'una giovinetta con un uomo attempato aveva
riaperto i fiumi dei discorsi scandalosi; poi una nuova festa, la
colonia straniera che ringraziava il patrizio dell'ospitalità ricevuta,
profondendo altri tesori, sfoggiando nuovo fasto, e l'arrivo del Re, e
la caduta d'un ministero, e un accavallarsi di fatti piccoli e grandi,
avevan dato materia alle chiacchiere e non avevano saziato la curiosità
instancabile degli uomini.

La vita correva la sua corsa senza freno, superba, indifferente,
inconsapevole, travolgendo ed esaltando, premiando e punendo; e il nome
di questo o di quello roteava come un palèo.

Un giorno sulla terrazza di Lido, un pugno di gentiluomini faceva corona
ad alcune dame, la contessa Lombardi, la contessa Fausta di Montegalda,
la duchessa di Torrecusa. Erano gli uomini il conte Alvise Priùli, il
conte Mercatelli, parecchi giovani, tra i quali il conte Paolino
Berlendi.

Paolino aveva enunziato anche in quei giorni che la donna americana si
riconosce a occhio; aveva tenuto una scommessa, e aveva scambiato
un'austriaca per un'americana. Se ne rideva ancora. Paolino
imperturbabile aveva osservato che nelle vene dell'austriaca, per
qualche dimenticato incrocio, doveva scorrere sangue americano; e
conosciuta personalmente la giovane, se ne era innamorato. Anche questo
episodio aveva fatto ridere; ma Paolino Berlendi, senza badare ai frizzi
dei compagni, dava intanto una caccia accanita alla straniera e sperava
impigliarla nelle sue reti.

--Che cosa guardate?--gli domandò Fausta d'un tratto.

La bellezza della contessa pareva scintillare sotto il sole; i capelli
neri avevan riflessi azzurrini e gli occhi cilestri esprimevano una
dolce ingenuità qualche poco in contrasto con l'anima sensuale ed
egoista della donna.

--Guardo tutte queste forestiere,--disse Paolino.--Non vi pare che
giungano a Venezia già ubbriache d'amore e di Ruskin?

--Voi parlate del Ruskin come d'un liquore,--osservò la contessa
Lombardi sorridendo.

--È vero; ma io preferisco il cognac,--rispose Paolino.--Il fatto è che
le straniere sono innamorate.

--E di chi?--domandò Fausta.

--Di me, contessa!--affermò Paolino trionfante.

Gli uomini risero.

--Ma sai tu chi è il Ruskin?--domandò il conte Priùli.

--No; non l'ho mai letto....

--È naturale,--disse il Priùli.--Tu devi darti all'agricoltura, e
sappiamo che studi accanitamente per distinguere una patata da una
barbabietola.

--Un'austriaca da un'americana,--corresse Fausta di Montegalda.

Già Paolino stava per rispondere, quando un silenzio improvviso si fece.

Era comparso sulla terrazza il conte Filippo Vagli, colui che per lunghi
mesi la società elegante capitanata da Fausta di Montegalda aveva
chiamato «il povero Flopi».

Molti fili argentei intessuti ai capelli un giorno tutti neri, il
cerchio grigiastro intorno agli occhi, le spalle un poco appesantite
davano l'impressione che Filippo fosse invecchiato repentinamente. Egli
era sempre ilare e sereno, ma chi l'avesse fissato con attenzione si
sarebbe accorto che la tranquillità e l'allegria di cui dava prova eran
dovute a un continuo sforzo, a una instancabile vigilanza sopra sè
medesimo.

Quando egli si credeva non osservato, la sua fisionomia mutava d'un
tratto, quasicchè la maschera gli fosse caduta, e allora si vedeva
l'uomo ferito mortalmente da un'angoscia insanabile, torturato da
qualche desiderio, malcontento di sè e degli altri, disperato di poter
mai più trovare un bene nella vita. Poi l'orgoglio lo riafferrava, si
guardava intorno nel timore che qualcuno gli avesse letto dentro
l'anima, e riprendeva la sua maschera di gaiezza e di contento.

