La lega dei giovani

By Henrik Ibsen

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Title: La lega dei giovani

Author: Henrik Ibsen

Release date: October 19, 2024 [eBook #74606]

Language: Italian

Original publication: Milano: Treves

Credits: Barbara Magni and the Online Distributed Proofreading Team at http://www.pgdp.net (This file was produced from images made available by The Internet Archive)


*** START OF THE PROJECT GUTENBERG EBOOK LA LEGA DEI GIOVANI ***


                                   LA
                            LEGA DEI GIOVANI


                        COMMEDIA IN CINQUE ATTI


                                   DI
                              ENRICO IBSEN

                      Traduzione di Maria Savini.



                                 MILANO
                        FRATELLI TREVES, EDITORI
                                 1894.




                          PROPRIETÀ LETTERARIA

     _Chi intende valersi di questa traduzione per la recita, deve
      assolutamente ottenerne il permesso dalla_ SOCIETÀ ITALIANA
                 DEGLI AUTORI, _via Brera, 19, Milano._

                         Tip. Fratelli Treves.




PERSONAGGI:


  Il ciambellano BRATSBERG, padrone di ferriere.
  ERIK, studente in legge e commerciante; NORA, suoi figli.
  SELMA, moglie di Erik.
  Il dottor FIELDBO, medico delle ferriere.
  STENSGARD, avvocato.
  MONSEN, possidente di Storli.
  BASTIANO, ANNA, suoi figli.
  HELLE, studente, precettore dei figli di Monsen.
  RINGDAL, amministratore delle ferriere.
  ANDERS LUNDESTAD, possidente rurale.
  DANIELE HEJRE.
  Signora RUNDHOLMEN, albergatrice.
  ASLAKSEN, tipografo.
  Una cameriera presso Bratsberg.
  Un cameriere.
  Una cameriera presso la signora Rundholmen, ecc.

L’azione ha luogo presso alle ferriere del ciambellano Bratsberg, nelle
vicinanze d’una città commerciale al sud della Norvegia.




ATTO PRIMO.


  Festa popolare per celebrare l’anniversario della Costituzione
  norvegese del 17 maggio. Un parco. Musica e danze nel fondo.
  Lampioncini multicolori sono appesi ai rami degli alberi. Verso
  il centro, un po’ indietro, un palco per gli oratori. A destra
  l’ingresso a una grande tenda. Davanti alla tenda una trattoria con
  una tavola e delle sedie. Dalla parte opposta, molto sul davanti,
  un’altra tavola, coperta di fiori, circondata da poltrone.


SCENA PRIMA.

=Lundestad, Ringdal=. Folla numerosa.

        (_Lundestad porta all’occhiello le insegne del Comitato.
          È in piedi sul palco. Ringdal che porta le medesime
              insegne sta presso la tavola di sinistra_).

LUND. Ed ora, miei compagni, un evviva alla nostra libertà! Noi
l’abbiamo ereditata dai nostri padri; noi la trasmetteremo ai nostri
figli. Evviva l’anniversario della nostra Costituzione! Evviva il 17
maggio!

LA FOLLA. Evviva, evviva, evviva!

RINGD. (_mentre Lundestad scende dal palco_). Evviva anche il nostro
vecchio Lundestad!

ALCUNE VOCI. St! Zitto!

MOLTE VOCI. Viva Lundestad! viva il vecchio Lundestad! evviva,
evviva!... (_La folla si disperde_).


SCENA II.

=Detti= e =Monsen, Aslaksen, Bastiano, Stensgard= che si spingono
innanzi attraverso la folla, un =Cameriere=.

MONSEN. In verità, che questa volta egli vuol morire!

ASLASK. Ancora ha parlato dei nostri interessi locali, ah, ah!

MONSEN. È il discorso che ci regala tutti gli anni. Venite di qui.

STENSG. No, non di là, signor Monsen, potremmo perdere di vista vostra
figlia.

MONSEN. Oh, Anna saprà ben ritrovarci!

BAST. E poi non è necessario: essa è accompagnata dallo studente Helle.

STENSG. Helle?

MONSEN. Sì, Helle. (_Lo urta amichevolmente nel gomito_) Ma intanto con
voi ci sono io, andiamo, venite: qui discorreremo assai meglio (_Prende
posto alla tavola di sinistra_).

RINGD. Scusate, signor Monsen, la tavola è riservata.

STENSG. Riservata? E per chi?

RINGD. Per Sua Eccellenza il ciambellano e per la sua famiglia.

STENSG. Che importa? Essi non sono qui, ora.

RINGD. Noi li aspettiamo da un momento all’altro.

STENSG. Va benissimo: ebbene, le «Loro Eccellenze» prenderanno posto da
un’altra parte. (_Prende una poltrona_).

LUND. (_mettendo una mano sulla poltrona_). Ma scusate, non avete
capito che questa tavola è riservata?

MONSEN (_si alza_). Venite, signor Stensgard, dei buoni posti ce ne
sono anche laggiù. Cameriere! neanche un cameriere c’è! Il Comitato
della festa avrebbe dovuto pensarci. Allora, Aslaksen, abbiate
pazienza: andate voi a prendere quattro bottiglie di _champagne_:
chiedete del più caro e dite che è Monsen che paga. (_Aslaksen entra
sotto la tenda_).

LUND. (_si avvicina e si rivolge a Stensgard_). Spero che non ve ne
avrete a male....

MONSEN. Ma che! niente affatto!

LUND. (_sempre a Stensgard_). Non sono io personalmente che ha disposto
così; è il Comitato della festa....

MONSEN. Naturalmente: il Comitato ha dato i suoi ordini: noi dobbiamo
ubbidire.

LUND. (_sempre a Stensgard_). Qui ci troviamo in casa del signor
ciambellano; egli ha messo a nostra disposizione parco e giardino: era
doveroso quindi....

STENSG. Ma noi stiamo benissimo qui, signor Lundestad, purchè ci
lascino tranquilli: parlo della folla.... si capisce!

LUND. (_amichevolmente_). Sì, sì, infine tutto va bene. (_Si allontana
verso il fondo_).

ASLAK. Il vino lo portano subito.

MONSEN. Una tavola riservata, e della quale il Comitato s’incarica con
speciale cura.... Eh, per un anniversario di libertà non c’è male! Come
cammina il mondo, ora!

STENSG. E voialtri brava gente perchè lo sopportate?

MONSEN. Che volete?... È la forza d’abitudine.

ASLAK. Voi siete qui da poco, signor avvocato. Se conosceste un po’
meglio lo nostre condizioni locali!

CAMERIERE (_porta lo champagne_). Eccovi serviti, signori. È a vostre
spese non è vero, signor Monsen?

MONSEN. Ma sicuramente, non aver paura. (_Il cameriere esce. Monsen
brinda con Stensgard_) Siate il benvenuto fra noi, signor avvocato!
Posso proprio dire che è un onore pel nostro paese che voi siate venuto
a stabilirvi qui. Abbiamo sempre inteso parlare di voi dai giornali; e
dei discorsi che tenevate alle società letterarie, musicali ed altre:
sappiamo che avete un gran talento e che l’interesse pubblico vi sta a
cuore assai. Vi sia concesso dunque di prender larga e coraggiosa parte
nella.... uhm.... uhm....

ASLAK. Ai nostri affari locali.

MONSEN. Sì, ai nostri affari locali. Alla vostra salute! (_Bevono_).

STENSG. Grazie.... Per ciò che riguarda il coraggio e la buona volontà,
non dubitate, signori!

MONSEN. Bravo! Un bicchiere ancora per la buona promessa!

STENSG. Grazie.... ho terminato adesso....

MONSEN. Andiamo dunque: un altro bicchiere non fa male (_toccano i
bicchieri e bevono_). E a proposito; giacchè siamo sull’argomento,
bisogna che vi prevenga di una cosa; qui il vero padrone, non è il
ciambellano, come parrebbe, ma è il vecchio Lundestad che, senza averne
l’aria, tiene, come si dice, il filo dei burattini!

STENSG. Me l’avevano detto: ma non capisco in che modo un liberale come
lui....

MONSEN. Lundestad? E voi credete che Anders Lundestad sia un liberale?
Sì, ai tempi della sua gioventù, egli si è dato un po’ di verniciatura
di liberalismo.... sapete: quel tanto che abbisogna per percorrere la
propria strada!

STENSG. Ecco uno stato di cose che non può durare.

ASLAK. Ah, sì per Bacco! Sarebbe ora di mettere un limite a tutto ciò!

STENSG. Eh, sicuro ci vorrebbe....

ASLAK. Ci vuole il vostro intervento, signor avvocato: voi siete l’uomo
adatto a ciò. La lingua l’avete sciolta, non è vero? scrivere sapete, e
bene. Il mio giornale è, come sempre, a vostra disposizione.

STENSG. Sentite, signor Monsen: se gli elettori fissassero su di voi la
loro scelta rinuncereste ad occuparvi dei vostri interessi privati?

MONSEN. I miei interessi privati ne soffrirebbero certamente: ma se
il bene pubblico lo esigesse, metterei da parte ogni considerazione
personale.

STENSG. Bravissimo, signor Monsen.... Io già mi sono accorto che voi
avete un partito.

MONSEN. Oh sì, mi lusingo che la maggioranza della nuova generazione,
di questa vigorosa gioventù....

ASLAK. St! Mi pare che stiano spiandoci....


SCENA III.

=Hejre, Stensgard, Monsen, Bastiano, Aslaksen.=

HEJRE (_miope, guarda da una parte e dall’altra e si avvicina al
gruppo_). È permesso di occupare questo posto libero? mi siederei
volontieri.

MONSEN. Veramente di banchi solidi non ne mancano.... ma se volete
accomodarvi alla nostra tavola....

HEJRE. Alla vostra tavola? Con molto piacere. (_Siede_) Vediamo un
po’.... è _champagne_ questo?

MONSEN. Sì; ne gradireste un bicchiere con noi?

HEJRE. No, grazie davvero: _champagne_ della signora Rundholmen!
Però.... però.... un bicchierino alla salute di lor signori,
bisognerebbe pur berlo! Se avessi un bicchiere peraltro!

MONSEN. Bastiano, va a cercarne uno.

BAST. Aslaksen, cercate voi questo bicchiere. (_Aslaksen entra sotto la
tenda. Alcuni secondi di silenzio_).

HEJRE. Ma forse io vi disturbo, signori. Ho interrotto qualche
discorso.... Ma prego, non prendetevi soggezione di me.... Grazie,
Aslaksen. (_Saluta Stensgard_) Oh, un forestiero? siete da poco nel
paese? forse l’avvocato Stensgard?

MONSEN. Precisamente. (_Presenta_) L’avvocato Stensgard; il signor
Daniele Hejre....

BAST. Capitalista....

HEJRE. D’or in avanti, per esprimersi con esattezza. Pel momento dei
miei capitali mi sono liberato, e con che sollievo.... e senza aver
fatto bancarotta.

MONSEN. Bevete, bevete fintanto che spuma.

HEJRE. Sì, sì.... lasciamo andare queste corbellerie.... basta!
Speriamo che sia una calamità passeggera. Ora che i miei processi sono
finiti, ho per le mani un alto personaggio che.... Alla sua salute!
Come? non volete bere alla sua salute?

STENSG. Ma scusate: si potrebbe almeno sapere chi è questo gran
personaggio?

HEJRE. Ah, ah! e non lo indovinate? Non crederete certo ch’io parli
di Monsen!... Di lui non si potrebbe dire certamente che sia un gran
personaggio! È del ciambellano Bratsberg che si tratta, mio caro amico!

STENSG. Oh, oh! in affari egli è sicuramente un uomo d’onore....

HEJRE. Vi pare, eh giovanotto? Sentite. (_Si avvicina_) Qualche anno fa
io valevo tant’oro quanto peso: mio padre m’aveva lasciato una grande
sostanza. Avrete inteso certamente parlare di mio padre il vecchio
signor Hejre: lo chiamavano il «milionario». Era armatore, e aveva
guadagnato delle somme enormi all’epoca del libero commercio. Nella sua
casa c’era un lusso strepitoso.... aveva persino fatto dorare le porte
e le finestre!

ASLAK. E le cappe dei camini, non è vero?

HEJRE. Che, che! Questa è una storiella che inventarono i giornali, a
quell’epoca. Ma egli spendeva il suo denaro come meglio gli piaceva;
ed io ho fatto altrettanto.... Un viaggio a Londra, costosissimo....
Non avete inteso parlare del mio viaggio a Londra? Avevo portato con me
un vero seguito.... ma, davvero, non ne sapevate niente?... E quanto
denaro ho pure speso per l’incremento delle arti e delle scienze! E
quante giovani intelligenze sono sbocciate per merito mio!

ASLAK. (_alzandosi_). Domando scusa, signori.

MONSEN. Come? volete lasciarci?

ASLAK. Sì, ho bisogno di fare un po’ di moto. (_Si allontana_).

HEJRE. Eccone uno, per esempio, di questo numero; e me ne ricompensa
come gli altri. Lo sapete voi che egli ha studiato a mie spese per un
anno intero?

STENSG. Ah, così? Aslaksen ha studiato tanto?

HEJRE. Sì, come il giovane Monsen.... ma non è mai giunto a capo di
nulla, così che dopo un anno ha dovuto smettere gli studii: io avevo
già notato la sua malaugurata passione pei liquori....

MONSEN. Ma scusate, non è questo certo che volevate raccontare al
signor Stensgard a proposito del ciambellano Bratsberg.

HEJRE. Già, è vero. Oh è una storia lunga. All’epoca in cui la fortuna
di mio padre era all’apogeo, gli affari del vecchio ciambellano
andavano di male in peggio.... Si tratta del padre dell’attuale
ciambellano, ciambellano anche lui.

BAST. Naturalmente.... qui tutto è ereditario.

HEJRE. Tutto!... Fatto sta che il ribasso dell’argento, le idee
grandiose del vecchio, le imprudenze che commise nel 1816, lo
obbligarono a vendere una parte delle sue terre.

STENSG. E vostro padre le comperò?

HEJRE. Le comperò e le pagò. Quando poi divenni io il possessore di
questi beni, cercai con ogni mezzo di farli prosperare.

BAST. Naturalmente....

HEJRE. Sicuro: feci eseguire molti lavori, tagliare i boschi,
restaurare vecchi fabbricati, ecc., ecc. Passa qualche anno, arriva
l’attuale ciambellano e distrugge il contratto.

STENSG. Per Bacco! E voi non siete stato capace d’impedirlo?

HEJRE. Eh, non fu possibile! Egli si valse di certe piccole formalità
che nel contratto erano state realmente omesse.... d’altra parte io
mi trovavo in serii imbarazzi finanziarii, allora passeggeri, ma che,
poco a poco, divennero cronici. E come si fa, Dio mio, al giorno d’oggi
quando non si hanno capitali?...

MONSEN. Anche questo è vero.... fino a un certo punto però; anche
possedendo dei capitali, non si va molto lontani, l’ho esperimentato,
ed i miei, poveretti, lo provano adesso.

BAST. Oh se potessi tenere certa gente nelle unghie!

STENSG. I vostri figli dite voi?

MONSEN. Sicuro; guardate Bastiano: non ha egli ricevuto una buona
educazione?

