Roberta

By Luciano Zùccoli

The Project Gutenberg eBook, Roberta, by Luciano Zuccoli


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Title: Roberta

Author: Luciano Zuccoli

Release Date: March 26, 2004  [eBook #11724]

Language: Italian


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LUCIANO ZÙCCOLI

ROBERTA



MILANO

FRATELLI TREVES, EDITORI

1919.





PREFAZIONE.


Sarebbe difficile dire quali fossero esattamente le intenzioni
dell'autore di _Roberta_ allorchè egli scrisse, tra il 1896 e il 1897,
quel romanzo. Certo, non intendeva compiere una rivoluzione
letteraria, nè fondare una scuola; scriveva allora così sinceramente,
per impeto di passione e per commozione d'animo, come scrive oggi.
Egli viveva in una villa di quella incantevole Riviera di Levante, di
cui sono nel libro parecchi tentativi di descrizione. Gli venne
l'estro dallo spettacolo del mare, dalle luci stupende, dalla gioia
della natura che è, per tutta quella plaga, così ricca e possente? Gli
venne l'ispirazione da qualche ora di vita vissuta, più notevole e
strana, perchè infinitamente malinconica in quella ridente cornice?

Forse e per l'una e per l'altra cagione scrisse _Roberta_; per la
tristezza dei casi umani, per la bellezza degli spettacoli naturali; e
l'una e l'altra gli consigliarono una forma calda fino alla violenza,
bizzarra e impreveduta, carica d'imagini e di comparazioni originali.
Poi diede il libro alle stampe e non se ne curò più.

Ma rileggendo oggi il volume, per questa nuova edizione messa fuori
dalla Casa Treves, l'autore s'è accorto che veramente c'era ragione a
schiamazzare come schiamazzarono i critici di quel tempo.

In _Roberta_ la forma--l'ho detto--è libera, strana, senza freno,
impetuosa, ardita. Sfogliamo insieme qualche pagina, e troviamo
qualche esempio. L'autore si sforza di personificare ogni senso ed
ogni sentimento e di chiudere un pensiero nel più stretto cerchio di
parole che gli sia possibile. «Mai,--dice sul principio--mai come
quando le due sorelle si gettavano una nelle braccia dell'altra, mai
come allora eran così fresche reduci dall'odio, mai come allora avevan
sentito passar sulle reni una cosa viscida e molle, che si chiama
ribrezzo». «I suoi pensieri sfilavano come una torma di volpi azzurre
sul disco bianco della luna». «Doveva attraversare le foreste
millenarie della passione, che tutte le donne pari a lei, avevano
attraversato». «La sua giovanezza era una chiara fonte in un parco
abbandonato». «Le vecchie regole morali erano goffe come una
processione di gesuiti attraverso a una folla di donne scarlatte». «E
le idee dei tempi rosei mutavano in una fuga di statue a cui il cuore
appendeva corone di rimpianto e di rimorso».

Curioso a dirsi; nel mentre vado sfogliando quel romanzo e citando
poche imagini tra mille, mi soprapprende il pensiero che l'autore di
_Roberta_ sia stato un precursore. Oserei dire, un precursore del
futurismo; ma d'un futurismo che non sconvolgeva nè il vocabolario nè
la grammatica, e che voleva essere prima di tutto sintetico e pronto,
immediato e dritto. Pare che _Roberta_ volesse dire una parola meno
usata in quei tempi, vent'anni or sono, in cui o si imitava il
D'Annunzio, o si scriveva pedestremente, conversando alla buona col
lettore e mescolando la propria personalità con la personalità delle
figure che dovevan vivere la loro vita nel romanzo. E l'autore, qua e
là, nelle sue pagine, riduce l'imagine e il pensiero, per brevità, «al
motto d'un anello», come direbbe Amleto; e ne esce una musica delle
più inattese, che può essere bella, che può essere brutta, ma che non
è la fanfara festiva e stridente a cui siamo abituati.

E così, per dare alcuni altri pochi esempi, ecco «la giornata
simmetrica che si dissolve nel circolo del tempo», «gli amici, figure
scialbe divenute più pallide in quell'ora di porpora», ed ecco imagini
anche più inquietanti: «Egli avrebbe potuto comporre un facile poema,
se avesse avuto l'espressione letteraria e la pazienza d'arrestare gli
scoiattoli molleggianti sulle branche della fantasia». «Era dunque
possibile che le agili e bianche dita salissero al corpetto e
intonassero la sinfonia classica dei bottoni che si slacciano?».

Con questa sinfonia, chiudiamo; quantunque per tutto il libro, per
tutte le pagine; siano sparse largamente imagini così poco usate; e
mentre stiamo per riporlo, ci cade sotto gli occhi ancora questo
inatteso pensiero: «la voluttà più astuta non lascia traccia se non in
ricordi simili a pigmei, i quali corrano dove son passati i giganti».

Bisogna dirlo: un libro simile, e in quei tempi, non poteva passare
inosservato; e mentre l'autore di _Roberta_ aveva scritto con
ingenuità sincera, cercando d'animare innanzi a se stesso le fantasie
che gli eran care, tutti i critici gli furono addosso, accusandolo
d'aver voluto sforzar la nota, d'aver cercato a tutt'i costi una
originalità violenta, d'aver dato un esempio pernicioso, il quale non
poteva servire che a fondare una scuola più pazzesca che nuova.

Lo si trattò veramente a guisa d'un precursore: e quale precursore fu
mai trattato bene? Si battagliò intorno al libro con una passione e un
vigore che oggi i critici non hanno più. In una sola cosa furono
d'accordo coloro che giudicavano sui giornali: nel gridare al pericolo
delle imitazioni, le quali avrebbero precipitato la letteratura in un
abisso di follia. Avancinio Avancini, chiamando l'autore di _Roberta_
palloncino gonfiato (_Risveglio Educativo_, 12 giugno 1897) e pur non
negando che nel cervello di lui una certa dose di fosforo ci fosse,
alzò la voce perchè la tesi di _Roberta_ era immorale: e «questo
precursore del secolo ventesimo» diceva «nasconde sotto l'artifizio
retorico una grande povertà di buon senso».

E Luigi Pirandello, il quale dava conto dei libri nella _Rassegna
Universale_ di Roma con lo pseudonimo di Giulian Dorpelli, si turbò al
pensiero che _Roberta_ potesse dar vita a una serie numerosa
d'imitatori. E falciando largamente tra le imagini onde il romanzo
traboccava, e citandole ad esempio da fuggirsi, dichiarava che
l'autore con quella sua barca parata di pennoncelli sarebbe presto
andato a finire «sulle secche della follia»; ma, aggiungeva con
tristezza, «sentirete come batteran le code i pòmpili seguaci tra la
scìa spumosa......

I pòmpili seguaci non ci furono; per avvivarli e tirarseli dietro,
occorreva che l'autore di _Roberta_ scrivesse un altro libro di quel
colore, un altro poema balzano; e il futurismo sarebbe stato fondato;
un futurismo, intendo, di sostanza e di pensiero, rosso d'imagini e
protervo d'idee. Ma l'autore di _Roberta_ non fu tanto sgominato
dall'urlar della critica, quanto dal timore di dover presto rispondere
di tutte le corbellerie che gli imitatori avrebbero scritto in suo
nome.... Il precursore non diede il secondo volume, non calò il
secondo colpo; e poichè gli anni--1898!--volgevano tristi per il
paese, si diede alla politica, e stette dal 1898 al 1902 silenzioso
per tutte le forme d'arte letteraria.

Così i pòmpili seguaci intravisti dal Pirandello guizzarono per altre
acque, dietro altre barche con altri pennoncelli; e l'autore di
_Roberta_ non deve rispondere oggi d'una scuola, ma di un giovanile
tentativo di rivolta, d'un'orgia poetica ch'egli si largì per
divertire se stesso innanzi agli altri. Fu ebbro, liberamente; ruppe
gli argini alla fantasia, lasciandola prorompere, dilagare, infuriare;
parlò di passione e di morte, d'odio e d'amore; cantò la bellezza
femminile, la gioia della vita, la fatalità della morte, la ricchezza
della natura invitta e crudele.... Poi tacque cinque anni, battendosi
tra le fazioni politiche e cercando istintivamente l'impopolarità la
più pericolosa.... L'autore di _Roberta_ non trovò, per questo, non
dico la forza, ma la voglia di fondare una scuola letteraria, e non la
troverà mai.

Posso andarne mallevadore, perchè l'autore di _Roberta_ sono io.

               LUCIANO ZÙCCOLI.




ROBERTA




I.


La prima volta che Cesare Lascaris entrò in casa delle due sorelle, il
cielo sfarfallava di lampi infaticabili a levante e a ponente, come
per un'alternativa di colori liquefatti e largamente diffusi sopra una
cupola immensa.

Roberta era stata ripresa dal suo male.

Una leggera spuma rosea le era sgorgata dalla bocca, mentre innanzi
alla finestra seguiva col binocolo un vapore, che all'ultima linea
delle acque passava sotto il tumulto dei lampi, sotto il cumulo più
nero delle nubi. Aveva deposto sùbito il cannocchiale, e volgendosi a
Emilia con la pezzuola umida di sangue, aveva detto:

--Ecco!--rispondendo alla sorda inquietudine, che dalla prima comparsa
del morbo le aveva confitto gli artigli nel cuore.

Il giorno, levatosi per le due giovani tranquillo come gli altri,
divenne repentinamente funebre; l'uragano addensato fuori, parve ad
ambedue il quadro naturale in cui il dramma doveva svolgersi, e l'aria
pregna di correnti elettriche, solcata dalle luci minacciose, le
avvolse e le fece vibrare di spavento.

L'Implacabile risorgeva.

Avevan voluto dimenticarla, fuggendo dalla città, aspirando i germi
vitali nel paesello ligure inapprezzato dal capriccio misterioso della
folla. Tutto della loro vita era stato tacitamente disposto per
raggiungere quell'oblio. Scorrevano ogni giorno lungo tempo sulle
rocce più inoltrate nel mare, fin dove l'onda s'accartocciava
ribollendo passeggiavano adagio, metodicamente verso il crepuscolo,
dov'era men facile incontrare i carri, che sollevavano nugoli di
polvere; la villetta era aperta sempre a finestrate di sole, a fiumi
d'aria pura. Roberta seguiva i consigli dei medici, ed Emilia si
studiava d'allontanarle ogni causa di malcontento.

Se si fissavan negli occhi per leggervi il medesimo pensiero
inconfessato, gli occhi tentavan sùbito d'esprimere pensieri frivoli e
pieni d'avvenire. Il male sembrava cosa antica, pessimo sogno
pessimamente interpretato dagli uomini della scienza. Guardavano
innanzi a sè, lasciandosi addietro il ricordo della malattia breve e
furiosa, cui Roberta s'era sottratta per una generosità de' suoi
diciannove anni.

E l'Implacabile risorgeva; e quella spuma sanguigna voleva dire la
Morte, e quei colpi di tosse che riprendevano, erano la Morte, e
tutto; era la Morte, la Morte, la Morte nel giorno denso di luci
minacciose, divenuto il primo periodo d'un dramma del quale
s'ignoravano gli episodii futuri e s'intuiva la fine.

--Non spaventarti,--disse Emilia con la voce tronca.--Non è nulla....
Sai che non può essere nulla.... Mando a chiamare il medico...

Roberta era caduta sul divano, e nell'ombra dell'angolo si vedevan
l'abito turchino a merletti bianchi, il volto cereo ed ovale. Le
braccia erano abbandonate lungo il corpo. Sotto l'atteggiamento
incerto, covava il terrore di chi aspetta un nuovo segno infallibile:
ella attendeva un altro colpo di tosse, un rigurgito di sangue, la
rottura d'una arteria, che la soffocasse in un lago di sangue; poichè
nessuno meglio di lei conosceva tutte le possibilità spaventose d'una
soluzione certa.

--Sùbito dal medico; venga sùbito; lasci qualunque cosa.... Hai
capito?--ordinò Emilia alla cameriera accorsa.--Sùbito, sùbito,
sùbito.... Vuoi andare a letto, Roberta? Ti aiuterò' io.... Fatti
coraggio....

E mentre parlava riprendendo il suo posto innanzi alla sciagura, si
irrigidiva per resistere alla tentazione di fuggire, mandando grida
laceranti.... Piegarsi, prosternarsi brutalmente alla fatalità,
piangere fino al torpore e sentire il tempo uguale, infinito, passare
su di lei e sopra le cose, doveva essere una voluttà divina.

Ella non era creata per tener fronte alle avversità: con la morte del
marito dopo un anno di matrimonio e con la prima malattia di Roberta,
due volte una ribellione di inerzia era nata in lei; il bisogno di
sfuggire a sè medesima e all'azione, era divampato così furibondo, che
le era avvenuto d'inginocchiarsi a pregare perchè fosse mutata in una
statua dal gesto eterno, dalla insensibilità eterna....

Ma si riprese per quello stesso spirito di rivolta, il quale d'ora in
ora aveva forme così diverse; allungò le mani alla sorella e l'aiutò
ad alzarsi, riuscendo a sorriderle.

Sulla soglia della sua camera, Roberta si arrestò un istante sotto un
nuovo attacco del male; il fazzoletto si arrossò, una sottil bava
sanguigna le scese lungo la connessura delle labbra, si ruppe....
Allora, sciogliendosi dalle mani d'Emilia, la fanciulla corse al
letto, strappò gli abiti, slacciò i cordoni delle sottovesti, gettò
ogni cosa a terra, fu pronta, e si ricoverò tra le coltri, dicendo
febbrilmente:

--Vedi, che è proprio il male? Vedi, che bisogna morire?... Non
parlare, hai capito? Non dir nulla.... Il medico, non lo voglio.... Va
via, anche tu....

Emilia rimase in piedi presso il letto, fisicamenta assorta nei romori
della tempesta, che dalle sbarre delle gelosie proiettava il suo
livido ghigno nella camera.

Così, spoglia d'ogni attraenza materiale degli abiti, Roberta era
l'ammalata.

Sotto l'epidermide bianca, una miriade di piccoli punti rossi, qua
diffusi e là raccolti in nucleo, segnava la persistenza del morbo; il
seno, questa gloria incomparabile del sesso e della giovanezza, era
crivellato dai nuclei rossastri e s'affondava, invece di protendersi
esuberante.... Di quel corpo virgineo avvolto fra le lenzuola, non
rimaneva attenta, vivente, perspicace, se non la testa coi capelli
biondi e disordinati; ma ancòra sotto la pelle della fronte e sulle
guance, comparivano le piccole macchie rosse incancellabili. Gli occhi
erano d'un azzurro vitreo, le labbra tumide, i denti bianchissimi, il
profilo netto e puro, quasi ellenico. Il resto delle sue forme non
aveva linea e valore, se non corretto dalle mani scaltre delle
cucitrici e lusingato dai colori festevoli o ingenui delle stoffe.

Per la camera semioscura aleggiava un profumo indefinito d'acque
odorose; i mobili modesti delle case d'affitto variamente ricoperti e
senza stile, parevano l'avanzo di diversi addobbi; il letto solo in
mogano lucidissimo era elegante e nuovo. Sui tavolini, sui divani,
s'ammucchiavano i libri rilegati o sciolti, una collezione di romanzi,
da Walter Scott agli ultimi autori russi, che Roberta leggeva senza
posa e senza scelta, fino ad averne l'emicrania.

Ella era ancòra la fanciulla tipica, angariata e deliziata dai sogni
un po' umoristici del romanticismo; si costruiva in testa una favola
di principi e di re, si assegnava una parte nella favola, mutava e
rimutava gli episodii, vivendo, con qualche residuo dei preconcetti
acquei di collegio, in assoluto ritardo, in voluta contraddizione con
tutto quanto era vita intorno a lei.

Emilia, seduta a fianco del letto, tenendo fra le sue una mano di
Roberta, stava sempre attenta ai romori esterni, poichè nella camera
era piombato un silenzio di malattia, che la riconduceva a dieci mesi
prima, richiamando a galla i terrori, le stanchezze, le disperazioni
di quei giorni.

Fuori, a levante e a ponente, i lampi gareggiavano; sulla casa il
tuono si trascinava con lunga eco; di momento in momento, la camera
era infiammata da una vampa lividiccia, cui seguiva il crepitio secco
d'una scarica elettrica. Roberta si drizzava a sedere, guardava Emilia
negli occhi, e ricadeva sui guanciali.

In quei passaggi di pesante angoscia, esse comprendevano, o
chiaramente o vagamente, che nè per loro nè per altri la vita non
aveva indulgenze, che i benigni non esistevano, e che la lotta non era
solo in grandi giorni di battaglia, ma in tutti i meschini giorni
dell'anno, in tutte le piccole ore del giorno.

--È finito?--disse Roberta ansiosa.--Guarda se è finito.... Mi fa così
  male...

Emilia andò a guardare, socchiudendo le imposte. Per quanto si vedeva
da quella finestra sul fianco della casa, l'uragano pareva cominciasse
allora. Il monte di Santa Croce era fosco sotto le proiezioni oscure
della nuvolaglia, e la collana d'uliveti che ne discendeva e si
propagava sul versante, aveva preso il colore sinistro e scialbo dei
giorni di tempesta. Le case a tinte vive, secondo il concetto degli
antichi marinai, i quali da lontano volevano riconoscerle e salutarle,
aspettavano silenziose la cavalcata delle nubi, illuminandosi al
riflesso dei lampi.... E a un tratto, per la violenza del tuono, le
nuvole si spalancarono come porte gigantesche e mostrarono il fulmine
ricurvo, dorato, arme classica e divina, che si sfoderò precipitando
dietro la montagna.... Susseguì il vento, la pioggia sferzò, ora
verticale, ora a sghimbescio, a capriccio del vento, e l'uragano si
stabilì sopra il paese.

--Siamo alla fine,--rispose Emilia, accostando le gelosie.--Come stai,
cara? Va meglio?

La sorella teneva le palpebre calate e sul volto le era scesa una
maschera di sublime indifferenza per ogni cosa mortale.

--Vuoi dormire?--soggiunse Emilia con voce più cauta.

Roberta scosse un poco la testa; ad occhi chiusi sembrava assorta
nell'ascolto del male,--dava tregua o saliva di grado in grado senza
ostacoli?--e il mutismo d'una rassegnazione interamente fisica le
aveva invaso l'anima. Emilia, rimasta a guardarla, fece un gesto
perduto, a sgombrar le visioni di certezza che andavano stringendola
intorno. Con le mani serrate, immobile a' piedi del letto, ella
pensava alla morte prossima; sua sorella doveva morire, forse quello
stesso giorno, soffocata dal sangue rigurgitante nelle caverne dei
polmoni. La fantasia, rinforzata dalla meccanica dei racconti uditi e
delle memorie, dipingeva l'avvenimento, a grandi tratti prima, e poi
ne' particolari più minuti e dolorosi: la donna si sentiva già
piangere e mormorare le parole profonde, dissennate, che echeggiano
inutilmente nelle case tragiche per la morte. Aveva gli occhi fissi al
letto, e lo vedeva vuoto.

--Vuoi il ghiaccio? Devo prepararlo?--ella domandò, scuotendosi e
  avvicinandosi.

Ma a quel ricordo della malattia antica, Roberta alzò faticosamente le
palpebre e negò con la testa. Emilia le toccò il polso, la fronte, le
tempia.

--È fresca; non ha febbre. Non ha mai febbre,--mormorò, quasi parlasse
con le visioni di certezza ch'erano intorno.--È la febbre, da temersi.
L'altra volta l'aveva, ed è stata così male. Oggi non ha febbre; è
fresca....

E se avesse obbedito all'istinto, avrebbe seguitato, gestendo contro
le ombre del terrore: «--Capite, capite, che non può morire? Si
salverà pure questa volta; continueremo la nostra via, l'una a fianco
dell'altra, come ci siamo promesso.».

Non era passata un'ora dalla ricomparsa della malattia, ed Emilia
aveva già smarrito ogni senso della vita abituale, quasi soffrisse da
mesi, da anni. La mattinata semplice e monotona s'era dispersa tra le
memorie bianche; la giovane ritrovava in sè medesima lo stato un po'
febbrile, l'espressione laconica, il gesto attivo e silenzioso dei
momenti solenni.

--Roberta,--disse con l'inesorabile ostinazione della paura,--stai
meglio? Vuoi riposare?

L'ammalata sbarrò gli occhi cercando per la camera: vide la sorella a'
piedi del letto e la fissò a lungo, ancòra con l'indifferenza serena
di chi è già per altre vie lontane e mute.

Poi, senza tosse, senza fremiti, recò alle labbia la pezzuola, e
l'arrossò ampiamente.

--Dio!--esclamò Emilia, accorrendo a sostenerla.

Il sangue sgorgava, non più roseo ma purpureo, una fontana vitale
entro la catinella che Emilia teneva con una mano.

--Coraggio, cara, fatti coraggio,--susurrò Emilia.--È una crisi
momentanea, lo sai....

Il sangue sgorgava, e le due sorelle s'erano avvinghiate intorno al
busto tenacemente, guardando quella vita liquida, quella morte
liquida, cui alcuna scienza umana non avrebbe potuto arrestare. Emilia
era curva sotto un peso invisibile; Roberta non dava segno di terrore,
ma stava rigida nell'attesa fredda e spaventevole, ritrovata fra le
abitudini delle sue sofferenze.

La crisi cessò, il sangue ristette.

--Ti porterò il ghiaccio,--disse Emilia, posando la catinella
insanguinata--Il ghiaccio ti guarisce, non è vero?

Ma non appena uscita dalla camera, traversando il gran salotto
centrale, Emilia s'aggrappò a un mobile. Libera di naufragare nella
disperazione ampia, senza difese, ella vedeva immancabilmente certa la
soluzione; era destinata a seguitar tutta sola la sua strada, poichè
la compagna le sarebbe caduta al fianco fra breve. E per una satanica
raffinatezza della fantasia, una folla di episodii rosei le corse
incontro; e per malvagia associazione d'idee, ella ricordò alcune
pagine lette sbadatamente o alcuni discorsi distrattamente ascoltati
sulla legge di selezione, sulla matematica necessità della morte
precoce.... La fanciulla era senza dubbio inadatta a sostenere gli
attriti dell'esistenza, e portava in sè le mortali ferite d'una
vecchia razza esausta.

Ella pareva essere stata concepita in una notte di nevrosi, per un
desiderio fiacco e metodico: imperfetta opera di due creature
incatenate da vincoli legali e fittizii, Roberta aveva già troppo
resistito alle raffiche forti e alle acute brezze micidiali; poichè,
prima di lei, i fratelli erano stati travolti, e dopo lei, Emilia sola
aveva rievocato il buon tipo originario; e dopo Emilia, i fratelli di
nuovo erano tutti scomparsi in piccola età.

Ora, cotesta differenza di nervi, di muscoli, di forze, aveva più
volte in Emilia risvegliato l'antipatia latente dei sani per i malati,
l'antipatia bruta d'un corpo vivido e fresco per un corpo fradicio e
passo.

--«Tu ti leghi a un mostro,--le susurrava lo spirito loico.--I tuoi
sforzi non serviranno se non a prolungare un'agonia e a trasmetterti i
germi, dai quali per maraviglia di natura ti sei salvata.»

E alla sentenza, che sembrava macabramente scritta con le ossa d'uno
scheletro sulla via sperduta dell'avvenire, tosto succedeva la
reazione generosa, esagerata; e per punirsene, Emilia avrebbe dato
intera l'esistenza propria, e contratto volonterosamente i germi della
malattia atroce.

Poichè il sordo antagonismo non giaceva soltanto in fondo alla sua
coscienza; ma con disperata tristezza erasi dovuta persuadere che
anche nell'anima di Roberta andava cristallizzandosi un rancore quasi
animale contro la sanità e la procacità inconscia di lei, contro il
suo avvenire, contro la facoltà di goder le gioie, cui ella, Roberta,
non avrebbe avvicinato mai.... Certi misteriosi allontanamenti, certi
risvegli di violenta simpatia, nei quali la fanciulla soffocava una
voce imperiosa e sconsigliata, avevano quella sola spiegazione. Mai
come quando le due sorelle si gettavano una nelle braccia dell'altra,
mai come allora eran così fresche reduci dall'odio, mai come allora
avevan sentito passar sulle reni una cosa viscida e molle, che si
chiama ribrezzo.

Anche in quel giorno in cui lo spavento rinasceva con la tenera
sollecitudine, l'istinto oscuro aveva arrestato Emilia, uscita appena
dalla camera di Roberta:

--«Perchè ti affatichi?--le fischiava all'orecchio.--L'ha detto ella
stessa: il suo male ritorna e bisogna ch'ella muoia. Vuoi contrastare
il passo a una legge sovrumana?»

Una scampanellata la richiamò interamente; doveva essere il dottor
Noli, il medico del paese, che con l'esperienza di chi ha visto
innumerevoli casi d'una stessa malattia, aveva fortificato, la sua
teorica mediocre.

Emilia andò ella medesima ad aprire; la mano tremava d'impazienza,
volgendo due volte la chiave nella toppa,

Sul ripiano stavano la cameriera e un uomo, che Emilia non ravvisò
sùbito.

--Il medico non c'era,--disse la domestica.--È andato a Genova; mi
hanno indicato il signore; è medico anch'egli e si trova qui per i
bagni. Ho pregato lui di accorrere; non voleva, ma l'ho persuaso,
perchè il dottor Noli non tornerà fino a domani.... Ho fatto bene? Le
pare?...

Mentre parlava la cameriera, Emilia aveva dato il passo all'uomo.

Cesare Lascaris entrò, mormorando un saluto. Emilia gli gettò uno
sguardo: era alto, elegante, bruno in viso; dimostrava alcuni anni più
dei trenta. La giovane lo conosceva per averlo visto in paese qualche
volta.

--È dottore, lei?--gli domandò bruscamente, guardandolo dritto in
faccia.--Perchè non sta a Genova? Come può essere qui in ozio, se è
dottore?... Si tratta della vita di mia sorella....

Cesare Lascaris consegnò l'ombrello gocciolante alla domestica, e
sorrise tranquillo.

--Se si tratta d'un caso grave, sarà forse inutile perder tempo in
spiegazioni che darò dopo,--rispose.--Non appena giungerà l'amico mio
dottor Noli, gli cederò il posto; ma intanto, se si tratta d'un caso
grave...

Si fermò, annoiato di dover ripetersi, della diffidenza che
l'accoglieva, della penombra che le imposte chiuse stendevano nel
salotto e che gl'impediva di veder bene in volto la sua nemica; ma
l'abitudine gli smorzò sùbito la voce un po' vibrante.

--S'accomodi,--offerse Emilia, vergognosa del primo impeto.--Mia
sorella ha avuto stamane uno sbocco di sangue....

Allora, innanzi di passar nella camera dell'ammalata, Cesare Lascaris
propose una serie di domande imbarazzanti su Roberta, mentre Emilia a
testa bassa di fronte a lui rispondeva precisa e chiara, con una mal
celata animosità contro l'uomo, il quale aveva diritto a conoscere
ogni fatto intimo della vita fisica d'una vergine.




II.


Uno scoglio scabro crivellato dalle trafitte secolari dei marosi, si
tuffava nel mare ardendo sotto il sole: era uno scoglio grigio, su cui
il piede s'incastrava fra le spaccature; spesso era uno scoglio bruno,
quando la spuma crepitante giungeva a superarlo, colando ai fianchi in
piccoli torrenti lattei.

Nella cabina drizzata a ridosso delle rocce sovrastanti alla spiaggia,
Emilia vestì l'abito pel mare; un abito tutto candido, costellato di
fioretti d'oro con le foglioline d'oro; i piccoli piedi ricoverati nei
sandali, ella tentò studiosamente lo scoglio che li afferrava come nel
pugno d'un innamorato; s'avanzò, cercò il proprio riflesso nell'onda,
si buttò a capofitto, sparve, riapparve lontana, tagliando con le
braccia nude l'acqua ritmicamente.

L'acqua! Emilia l'aveva sempre temuta e vi si abbandonava con un
piacere non privo di fremiti.... L'acqua che poteva essere la morte,
l'onda che aveva la forza di dieci leoni scatenati, l'acqua e l'onda
l'attiravano, le parlavano, la cullavano perfidamente, ed Emilia non
sapeva se un giorno non si sarebbero chiuse sopra la sua testa,
eternando la conquista giovanile.

Il corpo di lei, peregrinando nell'abisso tra le gòrgoni, avrebbe
seguito le correnti sotto il piano del mare; con gli occhi spalancati
avrebbe visto gli scafi delle navi sommerse, i resti dei naviganti
deformi e tentacolari per i filamenti delle alghe.... Laggiù avevan
tomba molti cadaveri d'uomini e di donne, ancòra paludati dalle vele
entro le barche, o avviluppati ancòra tra le erbe viscide.... Ma non
godevano quiete e sentivano la vita mostruosa che pullulava intorno a
loro.

Pel brivido che quei pensieri le scandevano sulle reni e sugli òmeri,
Emilia si spinse allo scoglio, lo risalì, e in un accappatoio bianco
dal cappuccio aguzzo stette a guardare la superficie maliarda, un po'
gonfia all'orizzonte. Il sole violento bruciava lo scoglio e la
spiaggia; la donna, i gomiti sulle ginocchia e la testa fra le mani,
tornò a imbrancarsi nel gregge silente delle sue fantasie, delle
memorie senza forma, delle sensazioni vibrate a un tratto nel
cervello, le quali parevano uscire un attimo da una guaina di cose
vissute.

Emilia non era più fanciulla, ma era stata donna per così poco tempo,
che i guanciali del suo letto avevan dimenticato l'impronta d'una
testa maschile e la luce del suo corpo risplendeva nell'alcova
deserta. Era vedova da due anni; ma il desiderio di chiudere la
solitudine dell'anima le faceva sembrar quel tempo assai lontano.

Aveva gli occhi grigi; i capelli neri avvolti intorno alla testa e
attorti presso le orecchie, davano qualche riflesso d'acciaio.

Ella entrava sola nel talamo e sola riposava. Le era avvenuto forse di
svegliarsi nella notte e d'irritarsi per uno di quegli arguti sogni,
che non lascian tregua, popolano la mente di fiamme, soffiano sulle
carni; le era avvenuto forse di stendere le braccia disperatamente
nell'ombra, e di piegarsi ad arco sotto lo spasimo del sogno che
sfiora e sfugge.... Ma giungeva l'alba a quietarla, e il torpore
invece del sonno.... Si guardava nello specchio al mattino, e vedeva
sotto gli occhi puri un livido cerchio.

Anch'ella navigava per un ampio oceano di dubbii; non aveva mai
trovato chi la guardasse senza invidia o senza libidine; stupita che
tutto ponesse capo all'odio o all'amore, avrebbe voluto un senso nuovo
e tranquillo.

I suoi pensieri sfilavano come una torma di volpi azzurre sul disco
bianco della luna; si disperdevano, s'interrompevano, riprendevano
tutto il giorno fra lo svolgersi isocrono d'una vita femminile
incapace a mutar l'avvenire con la sola forza della propria volontà.

Emilia era votata al destino, tremendo nella sua indomabile dolcezza,
che aspetta la donna, bella e giovane. Nessuno avrebbe potuto
dubitarne; un altro uomo sarebbe arrivato a conquistarla poichè era
giovane e bella. Doveva vivere le delizie meschine dell'amore;
traversare le foreste millenarie della passione, che tutte le donne
pari a lei hanno traversato.

Ella non possedeva memorie d'amore, le quali non fossero anche ricordi
di morte. Se si chiedeva chi l'aveva baciata, si rispondeva che chi
l'aveva baciata era morto, lasciando la sua giovanezza in mezzo a un
cumulo di rovine; una chiara fonte in un parco abbandonato.

Ma da qualche tempo i sogni molestavano la sua alcova deserta, e anche
sotto la selvaggia prepotenza della luce diurna, Emilia avrebbe potuto
stendere le braccia e sentir fuggire nell'aria i fantasmi quasi
afferrabili, divenutile crudelmente familiari. Il corpo roseo tra la
pelurie bianca dell'accappatoio sembrava chiamar quei fantasmi,
nascenti dalla mollizie del bagno, ridenti nel gorgogliare delle
acque, un istante prima così funeste e minacciose.

Era la vita, l'anima incoercibile della giovanezza, da cui i raggi si
espandevano con lunga chioma di luce; sciogliendo l'accappatoio per
rivestire l'abito da passeggio, tutto il fulgore delle membra
prorompeva, saliva, stupiva ella medesima.... Quante volte non aveva
sentito che la dimane era certa, e la dissoluzione aspettava ogni sua
grazia mortale, così gelosamente ornata di cure assidue?

Ma il giorno era pigro, lentissimo, in quella campagna marina. Dal
sorgere del sole al calar della luna sembravano passare dei secoli;
dal frinire delle cicale al gracchiar delle rane, era un giorno e
un'epopea di sensazioni. Il mare solo, il cielo solo bastavano per una
sfilata gigantesca di spiriti senza nome.

La folla aveva dimenticato il piccolo paese. Non v'erano alberghi:
visto dal mare era un gruppo e una distesa d'edifici spinti fino
all'ultimo limite della terra, ove l'acqua spaziava o si drizzava
nella furia delle tempeste. Dietro il vivente ammasso di case si
snodava la strada, che dall'altro lato, verso le colline, aveva alcune
ville non illustri, coi giardini grigi per il predominio degli ulivi.

E tutti i giorni Emilia tornava, dal bagno alla villetta, ove
l'attendevano Roberta e le piccole cose le quali aiutano a precipitar
le ore: un libro, una lettera, un discorso con Roberta appena
convalescente, una passeggiata per le camere ombrose. Ma, breve come
un lampo o lungo come uno spasimo, imperava il sogno sognato ad occhi
aperti sopra una poltrona a dondolo; e le due sorelle abbandonate
nelle due poltrone, sognavano ad occhi aperti con le mani sulle
ginocchia in atteggiamento da idoli insensibili; mentre quel tempo
precipitava, che esse dovevano piangere in avvenire per l'ineffabile
attrattiva delle cose perdute.

Dì sera, il giardino era tutto una festa; certi fiori non s'aprivano
se non nell'umidità dell'ombra, ed effondevano un odor vellutato, un
odor misterioso di notte romantica ed antica. Fra i bassi filari degli
aranci, migliaia di lucciole nottiludie trescavano, vibrando i piccoli
lampi verdognoli, alternando la loro luce così, da sembrare la
fosforescenza delle acque sotto i raggi di luna. Erano disposte a
brevi intervalli sapienti; volavano e lampeggiavano ad intervalli,
s'innalzavano fin sopra la casa e ritornavano ai filari degli
alberelli e vibravano la luce mite, che bastava a inebbriarle co' suoi
giuochi puerili.

Emilia scendeva nel giardino ad aspirare il profumo selvatico delle
notti serene. Coglieva a volo nelle mani bianche e sottili qualche
lucciola sperduta e la posava tra i capelli, ridendo in su, verso
Roberta che guardava dalla finestra. I cani abbaiavano invisibili, sui
colli neri; i palmizii non si muovevano per alito d'aria; il silenzio
massimo non era calato per anco sulla terra, ma già i romori
s'affievolivano a grado a grado. In breve il sonno penetrava negli
umili edifizii, mentre tutte le cose non umane proseguivano il loro
ciclo eterno, senza fatica.

Ma innanzi al letto, Emilia si chiedeva s'ella pure avrebbe dormito.
Le pareva che inutilmente la sua alcova fosse chiusa: qualcuno vi
passeggiava in ispirito ogni sera. Inutilmente celava il suo corpo
sotto vesti senza linee: qualcuno l'aveva già posseduto in ispirito e
conosceva l'arco mortifero del suo braccio, ove la testa dell'amante
avrebbe riposato presso il seno.

Le vecchie regole morali che avevano fiancheggiate la sua adolescenza,
e a cui Emilia ricorreva per salvezza, si rivelavano goffe come una
processione di gesuiti attraverso a una folla di donna scarlatte.

Altre volte, ogni formula imperativa era agevole, un sentiero diritto
per una campagna senza sterpi; ma procedendo, a poco a poco la strada
invasa da viluppi d'erba tenace, si smarriva in una palude di verde
sdrucciolo.

E le idee scarne assolute dei tempi rosei mutavano in una fuga di
statue, a cui il cuore appendeva corone di rimpianto o di rimorso....


Così, prima che sorgesse il dramma, la giornata simmetrica si
dissolveva nel circolo del tempo.




III.


Mentre Cesare Lascaris percorreva la strada ineguale, a piccole salite
e a piccole discese, tra il villaggio e Pieve di Sori, Emilia comparve
ritornando dal bagno, per un viottolo di fianco digradante al mare.

Aveva un gaio abito lilla, e camminava con passo così leggero, che non
avrebbe lasciato orma se il terriccio fosse stato di cera liquefatta.
Portava alta la testa, un po' indietro; fra le labbra semichiuse
apparivano i denti candidi.

Ambedue i giovani eran diretti verso Pieve, a una passeggiata; da
parecchi giorni non si erano visti. Emilia gradì l'offerta
d'accompagnarla.