Queste alternative, così notevoli che si sarebbe detto che due caratteri
albergassero nello stesso corpo, non erano sfuggite all'occhio degli
amici; e specialmente tra i più giovani, una simpatia silenziosa s'era
formata per Filippo Vagli.

Colui che aveva sentito fare strazio del proprio nome da una folla avida
di scandalo, aveva visto la stessa folla ammutolire innanzi a un dolore
alto e sincero, a guisa del molosso che s'accovaccia ai piedi del
padrone. Filippo avrebbe dato metà del suo sangue per vivere ancora tra
i sibili e i cachinni della maldicenza piuttosto che tra le nuove
manifestazioni di rispetto, nelle quali egli sospettava una mal celata
pietà. Ma tutto era finito, ogni cosa era miserabile, e mai come in quel
tempo s'era sentito tanto lontano da ciò che faceva, dall'esistenza
frivola alla quale s'era dovuto acconciare, e che sembrava non
lasciargli un'ora libera.

Egli gettò un'occhiata al gruppo, e salutò da lontano. Aveva visto tra
gli uomini Paolino Berlendi, che con quel suo carattere scapato,
sventato, impertinente e, nel fondo, generoso e sentimentale, gli
rammentava un altro; Filippo si studiava di non mostrare a Paolino
l'antipatia che quella somiglianza morale gli aveva ispirato.

Entrò, e volse a sinistra.

--Va a fare la sua corte alla Fioresi,--disse Fausta, che lo seguiva con
l'occhio.

In fondo alla terrazza, a sinistra di chi entrava, Giselda Fioresi era
seduta con la madre.

La fanciulla dalla chioma fulva indossava un abito leggero color
turchino con le maniche di prezioso merletto. S'era fatta più bella, il
suo corpo s'era invigorito e sul volto le si diffondeva un'espressione
che non aveva mai avuta, quell'espressione di riposo che è propria di
chi giunge a una meta dopo lunga guerra.

Quando vide Filippo avvicinarsi, le sue labbra si schiusero a un placido
sorriso.

--Si sposano?--domandò il Berlendi che guardava la scena.

--Si sposano,--confermò Fausta con voce secca.

--Flopi invecchia; è all'ultima tappa.

Dovevano sposarsi il mese appresso, e del matrimonio si parlava con
incessante curiosità. Due casate come quelle dei Fioresi e dei Vagli non
avrebbero potuto non dare alla cerimonia tutta la solennità, tutta la
magnificenza che le convenivano, e le donnette già parlavano del corredo
di Giselda come d'una maraviglia mai vista.

--Lo zio Roberto avrà finalmente i «flopini»!--osservò il conte Priùli.

--E Flopi i milioncini,--aggiunse il Berlendi.

--Non lo fa per questo!--rispose freddamente il Priùli.--Tu non lo
conosci; Filippo si sposa per obbedire a sua madre.

--La sola cosa poco aristocratica di questo matrimonio,--osservò
Fausta,--è la gioia straripante di Giselda.

E storse la bocca, quasi avesse visto qualche spettacolo repulsivo.

Le dame s'alzarono per avviarsi, ma in quel punto sopraggiunse Nino
d'Este, che parve cercar qualcuno con gli occhi; ravvisò la contessa
Lombardi e le corse incontro.

--Lei mi aveva chiesto notizie di Berto Candriani?--egli disse.

--Oh bravo! Parliamo di Berto Candriani!--esclamò Paolino.--«Il a jeté
son bonnet par dessus le moulin»!

Alvise Priùli gli diede una gomitata, perchè abbassasse la voce.

--Le porto le notizie,--continuò Nino d'Este, ed estrasse dalla tasca un
giornale romano che consegnò a Paolino Berlendi.

--Ti ringrazio di quest'atto di fiducia,--disse Paolino.--Poco fa,
Priùli sosteneva che io non so leggere.

--Ma fate presto!--interruppe Fausta di Montegalda.

--Ecco qua: «Un'automobile sfasciata»....

--Mio Dio!--esclamò la contessa Lombardi.