HEJRE. Anzi triplice educazione, se vi piace. Prima studente; poi,
di punto in bianco, pittore; infine, e più rapidamente ancora, eccolo
ingegnere civile.

BAST. E me ne vanto, perdio!

MONSEN. Sicuro egli è ingegnere, eppure se c’è un lavoro da eseguire
pel comune, a chi viene affidato? A degli stranieri, a gente della
quale non si ha garanzia alcuna.

HEJRE. È vero. Accadono qui delle cose vergognose. L’anno scorso, per
esempio, ci fu bisogno d’un amministratore per la cassa di risparmio:
non si volle Monsen.... e fu data la preferenza a un uomo, che col
denaro.... in genere.... (_tosse_) ha un po’ troppo confidenza! Ed
è sempre così.... se nel comune c’è un qualunque lavoro o restauro
da fare, non è mai Monsen il favorito delle autorità. Ah, il _comune
sufragium_ del diritto romano!.... in questo paese non è che un
naufragio negli affari comunali! Beh! che porcherie! Alla vostra
salute!

MONSEN. Grazie; e, tanto per cambiar discorso, dite un po’ come vanno i
vostri famosi processi?

HEJRE. Eh! non sono male avviati: ma per ora non posso dirvene di
più. E anche a proposito di ciò quante ingiustizie, quanto vessazioni
ho dovuto subire. La settimana prossima io mi troverò nella dolorosa
necessità di citare tutto il consiglio comunale davanti alla
commissione degli arbitri.

BAST. Ma è vero ciò che si dice, che una volta vi siate citato voi
stesso dinanzi a tale commissione?

HEJRE. Sì, sì, è vero: ma poi non vi sono comparso.

MONSEN. Ah, ah, non ci siete andato?

HEJRE. Avevo un buon pretesto legale! Bisognava passare il canale;
e disgraziatamente era proprio l’epoca in cui Bastiano aveva
appena costrutto il ponte.... sapete, quel ponte che poco dopo....
patatrac.... precipitò nelle onde!

BAST. Ah, sì! tutta colpa di quel maledetto!...

HEJRE. Calma, calma, giovanotto. Quanta gente qui tende l’arco fino
a che la corda si spezza! Così è accaduto delle arcate del vostro
ponte..... Eh, so ben io quel che mi dico!

MONSEN. Sì, sì, bevete intanto. (_A Stensgard_) Lo sentite, eh, il
signor Hejre? Egli ha il privilegio, vedete, di dire tutto ciò che gli
pare e piace.

HEJRE. Ma per buona fortuna, signor mio! La libertà di pensiero e di
parola è l’unico diritto civile al quale io tenga davvero.

STENSG. Ma anche a questo diritto però la legge impone un limite,
purtroppo!...

HEJRE. Ah, ah! sicuro, eh? Già vi vien l’acquolina in bocca, non è
vero, signor avvocato? Voi già pensate quanto sarebbe piacevole per
voi se mi si intentasse un processo per ingiurie verbali? Eh, eh, non
crediate di darmela da intendere.... ho dell’esperienza!

STENSG. In fatto d’insolenze, non è vero?

HEJRE. Là, là, non vi riscaldate, giovanotto, sebbene questo
faccia onore al vostro cuore; e perdonate se ho detto un po’ troppo
liberamente la mia opinione su un amico vostro, assente!...

STENSG. Sopra un amico mio assente?

HEJRE. Sì, sì; il figlio è certamente degno di rispetto e di stima....
la figlia anche. E sapete.... quando io lancio ogni tanto, qualche
frecciata al ciambellano....

STENSG. Al ciambellano? Ma credete voi che il ciambellano e la sua
famiglia siano i miei amici?

HEJRE. Eh, sicuramente: non si fanno visite ai propri nemici, mi pare!

MONSEN e BAST. Delle visite?

HEJRE. Ahi, ahi, ahi! m’è sfuggita una sciocchezza!

MONSEN. Voi avete fatto visita al ciambellano, dunque?

STENSG. Ma no.... è una ridicola invenzione!

HEJRE. Mi dispiace proprio.... ma come potevo imaginare che fosse
un segreto? (_A Monsen_) Del resto non bisogna pigliare alla lettera
quello che dico.... Per visite, intendo visite ufficiali, di cerimonia,
in frac e guanti gialli....

STENSG. Ed io vi ripeto che non ho mai parlato nè col ciambellano, nè
con altri della sua famiglia.

HEJRE. Ah, davvero? Nemmeno la seconda volta siete stato ricevuto?
giacchè so benissimo che la prima volta vi fecero dire che non erano in
casa.

STENSG. (_a Monsen_). Dovevo consegnargli una lettera da parte di un
amico.

HEJRE (_alzandosi_). Ah, questa è proprio grossa! Ecco qua un
giovinotto pieno di anima e di vita, ancora inesperto, che va a far
visita a un uomo di mondo, a casa sua, che si raccomanda a lui....
L’uomo di mondo gli fa chiudere la porta sul naso! Non è in casa....
già non si è mai in casa quando accomoda d’esser fuori.... Oh quest’è
una villania!...

STENSG. Oh Dio, lasciate codeste noiose istorie!

HEJRE. Non era in casa! Egli che dice continuamente: Per le persone
come si deve sono sempre in casa!

STENSG. Egli dice così?

HEJRE. Oh, è un modo di dire come un altro! Neanche Monsen non è mai
stato ricevuto! Ma per voi poi, non saprei il perchè, ha un’antipatia
feroce.... sapete che cos’ha detto ieri?

STENSG. Non m’importa affatto di saperlo.

HEJRE. Allora, punto fermo! Ciò che ha detto non m’ha sorpreso venendo
da lui: soltanto non capisco perchè poi ha soggiunto che siete un
avventuriero.

STENSG. Un avventuriero?

HEJRE. Sì, e se desiderate saperne di più, vi dico che egli ha
dichiarato che voi siete un avventuriero e un cavalier d’industria.

STENSG. (_balzando in piedi_). Che cos’ha detto?

HEJRE. Avventuriero e cavalier d’industria, semplicemente.

STENSG. E voi avete inteso questo?

HEJRE. Io no, perchè se fossi stato presente vi avrei difeso, come
meritate.

MONSEN. Ecco ciò che accade, quando....

STENSG. Ah, ma ci vuole una grande imprudenza da parte di quel signore,
sapete!

HEJRE. Andiamo, andiamo, non riscaldatevi tanto. Avrà parlato senza
dubbio in.... senso figurato! Del resto domani potrete chiedergli una
spiegazione, poichè siete stato invitato al banchetto.

STENSG. Io non sono invitato a nessun banchetto!

HEJRE. Come? due visite, e neppure un invito, oh, oh!...

STENSG. Avventuriero e cavalier d’industria! Che intendeva egli
dire....?

MONSEN. Guardate! Basta parlar del diavolo perchè se ne vedano le
corna! Andiamo, Bastiano. (_Si allontana con Bastiano_).

STENSG. Dunque che cosa intendeva dire il conte, signor Hejre?

HEJRE. Non saprei che rispondervi in proposito, caro avvocato. Ne avete
dispiacere?... qua la vostra mano, giovanotto, scusate se sono stato
troppo franco! Vedrete, quanta dolorosa esperienza dovrete fare nella
vita! Voi siete giovane, ardente, pieno di fiducia.... ciò è nobile,
commovente.... ma credete a me: «La fiducia è d’argento, l’esperienza è
d’oro.» È un proverbio di mia invenzione. A rivederci. (_Esce_).


SCENA IV.

=Lundestad, Stensgard, Ringdal, Bratsberg, Dora, Fieldbo, Rundholmen,
Aslaksen,= Folla.

LUND. (_è sul palco e agita il campanello_). La parola è al signor
Ringdal, amministratore delle ferriere.

STENSG. Signor Lundestad, io domando la parola.

LUND. Più tardi.

STENSG. No, subito, immediatamente.

LUND. Non posso: è il signor Ringdal che ha la parola.

RINGD. (_sul palco_). Signori, noi abbiamo l’onore di salutare qui, in
mezzo a noi, un uomo dal cuore generoso, dalla mano benefica, che da
molto tempo noi consideriamo come padre, che mai non ci ha rifiutato nè
i suoi consigli, nè il suo appoggio, che alla gente onorata ha sempre
aperto la sua casa, un uomo che.... che.... infine, poichè il nostro
ospite ama i lunghi discorsi.... evviva il ciambellano Bratsberg e la
sua famiglia. Evviva!

LA FOLLA. Evviva, evviva! (_Gran movimento, Bratsberg stringe la mano
delle persone che ha vicino_).

STENSG. (_a parte_). Posso aver la parola, adesso?

LUND. Prego.... il palco è a vostra disposizione.

STENSG. (_salendo sulla tavola_). Ma io improvviso un palco da me!

DEI GIOVANETTI. Bravo! Evviva!

BRATSB. (_a Fieldbo_). Ma chi è dunque quell’uomo dai modi così strani?

FIELDBO. È l’avvocato Stensgard?

BRATSB. Ah, è lui?

STENSG. Ascoltatemi, amici, in questo giorno di festa; ascoltate,
voi che col cuore esuberante di gioia, celebrate l’anniversario della
vostra libertà. Io sono uno straniero in mezzo a voi....

ASLAK. No....

STENSG. Grazie della gentile parola: ma ancora io mi sento straniero
tra voi; eppure che importa? Il mio cuore batte all’unisono col vostro;
divide le vostre gioie e i vostri dolori, le vostre lotte e i vostri
trionfi.... Ed ora, se mi permettete....

ASLAK. Sì, sì, vi è permesso, signor avvocato.

LUND. Non interrompete; la parola non spetta a voi.

STENSG. Ed a voi meno ancora! Io dichiaro sciolto il Comitato della
festa. Libertà! almeno un giorno di libertà!

GIOVANOTTI. Viva la libertà!

STENSG. Ah, si vorrebbe reprimere la libertà di parola, si vorrebbe
chiudervi la bocca! Ribellatevi a simile tirannia; io pel primo non
vorrei parlare ad una folla servile. La libertà di parola innanzi
tutto! dite altrettanto anche voi.

LA FOLLA. Evviva, evviva!

STENSG. Signori, simili feste infruttuose e vane devono finire: bisogna
che per l’avvenire la vostra festa di maggio produca dei frutti dorati.
Questa è la stagione di seminarli, la stagione dove il dolce succo
inonda e benefica la terra. Ai primi di giugno saranno appunto due mesi
che abito tra voi, e quante cose grandi e meschine, belle e brutte non
ho io già vedute!

BRATSB. Dottore, di che parla costui?

FIELDBO. Il tipografo Aslaksen crede che alluda ai nostri affari locali.

STENSG. Ho certamente constatato delle grandi qualità in questo popolo,
ma ho constatato anche come la corruzione pesi sovr’esso e lo avvilisca
e lo schiacci: sì, ho veduti degli uomini ardenti e generosi; ma ne
vidi anche di quelli che chiusero la loro porta....

DORA. Oh, Dio mio!

BRATSB. Ma che cosa vuol dire?

STENSG. Fratelli, una larva dell’antica schiavitù s’aggira ancora
intorno a voi, e getta un’ombra sinistra, là dove la luce e la libertà
dovrebbero sole regnare. Via questo fantasma!

LA FOLLA. Evviva, evviva il 17 maggio!

DORA. Padre mio, andiamocene.

BRATSB. Ma dove vuol andar a finire col suo fantasma? di che parla,
dottore?

FIELDBO (_rapidamente_). Oh certamente dei.... (_Gli mormora qualche
parola_).

BRATSB. Ah, ah! no.... ma davvero?

DORA (_piano a Fieldbo_). Grazie.

STENSG. Se nessun altro avrà il coraggio di troncare gli artigli al
drago, ebbene l’avrò io! Ma noi dobbiamo marciare insieme e rimanere
strettamente uniti.

MOLTE VOCI. Sì, sì!

STENSG. Noi siamo i giovani: il tempo ci appartiene, come noi
apparteniamo al tempo. Il nostro diritto è il nostro dovere: largo a
tutti gli spiriti che sentono il loro potere! Se voi lo volete, noi
concluderemo un’alleanza. Il regno del sacco di scudi è terminato!

BRATSB. Bravo! (_Al dottore_) Il sacco di scudi, ha detto, non è vero?

STENSG. Mi è arrivato da quella parte un bravo ironico....

BRATSB. No....

STENSG. E che m’importa? Nè la lode nè il biasimo toccano l’uomo che ha
la coscienza di ciò che vuole. Ora noi entreremo tutti sotto la tenda,
per concludervi subito la nostra alleanza.

LA FOLLA. Evviva, evviva! Portatelo in trionfo! evviva! (_Lo prendono
fra le braccia_).

ALCUNE VOCI. Parlate ancora, ancora!

STENSG. Restiamo saldamente uniti. La Provvidenza protegge la Lega dei
giovani. Le sorti di questo paese, se noi lo vogliamo, stanno nelle
nostre mani. (_Lo portano sotto la tenda con grande entusiasmo_).

RUNDHOL. (_asciugandosi un po’ gli occhi_). Come parla bene! Non è vero
che verrebbe la tentazione di abbracciarlo!

HEJRE. Oh, no poi! io non lo abbraccerei certo!

RUNDHOL. Oh, voi! ma lo credo bene!

HEJRE. Voi vorreste forse abbracciarlo, signora Rundholmen?

RUNDHOL. Ma siete proprio un uomo terribile, signor Hejre! (_Entra
sotto la tenda con Hejre_).


SCENA V.

=Bratsberg, Dora, Lundestad, Fieldbo, Hejre.=

BRATSB. Fantasma! drago! sacco di scudi! era alquanto sconveniente! ma
assai piccante!...

LUND. Me ne è dispiaciuto davvero, Eccellenza.

BRATSB. Vedete un po’ a che vi ha servito la vostra famosa conoscenza
degli uomini! È vero che tutti possono ingannarsi. Buona notte,
signor Lundestad, e grazie di questa serata. (_Rivolgendosi a Dora e a
Fieldbo_) Ma, diavolo, come va che io ho potuto essere scortese verso
quel giovanotto?

FIELDBO. Hum!

DORA. Vuoi parlare della sua visita?

BRATSB. Delle sue due visite! Tutta colpa di Lundestad che me lo
aveva dipinto come un cavalier d’industria e non ricordo più che cosa
d’altro! Meno male che tutto si può ancor rimediare!

DORA. E in che modo?

BRATSB. Vieni, Dora: questa sera subito....

FIELDBO. E vi pare, signore, che ciò ne valga veramente la pena?

DORA (_piano_). Zitto!

BRATSB. Quando si è commesso un fallo, bisogna ben rimediarvi!... Ho
passato un’ora piacevolissima.... che voi non m’avevate preparata.

FIELDBO. Io?

BRATSB. Sì, sì, voi e gli altri.

FIELDBO. Ma scusate, che cosa....

BRATSB. Prego.... non insistete. Buona notte, dottore. (_Bratsberg
e Dora si allontanano da sinistra. Fieldbo li guarda con aria
pensierosa_).


SCENA VI.

=Lundestad, Fieldbo, Aslaksen, Hejre.=

ASLAK. (_fuori della tenda_). Cameriere! Una penna, un calamaio, della
carta. Tutto va a gonfie vele, signor dottore! La lega è fondata!