Imperava dovunque una molle rilassatezza. La campagna verde, a
sinistra, inturgidiva sotto il calor sensuale; oltre la strada, a
destra, il mare si stendeva ampio; e tra i due azzurri cupi del cielo
e delle acque, una vela, porporina di raggi, somigliava a una svelta
lingua di fuoco. Era uno di quei giorni frequenti, in cui la complessa
vita d'ogni cosa ha una solennità d'indimenticabile concordia; e dagli
umili ai più alti gradi della scala creativa, tutto gioisce d'un
benessere il quale sembra eterno, senza possibilità di mutamenti,
senza ricordi d'altri stati meno giocondi. Nulla rammentava il tempo,
la parabola triste, la decadenza, la morte; era nell'aria una
galoppata di note ilari, un inno d'oblio e d'impassibilità quasi non
crudele per ogni miseria.

Emilia aperse il parasole bianco a merletti: intorno alla testa e alle
spalle, le sfolgorò uno scudo rotondo, una _parma_ di luce
scintillante.

Ella sentiva la gioia d'essere tra quella pomposa gioia di vita;
Cesare al suo fianco, ritraendosi un poco, la studiava furtivamente.

Parlarono, sul principio, di cose leggère, variazioni di temi comuni
cui era troppo difficile sfuggire in quel giorno: la tranquillità
della campagna, i paragoni tra la campagna e la città, furono i temi.
Poi Emilia parlò di sua sorella.

Percorrevano allora l'ultimo tratto di strada nelle vicinanze di
Pieve; a destra, il muricciuolo di riparo era finito, e sul pendio
scendente alla spiaggia, i pini marittimi svelti s'arrampicavano,
chiudendo tra i naturali intercolunnii le trasparenti chiazze
dell'acqua cerulea.

Emilia, di tempo in tempo, guardava Cesare in volto, ed egli vedeva i
due occhi grigi sotto le ale delicate delle sopracciglia fissarsi in
lui con espressione di grande fiducia.

Molte piccole cose significanti erano avvenute, da quando la cameriera
di Emilia era corsa a cercarlo per supplire momentaneamente il dottor
Noli al letto di Roberta.

Cesare aveva preso vivo interesse alla malattia di questa, aveva
confortato Emilia con parole d'amicizia, le quali eran giunte strane e
inaspettate a lui medesimo; e allorchè Roberta s'era infine potuta
levare, l'opera del buon dottor Noli era parsa alle due sorelle ancor
meno efficace, ancor meno provvidenziale che il soccorso opportuno di
Cesare.

E,--fra le grandi cose,--dal giorno in cui la malattia aveva fatto la
sua ricomparsa, qualche legame non visibile aveva aggiogato le due
donne alla sorte del giovane; l'invitto soffio del destino aveva
sfiorato le tre esistenze.

--Dunque,--domandò Emilia, acuendo l'intensità dello sguardo,--Ella
non crede mortale la malattia di Roberta? Fra tanti medici consultati,
non uno mi ha detto chiaramente si trattasse d'etisia.... Se fosse
altro, una cosa semplice? Non è possibile? Mi dica....

Cesare pensava all'immancabile fatalità che tutti quanti sono a fianco
d'un ammalato s'ingannino sull'importanza e sui progressi del morbo.
Il bisogno di sperare è testardo nell'uomo; e Cesare aveva udito
parecchie volte i consanguinei negar l'evidenza, e gioire del
miglioramento che precede di ventiquattr'ore la morte.

--È possibile, senza dubbio,--egli affermò, dopo essersi interrogato e
risposto che non aveva alcun motivo a mostrarsi rudemente sincero.--La
signorina Roberta è assai giovane, e, oltre questo, ogni momento
s'incontrano dei casi di guarigione spontanea.

--Non è vero?--esclamò Emilia, arrestandosi un attimo.--Essa è uscita
dal letto, passeggia, si nutre volontieri; sta proprio bene.... Come
potrebbe riammalarsi?...

Cesare lanciò alla donna uno sguardo non visto. Quella fede assurda,
quell'inganno puerile, in cui Emilia cadeva, pel solo indizio che i
moribondi giacciono a letto e Roberta era in piedi, commossero l'uomo,
il quale sapeva l'avvenire. Trovò dolce essere assurdo a sua volta e
negar l'evidenza, come una sfida al domani.....

--Non dubiti,--soggiunse,--è certo che altre crisi non si
presenteranno.

--Anche il dottor Noli me lo ha fatto sperare.... Sarebbe così
terribile!--mormorò Emilia, rivedendo con la memoria la giornata di
sangue.--Abbiamo tanto sofferto, l'ultima volta!... ed io ho accolto
Lei in un modo abbastanza strano,--aggiunse mentre sorrideva quasi
umilmente.

Oh sì, in modo strano; lo pensava anche Cesare, il quale per
l'abitudine di ricercar le cause, da qualche tempo andava studiando le
ragioni che lo avevano indotto, a frequentare la casa delle due
sorelle; e aveva creduto trovarne una, nella orgogliosa necessità di
farsi ben conoscere, di mostrarsi migliore di quanto egli non fosse,
poichè ancòra gli stillava nell'animo la ferita dell'ingiusta
diffidenza.

Ma pronunziò sùbito alcune frasi comuni, per rassicurare Emilia sulla
impressione di quella accoglienza; ed egli stesso in fondo all'animo
sentiva una curiosa tenerezza per la ruvidità inabituale, che la donna
aveva mostrato nel terribile giorno di paura e di sollecitudine.

--Roberta è tutta la mia vita,--ella disse.--Quando non vi fossero tra
me e lei così stretti vincoli di parentela, basterebbe la delicatezza
della sua salute per rendermela cara, preziosa.... Per ciò, ho diritto
a sapere, come una madre; ho diritto a non essere ingannata
pietosamente.

Ancòra la franchezza delle parole piacque al Lascaris, quantunque
fosse ben lungi dal riconoscere quel diritto, o almeno la necessità di
obbedirgli.

Ella taceva, guardando alcune donne, le quali andavano a rivendere,
con un canestro di pesce o di frutta sulla testa; due carri uno dietro
l'altro, a quattro o cinque cavalli in fila, romoreggiavano
pesantemente, e nella discesa il freno guaiva sui toni più striduli.
Cesare approfittò dell'attenzione ch'ella prestava allo spettacolo
caratteristico, per osservare con qualche agio la sua compagna.

Appariva tranquillamente superba di bellezza; irradiato dal senso di
equilibrio ch'era in ogni cosa intorno, il volto calmo aveva
particolari squisiti: gli occhi grigi a mandorla ornati di ciglia
lunghe, il naso diritto con piccole narici, la bocca purissima dalle
labbra vive.

Conservava fresche le linee, che il male aveva atrofizzate o guaste in
Roberta; onde, la figura era snella, la elasticità delle membra era
nel passo libero e ritmico, nei movimenti di grazia, nella stessa
curva del braccio e della mano, con cui sosteneva l'ombrellino presso
la spalla.

Infine, coi capelli neri, potenti di attrazione, ella risvegliava
l'imagine di una donna orientale, e ancòra molte imagini di obliosa
mollezza in qualche stupendo gineceo.

--Come si sta bene, qui!--riprese, guardandosi in giro.--Noi volevamo
partir dopo i bagni, ma il dottor Noli....

--Certo,--esclamò il Lascaris vivamente.--Sarebbe pericoloso
ricondurre la signorina a Milano durante l'inverno.

--Per ciò, rimarremo. Ho già prolungato l'affitto per tutta la
stagione invernale.... Il paese è tanto tranquillo....

E s'interruppe, aspettando ch'egli dicesse se partiva dopo i bagni; ma
l'uomo tacque, sembrandogli stranamente che l'annunzio avrebbe preso
un significato d'intenzione.

--Siamo a Pieve,--egli disse, con un gesto alle case, dove la piccola
discesa moriva.--Vuole andare avanti?

--No; riposo un poco, e poi ritorno.

Emilia traversò la strada, scelse un rialzo coperto di spessa erba,
verso il mare, e sedette. Cesare restò in piedi, contemplandola.

--«Com'è bella!»--pensò fanciullescamente.

Per vent'anni di vita vera, e per dieci di professione medica, egli
non aveva conosciuto se non il piacere comune, e s'era fatta
l'abitudine di ricevere le lettere femminili che parlassero d'una
voluttà testè morta, e ne promettessero altre per la dimane.
Dell'amore, nulla più gli era noto: non gli ostacoli stimolanti, non i
contrasti gravi, non alcuna delle condizioni per le quali la necessità
fisica si purifica. Egli aveva appena assaggiato qua e là,
gustosamente.

Ma in quell'ora, a fianco d'Emilia, Cesare cominciava a provare una
specie di deliziosa angoscia, turbato dal presentimento del destino.

--Sì, è molto tranquillo il villaggio,--egli soggiunse,--e ci si
diventa molto pigri. Io non mi occupo di nulla, e non trovo tempo di
scrivere agli amici.

--Io pure,--disse Emilia sorridendo,--non ho che abitudini d'ozio....

Essi erano perduti, dimenticati in fondo al paese. I treni passavano
frequentissimi, trascinando gente ignota a ignote fortune; ma in gran
parte procedevano oltre, e non rimaneva nell'aria se non l'eco d'un
fischio stridente, e qualche latteo globo di vapore.

A mezz'ora di cammino, a Nervi, la vita era già più intensa; la
rinomanza de' suoi alberghi e la bellezza della sua marina vi
chiamavano ogni anno una varia folla di stranieri, malati d'anima o di
corpo, o abituati a climi tepenti.

E intensissima, febbrile, tumultuosa, era la vita a Genova, dove
Emilia, per unica distrazione, si recava spesso con Roberta. Lasciata
la carrozza, le due sorelle andavano a passeggio per le grandi vie e
per le viuzze stipate di botteghe, quasi ad un viaggio d'esplorazione,
su per le lunghe salite, a capriccio, felici quando arrivavan da sole
a qualche altura, che dominasse la città, il porto, il mare ampio e
multicolore. Non conoscevano persona, a Genova; non capivano una
parola dei dialetto serrato ed aspro; godevano di sentirsi forestiere,
e di passare a fianco d'una folla che le ignorava; l'andirivieni della
gente, il frastuono dei carri, la sfilata fitta dei negozii, davan
loro l'idea d'un gran mercato sempre in tumulto; e diversamente che a
Milano, ove sapevano a memoria i nomi delle ditte principali, e
credevano sapere tutte le abitudini della città,--gustavano a Genova
ogni volta qualche cosa imprevista, e osservavano l'ansia della vita
romorosa, estranee come a uno spettacolo. Sul tardi riprendevano la
carrozza per tornare a casa, raccomandando al cocchiere di non frustar
troppo. Esse temevano un poco; ma la gita le divertiva appunto perchè
le discese ripidissime, la strada spesso parallela alla via ferrata,
incutevano un'ombra d'attraente pericolo. Qualche volta, il treno le
sopraggiungeva, rapido e formidabile; e il cavallo, fermo innanzi alle
barriere, drizzava le orecchie, volgeva la testa a guardare.

Era l'attimo più commovente della passeggiata; le giovani si
stringevano la mano, sorridendo. Il mare pompeggiava, solenne di
quieta potenza; le ville davano al paesaggio la nota leggiadra o
maestosa, incensando l'aria coi profumi dei giardini, e tagliando il
cielo puro coi ricami aggrovigliati o con le punte argute degli
alberi. Di frequente il sole era tramontato, e la carrozza saliva
ancòra l'ultima ascesa tra Nervi e Sant'Erasmo; i monelli sulle porte
schiamazzavano; qualche carro, con le ruote pesanti affondate nel
terriccio, ingombrava la strada, e nella penombra risonavano gli
aizzamenti gutturali degli uomini, i tintinnabuli dei muli e dei
cavalli inarcati a trarre il veicolo. Arrivavano a casa, le due
sorelle, quando già i fanali modesti fiammellavano sul verde cancello
del giardino; correvano, salivan presto le scale, trovavan l'uscio
spalancato e la cameriera impaziente. Sulla tavola lumeggiata da
un'alta lucerna a colonna, la tovaglia, il vasellame, le posate
mandavano bagliori; e la serata cominciava, tutta bella d'intimità.
Non v'erano se non i radi colpi di tosse, che potessero mettere sul
volto d'Emilia una nube fugace....

--Vuole che torniamo?--disse a un tratto la donna, alzandosi e
incamminandosi.

Essi ripresero la via, involuti nella sensazione della complessa
irresponsabilità delle cose, la quale sovraneggiava ovunque.

--I suoi amici stanno a Milano?--riprese quindi Emilia, più audace
perchè rifletteva sempre troppo tardi.

--Quasi tutti,--disse Cesare.--Ma veri amici non ne ho: colleghi,
compagni di studii, conoscenze: legami, infine, che non resistono alla
lontananza....

Mandò un respiro di sollievo, perchè gli sembrava d'aver detto molto
con la parola _legami_.--«Avrà capito?»--si chiedeva, studiando sul
viso d'Emilia l'impressione della risposta.

Ed Emilia, che camminava con lo sguardo a terra, parve ergersi più
dritta, liberata da un peso invisibile; alzò gli occhi, incontrò gli
occhi del Lascaris, e si trattenne a forza per non sorridergli.

--«Com'è bella!»--ripensò questi, un po' umiliato di non trovare altro
per lei.

Ella non era corpo soltanto, ma uno spirito, un pensiero, un'anima; e
tuttavia dal cuore di lui non salivano con violento impeto, se non
quelle tre parole, che l'avrebbero fatta arrossire, s'egli le avesse
pronunziate.

Emilia fu punta da un brusco rimorso. Aveva dimenticato Roberta.
Perchè aveva potuto dimenticarla e parlarne tanto poco e non insistere
sulla guarigione inattesa?

Disse allora, con voce tutta diversa:

--Dunque, è ben certo, signor Lascaris, che possiamo considerar salva
Roberta? Non v'è pericolo d'una ricaduta, d'un peggioramento
subitaneo?...

Preso all'impensata, in mezzo a visioni così lontane dalla malattia,
dalla morte, da quella giovanetta, ch'egli considerava col dispregio
compassionevole d'un artista per un bel quadro screpolato, Cesare ebbe
la tentazione abbacinante di gridare ad Emilia:

--«Non legarti a lei; è condannata. Tu sei per la vita, ed ella è per
la morte. Tu hai i diritti di quelli, che il genio della specie ha
creato a tutela della sua purezza, e Roberta ha i doveri di rinunzia,
che il suo male e il pericolo del contagio le impongono».

Esitò un lampo a rispondere, e già Emilia s'era arrestata, esclamando
con voce angosciosa:

--Ma Lei non m'inganna, dottore? Non avrà coraggio di farmi sperare
nell'assurdo, se fra poco?... Non m'inganna, non m'inganna?...

Il grido confermò Cesare nell'assoluta necessità d'ingannare. Le ansie
precedenti una catastrofe sono tutte inutili, e più torturanti per
l'incertezza del giorno e del modo. S'egli avesse detto la verità, da
quell'ora Emilia sarebbe vissuta in uno strazio continuo, col dovere
continuo di portare una maschera intollerabile di fronte all'ammalata.
Quando l'inganno non fosse stato più possibile, egli l'avrebbe
confortata, dimostrandole la carità dell'antica menzogna.

Afferrò dunque la mano stesa dalla donna quasi ad implorare, e
stringendola nella sua, rispose con fermezza:

--Le dò la mia parola, signora, ch'io non dubito dell'avvenire.... La
signorina Roberta è guarita....

--Quanto le sono grata!--esclamò Emilia, riprendendo il cammino a
fianco di lui.

Poscia cedettero senza rimorsi al piacere di parlar di sè, obliando
un'altra volta la fanciulla. Quando passarono innanzi al viottolo
digradante al mare, pel quale Emilia era comparsa e s'era incontrata
col Lascaris, lo guardarono ambedue un istante, e trovarono bellissima
la scorciatoia stretta, impedita qua e là dagli arbusti scortesi.

Parlarono degli amici, figure scialbe divenute più pallide in
quell'ora di porpora.

Emilia descrisse le sue conoscenti, sfiorandole con la satira
femminile; Cesare usò la satira maschile, un po' rude, che aveva
talvolta la gravita d'un rancore; e l'iconografia servì a riempire
qualche lacuna, accennando ai luoghi visti in tempi diversi da
ambedue, e alle persone conosciute dall'uno e dall'altra.

Infine, l'ultimo tratto di strada fu silenzioso, angustiato dal
prossimo breve distacco e dal problema d'occupare la giornata, il cui
inizio era sorto pieno di vibranti speranze, di tremanti desiderii.

Ammirarono insieme il ponte della ferrovia, a cinque grandi arcate, le
quali incorniciavano cinque enormi quadri d'orizzonte, d'azzurro, di
verde e di casupole: sfida insostenibile alla meccanica arte umana.

Cesare accompagnò Emilia fino all'ingresso della villetta,
spalancandole innanzi il robusto cancello che cigolava.

Dall'ombra dei palmizii uscì incontro ai due giovani la figura curva e
malaticcia di Roberta; si avanzava adagio, svogliata, trascinando seco
una folla di disgusti, e fra le mani teneva un gran libro di racconti
fantastici.

La fosforescenza, ch'è nel sorriso e intorno al corpo degli
innamorati, si spense tosto intorno a Cesare e ad Emilia.




IV.


Da quel giorno, i pensieri di Cesare Lascaris si fecero così duttili e
balzani, ch'egli avrebbe potuto comporne un facile poema, se avesse
avuto l'espressione letteraria e la pazienza d'arrestare gli
scoiattoli molleggianti sulle branche della fantasia.

La fantasia gli divenne più elastica, e dovunque gli presentò visioni,
lo deliziò coi gesti ricordati della donna e con la melodia della voce
femminile; il paesaggio gli riapparve asservito alla bellezza di lei;
più che quadro, umile cornice.

E visse tra una flora mortifera di figurazioni sensuali.


Erano gli occhi grigi, ch'egli prediligeva? E i capelli bruni, e la
giovanezza, e il corpo alto, sottile? Sì, era tutto questo.

Nell'animo di lei voleva un'indefinita stanchezza, come per atavismo?
Voleva quell'ingenuo senso della vita, che disarma una donna e la dà
intera all'uomo capace di dominarla? Sì, tutto questo voleva.

Ma tutto questo era in colei, la quale il destino gli aveva offerto
nella solitudine della mite campagna. La sua vista gli aveva dato una
tortura insoffribile.

Sarebbe dovuto passare per la solita trafila, prima di giungere a lei?
Aprirle le braccia, non doveva bastare? Si sarebbe offesa, s'egli le
avesse chiesto un bacio senza averle mai parlato d'amore? La sua
bellezza l'attraeva così, ch'egli aveva vergogna di perdersi in lunghe
e successive preghiere.

Perchè non comprendeva ch'egli l'avrebbe amata sempre? Qualcuno
intorno a lei, poteva farsi amare e rapirla?

Essa era tutti i profumi più voluttuosi, tutti i suoni di una lenta
orchestra invisibile, tutta l'iride dell'amore, tutte le promesse dei
paradisi orientali.

Egli doveva dirle che per lei avrebbe dato il suo sangue, la sua vita,
il suo orgoglìo; che avrebbe abbandonato gli amici, sfidato il mondo,
portato superbo il più greve giogo da lei imposto; che avrebbe
rinnegato ogni fede, e avrebbe avuto la sua sola fede, la sua
religione.

Sì, tutto questo doveva dirle; farla sorridere e pensare, turbarla,
agitare le sue notti con visioni ardenti.

Ch'ella non avesse più requie se non fra le sue braccia.

Che gli giungesse assetata di voluttà. Il bacio dell'uomo le avrebbe
comunicato un sì lungo spasimo di piacere, da toglierle la
percettibilità d'ogni altra sensazione; e il suo corpo si sarebbe
piegato, contorto, allacciato a rosee spire sotto le labbra di lui.

Non doveva essere più nulla di conosciuto, se non una splendida forma
armonizzata dalla passione.


Ma eran parole o intricate formule di magìa, capaci di denudare colei?

Dove le avrebbe egli scoperte, in qual lingua, fra quali documenti di
anime appassionate?

Era dunque possibile che le agili e bianche dita salissero al corpetto
e intonassero la sinfonia classica dei bottoni che si slacciano?


E tuttavia qualcuno l'aveva già posseduta.... Quale uomo? Un uomo
scomparso, travolto nell'eternità, lasciando ad altri, per altri, il
fiore da lui appena schiuso e intravisto.... Ma da tempo sì
lontano--(la voluttà più astuta non lascia traccia se non in ricordi
simili a pigmei, i quali corrano dove son passati i giganti)--da tempo
sì lontano, che il corpo della donna era puro, immemore, e i frutti
del suo seno avevano obliato le labbra tremanti del maschio.


A pranzo in casa di lei, un giorno Cesare potè contemplarla
perdutamente e vivificar le limpide acque della fantasia, in cui
l'imagine d'Emilia si rispecchiò senza più timore di venir cancellata.

Fu un pranzo al chiaro di luna, perchè cominciato assai tardi
aspettando il dottor Noli, che giunse nella penombra del grasso
pomeriggio estivo. La luna, sorta dietro le rocce di Portofino,
interamente rossa in un guazzo rosso a filamenti, era nell'ascesa
diventata a mano a mano pallida, aveva preso la sua espressione di
bamboccio anemico e imbronciato. Al momento di chiuder la finestra e
d'accendere, i raggi entrarono inattesi, le lampade furono
dimenticate, e il pranzo continuò tra il pulvìscolo argenteo.

In faccia a Cesare, Emilia apparve quasi un busto marmoreo.

Pel cielo correvano alcune nuvole fioccose; non velavano ma attutivano
il raggio, facendolo più molle e più serico. La luna restava sullo
sfondo cilestrino a guardar dolente le nubi che sfilavano,
disperdendosi in forme rapide e balzane.

Emilia si levò, mentre sull'astro le nuvole gettavano il velo
traslucido; e si rivolse a prendere un Trionfo d'argento che non
avevan ricordato di porre in tavola. Ritta allora così, col Trionfo
carico di tonde pesche mature e di grappoli d'uva ricadenti, la donna
si fermò innanzi alla finestra, giusto nel punto in cui succedeva alla
gradazione della luce pulviscolare, una più tenue e morbida. Fu
illuminata intera, tra una gloria di bianco lucido, di bianco latteo,
e di bianco....; parve più alta, la testa cinta nel diadema di
nerissimi capelli, gli occhi grigi dilatati dalla notte; una divina
statua.

Cesare fu preso dal bisogno istintivo di parlar sottovoce, d'ascoltar
qualche racconto strano e cadenzato, il quale, come un fresco
ragnatelo d'argento, gli avvolgesse il cuore....

Si rattenne a pena dall'esprimere l'idea bizzarra, per quei due,
Roberta e il dottore, che continuavano a vivere la vita normale. Ma
ebbe il sottil gaudio di penetrar lo spirito d'Emilia, di sentirlo
inebbriato dalla scena fantastica. Anch'ella era lontana dalla vita
normale, in quella sera avvolta nel ricco manto della luna; quasi il
pulviscolo bianco le fosse passato attraverso le carni, dando
all'anima di lei una luminosità maravigllosa, una chiara gaiezza,
quasi ella sorgesse formalmente e sostanzialmente nuova da un bagno di
liquidi metalli....; mentre il dottor Noli e Roberta parevano due
livide caricature, che assistessero senza sospetto al mistero della
duplice ebbrezza, spellando gravemente le turgide pesche succose....

Quella fu la scena prediletta in cui Cesare volle conservare
l'immagine di Emilia, e le limpide acque della fantasia la ritennero
poi per sempre, in uno specchio senz'appannature.




V.


Roberta si svegliava di notte improvvisamente e si ascoltava
respirare: il respiro era tranquillo; sotto la scapola sinistra, il
dolore sordo non rodeva più. Se le piccole macchie rosse, i nuclei di
macchie sul petto e su le spalle non avessero rammentato la minaccia,
il gran male sarebbe parso dominato per intero.

Ma erano tuttavia frequenti le notti d'insonnia con la paura
dell'oscurità, in cui s'annidavano i pensieri che durante il giorno
non osavano prender figura e avvicinarsi.

Roberta stava distesa sul letto, ad occhi aperti; le visioni
pispigliavano nell'ombra, e se ne udiva il passo cauto o il volo
maligno d'arpia; qualche inesplicabile romore nella camera o in
giardino dava tal brivido alla fanciulla, che le tempia le
s'imperlavano di sudore, ed ella era incapace d'allungar la mano ad
accendere il lume.

Talvolta, lungo tutto il litorale, per tre giorni e tre notti di
sèguito urlava il vento; soffiasse dalla montagna o sibilasse dal
mare, aveva una voce straziante d'assassinato, una voce furiosa di chi
scuota la porta per ripararsi, e negli intervalli, una flebile voce di
sarcasmo, la quale prometteva nuovi assalti, nuove grida, nuove
violenze.

La fanciulla dimenticava le proprie angosce e viveva con l'anima al di
fuori, in ispirito nella campagna, tra le chiome convulse degli
alberi, che disperatamente si torcevano e ricadevano nell'aria.

Quando aveva ben teso l'orecchio ad assicurarsi la sinfonia notturna
non fosse soprannaturale, accendeva il lume e si guardava in giro. La
consolavano un poco gli oggetti con le loro forme conosciute, la
tavola, il divano carico di libri, il cassettone su cui posava un alto
specchio; ma a confortarsi meglio, scendeva dal letto e correva a
scrutar dalla finestra.

In quel mezzo-nudo virginale, l'unica bella cosa era la camicia dalle
tinte pallide, coi merletti intorno alle maniche e al collo, col
monogramma dominato da una coroncina senza significato gentilizio.
Sotto il tessuto azzurro si ricoverava la magrezza ch'era quasi
deformità, e fuori balzavano due spalle pungenti: due mani allacciate
con forza intorno all'esile busto della giovanetta, avrebbero potuto
ritorcerlo come un virgulto.

Ella guardava dalla finestra in giardino, cercando distinguere
attraverso la tenebra.

I confusi moti dei due palmizii rispondevano all'urlìo più accanito
del vento, al rombo più profondo del mare; v'era dunque la logica dei
fenomeni e nessuna vittima umana rantolava presso la villa, come
pareva.

La cosa era semplice ma rassicurante; e aprendo l'uscio della propria
camera, la fanciulla volgeva l'attenzione al silenzio della casa; di
là dal gran salotto centrale, la camera d'Emilia aveva la porta
spalancata, la soglia rischiarata mollemente da una rosea lampada
notturna.

Emilia godeva di tale incredulità per ogni cosa non verisimile, che
qualche volta Roberta n'era offesa; l'equilibrio de' suoi nervi era
assoluto e le avrebbe permesso di addormentarsi alla porta d'un
cimitero; gli usci bene assicurati, Emilia non temeva nulla di
soprannaturale, e non ammetteva ciò che sfuggiva alla logica.

Una notte in cui aveva udito lo scricchiolìo lento dei mobili, e il
passo cauto, e il volo maligno di visioni febbrili, Roberta balzò dal
letto e corse alla camera della sorella.

La lampada proiettava sopra Emilia dormente un raggio opaco e calmo;
gli occhi chiusi con le nere ciglia abbassate, la bocca chiusa con le
labbra raccolte a un'immobilità statuaria, le braccia nude e composte
lungo i fianchi, indicavano una pace secura, la vittoria della
giovinezza su gli abituali sogni voluttuosi. Si sarebbe detto ch'ella
si fosse abbandonata al sonno quasi sopra le acque inesplorabili e
serene d'un gran fiume che conducesse al nulla....

Roberta indugiò un istante a contemplarla, tra il rispetto e
l'invidia; ma mentre stava per tornare alla sua camera, rammentò
d'averla lasciata oscura, e si decise.

--Emilia,--disse cautamente,--Emilia, Emilia....--posando una mano sul
braccio della sorella e pensando che se qualcuno avesse chiamato lei
Roberta nella notte, ella avrebbe gettato un grido dì spavento.

Ma Emilia si drizzò a sedere, uscendo dal sonno per entrar con agile
prontezza nella realtà, senza stati intermedii. Le due punte dei seni
urgevano vigorosamente la camicia, quasi visibili; e le lenzuola
abbassate scoprivano la linea del busto fino ai fianchi.

--Sei tu?--chiese con la voce velata.--Che vuoi?... Non ti senti
  bene?...

Roberta esitò, ancòra in contemplazione di quel bianco volto sotto le
trecce nerissime, di quegli òmeri giovanili e freschi; pensò che sua
sorella avrebbe potuto lasciare il letto così, vestirsi, e comparire
fra la gente, senza nemmeno rinfrescarsi il viso.

--Non hai udito un romore?--disse la fanciulla.--Un romore strano?

--Quando mai? Non è possibile: tutti gli usci sono chiusi....

Roberta crollò la testa a quell'argomento di prammatica: Emilia non
ammetteva i romori se non quali indizio di fatti comuni e di persone
vive.

--Avrai udito schioccar la frusta sulla strada,--ella riprese
sorridendo.--A quest'ora ci son sempre dei carri che passano....

--No.... Infine, ho paura,--dichiarò l'altra, più inquieta per quelle
ipotesi, ch'ella aveva già fatto e aveva dovuto respingere....--Ho una
paura terribile.... Mi permetti di dormire con te?... Solo fino a
quando si rifaccia chiaro, solo fino all'alba....

Gli sguardi d'Emilia non seppero dissimulare e percorsero tutto il
corpo infermiccio della sorella, il corpo madido d'un mador
contagioso. L'istinto non affievolito dalla vita diurna si ribellò
all'idea d'un sacrificio senza ragione, per le paure infantili della
ragazza. E, come a spegnere l'espressione di turbamento, girando
incerti gli occhi per la camera, Emilia rispose:

--Che pazzia, cara? Che cosa ti passa per la testa? Sai pure che non
c'è nulla, nulla affatto a temere.... E poi, non abbiamo mai dormito
insieme....

Ma Roberta aveva afferrato lo sguardo e l'aveva compreso con la
sagacità dei malati, sempre vigili a quanto può consolarli e a quanto
può ferirli....

--Hai paura?--disse con un gesto di sdegno, serrandosi nelle
spalle.--Hai paura di prendere il mio male, non è vero?... di diventar
brutta?... Non disturbarti: vado via....

Trovò nell'umiliazione il coraggio per sfidare le notturne
inquietudini, ed uscì prestamente, s'inoltrò nel buiore delle altre
camere, senza curar la sorella, che aveva steso un braccio a
trattenerla.

Emilia restò a sedere sul letto qualche tempo, meditando gli argomenti
offerti dall'istinto egoistico per giustificare il suo rifiuto: poi si
vinse, e gettò da un lato la leggera coperta.

Nella fretta e nel bisogno di buttarsi qualche cosa su le spalle,
afferrò l'accappatoio bianco che giaceva sopra una sedia. Aveva,
l'accappatoio, una sottil fragranza di mare e di sole; conservava fra
le pieghe i sogni luccicanti pullulati dalla mollizie del bagno; era
un emblema di salute e di vigor giovanile. Emilia lo spiegazzò fra le
mani e lo indossò con furia, quasi tentasse far tacere quei ricordi
carnali.

Quando fu nella camera di Roberta, il singhiozzo prolungato e sommesso
della ragazza la guidò fino al letto, e trovatala nel buio, si chinò
ad abbracciarla.

--Perdonami,--disse Emilia;--mi hai colta nel sonno e ti ho risposto
bruscamente; non sapevo quel che rispondessi.... Vedi che sono qui,
ora?... Ti domando scusa....

Meglio sarebbe stato il fatto di coricarsi vicino a lei, di
consolarla, rassicurarla così; ma non appena presentatosi quel
pensiero, l'istinto lo combattè con tutte le forze, come un sacrificio
inutilmente dannoso e forse inapprezzato.

Roberta, aggomitolata e lagrimosa, massa oscura nell'oscurità più
tenera del luogo, non disse parola; Emilia, cercata una sedia a
tastoni, la trascinò presso il capezzale, e vi si sedette,
raccogliendosi intorno l'accappatoio.

Non pensò ad accendere il lume; rimase immota, sentendo calar sul
cuore l'ingiustizia della sorella, che non le aveva aperto sùbito le
braccia. I suoi occhi fissavano la giovanetta oscura e singhiozzante,
o vagavano tra le forme volubili del nero, desiderando invano che il
quadrato della finestra s'illuminasse a poco a poco della tenue alba
estiva.

Il sonno era svanito. Emilia riprese a parlare, e le parole fluivano
nel silenzio notturno, vibranti e squillanti sotto l'onda
d'un'irritazione contenuta.

--Suvvia, Roberta,--disse,--perchè continui a piangere?... Perchè hai
paura di tutto, come una bambina? Bisogna essere meno deboli, più
ragionevoli.... Non ti è mai venuto il dubbio d'essere ingiusta, con
me? E tuttavia lo sei, lo sei troppo.... Io non ho fatto nulla di bene
perchè conto poco sul tuo animo.... Ti ho dato solo dei consigli: ti
ho pregato di condurre una vita più attiva, di non rimaner l'intero
giorno nella tua camera, di non leggere fino a indebolirti; ti ho
pregato di tante cose semplici, che pure ti avrebbero giovato.... Ma
tu sorridi, quando parlo io; la mia buona volontà si spezza contro la
tua diffidenza.... Non ti sembra, Roberta, ch'io abbia diritto a
vivere una vita mia? Ora, invece io vivo solamente della tua, mi trovo
inceppata, schiava, ho sempre timore di spiacerti.... Non me ne lagno;
sarei felicissima se tutto questo avesse un resultato.... nella tua
affezione, per esempio.... Quando sono rimasta vedova....

Il ricordo che le si presentava così repentino l'arrestò a un tratto
perchè le doleva crudelmente. Ella era stata moglie innamorata, più
che affettuosa; l'amore era conseguito dal bisogno di trovare un senso
nuovo intorno a sè, il quale non fosse parso desiderio volgare; e
mentre l'uomo intendeva a crearle l'esistenza sognata, la morte era
sopraggiunta, e ogni cosa erasi ridotta a parvenza d'un'idealità
intravista, d'una rarità avvicinata e scomparsa...

Roberta non piangeva più, ma raddoppiando d'attenzione, tentava
figurarsi il volto e l'atteggiamento d'Emilia. La cercò a lungo con lo
sguardo senza muoversi e scoperse infine una forma chiara, diritta;
ascoltò il rimprovero, pensando che le parole erano inutili e rimaneva
il fatto, il ribrezzo mal celato; s'indugiò con gli occhi a quella
forma quasi chiara e diritta, indovinando l'ombra scesa sulla fronte
della donna.

--Quando sono rimasta vedova....--continuò Emilia, dolorosamente
colpita che Roberta non l'avesse interrotta e l'obbligasse a compiere
la frase,--io ti ho promesso di non allontanarmi da te, e tu mi hai
promesso la tua affezione più devota.... Dovevamo percorrere la nostra
via insieme, veramente da sorelle.... Io non ho ancòra nulla da
rimproverarmi.... E tu, Roberta? Non hai nulla da rimproverarti? Ti
sembra di amarmi quanto ti amo io?... Roberta?... Non mi ascolti?...
Non vuoi rispondere?

Allungò la mano vivamente, incontrò sul tavolino la candela e
l'accese....

La fanciulla appoggiava un gomito al guanciale, stando coricata di
fianco sopra le coperte; alla luce inattesa si rannicchiò dentro la
camicia per nascondere le gambe smagrite. Ella andava macchinando
molte ragioni da obiettare, molte dure e taglienti parole, che avrebbe
pronunziato senza ritegno col favore dell'oscurità; ma il lume acceso
le smagò l'energia necessaria, e le ragioni e le parole si dispersero.

Guardò di nuovo Emilia avvolta nell'accappatoio bianco, da cui
sorgevano il collo tornito e la testa fiorente di vitalità; le gambe
chiuse nelle calze di seta nera erano accavallate l'una sull'altra; e
i piccoli piedi, seminascosti in piccole pantofole rosse. Quello
spettacolo di giovanezza, quella giovanezza piena, la quale pareva
dicesse:--«Io sfiorisco lentamente qui, ma qui non dovrei essere, e il
mio destino è più forte d'ogni calcolo pietoso,»--riattizzarono in
Roberta l'energia per le parole amare.

--Ecco,--rispose chinando la testa a osservarsi le mani, perchè non
osava sostenere lo sguardo interrogativo e dolente di Emilia,--senza
dubbio quanto tu dici è vero; ma io non ti aveva chiesto di ricordarmi
i tuoi beneficii.... Mi sentivo male, stasera, e avevo paura.... Sai
che io sono una sciocca e non ragiono bene come te.... Avevo paura,
son venuta nella tua camera, e tu mi hai mandata via....

--Ma è falso, Roberta!

--No, non è falso: mi hai mandata via.... Perchè? Potresti dirmelo, tu
che mi ami tanto, potresti dirmi il motivo pel quale non mi hai
concesso di passar teco la notte? Non è forse perchè ti faccio orrore,
perchè sai che la mia malattia è probabilmente contagiosa; perchè hai
ribrezzo di tua sorella, infine?...

--Roberta, che cosa dici?

--Hai ribrezzo di tua sorella, e sei stanca di doverle prestar le tue
cure.... Tutto ciò, io l'ho capito, l'ho visto ne' tuoi sguardi, non
soltanto questa notte, ma da tempo, dal giorno in cui ti è venuto il
dubbio ch'io fossi tisica, tisica, tisica!...