--«Un'automobile sfasciata»,--seguitò a leggere Paolino.--«Jeri, verso
le quattro, l'automobile del conte Berto Candriani, notissimo patrizio
veneziano ospite della nostra città».... Come sa farsi la _réclame_
questo briccone!

--Volete finirla? Vi tolgo il giornale!--minacciò Fausta.

Paolino Berlendi si fece serio e lesse tutto di seguito:

--....«percorrendo la Via Appia, presso la tomba di Cecilia Metella,
urtò un baroccio da vino, e cadde sul fianco. Lo _chauffeur_ rimase
ferito. Il conte Candriani e la contessina Loredana De Carolis, sbalzati
a parecchi metri di distanza si sollevarono incolumi».

--Contessina!--esclamò Fausta con un sorriso beffardo.--I giornali
romani non sono bene informati.

--È quel benedetto nome di Loredana che li trae in inganno!--osservò il
conte Priùli.

La comitiva si avviò.

--Io vorrei sapere che cosa andavano a fare sulla Via Appia!--disse a un
tratto Paolino Berlendi.

--Io sono contenta che Berto non si sia fatto male,--dichiarò la
contessa Lombardi.--Ma chi ci avrebbe detto che sarebbe scappato con
quella ragazza?

--È la fine di tutti gli uomini di spirito,--osservò Nino d'Este.--Anche
Paolino un giorno sposerà la sua balia.....

--Voi avete torto,--ribattè Paolino.--Mi dicono che Loredana sia una
ragazza bella e intelligente..... E io propongo una cosa: mandiamo il
giornale a Filippo!...

--Siete matto?--esclamò la contessa Lombardi.

--Non credete che gli farà piacere d'apprendere che la sua amica si
diverte e ruzzola a gambe in aria con Berto Candriani?

--Suvvia, siete sconveniente!--disse Fausta, mordendosi le labbra per
non ridere.

Ma Paolino Berlendi mandò un grido.

--Guardate!--egli esclamò.--Guardate quella signora che ci viene
incontro: è un'americana. Lo si vede a occhio; guardate come cammina,
come sorride, come gestisce.... È un'americana....

Gli altri guardarono. La signora che si avvicinava, elegantissima, era
alta e bionda; un giovanotto bruno l'accompagnava. Ma tutti diedero in
una risata.

--Caro mio,--disse poscia Alvise Priùli.--Quella è una russa: la
contessa Tatiana Semenow, di Pietroburgo!...

Paolino Berlendi accese una sigaretta.

--E io me ne infischio!--egli concluse tra i denti.

Ma cinque minuti appresso nessuno più pensava alla russa, a Filippo, a
Loredana, a Berto, a Giselda.

La vita dominava inesorabile tra un profluvio di luce calda e dorata.


FINE.




      MILANO--FRATELLI TREVES, EDITORI--MILANO


         EDIZIONE ILLUSTRATA DI GRAN LUSSO

                La Divina Commedia

                        DI

                  Dante Alighieri

             NELL'ARTE DEL CINQUECENTO

  (Michelangelo, Raffaello, Zuccari, Vasari, ecc.)

              A CURA DI CORRADO RICCI.


La magnifica opera forma un volume in-folio di XXXVI-320 pagine a due
colonne, stampato in rosso e nero, con 288 DISEGNI intercalati nella
magistrale introduzione di CORRADO RICCI e nelle tre Cantiche. Le
celebri tavole di FEDERICO ZUCCARI e di GIOVANNI STRADANO, ch'erano
ancora per la massima parte inedite, e che formano il nucleo
fondamentale delle illustrazioni di questa nuova edizione della
_Commedia_, sono riprodotte in _facsimile_ policromo su 67 GRANDI TAVOLE
FUORI TESTO IN CARTA A MANO, e montate su _passe-partout_. La
riproduzione fu fatta dalla nostra casa, col permesso del Ministero
della pubblica istruzione, sul codice esistente nella Galleria degli
Uffizi a Firenze, mercè i processi fotomeccanici più moderni e delicati.
Per universale consenso l'opera dello Zuccari, come dimostra il Ricci
nella sua prefazione, è la maggiore e più interessante illustrazione che
l'Italia abbia mai prodotto. Questi disegni abbiamo voluto separare dal
testo adagiandoli sopra una carta dal fondo intonato alle carte del
cinquecento di cui abbiam curato la speciale fabbricazione "a mano"
contrassegnandola con la nostra sigla. Inoltre nel nostro volume si fa
larga parte a tutto ciò che la pittura, e in qualche modo la scoltura,
hanno operato attingendo soggetti e ispirazioni alla _Divina Commedia_,
dal terribile Caronte del Buonarroti, sino all'_Inferno_ di Bernardino
Poccetti inciso dal Callot nel 1612. Ogni copia è legata alla bodoniana,
o chiusa in cartella, a scelta del committente, e costa