LUND. (_si è avvicinato pianamente_). Siete in molti a firmare?

ASLAK. Quasi trentasette, senza contare le donne. Cameriere! presto
una penna, dell’inchiostro, della carta.... Ah, sì! il cameriere,
vattelapesca dov’è! Sempre colpa della nostra amministrazione locale!
(_Entra sotto la tenda_).

LUND. Auf! che giornata calda!

FIELDBO. Temo che domani farà più caldo ancora.

LUND. Che ne dite, dottore? Credete che Sua Eccellenza si sia
arrabbiato molto?

FIELDBO. Ma niente affatto; lo avete veduto. E che ve ne pare di questa
nuova società? Ecco nuove lotte di partito che si preparano in paese.

LUND. Una vera lotta, avete ragione. Ha dell’ingegno quell’avvocato?

FIELDBO. E molta volontà di emergere!

LUND. Ah questa è la smania di tutti i giovani! Anch’io ho fatto
altrettanto, ai tempi della mia gioventù! Entriamo anche noi, volete?

HEJRE (_esce dalla tenda_). Oh ecco Lundestad! Venite forse a far
dell’opposizione? quand’è così, affrettatevi, signor mio!

LUND. Oh sono sempre in tempo!

HEJRE. No, no, è troppo tardi. Vorreste per caso essere padrino?
(_«Urrà» sotto la tenda_) Sentite i chierici che cantano l’_amen_. Il
battesimo è terminato. Ed un’altra colonna si è spezzata! e ne cadranno
ancora! Sarà come la foresta dopo l’uragano! Bellissima prospettiva!

FIELDBO. Ciò vi sta a cuore, mi sembra, signor Hejre?

HEJRE. Mi sta a cuore? Ma a me particolarmente niente del tutto. Io
mi rallegro solo del bene dei miei concittadini, e sarò lieto assai di
vedere finalmente nel nostro paese un po’ di vita, un po’ d’animazione.
Ma quanto a me personalmente.... figuratevi.... Sarebbe il caso di
ripetervi ciò che diceva sempre mio nonno buonanima: che il sole
splenda di notte, e la luna di giorno, per me fa lo stesso! (_Esce da
destra_).

LA FOLLA. Viva l’avvocato Stensgard! Evviva, evviva la Lega dei
giovani! Del vino, della birra, del _punch!_ Evviva, evviva!

BAST. (_sulla porta della tenda_). Dio vi benedica, e tutta l’umanità
con lui! (_Con voce interrotta e commossa_) Oh dottore, mi sento così
ringagliardito questa sera, che bisogna bene che faccia qualche cosa!

FIELDBO. Oh, oh! e che vorreste fare?

BAST. Credo che finirò per andare al club a bastonare di santa ragione
due o tre fra i miei amici! (_Esce_).


SCENA VII.

=Stensgard= e =Fieldbo=.

STENSG. Sei tu caro Fieldbo?

FIELDBO. Ai vostri ordini, novello signore del popolo! Dunque, sei
stato eletto presidente ad unanimità?

STENSG. Naturalmente, ma....

FIELDBO. Vedremo ora che cosa ti renderà tale onorificenza: qualche
magnifico posto certamente! Amministratore della cassa di Risparmio, o
forse....

STENSG. Oh, non dir cose che tu non puoi pensare: perchè vuoi far
credere d’aver un cuore arido e vuoto, quando non è così!

FIELDBO. Ebbene, allora niente più malignità: ti ascolto.

STENSG. Oh caro Fieldbo! Ritorna, te ne prego, ad essermi sinceramente
amico, come una volta: perchè da qualche tempo in qua hai assunto
quell’aria scrutatrice ed ironica, che mi ha allontanato da te? Ma ho
avuto torto.... (_Lo abbraccia_) Dio mio, quanto sono felice!

FIELDBO. Sei felice? Ebbene, anch’io lo sono!

STENSG. Non sarei il più miserabile degli uomini se questa gioia non mi
rendesse buono e giusto? Che ho fatto io per meritare tanta felicità?

FIELDBO. Eccoti la mia mano. Questa sera sento di volerti bene!

STENSG. Dimmi la verità, amico: non ti sembra forse una felicità
suprema quella di camminare innanzi, seguito dalla folla plaudente? Non
ti sembra che questo trionfo, commovendo l’animo nostro, lo renda più
buono, più dolce, più affettuoso verso il prossimo? Oh, questa brava
gente! io vorrei abbracciarla tutta, per farmi perdonare, in certo qual
modo, la preferenza che Dio ha mostrato verso di me.

FIELDBO (_a mezza voce_). E dire che un sol uomo può tanto! Questa sera
non saprei uccidere una mosca, nè recidere un fiore dallo stelo!

STENSG. Tu?

FIELDBO. Lascia star questo: io volevo dirti solamente che ti comprendo.

STENSG. Che notte deliziosa! Qui tutto è calma, è silenzio: intorno a
noi risuonano ancora le grida giubilanti della folla, le ultime note
della musica.... Oh chi non si sente migliore in questi momenti, non
merita neanche di vivere!

FIELDBO. Sì, ma dimmi, che cosa farete domani, che cosa farete nei
giorni seguenti, che cosa volete fabbricare?

STENSG. Fabbricare? Ma prima bisogna demolire, caro mio! Fieldbo, ho
sognato una volta che il giorno del giudizio universale era venuto;
io guardavo attraverso le nuvole: il sole era scomparso, solo i
lampi mandavano sinistri bagliori. Poi la tempesta; essa travolse
ogni cosa.... le foglie degli alberi e gli uomini. Questi venivano
trascinati violentemente e sembravano tanti borghesi che corressero
in traccia dei loro cappelli, portati via dal vento! Cosicchè quando
si avvicinarono a me fui assai sorpreso di vedere che erano tutti
imperatori e re, che invano correvano dietro furiosamente alle loro
corone, ai loro scettri. Così ne passarono centinaia e centinaia senza
sapere il perchè di tal corsa sfrenata. Alouni gridavano: «Ma donde
viene questa orribile tempesta?» E si udiva rispondere fra il muggito
del tuono e il sibilo del vento: «Una voce potente si è fatta sentire,
e dall’eco che ha risvegliata si è scatenata la bufera.»

FIELDBO. E quando hai sognato questo?

STENSG. Oh, molti anni fa!

FIELDBO. Forse in quel momento c’era la rivoluzione in qualche parte
d’Europa, tu avevi pranzato bene e letto i giornali....

STENSG. Oh, il medesimo brivido ghiacciato! l’ho sentito questa sera
passarmi per le vene! Sì, farò il mio dovere, sarò la voce che....

FIELDBO. Ascolta, mio caro, e rifletti. Tu vuoi essere la voce, non è
vero? Qui, in questa città? e dove sarà, dimmi, l’eco che solleverà la
tempesta? Della gente come il possidente Monsen, come Bastiano! Invece
di imperatori e re fuggitivi, noi vedremo il signor Lundestad correre
in traccia della sua elezione a deputato.... E che resterà del tuo bel
sogno?... il principio soltanto: dei meschini borghesi che corrono al
vento!

STENSG. Sì, dapprincipio; ma chi può sapere fin dove una tempesta
estenderà le sue rovine?

FIELDBO. Fantasie! E poi, accecato, circuito come sei da questa gente,
finirai col rivolgere contro di noi le tue armi, vedrai!

STENSG. Non è vero.

FIELDBO. Sì, sì, vedrai. Subito dopo il tuo arrivo, Monsen ti ha teso
il laccio, e ti rovinerà, se non ti liberi di lui. Il ciambellano
Bratsberg è un uomo d’onore, te lo assicuro. Sai perchè Monsen lo odia
tanto? Perchè....

STENSG. No, taci: non offendere i miei amici.

FIELDBO. Vediamo, Stensgard: Monsen è proprio un amico tuo?

STENSG. Mi ha accolto in casa sua colla massima gentilezza.

FIELDBO. Sì, ma le persone più considerate in paese non vogliono
saperne di andar da lui!

STENSG. Oh, sarà qualche funzionario ambizioso! oh, li conosco! Per
conto mio posso dire che mi ha ricevuto con tale distinzione, con tanti
riguardi, che....

FIELDBO. Con distinzione! Ah, Dio mio, ma ti pare?...

STENSG. Oh, per questo io giudico imparzialmente. Il signor Monsen ha
delle buone qualità: è istruito e intelligente negli affari pubblici.

FIELDBO. Delle buone qualità? Eh, a modo suo sì. È istruito, perchè
riceve i giornali, e vi legge i tuoi articoli e i tuoi discorsi; è
anche intelligente, se vuoi, negli affari pubblici.... lo ha dimostrato
approvando i tuoi discorsi e i tuoi articoli!

STENSG. Fieldbo, Fieldbo, non ricominciare colle malignità! non dire
quello che tu non pensi.... Io ho une forte motivo per aver agito
così... e te lo confido. Dimmi un po’, conosci tu Anna?

FIELDBO. Anna Monsen? Sì, un po’.

STENSG. Essa va qualche volta in casa Bratsberg?

FIELDBO. Sì, va di nascosto a trovare la signorina Bratsberg, che è sua
compagna d’infanzia.

STENSG. E che te ne pare?

FIELDBO. Da quello che ho inteso dire è una buonissima ragazza.

STENSG. Oh, se tu la vedessi in casa sua, quanto è premurosa e buona
coi suoi fratellini! E quanta assistenza ha fatto a sua madre, povera
donna, che negli ultimi anni era un po’ alterata di mente!

FIELDBO. Sì, lo so, l’ho curata anch’io per qualche tempo. Ma dimmi un
po’, caro amico, non mi vorrai far credere....

STENSG. Ma sì, Fieldbo, io l’amo realmente: e te lo posso dire.
Capisco che ciò ti sorprenda, tanto più che tu saprai del mio famoso
fidanzamento a Cristiania, andato a vuoto....

FIELDBO. Sì, me l’hanno raccontato.

STENSG. È stato tutto un malinteso.... ho dovuto troncare ogni cosa....
era il meglio che potessi fare.... t’assicuro però che ne ho avuto
molto dispiacere.... Ma grazie a Dio, la è finita. È questo uno dei
motivi per cui ho lasciato Cristiania.

FIELDBO. E Anna Monsen corrisponde al tuo affetto?

STENSG. Sì, caro amico, non ho ragione di dubitarne.

FIELDBO. Allora tutto va a gonfie vele!. Puoi proprio chiamarti
fortunato! e ho il mio motivo di dirlo!...

STENSG. Ah, davvero? Credi che ella abbia detto qualche cosa alla
signorina Bratsberg?

FIELDBO. No, tu non puoi capirmi. Ma senti.... come va che ti sei
gettato con tanto ardore nella lotta politica? Perchè aspiri così
vivamente alle acclamazioni della folla?

STENSG. Ma, caro mio, l’amore non deve andar disgiunto dal lavoro: al
contrario lo aiuta, lo nobilita! Ed io debbo appunto attraversar queste
lotte, questo trambusto, per arrivare sino a lei.

FIELDBO. Volgare tragitto, in verità.

STENSG. Eh, che vuoi? Sono ambizioso, lo sai, e voglio percorrere una
via luminosa: il tempo stringe, ho già trent’anni, e quando ci penso,
mi prende il rimorso....

FIELDBO. E ti proponi di emendarti....

STENSG. Ah, tu hai sempre voglia di ridere! Tu non hai mai provato
questo bisogno di movimento, di vita. Tu sei sempre stato indolente,
sempre e dappertutto: in collegio e all’università; all’estero e qui.

FIELDBO. Non dico di no, ma quest’indolenza è piacevolissima, sai?
Non rassomiglia per niente alla stanchezza mortale che vi fa cadere,
voialtri, sotto la tavola, quando....

STENSG. Finiscila con queste sciocchezze; tu ti burli di me, e fai
male: vuoi spegnere tutto il mio entusiasmo....

FIELDBO. Oh, ma sai se il tuo entusiasmo è così poco....

STENSG. Basta, basta; non turbare la mia felicità: non mi credi forse
sincero, Fieldbo?

FIELDBO. Sincerissimo, non ne dubito.

STENSG. E allora non scoraggiarmi, non rendermi diffidente. (_Rumori
sotto la tenda_) Senti, Fieldbo! Bevono alla mia salute. Non è forse
nobilissima l’idea che agita questa folla?


SCENA VIII.

=Detti, Helle, Dora= e =Anna=.

HELLE. Vedete, signorina, l’avvocato Stensgard è là.

DORA. Allora è inutile andar più innanzi. Buona notte, Anna! Buona
notte.

HELLE e ANNA. Buona notte, buona notte. (_Escono_).

DORA (_avvicinandosi_). Permettete.... io sono la figlia del
proprietario delle ferriere Bratsberg, e ho una lettera di mio padre
per voi.

STENSG. Per me?

DORA. Sì, eccola. (_Vuole allontanarsi_).

FIELDBO. Mi permettete di accompagnarvi?

DORA. No, grazie, vado sola. Buona notte. (_Se ne va_).

STENSG. (_legge vicino a un lampione_). Che cosa significa ciò?...

FIELDBO. E che ti scrive il signor Bratsberg?

STENSG. (_ridendo forte_). Ah questa non me l’aspettavo davvero!

FIELDBO. Dimmi dunque....

STENSG. Ma è un miserabile personaggio, costui!

FIELDBO. Ah, questo è troppo!

STENSG. E lo ripeterò, se ti piace.... Del resto no.... non importa,
non badiamoci. (_Mette la lettera in tasca_) Che ciò resti fra noi.
(_La folla esce dalla tenda_).


SCENA IX.

=Monsen, Lundestad, Fieldbo, Stensgard, Bastiano, Aslaksen.=

MONSEN. Dov’è il signor Stensgard?

LA FOLLA. Eccolo. Evviva, evviva!

LUND. Il signor avvocato ha dimenticato il suo cappello. (_Glie lo
consegna_).

ASLAK. Eccovi del punch, ben caldo.

STENSG. Grazie, non ne voglio più.

MONSEN. E che i membri della Lega si ricordino che domani c’è una
riunione in casa mia, a Storli.

STENSG. Domani? No, no, non è per domani.

MONSEN. È necessario per compilare il manifesto.

STENSG. Ma domani, in realtà, io non posso; dopo domani, oppure
un altro giorno. Ed ora, buona notte, signori. I miei sinceri
ringraziamenti per l’indimenticabile serata, ed un evviva ancora
all’avvenire!

LA FOLLA. Evviva! accompagnamolo a casa!

STENSG. Grazie, grazie, no!

ASLAK. Vogliamo accompagnarvi tutti.

STENSG. Ebbene, grazie. Buona notte, Fieldbo.... già mi figuro che tu
non mi accompagni!

FIELDBO. No, no: io ci tengo a ripeterti che la tua espressione
riguardo al signor Bratsberg....

STENSG. St! Piano! L’espressione era troppo forte.... gettiamoci un
velo! Andiamo, cari amici; poichè volete accompagnarmi, sono con voi.

MONSEN. Il vostro braccio, Stensgard.

BAST. Musica! Fiato agli istrumenti! Una canzone patriottica!