Nello sforzo di lanciare le terribili parole, s'era spinta innanzi col
busto, protendendo il collo scarno; e coi capelli sciolti per le
spalle, arruffati sugli occhi, sembrava una magra femmina selvaggia
che gettasse un grido lugubre nella notte; di sotto gli archi
sopraccigliari saettava una corrente d'odio.

--Ascolta, Roberta....,--disse Emilia, sgominata dalla subitanea
trasformazione della giovanotta in una energia fisica, urlante di
rivolta e di dolore.

--No, tutto questo mi fa peggio di qualunque malattia,--seguitò
Roberta senza curare l'interruzione.--Sei venuta a rassicurarmi, dici,
e resti lì, inchiodata sulla sedia, studiando di non avvicinarti....
Se ti chiedessi di stringermi forte fra le braccia, di mettere le tue
labbra sulle mie, rifiuteresti inorridita.... Sei la mia condanna, tu
che mi vuoi bene...! Ah sì, i medici mi confortano, mi dànno a
sperare, ma io vedo che le loro parole sono false, perchè tu me lo fai
capire ad ogni istante, me lo dici ogni giorno, ch'io sono ammalata
per sempre.... E non hai compreso, Emilia, non hai compreso che io non
voglio morire? che ho il terrore della morte, che non posso dormire
per quell'idea? Voglio vivere, vivere, vivere, come te, come gli
altri, perchè sono giovane, perchè ne ho il diritto, perchè....

E senza compiere la frase, spalancando, le braccia nell'aria
disperatamente, mandò tale un grido di rabbia e di desiderio, che
Emilia balzò in piedi quasi una scudisciata le avesse lacerata le
carni.... Corse a Roberta, la strinse pazzamente al seno,
appoggiandone la testa sulla propria spalla.

--Roberta,--mormorò quasi con febbre,--Roberta, non è vero che sei
malata e ch'io ho ribrezzo di te! Come hai potuto supporre?... Vuoi le
mie labbra, vuoi che ti stringa così? Senti che ti bacio? Senti che ti
chiedo perdono, se ti ho dato, motivo a dubitare di me? Dormirò con te
questa notte, dormirò ogni notte con te, purchè tu mi creda...!
Aspetta....

Con la mano che non sosteneva il corpo di Roberta, Emilia slacciò i
cordoni dell'accappatoio e adagiò la fanciulla per coricarsi a fianco
di lei; ma Roberta era pallida e anelante, e la donna tacque a un
tratto, e si chinò a guardarla spaurita....

--Roberta,--disse,--ti sentì male?

--No,--rispose la giovanetta,--ma sono stanca: ho bisogno di riposare;
lasciami sola....

--Che paura mi hai fatto, bambina! Perchè mi hai detto tante cose
tristi? Hai voluto punirmi?

Emilia stava in piedi accanto al letto. Roberta, aggomitolata nella
camicia azzurra, fissando gli occhi in alto, coi capelli sparsi
sull'origliere ascoltava giunger di fuori il ritmo quadruplice d'un
treno, il quale passava soffiando nella tenebra dei campi, lungo la
tenebra del mare.

--Bisogna resistere alle cattive idee,--continuò Emilia;--ho parlato
di te l'altro giorno al signor Lascaris: e anch'egli mi ha detto che
tu sei guarita.... Guarita, capisci?

--Oh, il signor Lascaris dirà tutto quanto vorrai,--osservò Roberta
con un riso stridulo.--Il signor Lascaris non sarà mai sincero con
te, ed io non credo a lui, come non credo agli altri....
Guarda,--aggiunse, facendo uno sforzo per tornare a sedersi sul
letto e rimboccando una manica della camicia,--guarda come sono
ridotta, come sono divorata dal male.... Ti paion queste le
braccia, il petto d'una ragazza di diciannove anni?... Non vedi
quante macchie? Fin che queste macchie non spariscano, io sarò
malata, avrò la morte qui dentro,--e si toccava il seno con le mani
febbrili.--Il signor Lascaris, il dottor Noli, tutti possono ben
parlare: nessuno oserebbe dire a me o a te, ch'io debbo morir
presto....

Si raccolse per seguire a testa bassa l'eco della frase spietata, che
le risonò nell'animo quasi non l'avesse pronunziata ella medesima.

La luce gialla della candela le stendeva sul volto una maschera cerea,
in cui gli occhi vitrei diventavano traslucidi e i capelli biondi si
snaturavano in un pallidissimo color d'ambra; la camicia cilestrina
così mite e ridente sopra un corpo rigoglioso, era sinistra su quel
corpo magro, pareva un drappo ilare avvoltolato per ischerno intorno a
un rigido fantoccio.

Emilia s'era collocata di fianco sul letto, a viso a viso con la
sorella, e la guardava inquieta.

--Non agitarti di nuovo,--ella pregò,--non esaltarti, non è vero nulla
di quanto tu dici....

--Morire, morire, capisci?--continuò Roberta.--Devo morire, presto. Tu
non credi alla morte; tu l'hai dimenticata, perchè sei sana, sei
bella.... Vedi come sei bella,--proruppe in aria di corruccio, mentre,
allungando le mani, apriva ad Emilia l'accappatoio già sciolto, e le
additava il collo rotondo, i seni tondi e duri, che si delineavano,
perspicui sotto la camicia. Emilia si ricoperse vivamente.--E anch'io
avrei voluto essere bella, e piacere.... Ogni cosa è per voi, che
siete belle e forti.... Io devo morire, morire!

La voce, dopo essere stata mordace, era divenuta sommessa,
desolatamente triste, ed Emilia non osò più resistere. Ella s'era ben
detto che doveva consolar la sorella e farla sperare e vincerne i
fantasmi; ma dove trovar le parole di conforto, le quali valessero
quelle parole disperate, e le superassero? Tacque; poi lentamente,
anche la voce di Roberta s'abbassò a un mormorìo lamentoso:

--Avrei voluto essere bella, e devo morire.... Non ho più nulla per
me: non posso nemmeno respirar l'aria che respiri tu, e goder l'ombra;
devo andare in cerca del sole....

--Fatti coraggio, Roberta; sono, idee....--tentò ancòra Emilia.

--Ho paura della morte....

--Perchè vuoi renderci tristi? Sei guarita....

--Ho paura della morte, e ogni giorno, essa può entrare in questa
camera....

--Sei così giovane.... La giovanezza è una forza...

--Quanti muoiono giovani! E come, come, dovrò morire?

--Roberta, Roberta, non esaltarti.

--Ma sono disperata! Non senti la disperazione nelle nostre parole?

--È la notte; domattina tornerà la speranza.

--Sarà peggio; e la morte continuerà il suo cammino, mentre noi
aspetteremo la vita....

--Silenzio, Roberta.... Pensa a domattina, col sole, col mare calmo e
illuminato....

--Tutto questo è così indifferente al mio male! E nessuno, anche i non
indifferenti, potranno giovarmi: dovranno assistere alla mia morte,
senza stendere la mano per allontanarla d'un'ora....

Nascose il volto tra i guanciali, piangendo liberamente; Emilia le
passò le braccia attorno al busto, mettendo il capo presso il capo di
lei.

Così piansero a lungo, rischiarate dalla luce giallastra della candela
elle si consumava: e l'alba trovò le due donne discinte, che parlavan
della morte, a testa china sul medesimo, guanciale.




VI.


La notìzia fu annunzìata con tanto ingenua serenità, che nessuno
avrebbe supposto fosse falsa. Per sospettarlo, bisognava conoscere
l'indole impulsiva di Roberta, la quale non trovava nulla così dolce
quanto inventare un fatto o raccontare una bugia. Qualche volta
rimaneva ella medesima colpita dalla propria abilità, dalla
spontaneità incomparabile con cui repentinamente, minutissimamente,
sapeva esporre una lunga favola di sua creazione; e in un attimo
stendeva una rete di menzogne inutili, sbizzarrendosi a saldar
l'allacciatura dei nodi, che potessero resistere a qualunque sforzo
d'obiezione. Spesso con Emilia aveva fatto il giuoco infantile, ma lo
aveva concluso con una risata, gettando le braccia al collo de la
sorella, e dicendole:--«Non è vero. Ho inventato tutto, per
divertirmi.»

Con Cesare Lascaris lo esperimentò un giorno in cui era piena di
speranze e si sentiva bene e aveva voglia di ridere a spese di
qualcuno. D'altra parte, Cesare non le piaceva: era bruno, coi tratti
del viso irregolari e forti, senza barba, ed evidentemente magro quasi
quanto lei.

--Mia sorella è uscita per il bagno,--ella disse non appena l'uomo
comparve in giardino.--Tornerà' forse fra un'ora.

Poi, mentre parlavano di cose indifferenti, la fanciulla trovò modo di
farvi sgusciar dentro la notizia falsa, a guisa di parentesi:

--.... Lei sa che mia sorella è fidanzata, non è vero?... Lo sa?...

Cesare stava fortunatamente a testa bassa, disegnando sulla sabbia una
serie di circoli concentrici; e sùbito, al colpo non atteso, ricordò
che la professione medica aveva saputo creargli una maschera di calma
impenetrabile, per i casi disperati.

Sollevò la testa, senza batter palpebra.

--Me ne congratulo sinceramente,--rispose.

--Non ne dica nulla a Emilia, però. Forse mi rimprovererebbe....

E per qualche minuto la ragazza continuò a parlare, enunziando tutte
le particolarità del fidanzamento. Si trattava d'un giovane signore di
Milano: il matrimonio sarebbe avvenuto nell'ottobre prossimo, in
Riviera, perchè Emilia non voleva abbandonar la sorella un sol giorno;
quanto a lei, Roberta, sarebbe rimasta presso gli sposi.

Cesare ascoltava immobile, non accorgendosi che dalle mani gli era
scivolato il portasigarette di tartaruga ed era caduto a terra.
Guardava la ragazza, scoprendole a un tratto qualche espressione
profondamente femminile, che gli era sempre sfuggita.

Con una gamba sull'altra in modo da lasciar vedere un po' delle calze,
con le braccia aperte sulla spalliera della panchetta rustica, la
testa portata indietro, le ciglia socchiuse, Roberta era in quel
giorno e in quell'atto molto sessualmente femmina, emanava
inconsapevole un'acredine sensuale, eccitava una cupidigia di violenza
bruta.

Il giovane aveva tentato a più riprese di sviar l'argomento; ma
Roberta era inflessibile, quantunque la mancanza d'obiezioni da parte
dell'ascoltatore le togliesse il meglio del suo piacere; pur tuttavia
seguitò a descrivere il carattere del fidanzato, un uomo eccezionale,
senza confronti.

Infine, Cesare si alzò per troncare la conversazione, e mise il piede
sul portasigarette, che schizzò in frantumi. Fu la sola prova di oblio
completo, ma fu anche quella la quale divertì immensamente Roberta,
che lanciò alcuni trilli di gioia puerile.

--Che cosa fa? Che cosa fa?--esclamò ridendo.--È il suo astuccio!...
Se n'era dimenticato?... Guardi come l'ha ridotto!

Le risatine perlate della ragazza lo ferirono anche peggio. Si chinò a
raccogliere i frantumi, e se li rovesciò macchinalmente in tasca
insieme a un po' di ghiaia e a qualche sigaretta, mentre Roberta
raddoppiava le risatine quasi maligne.

--Deve star molto bene, Lei, oggi?--domandò Cesare.

--Sì.... Perchè?--rispose la giovanetta oscurandosi subitamente in
volto,--Come mi trova?...--Sono pallida?

Tale era l'umile preghiera della voce, che Cesare non ardì spingere
oltre la sua vendetta.

--Appunto,--si affrettò a dire.--Non l'ho mai vista meglio: ha un
colorito splendido.

Roberta mandò un sospiro di conforto, e Cesare si limitò a pensare:

--«Con una parola potrei forse ucciderti.»

Ma sentì di repente che si svegliava da un sogno, e che tutte le cose
intorno a lui avevano ripreso il loro aspetto comune, laddove per
qualche tempo egli aveva visto il giardino grande come una foresta, e
i filari degli aranci profondi come i sentieri di quella foresta.

Nauseato, stava per andarsene quando Emilia sopraggiunse; aveva il suo
solito abito, lilla, e in testa portava un cappello rotondo, di grossa
paglia; le mani erano nude. Cesare la guardò appena, rifuggendo
dall'analizzare anco una volta lo spettacolo di bellezza che non era
per lui; Roberta prestamente gli gettò un'occhiata per implorarlo a
tacere; e la conversazione s'avviò con una svogliatezza inabituale.

--Ebbene, che cosa è accaduto?--domandò Emilia a Roberta, quando
Cesare ebbe preso commiato.--Eravate così confusi tutti e due....

Roberta scoppiò a ridere.

--Ha rotto il suo astuccio da sigarette,--rispose.--Null'altro....

Poi, più tardi, in casa, non potè trattenersi e narrò ad Emilia la sua
menzogna.

--Sono vere sciocchezze,--osservò la donna bruscamente.--Quale
intimità abbiamo noi col signor Lascaris per prendercene giuoco? E
perchè inventare una storia di genere così delicato? È orribile, che
tu non possa vivere un giorno senza dire una bugia, a qualunque costo,
al primo venuto....

Parlava con voce un po' alta, mentre andava preparando alla sorella
una tazza di cioccolata di cui Roberta aveva abitudine; ma le sue mani
tremavano, e con un movimento maldestro rovesciò la tazza di
porcellana e la ruppe.

Per la prima volta, Roberta ebbe a pentirsi quel giorno d'una sua
favola; perchè Emilia andò a rinchiudersi in camera e non si mostrò
fino all'ora di pranzo. Roberta non l'aveva mai vista così agitata:
fosse imaginazione o realtà, le parve che la sorella avesse pianto.




VII.


Si arrampicò per il monte dietro il paese, dove la straducola mancava
del muro, e apparivano, come da uno squarcio, le acque, il paesaggio,
il verde, il grigio.

Là, Cesare sedette; restò a guardar lo spettacolo fantastico, in una
posa d'attenzione totale, sdraiato sopra un piano d'erba, all'ombra
d'alcuni folti ulivi.

E lo spettacolo era così raro, che l'uomo ne fu per qualche istante
tutto assorbito, e cominciò a osservar da lontano, avvicinandosi con
lo sguardo a poco a poco fin dov'egli si trovava.

Da lontano, il mare in un'invasione di luce singolarmente nebulosa e
dorata, aveva smarrito la linea d'orizzonte, unendosi col cielo dorato
e nebuloso; talchè non si sarebbe potuto dire, nella falsa rifrazione,
se le vele piccoline danzassero sul mare, o non piuttosto fossero tra
cielo e mare sospese. In quella sterminata dovizie di luce impalpabile
o dentro le acque animate dal formidabile riverbero, due scogli neri
sorgevano, apparenti e scomparenti a capriccio dell'onda, circonvoluti
da un rigoglio di spuma gialla. Le coste lontane, che nei giorni
d'aria lucida si disegnavano perdutamente, stavan celate dietro il
velario d'oro. Ma verso le rocce violette di Portofino, a levante, le
acque avevan disperso il pulviscolo solare, e una violenta chiazza
azzurra restituiva la solita visione col limite ben netto
dell'orizzonte. Ancòra là, otto o dieci vele bianche, l'una accosto
all'altra, erano farfalle posate con le ale trepide sul pelo delle
acque; e due o tre, più basse, avevano una tinta bruna, quasi la luce
non fosse giunta a tangerle. Così lungi, le imbarcazioni peschereccie,
tenevan forma e significato di giuocattoli; nè si poteva credere
portassero uomini massicci, curvi sul liquido specchio o stesi sulle
tavole umide in aspettazione.

Poi, ad un tratto, diminuendo di molti gradi la lontananza
prospettica, s'apriva agli occhi di Cesare la costeggiante verzura del
paese, fitta e spessa come un vello, in numerose gamme di colore, in
diverse altezze, da cui s'ergevano, i cipressi cuspidali. E ridenti di
bianco o di rossiccio, le case vivevano tra quel magnifico sopore
della vegetazione, che nell'aria calda non muoveva fronda o foglia.

Verso oriente era la chiesa bigia col livido campanile, cui
s'aggruppavano stretti attorno gli altri edifici, i quali a mano a
mano andavan poi disseminati in mezzo al verde, spinti fino al mare,
collocati più alti sul lene pendio dei colli; e frequenti balzavan
fuori tra casa e casa i ciuffi di verzura, i ciuffi argentei degli
ulivi.... Dominava il grigio, per i ciuffi degli ulivi e per le lastre
di ardesia che coprivano i tetti.

Più qua, immediatamente sotto il piano erboso dove Cesare stava, lo
spettacolo era gentile, con due lunghi rettangoli di terra, che un
giardiniere coltivava a rosai; e le rose bianche, opulenti, molte già
sfatte, innalzavano un profumo carnale, potentissimo in quell'aria
pura d'ogni altro profumo. Una cagna volgare abbaiava dietro
invisibili fantasmi, correndo sulla terra grassa a calpestar le foglie
di rose disperse.

Alcuni romori salivan dal paese: il grido di qualche rivendugliolo, lo
schioccar delle fruste, il lamentio d'uno zufolo stonato; così fievoli
tutti, vaganti nel grande spazio, che la lontananza pareva maggiore.

Lentamente le scene diverse si mutarono in imagini d'abitudine, per
Cesare che le fissava con lo sguardo pigro di chi medita cose lontane;
assorbivano la sua attenzione fisica, dando libero il corso ai
pensieri.

La donna amata da lui, era per altri; la plastica di
quell'impareggiabile corpo sul quale i suoi occhi s'eran posati nella
deliziosa trepidanza dell'intuizione, doveva svelarsi intera a un
altro uomo; in un'alcova ignota, la voce d'Emilia sarebbe diventata
intima.... E la sinfonia classica dei bottoni che si slacciano? La
visione della donna soffusa di bianco nel pulviscolo lunare?

Egli si trovava dunque impegolato in uno di quegli amori cui il volgo
definisce, tra il rammarico e lo scherno, senza speranza; e ne
derivava la necessità di gettarsi a capofitto in pieno romanticismo, o
di togliersi per sempre da una strada che cominciava a diventar
malagevole.

Aveva sognato. Qualche particolare dei sogni che inconsciamente era
andato accarezzando in quei giorni, gli tornava alla memoria. Per
esempio, aveva sognato una piccola villa con molti palmizii, addossata
a una falange d'ulivi rampicanti sui colli; e tutto in giro, la
campagna esalava quella serenità, la quale giunge così crudele alle
umane sventure, ed è così piacevole per gli umani egoismi: la serenità
dei grandi paesaggi alpestri, o dei graziosi paesaggi sui laghi
lombardi.... Entro la villa, una voce femminile risonava nell'ombra
moderata delle camere fresche.... In abito purpureo Emilia giaceva
sovra un ampio divano carico di molti origlieri bizzarri; a' suoi
piedi, egli stesso, Cesare, seguiva la voce della donna.... Uno svelto
scaffale da ninnoli era coronato da un alto vaso di porcellana
riboccante di fiori, che cadevan sotto uno spiraglio di luce; il sole
ne irrubinava metà, un angolo di rose e di verbene, tra cui si
drizzava qualche ciuffo di vainiglia.

Questa ed altre ideali concezioni d'avvenire, erano state bruscamente
travolte, poichè non nella villa con molti palmizii, ma la voce
d'Emilia sarebbe diventata intima e flessuosa in un'alcova ignota, per
un uomo ignoto....




VIII.


--Senta! Senta!--gridava la fanciulla, rivolgendosi a Cesare e
additando le ondate furibonde che si gettavano contro la
spiaggia.--Sembrano colpi di cannone!

Cesare e le due donne eran giunti in riva al mare, convulso per il
soffio poderoso del vento, e tutto bianco; eran scesi dalla strada
sulle rocce più eminenti, arrampicandosi dove le onde non potevano
arrivare. Ascoltavano così il rimbombo sordo dell'acqua contro le
cavità degli scogli; un fragore talmente reiterato, che a fatica si
distinguevano le voci.

--È bello! è bello!--esclamava Roberta, aspirando l'aria, e trovando
sulle labbra un impercettibile umore salino.

I riccioli intorno alla fronte e al collo le si scompigliavano sotto
la veemenza del vento; le gonne le si serravano alle gambe; ella
rimaneva forte sul dosso scabro della roccia, sorridendo alla
burrasca.

Dietro lei, Cesare s'era fermato a fianco d'Emilia. Questa,
meditabonda e inquieta, aveva obliato un istante le sue riflessioni
affannose, per ammirare lo spettacolo; ma la vicinanza dell'uomo, il
quale pareva triste quel giorno e d'una tristezza di cui ella
sospettava la causa, le dava un'immensa brama di spiegarsi, di
togliere a sè e a lui dal cuore le punte, che la ingenua malizia di
Roberta vi aveva affondato.

E pensava, quasi tremando:

--«Com'è strano che Roberta stessa ci costringa a parlare! Ella
medesima ci ha offerto un argomento grave e pericoloso. Dovrò spiegare
a Cesare che io non sono fidanzata ad alcuno, che non lo sarò mai,
perchè mi sono votata a un'opera di sacrificio e ho promesso la mia
esistenza alla sorella ammalata. Ma come risponderà egli? Come
accoglierà la mia rinunzia?... La combatterà, certo, e poi non
riuscendo a vincermi,--non riuscirà,--dovrà partire.... Resteremo noi
due, io e Roberta, per sempre....»

Gettò uno sguardo a Roberta e a Cesare, e per la prima volta il
tormento di dovere sceglier presto, inappellabilmente, le si affacciò
all'anima con tutta la sua tremenda potenza.

Doveva sacrificare in eterno l'uno all'altra, e la scelta non le
avrebbe dato mai pace, egualmente non fosse mai avvenuta; perchè la
rinunzia di lei all'amore e alla felicità avrebbe reso più cupa la
dissonanza fra il suo spirito e lo spirito di Roberta; nè ella avrebbe
potuto perdonare a questa l'insanabile spasimo che le era costata.

E con l'orrore abituale in lei per ogni veemente dibattito, guardava
in fronte l'avvenire, il quale si presentava amarissimo, qualunque via
ella avesse percorso; e innanzi al mare fremebondo, alle ondate
gigantesche, al cielo seminascosto sotto nubi tempestose, innanzi allo
spettacolo ribelle, provava l'impeto di gridar la sua disperazione, di
confondere la voce del suo furore inutile con la voce assordante di
quel liquido furore, che si lanciava alla spiaggia, dopo aver già
forse travolto uomini e navi.

--Fa bene quest'aria, signor Lascaris, non è vero?--domandò Roberta,
sorbendo ancòra l'aria pregna di sali.

--Ma non si esponga al vento così,--osservò Cesare, mentre pensava che
sotto la gioia della giovanetta si celava tuttavia la molestia
d'un'idea roditrice.--Venga più qua; si ripari dietro queste rocce.

Alcune rocce grigiastre bucherellate formavano una specie di profonda
insenatura, e drizzandosi fino all'altezza della strada, porgevano un
ricovero naturale dalle raffiche del vento. Nella insenatura profonda,
le onde si scaraventavano una sull'altra bianchissime, andavano a
battere contro il fondo, si ritorcevano, ed erano risospinte dalle
sopravvenienti, con vece assidua, con un ribollir di schiuma più
candida del latte. Lo strepito risonava enorme.

Roberta sedette molto in basso, dove giungevano talora gli spruzzi
minutissimi dei flutti; più in alto sedettero Cesare ed Emilia, e sul
principio Roberta si voltò a guardarli di tanto in tanto, additando
senza parlare i cavalloni, che giungevan da lungi e si precipitavano
entro la piccola baia.

Poi stette, assorta, e sembrò aver dimenticato i compagni, per seguire
qualche suo pensiero non anco definito e infantilmente triste.

--Che cosa Le ha detto, ieri, mia sorella?--domandò Emilia, girando a
un tratto la testa verso Cesare.

Sorrideva, con una fuggevole vampa di rossore sul volto; e bastaron
quel sorriso, l'espressione involontariamente carezzevole degli occhi,
per segnare un passo grande sulla via delle confidenze.

Emilia pensò più tardi,--quando tutto era già per sempre finito e la
sua esistenza era per sempre tracollata negli abissi della
disperazione,--pensò che la sventura aveva avuto origine da quel suo
moto irriflessivo.... Perchè non tacere? Perchè spiegarsi, animando le
speranze dell'uomo, più forti quanto più gravi si presentavano gli
ostacoli alla lustra di felicità, cui l'uno e l'altra sognavano?

Ma ormai, la frase le era sfuggita dalle labbra:

--Che cosa Le ha detto mia sorella?

--Non è vero?...--esclamò Cesare. Gli occhi gli scintillavano, e il
respiro gli usciva dal petto caldo e vibrato.--Non è vero?... Mi ha
detto che Lei è fidanzata.... Ma non è vero?...

La donna crollò il capo, continuando a sorridere, con un senso più
mesto.

--Roberta,--disse,--ha voluto scherzare. Qualche volta passa il segno
e commette delle fanciullaggini; ma è allegra così di rado, che
bisogna perdonargliele.... Non è vero nulla.... E Lei ha creduto? Io
non sono fidanzata ad alcuno; non lo sarò mai, ad alcuno.... E Lei ha
creduto sùbito! Le sembra che io potrei abbandonare Roberta?

Parlava con voce debole, molto commossa, tenendo gli sguardi alla
tempesta; e Cesare le si era un poco avvicinato per non perdere
sillaba.

Il mare ai loro piedi ruggiva.... Spingendo l'occhio oltre
l'insenatura, si vedevan le onde infaticate battere disordinatamente
per tutta la lunghezza della spiaggia, fino a Nervi: e gli spruzzi si
levavano altissimi, aprendosi a guisa di Ventaglio e ricadendo tra il
bulicame della spuma.

--Perchè?--domandò Cesare stupito.--Lei non abbandonerebbe sua
sorella? Innanzi tutto, abbandonare è cosa diversa....

--Più piano,--interruppe Emilia, temendo che Roberta non udisse.

Il cuore le batteva in tumulto, ascoltando le parole divenute intime,
segrete, come già l'uomo avesse confessato il suo amore e già parlasse
per difendere la propria conquista.

Egli aveva sentito nel fondo dell'anima scatenarsi la malvagità
egoistica, per la quale voleva ogni cosa al suo dominio e non poteva
soffrire ostacolo alcuno. S'era fatto un po' pallido, gli occhi neri
lucenti; aveva guardato in basso, verso Roberta, con un lampo d'odio
improvviso.

--Lei vuole sagrificarsi a sua sorella?--continuò, smorzando la
voce.--È impossibile, assurdo; sarebbe mostruoso. Pensi che ciascuno
ha nella vita una strada da percorrere. Nessuno può, nessuno deve
mutarla a forza, per seguire il cammino d'un altro. E a quale scopo, a
chi gioverebbe? Ella sciuperà tutta la vita in una rinunzia inutile,
la quale non sarà forse nemmeno compresa...., nemmeno compresa!

--«Perchè mi parla così?»--domandò in quel punto Emilia a sè stessa,
trasalendo sotto il soffio della scomposta eloquenza. E tentando
sorridere ancòra, obiettò:

--Ma ciascuno ha il diritto di scegliere la via, in capo alla quale
spera di trovare una sodisfazione, un riposo della coscienza.... Non
Le pare? Quella ragazza è attaccata a me, è gelosa della mia
affezione, e non reggerebbe al dolore d'una lontananza, alla rivalità
di un altro, affetto.... Io la conosco.... E Lei pure sa quanto la sua
salute sia debole.... Infine, ho pensato, può crederlo: e ho giudicato
che questo è il mio dovere, e che posso compierlo serenamente, anche
senza sacrificio....

Sì fermò. Giungeva con fragore infernale un'ondata verdastra, alta, e
incontrando i primi scogli, spumeggiò d'un tratto senza rompersi; poi
coperse la spiaggia, si franse, s'ingolfò entro l'insenatura,
conquistando alcuni frastagli, fin allora intatti, della roccia su cui
sedeva Roberta.

--Hai visto?--gridò la fanciulla ad Emilia.--È giunta fin qua su!

--Non sei bagnata?--domandò Emilia con una premura timorosa, la quale
significò per Cesare più di tutte le spiegazioni.

--No, no. Sto benissimo qui,--rispose la giovanetta.

Seguì una pausa lunga. Tutti e tre guardavano la vicenda delle acque
potenti e il cielo giallastro pel riflesso di un moribondo raggio
solare.

--Sono le illusioni solite dell'altruismo,--riprese Cesare, con voce
cauta, piena di fremiti rattenuti.--Il tempo ne fa giustizia, ma
sempre troppo tardi.... E perchè mai, a un tratto, questo
sacrificio?... Perchè non prima?

Emilia battè le palpebre; un pudore ardente le bruciava di rossore le
guance; ella avrebbe voluto riprendere la coscienza delle cose reali e
fiaccare con lo sdegno la domanda ardita; ma dal cuore le saliva un
singulto di smarrimento. Guardò l'uomo in volto e lo vide oscurato
dalla passione dolorosa; capì ch'egli andava dietro ai balzi del
pensiero e li ripeteva, dimenticando il riserbo tenuto fino a quel
giorno e i doveri che quel riserbo gli imponeva. La comprensione della
sua sofferenza incontenibile turbò maggiormente la donna.

--_Allora_,--ella disse con voce spenta,--Roberta non era ammalata.
Ella viveva con _noi_, non aveva bisogno della mia assistenza, nè io
gliel'aveva offerta.... E d'altra parte....

Voleva dire: e, d'altra parte, la dissonanza delle loro anime aveva
avuto principio da quel tempo, appunto; gli occhi di Roberta, da quel
tempo s'eran fatti vigili, gelosi, cattivi; in quel tempo, Emilia
aveva dovuto nascondere la sua gioia, misurarne gli slanci, guardarsi
dalla sorella.... E,--il sospetto era atroce, ma non mancavano i dati
a nutrirlo e a renderlo verisimile,--ed Emilia sospettava che il
giorno in cui la morte aveva visitato la sua casa, fosse stato un
giorno di letizia crudele per Roberta, infine liberata d'una presenza
agghiacciante, d'una minacciosa rivalità.

Voleva dir questo; ed esitava tra il timore di addentrarsi troppo
nelle confidenze più delicate, e la paura di non arrivare a
convincere....

Ma Cesare, obbedendo all'impazienza della sua superbia, scosso dal
ricordo d'un passato che non gli apparteneva e che aveva evocato egli
stesso, interruppe:

--Sì, sì, tutto questo è forse vero.... E, in ogni modo, io non ho
alcun diritto a sapere, non ho alcun titolo per consigliare.... Vuole
perdonarmi?... Perchè discutiamo di queste cose tristi?

--Infatti,--ripetè Emilia,--perchè discutiamo di queste cose
inutili...

La forma brusca con cui l'uomo aveva troncato il sèguito del
colloquio, le dava un cocentissimo dolore. In fondo all'incrollabilità
del suo divisamento giaceva una oscura speranza, viveva il torturante
piacere d'ascoltar le obiezioni di Cesare.

Per dissimulare lo spasimo, chiamò Roberta fortemente, nell'intervallo
fra un colpo e l'altro delle onde.

--Roberta!--disse,--vieni qua con noi. Ti esponi troppo all'aria....

La fanciulla s'arrampicò per la distanza che la separava, dalla
sorella, e Cesare la studiò in quell'atto, mentre s'appoggiava
all'ombrellino chiuso, aiutandosi contro le difficoltà dello scoglio.

--«Non ha un anno di vita!»--egli pensò freddamente.

Poi, a voce alta osservò:

--Come si è fatta svelta, signorina!

Roberta sorrise di compiacenza, e tese la mano ad afferrar la mano che
Cesare le offriva, per valicare l'ultima scabrosità della roccia.

--Ho bevuto tant'aria di mare!--ella rispose, quando fu seduta a
fianco d'Emilia.--Il mare è mio amico; io gli voglio molto bene, ed
esso mi lascia respirare così leggermente!...

Emilia sorrise alla sua volta, con un'ombra di tristezza.

Qualche notte prima, Roberta aveva avuto la febbre e un nuovo sbocco
di sangue, non forte, appena da arrossare la pezzuola; ma lo spavento
s'era ridestato in Emilia, più grave poichè Roberta sembrava
fatalmente illusa, ricca di speranze, e faceva molti disegni per
l'avvenire.

--Questa, è la prima volta che vedo il mare,--seguitò Roberta, con la
stessa volubilità fanciullesca.--Ma ne sono felice. Un altr'anno
voglio andare alla montagna, in Isvizzera.... Andremo, non è vero,
Emilia?... C'è un piccolo paese, con un bel lago, a mille ottocento
metri d'altezza.... Come si chiama?

Cesare ascoltava, rilevando senza pietà il sintomo delle strazianti
illusioni; e Roberta continuò a fantasticare, garrula e variabile.

Aveva dei luoghi lontani una visione romantica, la visione dei giorni
in cui il male non le si faceva sentire, ed ella poteva svelarsi in
tutta la sua giovane ignoranza della vita e della realtà.

Per inconscio paganesimo, si figurava il paesaggio ancòra popoloso di
creazioni mitiche; il mare, la montagna, il lago, la pianura, la notte
ed i crepuscoli, eran gli elementi delle sue predilette fantasie....
Quando la sofferenza fisica e il terror della morte non le strappavano
un grido di precoce disperazione, Roberta s'indugiava tra quei
pensieri panteistici come fra uno stormo di Fauni capripedi.

Ma il chiacchierio febbrile passava sull'anima d'Emilia non
diversamente d'una mano incauta sopra una ferita viva; e per
troncarlo, la donna interruppe:

--Sarà tempo di tornare, Roberta. Il vento arriva fin qui, ed è più
forte....

Il vento rabbuffava ancòra le acque, levandole attorno agli scogli in
danza alterna, senza posa; per tornare, e ripercorrere un lungo tratto
delle rocce, Cesare e le due sorelle aspettavano qualche volta l'onda
si ritraesse crepitando; Roberta salutava con esclamazioni l'impeto
dei flutti, ma procedeva a disagio sul dorso sdrucciolo ineguale dei
massi, e barcollava, e di frequente doveva valersi delle mani....

--No: aiuti Roberta,--disse Emilia a Cesare, rifiutando.--Io non ho
paura.

Ella non aveva paura; guardava le ondate non anco infrante, ricurve,
concave, ergersi lontano, in pieno mare, correre unite in linea di
battaglia, gettare un balzo, valicando i più facili scogli,
ricomporsi, correre di nuovo compatte, arrivare alla spiaggia,
stendersi pianamente lattiginose, echeggiar sonore contro le cavità,
dissolversi, ripiegarsi, arricchir le ondate susseguenti, riattaccar
gli ostacoli; ebbrezza del mare ampio e della goccia imponderabile.

Sull'ultimo tratto, Roberta vacillò, quantunque s'appoggiasse alla
mano ferma di Cesare; egli stava giù avendo superato una costa
rigidissima, e la fanciulla, al sommo, inciampò nelle vesti, non trovò
tempo a riprendersi, e cadde sul petto dell'uomo, che dovette
stringerla fra le braccia.

--Sono salva!--ella gridò, sulla spiaggia, sciogliendosi dal non forte
amplesso inopinato. E rise per confortare Emilia, la quale giungeva in
quel punto. Ma la donna era impallidita, alla rapida scena; non di
paura; per un altro sentimento confuso, per un morso al cuore; e più
da quel sentimento non mai avvertito innanzi, era turbata, che non dal
fatto d'aver visto Roberta fra le braccia di Cesare.

Salirono una breve scala di pietra; poi, arrivati sulla strada presso
la chiesa, s'accostarono al parapetto a salutare di nuovo il mare
tuonante.

Roberta si staccò l'ultima, e rivolgendosi mentre gli altri s'erano,
già incamminati, mandò un grido.

--È orribile!--disse.

Dalla strada provinciale veniva verso la chiesa una coorte di dolenti,
alcuni recando sulle spalle un feretro coperto dello strato di velluto
bruno, con una gran croce d'oro nel mezzo; altri al sèguito,
salmodiando in lunga fila, rivestiti di càmici bianchi o di ampie
vesti nere, il viso tutto nascosto dal cappuccio, ad eccezione degli
occhi; altri, pigiandosi sui fianchi del corteo, in disordine; e la
nuvolaglia tempestosa e l'ora già tarda proiettavano una lunga ombra
sinistra.

Roberta s'indugiò a guardare, accasciata, fissando ostinatamente gli
uomini della Confraternita procedenti in cadenza, grotteschi e
solenni; i quali ridestavano nella giovanetta il terror della morte,
la memoria, di qualche incubo....

--È orribile!--disse ancòra ad Emilia, che tentava persuaderla a
seguitar la via.--Non li dimenticherò più!...

E a Cesare, che pure la rassicurava sorridendo, rispose:

--No, no, taccia! La prego! Lei non sa! Lei non sa!...

Egli non sapeva, infatti, il motivo di quello sgomento.

Tra gli spettri dolorosi della fantasia inferma, Roberta aveva fissa
la visione del proprio cadavere, freddo e rigido, con le braccia
incrociate sul petto, sopra un catafalco ricco di drappi funerei,
presso una finestra spalancata in faccia alla campagna eterna....