    =Cento Lire.=--Legata in tela e oro, L. 110.

    In pelle e oro o in pergamena e oro, L. 125.

(_Formato del vol. cent. 43×32. Peso del vol. alla bodon. Kg. 5,500
circa_).


Dirigere commissioni e vaglia ai Fratelli Treves, editori, Milano.




  Romanzi Italiani

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  Ora e sempre                                 L. 1 --
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  Il Dantino                                      1 --
  La signora Àutari                               1 --
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  Rosa di Gerico                                  1 --
  La bella Graziana                               3 50
  Le due Beatrici                                 1 --
  Terra vergine                                   1 --
  I figli del cielo                               1 --
  La castellana                                   3 50
  Fior d'oro                                      1 --
  Il prato maledetto                              3 50
  Galatea                                         1 --
  Il diamante nero                                1 --
  Raggio di Dio                                   1 --
  Il ponte del Paradiso                           3 50
  Tra cielo e terra                               3 50

      Ambrogio =Bazzero=.

  Storia di un'anima                              4 --

      Antonio =Beltramelli=.

  Anna Perenna                                    3 50
  I primogeniti                                   3 50
  Il cantico                                      3 50

      Silvio =Benco=.

  La fiamma fredda                                1 --
  Il castello dei desideri                        3 50

      Leo =Benvenuti=.

  Racconti romantici                              1 --
  Serenada, racconto sardo                        1 --

      Vittorio =Bersezio=.

  La carità del prossimo                          1 --
  Povera Giovanna!                                1 --
  Il debito paterno                               1 --
  Aristocrazia (2 volumi)                         2 --

      P. =Bettòli=.

  Il processo Duranti                             1 --
  Giacomo Locampo                                 1 --
  Carmelita                                       1 --
  La nipote di don Gregorio                       1 --

      Alberto =Boccardi=.

  Cecilia Ferriani                                3 50
  Ebbrezza mortale!                               1 --
  Il peccato di Loreta                            1 --
  L'irredenta                                     1 --

      Camillo =Boito=.

  Storielle vane                                  1 --
  Senso                                           1 --

      Virgilio =Brocchi=.

  Le aquile                                       3 50

      E. A. =Butti=.

  L'Incantesimo                                   4 --
  L'Automa                                        1 --

      Antonio =Caccianiga=.

  Il bacio della contessa Savina                  1 --
  Villa Ortensia                                  1 --
  Il Roccolo di Sant'Alipio                       1 --
  Sotto i ligustri                                3 50
  Il Convento                                     3 50
  Il dolce far niente                             1 --
  La famiglia Bonifazio                           1 --
  Brava gente                                     1 --

      Luigi =Capranica=.

  Donna Olimpia Pamfili                           1 --
  La congiura di Brescia (2 volumi)               2 --
  Maschere sante                                  1 --
  Fra Paolo Sarpi (2 vol.)                        2 --
  Papa Sisto (4 volumi)                           4 --
  Racconti                                        2 --
  Contessa di Melzo (2 vol.)                      2 --
  Re Manfredi (3 vol.)                            3 --
  Maria Dolores                                   1 --
  Le donne di Nerone                              3 50

      Luigi =Capuana=.

  Homo                                            1 --
  Marchese di Roccaverdina                        4 --
  Rassegnazione                                   3 50
  Passa l'amore                                   3 50

      =Castelli=.