LA FOLLA. Una canzone! Musica! (_Si canta un inno patriottico e la
folla se ne va_).

FIELDBO (_a Lundestad_). Egli ha un seguito imponente!

LUND. Ma è anche un duce imponente!

FIELDBO. Dove andate ora, signor Lundestad?

LUND. Oh, io vado a casa a dormire. Buona notte. (_Se ne va. Fieldbo
resta solo nel fondo_).


  (_Cala la tela_).




ATTO SECONDO.


  Un salone che dà sul giardino in casa Bratsberg. Mobili eleganti,
  fiori e piante rare. Porte d’ingresso in fondo. A sinistra una
  stanza che dà in sala da pranzo. A destra, porte a vetri che
  s’aprono sul giardino.


SCENA PRIMA.

=Fieldbo, Aslaksen,= una =Cameriera=.

    (_Aslaksen è in piedi presso la porta d’ingresso. Una cameriera_
           _porta dei piatti di frutta nella sala da pranzo._
                           _Entra Fieldbo_).

CAMERIERA. Le ripeto che sono ancora a tavola. Torni più tardi.

ASLAK. E non potrei aspettar qui?

CAMERIERA. Certamente. E perchè no? (_Essa entra in sala da pranzo.
Aslaksen si siede. Un minuto di silenzio. Entra Fieldbo_).

FIELDBO. Buon giorno, Aslaksen. Voi qui?

CAMERIERA (_che ritorna_). Oh, il signor dottore arriva molto tardi!

FIELDBO. Ho avuto una visita di premura.

CAMERIERA. Il signor ciambellano e la signorina hanno chiesto di lei.

FIELDBO. Oh.... davvero?

CAMERIERA. Signor dottore, passi, la prego: o debbo dire che....?

FIELDBO. No, no, lasciate, qualche cosa resterà sempre per me.
Aspetterò qui.

CAMERIERA. Sì, hanno subito finito. (_Esce_).

ASLAK. Voi rifiutate di sedervi ad una mensa così ricca, dove abbondano
i pasticcini, i vini squisiti e mille altre ghiottonerie?

FIELDBO. Oh, di cose buone non ne mancano certo!... Ma voi aspettate
qualcheduno, Aslaksen?

ASLAK. Sì, aspetto qualcheduno.

FIELDBO. E a casa vostra come va? La signora Aslaksen sta bene?

ASLAK. Oh no, è sempre a letto. Ha la tosse e deperisce assai.

FIELDBO. E il vostro bambino?

ASLAK. È sempre storpio; e non c’è più rimedio! Ma a che parlar di
queste miserie?

FIELDBO. Lasciatemi vedere il vostro viso, Aslaksen.

ASLAK. E che cosa volete vederci?

FIELDBO. Avete bevuto oggi, non è vero?

ASLAK. E anche ieri!

FIELDBO. Pazienza ieri! era giorno di festa.... ma oggi....

ASLAK. (_indicando la sala da pranzo_). E là dentro non bevono forse?...

FIELDBO. Sì, caro Aslaksen, essi ne hanno un certo diritto.... ma voi
siete in una posizione ben diversa dalla loro!

ASLAK. La mia posizione! Non sono stato io a scegliermela!

FIELDBO. No, è stata la Provvidenza che l’ha scelta per voi.

ASLAK. No, la Provvidenza non c’entra per niente. Sono gli uomini. È
Daniele Hejre che ha scelto per me, quando gli venne in mente di farmi
lasciare il mio mestiere di tipografo, per dedicarmi agli studii.
Ed anche il signor ciambellano Bratsberg ha scelto per me.... sì....
quando ha rovinato Daniele Hejre e m’ha costretto così a riprendere il
mio antico mestiere.

FIELDBO. In quanto a questo, scusate, ma in onor del vero, ci tengo
a dirvi che il signor ciambellano non ha per niente rovinato Daniele
Hejre; egli s’è rovinato da sè!

ASLAK. Possibile! Ed egli avrebbe avuto il coraggio di rovinarsi,
dopo la grave responsabilità che s’era assunta a mio riguardo. Anche
Domineddio ci ha la sua parte di colpa; perchè m’ha dato tanto talento?
Pensare che avrei potuto divenire un bravo operaio.... nossignore, mi
capita tra i piedi quel vecchio buffone.

FIELDBO. Fate male a parlar così. Daniele Hejre ha agito verso di voi
colle migliori intenzioni.

ASLAK. Sì, e a che cosa m’hanno servito le sue buone intenzioni? Là,
in quella sala, dove essi mangiano e bevono, ho avuto anch’io il mio
posto, come essi ben vestito ed elegante! E quella vita mi piaceva,
sapete; conveniva, a me che ho letto tanto, e che ho sempre aspirato
a tutto ciò che di bello e di gaio c’è nella vita. Ma da quel paradiso
ho dovuto partirmene subito! È venuta la rovina, del grandioso edificio
dorato non sono rimasti che i ruderi!

FIELDBO. Sì, ma la vostra situazione non era delle peggiori: avevate
sempre il vostro mestiere per vivere.

ASLAK. Raccontatemene un’altra! Dopo essere stato ciò che ero, bella
posizione quella del tipografo! M’han dato lo sgambetto mentr’ero sul
ghiaccio, ed ora m’insultano perchè son caduto....

FIELDBO. Oh, io non vi giudico tanto severamente!

ASLAK. E fate bene. Che arruffìo di cose! Daniele Hejre, la
Provvidenza.... il ciambellano.... io stesso, il destino, le
circostanze.... Con questi elementi che bel libro ci sarebbe da
scrivere! Ma come orientarsi fra tanta confusione! (_Guarda verso la
porta di sinistra_) Guardate, escono da tavola.


SCENA II.

=Detti, Stensgard, Fieldbo, Hejre, Aslaksen,= =Erik, Selma.=

        (_Gli invitati passano dalla sala da pranzo in giardino,
             chiacchierando. Stensgard è in mezzo a Selma e
          a Dora. Fieldbo e Aslaksen sono in piedi vicino alla
               porta in fondo. Più tardi Erik e Hejre_).

STENSG. Io sono ancora un forestiero qui.... prego queste signore di
dirmi dove debbo condurle.

SELMA. Laggiù, all’aria fresca, vedrete il giardino.

STENSG. Oh, dev’essere delizioso. (_Se ne vanno dalla prima porta a
vetri, a destra_).

FIELDBO. Ah Dio mio, ma era proprio Stensgard.

ASLAK. Sicuro, io sono venuto qui apposta per parlar con lui: lo
cercavo da un pezzo, quando ho incontrato Daniele Hejre che m’ha
detto....

HEJRE (_esce dalla sala da pranzo a Erik_). Oh, oh! com’era squisito
quello Xèrès; solamente a Londra ne ho bevuto di così buono.

ERIK. Non è vero che questo mette un po’ di sangue nelle vene?

HEJRE. Ah, ah! Sì! È un piacere veder speso così bene il proprio denaro!

ERIK. Come? (_Ridendo_) Sì, sì, è vero, avete ragione. (_Vanno in
giardino_).

FIELDBO. Avete bisogno di parlar d’affari con Stensgard?

ASLAK. Sicuro, del resoconto della festa pel giornale.

FIELDBO. Va bene. Allora sarebbe meglio che lo aspettaste fuori, in
anticamera; qui non mi pare il luogo più conveniente. Appena che mi
capiti di veder Stensgard solo, glie lo dirò subito.

ASLAK. Bene bene, aspetterò. (Esce dal fondo).


SCENA III.

=Bratsberg, Fieldbo, Lundestad, Ringdal.=

BRATSB. (_a Lundestad_). Sfrontato dite? Bene, in quanto alla forma,
non lo nego; ma nel suo discorso c’era dell’oro di diciotto carati; ve
lo assicuro io!

LUND. Eh, se Vostra Eccellenza è contenta, io non ho più nulla da
ribattere!

BRATSB. Bravissimo. Ma ecco qua il nostro dottore; collo stomaco vuoto,
probabilmente?

FIELDBO. Non del tutto. In ogni caso, la sala da pranzo è vicina, e io
qui mi considero un po’ come in casa mia....

BRATSB. Oh, oh, guardate un po’!

FIELDBO. Non vorrete interpretar male le mie parole; non è vero? Da che
voi stesso mi avete tante volte autorizzato....

BRATSB. Sì, sì, consideratevi pur sempre come in casa vostra;
e avviatevi pure alla sala da pranzo. (_Gli batte leggermente
sulla spalla e si rivolge a Lundestad_) Eccone un altro che voi
qualifichereste come cavalier d’industria e.... di che ancora? Ho
dimenticato....

FIELDBO. Ma signore!

LUND. Ma no, vi assicuro....

BRATSB. Andiamo! Bando alle discussioni dopo pranzo: ciò non sarebbe
igienico. Venite a prendere il caffè di fuori. (_Va in giardino co’
suoi ospiti_).

LUND. (_a Fieldbo_). Avete osservato come è strano quest’oggi il
ciambellano?

FIELDBO. Io l’avevo già notato ieri sera.

LUND. S’è fitto in capo ch’io abbia detto che l’avvocato Stensgard è un
cavalier d’industria, ed altri simili complimenti.

FIELDBO. Ebbene, signor Lundestad? E se anche l’aveste detto? Ma
scusatemi, io debbo ancora salutare la padrona di casa. (_Esce dalla
destra_).

LUND. (_a Ringdal che passava una tavola da giuoco_). Ma in che modo
l’avvocato Stensgard è qui?

RINGD. Io potrei chiederlo a voi: eppure non era sulla lista degli
invitati.

LUND. Allora è stato dopo.... l’insolente suo discorso di ieri?

RINGD. Sì, che ve ne pare? Questa si chiama prudenza. (_Scendono
chiacchierando in giardino. Intanto arrivano Stensgard e Selma_).


SCENA IV.

=Stensgard, Selma,= poi =Erik.=

SELMA. Sì, là in fondo, al disopra della cima degli alberi, si vede il
campanile della chiesa, e la parte alta della città.

STENSG. Davvero! Non l’avrei creduto.

SELMA. Non è vero che la vista laggiù è magnifica?

STENSG. Ma tutto è magnifico qui: il giardino, la vista, il sole e la
gente. Voi abitate qui tutta l’estate?

SELMA. No, mio marito ed io andiamo e veniamo; la nostra casa è in
città, ed è assi più bella di questa.

STENSG. E la vostra famiglia sta pure in città?

SELMA. La mia famiglia? Ma noi principesse dei racconti delle fate, non
abbiamo famiglia!

STENSG. Ah, ah!

SELMA. Tutt’al più possediamo una matrigna cattivissima.

STENSG. Una strega! Ah, ah, mia bella principessa!

SELMA. Nei castelli incantati si vedono gli spettri verso la
mezzanotte. Il dottor Fieldbo sostiene che ciò è piacevolissimo.... ma
non mi pare.... sentite....

ERIK (_dal giardino_). Ah finalmente, si ritrova la propria mogliettina!

SELMA. La mogliettina.... chiacchierina.... che racconta al signor
Stensgard il romanzo della sua vita.

ERIK. Brava! E che parte fai fare al marito?

SELMA. Quella del principe, si capisce. (_A Stensgard_) Sapete, arriva
sempre il principe, che distrugge l’incanto; e allora tutti sono
felici, il cielo è sempre azzurro, la foresta sempre verde, la gioia
senza confini, e la storia è bell’e terminata.

STENSG. Sì, ma è stata troppo corta.

SELMA. Forse, sotto un certo punto di vista.

ERIK (_cingendole la vita_). Ma da questa storia ne nasce un’altra, ed
ecco la principessa diventata regina!

SELMA. Ma precisamente come lo divengono le vere principesse?

ERIK. Vale a dire?

SELMA. Esse se ne vanno lontano lontano, in un altro regno.

ERIK. Un sigaro, signor Stensgard?

STENSG. Grazie, non per adesso.


SCENA V.

=Stensgard, Erik, Fieldbo, Selma, Dora,= poi =Bratsberg=.

SELMA. Eccoti finalmente, cara Dora? Ti senti poco bene?

DORA. Io? No.

SELMA. Sì, sì. Da qualche giorno ti vedo discorrere seriamente col
dottore....

DORA. No, ti assicuro.

SELMA. Lascia un po’ che ti veda! Come sei accesa! Il tuo viso scotta!
Che ve ne pare, dottore, quando finirà questo caldo?

FIELDBO. Eh, signora mia, ogni cosa a suo tempo!

DORA. Sì, neanche il freddo è delizioso certo!

SELMA. No: una temperatura media, come dice mio marito.

BRATSB. (_dal giardino_). Oh, oh, tutta la famiglia in intimo
colloquio: ciò non è troppo gentile verso i nostri ospiti!

DORA. Caro papà, io vado subito.

BRATSB. Ah, ah, signor Stensgard, voi fate la corte alle signore!... Vi
sorveglieremo!

DORA (_piano a Fieldbo_). Restate. (_Va in giardino_).

ERIK (_offrendo il braccio a Selma_). La signora permette?

SELMA. Andiamo! (_Si allontanano tutti e due_).

BRATSB. (_seguendoli cogli occhi_). Non c’è da pensare a separarli quei
due!

FIELDBO. Oh, sarebbe una cattiva idea!

BRATSB. Fortunatamente c’è un Dio per i pazzi. (_Chiamando_) Dora,
Dora! Bada a Selma! Portale uno scialle, fa fresco: non lasciarla
correre così, finirà per infreddarsi! Ah, dottore, non si è mai
abbastanza previdenti.

FIELDBO. Eh, lo si diventa coll’andar del tempo, quando si è fatta
l’esperienza a proprie spese!

BRATSB. Giustissimo. Ma voi, che vi considerate qui come in casa
vostra, dovreste occuparvi un pochino dei nostri ospiti.

FIELDBO. Sì, volontieri. Stensgard, vuoi venire....

BRATSB. Ah, ecco il mio vecchio amico Hejre....

FIELDBO. Che anch’esso si considera qui come in casa sua, non è vero?

BRATSB. Ah, ah, ah! Verissimo! Avete ragione!

FIELDBO. Ebbene, vado a raggiungerlo, e faremo del nostro meglio.
(_Esce_).


SCENA VI.

=Bratsberg, Stensgard.=

STENSG. Vostra Eccellenza parlava di Daniele Hejre, non è vero? A dire
il vero, fui molto sorpreso di vederlo qui.

BRATSB. Hum! Hejre ed io siamo amici d’infanzia, e in seguito abbiamo
avuto molte occasioni di trovarci riuniti.

STENSG. Appunto a questo proposito, Hejre ci raccontava ieri delle cose
assai curiose....

BRATSB. Hum!

STENSG. Senza di che, non sarei stato così eccitato. Ha un certo modo
di parlare degli uomini e delle cose.... in verità, egli è proprio una
cattiva lingua!

BRATSB. Mio caro e giovane amico, il signor Hejre è ospite mio. Io
accordo la più completa libertà a chi frequenta la mia casa, con una
sola riserva: che non si dica male della gente che è in buona relazione
con me!

STENSG. Allora le mie scuse....

BRATSB. Bene, bene, voi appartenete alla nuova generazione, che in
certe cose non la guarda tanto nel sottile. In quanto poi al signor
Hejre, temo che non lo conosciate bene; è un uomo al quale io debbo
molti servigi.