IX.


Forse la felicità non è che la simmetria del tempo; l'ora, il giorno,
l'anno, eguali all'altra ora, all'altro giorno, all'altro anno.... La
passione è il disordine, e il disordine è il dolore.

Emilia si divincolava invano sotto l'assillo. Celava il volto in
mucchi di rose rosse, fresche e simili a labbra innamorate; si
chiudeva in lunghi silenzii o prorompeva in risa febbrili.... Neppur
l'alba riusciva ormai a quietarla: neanche il torpore suppliva al
sonno. Cercava i narcotici, che distendono il corpo quasi sopra nuvole
di bambagia.

Fuggire! Pareva quello il sogno più caro alla sua anima.... Era il
formidabile istinto di salvezza, che sul viso del soldato nuovo
diffonde un pallore mortale, e lo fu guardare indietro con immenso
desiderio ai piani liberi e tranquilli, mentre la massa oscura del
nemico si delinea e giganteggia di minuto in minuto.... Fuggire in
qualche paese straordinario, dove il suo cuore avesse potuto
riprendere il battito quieto, dove le sue notti fossero potute
ridiventar calme e senza sogni.... Ma il paese straordinario, il cielo
iperbolico sotto il quale tacciono le miserie, non sono cogniti ad
alcuno. Nella più serena plaga del mondo non s'incontra che tenebra
umana....

Ella avrebbe voluto confessarsi a qualche anima intenditrice. A fianco
di lei era soltanto Roberta, una fantasima ammalata, la quale
trascinava la vita sotto un altro peso, con un altro spettro.... Oh
come le teste giovanili piegavano in quei giorni al soffio delle cose
implacabili, al rinascere infaticato delle visioni! La casa era piena
di silenzio, e le donne camminavano in una lieve nube di
sonnambulismo, senza parlarsi; e spesse volte calava la sera e l'ombra
si faceva sempre più densa e nessuna delle due sorelle pensava a
difendersi da quell'oscurità, in cui l'anima cercava un rifugio
avidamente....

Ciascuna era assorta nelle variazioni infinite del proprio tema.
Roberta, nelle variazioni sul tema della morte; Emilia, nelle
variazioni sul tema dell'amore.... Spingevano e rivolgevano ambedue il
fardello, arrivavano al culmine d'una faticosa salita imaginaria, e il
fardello ricadeva in basso, e le due condannate riprendevano a
sospingerlo, indefessamente così, l'intero giorno.

Emilia era afferrata dalla follia di gettarsi ai piedi di Roberta....
(Roberta non s'era a lei confessata? non le aveva detto il mistero
dello spavento che la divorava?).... E di gridarle:

--«Ascolta, ascolta; anch'io sono malata. Anch'io ho bisogno
d'illudere la mia vita e di snebbiare una visione.... Ascolta la mia
tortura: da notti innumerevoli, non riposo; da giorni e da notti
innumerevoli, un pensiero mi coglie di soprassalto, mi passa traverso
l'anima come una lama infuocata.... Aiutami a salvarmi, Roberta!...
Dimmi in qual modo potremmo distruggere gli spettri della nostra
vita.... Non v'ha un paese di silenzio, di là da quell'orizzonte? un
paese d'oblio, dove tutti vivano in pace solenne e la vita sia una
meccanica semplice, la quale non muterà mai, non sarà mai turbata dal
mistero del domani? Vuoi che viviamo laggiù?... Tu non temerai la
morte; io non temerò l'amore.... Ogni cosa avrà i suoi colori ingenui,
e le notti saranno calme.... Dimmi se v'ha una terra così felice, e
dovunque ella sia, noi la raggiungeremo.... Oh fuggire all'ignoto,
comprendi? sarà la nostra salvezza.... Anche tu soffri il terrore
dell'ignoto; anche tu ti domandi: «Quando sarà? Sarà oggi? Sarà
domani? Quanto manca ancòra?...» Dobbiamo fuggire, per non interrogare
l'anima nostra.... Non v'è un paese dove l'anima tace?».

Ella avrebbe voluto confessarsi, gettarsi ai piedi di Roberta e
piangere con lei, come altre volte.... Ma se la furia del tormento la
spingeva fino alla sorella, e se Roberta alzava gli occhi
interrogativi a guardarla, Emilia sentiva le fiamme salirle alle
guance e alla fronte.... Che pensava?... Colei era la fanciulla, era
la vergine, monda nel corpo e candida nel pensiero.... Poteva
dirle?.... Poteva confessarle?...

Poteva dirle:--«Le mie notti sono più torturanti delle tue; la mia
vita è più spaventevole della tua; la mia giovinezza sfiorisce in un
desiderio vano di sentirmi amata, nell'agonia di trovare un affetto
più caldo, più misterioso, più inebbriante del tuo affetto di
sorella?»;

Poteva confessarle:--«Non so rimanere sola; ti ho promesso di vivere
sempre al tuo fianco, e mi sono ingannata, e ti ho ingannata, perchè
invoco l'amore, perchè invoco la felicità fuori della nostra
esistenza, quotidiana. E so che l'amore esiste, e verrà a cercarmi, e
dovrò rifiutare la felicità implorata?»

Nulla poteva dirle di tutto questo; si rinchiudeva in sè e si smarriva
per le solitudini del dolore.... Oh, come in quei giorni le teste
giovanili piegavano al soffio della sventura prossima!... La catena
delle abitudini s'era spezzata, e nulla le due donne facevano, che non
fosse per ingannare la tenacità del pensiero caparbio. Uscivano a
passeggio, andavano al mare, camminavano pel giardino, aspiravano i
profumi dei fiori, assistevano alle feste del sole, udivano le minacce
degli uragani; e lo spirito invisibile dentro di loro martellava la
domanda:--«Quando sarà?... Quanto manca ancòra?...»--«Non v'è un paese
dove l'anima tace?...»

Gli episodii esterni erano indifferenti. Esse non percepivano con
acutezza se non gli episodii delle proprie ossessioni, i quali erano
senza fine; poichè all'una tutto intorno parlava della morte, e
all'altra tutto parlava d'amore; l'una, in ogni filo d'erba, in ogni
albero, in ogni farfalla, vedeva qualche cosa destinata a scomparire
miseramente, e presto; l'altra vedeva il frutto d'un amplesso
universale, necessario, sacro, divino.

E dopo aver lottato per metodica resistenza, si abbandonavano
perdutamente alla sciagurata voluttà delle inquietudini diuturne,
quasi calando a poco a poco in un abisso pieno di raggi lunari....




X.


Ella aveva passato la notte fra un corteo di sogni lubrici e
maravigliosi che s'innestavano l'un nell'altro, e non finivano.... Le
erano sembrati la carezza d'una mano sagace, uno sfiorar di labbra
ardite, un principio di tutte le voluttà e un'interruzione di tutte,
un invito al piacere e una lusinga ingannatrice, un vellicar di piume,
dalla nuca alle reni....

Da ultimo, sull'alba, s'era vista per una lunga amplissima scala, i
cui gradi erano dissimulati con drappi vivaci così di tinte, così
poderosi nel disegno, che si sarebbero creduta l'opera di molti
artisti immortali. La scala metteva capo a una porta chiusa, pesante
per ornati di bronzo a cesello. Stagnava una grigia penombra....

E sugli scalini,--indimenticabile spettacolo,--seminude o nude, erano
sdraiate numerose femmine di bellezza magica.... Alcune Emilia poteva
ricordar tuttavia; adagiata alla sommità era una, intensamente bionda,
una bionda simile a luce d'oro, a torrente di luce; ed ogni sua
bianchezza appariva, ogni curva, ogni delicatezza di vene
azzurreggianti.... V'era anche una bruna ridente con la grande e pur
deliziosa bocca aperta a uno schianto irresistibile., pel quale più
rosse parevano le labbra schiuse a mostrar denti perfetti.... V'era
una creola, dagli occhi ingenui e larghi.... Ah quei capelli, non
lunghi ma folti, dal torpido profumo, quelle ciocche selvagge che
cadevan dietro le spalle, passavano per le spalle sul petto, e lo
baciavano, attorcendovisi intorno,--quale illustre guanciale, quale
acqua di Lete a tutte le angosce!...

Nessuna parlava, nessuna aveva idea del tempo. Un magnifico silenzio
d'accidia sopiva le donne, viventi d'ineffabile vita animale.

Anch'ella, Emilia, stava tra di loro.... A capo della scala o al
fondo? Non rammentava se non d'avere visto dopo di sè, sotto di sè
altri corpi femminili digradanti in basso, fino a smarrire la
perspicuità delle linee, giù nella lontananza.

Non rammentava se non il turbamento che le era penetrato nell'animo
quando, imbevuti gli occhi di quelle forme e i sensi di quella
invincibile pigrizia, aveva richiamato lo sguardo sopra sè medesima, e
si era scorta nuda, tutta nuda, tanto crudelmente nuda, ch'ella non
aveva trovato fra le compagne se non la bionda aurea la quale potesse
competere con lei d'impudicizia.... Era rimasta sgominata dalla
molesta punta di verecondia; i suoi occhi non s'erano più vòlti a
guardare in giro, e con una mano aveva nascosto infantilmente un
piccolo nèo che le macchiava d'una macchia graziosa il petto, fra i
due seni.

Poi, di repente, all'orecchio le avevano susurrato una parola, qualche
parola imperativa per la quale ella s'era alzata, aveva asceso la
scala fino alla sommità, movendosi, non sapeva perchè, non meno
leggiadramente che se il suo corpo fosse stato protetto dalle vesti.

Nessuna delle donne al suo passaggio aveva sollevato la testa a
lanciarle gli sguardi invidi, che nella realtà le dilaniavano le
carni. Il silenzio e la penombra incombevano dovunque.

Su, a capo della scala, s'era trovata a seguire un essere bizzarra, nè
maschio, nè femmina; il volto era infantile e le membra, come fuse nel
bronzo, erano glabre, neutre.

La strana guida l'aveva condotta in una sala marmorea, radiosa di
luce.... (Emilia soffriva ancòra la sensazione del marmo freddo sotto
i piedi)...., impregnata di fragranze le quali per un attimo le avevan
dato le vertigini.... Un largo bagno tepido, più limpido del
cristallo, si apriva nel mezzo.... Emilia v'era accorsa, vi si era
tuffata: l'acqua emanava globi d'odori floreali e mormorava discreta
intorno al corpo della donna.

Allora la strana guida accosciata presso la vasca aveva dato principio
a narrare le voluttà che aspettavano Emilia.

Quali parole!... Non mai Emilia ne aveva udito di simili...! Quella
bocca dalle labbra piatte, dai denti aguzzi, sprigionava un fiume
incandescente, soffiava un vento infuocato, così le imagini erano
procaci e le parole schiumanti di lascivia.....

Ritta nell'acqua, la quale giungevale poco oltre i fianchi, e con le
braccia stese ai due lati della vasca, Emilia ascoltava: il liquido
mormorìo era cessato, ma salivano ancòra i globi di profumo; la donna
aveva conservato la sensazione del suo corpo lentamente preso da un
tremito di concupiscenza, e degli occhi dilatati quasi ad afferrare le
imagini fluenti dalla bocca del neutro narratore.... Che cosa egli
prometteva? Che cosa raccontava? A chi era ella destinata, a quale non
comune Iddio di libidine inesausta?

Il viso di lei doveva essere purpureo di vergogna, mentre il suo corpo
si dibatteva sotto la scudisciata delle cùpide visioni; più volte
l'aveva scossa l'impeto di balzar dall'acqua e di fuggire; ma la
curiosità di quella facondia sensuale la tratteneva, con le braccia
spalancate e le mani ferme ai due bordi della vasca.... Se il suo
sguardo vagava, sotto di sè ella poteva veder nel liquido cristallino
il riverbero del seno, del collo, del viso, dei capelli diffusi per le
spale; e si sorrideva, e socchiudeva le labbra ad ammirarsi i denti
piccoli ed eguali.

Le parole soffiavano intanto sopra la sua testa, fischiava il vento
infiammato delle promesse lascive.

E come avviene nei sogni in cui la personalità non è morta intera,
Emilia si diceva: «Ora, tutto sparirà; ancòra un poco e potrò
risvegliarmi e rientrar nella vita; dopo questa tortura, tutto
sparirà.»

Invece la forma umana che parlava, l'aveva afferrata intorno al busto,
le aveva passato sul petto, sulle reni, una mano accorta comunicandole
brividi inenarrabili, con una carezza nuova, con uno sfiorar di piume
sulla vibratile colonna nervosa; onde a poco a poco entro le vene ella
aveva sentito scorrere non sangue ma lava, e dalla bocca le erano
sfuggiti singulti di desiderio.... Era balzata infine dall'acqua, le
membra asciutte quasi per magìa e odoranti un balsamo più intenso dei
profumi che esalavano dal bagno.... Pronta per l'amore, era uscita,
s'era ritrovata presso la gran porta chiusa, al sommo della scala
ricoperta di tappeti doviziosi e di femmine o seminude o nude.

Allora (i polsi le battevano più forte, ricordando) s'era incontrata
nell'uomo al cui capriccio doveva sacrificarsi; e sùbito le mani di
lei avevan tentato invano di celare la nudità, ma comprendendo il
malgarbo dell'inutile movimento, era rimasta dritta in piedi, le
braccia lungo i fianchi, a testa china. Ella avrebbe detto che la sua
vita fisica si fosse in quell'istante sospesa; assorta nella
trepidanza dell'aspettazione, solo il palpito del cuore veemente aveva
segnato l'attimo d'angoscia. «Ti guarda! Non temere; sei bella.» Ma
alzando gli occhi, un grido le era sfuggito. L'uomo sorridendo le
aveva preso una mano appena per l'estremità delle dita. Ella non aveva
visto di lui se non lo sguardo; ma non s'era ingannata, o colui che
doveva possederla era ben lo stesso ch'ella amava nella realtà d'ogni
giorno. Il misterioso lavacro l'aveva così preparata all'amore di lui;
il canto fescennino ricco di promesse infernali le aveva trasfuso il
fuoco nelle vene, perchè ella gli fosse potuta giungere assetata di
voluttà, perchè non avesse più avuto requie se non fra quelle braccia,
perchè il suo corpo si fosse piegato, allacciato a rosee spire sotto
le labbra dell'uomo; perchè non fosse stata infine più nulla di
cògnito, se non una splendida forma armonizzata dalla passione.

Ed aveva seguìto l'uomo con la tremante gioia di essere costretta alla
felicità.

Ma qual terribile cosa, quale scherno satanico era avvenuto poi?

La donna bionda, a sommità della scala, si era gettata fra le braccia
dell'amante, ed egli, sollevatala in un amplesso gagliardo, l'aveva
raccolta trasportandola via.

Sulla soglia della porta invarcabile, Emilia era piombata in
ginocchio, senza il conforto delle lacrime.

Risvegliatasi dal sogno, ella girò gli occhi per la camera. La lampada
notturna era spenta, e l'alba entrava dalle finestre.

Nella mente della donna, le inconfessabili promesse cantate al suo
fianco nel bagno eran rimaste intatte, quasi scolpite sopra tavole di
bronzo; e avrebbe potuto ripeterle in un giorno di delirio; e le
davano ancòra un brividìo di cupidigia e di spavento.

Ora, con le membra estenuate di fatica, dopo il sogno molle e focoso
non aveva tardato a riaddormentarsi, cercando una tranquilla pace; e
sùbito avevan ripreso le figurazioni di malìa.

Erale parso le si fosse aperto innanzi un libro dalle pagine
smisurate, sulle quali le imagini raggiungevano quasi la dimensione
delle umane sembianze; i fogli passavano adagio, svolti da una mano
occulta.

Inutilmente Emilia, aveva tentato di staccarne gli sguardi. La
curiosità era viva; attraente il mistero dei gruppi figurati, e la
donna aveva finito per guardare ad una ad una le pagine enormi,
seguendo tutta la liturgìa d'amore, che di foglio in foglio diveniva
più mordace.

I margini erano all'intorno carichi di ornati massicci, spesse volte
intrecciantisi con l'imagine principe, avviluppandola in tale rigiro
di draghi, di convolvoli, di èdere, di gigli e di grifoni, che il
disegno centrale si faceva oscuro.

Sfilava, in principio, una serie di ritratti femminili; teste di
donne, classiche nelle vicissitudini amorose, delineate con gagliardìa
fino al busto sopra uno sfondo turchiniccio. Ognuna portava, o negli
occhi, o sulle labbra, o sulla fronte, una stimate vigorosa di
passione; ognuna aveva, in diverso grado ed espressi con diversa
perizia tecnica, il senso di vitalità esuberante, la luce
incontenibile, palese sul volto delle donne che amano l'amore e gli si
dànno senza limiti.

L'iconografia partiva da tempi lontanissimi e procedeva attraverso
tutte le epoche, attraverso tutte le nazioni. Vi erano dapprima alcuni
tipi di femmine quasi selvagge, probabilmente fantasticate
dall'artista, meglio che ricordate in una qualunque storia: seguivano
di mano in mano tipi più calmi ed evoluti, i quali avevano qualche
legame di somiglianza con le prime, nella manifestazione di un non
comune calore; e spesso i simboli mitologici rammentavano la loro
divinità, o un diadema sui capelli indicava la loro origine gentilizia
o regale.

Dai margini, i capricciosi avvolgimenti degli ornati concorrevano
talvolta a portare una nota originale, allargandosi dietro le teste
gentili a guisa di verzura iperbolica, formando con quei visi eburnei,
e quei capelli bruni e fulvi uno stridulo contrasto, creando nuovi
intrecci o qualche coppa non mai veduta, da cui sorgevano e la testa e
il busto, sveltamente.

Eran così forse passate centinaia di ritratti, ed a similitudine di
rapide meteore avevan lasciato negli occhi d'Emilia una pertinace
luminosità, lo strascico di molte scintille.

Concludeva la serie una figura di donna,--questa, tutta intera da capo
a piedi--con intorno al corpo e sulle reni avviticchiato un mostro
ributtante, verde, in forma di ragno smisurato, gli occhi
fosforescenti a fior di pelle; il quale teneva confitti i suoi
tentacoli nella carne viva della femmina, passandoli sopra le spalle a
serrarle anche i seni ed il ventre in un abbraccio furioso. I
tentacoli possedevano un rilievo quasi tattile, e la bocca era
tremenda, appoggiata alle reni della vittima, da cui suggeva sangue e
midollo. Ancòra dritta e prona innanzi, la donna s'affaticava a
divincolarsi dall'amplesso viscido, e con le braccia stillanti gocce
porporine, resisteva alla stretta che la soffocava. Sul volto,
l'impronta di raccapriccio era formidabile, la bocca aveva un _rictus_
di strazio, gli occhi schizzavano dalle orbite, e dietro la schiena la
chioma nera s'avvolgeva attorno alle branchie del mostro orrendo.

Non pareva, quello, il simbolo eterno delle anime passionali? Non era,
il mostro, una cupidità salda ed ostinata?

Ma lo sgomento del dramma terrifico era sfumato in Emilia al
succedersi di pagine liete, in cui una fantasia senza confini aveva
trovato un'espressione priva d'esitanze.

Le scene si svolgevano dissimili, gli abbracci strani e contorti, i
gruppi numerosi.

La dormente non riusciva ad afferrarli tutti. Il cuore aveva rialzato
il battito, una morsa di ferro le aveva attanagliato la gola, e con
gli occhi immobili nel sogno ella stava a scrutare.

Che cosa avveniva?

Un caos, un turbine, lo straripare di un torrente in dirotta; ed ogni
scena pareva di prim'acchito semplice e casta; a ciascun foglio, si
sarebbe detto che la fantasia stanca si fosse compiaciuta di un
riposo, disegnando idillii ed atteggiamenti pudichi.

Ma le linee si spostavano sotto gli occhi della spettatrice; il
quadro, in cui eran raccolte le cose stridenti che nella realtà si
escludono e nel sogno si sposano con tranquilla inverosimiglianza, il
quadro scopriva presto, il suo concetto afrodisiaco.

Corpi femminei e corpi maschili, antichi mostri e simboli nuovi
foggiati dall'ingegno balzano, contorni sfrontati, figure d'una
temerità insultante, ogni creazione sfolgorava linee di demoniaca
audacia.

Strette le mani, stese le braccia, aggomitolato il corpo
spasmodicamente, Emilia convergeva nel sogno gli sguardi immobili, la
bocca un po' schiusa al respiro tronco.

No, ella non avrebbe mai supposto una sì lunga scala di secreti
piaceri....

Inorridiva, e soffriva la tentazione di ridere senza fine,
d'atteggiare la fisionomia al ghigno lubrico onde si illustravano i
volti degli ossessi, che le sfilavano innanzi e le si accavallavano
nella memoria. Provava l'ambascia di un solletico mortale, abbinata
colla sensazione dolorosissima della nuca, ove l'epidermide sembrava
ristringersi gradatamente. Non poteva gridare, nè di spasimo nè di
rivolta, e tuttavia aveva informi nel cervello lo parole, e le si
aprivano le labbra e si movevano invano.

La fatica greve dell'incubo, la luce ormai chiara che, tormentandole
gli occhi chiusi, arrossava anche le imagini, finirono con lo
spossarla.

Ella vide ancòra passar due Centauri, maschio e femmina, rapidamente
in una prateria soleggiata; dell'una, intese con la vista una grossa
treccia bionda, il petto superbo; del Centauro, la rincorsa avida, il
raggiungere, l'impennarsi....

Poi il corpo d'Emilia si ribellò a un tratto, inarcandosi come un
vimine che brucia....

Ed ella battè due volte con le reni sul piano del letto....




XI.


Sembravano due ragazzi accaniti in una gara ingenua, ed eran due odii
che si cercavano, una coppia che travisava la lotta dei sessi, la
quale finisce con un abbraccio, e qui non aveva speranza di finire se
non con qualche impreveduta violenza. Tale era divenuta a poco a poco
l'intimità fra Cesare e Roberta, che il dottore e la fanciulla non si
chiamavano più coi nomi loro, ma con nomignoli bizzarri. Cesare per
Roberta era «pipistrello», e Roberta era «cavalletta» per Cesare.
Trascinato dal giuoco, egli s'era fatto più audace di lei, ed ella
doveva talora cercare un cantuccio nascosto del giardino per leggere
in pace i suoi libri; dove il Lascaris arrivava, agitando in aria un
grosso ranocchio o un ispido vermiciattolo, minacciando di
gettarglielo sulle vesti. Stavano in agguato delle debolezze
reciproche per cavarne il tema a uno scherzo o a un'insolenza; si
disegnavano il ritratto sopra un pezzo di carta, prodigando linee
buffonesche, musi spaventevoli, capelli incolti; le fogge di vestire
non isfuggivano alla critica; l'inesperienza di Roberta a descrivere
una scena e ad esporre un lungo racconto, offriva a Cesare
l'opportunità di contraffare la ragazza crudelmente. Sentivano nella
implacabile guerriglia una attrazione quasi sensuale, aspra. Cesare
aveva bisogno di tutta la sua prudenza per vigilarsi, per costringere
lo scherzo entro i confini e non eccedere.

Illuminata dal male, Roberta appariva certi giorni veramente bella: un
viso bianco e giovanile, che già si piegava a scrutare i vuoti abissi
del nulla, un corpo fragile di cui Cesare conosceva quasi intere la
forma e l'attraenza.... Poi, la giovanetta, anelante alla bellezza, si
faceva di ora in ora più seduttrice, con molta incoscienza, la quale
era un'altra seduzione; e nel giuoco sfoggiava una naturale arte
femminea, dando alla voce alcuni coloriti di preghiera e d'ironia, che
vibravano a lungo e sembravano commuovere lei medesima. Si vestiva con
cura minuziosa; aveva strappato a Emilia il permesso di portare gli
orecchini di brillanti e i gioielli inibiti ancòra alle ragazze.
Attillata, guantata, coi cappelli fantastici allora in moda,
vivificata e rosea per la piccola febbre che la distruggeva
lentamente, somigliava qualche volta a sua sorella, e, predestinata
dalla malattia, qualche volta era di sua sorella più capziosa.

--Non Le sembra,--aveva detto a Cesare un giorno, in cui era scoppiato
il temporale, e voleva ottenere ch'egli chiudesse la finestra, alla
quale ella non osava affacciarsi,--non Le sembra che La preghi
deliziosamente, con una voce da sirena?...

Aveva intrecciato le mani, composto il viso a timida umiltà, pel
timore che il Lascaris non si giovasse dell'incidente a vendicarsi
delle spesse cattiverie di lei....

Ma quella sera eran giunti anche più oltre. Per difendersi dal
fulmine, Cesare aveva suggerito a Roberta la consuetudine dei
pusillanimi che si nascondono nudi fra due materassi....

--È un'idea,--aveva aggiunto, incapace a frenarsi.--La provi.
Supponiamo che il fulmine cada nella sua camera, mentre Lei è così al
riparo; non imagina che gioia, che trionfo?

Aveva taciuto un attimo; quindi, pazzamente:

--Badi però di non dimenticare in quale posizione Ella si trova.
Sarebbe piacevole che balzasse fuori dal nascondiglio, tutta nuda, e
venisse ad annunziarmi gravemente il pericolo scampato!...

Andare da lui, tutta nuda? L'imagine s'era presentata assai monca alla
fantasia della giovanetta, ed ella non vi aveva visto se non la
comicità o il ridicolo; per questo, mentre Cesare già si mordeva le
labbra, risuonò nella camera una lunga risata, e Roberta concluse
negligentemente:

--Sì, sarebbe piacevole, Pipistrello!...

E fu tutto.

Il Lascaris la tormentava con una gragnuola di proverbii, stroppiati,
confusi, mescolato il capo dell'uno con la coda dell'altro; e
interrompeva le parole di lei per lanciare due o tre sentenze così
grottescamente camuffate, ch'ella ricordava e ripeteva.... In tal modo
infilavano discorsi strani, scintillanti qua e là di qualche lampo
d'arguzia spontanea.

Poi, di repente, l'un dei due si faceva serio e parlava di cose gravi;
ciò avveniva più spesso alla presenza d'Emilia, la quale aveva
assistito in parte al nascere della confidenza inaspettata, e non
sapeva giudicarla, attonita. La conversazione diventava saggia, ma
variata per le immancabili puerilità di Roberta; discutevano del
matrimonio, dell'amore, in termini poco definiti, perdendosi. Cesare
non poteva esprimersi compiutamente; Roberta non aveva dell'amore se
non l'idea romantica; Emilia era distratta e nervosa. Seguitavano fin
che l'abitudine della quotidiana guerriglia non li avesse ripresi, e
l'uno non avesse dichiarato l'altra incapace a qualunque ragionamento
più volgare.

Ma con abili scandagli, il Lascaris era riuscito a stabilire che,
sebbene romantica, l'idea dell'amore era completa in Roberta. Senza
madre, non vigilata da Emilia se non materialmente, in dimestichezza
stretta con altre fanciulle, Roberta sapeva e indovinava con una
perspicacia talvolta contradditoria. Non arrossiva mai fuor di
proposito; sapeva benissimo, ad esempio, d'essere vergine, e ignorava
in che cosa la sua verginità consistesse.

La conversazione seria assumeva una vivacità estrema. Cesare si levava
in piedi, camminava pel salotto, parlava come innanzi a un avversario
che si deve convincere.

La fanciulla ascoltava e prendeva poi la parola ad esporre i suoi
dubbii; la facondia dell'uomo le smagava i sogni e le toglieva il
concetto abituale della vita. La spauriva l'insistenza di Cesare nel
definir nettamente i termini della lotta, una cosa nuova per lei,
orribile nelle sue forme infinite. Ella aveva sempre considerato
l'esistenza uno scambio d'aiuti e una gara d'arrendevolezze; non
poteva piegarsi a credere specialmente nel male e a diffidare del
bene.

Le discussioni davan luogo anche a qualche episodio.

Una sera in cui parlavan di matrimonio, Cesare aveva chiesto a Roberta
quale sarebbe stato per lei il marito ch'ella avrebbe idealmente
scelto; e come la fanciulla non sapeva sbrigarsene sùbito, il Lascaris
seguitò, con una fievole punta d'ironia:

--Vediamo, per esempio: io so che sarei un marito eccellente. Se io,
dunque, la domandassi in isposa, Lei accetterebbe?

Emilia drizzò il capo, sussultando. Roberta esitava; nonostante la
confidenza, ella soffriva sempre innanzi a Cesare un po' d'impaccio, e
finita la febbre dello scherzo, era ripresa dalla tema d'offenderlo.
Infine, si decise:

--No,--disse.--Rifiuterei. Non è abbastanza idealista.

L'osservazione fece ridere il Lascaris, forse perchè si sentiva
colpito a fondo; ma Roberta aveva nascosto una verità più cruda. Per
lei, Cesare era brutto, ed ella pensava che la bellezza era quanto si
doveva cercare e portare nel matrimonio.... Ah, la bellezza eterna e
l'eterna giovanezza rappresentavano la fantasia carissima fra tutte
alla fanciulla! Solo aveva sguardi per istudiare il volto degli uomini
e delle donne, la maniera di vestirsi, gli atteggiamenti e le
espressioni....

--Hai visto che begli occhi?--domandava a Emilia, quando
passeggiavano.--Hai visto che bella figura?...

Cesare coglieva il momento in cui passava, qualche deforme, per
chiedere alla giovanetta:

--Ha visto, che bel naso?

La bellezza era il riflesso d'una grande bontà; le anime belle non
potevano stare se non in bei corpi; e non era questa l'opinione più
bambinesca di lei: arrivava fino alle ultime puerilità, fino a credere
una persona elegante assai superiore ad una dagli abiti modesti.
L'ingegno doveva avere un paludamento visibile.... E poi, con
un'inflessione di voce, con un nonnulla nel gesto o nella posa,
risaliva all'altezza della donna e alla scienza della seduzione.

Di tratto in tratto, il Lascaris aveva per l'inconsapevole morente un
lampo di vera tenerezza; la consigliava e la correggeva, quasi una
sorella....

--Andiamo, selvaggia! Andiamo, cavalletta, si tenga bene sul busto,
porti alto il capo.... Su, un poco d'energia, Lei che vuol essere
bella! Perchè s'incurva così?

--Non posso, mi lasci: sono malata,--rispondeva la fanciulla, ora
distrattamente, ora con un'esclamazione di strazio indimenticabile.

--«Sì, non ha un anno di vita,--pensava il dottore.--Perchè la
tormento?»

La condanna crudele, senza scampo, dava giusto al Lascaris tanta
libertà con Roberta. I suoi discorsi non interamente scettici, ma già
troppo scettici per l'inesperta ascoltatrice, la sua intimità ardita,
pericolosa, la quale nessuno sapeva fin dove sarebbe giunta, avevano
scosso lui medesimo; e non si liberava dal dubbio di coscienza, se non
pensando:

--«Muore: non ha dimane. Sarà almeno vissuta.»

Salvare la fanciulla non poteva; crescevagli l'odio per quel fragile e
infrangibile ostacolo alla sua passione; e tuttavia avrebbe voluto
accendere la moribonda giovanezza di Roberta, non lasciarla spegnere
così, semplice larva. In lui, simile tentazione non era nuova; spesso,
innanzi ai casi di fatali malattie con prògnosi sfavorevole, s'era
sentito spinto ad avvertir l'ammalato. Avrebbe detto volentieri:

--«Voi avete diritto a vivere diversamente da noi, che siamo sani e
rappresentiamo l'esempio e l'avvenire. Toglietevi dal volto la
maschera, gettate lungi l'ipocrisia atavica. Siete liberi!»

E pensava al terribile spettacolo di quei morituri, che avrebbero
traversato il mondo in cerca d'una plaga serena, ove sfrenar la rabbia
degli ultimi piaceri.

Ma se in tutti gli altri casi l'uomo era stato vinto dal medico, egli
per Roberta non era più il dottore che compiange e passa: aveva rapito
a Emilia qualche cosa delle sue ribellioni contro il male.

Indi, il combattente si rialzava improvviso da quelle prostrazioni
sentimentali. Egli voleva Emilia; ogni giorno il bavaglio imposto al
suo amore lo torturava vie più; Roberta doveva morire, poichè era
l'ostacolo.... Cominciava anzi a sospettare che la fanciulla si
prestasse all'anormalità dell'imprevista confidenza non per altro se
non per distrarlo e sviarlo dalla sorella.... Lo infiammavano allora
l'inquieto egoismo, la caparbietà di raggiungere un fine con qualunque
mezzo.... No: no: egli non si lasciava sviare.... La tentazione era
forte, senza dubbio: si sarebbe detto che la febbrile audacia di
Roberta dèsse l'adito a tutte le speranze. Ma Cesare nelle sue
inclinazioni, per indole e per sapere era normale: amava la sanità
quanto la bellezza, e non poteva cader vittima d'un inganno momentaneo
dei sensi.

Il giorno stesso in cui aveva secretamente fatto pervenire a Emilia
una lunga lettera appassionata, fu attentissimo a Roberta, fraterno.
Il cuore gli batteva in petto, da spezzarsi; quando Emilia comparve
taciturna e pallida, egli si sentì così goffamente intimidito, che non
osò guardarla in volto, nè dirigerle la parola.

Dovevano recarsi il giorno appresso a una gita, a Mont'Allegro. Vi
andarono, salendo da Rapallo al monte, Emilia sopra una quieta
giumenta, Roberta con un asinello piagato che l'aveva commossa sino
alle lacrime, quantunque avesse poi finito col batterlo; e Cesare a
piedi.

La guida, un ragazzotto esile e sciocco, li esilarò co' suoi
spropositi di storia e di lingua. Dava a Roberta il titolo di signora,
credendola moglie del Lascaris, e di signorina a Emilia, ch'egli
supponeva la cognata di Cesare....

--Signora, signorina, è poi lo stesso,--egli comentava col
dottore.--Io, di queste mariuolerie non m'intendo....

La fanciulla rideva a gola spiegata; anche Emilia trovava qualche
sorriso; Cesare stava presso la ragazza, lasciando la guida a fianco
della donna.

Roberta era a cavalcioni della bestia; per un malinteso, mancava la
sella acconcia, e la giovanetta aveva bravamente inforcato la sua
cavalcatura.

--Su, ritta: i gomiti ai fianchi; nella staffa, appena metà del
piede,--suggeriva Cesare, fingendo una partita d'equitazione.--Non
tormenti il puro sangue colle redini del morso: andiamo, trotto
leggiero! Battute giuste in sella!...

--Oh, insomma,--gridava Roberta, irritata e ridente.--Vuol lasciarci
tranquilli?...

A poco a poco, le dolsero i ginocchi: la presenza del Lascaris la
impacciava, togliendole la libertà di mutar positura. Infine, poichè
l'asinello s'era fermato a brucar tranquillamente l'erba, ella riprese
la sua arditezza infantile e pregò Cesare d'aiutarla a scavalcare.

Fu quello l'istante, in cui l'abitudine mentale di considerar la
giovanetta come una larva che non provava e non comunicava alcun
fluido di desiderio, spinse il Lascaris alla temerità estrema.

Egli cercò di trar Roberta d'arcione afferrandola pel busto; non vi
riuscì, e la cavalcatura avviandosi in quel punto di nuovo, Cesare non
esitò a passare una mano sotto le vesti della fanciulla, ad allargarne
le ginocchia indolenzite, e a strapparla di sella in tal modo,
rapidissimamente.

Poi la sostenne in piedi, e le disse ridendo, impassibile:

--Che nessuno lo sappia!




XII.


Per aprire il cancello cigolante, egli approfittò del fragore d'un
treno che scivolava nell'ombra notturna.

Il vento taceva; le cime degli alberi stavano tutte immote; tra i
filari degli aranci, le lucciole non trescavano più. Risonava di tempo
in tempo la caduta d'un frutto delle palme, o il gracidar già fievole
dei ranocchi, su in alto nel serbatoio delle acque irrigue.

Il giardino grigiastro susurrava con un brivido ignoto alla vita
diurna, e qualche cosa placidamente singolare era fra le lucide
frasche delle magnolie, fra le chiome dei palmizii, fra i cespi dei
fiori....

Cesare entrò.

Il passo cauto sulla ghiaia aveva risvegliato l'attenzione del cane di
guardia, che accorreva latrando. Si udiva il galoppo della bestia; e
quando gli fu vicina, Cesare la chiamò sottovoce:

--_Nero_, silenzio! Qui, _Nero!_

Il cane, un bastardo, di grandezza mediocre, nero col petto bianco,
fiutò l'uomo e tacque; si scrollò e ripartì di galoppo, mandando
ancòra qualche latrato, lontano, per chiasso.

Cesare aveva anticipato di pochi istanti l'ora del convegno. Temeva
d'incontrarsi coi figli del massaio, che lavoravan di notte al torchio
in una piccola casa rustica, dietro la villa. La villa, dal chiosco
ove il Lascaris era giunto, aveva contorni indefiniti, nell'ombra, e,
davanti, i due palmizii immobili sembravano proteggerne il riposo.

L'uomo si sentiva inquietamente felice; pregustava le delizie
dell'amore che comincia, e non possedendo ricordi d'avventure
consimili, non aveva preparato nè una frase nè un gesto; egli sapeva
che la sua passione sarebbe bastata a trascinare lui e la donna
nell'ampio cerchio di luce, in cui tutte le parole sfavillano e sono
grandi.