  Ultime rose d'autunno                           1 --

      Enrico =Castelnuovo=.

  Nella lotta                                     3 50
  La contessina                                   3 --
  Dal 1.º piano alla soffitta                     4 50
  Lauretta                                        3 50
  Due convinzioni                                 4 --
  Filippo Bussini juniore                         4 --
  Alla finestra                                   3 50
  Sorrisi e lagrime                               3 50
  L'onor. Paolo Leonforte                         1 --
  Natalia ed altri racconti                       1 --
  _P.P.C._ Ultime novelle                         3 50

      Domenico =Ciàmpoli=.

  Diana                                           4 --
  Il barone di San Giorgio                        1 --

      Luigia =Codèmo=.

  La rivoluzione in casa                          2 --

      =Cordelia=.

  Il regno della donna                            2 --
  Dopo le nozze                                   3 --
  Prime battaglie                                 2 --
  Vita intima                                     1 --
  Racconti di Natale                              3 50
  Casa altrui                                     1 --
  Alla ventura                                    4 --
  Catene                                          1 --
  Per la gloria                                   3 50
  Forza irresistibile                             3 50
  Il mio delitto                                  1 --
  Per vendetta                                    1 --
  L'incomprensibile                               1 --
  Verso il mistero                                3 50

      Filippo =Crispolti=.

  Un duello                                       1 --

      Gabriele =D'Annunzio=.

  Il Piacere                                      5 --
  L'innocente                                     4 --
  Trionfo della Morte                             5 --
  Le Vergini delle Rocce                          5 --
  Il Fuoco                                        5 --
  Le novelle della Pescara                        4 --
  Prose scelte                                    4 --

      Ippolito Tito =D'Aste=.

  Ermanzia                                        1 --
  Mercede                                         1 --

      Edmondo =De Amicis=.

  La vita militare                                4 --
  Alle porte d'Italia                             3 50
  Il romanzo d'un maestro (2 volumi)              2 --
  Fra scuola a casa                               4 --
  La carrozza di tutti                            4 --
  Memorie                                         3 50
  Capo d'anno                                     3 50
  Nel Regno del Cervino                           3 50
  Pagine allegre                                  4 --
  Nel Regno dell'Amore                            5 --

      Grazia =Deledda=.

  I giuochi della Vita                            3 50

      Gian =Della Quercia=.

  Il Risveglio                                    1 --
  Sul meriggio                                    4 --

      Federico =De Roberto=.

  L'illusione                                     1 --
  Una pagina della storia dell'Amore              1 --

      F. =Di Giorgi=.

  La prima donna                                  1 --

      Cesare =Donati=.

  Flora Marzia                                    2 --

      Paulo =Fambri=.

  Pazzi mezzi e serio fine                        2 --

      Onorato =Fava=.

  La discesa di Annibale                          1 --

      Gemma =Ferruggia=.

  Fascino                                         1 --

      Ugo =Fleres=.

  L'anello                                        1 --

      =Gavotti=.

  Nora                                            3 --
  Viaggio di un distratto                         2 --

      Piero =Giacosa=.

  Specchi dell'enigma                             3 50

      Arturo =Graf=.

  Il Riscatto                                     1 --

      O. =Grandi=.

  Macchiette e novelle                            1 --
  Destino                                         1 --
  Silvano                                         1 --
  La Nube                                         1 --

      Luigi =Gualdo=.

  Decadenza                                       1 --
  Matrimonio eccentrico                           1 --

      F. D. =Guerrazzi=.

  L'assedio di Firenze (2 volumi)                 2 --
  Il destino                                      2 --
  Battaglia di Benevento. Veronica Cybo (2 vol.)  2 --

      =Jarro=.

  L'assassinio nel vicolo della Luna              1 --
  Il processo Bartelloni                          1 --
  I ladri di cadaveri                             1 --
  La figlia dell'aria                             1 --
  Apparenze (2 volumi)                            2 --
  La polizia del diavolo                          1 --
  L'Istrione                                      1 --
  La vita capricciosa                             1 --
  La duchessa di Nala                             1 --
  La principessa                                  1 --

      Paolo =Lioy=.