STENSG. È quello che egli dice: ma non credevo che....

BRATSB. Io debbo a lui, per la massima parte, la mia felicità
domestica. Signor Stensgard, io gli debbo mia nuora: davvero, sapete.
Daniele Hejre l’adottò giovanissima. Era una bimba meravigliosa. A
dieci anni dava dei concerti: forse l’avrete sentita nominare: Selma
Sjoblom?

STENSG. Sjoblom? Certo, certo; suo padre era uno svedese.

BRATSB. Professore di musica, sì. Molti, molti anni or sono venne
a stabilirsi qua; poveretto, sapete che un maestro di musica non
nuota nell’abbondanza. Allora Hejre viveva nel mondo artistico,
faceva il mecenate: s’interessò alla piccola pianista, e la mandò a
Berlino. Intanto il professore morì, e la ragazza dovette tornarsene a
Cristiania, dove fu ricevuta nella più alta società, si capisce. Ed è
così che mio figlio ebbe l’occasione di conoscerla.

STENSG. E così il signor Daniele fu l’istrumento....

BRATSB. Eh, è appunto così che si combinano le cose nella vita. Noi
siamo tutti dei semplici istrumenti.... Voi stesso, non siete un
istrumento di demolizione?

STENSG. Oh! Vostra Eccellenza mi confonde.

BRATSB. E perchè?

STENSG. Sì, fui assai inopportuno ieri....

BRATSB. Sì, capisco, la forma non era correttissima; ma l’intenzione
era buona. Ed appunto perciò d’or innanzi, quando avrete qualche cosa
sul cuore, venite a trovarmi, ditemela francamente. Persuadetevi che
anch’io desidero e ci tengo assai che tutto vada per il meglio.

STENSG. Mi permettete di parlarvi francamente?

BRATSB. Certo. Ma credete che non mi sia accorto anch’io che la nostra
società non è più quella d’una volta e che va pigliando una cattiva
piega? Ma che posso farci io? All’epoca di re Carlo Giovanni, io
abitavo quasi sempre a Stoccolma; adesso sono vecchio, non è nella mia
natura di fare innovazioni, di prender parte attiva agli affari. Voi
invece, signor Stensgard, avete le doti necessarie per riuscire a ciò,
e se lo volete, noi faremo insieme un trattato d’alleanza.

STENSG. Grazie, grazie.


SCENA VII.

=Detti. Ringdal= e =Hejre= vengono dal giardino.

RINGD. Ma vi dico anch’io che è un malinteso.

HEJRE. Allora non crederò più neppure alle mie proprie orecchie!

BRATSB. C’è qualche novità, Hejre?

HEJRE. Oh, semplicemente questo: che Lundestad sta per passare al
partito di Storli.

BRATSB. Tu scherzi!

HEJRE. Ti domando scusa, mio caro, me lo ha detto egli medesimo. Il
possidente Lundestad, per ragioni di salute, vuole ritirarsi a vita
privata; si sa che cosa ciò significhi.

STENSG. E ve l’ha detto egli stesso?

HEJRE. Precisamente: egli ha dato la grande notizia a un gruppo di
uditori, che sono rimasti a bocca aperta! Ah, ah!

BRATSB. Ma, caro Ringdal, come si spiega questa faccenda?

HEJRE. Oh è facile indovinare....

BRATSB. Già, già: ma un affare importante per tutto il paese. Venite,
Ringdal, bisogna che domandiamo delle spiegazioni a Lundestad. (_Esce
con Ringdal nel giardino_).


SCENA VIII.

=Fieldbo, Hejre, Stensgard.=

FIELDBO. Il signor Bratsberg non è più qui?

HEJRE. Zitto! i savii tengono consiglio. Sapete la grande notizia,
dottore! Lundestad rinuncia al suo seggio in Parlamento!

FIELDBO. Ma è impossibile!

STENSG. Capisci che significa ciò, tu?

HEJRE. Ci sarà del movimento in paese. Ecco i primi effetti della Lega
dei giovani, caro Stensgard. Sapete come dovreste chiamare questa Lega?
Sì, ve lo dirò più tardi?...

STENSG. Voi credete davvero che la nostra società?...

HEJRE. Certo, certo. Allora, quanto prima, avremo la consolazione di
essere rappresentati alla capitale da Monsen, dal signore di Storli!
L’unico vantaggio sarà che non lo avremo più tanto tra i piedi.... ah,
ah!... (_Esce_).


SCENA IX.

=Stensgard, Fieldbo.=

STENSG. Dimmi un po’ Fieldbo, come ti spieghi tutto questo?

FIELDBO. Ci sono delle cose che mi spiego ancora meno. In che modo tu
sei venuto qui?

STENSG. Come gli altri; sono stato invitato.

FIELDBO. Sì, ieri sera, non è vero, dopo il tuo discorso.

STENSG. Ebbene?

FIELDBO. E tu hai accettato l’invito?

STENSG. Eh diavolo, e che dovevo fare? Non potevo essere sgarbato con
persone così educate.

FIELDBO. Davvero, eh? ma nel tuo discorso tale scrupolo non l’hai avuto
peraltro!

STENSG. Via, via, nel mio discorso attaccavo i principii e non le
persone.

FIELDBO. Va bene.... ma come interpreti tu l’invito...?

STENSG. Oh, ma ciò è molto naturale....

FIELDBO. Vuoi forse dire che il ciambellano Bratsberg abbia paura di te?

STENSG. Non ci sarebbe ragione: egli è un uomo d’onore.

FIELDBO. Perfettamente.

STENSG. Non è forse nobile, da parte sua, d’aver presa la cosa in
questo modo? E la signorina Bratsberg com’era graziosa quando mi portò
la lettera!

FIELDBO. E, dimmi, non si accennò per niente al discorso d’ieri sera.

STENSG. Non c’è pericolo: sono tutti troppo bene educati per toccare un
tasto falso: però ne ho un po’ di rimorso, e una volta o l’altra, dovrò
pur fare le mie scuse.

FIELDBO. Non te lo consiglio, tu non conosci il ciambellano Bratsberg!

STENSG. E allora farò sì che le mie azioni parlino per me!

FIELDBO. Sì, ma tu non puoi abbandonare il partito del proprietario di
Storli.

STENSG. Cercherò di venire a una conciliazione. Non ho dalla mia la
società che ho fondata? È una potenza, come vedi.

FIELDBO. Permetti.... E il tuo amore per la signorina Monsen? Ieri mi
parve che il tuo progetto fosse giusto e ragionevole; ma pensandoci
meglio, ho cambiato idea: e trovo che sarebbe più opportuno che tu non
ci pensassi più.

STENSG. Forse hai ragione. Quando ci si sposa in una casa di gente
maleducata, si sposa, per così dire, tutta la famiglia.

FIELDBO. Giusto: e poi.... ci sono degli altri motivi.

STENSG. Monsen non ha proprio nessuna educazione. Egli sparla delle
persone che riceve in casa sua, ciò che è sconvenientissimo. A Storli,
tutte le stanze puzzano di tabacco vecchio.

FIELDBO. Ma, caro mio, come va che non l’hai sentito prima questo odor
di tabacco?

STENSG. Certe cose si capiscono col confronto. Appena arrivato qui, ho
cominciato subito a trovarmi in una falsa posizione: sono caduto nelle
mani di faziosi, che m’han riempita la testa dei loro pettegolezzi.
Adesso è finita. Non voglio essere lo strumento del loro egoismo e
della loro vanità.

FIELDBO. Bene, ma che ne farai poi della tua società?

STENSG. Oh, essa è stata fondata su basi così larghe che non c’è
bisogno di modificarla: è stata fondata per lottare contro le influenze
cattive, ed ora comprendo da che parte vengono.

FIELDBO. E pensi che gli altri membri della Lega vedranno le cose sotto
questo aspetto?

STENSG. Oh certamente, io sono in diritto di esigere che questa gente
insignificante dica e faccia quello che voglio io!

FIELDBO. E se essi rifiutassero?

STENSG. Ognuno andrà per la sua strada: io non ho più bisogno di essi.
Credi tu che per una cieca ostinazione o pel futile piacere di sembrar
logico, io voglia impegnare il mio avvenire su una cattiva china, e
rinunciare così al mio scopo?

FIELDBO. Qual è dunque il tuo scopo?

STENSG. Una vita che mi offra l’occasione di far valere il mio ingegno
e di soddisfare la mia ambizione.

FIELDBO. Lascia queste frasi vaghe... vediamo: qual è il tuo scopo?

STENSG. Il mio scopo, a te posso confidarlo, è di diventare col tempo
deputato e magari ministro, e di fare un buon matrimonio con una
ragazza ricca e di buona famiglia.

FIELDBO. Ah, perciò tu calcoli sull’aiuto del Bratsberg?

STENSG. Io non calcolo che su me stesso. Io sono abbastanza forte
per riuscire da solo, e ho del tempo innanzi a me. Per ora lasciatemi
godere della bellezza del paesaggio e della luce del sole.

FIELDBO. Qui?

STENSG. Sì, qui, perchè la vita in questo luogo è deliziosa, perchè
la gente è cortese, la conversazione facile e brillante, come una
pioggia di perle. Ah, Fieldbo, solamente qui ho capito che cos’è
la distinzione! La gente rifatta è tutta diversa. Quando penso alle
ricchezze di Monsen, mi si affaccia alla mente una visione di biglietti
di banca unti, di sudice ricevute di pegno: mentre qui, si tratta di
metallo, di argento sonante e lucente. Lo stesso è delle persone. Il
ciambellano Bratsberg, che ottimo vecchio!

FIELDBO. È vero.

STENSG. E il figlio! Svelto, sincero, attivo....

FIELDBO. È vero.

STENSG. E la nuora! Una perla! che splendidi doni ha avuto da madre
natura!

FIELDBO. E Dora.... la signorina Dora è stata del pari dotata....

STENSG. Sì, non così splendidamente, però.

FIELDBO. Oh, tu non la conosci! Tu non sai quant’è saggia, buona e
leale!

STENSG. Ma la nuora! Così franca! quasi impertinente! e così
intelligente, così graziosa!

FIELDBO. Parola d’onore, si direbbe che ne sei innamorato!

STENSG. Innamorato d’una donna maritata? Ma sei pazzo? Del resto, mi
vedrai cadere quanto prima in altri lacci amorosi! Sì, lo sento: essa è
veramente saggia, buona e leale!

FIELDBO. Chi?

STENSG. La signorina Bratsberg.

FIELDBO. Ma come?... tu non pensi?...

STENSG. Sì, ci penso.

FIELDBO. Ma è impossibile.

STENSG. Eh caro mio, la volontà è una gran forza! Vedrai se non sarà
possibile!

FIELDBO. Ma questa è una pazzia addirittura; è una leggerezza
incredibile, poichè ieri ti sentivi innamorato della signorina Monsen!

STENSG. Già.... avevo avuto troppa fretta.... poi tu stesso me n’hai
sconsigliato.

FIELDBO. E adesso ti consiglio, nel modo più assoluto, di non pensare a
nessuna delle due!

STENSG. Davvero! vorresti forse pronunciarti tu stesso per l’una o per
l’altra?

FIELDBO. No, t’assicuro.

STENSG. Ciò non varrebbe a trattenermi, del resto: guai a chi viene a
mettersi sulla mia strada e ad intralciarmi il cammino!... Allora non
tengo più conto di nulla.

FIELDBO. Bada, che io non dico altrettanto!

STENSG. Tu? Ma con quale diritto ti atteggi tu a protettore della
famiglia Bratsberg?

FIELDBO. Io nutro dell’amicizia per loro.

STENSG. Che! non credere di tenermi a bada con simili sofismi. Da parte
tua, è tutta questione d’egoismo. La tua piccola vanità è lusingata
perchè qui ti accarezzano e ti fan mille moine. E per questo vuoi
allontanarmi.

FIELDBO. Ciò sarebbe assai meglio per te. Tu ti trovi qui su un terreno
pericoloso.

STENSG. Davvero? Grazie mille: io saprò puntellare il terreno.

FIELDBO. Ebbene, provati! Ma ti predìco che quanto prima esso
sprofonderà sotto i tuoi piedi.

STENSG. Bene! Tu mi prepari qualche trabocchetto: preferisco saperlo.
Ora ti conosco, so che sei mio nemico: forse il solo che io abbia qui.

FIELDBO. No, non sono tuo nemico.

STENSG. Sì, sì, lo sei sempre stato, fin da quando eravamo in collegio
insieme. Tutti qui, perchè io non sono del paese, mi guardano ancora
con una certa diffidenza..... Tu che mi conosci, non hai detto mai
nulla in mio favore. Del resto è sempre stato il tuo difetto quello di
non riconoscere negli altri merito alcuno. Tu sei andato a Cristiania,
ti sei associato a tutti i club, e non hai imparato che a denigrar
la gente. Tutto ciò guasta il cuore; si perde il senso del bello,
dell’entusiasmo, e si diventa inetti e buoni a nulla.

FIELDBO. Ah, io non sono buono a nulla?

STENSG. Tu non sei mai stato capace di rendermi giustizia.

FIELDBO. Ma che cosa debbo stimare in te?

STENSG. Ciò che almeno apprezzano tutti, indiscutibilmente, la mia
forza di volontà....

FIELDBO. Sì, tutti.... il possidente Monsen, suo figlio.... Oh diavolo,
a proposito, lo dimenticavo. Ce n’è uno lì fuori che t’aspetta.

STENSG. Uno, di che?

FIELDBO. Uno di quelli che ti apprezzano. (_Apre la porta_) Entrate,
Aslaksen.

STENSG. Aslaksen!


SCENA X.

=Detti= e =Aslaksen=.

ASLAK. Ah finalmente!

FIELDBO. A rivederci, non voglio disturbarvi. (_Esce in giardino_).


SCENA XI.

=Stensgard, Aslaksen.=

STENSG. Ma che diavolo venite voi a far qui?

ASLAK. Voi mi avete promesso ieri il resoconto della fondazione della
nostra Società.

STENSG. Aspettate ancora un po’.

ASLAK. Ma è impossibile, signor Stensgard. Il giornale esce domattina.

STENSG. Che, che! Noi entriamo in una nuova fase, bisogna cambiar
tutto: circostanze impreviste m’obbligano a ritirare ciò che ho detto
ieri riguardo al ciambellano Bratsberg.

ASLAK. Riguardo a lui? ma è già composto.

STENSG. Levatelo: bisogna modificarlo. Voi mi guardate! Mi credereste
incapace di dirigere degnamente la nostra Società?

ASLAK. Sono lontanissimo da simile pensiero. Vorrei solamente farvi
osservare....

STENSG. Non tollero nessuna osservazione.

ASLAK. Signor avvocato, sapete voi che io sono sull’orlo della rovina?
Quest’inverno, prima che voi arrivaste, il mio giornale andava assai
meglio. Lo redigevo io stesso, guidato da un principio incrollabile: è
il grande pubblico che tiene in vita i giornali; ma siccome il grande
pubblico val poco, così ci vuole un giornale che valga pochissimo.
Tutti i numeri erano ispirati a quest’idea.

STENSG. Male, indiscutibilmente.