A mezzanotte precisa, Emilia gli andò incontro e gli tese la mano.
Teneva dall'altra la catena di _Nero_, che s'era imbattuto in lei, e
ch'ella aveva posto al guinzaglio, perchè non disturbasse oltre.

--Accenda!--disse brevemente.

Cesare s'avvide allora che sulla tavola di pietra nel mezzo del
chiosco era preparata una piccola lampada.

--Non tema,--aggiunse la donna.--Il giardino è deserto, questa notte:
gli ulivi ci nascondono interamente.

Al debole raggio della lucerna, sì guardarono.

Emilia indossava un abito bruno; per effetto della luce scialba, o per
la commozione violenta, appariva di una pallidezza mortale. Seduta
sopra un rozzo sgabello di legno, il cane sdraiato a' suoi piedi, era
una figura tragica, davanti alla quale i desiderii arditi dovevano
svanire.

Cesare ostentava una calma, che di momento in momento poteva
mancargli. Il corrugare delle sopracciglia avevagli solcato la fronte
d'una linea scura. Stava in piedi; guardava la donna con un senso di
nuova inquietudine. La sola vista di lei gli richiamava anco una volta
la tristezza, che mai non era giunto a dominare, avvicinando le due
sorelle. Su quelle giovani, su quelle fresche esistenze, il grigio
nembo del destino s'addensava; ed egli aveva voluto sfidarlo con loro,
ed era troppo tardi per isfuggire alla solidarietà paurosa.

--«Chi direbbe, questo, un convegno d'amore?»--si domandò, mentre
Emilia aveva cominciato a parlare.

--Mi ha scritto che desiderava un colloquio,--ella disse, incerta
nella voce.--Perchè vuole spiegarmi una cosa assurda ed inutile?...
Non le basta avere per sempre spezzato la nostra amicizia, dandole un
significato che io non posso accettare?

Egli incrociò le braccia al petto, e dichiarò:

--Non è cosa assurda, il mio amore; forse, non sarà cosa inutile.
Debbo ripetervi quanto vi ho già scritto: ho bisogno di voi per
vivere.

--No!--proruppe Emilia, alzando la testa a guardar, più che l'uomo, la
realtà della passione ond'era ormai stretta e incalzata.--Io non
ascolto queste frasi. Con una parola posso toglierle ogni speranza, se
non le ha tutte ancora perdute.... Odio l'amore di Lei, odio l'amore
di chiunque.

Cesare fece un passo verso la leggiadra figura dolorosa, la quale
parlando aggiungeva una grazia ignara al suo aspetto, e gli toglieva
l'ombra di durezza, che l'abito aveva tentato di dargli.

--Emilia,--egli disse, prendendole una mano.--Voi mi sapete incapace,
per indole e per abitudini, a compor delle frasi.... Mi vedete calmo,
perchè non ho esitanze, e la fine di questo convegno sarà anche la
fine di lunghi tormenti.....

--Non si muore per una donna sconosciuta,--mormorò Emilia,
distogliendo lo sguardo dal volto di Cesare, e liberando la mano....

--Sconosciuta?...--esclamò il Lascaris.--Io vi conosco.

La giovane tornò a fissargli in viso gli occhi grigi, a cui la luce
scialba non aveva rapito l'espressione di smarrimento e di timida
carezza.

--....E so che in questo istante nessuno è meno sincero di
voi,--proseguì l'uomo, con voce calda.--Volete ingenuamente tradire
voi medesima.... Perchè non dirmi che vi sono indifferente, che non
v'ispiro la simpatia più modesta?... Ciò è ben possibile!... Ma mi
dite che tutti gli amori vi sono odiosi, ed è falso, Emilia. Voi
desiderate l'amore quanto lo desidero io; voi l'aspettate, come
vogliono la giovanezza vostra e la vostra bellezza. Siete pura, ma non
fredda, nè insensibile.

--Oh, ve ne prego!...--ella interruppe, Avvertendo una vampata di
rossore salirle alle guance e alla fronte, per l'acuta indagine, la
quale pareva emergere da un di quei sogni, che non dànno tregua, e
popolano la mente di fiamme, e soffian sulle carni.

Cesare le afferrò di nuovo le mani, le trattenne, inginocchiato presso
di lei, parlandole quasi all'orecchio.

--Ascoltami, Emilia, e rispondimi. La tua anima non ha più segreti per
me; essa vive con la mia, da lunghi giorni, da mesi.... Perchè
sottrarla alla gioia?... Perchè odii il mio amore, se ancòra non si è
espresso? Non è una passione della quale tu debba arrossire. Non è un
ingannò. Forse, colmerà la lacuna de' tuoi sogni...

Emilia pensò in quel punto:

--«Davvero, dunque, la mia alcova è chiusa invano.... Qualcuno vi
passeggia in ispirito ogni notte....»

Il rossore bruciante che di nuovo soffuse il volto della donna, fece
pensare a Cesare:

--«Ah, quest'abito nero sarà l'ultimo, che me la tolga allo sguardo!»

Avvenne una pausa brevissima. Si guardarono negli occhi, sentendo
quasi tattile il nembo del destino che li avvolgeva.

Era qualche cosa tragica, fra loro, come un urlar lontano di lupi
famelici, che a mandra lascino le steppe nevose, per addentrarsi ov'è
speranza di preda. Grandi visioni li turbavano, inesplicabili visioni
d'altri luoghi e d'altri tempi. La passione quasi taceva, innanzi al
mistero di due anime congiunte da ineluttabile fatalità.... Era il
silenzio minaccioso, il quale precede un terribile duello?... Era la
corrente del fascino, irradiatrice d'ultimi bagliori, prima che i due
corpi balzino, s'allaccino, si travolgano nell'eternità?

Ascoltavano come lo stormire di una immensa foresta.

Emilia si scosse la prima, bruscamente, atterrita. Udì le parole
intime dell'uomo, e le interruppe con un grido, chinandosi su di lui:

--Ma io, io, non vi conosco, Cesare!... Io non so chi voi siate!...
Che cosa avete fatto di me?

--È vero,--disse il Lascaris.--Hai bisogno del mio passato, Emilia,
per giudicar del nostro avvenire.

--Neppur questo,--ella seguitò, con voce profonda, quasi mistica nel
silenzio vivo del giardino.--Neppur questo, Cesare. I fatti son forse
ben poca cosa, in paragone dei sentimenti.... Ma io non so il vostro
animo.... Chi siete? Ditemi chi siete! Che cosa volete da me? Vedete
come sono triste? Non vi manca il coraggio di prender parte alle mie
angosce? E perchè volete sacrificarmi il vostro avvenire?...

Così parlando, ella non ebbe forza a trattenere un affettuoso gesto
istintivo, in cui la sorella pareva confondersi con l'amante; e le sue
mani sfiorarono i capelli del giovane, e vi s'indugiarono in una mite
carezza.

--Dimmi che mi ami, prima!--egli esclamò, stendendo le braccia a
cingerle il busto, con un gioioso slancio di vittoria.

Le cercò avidamente la bocca, e la risposta migrò da labbra a labbra,
non udita nemmeno dalle pallide foglie immote. Ma poichè Emilia
sentiva la stretta divenire ardente, e il suo cuore e il cuore
dell'uomo precipitare i battiti come nell'ora delle supreme follie,
ella aggiunse:

--Lasciami!... Lasciami!... Lasciami!...

E si scostò con un balzo.

Da quel punto, tutto aveva mutato significazione. Il passato era
sepolto nell'oscurità; non fiammeggiava di fronte ai due innamorati se
non il futuro, un'ampia via pagana, che luccicò un attimo
visibilissima ai loro sguardi; poi essa pure si spense, e Cesare ed
Emilia si ritrovarono nella notte, nel chiosco, entro il circolo delle
cose reali, che dovevano essere vissute ad una ad una. _Nero_ si
drizzò inquieto. Aveva udito romore e scrutava nel giardino
grigiastro, le orecchie aguzze; cominciò a ringhiare, e si slanciò
fuori d'un tratto, abbaiando distesamente.

Emilia pure aveva guardato la villa, impallidendo; e mentre Cesare la
raggiungeva, ebbro di desiderii, avido di baci, ella lo arrestò con la
mano.

--Ve ne prego!--disse con voce spenta.--Che cosa ho fatto? Che cosa
  speri?

--Ah non pentirti di vivere!--esclamò il Lascaris, vedendole il volto
tutto bianco di sgomento.--Più tardi, più tardi, mi dirai: concedimi
ancòra un lampo di felicità.

E fissandola così ritta, pallida, pallidissima per l'abito bruno, per
il diadema di capelli neri, coi grigi occhi illuminati da
un'espressione in cui lottavano mille sentimenti contrarii, fissando
la svelta forma, ch'egli aveva temuto di non potere allacciar mai
colle braccia,--l'inno semplice e immortale gli sgorgò dal cuore e
dalle labbra:

--Come sei bella!--proruppe, non osando quasi avvicinarla.--Come sei
bella, anima mia, divina statua!... Come sei bella!

Emilia rabbrividì allora, al sogno: l'uomo che sorridendo le aveva
preso una mano, appena per l'estremità delle dita, e l'aveva condotta
sulla soglia della porta invarcabile. Fuori del sogno, in quella notte
estiva, Cesare era ancòra innanzi a lei, ed ella rabbrividiva di
spavento e di pudore....

--Dimmi che vuoi essere mia per sempre,--egli le susurrava,
prendendole una mano, timidamente, appena per l'estremità delle dita,
e chiamandola a sè.--Perchè non comprendi che io ti amerò sempre come
oggi? Io darò per te il mio sangue, la mia vita, il mio orgoglio;
abbandonerò gli amici, porterò superbo il più greve giogo che ti
piaccia impormi; rinnegherò ogni fede, e avrò la tua sola fede, la tua
religione....

Quindi aggiunse, esaltato, traendola dolcemente a sedere sulle sue
ginocchia, e cingendola con le braccia:

--Tutto questo, io te l'ho già detto, da molto tempo. E tu l'hai
udito, non è vero, senza che io parlassi? Hai capito che la mia
esistenza cessava, per raddoppiarsi con la, tua?...

Abbandonata fra le braccia di lui, Emilia non osava far moto, bevendo
la dolcezza dell'inno eterno. E di repente, sollevò la testa col suo
atto risoluto, e offerse il viso ai baci, perdutamente, ebbramente,
avvinghiata al petto dell'amante. Tutti i baci scesero sulla bocca di
lei, sugli occhi, sui capelli, sulla gola; ella li rese, così assetata
di delizie, che non avrebbe resistito al tentativo più audace.

Sotto l'impeto della passione senz'argini, ebbe d'improvviso la
visione della strada che conduceva a Pieve di Sori; vide sè stessa
calma in apparenza e turbata nell'anima: vide Cesare al suo fianco;
capì come già da quel giorno tutto fosse stato predisposto....

Ella aveva resistito assai, aveva sacrificato abbastanza alla
verecondia del suo sesso. Nessuno avrebbe ormai osato condannarla.

--Ascoltami,--disse Cesare sottovoce.--Non mi negherai ciò che ti
  domanderò?

Sorrise, vedendo Emilia ritrarsi un poco, e fissarlo inquieta.

--È un piccolo capriccio,--aggiunse,--una cosa puerile.... Voglio
salir con te nella tua camera da letto; voglio vedere dove tu
riposi...

--No, no, no,--rispose la giovane, sgomenta.--È impossibile.... È già
una pazzia riceverti qui.... Non chiedere.... Debbo rifiutare....

--Faremo così adagio,--proseguì Cesare, tranquillamente
implacabile.--Saliremo all'oscuro: tu mi condurrai. Resteremo un solo
minuto; vedrò dove tu riposi, e torneremo.... Non rifiutare, mia
divina.... Voglio respirare il profumo della tua camera, un minuto
solo....

Mentr'egli parlava, la donna s'era levata dalle ginocchia di lui, e
guatava la villa piena d'ombra.

--Dov'è la _sua_ finestra?--interrogò il Lascaris, ritto alle spalle
d'Emilia.

--La finestra di mezzo è la _sua_ finestra,--mormorò Emilia, immobile.

--Senti che silenzio?... Dorme.... Non la sveglieremo.... Suvvia,
anima, non rifiutare!

--Ma non capisci?--esclamo Emilia, volgendosi a guardarlo.--Non
capisci che rifuggo dal condurti nella casa dov'ella dorme...?

--Di che cosa siamo colpevoli, Emilia?--rispose Cesare.--Quando vivrai
dunque per te, senza spettri? Manchi di fede a qualcuno? Sono io
legato a qualcuno? Siamo liberi; ci amiamo.... Perchè devi arrossire?

E camminando per il chiosco, seguitò concitato:

--È dunque vero che hai rinunziato a vivere! Non potevo credere, tanto
la cosa è triste e strana! Ti vergogni d'amare, e ti avveleni ogni
istante di gioia! Dovrò nascondere la passione ch'è il mio orgoglio,
per lasciar dormire i tuoi scrupoli?

--Cesare!--implorò la giovane, fermandolo e prendendogli una mano.

Esitava; guardava ora lui, ora la villa assopita coi due palmizii i
quali ne vigilavano il sonno.

--Vieni!--disse rapidamente.

Cesare spense la lampada sulla tavola, ed uscirono dal chiosco.

Il giardino susurrava con un brivido ignoto alla vita diurna, e il
gracidar delle rane era cessato; ma certi fiori che non s'aprono, se
non nell'umidità dell'ombra, effondevano un profumo di notte romantica
ed antica. Emilia pensò alle sere innocenti in cui scendeva ad aspirar
la fragranza selvatica di quei fiori, tra i quali le lucciole
nottiludie vibravano i loro piccoli lampi.

--_Nero!_ Povero _Nero!_--ella mormorò, vedendo il cane sbucar da un
viale, e tornare a lei.

Esso veniva cautamente, trascinandosi dietro la catena; Emilia si
chinò a staccargliela dal collare, e il cane si drizzò a ringraziare,
scodinzolando.

--Va, va, _Nero!_--disse Cesare, a bassa voce.

--È inquieto: vuol seguirci,--osservò Emilia.--Non si fida....

--Non si fida di me,--soggiunse il Lascaris, sorridendo.

Emilia gli strinse la mano in silenzio. Quanto più procedeva, tanto
più si smarriva di coraggio; l'inutile audacia di ciò che stava per
fare, le sembrava enorme.

--Sai quale pericolo affrontiamo?--bisbigliò, quando giunsero a' piedi
della breve scala di marmo--....Di notte, ella si sveglia, e qualche
volta entra nella mia camera,

--Perchè?

--Ha paura.

--Di che cosa?

La giovane fece un gesto perduto, rabbrividendo.

--E tu temi anche per questa notte?--chiese il Lascaris, con lo stesso
fremito.

Emilia tacque, guardò la scala bianca, e, al sommo, la porta chiusa.

--Vieni, vieni!--ripetè febbrilmente.--Non temo nulla.... Ti ho
promesso....

Parve infinita la breve scala; parve ai due innamorati che nella
oscurità qualche spirito potesse ergersi minaccioso; sentirono il
respiro affievolirsi e il battito del cuore crescere vertiginosamente.
Procedettero, sapendo pure che ad ogni passo il pericolo aumentava.

--Eccoci!--susurrò a un trattò la donna, aprendo cauta un uscio.--Sei
nella mia camera.

--Chiudi la porta che comunica, ed accendi, accendi un lume, una
lampada,--pregò Cesare, stringendo Emilia fra le braccia.

--No! No! Sei pazzo?--balbettò questa, tutta tremante.--Se non
dorme?... Udrà il romore, vedrà la luce....

Ebbe un sussulto che la scosse dalla testa ai piedi. Le sembrava già
di scorgerla sulla soglia, d'ascoltarne il grido.... Come erasi potuta
dimenticare così? In brevi ore, ella s'era mutata, compieva degli atti
di cui non aveva quasi coscienza, e che in pieno giorno le sarebbero
parsi d'un'arditezza proterva e malsana.

--Perchè siam venuti qua su?... È una cosa spaventevole,
Cesare!--continuò, soffocata dalla paura.--Ella cammina così
adagio!... E l'uscio è aperto; non si può chiuderlo; stride.

--Suvvia, anima,--tentò l'uomo,--non pensare.... Dorme!...

Parlavano senza vedersi, ritti ed abbracciati, con le voci morte; a un
passo da loro, non si sarebbe udito verbo. Infine, dopo una pausa
d'angoscia, Emilia dichiarò:

--È impossibile resistere.... Voglio assicurarmi che dorma....
Aspettami; non muoverti di qui; entro nella sua camera e torno.

Già si avviava decisamente; ma Cesare la trattenne.

--Vuoi andare così?--disse.--Così vestita?... Se non dorme,
t'interrogherà.... Che cosa risponderai?... Spogliati!...
Hai dimenticato che son le due di notte,--proseguì,
sorridendo.--Spògliati, Emilia; devi fingere di essere scesa
dal letto.... Spògliati!

La voce era commossa, quasi l'invito avesse avuto un'altra, ben più
cara significazione; e l'idea lo incalzava senza pietà, non venuta da
lui, non meditata prima, balzata viva dalle tenebre infide.

--Spògliati,--ripetè.--È oscuro; non potrò vederti. Dubiti di me?...
Coraggio, mia divina; l'uscio è aperto, ed ella può giungere.

--Ah, non lo dire!--esclamò Emilia, aggrappandosi a lui, come per
sottrarsi al pericolo.

Angosciata, smarrita, con un ronzìo di terrore negli orecchi, la
giovane avrebbe in quell'istante obbedito a qualunque voce
imperiosa.... Girò lo sguardo nella spessa tenebra; non uno spiraglio
di luce che potesse tradirla.... Si decise.

--Sì, sì, mi spoglio,--acconsentì febbrilmente, senza pensare che la
parola sembrava in bocca di lei un grido di passione.--Farò come tu
vuoi, Cesare.... Mi spoglio!...

Cesare la sentì staccarsi e avventurarsi nella camera, francamente,
con l'infallibile destrezza dell'abitudine. Egli aveva trovato il vano
della finestra, e vi stava immoto.

Non mai un più energico dominio di sè stesso gli era stato imposto; si
curava ben poco del pericolo, si rideva dell'uscio aperto. A due passi
da lui, l'amante si spogliava tutta, e rivestiva la molle veste
notturna. Oh, giungere alla donna invisibile, e sentirla palpitare fra
le braccia!... Vi doveva essere un momento in cui l'oscurità ammantava
il corpo nudo di Emilia, e glie la sottraeva allo sguardo innamorato.
Egli pensava alla sventura dei ciechi, profonda come un abisso.

E sussultò, udendo; la voce della donna mormorare sommessamente:

--Ecco; ora vado.... Aspettami.... Tornerò sùbito....

Egli protese le braccia nell'ombra, bevendo, il profumo della giovane
discinta; ma non riuscì se non a sfiorare una mano di lei, che non si
lasciò attrarre.

--Aspettami,--disse ancòra Emilia.--Dopo, sarò più tranquilla.

Cesare si calmò.

Ella doveva tornare. Nessuna forza umana, allora, avrebbe potuto
contenderla al suo destino.




XIII.


Il cane, che aveva abbaiato buona parte della notte, e che ancòra
abbaiava, da lontano, da vicino, per una grande inquietudine,--non
aveva permesso a Roberta di addormentarsi.

Era a letto, ma leggicchiava uno de' suoi libri romantici, alla luce
di un doppiere, sul tavolino; e le avveniva di ripetere una stessa
frase, senz'afferrarne il significato.

Quando scorse Emilia varcar la soglia, stese le braccia, ed un buon
sorriso le rischiarò il volto. Emilia s'accostava, tutta chiusa in una
leggera veste da camera, con un gran collare alla Stuart, i capelli
crespi e lunghi snodati per le spalle.

--Anche tu non dormi?--chiese Roberta.--_Nero_ non è mai stato così
cattivo...! Come sei rosea!--aggiunse, guardandola attentamente,
nell'abbracciarla.--Come sei calda!--osservò ancòra, prendendole le
mani.

--Smetti di leggere,--le ordinò Emilia.--Ora dormirai, non è vero?

I suoi occhi contemplarono quasi con ostilità il volto della sorella e
le forme che s'indovinavano sotto le lenzuola. Ella tremava al
pensiero che se non avesse affrontato così il pericolo, Roberta
sarebbe venuta a trovarla; e sentiva nell'animo agitarsi il rancore
per colei, la quale anche da lungi dava ombra a tutta la sua vita, e
le dimezzava, le rubava un'ora della breve felicità.

Accomodò i guanciali a Roberta, e le tolse il libro. Sapeva d'avere
sulla giovanetta un impero senza confini; la sua mano passata nei
capelli di lei, per materna carezza, poteva addormentarla; la sua
presenza era più volte bastata a rassicurarla da qualunque timore.

--Come sei calda!--ripetè la fanciulla, avvertendo la carezza tra i
capelli biondi.

--Dormi, dormi!--Emilia mormorò impaziente.

Agiva con la tranquillità consueta; e tuttavia, se Roberta avesse
voluto oltrepassar la soglia, ella si sarebbe uccisa, piuttosto che
darle il passo.

--Chi sa perchè _Nero_, abbaia in questo modo?--osservò Roberta,
udendo ancòra il latrato del cane, sotto la finestra.

--Risponde agli altri, che abbaiano nelle altre ville,--disse la
giovane.--Hai paura anche del cane, stanotte?

--No, non ho paura.... Rimani fin che mi sono addormentata?

--Sì, certo; fin che ti sei addormentata....

Roberta sorrise, e chiuse gli occhi, tossendo di tempo in tempo.

--«Dormi,--le imponeva la sorella col pensiero.--Io sfiorisco
lentamente qui, ma qui non dovrei essere, e il mio destino è più forte
d'ogni calcolo pietoso. Dormi; non rapirmi il tempo che è mio, non
amareggiarmi l'ebbrezza che tu ignori, e che mi appartiene.»

La guardava con uno sguardo quasi magnetico, e la sua mano non ristava
dalla lenta carezza, in cui si era trasfusa una volontà imperativa, in
cui vibrava un dominio nuovo e assoluto. A poco a poco, il respiro
della giovanotta si fece eguale; sotto le palpebre, gli occhi non
vagarono più; la bocca si schiuse leggiadramente; il corpo tutto si
distese in una quiete benefica e profonda.

Allora Emilia ritrasse la mano; il suo còmpito era terminato; Roberta
dormiva....

Fu, d'un tratto, come se in un perduto villaggio di montagna
risonassero inaspettate mille trombe di guerra.... Nell'animo
d'Emilia, la quietudine della camera virginale e il proprio contegno
affettuoso, non ebbero più senso; ella si volse ad altre imagini; una
turba d'aspettazioni gioconde la invase.... L'intermezzo candido era
finito, e la notte di fiamme la riallacciava....

Prima di spegnere il doppiere, si chinò sopra Roberta per udirne
ancòra il respiro eguale, e la fissò un attimo duramente, con la
crudeltà d'un egoismo che trionfa.

Poi soffiò sulle candele, uscì, accostò la porta, stette un poco in
ascolto, e quasi di corsa traversò il salotto per raggiungere
l'amante.




XIV.


--Non dormiva,--ella disse in un tronco bisbiglio.--Ora l'ho
addormentata.... Ma, tu partirai, Cesare, non è vero?... È l'alba....

--Mancano tre ore all'alba. Non mandarmi via, adorata,--pregò Cesare,
trovando la donna nell'ombra, e abbracciandola come avesse temuto di
non più rivederla.

Egli, aspettando, aveva fatto il giro della camera, e nella densa
oscurità poteva adesso muoversi non meno destramente d'Emilia.... Pure
aspettando, aveva udito i colpi di tosse, e aveva pensato alla
fanciulla; un confronto audace tra le due sorelle gli si era imposto
allo spirito, gli aveva infiammato le vene d'un ardore quasi cupo....

Andò all'uscio che comunicava, e lo chiuse, senza farlo stridere,
prudentemente.

--Che cosa fai?--domandò Emilia, la quale conosceva il romore.

--Chiudo.... Voglio vederti....--rispose il Lascaris, tornato a lei,
riprendendola fra le braccia.

--Per carità, non pensarlo....

--Voglio vederti, mia unica bellezza, coi capelli sciolti così.... Che
profumo hanno i tuoi capelli!

--Non insistere, Cesare.... Appena siamo sfuggiti a un pericolo.

--Dorme; se anche si sveglia, non oserà disturbarti nuovamente.

Emilia s'accorse ch'egli la lasciava...

--Si vedrà il lume,--disse, impaurita.

--È inutile; è tutto inutile,--esclamò il Lascaris,
abbassando poi sùbito la voce imprudente.--Non resisto più a
una simile tortura; dovessi perderti per sempre, voglio
vederti così, come ti ho sognata e non ti ho vista mai....
Questa notte, non ha paura, è tranquilla,--continuò, mentre
s'avvicinava al tavolino, sul quale aveva prima tastato un
lungo candelabro.--Tu l'hai rassicurata,--soggiunse.--Una
forza divina ci protegge....

E accese i cinque bracci del candelabro, e si rivolse.

Emilia s'avvide che il momento era terribile; non tanto pel pericolo
di Roberta, forse, poichè ogni notte in camera era accesa la lampada
pènsile, e l'oscurità sarebbe parsa alla fanciulla più strana della
luce; quanto per l'uomo, superbo di desiderio e di speranze.

No; Emilia doveva confessarselo: ella non lo conosceva, non aveva mai
supposto d'essere così violentemente agognata, di poter così
intimamente mutarlo.... Per tutto il volto di lui raggiava un maschio
tripudio; la linea scura della fronte era scomparsa; si sarebbe detto
che la morte sola potesse arrestarlo.... Emilia lo fissava, amandolo;
e cercava un mezzo, pensava a un grido per isfuggirgli.

--Non vi avvicinate!--gli ordinò, a bassa voce.--Non vi avvicinate!

Girò lo sguardo intorno, più sgomenta di sè che di lui, non sapendo
come togliersi all'abbraccio, che presentiva invincibile.

--Volete approfittare della mia debolezza e del pericolo!--gli lanciò
ancòra.--È un tranello, questo!

Cesare s'era fermato, pallido.

--Che cosa dici, Emilia?--susurrò,--che cosa temi?

--Non avvicinatevi!--ripetè la giovane, con lo stesso imperio nella
voce.

Ella ignorava d'essere straordinariamente bella. Abbandonata sul
letto, svelata dalla luce aurea in ogni linea della sua positura di
battaglia e di rifiuto, dominava l'uomo e i desiderii con uno sguardo
bruciante.... Aveva chiamato a raccolta le formidabili energie di
resistenza, insite nella donna; e ormai riposava tranquilla, sapendo
che così debole, così indifesa, non aveva tuttavia nulla a temere,
poichè non temeva più nulla da sè medesima.

Cesare capì.

--Perdonatemi,--disse lentamente.--Vi ho spaventata!, e ve ne chiedo
perdòno.... Volete concedermi di baciarvi le mani?

Emilia lo lasciò avvicinare e gli diede le mani, ch'egli si chinò a
coprire d'intensi baci; ella lo guardava, sommesso e vinto; ma quando
Cesare allungò un braccio per cingerla intorno al busto, la donna si
sciolse vivamente.

--Non osate di più,--disse.--O mi alzo, e vado da Roberta, e mi vi
rinchiudo.

Poi, mentre il Lascaris le si sedeva ai piedi, sulla candida pelle
d'orso ch'era stesa di fianco al letto, Emilia seguitò:

--Questa, è stata una notte di pazzie.... Anche ora, siamo in mano del
caso, ed io posso perdermi, da un minuto all'altro.... Una simile
notte, non tornerà più. Avete voluto sapere s'io vi amassi.... Lo
avete saputo; ed è molto...., ed è tutto....

--Tutto?... Tutto finirà qui?--domandò Cesare angosciosamente.--Vi ho
chiesto se volete essere mia per sempre.... Tu lo vedi, Emilia; io non
ho mai supposto che tu potessi essere una conquista.... Per il tuo
amore, ti offro la mia vita.....

«Dove vai?»--gridò in quel punto lo spirito loico nell'animo dell'uomo
libero.... Ma l'uomo non ebbe tempo a rispondersi, che già
l'attitudine d'Emilia s'era cangiata, e sul viso di lei tornava la
chiara fiducia, e nella sua preziosa figura splendeva il gaudio d'una
felicità senza sospetto.

Poi ebbe un cenno muto della testa, verso l'uscio chiuso.

--Il nostro avvenire è là,--disse.--S'ella si oppone, siamo perduti
per sempre....

--Tu non lo pensi!--esclamò il Lascaris, levatosi in ginocchio a
guardarla con intensità.--Non è possibile fidar due esistenze al
capriccio d'una fanciulla!...

--Noi giuochiamo anche la sua vita, e tu non lo capisci!--insistette
Emilia, solcando ancòra teneramente con la mano i capelli di lui.--Tu
non capisci quale strazio sarebbe per me stessa il compiere un atto
che potesse amareggiarla!... Ma lo capirai, non è vero? quando ti dirò
che sono pronta a rinunziare, se la mia rinunzia le darà un giorno di
pace....

--Siete pronta a rinunziare?--ripetè Cesare.--E come chiamate, allora,
il sentimento vostro per me?... Se mi amaste, non esitereste un
istante a superare un ostacolo...

Si drizzò in piedi, e rimase a testa bassa, pensando.... Aveva
pronunziato le ultime parole con tanto odio, che la giovane sentì un
leggero, brivido correrle per le spalle.

--Voi non pensate....--egli proruppe quindi.

Emilia fece un gesto di preghiera, perchè smorzasse la voce incauta;
scivolò dal letto, continuando il gesto silenzioso, e andò all'uscio,
e vi restò qualche minuto, con tutto il sangue alle tempia e al
cuore.... Le era parso d'udire un colpo secco di tosse, lontano; poi,
rassicurata dalla taciturnità successiva, s'appressò a Cesare.

--Può svegliarsi,--disse.--Non abusiamo della nostra fortuna!... Va!
Va! Tornerai quest'altra notte, mio amore!

Ma Cesare non ascoltava; osservando l'atto pieno di grazia, col quale
ella s'era un po' inchinata a studiare il silenzio oltre la porta, e
l'armonìa del suo passo inavvertibile,--l'uomo le andò incontro, di
nuovo in preda a un'esultanza veemente, l'accolse e la serrò nel
cerchio delle braccia, la ricoperse di baci vivi, sentendola tutta
fremere.

Fu di quegli schianti appassionati, che sfiorano i giovani corpi come
folate aquilonari, e in una vita rimangono, inestinguibili. Ambedue
gl'innamorati risplendevano, per la gioia di spezzar fugacemente la
catena diuturna, di riscattare il passato gelido, forse l'avvenire
temibile, con un magnifico slancio d'oblio....

Cesare adagiò sul letto la donna, languida; le mani di lui avevano
sganciato l'abito notturno d'Emilia, e ancòra un gesto gli avrebbe
tutta scoperta l'amante, nuda e bianca, sotto i cinque raggi del
candelabro.... E osò il gesto rapido, e la contemplò nivea fra la
molle custodia della veste, e le sue labbra diedero i baci ultimi....

La scena era stata così violentemente fuggevole, che Emilia sentì
quasi a un tempo il gesto e i baci.... Si sollevò d'un balzo, si
ristrinse l'abito attorno al corpo.

Era pallida del mortale pallore che aveva sgomentato Cesare, al
principio del convegno....

--Ah, tu credi,--bisbigliò questi, chiamandola a posare il capo su la
sua spalla,--ah tu credi ch'io vorrò rinunziare a te?... È dunque così
difficile, a voi donne, penetrare il senso della vostra propria
bellezza, e comprendere ciò che potete in noi? Nessuna forza umana,
capisci?... arriverà a contrastare la mia passione!... Perchè sei così
pallida, anima? Perchè piangi? Perchè piangi?...

Ella piangeva, ma, dominata ed ebbra, non si staccava da lui....

Rimasero in un calmo silenzio lungamente, avvinti; udirono nell'aria
qualche cosa eterna passare,--il tempo, l'amore, la morte?--e
sfiorarli, e procedere incontro ad altri destini, che aspettavano.

--Ancòra mi darai una notte come questa, è vero?--mormorò Cesare
timidamente.--Ancòra molte notti di gioia?

--Sì, ancòra molte notti di gioia!--ripetè Emilia.

--Non senti come tutto è strano, in questa notte? Noi rapiremo alla
sorte una grande felicità senza confine.... Bisogna vivere, vivere
_diversamente_.

Emilia rabbrividì. V'era infatti qualche grande energia che li
stimolava all'amore quasi ad un farmaco delizioso, dalle inesauste
ebbrezze; era in loro il bisogno di vivere la doppia esistenza degli
appassionati, con doppia forza, con doppia anima, per gli altri e per
sè.

Tutte le cose grige dovevano fondersi nel calore febbrile di molte
notti misteriose, fra gli alti silenzii che vanno dispersi nel sonno.

Lo stridore di una candela più breve li fece sussultare insieme.
Guardarono insieme la finestra oramai chiara.

--È giorno!--disse Emilia, sciogliendosi dall'abbraccio, e correndo
smarrita alla finestra.--È giorno! Mio Dio, come farai?

Cesare l'aveva raggiunta e guardava l'alba apparire, con le nuvolette
rosee; una fresca alba estiva, sotto il cui sorriso si stendeva il
mare.... Mostruoso d'ombra, solo il puntazzo di Portofino pareva
ancòra addormentato.

--Va presto, mia vita!--susurrò Emilia.--Che non ti vedano!

--Non mi vedranno,--disse Cesare.--Rassicurati; nessuno è alzato, a
quest'ora!

Emilia lo abbracciò la prima, offrendogli la bocca; sotto gli occhi
puri, un livido cerchio aveva cominciato a disegnarlesi....

--Ancòra quest'altra notte, anima!--le rammentò Cesare, innanzi di
lasciarla presso la porta che metteva alla scala.

La scala bianca di marmo era vivida nello sbozzo di luce lividiccia.

--Sì, sì, ancòra una notte; tutte le notti che vorrai, Cesare!

E appena egli fu in basso della scala, ella rientrò, corse di nuovo
alla finestra, e vide Cesare traversar cauto il giardino, lungo le
siepi, e dove gli alberi offrivano qualche incerta ombra.

Da ultimo, nel silenzio cristallino s'udì il cancello cigolare e
richiudersi.




XV.


Ma no, per lungo tempo, ella rifiutò ogni altro convegno. Troppo
temeva di sè, troppo di lui.... Emilia lo amava di quel formidabile
amor delle vedove, che paiono spinte dai ricordi del morto fra le
braccia dei vivi.... A pena, scambiavano qualche frase, congiungevano
le labbra, quando Roberta non era presente.

Le molte notti che la donna aveva promesso e Cesare aveva sperato di
gioia, si dissolvevano oscure, senza memorie, se non di tristezza e
d'insonnia.

Era succeduta la stagione media, quando il periodo dei bagni è finito,
e ancòra non ha avuto inizio il periodo invernale, caro alle anime e
ai corpi malati.

Sul paese, la solitudine pesava; v'erano stati in settembre
inesorabili giorni di scirocco, durante i quali l'aria scottava e il
sole pareva non dover tramontare mai.

Nelle caldissime serate, salivano Cesare e le due sorelle sopra un
canotto a remi, con un agile marinaio più cùpreo del rame; e si
facevan trasportar lentamente verso Nervi, verso Quinto, o a
capriccio.... In mare l'aria era ricca e buona; ma Roberta aveva
dovuto ben presto rinunziare alle fresche gite, poichè il lene
ondeggiamento della barca le dava le vertigini.

Se pure quelli del paese avessero supposto o mormorato, ciò importava
ben poco a Cesare e ad Emilia, già ciechi per la necessaria imprudenza
della passione; ed essi continuarono ogni dopo pranzo, spesso col
marinaio, soli più spesso, remando il Lascaris....

Roberta stava ad aspettarli, e qualche volta indugiava una lunga ora
sulle rocce, a guardare il canotto lontano e tardo, fra la porpora del
tramonto, fra le maravigliose zone di luce irrubinata....
L'imbarcazione, minuscola nella latitudine delle acque, non poteva
affondare e sparire? Le vele bianche o rosee eran lungi, alle
estremità dell'orizzonte, dove anche un pennacchio di fumo svelava
qualche invisibile vapore; mentre dalla spiaggia la distanza era
grande....

La fanciulla sentiva d'odiare qualcuno, là dentro.


E la deliziosa strada che da Nervi sale a Sant'Ilario, s'appiana,
discende per viottoli aspri fino a sboccar di nuovo sulla strada
comunale,--anche vedeva talvolta Cesare ed Emilia incontrarsi e
passeggiare nella tenera oziosità di chi aspetta giorni felici e si
studia a render felici i giorni comuni.

Passavano per quella strada sempre le medesime persone alle medesime
ore; quando un gruppo di monache in abito bruno col soggòlo bianco,
per la questua; e quando un curiosissimo carretto tirato da un
asinello grigio, guidato da un omiciattolo, che gridava a giusti
intervalli, per tutta la durata del viaggio:--Aaah!... Iiih!...., e
spingeva l'animale, e scambiava parole coi conoscenti che incontrava.