  Chi dura vince                                  3 --

      =Manetty=.

  Il tradimento del Capitano (2 volumi)           2 --

      G. =Marcotti=.

  Il conte Lucio                                  1 --

      =Mercedes=.

  Marcello d'Agliano                              1 --

      =Neera=.

  Crevalcore                                      4 --

      Ippolito =Nievo=.

  Le confessioni di un ottuagenario (3 volumi)    3 --

      A. S. =Novaro=.

  L'Angelo risvegliato                            3 --

      Enrico =Panzacchi=.

  I miei racconti                                 3 --

      Antonio =Palmieri=.

  Novelle Maremmane                               3 50

      Alfredo =Panzini=.

  La lanterna di Diogene                          3 50
  Piccole storie del Mondo grande                 1 --

      Emma =Perodi=.

  Suor Ludovica                                   1 --
  Caino e Abele                                   1 --

      =Petruccelli della Gattina=.

  Memorie di Giuda                                2 --
  Le notti degli emigrati a Londra                1 --
  Il sorbetto della regina                        1 --
  Il re prega                                     1 --

      Luigi =Pirandello=.

  Erma bifronte                                   3 50
  Esclusa                                         3 50

      Carlo =Placci=.

  Mondo mondano                                   1 --

      Marco =Praga=.

  La Biondina                                     1 --

      Mario =Pratesi=.

  Le perfidie del caso                            1 --

      Corrado =Ricci=.

  Un'illustre avventuriera                        3 50
  Rinàscita                                       3 50

      Egisto =Roggero=.

  Le ombre del passato                            1 --

      Gerolamo =Rovetta=.

  Sott'acqua                                      3 50
  Tiranni minimi                                  1 --
  I Barbarò o Le lagrime del prossimo (2 volumi)  5 --
  Il primo amante                                 3 50
  Il processo Montegù                             1 --
  Novelle                                         1 --

      Ferdinando =Russo=.

  Memorie di un ladro                             1 --
  Il destino del Re                               1 --

      Roberto =Sacchetti=.

  Candaule                                        3 --
  Entusiasmi (2 volumi)                           2 --

      =Sara=.

  I peccati degli avi                             1 50

      G. A. =Sartorio=.

  Romæ Carrus Navalis                             1 --

      Isabella =Scopoli-Biasi=.

  L'erede dei Villamari                           1 --

      Matilde =Serao=.

  All'erta, Sentinella!                           4 --
  Suor Giovanna della Croce                       4 --
  La Ballerina                                    3 50

      =Serra-Greci=.

  Adalgisa                                        1 --
  La fidanzata di Palermo                         1 --

      =Sfinge=.

  Dopo la vittoria                                1 --

      I. =Trebla=.

  Volontario d'un anno.--Sottotenente
  di complemento                                  3 --

      L. A. =Vassallo=.

  La signora Cagliostro                           1 --
  Guerra in tempo di bagni                        1 --

      Giorgio =Velieri=.

  Elegie mondane                                  3 50

      Giovanni =Verga=.

  Eva                                             2 --
  Novelle                                         2 50
  Cavalleria rusticana                            3 --
  Per le vie                                      1 --
  Il marito di Elena                              1 --
  Eros                                            1 --
  Tigre reale                                     1 --
  Mastro-don Gesualdo                             3 50
  Ricordi del capit. d'Arce                       1 --
  I Malavoglia                                    3 50
  Don Candeloro e C.                              1 --
  Vagabondaggio                                   3 50
  Dal mio al tuo                                  3 50

      G. =Visconti-Venosta=.

  Il curato d'Orobio                              4 --
  Nuovi racconti                                  3 50

      =Zena Remigio=.

  La bocca del lupo                               1 --
  L'apostolo                                      3 50

      =Zùccoli=.

  La Compagnia della Leggera                      3 50


Dirigere commissioni e vaglia ai Fratelli Treves, editori, Milano




          È uscito il 13.º migliaio

                  LA NAVE

     Tragedia in un prologo e tre episodi

                     DI

             Gabriele d'Annunzio

                CON FREGI DI

             DUILIO CAMBELLOTTI

    _In-8, in carta di lusso:_ =CINQUE LIRE=.