ASLAK. Sì, ed io ne ero soddisfattissimo. Ma siete arrivato voi, colle
vostre idee innovatrici; il mio giornale ha preso un colore, e allora
gli amici di Lundestad m’hanno abbandonato: e quelli che mi rimangono
pagano troppo poco.

STENSG. Ma il vostro è diventato un buon giornale.

ASLAK. Grazie mille: ma un buon giornale non dà da vivere. Se un po’
di movimento, un po’ di vita si facesse una volta in questo benedetto
paese, come avete promesso voi ieri, allora si comincierebbe a mettere
in berlina o l’uno o l’altro dei personaggi altolocati, e il mio
giornale pubblicherebbe degli articoli, che tutti leggerebbero con
interesse. Ma sul più bello, voi mancate di parola.

STENSG. Ma che cosa v’eravate messo in mente? che io volessi sollevar
degli scandali, per fare un piacere a voi? No, no, caro mio.

ASLAK. Signor avvocato, non riducetemi alla disperazione, potrebbe
finir male.

STENSG. Che cosa volete dire?

ASLAK. Che sarò costretto a ricorrere ad altri mezzi, perchè il mio
giornale mi renda ancora qualche cosa. Prima del vostro arrivo io lo
riempivo tutto di fatti di cronaca, aggressioni, incendî, suicidî, più
o meno veri, s’intende; e il pubblico s’accontentava. Ma da che siete
venuto voi a mettere sottosopra ogni cosa, il pubblico esige un altro
alimento.

STENSG. Ebbene, io non ho da rispondervi che questo: se voi mi
disubbidite, se volete agire a modo vostro, io vado immediatamente dal
tipografo Halm, per fondare un altro giornale. Persuadetevi bene, che
del denaro noi ne abbiamo abbastanza.

ASLAK. (_pallidissimo_). Non fate questo.

STENSG. Sicuro che lo farò; a me non manca la capacità di redigere un
giornale, che sappia cattivarsi la maggioranza del pubblico.

ASLAK. Quand’è così, io vado immediatamente a parlare col signor
ciambellano.

STENSG. Voi? e per dirgli che?

ASLAK. Oh, credete voi ch’io non abbia capito perchè egli vi ha
invitato qui? Perchè vi teme e voi ne abusate. Io imiterò il vostro
esempio: egli dovrà temere anche me, per quello che gli minaccerò di
stampare: e un po’ di vantaggio lo avrò anch’io, almeno una volta!

STENSG. Ah, voi osereste?.... un intrigante come voi?...

ASLAK. Ma certo, certo. Perchè il vostro discorso non esca sul mio
giornale, bisognerà bene che il signor ciambellano mi paghi.

STENSG. Provatevi a farlo! Ma voi siete ubbriaco, caro mio!

ASLAK. Sarà benissimo; e mi vedrete diventare un leone per difendere
il mio ultimo tozzo di pane, giacchè si vuol portarmelo via. Ah, voi
non avete idea di ciò che di triste, di miserabile è la mia casa: una
povera donna sempre a letto, un ragazzo infermo....

STENSG. E che me n’importa? Pretendereste ch’io m’imbrattassi del
vostro fango? Peggio per voi se avete la moglie ammalata ed i ragazzi
storpi! Ma ricordatevi bene: se osate mettervi sul mio cammino, fra un
anno.... vi garantisco, farete parte dell’asilo di mendicità.

ASLAK. Signor avvocato, aspetterò ventiquattr’ore.

STENSG. Ah, cominciate a diventar ragionevole!

ASLAK. Avviserò i miei lettori che in seguito a leggera indisposizione,
il redattore non ha potuto....

STENSG. Ebbene, fate così per ora: chi sa che in seguito non
c’intendiamo meglio.

ASLAK. Dio lo volesse.... Pensateci bene, signor avvocato! (_Esce dal
fondo_).


SCENA XII.

=Stensgard, Lundestad.=

LUND. E così, caro avvocato Stensgard?

STENSG. Oh, signor Lundestad!

LUND. Siete solo? bene: vorrei chiacchierare un pochino con voi.

STENSG. Ai vostri ordini.

LUND. Prima di tutto, debbo prevenirvi di una cosa: se qualcuno vi
venisse a raccontare che io ho detto qualche cosa di spiacevole sul
conto vostro, non ci credete, sapete.

STENSG. Sul conto mio? E che cosa potreste aver detto?

LUND. Oh, niente affatto! Ma, sapete, i maligni ci sono sempre: c’è
tanta gente che si diletta a mettere la discordia fra gli amici.

STENSG. Sì, infine.... eccoci qui di fronte l’uno all’altro, in una
posizione falsa.

LUND. Ma è una posizione naturalissima, al contrario, signor Stensgard:
è la posizione della gioventù dirimpetto alla vecchiaia.

STENSG. Ma no, signor Lundestad, non siete poi così vecchio!

LUND. Sì, sì, sento che invecchio. È fino dal 1839, sapete, che siedo
in Parlamento; è ora di pensare a ritirarmi!

STENSG. A ritirarvi?

LUND. Eh, i tempi cambiano, vedete. Sorgono nuovi doveri da compiere, e
per compierli delle nuove forze sono necessarie.

STENSG. Dite la verità, signor Lundestad: volete cedere il vostro posto
a Monsen?

LUND. A Monsen? No, non è lui che deve sostituirmi.

STENSG. Allora non capisco.

LUND. Supponiamo che io voglia cedere il mio posto a Monsen, credete
che egli abbia qualche probabilità di essere eletto?

STENSG. Ma.... è un po’ difficile prevederlo: la votazione del primo
collegio avrà luogo dopodomani; e ancora si è lavorato poco per
ottenere un risultato.... ma....

LUND. No, no, credo che non riuscirebbe a nulla. Il mio partito e
quello del ciambellano Bratsberg non voterebbero per lui. Dico: «il
mio partito» per modo di dire.... Intendo i possidenti, le antiche
famiglie del paese, che hanno solide basi; tutti questi non vogliono
neanche sentir parlare di Monsen, che è un immigrato, un forestiero per
noi; no, no, egli non ha un partito. Per farsi strada qui, ha dovuto
lavorare duramente, ed abbattere non pochi ostacoli, vi assicuro!

STENSG. Allora se voi credete che abbia così poca probabilità....

LUND. Eh! chi sa perchè voi, signor Stensgard, che avete tante belle
qualità, non siete anche un pochino ambizioso?...

STENSG. Io?

LUND. Sì, voi: perchè vi dedicate tutto agli altri e non pensate un po’
al vostro interesse?... Infine, perchè non vorreste voi stesso farvi
eleggere deputato?

STENSG. Io? Ma voi scherzate, signor Lundestad.

LUND. No, parlo sul serio: questo sarebbe il momento opportuno per
voi.... profittatene, prima che qualcun altro, più agguerrito di voi,
non venga a soppiantarvi.

STENSG. Ma, in nome del cielo, è possibile ciò che voi dite?

LUND. Ma sì, possibilissimo.... Se non volete, però....

STENSG. Se non voglio?... Vi confesso che non sono così poco ambizioso
come voi credete. Gli è che mi pare impossibile....

LUND. Non ci pensate. Io farò quanto sta in me perchè possiate
riuscire: Sua Eccellenza, che apprezza i vostri meriti, farà
altrettanto. Voi avete la gioventù dalla vostra e....

STENSG. Signor Lundestad, voi mi siete veramente amico.

LUND. E voi dimostratemi d’essere altrettanto per me, caricando sulle
vostre robuste spalle il fardello che pesa un po’ troppo sulle mie....

STENSG. In quanto a questo, lasciate fare a me.

LUND. Allora, non avete nessuna difficoltà?...

STENSG. Eccovi la mia mano!

LUND. Grazie. E adesso, all’opera, ma con prudenza. Cerchiamo di farci
nominare tutti e due candidati al secondo collegio. Io vi proporrò
quale mio successore; voi esporrete le vostre idee e risponderete agli
avversari.

STENSG. Oh, quando saremo a questo punto, la partita sarà già nostra.
Mi dicono che voi siate onnipotente nelle riunioni elettorali.

LUND. Eh, anche l’onnipotenza ha i suoi limiti. Voi, sfoggiate il
vostro talento oratorio, fate un bel discorso, lasciando da parte,
s’intende, ogni allusione che potesse offendere qualcuno....

STENSG. Ma io non potrò romperla col mio partito!

LUND. Studiate la cosa con attenzione. Che cosa sono questi due partiti
in cui è diviso il paese? Uno è composto dalle famiglie benestanti
del paese, e da coloro che hanno qualche impiego nell’amministrazione
pubblica: è il mio partito: l’altro è quello della folla dei nostri
concittadini più giovani, che potrebbero essi pure aspirare alla
ricchezza e al potere. Ma quest’ultimo partito.... lo abbandonerete,
quando sarete entrato al Parlamento, e vi sarete fatta una posizione,
poichè anche questo è necessario, signor Stensgard.

STENSG. Lo capisco, ma il tempo vola; e non ci si fa una posizione da
un giorno all’altro.

LUND. No; ma pel momento potreste accontentarvi di buone speranze.

STENSG. Di speranze?

LUND. Sì, non vi sorriderebbe l’idea d’una buona dote? Vi sono delle
ricche ereditiere nel paese; e, per un uomo come voi, che un giorno
potrà occupare le più alte cariche.... credetemi, se voi avrete un po’
di tattica, nessuna vi dirà di no.

STENSG. Sì, ma io ho molto bisogno del vostro aiuto. Ah, voi mi aprite
un largo orizzonte, mi fate balenare una prospettiva magnifica! Tutti i
sogni dorati della mia fantasia si realizzerebbero così....

LUND. Bravo, bravo: vedo che la vostra ambizione è abbastanza
stimolata. Va bene, il resto verrà in seguito. Grazie, intanto. Non
dimenticherò mai che avete alleggerito le mie spalle dal pesante carico
del potere!


SCENA XIII.

=Detti, Bratsberg, Erik, Hejre, Fieldbo, Selma, Dora,= gli =invitati=.

          (_Alcuni invitati rientrano in salone. Due cameriere
        portano le lampade, e dei rinfreschi durante la scena_).

SELMA (_avvicinandosi al piano in fondo_). Restate, signor Stensgard;
adesso faremo qualche giuoco di società.

STENSG. Con molto piacere; mi sento in vena questa sera. (_La raggiunge
in fondo al salone: parlano assieme e fanno i preparativi_).

ERIK (_a bassa voce_). Dite un po’ signor Hejre, che cos’ha raccontato
mio padre adesso? Ma che cosa voleva dire quel discorso di Stensgard
ieri?

HEJRE. Eh, eh! non lo sapete?

ERIK. No, mia moglie ed io, con alcuni amici, siamo andati al ballo del
Circolo. Ma mio padre mi disse che Stensgard s’è già urtato con quelli
di Storli, e che è stato molto villano verso Monsen.

HEJRE. Verso Monsen? Ma voi avete capito male, senza dubbio, caro mio.

ERIK. Può darsi: con tanta gente che chiacchierava intorno a noi. Ma
quello che però ho capito bene si è che....

HEJRE. St! abbiate pazienza: la storiella la troverete in lungo e in
largo domattina sul giornale d’Aslaksen. Ve la serviranno a colazione,
come antipasto. (_Si allontana_).

BRATSB. E così, caro Lundestad, quest’ubbìa non vi è ancora passata
dalla mente?

LUND. Eh, non è un’ubbìa. Quando ci si vede in pericolo d’esser
soppiantati, bisogna almeno cavarsela coll’onore delle armi.

BRATSB. Queste sono frasi! Chi pensa a soppiantarvi?

LUND. Hum! Sono un vecchio pilota, io: capisco subito da che parte
spira il vento: c’è della burrasca in aria.... Ho già il mio sostituto;
l’avvocato Stensgard è disposto....

BRATSB. L’avvocato Stensgard?

LUND. Sì, non era cosa intesa? Quando mi avete detto che bisognava
proteggerlo e incoraggiarlo, non volevate forse dire che egli dovesse
prendere il mio posto?

BRATSB. Io pensavo solamente alla lotta che avrebbe dovuto sostenere
contro quegli intriganti di Storli....

LUND. Ma in che modo avevate voi la certezza che Stensgard l’avrebbe
rotta con quella gente?

BRATSB. Mio caro, egli ha dato prova di grande sincerità ieri sera.

LUND. Ieri sera?

BRATSB. Sì, quando ha parlato della perniciosa influenza di Monsen.

LUND. (_sorpreso_). Di Monsen?

BRATSB. Sì; è stato anche un po’ troppo energico, insolente anzi: l’ha
chiamato sacco di scudi, e drago e basilisco, e che cosa d’altro.... Ah
sì, era divertentissimo!

LUND. Ah, vi pare?

BRATSB. Non vi nascondo, Lundestad, che quella sortita mi ha fatto
piacere: cosicchè noi adesso dobbiamo sostenerlo: capirete dopo un
attacco così violento....

LUND. Come quello d’ieri sera?

BRATSB. Sì.

LUND. Alla festa?

BRATSB. Sì, alla festa.

LUND. Contro Monsen?

BRATSB. Sì, contro Monsen e i suoi satelliti, che adesso vorranno
vendicarsi, si capisce.

LUND. (_con aria convinta_). Sì, bisogna sostenere il signor Stensgard,
è naturale.

DORA. Papà, vieni a giocare.

BRATSB. Oh bimba mia, che strana idea!

DORA. Ma sì, vieni: anche Selma lo desidera.

BRATSB. Allora bisogna ubbidire. (_Piano_) Povero Lundestad! Si
fa proprio vecchio: figurati che non ha neanche capito quello che
Stensgard diceva ieri....

DORA. Vieni, vieni, si comincia a giuocare. (_Lo conduce via_).

ERIK. Signor Hejre, voi sarete il giudice dei pegni.

HEJRE. Ecco la mia prima carica in questo basso mondo!

STENSG. È a conto dei vostri frequenti rapporti colla giustizia, signor
Hejre.

HEJRE. Oh! miei giovani amici, io mi piglierò il gusto di condannarvi
tutti in una volta.... vedrete!

STENSG. (_avvicinandosi a Lundestad_). Avete parlato con Sua
Eccellenza: vi ha detto niente di me?

LUND. Sì, a proposito dell’incidente di ieri sera.

STENSG. Diavolo!

LUND. Egli trova che siete stato insolente!

STENSG. Ha mille ragioni.

LUND. Voi potreste forse riparare a ciò.

ERIK. Signor Stensgard, tocca a voi!

STENSG. Eccomi! (_Rapidamente_) Come fare?

LUND. Se l’occasione si presenta, fate al signor ciambellano le vostre
scuse.

STENSG. Sì, sì, va bene.

SELMA. Presto, presto!

STENSG. Eccomi, eccomi, cara signora. (_Il giuoco continua in mezzo a
ripetute risate. Alcune persone d’età giuocano alle carte. Lundestad
siede a sinistra. Hejre è vicino a lui_).

HEJRE. E quel bellimbusto che pretende che io abbia avuto dei rapporti
colla giustizia!

LUND. Ah, non si può negare; è proprio un insolente!

HEJRE. E in grazia di ciò, bisogna vedere quante feste gli fanno qui:
par impossibile, come lo temono!