Cesare aveva chiesto all'uomo da quanto tempo egli percorresse quella
strada.... Da venti anni; da venti anni, tutti i giorni egli scendeva
a Genova a portare involti e a raccoglierne, e risaliva a Sant'Ilario,
senz'affrettarsi, parlando col ciuco, se gli mancavano incontri....
L'alba rischiarava il suo andare; il tramonto salutava il suo
ritorno....

--Aaah!... Iiih!...

Cesare l'aveva seguìto con l'occhio, fino a un gomito della salita,
invidiandolo.... Passione? dolore? desiderio?... Vocaboli ignoti
all'umile; egli non si augurava se non di poter gridare:--Aaah!...
Iiih!... per altri venti anni.

Il Lascaris meditava così, dietro le sensazioni del momento, per
qualche spettacolo semplice e fugace; fin che non fosse comparsa
Emilia, che saliva adagio, sorridendo da lungi all'amico....

Sempre, quell'apparizione aspettata lo toglieva dalla supina realtà
d'ogni giorno; ma dentro l'animo gli si risvegliava, l'amarezza
intollerante di uno che abbia sognato, che abbia sentito sul proprio
corpo il contatto fresco d'un corpo femmineo, e al risveglio si sia
trovato in una camera deserta e priva di lume.


In quel periodo, Cesare soffriva presso Roberta qualche molestia,
quasi lo spettacolo tuttora vivissimo d'Emilia ignuda sotto i suoi
occhi, gli avesse conficcato nel cervello la cupidigia sacrilega di
giungere una notte alla camera della giovanetta, di risvegliarla e
dominarla come la sorella.

Fra le due sessualità ancòra per lui misteriose, egli aveva dei lampi
d'esitanza.

Quelle voci si rassomigliavano assai, e Cesare sussultava, udendosi
chiamare da Roberta con la stessa inflessione, che gli aveva reso caro
il proprio nome pronunziato dalle labbra d'Emilia.

Ambedue le donne adoperavano un solo profumo, aliante intorno ai corpi
in una nube leggera; un profumo, il quale, sorgendo dagli abiti e
dalle mani di Roberta, rammentava ostinatamente all'uomo il gesto,
ch'egli aveva osato quella notte per veder tutta Emilia, e ch'egli
avrebbe voluto osare anche più audace sopra la fanciulla gettata
attraverso al letto, per rivelarla pure, fra la molle custodia
dell'abbigliamento intimo.

Ambedue avevano un certo movimento risoluto del capo, e certi atti di
grazia nel chinarsi fino a un fiore, nel dar la mano, nel sedersi e
acconciarsi le gonne intorno.

Differivan poco di gusti, e si vestivano quasi a un modo, portando gli
stessi gioielli ai polsi e alle orecchie, e gli stessi monili.

Non di rado, Emilia esprimeva a metà un'idea o una sensazione, e
Roberta continuava e concludeva.... Si sorridevano, allora, come se le
loro anime fossero vissute un attimo nel medesimo cerchio invisibile.

Ma sotto quelle e simili apparenze, restava il fenomeno, inquietante
per Cesare, che l'una completava l'altra; la bionda ammalata s'era
avvinta per sempre alla sorella bruna, perchè da questa pareva trarre
qualche mistico alimento alla propria anima; ed Emilia aveva contesto
il filo della sua esistenza al filo tenue dell'altra.

Egli erasi interposto fra di loro, ma esse. all'infuori di lui,
seguitavano una vita comune, indissolubile per le oscure simiglianze
del sangue; erano carne d'una medesima carne, due rami d'un albero
unico.

--Perchè,--domandò Cesare una volta a Emilia,--perchè ti vesti come
tua sorella? Perchè usi del suo profumo? Perchè da lontano io posso
scambiarti con lei?

--Vi spiace?

Egli scosse la testa, incerto.

--Vorrei che nessuno ti somigliasse, anche da lontano....

--Ma la somiglianza con Roberta non è cosa che possa ferirvi. Io ho
forse la sua voce, e probabilmente uno stesso modo di esprimermi....
Ciò avviene quando si vive tutta la vita con una persona, tanto più se
questa ci è legata da parentela. Non vi è nulla di strano o di
voluto....

--Si può volere il contrario....

--Odiate Roberta al punto da non tollerar nemmeno un abito simile al
suo?

--Comprendimi, Emilia....

E si arrestò. Non avrebbe potuto comprenderlo mai, perchè non sapeva
il turbamento arrecatogli con quella notte di mezza voluttà; pel quale
turbamento, la pace dei sensi era scomparsa, e innanzi a Cesare s'era
spalancata la voragine dissolvitrice delle fantasie, dei sogni, delle
figurazioni carnali....

--Oh lasciatemi amarla!--esclamò Emilia, credendo d'aver
capito.--Dovrò sfuggire ogni somiglianza con Roberta, come si
trattasse d'una nemica? Perchè odiate tanto una fanciulla, che non vi
ha fatto male alcuno?

--È certo,--mormorò Cesare, trascinato in quel nuovo ordine d'idee,--è
certo che voi non capirete mai la lotta. Io non odio; mi difendo....
Fin che il tuo cuore sarà pieno di lei, io non potrò sperare nulla da
te.... Devo darti la forza di comparare e di scegliere, se la scelta
sarà necessaria.... Tu ti sei chiusa nel presente e ti sei innamorata
del tuo dolore!...

--Non ammettete alcun legame. Siete un selvaggio,--disse la giovane,
cercando, di sorridere per calmarlo....

Erano le cinque del pomeriggio; avevan preso il tè, in casa, e Roberta
era andata sùbito dopo a visitar la figlia del massaio, che giaceva
ammalata. Il sole prorompeva dalla finestra aperta nel salotto,
chiazzando d'oro le pareti e il pavimento a mosaico. _Nero_ latrava in
giardino, allo strepito d'un carro. E gli amanti ricordavano; ella, la
scena del chiosco, non osando spingersi fino al ricordo impudico;
egli, la scena della camera, parendogli che di là fosse cominciato il
gaudio.

--Non ammetto alcun legame?--ripetè.--Vorrei poter non ammetterlo; e
sarei libero, e la mia vita riprenderebbe il suo corso tranquillo, e
non aspetterei tutto il mio avvenire dalla volontà capricciosa di due
bambine crudeli.... È questa, ormai, la condizione difficile in cui mi
trovo: chi devo vincere? Te, o Roberta? Di quale animo devo essere
padrone? Del tuo, o dell'animo di tua sorella?

Emilia si concedeva qualche atteggiamento un po' oblioso, appena si
trovavan soli; e s'era allungata sul divano, col gomito e la mano
destra sostenendo il capo; sottil figura, che rammentava a Cesare quel
suo nèo prezioso fra i due seni, e le calze di seta nera alte fino
alla coscia.

Ella si raddrizzò di scatto, e restò immota, ascoltando.

--Per liberarmi da questo dubbio, bisogna che la soluzione venga da
noi, da te,--seguitò Cesare, il quale aveva notato e goduto l'effetto
della propria domanda.--Bisogna, infine, parlare a tua sorella, poichè
la vuoi arbitra della nostra sorte....

--E se rifiuta? Se minaccia?--chiese Emilia.--Se mi fa comprendere che
una diminuzione del mio affetto le toglierà ogni forza di vivere e di
sperare?

Il Lascaris si strinse nelle spalle; egli era innanzi al tavolino da
tè, e passava macchinalmente le tazze, guardandone il fondo
zuccherato, quasi a trovarvi un'idea.

--Non è probabile,--disse finalmente, per dire.

---È molto probabile, invece, che ella si opponga. Vivere con noi,
adattarsi a un posto secondario nel mio cuore, cedere a te, le
parranno cose assurde e spaventevoli.... Oh, continuiamo così, Cesare,
fin che è possibile! Io sono felice, ora per ora; non cerchiamo di
più, non affrettiamo nulla!... Tu sei troppo impaziente....

Egli obbedì a uno slancio, con le braccia tese verso la donna; ma
sùbito si vinse, e abbassò la testa.

Urtava nuovamente contro a una barriera: tra il suo concetto della
vita e il concetto d'Emilia, l'indole, la coltura, l'esperienza,
avevano scavato un abisso.... Egli era non meno sollecito della vita
morale che della fisica; il contatto femmineo, la cupidità esaltata e
imprigionata, gli avevano sconvolto la mente e il cuore; sotto la
fustigazione della brama inutile, stava per sorgere l'uomo pervertito;
ed egli lo intuiva.... Già gli era balenato il pensiero di Milano,
dove si sarebbe potuto tuffare in una palude di stravizio, e aspettare
coi nervi calmi.

Dir questo a Emilia e perderla, doveva essere una cosa sola.

Ella, come quasi tutte le donne, ignorava il fascino proprio: ignorava
che, ad essere serenamente amata, doveva sodisfar prima la bramosia
del maschio, eccitata da lei stessa con l'incautela d'una visione, con
la vicinanza continua, ch'era uno stimolo a fantasticare. Sapeva
resistere, o almeno fuggir le opportunità, perchè ciò stava nel suo
medesimo spirito femminile; e non sapeva che, al contrario, cercar
quelle occasioni, avversar senza posa la resistenza di lei, eran
nell'indole maschile.

--Ebbene?--chiese la donna, vedendo l'atto di Cesare.

--Non è possibile continuare a questo modo,--disse il Lascaris,
rialzando la testa. La ruga profonda e dritta gli solcava ancòra la
fronte.--Se tu pensassi a raddolcire la mia impazienza, se tu mi dessi
qualche convegno, come quella notte, in giardino....

Emilia s'era inavvertitamente stesa di nuovo sul divano, con un moto
di voluttuosa pigrizia; sentiva ascendere fino al suo egoismo di donna
il nembo di quella preghiera incessante, e lo aspirava a guisa di
profumo, trovandovi tutto il compenso alla sua resistenza tenace,
tutta la ragione della sua resistenza futura.

Cesare la vide, e si alzò. Ma ella ebbe appena il tempo a comporsi in
un atteggiamento calmo, che sulle scale risonò il passo di Roberta.

--Non partire così presto, Cesare,--disse Emilia, sottovoce.

Quando Roberta entrò, scorse la sorella intenta a tagliar le pagine
d'un libro e Cesare, in piedi nel vano della finestra, parlando della
prossima stagione di Nervi.

La giovanetta spense immediatamente lo sguardo che aveva lanciato sui
due, e s'inoltrò con un sorriso pallido.

--Lei dovrebbe visitare quella povera ragazza,--fece al Lascaris,
mentre si accomodava sulla poltrona a dondolo, in faccia a Emilia.--È
in cura del dottor Noli, ma il consiglio di Lei sarebbe utile....

Il tòno metallico della voce e lo studio insolito con cui Roberta
spiccava le parole chiarissime, avvertirono Emilia dello stato
d'agitazione in che la sorella si trovava; ma il Lascaris tardò a
rispondere. Guardava la fanciulla, vestita come l'amante, con una
camicetta, una cintura di cuoio giallo, una sottana azzurro-mare; la
camicetta d'Emilia era rosea; la camicetta di Roberta, cilestre.
Tutt'e due le giovani portavano i capelli annodati in giro al capo,
folti e copiosi.

--Non potrebbe visitarla?--chiese di nuovo Roberta.

--No,--rispose Cesare scuotendosi.--È in cura del dottor Noli, il
quale non ha bisogno di consigli....

--Soltanto un'occhiata, passando.

--È impossibile, signorina...

--Sta malissimo.... Grida, ha le convulsioni, la schiuma alla
bocca.... Il dottor Noli non verrà fino a domani.

--Possono chiamarlo sùbito,--osservò Emilia.

--L'ho suggerito, ma i parenti dicono, ch'è inutile, e sanno ciò che
devono fare; è una famiglia di zotici.... E come è possibile,--seguitò
Roberta verso Cesare,--come è possibile negare aiuto a un'infelice,
che è forse in pericolo?

--So di che cosa si tratta,--assicurò il Lascaris.--Me ne ha parlato
il dottor Noli; non v'è pericolo alcuno....

E pronunziando le parole, le quali caddero in un corto silenzio
susseguito, egli osservava la testa bionda e animosa di Roberta, a
riscontro con la testa bruna d'Emilia; quella superava questa, per la
venustà dell'espressione, e una debole tinta azzurrognola sotto gli
occhi, dava alla giovanetta un senso tra di ardore e tra di
allettamento.

--Quanti anni ha l'ammalata?--domandò Emilia, che, pur volendo
schivare quel tema, vi era caduta meglio, d'un colpo.

--Diciannove,--rispose Roberta.--Oh, morire a questa età, è
spaventoso!

La scena aveva dovuto sinistramente colpirla; fra sè stessa e la
giovane epilettica, fra il male che rodeva l'una e il male che minava
l'altra, aveva forse trovato qualche occulta rispondenza; e la
esclamazione venutale di lancio, dal cuore, diede una scossa agli
amanti.

Ella recava sempre nei colloquii di loro una nota acre, un
presentimento cupo; e, partiti già da tempo dietro imagini diverse,
gagliarde, quali le imagini d'amore, essi eran di tanto in tanto
soprappresi, arrestati e torturati dal richiamo aspro della fatidica.

Emilia la fissò con un'interrogativa di mite rimprovero, quasi per
trattenerla; ma ella aveva sentiti gli artigli della paura

Si levò in piedi, senza curar la presenza del Lascaris, che, rivolte
le spalle alla finestra, seguiva attento l'atto della ragazza.
irrequieta.

--Se sapessi di dover morire fra un anno, non so che cosa farei
oggi,--ella continuò intensamente.--È orribile, simile dubbio, quando
la vita ci dà l'abitudine di pensar sempre all'avvenire, come se il
presente non contasse.... Ecco un esempio, l'esempio di quella
giovane, che non ha vissuto, che non ha gioito, e che un giorno, assai
presto, rimarrà vittima d'una crisi.... Povera anima! Povera bambina!

Cesare avvertì uno sguardo supplichevole d'Emilia, per invitarlo a
rassicurar la sorella; ma egli non si mosse dalla sua posa consueta,
le braccia incrociate al petto, gli occhi freddi sopra Roberta, che
camminava concitata per la camera....

--Perdere questa bella, bella vita, perdere il sole, perdere questi
spettacoli,--ella aggiunse, delineando un gesto verso l'amplitudine
del mare e dell'orizzonte,--perdere tutto, senza aver conosciuto
nulla!... No, io voglio ancòra vivere, dovunque, comunque, purchè
viva; non è cosa umana rassegnarci al destino, e passare così, quando
ancor nessuno ci è tanto legato da poter ricordarci sempre!... Perchè
se morissi io oggi, chi mi ricorderebbe fra dieci anni?... Che bene ho
fatto?... Che cosa sono stata?...

Allora, vedendola tutta vibrare di nervosa esaltazione, e rilevando un
nuovo sguardo angosciato di Emilia, Cesare si staccò adagio dalla
finestra, e andò incontro a Roberta, la prese dolcemente per un
braccio, e fissàtole negli occhi gli occhi imperativi, le disse:

--Basta, signorina. Che significano queste idee? Dove le ha lette?...
È guarita, è forte, e nulla contrasta il suo avvenire.... Tutta la
colpa della sua tristezza, è in Lei medesima.

Sotto lo sguardo attanagliante dell'uomo, Roberta parve decadere da
un'alta allucinazione; il colorito le si diffuse alle guance
vivissimo, e nel punto in cui Cesare la lasciava, ella andò a sedersi,
e restò a capo chino, umiliata....

--Suvvia,--finì il Lascaris con un sorriso,--la sua povera malata
guarirà, e non valeva la pena di trarre deduzioni pessimiste contro il
destino.... Quale comunanza poi, Ella abbia con l'epilettica, dall'età
infuori, io non saprei; e l'età è poca cosa, per credere che se quella
morisse, dovrebbe morire anche Lei.... Non è vero? Mi dica che ho
ragione,...

Con una fievole punta d'ironia, egli era a bella posta passato al di
là de' suoi diritti; s'era compiaciuto a far sentire l'indulgenza
mordace che le debolezze di Roberta suscitavano nel suo animo, quasi
le debolezze d'una bimba....

--Sì,--ella rispose a voce bassa, levando infine lo sguardo in volto a
Cesare.--Ho avuto torto. Quello spettacolo mi ha tanta commossa!

E per sottrarsi al dominio di lui, corse alba sorella, che la
ricevette e la strinse fra le braccia.

--Non recarti oltre, laggiù,--disse Emilia con dolcezza.--Vi andrò io,
se vuoi. Tu ti lasci troppo impressionare.

Innanzi alle due giovani riavvicinate e avvinte, le quali lo
guardavano con occhi sì diversamente intensi, il Lascaris provò ancòra
la vampa di calda sensualità che lo bruciava ormai sempre alla vista
delle due sorelle; e quell'entrare di un tratto nel possesso
spirituale di Roberta, quell'impero ch'egli poteva, ch'egli avrebbe
potuto stendere più ampio su di lei, col diritto del medico
sull'ammalata inconscia, gli piacquero e lo aizzarono.

Un fastidioso silenzio chiuse la rapida scena. Cesare stava per tôrre
commiato, quando la fanciulla lo prevenne, diede un bacio a Emilia, e
salutato il Lascaris, ridiscese in giardino.

--Nessuna speranza, dunque?--egli ricominciò non appena furono
soli.--Non parlerai?

Emilia era tuttavia circonfusa dalla tristezza, che Roberta sembrava
aver lasciato con la sua assenza.

--Chi oserebbe parlare?--rispose.--Non vedi? Non capisci? È
crudelmente ammalata di spirito.... Chi oserebbe parlarle, in simili
condizioni?

--Ammalata di spirito?--ripetè il Lascaris.--Io ho conosciuto
parecchie fanciulle, le quali inghiottivano il sale e bevevan l'aceto,
nella ingenua speranza di morir consunte.... Sono le piccole follìe,
cui poche normalissime si sottraggono; sono i perturbamenti
dell'età.... La signorina legge forse troppi romanzi.

--Cesare!--interruppe Emilia.--Non posso lasciarvi parlare così di
Roberta....

--Legge troppi romanzi,--proseguì Cesare pacatamente, nell'atto che
riprendeva la canna e il cappello.--La morte è sempre descritta nei
romanzi con un lusso di particolari falòtici, che fanno ridere; non è
un fenomeno naturale e semplice, ma una trovata dello scrittore, una
punizione d'Iddio, una giustizia degli uomini, uno scioglimento di
qualche terrifico dramma, che diversamente non sarebbe mai più
finito.... Questo ha turbato la fantasia di tua sorella, e una
contadinotta qualunque non può patir di capogiro, senza che la
signorina ne preveda la morte e le esequie.... E noi, qui ad attendere
che i fantasmi passino, mentre andranno sempre rinnovandosi poichè non
sono formazioni esterne e occasionali, ma flora indigena, creazioni
caratteristiche del suo cervello.....

--Cesare!... Cesare!... Cesare!...--esclamò nuovamente la donna, su
tre tòni diversi.--Non vi avrei supposto tanta ingenerosità.... Essa è
malata....

--Addio, Emilia,--egli rispose, prendendole ambo le mani.--Cercate di
non farmi ricordare quanto può un uomo che vuole.... Cercate di
parlarle.... O le parlerò io, benchè non abbia su di lei autorità
alcuna.

Una maschera di sarcasmo gli era scesa sul volto, e traverso le
frigide parole di lui sembrava minacciare qualche imprevedibile
ribellione.

Emilia non consentì alla stretta delle sue mani; e lo lasciò partire,
pensando che non lo conosceva, che in fondo al cuore dell'uomo doveva
giacere una malvagità sottile, una acerba indifferenza per i mali
altrui. Forse, tutto ciò ch'egli era apparso fino allora, poteva
essere stato frutto d'ipocrisia, di quella ipocrisia non volgare, cui
la lotta medesima suggerisce e insegna.... Certo, il sarcasmo, il
lieve disprezzo per Roberta e probabilmente per lei stessa,
rivestivano i suoi lineamenti arguti meglio assai delle altre
espressioni delle quali il volto mobilissimo di Cesare era capace.

Quando fu a' piedi della scalinata marmorea, egli scorse Roberta china
sopra un cespo di gaggìa, da cui staccava a uno a uno i granelli
dorati e fragranti, serrandoli nel cavo della mano.

Cesare avrebbe voluto scansarla; ma ella avvertì il passo, lasciò la
sua leggiadra occupazione, e andò incontro al Lascaris.

--Ascolti,--gli disse.--Le grida giungono fin qui.... L'ammalata è nel
rustico.... Vada, vada a vederla....

Veramente, grida non s'udivano, e il silenzio non era interrotto se
non da un canto acutissimo sulla strada, un canto lamentoso e azzurro,
che i popolani liguri trascinano in note di falsetto.

--Sarebbe indelicatezza verso l'amico mio dottor Noli,--osservò Cesare
annoiato.--Non v'è pericolo, non ve n'è affatto.... E, d'altra parte,
io non rappresento nulla; sono il signor Lascaris, un passante, un
villeggiante qualunque. Da due anni, lo sa, ho lasciato la
carriera.... Il mio intervento non può essere scusato se non da casi
eccezionali.

--Ero dunque ben gravemente ammalata, quando Lei è venuto a visitarmi
la prima volta?--chiese Roberta con una triste lentezza.

S'erano fermati poco lungi dalla villa, sul principio del viale che
digradava fino alla verde cancellata; ed Emilia udiva le loro voci,
senza afferrar le parole.... Ricordò allora, la donna, la dubbia frase
dell'amante: «Di quale animo devo impadronirmi? Del tuo, o dell'animo
di tua sorella?»

Un malefico intento di torturar la fanciulla nacque sùbito nello
spirito affaticato dell'uomo; e invece di protestare, di confortare,
di toglierle ogni apprensione sulla malattia d'ieri, che poteva essere
la malattia di domani, egli non rispose motto, e finse l'impaccio di
chi cerca una benevola menzogna.

Gli fiammeggiava in mente la sensazione da lui medesimo definita: «Con
una parola potrei forse ucciderti» e la parola stava per iscattare,
rovesciando ai suoi piedi la giovane dritta e titubante. Ma fu tosto,
ridestato dall'incubo.

--Abbiamo una giornata ideale,--egli disse.--Perchè non esce a
passeggio? Le gioverebbe assai più che occuparsi di quella ragazza.

--Se ero tanto malata, come posso essere guarita d'un
tratto?--soggiunse Roberta, allentando il pugno e lasciandosi sfuggire
i grani odorosi della gaggìa.--E perchè Lei m'illude?

Aveva nella voce qualche cosa umile e paziente, qualche cosa forse
anco vile e trepida, non mai udita da Cesare nelle domande di lei.

Ella era innanzi al giudice, al quale voleva carpire per insidia la
sentenza intima e sepolta. Studiava d'avvicinarsi alla verità,
fingendo una rassegnazione consapevole; ma sotto alla scaltra
indagine, il terrore, l'angoscia istintiva della giovanezza per la
tenebra eterna, vibravano.

Pur di assaporare la vita, il sole, la felicità d'una lunga dimane, la
vergine intatta nel corpo e monda nel pensiero, si sarebbe macchiata
di qualunque impudicizia; colui che avesse potuto offrirle la
salvezza, avrebbe imprigionato la fanciulla in una schiavitù senza
limiti, per sempre. O forse, rispondendo alla visione che balenava
qualche volta alla mente di Cesare, fors'ella si sarebbe gettata ai
piaceri con la fame avida di chi vuol tutto conoscere in breve giro di
tempo, con la febbre di chi alle spalle intende il galoppo macabro.

--Che cosa posso dirle più di quanto non Le abbia detto?--egli rispose
freddamente.--Io non ho mai incontrato anima meno fiduciosa...! Ella
turba la pace d'una persona che le è cara, e rattrista un'esistenza
che non le appartiene....

Si mosse per allontanarsi, e già s'era incamminato, quando la voce di
Roberta lo richiamò tenera e sommessa:

--Almeno, mi saluti,--diceva.--Almeno, mi saluti....

Un'altra fanciulla, Cesare vide venirgli incontro, nell'animo della
quale le parole di lui secche, brevi, imperiose, avevano prodotto la
reazione.

Gli veniva incontro Roberta, il volto irradiato da un lampo di gioia
riconoscente; bella di fiducia, a testa alta, con la mano tesa, ormai
sulla via della schiavitù assoluta, per quanto piccola sicurezza di
bene egli avesse potuto offrirle.

--Addio, fantastica!--Cesare disse, stringendo quella mano, la quale
già rispondeva alla sua stretta con qualche abbandono femminile.

--Addio, dottore!--ella replicò, mettendo in quell'appellativo un
arcano senso di devozione e di fede.

Allora, veramente, l'ululo della epilettica lacerò l'aria, rompendosi
in un sèguito di singulti barbari.

Cesare fissò in viso Roberta; ma questa gli sorrideva ancòra, e tutta
colma di speranze egoistiche, non aveva udito.




XVI.


--Se lei volesse mandarci il fidanzato di sua sorella....--pregò la
vecchia.

Roberta, incamminata per uscir dalla casupola, si volse bruscamente.

--Il fidanzato di mia sorella?--ripetè.--Che cosa dite?

--Sì, quel signore, il medico che viene tutt'i giorni dalle Signorie
Vostre....

La fanciulla s'abbrancò allo stipite per non vacillare; e rispose,
impallidendo:

--Va bene, glielo dirò.

Poscia si fece forza, e uscita rapida in giardino, entrò in casa,
risalì nella sua camera.

Non aveva trovato energia per protestare. Cesare Lascaris, agli occhi
di quei contadini, era il fidanzato d'Emilia; probabilmente, anche
agli occhi delle cameriere, agli occhi di chiunque avesse voluto
spiegar l'assiduità del giovane presso le due sorelle.

E fidanzato era certo l'eufemismo che significava l'amante.

In tal modo, Roberta veniva punita della sua pietà; poichè dal giorno
della crisi, quotidianamente s'era recata a visitar l'epilettica.

Nella famiglia de' massai, tutti piagnucolavano, per l'ereditaria
viltà delle razze inferiori; e tutti s'occupavano, guadagnavano,
spendevano avaramente; tenevano a fitto la terra circostante alla
villa, facevan da procaccia tra il paese e Genova, lavoravan da
falegname; e tutti piagnucolavano.

Pareva che il lamentìo sommesso della schiatta si fosse impersonato
nell'avolo, un vecchio d'ottantatrè anni, curvo e disseccato; il quale
non moveva piede, non si poneva a sedere, non girava lo sguardo, non
s'appoggiava alla lunga canna, senza trarre dal petto concavo un lagno
querulo e abitudinario.

Roberta s'era lasciata cogliere, e portava cibo, vesti, danaro.
Vigilava con gli occhi inteneriti la scialba fanciulla, che non
sembrava notarla mai al suo fianco. E scorrendo quasi l'intera
giornata in quella casupola, tanto malinconiosa da non credersi
piantata come la villa a oriente di una vaghissima costiera,--Roberta
intendeva di tempo in tempo qualche allusione, o coglieva qualche
sorriso, che le riuscivano strani e la facevan pensare. Senza dubbio,
lievi cose; ma l'animo di lei, dopo aver lavorato nella vacuità del
sospetto, era avido ormai d'indizii, e cercava inconsapevole una
traccia, una guida, purchè fosse.

--È il cane del diavolo, cotesto,--diceva la massaia, accenando
_Nero_, che andava a scodinzolare presso la fanciulla.--Abbaia
sempre..Vossignoria non l'ode, qualche volta?... Sveglia tutti quanti,
la notte.... Ma...., di guardia!... Oh, se è di guardia! Quando urla,
sa perchè.... Vien qua, _Nero!..._ Eh, gli piacciono i signori! I
signori, li rispetta....

Sorrideva, d'un sorriso decisamente sciocco; ma non sorrideva con lo
sguardo, irresoluto, fuggevole; e il piccolo corpo secco e magro della
femmina pareva allungarsi; e il collo s'allungava di certo, aiutando
la voce senile che fischiava il polifono dialetto ligure.

--Una notte, perfino, mio marito è dovuto scendere a vedere.... _Nero_
abbaiava.... Come abbaiava forte!... Ma sapeva perchè.... C'era
qualcuno in giardino....

--Qualcuno, di notte?--esclamò Roberta.--Chi, dunque?

--Eh, qualcuno!--ripetè l'altra, seguitando il suo ghigno melenso.

--Un ladro, un vagabondo, senza dubbio....

--Eh no, un ladro...! Qualcuno, insomma.... Basta: quando _Nero_
abbaia, sa perchè....

Ma Roberta, guidata da una bieca luce improvvisa, aveva voluto sapere,
aveva insistito, per combinar la data del trascurabile episodio con un
certo suo ricordo, esso pure, fino a quel giorno, trascurabile.

Poi, avvistasi della curiosità feroce cui si dava in pascolo, sentì
una nausea violenta, troncò l'interrogatorio, gettando alla femmina un
involto che le aveva portato. E non essendo riuscita a definir
tuttavia se la fanciulla avesse compreso o non avesse avuto bisogno di
comprendere, la femmina aveva allora tentato il colpo maestro,
fingendo l'ingenuità:

--Se la Signoria Vostra ci mandasse il fidanzato di sua sorella....

Roberta uscì rapida in giardino, entrò in casa, risalì nella sua
camera.

Ella aveva toccato il colpo, quasi piegando sopra sè medesima; e
avvertiva lo scatenarsi d'un gran male fisico, non diversamente che
ne' suoi giorni di terrore.

Il fatto prendeva nella imaginazione mobile e ignara della giovanetta
le proporzioni d'un delitto, del quale sua sorella, la sua Emilia, si
fosse macchiata.

Ella ritrovava nella mente la figura incomparabile della donna, chiusa
in una leggera vestaglia con gran collare alla Stuart, i capelli
crespi snodati e lunghi fino oltre le reni; bella, giovane, fresca,
esultante per una delizia attesa; e finta, simularda, egoista come
tutti i felici.... Era entrata nella camera di Roberta; cosa strana,
non mai avvenuta prima; e aveva rassicurato la fanciulla, nervosa per
l'abbaiare, anche strano, di _Nero_; l'aveva così caramente ripresa
delle sue inquietudini; le aveva imposto le care mani sul volto,
l'aveva addormentata.

E un uomo, nel giardino, stava ad aspettarla!

Perchè non si poteva nutrir dubbio; e l'aneddoto narrato dalla
vecchia, rispondeva benissimo alla maraviglia interrogativa onde
Roberta era stata colpita quella notte.

In giardino? La donna era scesa in giardino, con la vestaglia piena di
fruscìo, coi capelli snodati?

Il cuore di Roberta cominciò a battere violentemente. Ricoveratasi
nella camera, era corsa al cassettone, vi aveva appoggiato i gomiti, e
secondo l'abitudine delle sue ore meditative, vi era rimasta,
guardandosi nello specchio, a pensare.... Una vampata calda di sangue
le affluì al volto....

In giardino era avvenuto il convegno? Non poteva dubitarne; non osava,
benchè tale convegno non fosse verosimile, con quell'abbigliamento,
col pericolo di essere uditi.... Ma dell'abbigliamento ella sapeva
alcuni particolari, i quali ritornatile alla memoria, le avevan
chiamato tutto il sangue al volto. Sotto la vestaglia, sua sorella era
indifesa....


Dunque, mentre Roberta credeva sè medesima ed Emilia serrate in un
inviolabile cerchio di sventura, la donna aveva spezzato il cerchio,
n'era uscita, abbandonando la fanciulla alle sue angosce, al suo male,
a' suoi spettri.... La voce della giovanezza l'aveva chiamata
all'amore.

E la parola magica sfolgorò un gran raggio, passando traverso la mente
di Roberta; a lungo fu assorta nella contemplazione del mistero, non
diversa dalla femminetta innanzi al Tabernacolo, timorosa della maestà
del luogo e impaziente di varcarne la soglia, per essere inondata di
luce.

L'amore, alle giovani veniva carico di promesse, ricco di secrete e di
palesi delizie, invitto di superba possanza nel ridente aspetto
d'Iddio; e nulla aveva più senso, nulla aveva più forza, nulla poteva
essere d'indugio o d'ostacolo alla sua via trionfale. Era l'Iddio
eternamente pagano; l'agile sua navicella varcava insommergibile gli
oceani del tempo, sfidava tutte le tempeste....

A lei, forse, povera, di sangue, attanagliata fra le branche del male
senza pietà, a lei non doveva giungere l'amore; non mai avrebbe avuto
potere di strapparla alla sua vita letargica, di lanciarla nelle spire
della passione, di farle obliare i presentimenti sconsolati....


--Ebbene?--disse Emilia, aprendo la porta.--Che fai lì, tutta sola?

Roberta sussultò, ritraendosi, e guardando la sorella. Vestiva Emilia
un abito chiaro, largo di gonne, aggraziato e snellissimo di busto;
portava un cappello di paglia con qualche piuma; attraverso il
veletto, gli occhi splendevano e le labbra apparivano tumide,
ingranate.

--Niente,--rispose la fanciulla, sentendosi ancor tremare.--Tu esci?

--Andrò alla marina, un poco....; verso Nervi....

Roberta notò che Emilia non la fissava negli occhi, e le sembrò di
avvertire che un debole rossore salisse alla fronte della donna. Ebbe
una stranissima pietà per il lieve impaccio di lei; ebbe lo
stranissimo bisogno d'aiutarla a mentire.

--Va,--disse.--È una magnifica giornata.... Avrai forse un po'
d'emicrania?

--Sì, un po' d'emicrania,--confermò Emilia.--Vado; l'aria mi farà
bene. Addio, cara.

--Addio.

E in preda sempre al desiderio d'aiutarla, Roberta si mosse, andò a
posare un piccolo bacio sulla fronte della donna, e stringendone la
mano, le sorrise.


Dall'orrore temerario, decadeva quasi alla complicità; dallo sdegno,
si sentiva repentemente portata all'occulta simpatia. Non riusciva a
comprendere ella medesima come le fosse mancato ogni impeto di
rivolta. Il suo cuore stava muto; nulla che significasse lo sfacelo
d'un sogno, il precipitare d'un'illusione; l'abbandono d'Emilia la
lasciava fredda.... Di più; ascoltando bene il cuore bizzarro, una
voce pareva sorgerne: «Sono libera anch'io; debbo anch'io procedere
sola, vivere una vita mia, cercare altrove la mia strada.»

Ella volse in giro lo sguardo. Come aveva potuto credere che
l'esistenza intera fosse racchiusa fra le quattro pareti della sua
cameretta?

Andò a sedere sul divano, facendosi posto tra i libri ch'erano stati i
soli confidenti delle sue speranze tumultuose; e appoggiato il capo
alla spalliera, partì con l'anima dietro una selvaggia orda di
visioni, afferrando di tempio in tempo il filo d'un ragionamento
seguìto, e sùbito riperdendolo tra la baraonda.


Quanto era stata ingenua!... Da più mesi, sua sorella amava; sua
sorella godeva le squisitezze d'un sentimento immortale, ed ella,
Roberta, l'aveva supposta ancòra meschinamente chiusa nelle abitudini
quotidiane! Ella, Roberta, s'era lasciata sfuggire una infinità
d'indizii preziosi, che ora le tornavano ad uno ad uno, col loro
significato certo; e v'era stato bisogno che una contadina maligna
l'avviasse, quasi facendo i nomi, quasi offrendo le date! Mentre il
fatto era così manifesto, che Cesare Lascaris aveva tentato
addormentare i sospetti, traendola a un'amicizia bonaria,
fanciullesca, mostrandosi di lei più sollecito che di Emilia.

Sarebbe rimasta sola.

Era ricca; da tempo, ella poteva disporre liberamente della propria
agiatezza, e alla sua inesperta fantasia, l'indipendenza materiale
sembrava il càrdine d'una grande felicità.

Aveva cancellato d'un tratto le figure dei due amanti, e si fingeva
sola.

Innanzi alla finestra, fissando le acque sterminate, col mobilissimo
luccichìo solare, pensava:

--«Tutto ciò mi è indifferente; tutto ciò non ha ancòra senso per me.
In questo decembre, Milano, la città, i teatri, le feste, mi sarebbero
assai più cari. Io sono sola, e non posso godere cotesto spettacolo
magnifico, ma eterno e pieno di silenzio. No; v'è qualche cosa pronta
e facile, nella vita, che io non conosco: io non conosco i
sodisfacimenti dell'ambizione, la delizia di sentirsi ammirata, il
gaudio d'essere libera, padrona d'oggi, di domani, arbitra di restare
o di partire.... Sono bella?»--

Tornò allo specchio, e interrogò la propria imagine, un poco pallida,
con gli occhi febbrili, i capelli biondi e arruffati.

--«Potrò essere elegante.... Ma perchè non soffro? Mio Dio, perchè non
soffro? Non amo più Emilia? Ci siamo ingannate ambedue, forse,
imponendoci una schiavitù senza ragione. Le sorelle non si amano come
noi volevamo amarci, chiusi gli occhi a tutto quanto non fosse del
nostro affetto.... Emilia se n'è avveduta la prima. Presto, ella dovrà
parlarmi e confessarsi: io la stringerò fra le braccia e le dirò
ch'ella è libera, che noi siamo libere. Poi, comincerò a vivere sola,
per me stessa, d'una vita elegante....»--

E, poichè era sempre la fanciulla angariata e attratta dai sogni un
po' umoristici del romanticismo, perdette ogni nozione della realtà,
cominciò a imaginare il mondo alla stregua delle sue fantasie. Vide
luce, molta luce sulla strada dell'avvenire, e vide sè medesima
incedere tra quei nimbi aurati, vergine superba e intatta.