Dirigere commissioni e vaglia ai Fratelli Treves, editori, Milano




             _EDIZIONE ILLUSTRATA_

  _dell'ultima e interessantissima opera di_

               Edmondo De Amicis

              NEL REGNO DELL'AMORE


Quest'opera che appena uscita pochi mesi fa suscitò l'entusiasmo del
pubblico giungendo subito a nove edizioni e in pari tempo ottenne le
lodi più ampie della critica, si compone di novelle e di bozzetti
drammatici e comici. Nessun'opera meglio di questa si prestava
all'illustrazione.

Abbiamo intrapresa la pubblicazione di una splendida edizione
illustrata da

  G. Amato, R. Salvadori, R. Pellegrini.

Sarà completa in 6 o 7 fascicoli o meglio volumetti. Ogni volumetto,
con coperta colorata, può stare a sè.

_Prezzo di ogni volumetto di oltre 100 pagine in-8_

  UNA LIRA.

Sono usciti i primi quattro volumetti:

    I. =L'ORA DIVINA=
       FIORE DEL PASSATO--IL NUMERO 28--LA QUERCIA E IL FIORE.

   II. =UN COLPO DI FULMINE=
       "NICHTS"--LETTORE TRADITORE.

  III. =SULLA SCALA DEL CIELO=
       CASA CIRIMIRI.

   IV. =IL SUPPLIZIO DEL GELOSO=
       OCHINA--IL CAPPOTTO CLANDESTINO.


Dirigere commissioni e vaglia ai Fratelli Treves, editori, Milano.




PREZZO DEL PRESENTE VOLUME: Lire 3,50.


NUOVI ROMANZI E NOVELLE

(_Edizioni Treves_)


  Albertazzi. _In faccia al destino_                       3 50

  Angeli. _L'orda d'oro_                                   3 50

  Barrili. _Tra cielo e terra_                             3 50

  Beltramelli. _Il Cantico_                                3 50

  Benco. _Il Castello dei desideri_                        3 50

  Brocchi. _Le Aquile_                                     3 50

  Capuana. _Rassegnazione_                                 3 50
           _Passa l'Amore_                                 3 50

  Castelnuovo. _P. P. C. Ultime novelle_                   3 50

  De Amicis. _Nel Regno dell'Amore_                        5 --

  Giacosa (Piero). _Specchi dell'Enigma_                   3 50

  Haydée. _Racconti di Natale_                             4 --

  Melegari (Dora). _Artefici di Pene e Artefici di Gioie_  3 50

  Neera. _Crevalcore_                                      4 --

  Palmieri. _Novelle Maremmane_                            3 50

  Panzini. _La Lanterna di Diogene_                        3 50

  Pirandello. _Erma bifronte_                              3 50
              _L'Esclusa_                                  3 50

  Placci. _In automobile_                                  4 --

  Praga. _La biondina_                                     1 --

  Russo. _Memorie d'un ladro_                              1 --
         _Il destino del Re_                               1 --

  Verga. _Dal tuo al mio_                                  3 50

  Zùccoli. _La Compagnia della Leggera_                    3 50


  DI PROSSIMA PUBBLICAZIONE

  =I Moncalvo= di Enrico Castelnuovo.

  =Centocelle= "  Diego Angeli.

  =Eldorado=   "  Guglielmo Anastasi.


Dirigere commissioni e vaglia ai Fratelli Treves, editori, Milano.





Nota del Trascrittore

L'ortografia e la punteggiatura originali sono state mantenute,
correggendo senza annotazione minimi errori tipografici. Sono stati
inoltre corretti i seguenti refusi (tra parentesi il testo originale):

  Pag.  74 - accorse [accorsa] tutta maravigliata
  Pag. 130 - Così, ti preparavi [prepararvi] a sposarmi?
  Pag. 135 - e allora, comprendendo [comprenprendendo]
  Pag. 300 - Partiremo subito [subuto].