LUND. No, no, non lo temono affatto: Bratsberg crede che il discorso di
ieri fosse rivolto a Monsen.

HEJRE. A Monsen? Che pazzia!

LUND. È proprio così. Ringdal e la signorina Dora glielo hanno fatto
credere.

HEJRE. E allora egli va a trovarlo e lo invita a pranzo! Ah in fede
mia, questa è magnifica! Ah, ma vi assicuro però che non posso tacere.

LUND. No, vi prego, non dite niente. Bratsberg è vostro amico
d’infanzia, e sebbene si sia mostrato qualche volta un po’ duro verso
di voi....

HEJRE. Eh, eh! gli renderò la pariglia con usura!

LUND. Badate: egli è potente: non si scherza col leone!

HEJRE. Bratsberg un leone! Oh egli è ignorante, e io no. Oh che
allusioni piccanti, che pettegolezzi fioriti, che frasi mordaci
m’ispirerà questo fatterello! quando il mio processo sarà bene
avviato...

SELMA (_a Hejre_). Signor giudice, che penitenza deve fare colui al
quale appartiene questo pegno?

ERIK. (_a Hejre, senza farsi osservare_). È di Stensgard: trovate
qualche cosa di divertente.

HEJRE. Questo pegno? Lasciatemi un po’ vedere. Bene: egli dovrebbe....
basta! Che faccia un discorso!

SELMA. Signor Stensgard! signor Stensgard, tocca a voi.

STENSG. Oh, vi prego, dispensatemi: ho già parlato abbastanza male ieri.

BRATSB. Benissimo, invece, signor Stensgard. Me ne intendo un pochino
anch’io, sapete, di eloquenza!

LUND. (_ad Hejre_). Diavolo! Basta che non gli venga in mente adesso di
ritrattarsi!

HEJRE. Ritrattarsi? Eh, eh, benissimo! Una magnifica ispirazione.
(_Piano a Stensgard_) Se avete parlato male ieri, voi potreste
ritrattarvi oggi.

STENSG. (_colpito da un’idea subitanea_). Lundestad, ecco l’occasione
che si presenta!

LUND. (_allontanandosi_). Vi raccomando, un po’ di strategia. (_Cerca
il suo cappello e lentamente esce_).

STENSG. Ebbene, sì: farò un discorso.

LE SIGNORE. Bravo, bravo!

STENSG. Alzate i vostri bicchieri, signore e signori. Voglio farvi un
discorso che incominci con una favola: l’ambiente è così grazioso e
geniale, che la musa della poesia aleggia intorno a me.

ERIK. (_alle signore_). Sentite, sentite! (_Bratsberg prende il
suo bicchiere e sta in piedi vicino alla tavola da giuoco. Ringdal,
Fieldbo, e qualche altro, arrivano dal giardino_).

STENSG. Un bel giorno di primavera un cuculo se ne venne svolazzando
nella valle: sapete.... il cuculo è un uccello che porta fortuna. Nel
bosco fiorito tutti gli uccelli erano in festa; e in amichevoli gruppi
se ne andavano cantando gli uccelli domestici e gli uccelli selvatici.
Le galline arrivavano pigolando; le oche gracidando; quand’ecco dal
pollaio discende un grosso tacchino pettoruto, rumoroso, che faceva la
ruota, batteva le ali, si gonfiava, e pareva dire nel suo linguaggio:
«Io sono il re di Storli!...»

BRATSB. Delizioso! Sentite!

STENSG. Fra gli altri uccelli c’era pure un vecchio picchio. Appoggiato
a un tronco d’albero, egli si mise a cinguettare, a gridare, a
picchiare qua e là il suo lungo becco, per far uscire le formiche ed
altri insetti, che dovevano servire al suo pranzo: dovunque si sentiva
il suo pick, pick. Era lui.

ERIK. Domando scusa.... non era forse una cicogna?...

HEJRE. Silenzio!

STENSG. Era proprio un picchio. La riunione, che cominciava ad
animarsi, divenne ben presto rumorosa, quando tutti ebbero trovato un
personaggio al quale dirigere il loro cinguettìo: si strinsero gli
uni vicini agli altri, e cip, cip, cip, si misero a cinguettare con
quanto fiato aveano in gola: tosto il giovane cuculo si unì a loro, e
l’allegro coro seguitò per un pezzo.

FIELDBO (_piano a Stensgard_). Ma in nome di Dio, smetti!

STENSG. Ma il personaggio di cui si trattava era un’aquila che aveva
scelto a sua pacifica dimora una roccia solitaria. Tutti l’avevano
contro di lui: «È il terrore del vicinato» diceva un brutto corvo....
Ma in quel momento l’aquila, dall’alto del suo eremo, spiccò un volo
maestoso, discese nella valle, e, preso il giovane cuculo, se lo
portò con sè nel suo dominio. Lievemente l’uccellino fortunato volò
dalla pianura meschina a quell’altezza dov’è la pace, dov’è il sole;
e di lassù imparò a disprezzare il chiocciar dei pollai, e le terre
infruttuose.

FIELDBO. Conclusione, conclusione, musica!

BRATSB. Silenzio! Non interrompete!

STENSG. (_a Bratsberg_). Signore, la mia storia è finita; e davanti a
questa eletta società, vi porgo le mie scuse per l’incidente di ieri
sera.

BRATSB. (_facendo un passo indietro_) A me?

STENSG. E i miei ringraziamenti per la nobile maniera con cui vi siete
vendicato. Signore, signori, un evviva a Sua Eccellenza il ciambellano
Bratsberg!

BRATSB. (_vacilla e s’appoggia alla tavola_). Vi ringrazio, signor
avvocato.

GLI INVITATI (_tutti un po’ imbarazzati_). Evviva, evviva!

BRATSB. Signore, signori!... (_Piano_). Dora!

DORA. Padre mio!

BRATSB. Dottore, dottore, che cosa avete fatto?

STENSG. (_col bicchiere in mano, raggiante di gioia_). Ed ora
ripigliamo i nostri posti. Fieldbo, entra anche tu nella Lega dei
giovani. Tutto va a gonfie vele!...

HEJRE (_sul davanti a sinistra_). Ah sì, eh? Proprio a gonfie vele?!


  (_Cala la tela_).




ATTO TERZO.


  Un’anticamera elegante con ingresso dal fondo. A sinistra una
  porta che dà nello stadio di Bratsberg. Un po’ più in là una
  porta che mette nel salone, ed un’altra che mette nel gabinetto
  dell’amministratore delle ferriere. Dirimpetto al gabinetto una
  finestra.


SCENA PRIMA.

=Bratsberg, Dora.=

BRATSB. Ecco le conseguenze di questo commedia: dispiaceri e lagrime.

DORA. Ah, quando mai abbiamo conosciuto quel malaugurato Stensgard!

BRATSB. Di’ piuttosto quel malaugurato Fieldbo!

DORA. Fieldbo?

BRATSB. Sì, Fieldbo. Non è lui che m’ha ingannato?

DORA. No, caro papà, sono io.

BRATSB. Tu? Tutti e due allora! Tutti e due d’accordo contro di me! Oh
è molto corretto, tutto ciò!

DORA. Oh, papà! Se tu sapessi!

BRATSB. Lo so, lo so.... ne so fin troppo!


SCENA II.

=Detti e Fieldbo.=

FIELDBO. Buon giorno, signor Bratsberg: buon giorno, signorina.

BRATSB. Ah, siete voi, uccello di cattivo augurio?

Fieldbo. Eh, in verità, è stato proprio un incidente spiacevolissimo.

BRATSB. (_guardando dalla finestra_). Vi sembra, eh?

FIELDBO. Spero bene che avrete osservato come io abbia sempre tenuto
d’occhio Stensgard ieri sera. Sfortunatamente quando vidi che si
facevano i giuochi di società, pensai che non vi potesse esser più
alcun pericolo!

BRATSB. (_battendo il piede_). Esser messo in berlina da un simile
rompicollo! Che cosa avranno pensato i miei invitati? Che ho voluto
scioccamente comperare quell’uomo, quel.... quel.... come lo chiama
Lundestad?

FIELDBO. Ma....

DORA (_senza esser veduta da suo padre_). St!

BRATSB. (_dopo un breve silenzio, a Fieldbo_). Ma ditemi un po’
francamente, dottore; io sono forse più sciocco della maggioranza degli
uomini?

FIELDBO. Ma come potete farmi una domanda simile?

BRATSB. Eppure, come va che io sono stato forse l’unico a non capire
che quel maledetto discorso era rivolto contro di me.

FIELDBO. Ma.... forse perchè voi non vedete la vostra situazione in
faccia al paese cogli stessi occhi del rimanente della popolazione.

BRATSB. Io la vedo, come il defunto mio padre la vedeva: e nessuno ha
mai osato fargli una simile villania.

FIELDBO. Scusate: vostro padre è morto verso il 1830.

BRATSB. Sì, e molte cose sono cambiate da allora: del resto, la
colpa di ciò che è accaduto è anche un po’ mia: mi sono mischiato un
po’ troppo al popolo. Ed è perciò che mi hanno poi messo assieme al
proprietario Lundestad!

FIELDBO. Permettetemi, ma questo non mi sembrerebbe poi un gran
disonore!

BRATSB. Lasciamo stare. Voi sapete che io non do grande importanza
ai titoli di nobiltà, ma ciò che onoro sopra tutto, e che voglio sia
onorato dagli altri, è l’onestà che è ereditaria nella nostra famiglia.
Quando si prende parte, come Lundestad, alla vita pubblica, ci si trova
spesso coinvolti in pasticci, in affari dubbi; e allora si perde la
propria indipendenza d’opinioni e di condotta. Perciò Lundestad deve
talvolta rassegnarsi alle loro insolenze; ma io non c’entro affatto con
loro, io non m’immischio di nulla; che mi lascino in pace!

FIELDBO. Eh, eh, non v’immischiate di nulla.... no.... però avete
trovate quelle insolenze spiritosissime, fino che le credevate dirette
a Monsen.

BRATSB. Non pronunciate il nome di Monsen qui. È lui che ha
demoralizzato il paese; e che, disgraziatamente, ha fatto girar la
testa al mio signor figlio.

DORA. Erik?

FIELDBO. A vostro figlio?

BRATSB. Sì. Che bisogno aveva egli d’ingolfarsi in speculazioni
commerciali?

FIELDBO. Ma, caro signore, bisogna bene ch’egli viva; e....

BRATSB. Se avesse un po’ di giudizio, se facesse un po’ di economia,
non potrebbe egli vivere benissimo con quello che ha da parte di sua
madre?

FIELDBO. Forse potrebbe vivere: ma che scopo avrebbe allora la sua vita?

BRATSB. Che scopo? Egli ha studiato legge, che si dedichi
all’avvocatura.

FIELDBO. Sarebbe contrario alle sue inclinazioni: e poi non ci si può
fare una clientela, così, da un giorno all’altro. Le vostre sostanze le
amministrate voi stesso, senza l’ingerenza di nessuno. Vostro figlio
non ha bambini che gli diano pensiero; d’altra parte ha veduto della
gente farsi, con niente, una sostanza di mezzo milione....

BRATSB. Mezzo milione? Ma che, neanche la metà. Del resto non si
accumula mezzo milione e nemmeno cento mila lire colle mani pulite,
caro dottore. Non è questa, lo so bene, l’opinione della gente; anzi
tutti applaudono e incoraggiano; ma la coscienza.... Mio figlio non
può dedicarsi a nessun commercio di questo genere: state sicuro, il
negoziante Bratsberg non guadagnerà mai mezzo milione!


SCENA III.

=Detti= e =Selma=.

SELMA. Mio marito non è qui?

BRATSB. Buon giorno, figlia mia, cerchi tuo marito?

SELMA. Sì, m’aveva detto che sarebbe venuto qui stamattina; è venuto
poi il signor Monsen, e....

BRATSB. Monsen? Ma adesso Monsen viene in casa nostra?

SELMA. Sì, qualche volta, per affari; ma che cos’hai, cara Dora? Hai
pianto?

DORA. Oh, non è nulla.

SELMA. Sì, sì! A casa, Erik era di cattivo umore; qui mi par la stessa
cosa. Ma ditemi, c’è qualche cosa?

BRATSB. Nulla che ti riguarda, in ogni caso. Tu sei troppo delicata,
piccina mia, per portar certi pesi! Andate nel salone, figlie mie. Se
Erik ha detto che veniva, verrà sicuramente.

SELMA (_a Dora_). Andiamo! E tu difendimi dalle correnti d’aria.
(_Cinge la vita di Dora_) Ma sai, cara Dora, che io potrei stritolarti!
(_Escono_).

BRATSB. Sono già a questo punto i due speculatori! Dovrebbero anzi
fondare una casa: casa Monsen e Bratsberg! Suonerebbe stupendamente!
(_Bussano_) Avanti!


SCENA IV.

=Bratsberg, Stensgard, Fieldbo.=

BRATSB. (_fa un passo indietro_). Come?

STENSG. Sì, sono io, ancora, signor ciambellano.

BRATSB. Lo vedo.

FIELDBO. Ma sei pazzo, Stensgard!

STENSG. Voi vi siete ritirato presto ieri sera: quando Fieldbo m’ha
chiarito le cose, voi non c’eravate già più.

BRATSB. Credete.... ogni spiegazione sarebbe ora superflua.

STENSG. Perfettamente: io so peraltro, che vi ho offeso.

BRATSB. Lo so anch’io: volete dirmi, prima che vi faccia mettere alla
porta, perchè siete venuto qui?

STENSG. Sono venuto, perchè amo vostra figlia, signore....

BRATSB. Eh?! Ma che dice costui, dottore?

STENSG. Sì, voi non potete capirlo, signor ciambellano, voi che in vita
vostra non avete mai dovuto lottare per niente....

BRATSB. E avete l’ardire di....

STENSG. Sono venuto a chiedervi la mano di vostra figlia.

BRATSB. Voi, voi? Ma che ne dite, dottore?

STENSG. Oh, Fieldbo mi comprenderà certo. Egli è il mio più caro amico,
anzi l’unico amico che io mi abbia.

FIELDBO. No, no, caro mio; non contar più sulla mia amicizia: dopo ciò
che....

BRATSB. Ah, dottore, per venirne a questo bel risultato lo avete
condotto in casa mia!...

STENSG. Vostra Eccellenza non mi conosce che pei miei discorsi d’ieri,
e di ieri l’altro; non basta perchè oggi io mi sento un altro uomo. I
rapporti che ho avuto con voi e colla vostra famiglia, sono stati per
me come una benefica pioggia primaverile. In una sola notte la semente
ha germogliato: non toglietemi voi il sole che la farà prosperare. Non
sono mai stato felice al mondo, sapete!

BRATSB. Ma a me importa di mia figlia!

STENSG. Oh, vedrete, come saprò farmi amare da lei!

BRATSB. Ah, voi credete! Hum!

STENSG. Sì, perchè lo voglio. Ricordatevi ciò che mi avete raccontato
ieri: eravate pur malcontento del matrimonio di vostro figlio; e
invece tutto è andato poi per il meglio. Profittate dell’esperienza del
passato, come ha detto Fieldbo.

BRATSB. Ah, era questa la vostra idea?

FIELDBO. No.... affatto.... permettetemi di parlar da solo un momento
con lui.