Curva su gli abissi della disperazione, non aveva mai pensato
all'amore; e lo scoperto amore d'Emilia prendeva un significato di
giocondo auspicio anche per lei.

Aveva creduto morire, mentre non si moriva alla sua età; aveva
paventato che l'amore non fosse mai per giungere, e sarebbe giunto a
tutte. Ella avrebbe saputo farsi amare ed esser fedele quanto una
schiava; le sue gioie, le sue sciagure, si sarebbero confuse con un
altro destino, nell'ora dell'incontro.

Questi pensieri andò volgendo, su questi pensieri variando in
gradazioni infinite. Respirava come un'assetata d'aria pura in una
pinnacolata selva di balsamifere.


Alcuni giorni squallidi ed inutili seguirono, di cui Natura non dava
credito; li contava buoni sulla bilancia, e li avrebbe fatti pagar con
la morte.

Il giuoco di Cesare Lascaris appariva ormai così semplice agli occhi
di Roberta, ch'ella si stupiva di non averlo compreso avanti; e docile
alla solidarietà istintiva per la sorella, per la donna
innamorata,--pur rilevando ad ogni poco un cenno, uno sguardo, un
fatto, i quali sempre le erano prima sembrati differenti,--si prestava
all'inganno.

Le piaceva ridere; perdeva la sensibilità onde aveva trovato tutt'i
giorni un argomento di dolore: la fanciulla irriflessiva era risorta.

Non mai amicizia le era parsa più saporosa che quella di Cesare
Lascaris, dell'uomo caro alla sorella sua, destinato ad avviar
l'esistenza dell'una e dell'altra verso la strada piena di luce. Egli
le avrebbe tolte al malaticcio incubo del reciproco obbedire, legando
a sè la vita d'Emilia, liberando Roberta di fronte all'indomani.

Già aveva liberato questa dal fantasma della morte precoce; già la sua
prima apparizione in casa loro era stata salutare, provvidenziale.
Roberta gli doveva la vita, e più che la vita, la fede; e più che la
fede, l'avvicinamento insperato d'un sogno.

Perchè dalla nuova sorte d'Emilia, scaturiva naturale che Roberta
sarebbe rimasta sola, intutelata, arbitra di tutta sè medesima.

Tali vertiginose mutazioni s'eran fatte manifeste.

L'istante venne, in cui Cesare sentì che il cuore della giovinetta era
colmo di gratitudine, e ch'egli aveva imprigionato la fanciulla in una
schiavitù senza limiti, per sempre.

Ancòra lontana, l'idea dell'amore; limpido, il sentimento di lei; ma
ella era entrata nello stadio più favorevole alla suggestione, quando
l'anima femminile si confida, e dall'uomo aspetta la parola che la
calmi o che la inciti. Se Cesare si fosse lasciato trascinare a posar
le labbra sulla bocca di Roberta, ella non si sarebbe opposta,
concedendo senza sapere, forse come tributo d'obbedienza, in un oblio
fulmineo.

Dopo, e invano, sarebbe venuto lo sguardo tragico, pazzo, col quale le
fanciulle sedotte si risvegliano dalla colpa.

Cesare palesavasi finalmlente a Roberta nel fàscino dell'uomo freddo;
ella scopriva d'aver creduto a lui solo, d'avere sperato solo per
opera di lui; non alcun altro medico, non Emilia avevano osato
irridere alle sue paure, al suo presentire, a' suoi vaticinii puerili.
Nessuno al mondo l'aveva avvicinata con tanta familiarità; a lui
nemmeno era balenato il pensiero d'adularla; il motto piacevole e
comune, la lusinga piccola, la meschina frasuccia erangli ignote.
L'aveva presa, collocata più alta delle convenzioni, dominata per
maschia semplicità, combattuta e salva.

Tutto ciò, nello spirito di Roberta, aveva prodotto un'eco lenta, che
saliva a poco a poco, ma tenace e prolungata; così come gli indizii
dell'amore di Cesare per Emilia erano stati torpidi a collegarsi nello
spirito di lei, e poi a poco a poco le si erano svelati agli occhi
della mente con una logica sicura.

E alla sua ammirazione anche la conquista d'Emilia giungeva quale
argomento. La donna pareva scusare la giovanetta; la donna aveva tutto
dimenticato; era scesa nel giardino, formidabile di ombra, a notte
alta. Roberta ammirava il romanticismo di quel colloquio, dell'amore
che a quel colloquio aveva concluso; e comprendendo che le
vicissitudini del dramma dovevano essere state per la giovane
altrettante ore di dubbio, d'angoscia, forse di rammarichi, la
fanciulla fu tutta nuova intorno a lei...

--È strano,--osservò Emilia, un di quei giorni, a Cesare.--In mia
sorella non trovate nulla di mutato? Vi pare ch'ella tema? Non l'ho
vista mai così affettuosa, in nessun tempo.... Mi parla con dolcezza,
mi ascolta con devozione, mi circonda di cure gentili....

Accennò presso all'uomo, sopra lo scaffale da ninnoli, una leggiadra
statuetta eburnea, rappresentante Diana in atto di scoccar la freccia,
un grosso cane avido ed intento al suo fianco.

--Ecco: ieri è andata a Genova e n'è tornata con codesta piccola
statua d'avorio, ch'io desiderava.... Quel mazzo di rose sulla tavola,
è stato colto e messo insieme da lei; è il suo regalo d'ogni
mattina.... V'è, infine, un mutamento senza causa, che mi turba....
Non avete notato nulla?

--È ancòra triste?--domandò Cesare.

--No, non è più triste. Poco fa, mi diceva che vuole andare a Parigi;
ella sogna Parigi, come potrebbe sognarla una bambina, la quale non
sappia che cosa sia una città. Ma una volta, io aveva parte a' suoi
disegni; ora mi dimentica, parla di sè, quasi volesse andare a Parigi
sola.... Poi, vi sono altre cose inesplicabili.... Non vi sembra, ad
esempio, che da qualche tempo moltiplichi le sue assenze e le
prolunghi? Appena giungete voi, trova un pretesto per allontanarsi.

Mentre la donna parlava, Cesare andava mentalmente enumerando i segni
delle mutazioni che in Roberta aveva egli pure afferrato; e sopra
tutti, certi sguardi fissi, poco meno che affettuosi e caldi, i quali
venivano a lui dall'amica incapace a simulare; e ancòra meglio, la
sommissione timida che impediva a Roberta di rifarsi alla confidenza,
una volta così audace, con Cesare.

--Chi può indagare il significato d'un capriccio?--egli disse.--Forse
noi diamo troppo peso alle variabilità del suo umore; e aspettando, ci
torturiamo. Suvvia, Emilia, bisogna affrontar gli ostacoli, d'un
colpo, e uscire da queste incertezze, che non muteranno nulla, poichè
io non rinunzierò mai a te.... Dovessi commettere la più strana
follìa, dovessi spingere il mio diritto fino alla crudeltà, non
esiterei.... Io ti amo, e il mio diritto è divino.

Egli aveva meditato in quei giorni, e il terrore della solitudine, che
non ha grida, ma risuona dentro l'anima in vibrazioni echeggianti, lo
prendeva d'un tratto.... Egli soffriva la responsabilità della propria
solitudine; non aveva mai saputo meritarsi una pronta amicizia, un
tenero amore, una commovente solidarietà.

Non aveva saputo esser nulla fra le energie simpatiche le quali
attraggono; era stato piuttosto, quando per fatalità, quando per
orgoglio o per indifferenza, era stato un'energia repulsiva, un
solitario, un egoista, un nomade, un parassita, che gode la civiltà e
la disprezza, che ha bisogno degli altri e non se lo confessa, che
vive la vita di tutti e finge di vivere una vita speciale.

Ora, tra lui e Roberta, tra l'uomo forte, calcolatore, e la fanciulla
esile, quasi moribonda, inutile, impacciante, egli non doveva essere
sacrificato.

--Hai inteso, anima mia?--continuò.--Questo periodo di miraggi non
sarà distrutto, qualunque cosa sia per accadere.... Io ti voglio,
perchè tu devi essere la mia vita.

--Te ne prego, Cesare,--interruppe Emilia, avvertendo ch'egli
dimenticava il luogo ove si trovavano e il pericolo d'essere uditi
dalle persone di servizio.

Rapidamente, ella intuiva l'uomo, passionale e cupo sotto la maschera
della freddezza; capace d'arrivare al delitto per il chiuso egoismo
del possesso, per la difesa della conquista. Se ne sentiva atterrita e
sdegnata; l'ardore incontenibile dell'amante le pareva brutale, e
certo assai dubbio per il sèguito, quando l'ardore fosse stato
soddisfatto e Cesare non avesse saputo mitigarne la vuota fine con un
sentimento più puro.

--Dunque, parlerai, le annunzierai?--egli insisteva, baciando; le mani
della donna.

--Le annunzierò....--disse Emilia.

--Oggi, oggi stesso?

--Appena se ne offrirà l'occasione, Cesare....

--No, oggi stesso, quando sarò partito....

--Ebbene, oggi, quando sarai partito....

Ella sapeva avanti che non avrebbe trovato la forza di dire una parola
a Roberta.

Da tempo, aveva preso l'abitudine d'aspettare, paurosamente; sapeva
che a toglierla da quella incerta aspettazione, solo qualche fatto non
voluto e non cercato, avrebbe avuto potere....

Dopo un lampo d'esitanza, Cesare le si avvicinò, le prese la testa che
ricoperse di baci fitti e ardenti....

--E promettimi ancòra....--egli soggiunse.--Promettimi....

Terminò la frase presso l'orecchio di lei, sorridendo; mentr'ella ebbe
un gesto di diniego col capo e con la mano....

--Perchè?--implorò Cesare.--Dammi questa prova; non tenermi in
angoscia.... Vuoi?

--È inutile,--disse Emilia.

--No, non è inutile,--proruppe il giovane.--quando tu mi ami....

--Ma se oggi non potessi parlarle?--osservò la donna, risentendo, al
solo pensiero di quel colloquio, battere dolorosamente il cuore.

--Se vorrai, potrai parlarle.... E per ciò....

--Sta bene,--concluse Emilia.--Ti prometto anche questo.

Stranamente, concepiva in quell'ora contro il Lascaris un'ombra di
avversione; quasi l'insistenza di lui l'avvertisse che non era più
libera di sfuggire alle battaglie temute, e di adagiarsi nella sua
bella viltà femminile. Il periodo d'indugio veniva dunque a morire? La
dolce gioia di contemplar l'avvenire era finita? Ella avrebbe voluto
ancòra tuffarvisi, in un fiume d'oblio; laddove, più rudemente, l'uomo
desiderava la realtà, avvicinava il futuro tenue e roseo, si stancava
dell'aspettazione dubbiosa, non comprendeva neppur lontanamente la
delicata fragilezza di quei giorni, che non sarebbero tornati mai più.
Era il maschio.

Ma intanto, Cesare la ringraziava con lo slancio, che la passione
faceva in lui ribollire; chinato sulle mani della donna, le baciava
minutamente. Egli così appariva, in vicenda alterna, or l'uomo cùpido,
inquieto, fosco; ora, per una lieve speranza o per una scarsa grazia,
il fanciullo entusiasta, sommesso, incurante del giogo. E vedendolo in
tal modo scendere e salir dolorosamente la scala del travaglio
amoroso, Emilia fu tòcca, e gli rendette i baci.


Più tardi, quando ella si trovò sola, il pensiero del colloquio con
Roberta sùbito l'agghiacciò.

Avrebbe dovuto addentrarsi in una difficile spiegazione; avrebbe
dovuto dire alla sorella, che aveva sull'affetto di lei fondato ogni
cara speranza:

--«Io amo Cesare Lascaris, e mi darò a lui per sempre; egli terrà nel
mio cuore un dominio invincibile e assoluto.... Senza interrogarti,
noi abbiam disposto anche del tuo avvenire: ci seguirai; vivrai, non
più nella calda intimità della sorella tua, ma presso la moglie d'un
uomo che tu appena conosci, e che per mio consenso avrà i diritti
poderosi della legge, il diritto di consiglio sopra di te, l'autorità
d'un fratello.... Io ho deciso del mio avvenire; e senza interrogarti,
ho deciso del tuo....»

Quantunque ella sapesse che nulla in simile procedere era strano o
inusitato, pure qualche cosa l'avvertiva sottilmente come la sua
potestà fosse falsa, come per Roberta le vicende future si riducessero
a una diminuzione di libertà.

E la critica spontanea faceva sì ch'Emilia presentisse le obiezioni
della giovinetta, contro le quali, in caso estremo, non avrebbe potuto
opporre se non la volgarità della solita prudenza, i ragionamenti
gretti e senza luce delle consuetudini sociali, che avevano statuito
la più severa tutela per le fanciulle minorenni, quasi la differenza
d'un anno o d'un giorno rappresentasse gran cosa in un'indole o nelle
inclinazioni d'una giovane anima.

Fu inquietissima, sentendo nascere da' suoi stessi dubbii la necessità
«d'affrontar gli ostacoli, d'un colpo», perchè ella medesima non
demolisse in breve le sue ragioni. Fu irrequieta, rifuggendo dalle
quotidiane abitudini, andando e venendo per l'appartamento, senza
posa; affacciandosi alle finestre, scendendo in giardino, cercando
aria diversa, cielo diverso, un sèguito di diverse libertà; arrossendo
del proprio necessario egoismo, ribellandosi all'idea antipatica di
giocar non l'esistenza sua, ma quella anche della giovanetta ignara,
sopra l'àlea d'un amore che doveva essere di lei sola.

Infine, tentò.

Si diresse alla camera di Roberta; ne spalanco l'uscio, decisa a uscir
d'angustia, e a parlare.

La fanciulla stava, tutta grave, raccolta a un suo leggiadro lavoro di
uncinetto; un gran lavoro, del quale non lasciava ad alcuno vedere il
disegno complicato, del quale non diceva ad alcuno lo scopo,
attendendovi instancabile; sebbene Emilia avesse compreso che l'opera
paziente era destinata a lei.

La fanciulla stava tutta raccolta, mentre viaggiava forse per qualche
città d'oro, nella sua prossima vita d'eleganza. Una buona finestrata
di sole erale intorno.

Ella andava soffocando le fisiche ambasce con un'interpretazione
nuova; soffriva nel petto un'arsura di fiamma, le granfie d'un dolor
sordo a le spalle, per tutto il corpo la ripugnanza di vivere, di
muoversi, di agire? erano impressioni nervose, bizzarrie sensitive,
fantasticaggini. Tossiva, arrossando la pezzuola portata alle labbra?
perturbazioni fuggevoli della donna. Aveva la febbre? caldura della
pelle, generata dall'ansia di quei giorni.

Si sdoppiava, facendo a un tempo da malata e da medico ingannatore;
interrogandosi e rispondendosi.

--Hai bisogno di me?--chiese, al vedere Emilia così repentemente
comparsa.

--Debbo parlarti....--cominciò questa. S'interruppe bruscamente,
soggiogata dalla propria commozione.

Roberta si levò, riponendo i suoi arnesi nel panierino da lavoro, e
prendendo un atteggiamento non solito, quasi avesse aspettato
quell'ora, da tempo.

Ma trovata infine la formula per cominciare, Emilia sentì il desiderio
irresistibile di non usarne.

Già era per colorir qualche pretesto; già respirava, felice del
ritardo che poteva concedersi; già pensava a calmar l'impazienza di
Cesare; quando, nell'alzar lo sguardo in volto a Roberta, vide questa
sorridere mitemente e stendere le braccia verso lei....

La novissima êra di libertà pareva alla fanciulla dovesse principiar
da quel giorno.




XVII.


Con gli occhi chiusi, immobile, si fingeva addormentata....

Udì posar cautamente la bugìa sul tavolino; alcuni passi, non più
materiali che il fruscìo del velluto sul velluto.... Una pausa; certo,
Emilia la guardava dormire; e poco dopo s'appoggiava al letto,
lievissima, e si chinava fino al volto di Roberta.... Ancòra un attimo
d'esitanza; sopra i capelli della dormente lo sfiorar delicato delle
mani d'Emilia, il tatto appena d'una piuma, quant'era bastevole per
richiamarla se fingeva, per non turbarla se dormiva.... Poi, sempre
camminando così leggera da essere indovinata piuttosto che udita,
Emilia si ritraeva, sicura; tentava prudentemente la finestra, ad
assicurarsi fosse ben chiusa; riprendeva la bugìa sul tavolino,
riaccostava l'uscio.... Al di là, stava ancòra in ascolto; indi, osava
un passo più deciso, allontanandosi...

E tutto ripiombava nel silenzio.

S'era svelata da sè medesima, per la cautela soverchia di verificare
se Roberta dormisse: e sùbito, nel pensiero di questa lampeggiò la
certezza disgustosa:--«_Qualcuno_ ancòra l'aspetta in giardino!»--

La fanciulla si sciolse dalla immobilità forzata; si levò a sedere sul
letto, guardando con gli occhi fissi nel buio...

--«Che cosa si diranno?--pensò.--Certamente parleranno di me, faranno
dei disegni per l'avvenire; disporranno della mia vita e della mia
libertà, come di cosa loro!»

Allungò il braccio ad accendere una candela; s'intrattenne, fra la
luce giallognola, a riflettere, sentendosi a poco a poco tutta
conquidere dalla brama d'udire, mentre numerava i pericoli di quello
spionaggio, la probabilità d'essere sorpresa, la difficoltà di
raggiungere gli amanti senza incontrar _Nero_, che accusasse la
presenza di lei, latrando.

Ma pur nel tempo in cui meditava, si lasciava scivolar dal letto, e,
prese le sue vesti, le indossava rapidamente. Quando si trovò vestita,
la riflessione tacque; spense il lume, ed uscì, incontro alla morte
dell'anima.




XVIII.


Che qualche cosa di grave fosse avvenuto, Cesare capì, non appena
Emilia giunse al convegno e si liberò dalla stretta delle sue mani.

--No, no! Lasciatemi!--ella disse.--Ascoltatemi!

La luna circondava, magnifica di tralucente azzurro, la testa e il
corpo della donna, come la sera in cui Cesare aveva prima ammirato
Emilia, ritta in una gloria di bianco, di bianco latteo, e di bianco e
di bianco. La luna era dovunque; batteva sui gruppi degli alberi,
creava un paesaggio di tenui chiaroscuri; illividiva la villa,
massiccia; stendeva dietro le foglie un velame cilestre a gradazioni
argentee; abbozzava sul terreno ombre leggere.

--Ebbene?--egli domandò avidamente.--Le hai parlato?

--Sì, oggi: me ne ha dato forza ella stessa, perchè s'aspettava....
Aveva indovinato, sapeva....

E notando un atto di maraviglia nel Lascaris, aggiunse:

--Oh, ci saremo traditi le mille volte!

--Ma che cosa ha risposto?

--Ah!... È stata una cosa orribile!--esclamò Emilia, ancòra
vibrando.--Sapeva, ed era felice!... Io non credeva.... Nessun
rammarico, nessun dolore, nessun rimpianto per la mia affezione....
No, non imaginavo tanta facilità d'oblio.... Mi ha parlato gravemente:
ha detto che io sono libera, che noi ci siamo ingannate, supponendo di
poter vivere sempre l'una per l'altra.... Ha espresso perfino
riconoscenza a voi, che siete giunto a toglierci dalla nostra
illusione....

Cesare sospirò e le andò incontro, le mani tese, il volto rischiarato
di viva gioia.

--Se tutto è riuscito bene, perchè non siete felice, perchè così
pallida e spaurita?--egli chiese con espressione di mite
rimprovero.--Dubitate del mio amore?

--Oh, Cesare,--disse Emilia.--Non affliggetemi anche voi;
ascoltatemi.... Le sue speranze eran fondate sopra un malinteso, sopra
un inganno....

--Un inganno?--ripetè l'uomo.--Che cosa?

--Sì; era felice, ma per sè; insisteva sull'idea della mia libertà,
soltanto per conquistare la propria.... Non vedeva se non questo; non
capiva, non si augurava che ogni cosa avvenisse in breve, se non per
essere libera, per vivere sola, per viaggiare....

Vi fu un intervallo di pausa. Cesare guardava Emilia, trasognato e
quasi sorridendo.

--Per vivere sola?--osservò poscia, decisamente sorridendo.--E tu non
volevi ammettere ch'ella leggesse troppi romanzi!... Sono idee trovate
fra quelle pagine....

--Cesare,--disse Emilia bruscamente,--voi non capite la gravità di
quanto vi narro, perchè non imaginate l'animo di mia sorella, non
sapete di che cosa è capace per una follia o per un sogno.... Quando
le ho annunziato i nostri disegni, la necessità ch'ella vivesse con
noi, ha gettato un grido come cadesse da una grande altezza.... Sta
male, e tutto mi atterrisce.... Tutto mi atterrisce,--seguitò con voce
tremula, già prossima al pianto.--Una piccola contrarietà le ha
portato altre volte conseguenze gravi, e questo è un forte dolore per
lei....

Invece di proseguire, Emilia trasalì; stette in ascolto, il busto
prono, gli sguardi al limitare del chiosco, ove la luna delineava fra
le macchie degli alberi un lungo viale, quant'era lungo impolverato
d'argento.

--Il romore delle foglie,--spiegò sotto voce il Lascaris, che aveva
origliato a sua volta. E riprese incalzando:--Dunque? Dunque?... Che
cosa vuole?

--Un fruscìo, non il romore delle foglie,--osservò la donna ancòra
  inquieta.

--Non vi può essere alcuno, Emilia; ho girato tutto il giardino,
aspettandoti.... Suvvia, dimmi....

--Certo, ella vive di quelle speranze dal primo istante in cui ci
siamo traditi,--continuò la giovane.--E da allora, è vissuta per la
gioia d'essere libera, per l'illusione di disporre a suo capriccio
l'esistenza propria!....

--Cose incredibili!--esclamò il Lascaris, passandosi una mano sulla
fronte.--Cose folli!

--Sì, sì, chiamatele idee romantiche, assurde; ma, ahimè, ciò non muta
l'attrazione che hanno per lei!...

--E tu,--interruppe Cesare, prendendola per le mani,--tu non hai
saputo opporre nulla, non hai saputo vincerla, non ti sei ricordata
che si trattava del nostro amore, della nostra vita!

--Io ho tanto, tanto combattuto, che l'ho vista mutarmisi innanzi!...
Come non la conoscevo!...

Esitò un poco, involontariamente assorta nel ricordo; avrebbe voluto
tacere, sentendo ch'era difficile manifestare all'uomo l'esaltazione
della fanciulla, convincerne lui, così logico e normale. Ma l'ansietà
dipinta sul viso del Lascaris, la stretta delle sue mani impazienti,
la diressero:

--Ah, che mi ha detto!--riprese, affievolita dall'angoscia
indimenticabile.--Che colore aveva negli occhi! Mi ha detto che non
l'ho amata mai, che ho cercato solo la sodisfazione del mio egoismo,
che sempre l'ho trattata e ancòra la tratterò da schiava, da cosa,
disponendo di lei, della sua giovanezza, della sua volontà, del suo
avvenire!... Come non la conoscevo!... Questo, ho udito dirmi!...
Questo ho meritato con le mie cure!... Questo, questo, questo, ella
pensava di me!...

Si lasciò cadere sul rozzo sedile, e ruppe in lacrime convulse, le
prime lacrime di disperazione che Cesare avesse mai visto sgorgar
dagli occhi dell'amata.... Egli ne fu tòcco dolorosamente; e
inginocchiandosi al suo fianco, accarezzandola con sì lieve carezza
quale la donna stessa sapeva usare ne' suoi momenti d'abbandono,
baciandola discreto con casti baci, tentò il conforto solito con la
voce insolita dell'amore:

--Oh io ti amerò per ogni affetto che il mio amore ti sarà costato!
Non piangere, anima; saremo ugualmente felici; rimedieremo.... Vedrai;
non disperarti!...

Ella si sciolse adagio da lui, asciugò gli occhi, rimase taciturna;
mentre nel cuore di Cesare l'inevitabile parte d'egoismo appariva,
cercando a sua volta la consolazione.

--Ed io,--mormorò,--io son venuto al nostro colloquio con tanta gioia,
con tanta speranza! Non ho voluto attendere fino a domani per ricever
dalla tua bocca la notizia che nessun ostacolo ci separava
più!...--Aggiunse, rizzandosi, movendosi nervoso entro il piccolo
spazio della chiosca:--Chi si sarebbe aspettato?...

Egli mentiva, ingannandosi senz'averne coscienza.

Al convegno s'era recato nella sicurezza della prossima conquista, e
perciò calmo, sereno, sodisfatto della liberazione dai malsani istinti
carnali, che le due sorelle riavvicinate stimolavano in lui; ben
sapendo che il possesso certo d'Emilia avrebbe fiaccato e rotto
l'incanto suggestivo di Roberta, per sempre.

Il dubbio della conquista, la quale pareva, non isfuggirgli, ma
allontanarsi di nuovo assai, gli dava ora fuoco nel sangue.

--Chi si sarebbe aspettato una tale pazzia?... Lasciarla libera,
lasciarla vivere sola?--seguitò, interrogandosi.--Non ha ancòra
vent'anni! Le manca perfin l'ombra dell'esperienza volgare! E, quando
pure, non è qui, non è qui il pericolo più grave.... Il pericolo più
grave.... No, no, Emilia, non hai saputo parlare, non hai saputo
dominarla, tu per la prima non hai sentito l'assurdità intollerabile
delle sue pretensioni!

Le si rivolgeva poco men che accigliato, egli stesso non trovando in
qual modo, contro chi sfrenare lo sdegno per la forma insospettata
della difficoltà.... Gli prorompeva dal cuore, infine, l'odio non più
velato, dalla perversion sessuale, ma chiaro, ma virulento, ma bramoso
di frantumare e disperdere la volontà contraria.

--Cesare, abbiate pietà,--implorò la donna, alzando il volto nel quale
gli occhi, ancòra umidi sfavillavano un voluttuoso languore.--Perchè
vuoi giudicarmi? Ti amo, ti amo, e ho trovato tutte le parole del
nostro affetto e della ragione!

S'arrestò, prolungando il gesto supplice, che le piccole mani
intrecciate volgevano al Lascaris; tese l'orecchio, seguì un
misterioso fremito delle foglie; poi, riprendendosi, continuò:

--Mi pare che ad ogni istante qualche cosa di terribile debba
avvenire....

--Sì; sì, lo so, che hai sofferto molto, per me, per noi,--disse
Cesare intensamente....--Sì, devi aver lottato; ma come non si è
arresa all'evidenza, come non ha capito?

Emilia aveva uno spontaneo moto di sbigottimento, passandosi le mani
sul viso, sui capelli, ricco di grazia quasi infantile, che nel cuore
dell'uomo sempre risvegliava tenerezza infinita. Ella fece il gesto, e
l'amante l'attirò a sè, stringendola al petto.

--Sono arrivata fino a minacciarla,--ella rispose, fra le braccia di
lui.--È stata una cosa orribile, ti dico. Ha mutato espressione, ha
mutato voce; non la riconoscevo più.... E tossiva, tossiva,
senz'arrestare la veemenza delle parole.... Un istante, l'ho creduta
pazza....

Uscì dall'amplesso, di Cesare, e appoggiandosi alla tavola di pietra,
soggiunse:

--Pure, mi ha fatta dubitare di me; e perchè dubitava, perchè non mi
sentivo forte innanzi a lei, ho voluto insistere, odiosamente.

--Odiosamente?--ripetè il Lascaris.--Non potevi cedere....

La donna tacque. I suoi sguardi vagavano tra gli arabeschi delle
foglie cupe sullo sfondo lunare; e pensava, non udendo l'altra voce,
ma ancòra la voce di Roberta, ancòra punta dall'inutile pietà della
scena, rabbrividendo all'idea di ritrovarsi domani ancor di fronte
alla sorella così mutata.

--Non potevi cedere a lei, o ritardare, o sacrificare la nostra
felicità,--egli continuava, serrato nell'implacabile egoismo.--Che
v'ha d'odioso, rifiutando l'una e l'altra soluzione imposte? La
rinunzia? Pensi tu sempre a rinunziare?...

--Mi diceva,--interruppe Emilia, senza avere udito,--mi diceva che è
forte e risanata; l'esistenza meschina di paure e di precauzioni,
priva di svaghi, non è più per lei, mi diceva.... È forte, e vuol
vivere; si sente giovane, e non può acconciarsi a star nell'ombra,
sempre. Desidera conoscere il mondo, prender parte alla vita che le è
intorno.... Certo, di tutto ciò non sarebbe nulla, presso noi; forse
non ci cureremmo di lei, e non potremmo occuparcene con la tenerezza
che avevo io sola, quand'ero libera.... Ella prevede questo, e la
logica fredda non vale, non ha forza alcuna contro i suoi sogni....

--Ma così?--domandò il Lascaris, inquieto.--Ti sei lasciata vincere?

Emilia, inerte presso la tavola, senza uno sguardo a lui, le braccia
abbandonate, si scosse e lo fissò d'improvviso, con durezza. Che cosa
egli sapeva delle sue lotte diuturne? Che cosa apprezzava, che cosa
agognava, che cosa voleva conoscere, se non le bellezze del suo corpo,
ignorandone l'anima insanguinata?

Egli aveva sempre studiato i fenomeni materiali, i fatti, gli indizii
dei fatti; ma non gli era mai occorso di riflettere ai fluidi
imponderabili dello spirito, alle delicatissime correnti tra spirito e
spirito.... Per ciò, non aveva dato alcun valore alla colleganza delle
due sorelle; per ciò, Roberta era per lui un'ammalata; non altro; ed
egli poteva esserne il medico diligente, non l'amico pietoso.

--Ho taciuto,--disse Emilia.

--Ed ora?--insistette Cesare, attonito.

--Ma voi credete ch'io abbia taciuto alle prime obiezioni?... Ho
taciuto quando non potevo altro.... Sono arrivata al punto....

Crollò la testa, angosciosamente.... Come sentiva, allora, che la
tristezza non inganna mai! Proseguì, decisa:

--Io la teneva fra le braccia, perchè cessasse dai rimproveri che mi
facevan tanto male; e andavo pregandola di pensare, di capire.... A un
tratto.... Ah, che spavento, Cesare!... A un tratto, m'è sfuggita, è
corsa alla finestra.... Sai che sotto la finestra, a parecchi metri, è
il ripiano della scala di marmo; e sporgendosi infuori, tutta diversa,
stravolta, mi ha detto: «Non insistere, non insistere, non insistere!
Voglio essere libera per sempre.... Promettimi.... O mi getto di qui!»
Era bianca; io vedeva il suo cuore battere attraverso il busto.... Che
orrore!... Che orrore!...

--E tu, e tu?....--incalzò Cesare, divenuto pallido.

--Io ho promesso, e ho taciuto.... Non la conosci,--disse poi la
donna, a un movimento avverso del Lascaris.--Ella è ben capace!... Sì,
sì, mi sembra che qualche cosa di terribile debba avvenire!

Cesare rimase muto. L'abitudine dottrinale di considerare i fenomeni
dell'anima in istrettissima dipendenza dai fenomeni del corpo, gli
suggeriva dubbii, osservazioni, risposte, che non avrebbe osato
esporre all'amante.

Rimaneva la gravità della minaccia; e alcuni ricordi, dai più lontani,
dal giorno in cui aveva visitato la prima volta Roberta, ai più
vicini, alla sollecitudine per l'epilettica, alla facilità con la
quale aveva visto la fanciulla disperare e sperare senza
ragione,--questi ricordi gl'impedivano di sorridere e d'alzar le
spalle.

Rimaneva la promessa strana di Emilia a Roberta.

--Sì,--affermò poscia, lentamente.--Sì, tu sei libera verso di lei, e
il tuo dovere è finito.... Che cosa pretende? Abusare della tua
affezione, approfittare d'un mutamento della tua vita, per disfrenare
la sua.... Hai parlato, hai pregato, hai imposto.... Non hai ottenuto
nulla.... Ti ha spaurita con la violenza.... Si opporrà sempre ai
nostri diritti, fin che tu non cessi dall'opporti alle sue follie.

I diritti!... La parola spontanea sulle labbra dell'uomo, produceva in
Emilia un senso di ripugnanza.... Egli non pareva comprendere se non
questo, non vedeva in una squisita dubitanza di sentimenti e di
libertà, se non un altaleno di diritti e doveri. Ella battè le
palpebre, smarrita, provando la vertigine d'essere spinta giù per una
china, inesorabilmente.

--Ebbene?--domandò, guardando il Lascaris.

Ma egli non osava concludere; sedette, appoggiò le braccia alla
tavola, si strinse la testa fra le mani, pensoso e freddo.

--Ebbene?--ridisse Emilia.--Che cosa dunque mi consigliate?... Ah,
come si capisce, come si capisce che non avete affezioni!--soggiunse
amaramente.--Arrivate a credere ch'io pensi davvero ad abbandonar mia
sorella in faccia all'ignoto, in mezzo ai pericoli? ch'io abbia
promesso, coll'intenzione di mantenere?... Per chi?... Per me? Io
posso sacrificarmi!... Per voi?...

L'amante alzò la testa a guardar la dolorosa, e fu colpito dalla
mutazione.

Rigida era la figura, tesa da un supremo sforzo, gagliarda di rilievo
sulla cortina tremula del fogliame; la piccola fronte femminea s'era
corrugata per lo sforzo d'una volontà che sembrava incrollabile.

Fissava, Emilia, il giovane con espressione ostile, forse esagerata,
quasi avesse voluto abituare i proprii occhi a non più risplendere di
dolcezza, a non più balenar di speranze.

--Emilia!--sclamò Cesare balzando in piedi.--Che cosa ho fatto? Perchè
mi parlate così aspramente? Dov'è il vostro amore? Che significa ciò?

--Oh, non chiedetemi!--proruppe la donna, cedendo alla nervosa
tensione e singhiozzando.--Non chiedetemi nulla, non so nulla, non
potrei rispondere!... Tutta la mia esistenza è avvelenata; io non mi
riconosco.... Soffro, soffro, soffro!

Si torceva le mani, piangendo ora fra le braccia di Cesare accorso a
lei, commosso della commozione dura e illacrimante dell'uomo.

Rimasero stretti un lungo intervallo in amplesso convulso, senza
parlare, e tuttavia disgiunti, opposti, nello scatenarsi d'opposti
sentimenti per una medesima persona.

L'odio, l'odio solo, l'odio fremeva nell'anima di Cesare, quanto più
sentiva tenerezza e dolore per l'amante disperata; l'odio arrivava a
fargli rammaricare d'aver più volte soggiogato l'impulso che lo
spingeva contro la fanciulla, a fargli rammaricare di non averla
martirizzata di spavento, egli che con una parola avrebbe potuto
ucciderla!

Ma già Emilia, dominando la crisi, interrogava, la voce un po' rauca
per le lacrime:

--Aspetteremo, è vero? Ella capirà, più tardi; e noi aspetteremo, ci
ameremo così.... Dimmi?--Non è cattiva, non vuol farci male; si tratta
forse d'un capriccio improvviso, e noi avremo ancòra pazienza.... Tu
mi aiuterai a vincerla; tu sai parlare meglio di me, e a poco a poco
verrà a comprendere le nostre ragioni.... Dimmi!

Il silenzio all'intorno era solenne e poderoso; anche il rombo del
mare aveva taciuto nel grande assopimento notturno; così che gli
amanti circonfusi dalla complice sicurezza avevan di poco levato il
tòno delle voci, senza bisbigli ormai, senza susurri.

--Poichè non osi....--disse il Lascaris.--Poichè non osi....,
  aspetteremo!

E già in mente fermava di non aspettare oltre, di affrettare con
qualunque mezzo, a qualunque costo, la soluzione.

--Non oserò mai acconsentire a simile follia, che è
momentanea,--dichiarò Emilia.--E se tu fossi calmo, tu stesso non
oseresti consigliarmi ad abbandonare mia sorella....

Qui l'astuzia femminile si drizzò repentina, istintiva; perchè,
nonostante l'ambascia di quell'ora, nonostante la tenebra in cui la
sua anima era avvolta, Emilia vide a un tratto la possibilità di
attirar Cesare in inganno.

Proseguì, accortamente lenta, togliendosi alle braccia di lui e
andando a sederglisi a viso a viso:

--Sai tu stesso che la sua salute è fragile.... Questo, il vero, il
grande pericolo!... Ella può ammalarsi di nuovo, e si troverebbe sola,
sola, in quali mani! È il pericolo peggiore d'ogni altro.... Può
ammalarsi gravemente, gravissimamente ancòra; lo prevedi anche tu?

--Sì, certo,--rispose il Lascaris, senza difendersi, assorto nel
pensiero molesto del ritardo, nel pensiero difficile di giungere
tuttavia all'amore, al possesso.

--La sua, è di quelle malattie che non guariscono,--seguitava la
donna, dissimulando il brivido ond'era stata presa all'inconsulta
affermazione.--La sua malattia è orribile, senza speranze!...
Ascolta!...--mormorò improvvisamente, con la voce fioca.--Che cosa è
questo?... Un romore!