Grafie alternative mantenute:

  figurati / figùrati
  mormorio / mormorìo
  seguito / sèguito
  orecchia / orecchio





End of the Project Gutenberg EBook of L'amore di Loredana, by Luciano Zùccoli

*** END OF THIS PROJECT GUTENBERG EBOOK L'AMORE DI LOREDANA ***

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work, (b) alteration, modification, or additions or deletions to any
Project Gutenberg-tm work, and (c) any Defect you cause.


Section  2.  Information about the Mission of Project Gutenberg-tm

Project Gutenberg-tm is synonymous with the free distribution of
electronic works in formats readable by the widest variety of computers
including obsolete, old, middle-aged and new computers.  It exists
because of the efforts of hundreds of volunteers and donations from
people in all walks of life.

Volunteers and financial support to provide volunteers with the
assistance they need are critical to reaching Project Gutenberg-tm's
goals and ensuring that the Project Gutenberg-tm collection will
remain freely available for generations to come.  In 2001, the Project
Gutenberg Literary Archive Foundation was created to provide a secure
and permanent future for Project Gutenberg-tm and future generations.
To learn more about the Project Gutenberg Literary Archive Foundation
and how your efforts and donations can help, see Sections 3 and 4
and the Foundation web page at https://www.pglaf.org.


Section 3.  Information about the Project Gutenberg Literary Archive
Foundation

The Project Gutenberg Literary Archive Foundation is a non profit
501(c)(3) educational corporation organized under the laws of the
state of Mississippi and granted tax exempt status by the Internal
Revenue Service.  The Foundation's EIN or federal tax identification
number is 64-6221541.  Its 501(c)(3) letter is posted at
https://pglaf.org/fundraising.  Contributions to the Project Gutenberg
Literary Archive Foundation are tax deductible to the full extent
permitted by U.S. federal laws and your state's laws.

The Foundation's principal office is located at 4557 Melan Dr. S.
Fairbanks, AK, 99712., but its volunteers and employees are scattered
throughout numerous locations.  Its business office is located at
809 North 1500 West, Salt Lake City, UT 84116, (801) 596-1887, email
[email protected].  Email contact links and up to date contact
information can be found at the Foundation's web site and official
page at https://pglaf.org

For additional contact information:
     Dr. Gregory B. Newby
     Chief Executive and Director
     [email protected]


Section 4.  Information about Donations to the Project Gutenberg
Literary Archive Foundation

Project Gutenberg-tm depends upon and cannot survive without wide
spread public support and donations to carry out its mission of
increasing the number of public domain and licensed works that can be
freely distributed in machine readable form accessible by the widest
array of equipment including outdated equipment.  Many small donations
($1 to $5,000) are particularly important to maintaining tax exempt
status with the IRS.

The Foundation is committed to complying with the laws regulating
charities and charitable donations in all 50 states of the United
States.  Compliance requirements are not uniform and it takes a
considerable effort, much paperwork and many fees to meet and keep up
with these requirements.  We do not solicit donations in locations
where we have not received written confirmation of compliance.  To
SEND DONATIONS or determine the status of compliance for any
particular state visit https://pglaf.org

While we cannot and do not solicit contributions from states where we
have not met the solicitation requirements, we know of no prohibition
against accepting unsolicited donations from donors in such states who
approach us with offers to donate.

International donations are gratefully accepted, but we cannot make
any statements concerning tax treatment of donations received from
outside the United States.  U.S. laws alone swamp our small staff.

Please check the Project Gutenberg Web pages for current donation
methods and addresses.  Donations are accepted in a number of other
ways including including checks, online payments and credit card
donations.  To donate, please visit: https://pglaf.org/donate


Section 5.  General Information About Project Gutenberg-tm electronic
works.

Professor Michael S. Hart was the originator of the Project Gutenberg-tm
concept of a library of electronic works that could be freely shared
with anyone.  For thirty years, he produced and distributed Project
Gutenberg-tm eBooks with only a loose network of volunteer support.


Project Gutenberg-tm eBooks are often created from several printed
editions, all of which are confirmed as Public Domain in the U.S.
unless a copyright notice is included.  Thus, we do not necessarily
keep eBooks in compliance with any particular paper edition.


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