Addossato a uno dei tronchi i quali sostenevano il chiosco ai quattro
angoli, il Lascaris appena gettò uno sguardo fuori, dicendo:

--Sarà _Nero_, che passeggia....

--L'ho messo io alla catena, _Nero_.... Non può essere.

Ascoltarono allora tutt'e due, guardandosi; ma sùbito echeggiò da
lungi il ritmo fragoroso d'un treno; veniva crescendo, si spezzò in
cadenze distinte, accompagnato da un tremulo fischio; riprese l'onda
unisona, s'affievolì e si spense.

Ancòra una pausa, ad ascoltare il silenzio susseguito; indi, Emilia
procedette decisa:

--Io vorrei che per un istante dimenticassi noi e non vedessi che mia
sorella ammalata. Potresti in coscienza abbandonarla senza cure,
lasciarla vivere a capriccio?... Pensiamo a questo, Cesare!... Noi non
saremmo felici....

Egli cadde nella rete; con la mano tesa, inoltrò verso Emilia, e
stringendone la mano:

--È vero,--disse.--È vero; non possiamo abbandonarla.... Come ho
dimenticato tutti i sacri doveri della mia arte?... Mi sono mutato!...
Ella deve stare presso di noi: da un giorno all'altro, qualche grave
crisi può sopraggiungerle.

Il colpo arrivò così crudele alla donna, ch'ella sentì un ronzìo nelle
orecchie, e ne rimase stordita; ma sottraendo la mano, perchè il
Lascaris non ne avvertisse il tremito febbrile, ebbe la forza di non
retrocedere:

--Una crisi imminente.... Imminente!... I suoi sogni, le sue
pretensioni, la triste follia che noi condannavamo senza pietà; tutto,
forse, è il sintomo del male.... E non v'è speranza!--ella esclamò,
sussultando da capo a piedi.--Nessuna speranza!

Il medico tacque.

Con lo spirito lontano dalla realtà presente, s'interrogava; notava
attonito l'oblio in cui era caduto sùbito, al primo divampar della
passione, quell'oblio di sè stesso, pel quale non aveva visto in
Roberta se non l'ostacolo da infrangere, la debole da vincere, la
larva da distruggere.

Il cuore, la mente, annebbiati dall'egoismo senza confine degli
innamorati, avevano avuto per la fanciulla contemplazioni malvage,
sensi d'odio, o fugaci desiderii perversi; non mai uno slancio
durevole di tenerezza e di casta sollecitudine!

Egli n'era atterrito, e taceva pensando.

Ma d'improvviso, riudì la voce d'Emilia, che mormorava:

--Condannata!... È condannata per sempre....

--Sì,--egli proruppe, inconscio.--È condannata per sempre.... Come ho
potuto odiarla?... È condannata....

Si fermò.

Vide l'amante sorgere in piedi, tutta bianca nel volto, tutta agitata
da un brividìo convulso, muovere alcuni passi verso di lui, cercando
un appoggio; arrestarsi, barcollare....

--Un grido!...--ella esclamò con la voce rauca.--Ho udito un grido....
Cesare, Cesare, gridano, là fuori!... Chi grida?...

Gli cadde sul petto, s'aggrappò ai suoi abiti, ripetendo la parola di
terrore, nella notte:

--Chi grida?... Chi grida?...

L'uomo la sostenne fra le braccia, l'adagiò sul sedile.

E si slanciò fuori del chiosco a vedere, a cercare, per la prima volta
in sua vita, anch'egli tutto livido di spavento....




XIX.


Giunta innanzi alla sorella, Roberta sentì nel cuore l'odio aprirsi un
varco fino al fondo, e il corpo gelarsi di repulsione.

Fiaccata dalle paure della notte prima, Emilia era stesa sul divano,
tranquilla e composta, similmente che nel riposo della morte. Di
fianco a lei, sopra un tavolino era un calice d'acqua ghiaccia, per le
labbra in arsura; insaziabile, la sete della fatica doveva torturarla.

Ma nel rilassato atteggiamento conservava pur sempre la superbia della
bellezza; ma con largo ritmo il seno si alzava e s'abbassava in un
valido respiro; ma il busto libero dalla fascetta era centrifugo e
scultorio; ma era tutta bella, la giovane, la forte, la destinata ai
gaudii molteplici del vivere; tutta bella, dalla massa robustamente
cupa della capigliatura, ai piccoli piedi serrati negli alti
stivaletti. Colma di grazie fisiche, era un'arpa dalla quale poteva la
passione risvegliar gli echi vibranti delle intime felicità, che
inebbriano gli uomini.

Dormiva?... Pensava?...

Dentro la fronte, più angusta per i riccioli tenaci, chiudeva o
credeva chiudere il secreto della fine prossima della sorella, con
altri secreti d'amore, con altre secrete intenzioni di voluttà e
d'avvenire. Nè mai la terribile consapevolezza del lutto imminente si
sarebbe tradotta in parole; Emilia, come il Lascaris, come i medici,
come tutti, voleva perseverar nell'inganno, fare sperar Roberta,
additarle il futuro da cui la fanciulla era divisa per un abisso
insuperabile.

Oh, la spaventevole realtà, balzata alla gola della giovanetta quasi
una tigre dal covo!

Aveva udito; prima, aveva udito parole d'amore, le quali non le
avrebbero dato impeto alcuno di rivolta; aveva indovinato gesti e
baci, i quali avevanle svelato l'amore come un'inclinazione grottesca,
assurda, e pur piacevole, se nessun curioso poteva notarne la forma
delirante.

In ultimo, dalle labbra più pronte a mentire e a ingannare, in ultimo
aveva ascoltato la propria condanna, chiara, fredda, atroce!

Sì, il falso amico, l'uomo da lei già ammirato non per altro se non
per la forza prepotente del suo egoismo, colui che trattandola aveva
dimenticato ogni riserbo, teneva dunque chiusa nell'animo la certezza
ch'ella era per morire in breve; e la beffava del suo presentire, e ne
calpestava i sentimenti, e godeva a farla vibrare di speranze folli!

Divincolandosi sotto il morso feroce della realtà, ella aveva gettato
un grido fievolissimo; e s'era messa a correre inavvertita nell'ombra,
rientrando in casa non avrebbe potuto dire in qual modo.

Ma prigioniera ormai d'un mostro dai tentacoli enormi, che le
succhiava sangue e midolla ad ogni passo.

Urtò a bella posta nel tavolino, per richiamar la sorella.

Emilia diè un sobbalzo, levandosi repentemente sul gomito; guardò
Roberta, ancòra con lo sguardo velato dal sogno.

--Vado a Nervi,--disse la fanciulla.--Tornerò per il pranzo.

--Vuoi che ti faccia accompagnar dalla cameriera?--domandò Emilia,
dopo un istante in cui aveva sperato invano una parola di scusa pel
modo brusco col quale Roberta l'aveva strappata alla breve quiete. Ma
tremava intanto; sulle labbra della donna un'altra domanda, trattenuta
a forza.

Poco prima, in camera di Roberta le era venuta alle mani una salvietta
arrotolata quasi rabbiosamente, e largamente fradicia di sangue;
testimonio orribile del male ricomparso. Non osava parlarne, sentendo
che la sorella medèsima voleva tacerne, per paura, forse per disdegno
di conforto.

--No. Vado sola; devo comprar qualche cosa pel mio ricamo. Andrò sola.

La voce erasi fatta rauca, incerta, con alterni suoni di metallo
prossimo a fendersi.

--Non fi stancherai?--osservò timidamente Emilia.--Se tu aspettassi
fino a domani? O vuoi mandare a prendere una carrozza?

--Stancarmi? Andare in carrozza?--ripetè la giovanetta.--Si direbbe
che tu mi credi sempre in agonia.

L'altra ebbe un tremito improvviso, rapidissimo.

--Dicevo, perchè tu ritornassi più presto,--spiegò quindi col medesimo
accento di sommessione.--Anche perchè c'è molto sole; un sole
abbastanza forte.... Non irritarti.... Sarai di ritorno pel pranzo? Io
mi ero addormentata qui....

Confusa, cercava distogliere sè e la sorella dall'argomento unico, il
quale si presentava con malignità caparbia; ma poichè s'avvide che i
loro occhi parlavano, che il pensiero si rifiutava, che qualunque
parola sarebbe riuscita inutile, si tacque.

Roberta era a un passo da lei; immobile. Aveva un semplice abito
grigio e tra le mani guantate portava un involto. Lo sforzo penoso
d'Emilia non le sfuggiva, avvertendola che la vita loro, con quello
studio di menzogne, di dissimulazioni, con quella commedia di sorrisi
e di fiducie, la vita loro diveniva intollerabile.

--Vado,--ella annunzio, quasi a malincuore.--Arrivederci, Emilia.

Emilia si levò, allora, d'un colpo, e andò incontro alla sorella.

Il ricordo del grido nella notte era venuto a fustigarla crudamente di
nuovo; chi aveva gridato? Chi era nascosto a udir la rivelazione
paurosa?... Doveva saperlo, affinchè il grido non le risonasse più
nell'orecchio, nel cervello, mentr'era sveglia, mentre dormiva, come
soffiato da mille bocche.

Ma si arrestò a tempo.... Aveva detto Cesare sùbito ch'era stata una
allucinazione.... In ogni modo non poteva interrogare, non poteva
confessar l'orrore....

La fanciulla stava innanzi a lei; pallida, irrigidita dallo spavento
di una domanda.

--Arrivederci,--disse Emilia, lasciandosi trascinar dal destino; e
tese la mano ardente. Roberta l'afferrò e trasse la sorella fra le
braccia.

--Addio, cara,--susurrò, baciandola, stringendola al petto.--Addio;
riposa.

--«Che cosa è?... Che cosa pensa?...»--chiese Emilia a sè stessa,
nell'atto in cui rendeva i baci. E per celare nuovamente il fremito
improvviso, disse a voce alta:

--Siamo tristi tutt'e due, oggi....

Le rilucevano negli occhi le lacrime, e volse il capo, sciogliendosi
presto da Roberta.

--Non farmi aspettare troppo,--soggiunse.--Tornerai per il pranzo, è
vero?

Avrebbe voluto vivere ora per ora, minuto per minuto, l'esistenza
della sorella; non allontanarsene mai più, non perdere un attimo della
vita di lei; adorarla come una fragile e pura idealità, luminosa di
grazia e di sventura.

--Ma sì; quante volte me lo chiedi?--osservò Roberta con un sorriso
stentato.

Poi, sul limitare si rivolse:

--_Non impensierirti per me_,--soggiunse.--_Riposa_.

E abbozzò un saluto ultimo con la mano.

Emilia, ritta in mezzo alla camera, ebbe ancòra un dubbio.

--Aspetta!--disse.--Mi vesto.... Verrò anch'io....

Roberta aveva chiuso l'uscio, e discendeva.

Allora Emilia corse alla finestra che guardava in giardino, e vedendo
la sorella passare indi a poco, mosse le labbra per ripetere la
preghiera. Ma di nuovo, il destino la trascinò:

--«No, è inutile; di che cosa temi? Va a Nervi; perchè inquietarla con
le tue paure?»

E la donna, obbedendo, cadde sul divano, e scoppiò in pianto dirotto.


In istrada, la prima persona che s'offerse allo sguardo di Roberta fu
Cesare Lascaris, il quale era incamminato verso la villa, quietamente,
secondo l'abitudine. L'espressione di lui appariva serena, della
serenità fredda ed energica, onde quel volto era riuscito dapprima
spiacevole alla giovanetta.

Cesare la scorse e la salutò; ma poichè faceva l'atto d'andarle
incontro, Roberta attraversò la via e passò sull'altro marciapiede.

Egli ignorava d'averla ferita a morte con una parola; egli ignorava
d'aver messo in quel cuore un gruppo di vipere infaticabili.... Appena
vistala, aveva già forse preparato la frase di speranza e
d'inganno.... E andava da Emilia a parlar d'avvenire!...

--«Costui potrà consolarla,--si disse Roberta.--Potranno consolarsi
tutti in breve!»--

Sentì accerchiante l'impeto di tornare indietro ella pure, di correre
a casa, e di baciare Emilia e d'abbracciarla, d'abbracciarla
furiosamente.

Nè fu libera dalla suggestione se non quando accelerò il passo, e
arrivata a Sant'Erasmo, discese verso Nervi, dove i passanti eran
numerosi e potevano distrarla.

La giornata splendeva; quell'ultimo periodo di decembre recava la
stupenda fragranza dei giardini tempestati di rose, le quali
traboccavan fin dai muri di cinta per una catena ininterrotta di
colori diversi, di diversa ricchezza. Soffiava mordace la fragranza
del mare, denso di tinta, e pur tuttavia dardeggiato di raggi, che
sembravano frangersi alla superficie e lasciarvisi pigramente
onduleggiare.

Sulla piazza di Nervi, a capo del lungo viale fiancheggiato di palme
che conduce alla stazione, Roberta salì in una carrozza, ordinando di
portarla a Genova; e quando fu seduta, avvertì la greve stanchezza
della notte insonne, la debolezza estrema per il sangue perduto in
quello sbocco furioso.

Ebbe paura; il male poteva riprenderla, ucciderla sulla pubblica via.
Ma se fosse rimasta, lo avrebbe forse fermato?

Ella aveva la mente in un cerchio di follia, e si volse d'un tratto a
guardar lo spettro che le stava alle reni, minacciandola di continuo.

La carrozza partì.

Roberta mise sui ginocchi l'involto che teneva fra le mani; era tutta
la sua ricchezza, là dentro, una grossa somma in titoli dì rendita,
ch'ella aveva divisato di vendere a poco a poco; gettandola anche a
profusione, non sarebbe finita tanto presto quanto la vita di lei.

Trasse una lettera, ancòra con la busta aperta; la ripercorse con
l'occhio, temendo che il ribrezzo, l'odio, la certezza della fine, le
avessero suggerito qualche parola di rimprovero o d'ingratitudine. Il
senso ne era calmo ed affettuoso; nessun cenno alla scoperta della
notte; perchè aggravare la disperazione d'Emilia con la possibilità
d'un rimorso?... Ella non aveva se non la colpa di voler trattenere la
sorella, di voler farne un oggetto miserevole su cui sfogare tutta la
ferocia della sua pietà.

Ma come si sentiva male!

Ardevano le tempia, ardevano le mani; dentro il petto era
insostenibile l'artiglio della tortura; di quando in quando, la
sofferenza fisica raggiungeva tal grado da parere una voluttà calda,
che le corresse le membra e le facesse ribollir le vene.... Chiudere
gli occhi, oh chiudere gli occhi al sole fiammeggiante!... Sarebbe
stato più dolce chiuderli sotto freschi baci, che avrebbero potuto
placar l'ardore delle carni.

Voleva distrarsi, guardando.... La strada bianca, fra la spiaggia
ilare e le ville pregne d'effluvio, quanto era crudele di ricordi!

Ben per quella medesima strada le due sorelle tornavano un tempo dalle
loro gite; e le discese ripidissime e la prossimità della via ferrata
incutevano un'ombra d'attraente pericolo. Qualche volta il treno le
sopraggiungeva rapido e formidabile; e il cavallo fermo innanzi alla
barriera drizzava le orecchie, volgeva la testa a guardare. Era
l'attimo più commovente della passeggiata; le giovani si stringevano
la mano sorridendo. Il mare pompeggiava, solenne di quieta potenza; le
ville davano al paesaggio la nota leggiadra o maestosa, incensando
l'aria coi profumi dei giardini, e tagliando il cielo puro coi ricami
aggrovigliati o con le punte argute degli alberi.

Roberta ebbe così l'imagine di quel molle passato, che portò le mani
alla fronte con un gesto di sbigottimento; poi restò attonita, gli
occhi fissi sul sedile vuoto innanzi a lei, per non più vedere, per
non pensare, per non obbedire alla sorda voce, che le gridava
nell'intimo, che gridava dalle cose tutte:--«Ritorna! ritorna! Non
trascinare altri nella tua rovina!»

Solo dopo Sturla, quando la fiumana della gente, delle carrozze, dei
carri, si fece più tumultuosa sotto il biondo sole, ella abbandonò il
suo atteggiamento inerte; si drizzò e finse.

La vita incombeva. Roberta passava tra la vita e le speranze mostruose
di quegli sconosciuti, e doveva fingere vita e speranze ella pure; già
il suo volto era insolitamente pallido e malato.

Si drizzò sul busto; trovò uno sguardo impersonale per lo stupido
spettacolo.

Alcuni giovanotti fermi in gruppo a chiacchierare, si volsero insieme
e la fissarono.... Ah, il suo corpo e il suo animo! Non avevano ormai
se non un valore d'effimera. L'animo era in agonia. Volevano il corpo?
Avrebbe potuto offrirlo al primo passante cui fosse piaciuto, per
distruggere anche la sua verginità inutile, per sentire una qualunque
nausea degli altri e di sè stessa.

Arrivata a Genova, tenne la carrozza e discese presso varii negozii,
ad acquisti.

Ella eseguiva automaticamente il disegno stabilito nella notte e
calcolato fin nei più minuti particolari di tempo.

Ai commessi parve una strana compratrice.

Era molto distratta; non osservava la merce, e faceva domande alle
quali non aspettava risposta. Dal negoziante di valigie aveva
dimenticato di ritirar l'avanzo di cinquecento lire e avevan dovuto
rincorrerla per consegnarglielo.

I suoi occhi s'offuscavano d'una espressione poco men che atterrita
quando qualcuno le diceva la frase abituale:--«Vedrà, signora, che
questa stoffa _le farà una gran durata_.».

Ed era molto, molto stanca; si sedeva appena giunta e non si alzava se
non per uno sforzo visibilissimo. Dalla sua guantaia, aveva chiesto un
cordiale, un po' di liquore, e aveva trangugiato un bicchierino di
cognac, ch'era parso animarla un istante.

Risalì in carrozza, e si fece condurre alla stazione di Piazza
Principe. Si rammentò, in quel punto, della lettera; pensò che,
inviandola per posta, non sarebbe arrivata se non la dimane, ed Emilia
avrebbe sofferto un'altra notte di dubbii, più spaventosi di qualunque
spaventosa certezza. Chiuse la busta, e quando fu alla stazione guardò
il cocchiere, il quale la conosceva e aveva frequentemente servito le
due sorelle. Poteva fidarsene.

--Voi tornate a Nervi?--gli domandò Roberta.

--Sì, signorina, sùbito.

--Sùbito; bisogna vi andiate sùbito; io vi pagherò il ritorno. Ma vi
spingerete fino a casa mia, e consegnerete questa lettera alla
signora, sapete? l'altra signora che è sempre con me.... Andate
sùbito; non fermatevi per via.... Fra un'ora dovete essere lassù!

Poi, quando l'uomo voltò briglia e traversò la piazza, stette a
guardarlo fin che le si tolse alla vista.... Fra un'ora sarebbe
arrivato.... Oh, solo a vederlo comparire, solo a leggere la
soprascritta della busta, Emilia avrebbe gettato un grido!

La fanciulla si strinse nervosamente le mani fino a farle
scricchiolare; diede un'occhiata in giro ad assicurarsi nessuno avesse
rilevato l'atto; ma non v'erano se non viaggiatori frettolosi e
portatori in attesa di bagagli.

Entrò sotto il peristilio della stazione, seguendo il facchino
impadronitosi degli oggetti ch'ella aveva posato a terra.

Ritirò la tessera. Contava recarsi a Nizza, verso quelle coste di
Francia, ch'ella aveva tante volte sognato, verso quella Parigi, che
le sembrava chiusa da un velario d'oro, oltre il quale erano gioie
insidiose ed ebbrezze ignote.

Proveniente da Milano, il treno per Ventimiglia era in ritardo di
trenta minuti; la giovanetta si recò nella sala d'attesa.

Sedette; sentì che il male e la stanchezza precipitavano su di lei con
peso inesorabile; doveva fortemente resistere per non curvare le
spalle, per tener gli occhi aperti; ma portava spesso la mano al
collo, al petto, dove un'arsura di fuoco la divorava; batteva la
lingua contro il palato, temendo d'assaggiar l'orribile sapor
dolciastro del sangue.

Ebbe di nuovo il movimento brusco per volgersi a guardare se non le
stesse alle reni uno spettro visibile; s'accorse di ciò che faceva, e
rabbrividì pensando che aspettava la morte e poteva giungere la
follia.

Dove andava?... Non aveva scritto in fronte l'angoscia e il
terrore?... Perchè la guardavano tutti?... Che cosa diceva il suo
volto?...

A fatica si alzò e andò fino a un grande specchio nel mezzo della
parete centrale. Il suo volto diceva che in un sol giorno la
freschezza della giovane età era smarrita per sempre; magre e pallide
le guance, accese le labbra, cerchiati gli occhi d'un giro lividastro;
poteva essere bella, per la straordinaria espressione di sfinitezza e
per la grande ombra di malinconia.

Poichè udiva dei passi, il dovere della vita la riprese, e finse
d'acconciarsi il veletto; ritornò al divano, studiandosi d'allargar le
spalle e d'ergere il busto.

Era prudenza, forse, passar la notte a Genova e partire il giorno
appresso.

Cercò il facchino con lo sguardo, per consegnargli le valigie e farle
recare a gualche prossimo albergo. Aveva deciso d'essere prudente, di
fermarsi a Genova, di riposare.

Ma in quel punto, un impiegato gridò la partenza per Ventimiglia.

--Per Ventimiglia?--domandò il facchino, accorso a riprender gli
oggetti.--Va a Ventimiglia, la signora?--egli ripeteva.

--Sì,--disse la fanciulla, ancora guardandosi intorno smarrita.--Per
Ventimiglia!

Fermarsi a Genova? Con quale scopo?... Essere prudente? Per chi?

Da quell'ora, tutte le vicende erano _sue_; ella si trovava sola e
libera. L'aveva desiderata con ogni forza, quell'ora, l'aveva sognata!
Ed ecco, la realtà; ecco, il sogno tramutatosi in fatto: non la
visione di un'esistenza piena di avvenimenti inaspettati e rosei; ma
la visione, più lucida che mai, del proprio cadavere freddo e rigido
sopra un catafalco ricco di drappi funerei, presso una finestra
spalancata in faccia alla campagna eterna...

Trovò posto in uno scompartimento di prima classe, vuoto, sperando di
potere stendersi e dormire, non appena uscito il treno dalla stazione.

E _sentiva_ che già Emilia aveva udito la carrozza fermarsi avanti al
cancello, che già l'uomo aveva portato la lettera, che già la sorella
aveva mandato il grido.... Ritornare? Non trascinare altri nella
rovina?... Cesare Lascaris avrebbe ripetuto con la voce fischiante di
sarcasmo: «Lo sapevo, che la signorina legge troppi romanzi!»

Mentre sotto la tettoja annerita accendevano i bracci a gas, e mentre
i viaggiatori passavano e ripassavano,--romore di treni in moto, globi
di vapor bianco diffusi, cantilene d'impiegati ad annunziare le
partenze, suoni della campana ad avvertir gli arrivi,--mentre la vita
fremeva, Roberta si tolse i guanti, e studiò la morte sulle pallide
mani, dalle dita lunghe e affusolate, dalle unghie lucenti; pallide
mani, che narravan tutta l'anima di lei, facile a smarrirsi, incapace
a calcolare, pronta a violenze ingenue.

La fanciulla piombò in una disperata tristezza così assorbente, che
ella non s'avvide come all'ultimo, quando il treno s'avviava a ritroso
fuor della stazione,--un viaggiatore fosse salito nel suo
scompartimento; ma sollevando gli occhi, ebbe un moto involontario di
stupor timoroso.

L'uomo la salutò, prese posto di fronte, l'avvolse tutta dalla testa
ai piedi in uno sguardo scrutatore, che la fanciulla non aveva mai
sofferto e che la costrinse a volgere il capo, fingendo di guardar
dallo sportello.

Il treno si lanciava sotto la bella luce del tramonto tingente di
carnicino gli edifizii dei sobborghi di Genova e poi la conca azzurra
del porto, reticolata d'alberi di navi, ingombra di barchi massicci.

Chi era lo sconosciuto? La mancanza d'Emilia doleva con nuova forma;
Emilia sapeva bene rassicurar la sorella, diffondeva attorno a sè
un'aura di tanta fiducia, che Roberta ne viveva giorno e notte. Ora,
Emilia non v'era più. Roberta l'aveva abbandonata, e si trovava sola
di fronte ad uno sconosciuto.

Una paura strana l'afferrò; si mise a tremare, irrigidendosi con le
mani nude strette ai bracci del sedile; se l'uomo avesse fatto un
movimento, ella avrebbe gettato un urlo, poichè senz'altro Roberta
aveva stabilito ch'egli era un ladro e che doveva ucciderla....

Ma il viaggiatore trasse dalla valigia un libro, vi cercò la pagina
segnata, e cominciò a leggere; allora, a poco a poco, di tra le
ciglia, cautamente, la giovanetta si sforzò a indovinare il titolo del
volume, e quando giunse a comporre in mente le lettere, e quando
scoperse ch'era un romanzo cui ella conosceva ed amava, il cuore le
battè di gioja infantile, e concluse che lo sconosciuto non era un
ladro, non doveva ucciderla.

Poi, con la medesima astuzia lenta, si studiò a osservare l'uomo,
inosservata.

Egli era giovane ed elegante; nel volto un poco abbronzato luccicavano
gli occhi neri ed acuti; aveva un profilo quasi rettilineo, volitivo;
la testa era bella; la bocca pura, con labbra sensuali, coi mustacchi
piegati in su. Apparteneva alla razza di quelli che mai non hanno
lavorato in nessuna cosa, e mai non lavoreranno. Roberta aveva
incontrato simili uomini ai bagni, ai teatri, ai concerti, ovunque
s'offriva un passatempo di moda o un trattenimento per lo spirito; e
sempre ella aveva avvertito una specie d'attrazione verso i giovani
epicurei, lasciandosi cogliere dalla forma della loro cortesia, dalla
scelta della loro eleganza.

Anche ora, guardando lo sconosciuto, la fanciulla si fermava
all'apparenza; non rilevava una piega amara all'angolo delle labbra di
lui, nè sul volto l'energia fosca di chi si getta ai piaceri
passionatamente, correndo l'alternativa d'uscirne per un mortale
disgusto, o di non uscirne se non insieme con la vita. Pareva uno di
quegli uomini, cui la donna unica può arrestare, salvare, vincere e
domare col dono della propria esistenza, della verginità assoluta, con
la forza d'una sincerità non attesa.

Egli aveva notato nella giovanetta il destreggiar degli sguardi, e pur
fingendo di leggere, si lasciava studiare; ma quando appena s'accorse
che la compagna era tranquilla e sicura (forse, molto aveva giovato
una piccola corona, dominante due cifre intrecciate sopra la targhetta
argentea della valigia),--egli stesso, con maggiore astuzia, non
lasciandosi mai sorprendere, guardò Roberta a lungo.

Fu colpito dalla bellezza malinconica di quel viso giovanissimo, prima
ancòra che dall'aspetto di sofferenza onde il viso e il corpo
sembravano chiedere sollecitudine. La fanciulla sfolgorava negli
occhi, pieni di febbre e tuttavia ignari di sguardi procaci e
ingannevoli; le labbra curve eran deliziose di colorito, un poco
umide; per tutto il volto, la stanchezza, la commozione, la malattia,
avevan diffusa un'ombra grave, in aperto contrasto con la palese
giovanezza di Roberta. Non mai era stata così bella, e il sole morente
che dallo sportello la illuminava senza darle molestia, cresceva forza
al significato romantico della gentile figura.

Lo sconosciuto ritornò al libro aperto, notando un'occhiata della
fanciulla, che sembrava disporsi a continuare il suo studio. In
verità, il giovane attirava l'attenzione di lei potentemente, ed ella
cominciava a farsi delle domande che non trovavano risposta; andava a
Nizza egli pure? come si chiamava? era ammogliato?... Cercò sulle dita
di lui il cerchietto d'oro, ch'ella credeva indivisibile dalle persone
non più libere; ma alla mano destra, nuda, non aveva anelli, e la
sinistra era ancòra guantata. E perchè non parlava? In molti romanzi,
Roberta aveva letto i dialoghi d'un giovane e d'una giovane
incontratisi nel treno; e veniva poi una sfilata, di capitoli
interessanti, che si rannodavano tutti a quel primo capitolo
dell'incontro. Lo sconosciuto non le parlava, non la degnava d'uno
sguardo; credendo fare piacere, aveva tirato la cortina per toglierle
il sole ultimo, e sùbito s'era rimesso a leggere, in modo ch'ella non
aveva potuto ringraziarlo con un cenno del capo, come in quei
romanzi.... Egli pure vestiva un abito grigio, calzava stivaletti di
cuoio giallo,--aveva i piedi piccoli--e il collo della camicia era
molto alto, con una cravatta enorme, di gusto inglese. La fronte di
lui era ampia, con qualche sottilissima ruga, visibile a pena; ma i
capelli erano tutti nerissimi, naturalmente lucidi, un poco
arricciati. Solo, pareva a Roberta ch'egli fingesse di leggere, perchè
non voltava mai pagina; e a un tratto, ella s'avvide con maraviglia,
che lo sconosiciuto non poteva leggere affatto, perchè aveva ripreso
il libro capovolto. Cominciò a temere di nuovo; perchè fingeva? a che
cosa pensava?

In quel punto gli sguardi suoi s'incontrarono con gli sguardi del
giovane, e non sapendo come reggere all'onda carezzevole di quegli
occhi bruni, e sentendo d'arrossire, Roberta cercò in fretta i guasti
e cominciò a calzarli, con la testa china.

Il treno si fermò a Sampierdarena lungamente. La fanciulla guardò in
basso la sfilata gaja dei molti edifizi, dispersi in una pianura
grigia e uniforme; l'ombra cominciava a scendere tristissima. Il
ricordo di Emilia, la visione della villetta, l'intuizione dello
spavento cui la sorella doveva essere in preda, vennero tutti insieme
a turbarla. Che cosa aveva fatto? Dove andava? Aveva commesso un
crimine....

Fra il brusco estollersi di quei pentimenti, una cosa sola poteva
consolarla; ella si sentiva bene, d'improvviso, quanto non s'era; mai
sentita, e irrompeva nel suo cuore una turba di speranze magnifiche,
audaci, sicure; era tuttavia molto affaticata molto languida, ma la
cosa pareva ben naturale, dopo le orribili torture. Sperava, tornava a
sperare violentemente nell'avvenire; la giovane età avrebbe trionfato
de' suoi mali nervosi.

E ritraendosi dal finestrino perchè il treno ripartiva, questa volta
per una ben lunga corsa, Roberta vide gli sguardi del compagno fissi
ai capelli di lei, biondi, copiosi, rutilanti sotto il raggio della
lampada elettrica, la quale pendeva dall'alto della carrozza e
cominciava a dar luce non contrastata dalla luce diurna.

La fanciulla gli fu riconoscente; l'attenzione del giovane significava
l'avvenire e la vita: egli doveva pensare a lei, non come a larva
moritura, ma come a donna vibrante di calda sensibilità, ricca di
delicati sentimenti.

Allora, non sapendo d'agire in modo strano, ella si abbandonò a
quell'attenzione, vi si offerse scaltramente. Perchè l'uomo non avesse
a temere d'essere sorpreso, restò col capo inclinato, ma non così che
il suo volto bianco non si vedesse, non così che i suoi occhi azzurri
paressero spenti; e si dispose un po' in obliquo sul sedile, perchè
tutta la linea dei fianchi acerbi risaltasse sopra lo sfondo
grigiastro.

Provò un gaudio nuovo, a quella dedizione capricciosa; più forte,
accorgendosi che il giovane si lasciava attirare, e la studiava,
l'ammirava con intensità, riusciva a definirla in quanto aveva di raro
e di meno atteso: l'incoscienza virginale e la civetteria mite.... La
curiosità di lui non era volgare e momentanea, ma doveva, certo doveva
risvegliare a poco a poco un sentimento, una brama di non finire così
la muta avventura.

Vi fu un istante, in cui Roberta osò levare il capo, e da tutto
l'atteggiamento del compagno vide perspicua la certezza ch'egli si
accingeva a parlare, a gettare la rete, la quale avrebbe involto lei,
e forse non lei sola, per sempre.

--Ora mi parla!--ella pensò.

Fu come un tremendo schianto, un balzo in una voragine profonda.

La fanciulla avvertì di nuovo l'orribile sapore dolciastro del sangue;
ebbe un sussulto visibilissimo, tossì seccamente due volte, e con la
fronte imperlata di sudor freddo, aspettò.

Poi, quando la prima spuma rosea comparve alla connessura delle
labbra, portò il fazzoletto alla bocca, serrandolo contro, perchè
nulla si vedesse; ma non era un filo di schiuma, e non cessava,
diffondendosi per la pezzuola, empiendole la bocca tutta, minacciando
di soffocarla.

Tossì ancòra; venne ancòra il liquido vermiglio su per la gola; e
smarrendo ogni speranza, ogni senso della vita formale, Roberta balzò
in piedi, afferrò le mani già tese del giovane, e rantolò con un urlo:

--Muoio!

L'impeto enorme del sangue proruppe, non più affievolito dal lieve
ostacolo del fazzoletto; e la figura bianca della vergine
insanguinata, ritta fra le braccia del compagno che la sorreggeva,
precipitò nella spessa ombra d'una galleria come in una voragine
profonda.



FINE.


    _Bogliasco, luglio 1896._ 
    _Blevio, febbraio 1897._




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work, (b) alteration, modification, or additions or deletions to any
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Section  2.  Information about the Mission of Project Gutenberg-tm

Project Gutenberg-tm is synonymous with the free distribution of
electronic works in formats readable by the widest variety of computers
including obsolete, old, middle-aged and new computers.  It exists
because of the efforts of hundreds of volunteers and donations from
people in all walks of life.

Volunteers and financial support to provide volunteers with the
assistance they need, is critical to reaching Project Gutenberg-tm's
goals and ensuring that the Project Gutenberg-tm collection will
remain freely available for generations to come.  In 2001, the Project
Gutenberg Literary Archive Foundation was created to provide a secure
and permanent future for Project Gutenberg-tm and future generations.
To learn more about the Project Gutenberg Literary Archive Foundation
and how your efforts and donations can help, see Sections 3 and 4
and the Foundation web page at https://www.pglaf.org.


Section 3.  Information about the Project Gutenberg Literary Archive
Foundation

The Project Gutenberg Literary Archive Foundation is a non profit
501(c)(3) educational corporation organized under the laws of the
state of Mississippi and granted tax exempt status by the Internal
Revenue Service.  The Foundation's EIN or federal tax identification
number is 64-6221541.  Its 501(c)(3) letter is posted at
https://pglaf.org/fundraising.  Contributions to the Project Gutenberg
Literary Archive Foundation are tax deductible to the full extent
permitted by U.S. federal laws and your state's laws.

The Foundation's principal office is located at 4557 Melan Dr. S.
Fairbanks, AK, 99712., but its volunteers and employees are scattered
throughout numerous locations.  Its business office is located at
809 North 1500 West, Salt Lake City, UT 84116, (801) 596-1887, email
[email protected].  Email contact links and up to date contact
information can be found at the Foundation's web site and official
page at https://pglaf.org

For additional contact information:
     Dr. Gregory B. Newby
     Chief Executive and Director
     [email protected]

Section 4.  Information about Donations to the Project Gutenberg
Literary Archive Foundation

Project Gutenberg-tm depends upon and cannot survive without wide
spread public support and donations to carry out its mission of
increasing the number of public domain and licensed works that can be
freely distributed in machine readable form accessible by the widest
array of equipment including outdated equipment.  Many small donations
($1 to $5,000) are particularly important to maintaining tax exempt
status with the IRS.

The Foundation is committed to complying with the laws regulating
charities and charitable donations in all 50 states of the United
States.  Compliance requirements are not uniform and it takes a
considerable effort, much paperwork and many fees to meet and keep up
with these requirements.  We do not solicit donations in locations
where we have not received written confirmation of compliance.  To
SEND DONATIONS or determine the status of compliance for any
particular state visit https://pglaf.org

While we cannot and do not solicit contributions from states where we
have not met the solicitation requirements, we know of no prohibition
against accepting unsolicited donations from donors in such states who
approach us with offers to donate.

International donations are gratefully accepted, but we cannot make
any statements concerning tax treatment of donations received from
outside the United States.  U.S. laws alone swamp our small staff.

Please check the Project Gutenberg Web pages for current donation
methods and addresses.  Donations are accepted in a number of other
ways including including checks, online payments and credit card
donations.  To donate, please visit: https://pglaf.org/donate


Section 5.  General Information About Project Gutenberg-tm electronic
works.

Professor Michael S. Hart was the originator of the Project Gutenberg-tm
concept of a library of electronic works that could be freely shared
with anyone.  For thirty years, he produced and distributed Project
Gutenberg-tm eBooks with only a loose network of volunteer support.

Project Gutenberg-tm eBooks are often created from several printed
editions, all of which are confirmed as Public Domain in the U.S.
unless a copyright notice is included.  Thus, we do not necessarily
keep eBooks in compliance with any particular paper edition.

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