STENSG. Ma che! Non ho nulla da dire a te! Signor ciambellano,
dimostratevi un uomo di cuore e di spirito. Una famiglia come la vostra
ha bisogno di nuove alleanze; senza di questo, la razza s’abbrutisce,
credetemi.

BRATSB. Ah, ma questo è troppo!

STENSG. Un momento: non inquietatevi subito. Rinunciate ai vostri
pregiudizi di nascita: al giorno d’oggi, che cosa vale un titolo?
Quando mi conoscerete meglio, troverete in me un amico sincero e
devoto, e sarete felice di considerarmi della vostra famiglia.

BRATSB. Ma che vi sembra di tutto ciò, dottore?

FIELDBO. Io penso che è una cosa pazza.

STENSG. Per te sarebbe una pazzia; ma per me no. Io ho una missione
da compiere al mondo, e non mi lascio, no, intimorire nè dalle grandi
frasi, nè dalle minaccie.

BRATSB. Signor avvocato, quella è la porta!

STENSG. Voi mi scacciate?

BRATSB. Uscite!

STENSG. Rifletteteci, signor ciambellano.

BRATSB. Uscite, uscite, vi dico. Voi siete un cavalier d’industria e
un.... un.... non mi viene la parola.... Ecco ciò che voi siete!

STENSG. Che cosa sono?

BRATSB. Un.... un.... la parola non mi viene sulle labbra.... uscite!

STENSG. Guai a voi, se vi mettete sulla mia strada, guai a voi!

BRATSB. E in che posso temervi?

STENSG. Io vi perseguiterò, vi attaccherò sui giornali, vi calunnierò,
intaccherò il vostro onore, e ne troverò il mezzo. Voi sanguinerete
sotto la mia sferza, e vi sembrerà che tutte le furie d’Averno sieno
scatenate contro di voi. Tremerete innanzi a me, e cercherete indarno
un rifugio contro la mia collera.

BRATSB. Cercatevi un rifugio per voi in una casa di salute, là vi
troverete a posto.

STENSG. Ah, ah!... grazie del consiglio. Vi voglio dire soltanto
questo, signor Bratsberg! La collera dell’Onnipotente sta in me: io
adempio i suoi voleri, e voi vi opponete, mentre Egli mi ha destinato
alle più grandi imprese. Non temete!... Del resto vedo che oggi siete
troppo irritato, e sarebbe impossibile andar d’accordo. Ma quando
sarete calmato, riflettete bene a quanto v’ho detto. Interrogate vostra
figlia, vedrete che essa non sarà contraria: e d’altra parte come
potrebbe essa trovare un marito in mezzo a tutti questi imbecilli?
Fieldbo dice che essa è buona, saggia, riflessiva, saprà certo a che
partito attenersi. Ho detto abbastanza. I miei rispetti, signore.
Dipende da voi che io diventi il vostro devoto amico o il più fiero
vostro nemico. (_Esce_).

BRATSB. Ah, questo è troppo! Non credevo che l’audacia potesse arrivare
a tal segno! Qui, in casa mia, farmi una scena simile!

FIELDBO. Stensgard è il solo che abbia tanto ardire.

BRATSB. Oggi è lui; domani sarà un altro.

FIELDBO. Che si provino: saprò io come riceverli.

BRATSB. Voi? voi, che siete la causa di tutto? Quello Stensgard! È il
più sfrontato mariuolo che io m’abbia mai conosciuto! Eppure.... che
volete?... c’è qualche cosa in lui che mi piace.

FIELDBO. È innegabile che abbia un grande ingegno.

BRATSB. E una grande franchezza, signor dottore; egli almeno giuoca a
carte scoperte, non fa come tanti altri, che....

FIELDBO. Non pensateci tanto, dimostrate una gran fermezza, è l’unica.
Con Stensgard bisogna essere inflessibili.

BRATSB. Tenete per voi i vostri consigli. Persuadetevi bene; nè lui, nè
nessun altro....


SCENA V.

=Bratsberg, Fieldbo, Ringdal.=

RINGD. Scusi, Vostra Eccellenza, una parola. (_Gli parla a bassa voce_).

BRATSB. Come? in casa mia?

RINGD. È venuto dalla porta in fondo, e ha chiesto con tanta insistenza
d’essere ricevuto!...

BRATSB. Hum! Dottore, andate un po’ a veder che cosa fanno le signore,
nel salone. C’è una persona che.... Non dite niente a Selma della
visita di Stensgard; risparmiamole questo sopraccapo. Quanto a Dora,
sarebbe forse meglio che anch’essa non sapesse niente.... basta....
Passate, prego. (_Fieldbo va nel salone. Ringdal è rientrato nel suo
gabinetto_).


SCENA VI.

=Bratsberg, Monsen.=

MONSEN. Vi chiedo scusa, signore.

BRATSB. Avanti, avanti! Che cosa desiderate?

MONSEN. Non posso dirvelo così subito. Per conto mio veramente possiedo
tutto ciò che potrei desiderare.

BRATSB. È una bella cosa, eh?

MONSEN. Sono stato fortunato: sono riuscito a ciò che volevo; ne ho fin
troppo, quasi!...

BRATSB. Me ne congratulo con voi, e con altri.

MONSEN. E se potessi offrire la mia servitù alla signoria vostra....

BRATSB. A me?

MONSEN. Ascoltatemi. Cinque anni fa, quando i boschi del comune furon
messi all’incanto, voi avete alzati i prezzi.

BRATSB. Sì, e voi più di me, tanto che vi furono aggiudicati.

MONSEN. Voi potrete acquistarli oggi, dopo le migliorie che ci sono
state fatte.

BRATSB. Dite piuttosto che sono stati tagliati in modo vergognoso.

MONSEN. Hanno un grande valore ugualmente: e, con un po’ di cura, fra
qualche anno....

BRATSB. Grazie tante. Mi dispiace, ma non posso occuparmi di
quest’affare.

MONSEN. Eppure sarebbe un bell’affare, vedete, signor Bratsberg;
per conto mio, a dirvi il vero, ho in vista una grossa speculazione.
È un affare che renderebbe molto, moltissimo.... qualche cosa come
duecentomila corone.

BRATSB. Duecentomila! eh, non c’è male!

MONSEN. Ah, ah, non starebbe male assieme al resto! Ma, sapete, ci sarà
una gran battaglia da vincere: ci vorranno delle truppe di rinforzo.
Non è tanto il denaro che è necessario in queste faccende, quanto un
bel nome, capite.... un nome che serva di garanzia....

BRATSB. Sì, sì, so bene che certa gente fa di questi affari..

MONSEN. Una mano lava l’altra.... Dunque, lo firmiamo questo contratto?
Avrete i boschi per un prezzo minimo....

BRATSB. Non li voglio a nessun prezzo, signor Monsen.

MONSEN. Io vi ho fatto una proposta vantaggiosa; pazienza! Ma aiutate
almeno me!

BRATSB. Che cosa intendete di dire?

MONSEN. Offro naturalmente la maggior garanzia, sono ricco abbastanza:
guardate queste carte....

BRATSB. (_respingendo le carte_). Ma è un aiuto in denaro che volete?

MONSEN. Non denaro contante, no: solamente il vostro avallo, dietro
indennizzo, si capisce, con le maggiori garanzie....

BRATSB. Ed è per farmi simile proposta che siete venuto qui?

MONSEN. Sì. (_Movimento di Bratsberg_). Signor Bratsberg, vorreste
dirmi che cosa avete contro di me, perchè mi trattate sempre con tanta
asprezza? Io non vi ho fatto nulla che possa dispiacervi.

BRATSB. No, ebbene ve ne dirò una, subito. Per aiutare i miei operai,
io ho fondata la cassa di previdenza delle ferriere: ma ecco che voi
subito avete aperto una banca, e tutti hanno portato a voi i loro
risparmi.

MONSEN. Naturalmente: io do un interesse maggiore.

BRATSB. Ma ne ritenete per voi uno più forte ancora.

MONSEN. Scusate, ma invece io faccio pochissime difficoltà per le
cauzioni, e per tutto ciò che riguarda questi depositi.

BRATSB. Purtroppo! Ed è per questo appunto che si vedono contrattare
dei terreni per trenta, quarantamila lire, quando si sa che quello
che compera e quello che vende non possiedono uno zero! Ecco quello
che m’indispone contro di voi, signor MONSEN. E poi c’è ancora
qualcos’altro, che mi tocca più da vicino. Credete voi che io abbia
veduto con piacere mio figlio gettarsi in quelle pazze speculazioni?

MONSEN. Ma non ne ho nessuna colpa, io.

BRATSB. Siete voi, col vostro esempio, che avete scaldata la testa, a
lui e ad altri. Perchè non vi siete limitato al vostro commercio?

MONSEN. Sì, avrei dovuto, come mio padre, trasportar legna sulle
zattere per tutta la mia vita?

BRATSB. Vi sembrava forse un disonore d’essere al mio servizio? Vostro
padre guadagnava onestamente da vivere, ed era stimato da tutti.

MONSEN. Sì, per arrivare alla bella conclusione di rovinarsi la
salute, e di annegarsi poi nel passar la corrente col suo carico!
Voi non conoscete la vita grama che conduce questa gente, trascinante
qui grossi pezzi di legname sul fiume, malgrado il vento, malgrado il
freddo e la pioggia.... voi che ve ne state in una bella camera calda a
godervi il frutto del loro lavoro! Non dovreste dunque disapprovare se
un povero diavolo cerca di sottrarsi a quella vita meschina, creandosi
una posizione migliore. Capirete; io avevo studiato, non ero un
cretino....

BRATSB. Benissimo: ma con quali mezzi siete salito? Con un commercio di
liquori sul principio: poi avete comperate delle cambiali, che avete
girate senza riguardo per nessuno, e così di seguito. Pensate un po’
quanta gente avete rovinato per far la vostra fortuna!

MONSEN. È la sorte dei negozianti: uno sale e l’altro scende!

BRATSB. Ma come, e con che mezzi? Lo sapete bene quante famiglie
rispettabili sono ora per colpa vostra, ridotte alla miseria.

MONSEN. Daniele Hejre è su questa strada, anche lui.

BRATSB. Vi capisco.... sì, sì. Ma il caso è assai diverso. Di ciò che
ho fatto posso rispondere innanzi a Dio e innanzi agli uomini. Quando
il paese, dopo la separazione dalla Danimarca, si trovò in ristrettezze
finanziarie, mio padre volle soccorrerlo più di quanto i suoi mezzi
glielo avrebbero permesso. E fu così che gran parte dalle nostre
terre passò alla famiglia Hejre. Ma venne poi Daniele a prenderne
l’amministrazione; e accadde che molti operai e impiegati ebbero non
poco a soffrire della insufficiente direzione di costui. Nel medesimo
tempo egli compieva la più sciocca e la più dannosa impresa per tutto
il paese: il taglio dei boschi, come egli lo fece. Non era forse mio
sacrosanto dovere d’impedire che le cose continuassero così? Io potevo
farlo, la legge era per me ed io rientrai in possesso delle mie terre,
com’era mio diritto.

MONSEN. Ma neppur io non ho mai infranto la legge!

BRATSB. Ma voi avete agito contro la vostra coscienza.... un po’ di
coscienza l’avete, non è vero? Avete messo il disordine dovunque,
compromesso la fortuna e l’onore di tante famiglie. Adesso nessuno
bada più all’onoratezza, alla nascita della tale o tal’altra persona:
il denaro conta soltanto adesso! Si parla di qualcheduno, subito si
chiede: «È ricco? quanto avrà?» e a seconda della cifra, esso è o non
è una persona per bene. Perchè adesso noi due siamo qui a discorrere
come due camerati? Perohè voi ed io siamo i più grandi possidenti del
paese.... Ma io mi ribello, no, non lo voglio più! Ed ora sapete ciò
che avevo contro di voi!

MONSEN. Signor ciambellano, io mi ritirerò dagli affari, vi darò tutte
le soddisfazioni che chiederete, ma per carità, venite in mio aiuto.

BRATSB. No.

MONSEN. Sono pronto a pagare ciò che....

BRATSB. Pagare? E voi osate?...

MONSEN. Se non lo volete fare per me, fatelo per vostro figlio.

BRATSB. Mio figlio?

MONSEN. Sì, è interessato anche lui nell’affare: per parte sua gli
frutterà circa ottantamila lire.

BRATSB. Di beneficio?

MONSEN. Sì.

BRATSB. Ma, Dio mio, e chi perde dunque questo denaro?

MONSEN. Che volete dire?

BRATSB. Ma sì. Se mio figlio guadagna tutto questo denaro, bisognerà
bene che ci sia qualcuno che lo perda!

MONSEN. È un affare vantaggioso.... io non posso dirvene di più.
L’importante si è che mi occorre una firma onorata, ed è perciò che vi
chiedo la vostra.

BRATSB. La mia firma? Su delle carte?...

MONSEN. Solo dieci o quindicimila corone....

BRATSB. E voi avete potuto credere? Il mio nome, in un simile affare?
il mio nome?... Come responsabile, allora?

MONSEN. Soltanto per la forma.

BRATSB. Per una frode? Il mio nome! A nessun prezzo! Non ho mai firmato
carte di questo genere.

MONSEN. Mai?

BRATSB. Mai.

MONSEN. Hum! Eppure l’ho veduto coi miei occhi.

BRATSB. Non è vero; voi non l’avete mai veduto.

MONSEN. Sì, ho visto la vostra firma su una cambiale di diecimila
corone, vi ricordate?

BRATSB. Nè per dieci, nè per centomila! Sul mio onore, mai!

MONSEN. Allora è un falso?

BRATSB. Un falso?

MONSEN. Hanno imitato la vostra firma: l’ho veduta io.

BRATSB. Dove? in casa di chi?

MONSEN. Non posso dirvelo.

BRATSB. Ah, ah, la vedremo!

MONSEN. Ve ne prego!

Bratsb. Tacete! Ah, non credevo che si potesse arrivare a questo punto.
Un falso! Immischiarmi in questi affari loschi! Trattarmi come uno
qualunque! Ma questa volta, mi farò sentire....

MONSEN. Signor ciambellano, nel vostro interesse, nell’interesse di....

BRATSB. Tacete! Andatevene! Siete voi la causa di tutto! Sì, voi, che
conducete una vita disonesta, e che rovinate il vostro prossimo. La
vostra casa è il convegno di quanto v’ha di indecoroso e di ignobile;
gente di Cristiania, che non pensa che a mangiare e bere, e ha la
moralità sotto i piedi. Ho visto io stesso i vostri nobili invitati
passare per la via, come una banda di zingari, ubbriachi fradici.
E la condotta scandalosa, che tenete in casa colle vostre serve? E
vostra moglie, povera donna, che perdette quasi la ragione, pei vostri
maltrattamenti?

MONSEN. Questo è troppo! Voi passate la misura! Vi pentirete di queste
parole!

BRATSB. Andate al diavolo colle vostre minaccie! Che cosa potete fare a
me, voi? Volevate sapere che cosa avevo contro di voi! Ve l’ho detto! e
capirete così perchè non vi ho mai ammesso nella mia società.

MONSEN. Ebbene, io la farò scendere sino a me, la vostra società.

BRATSB. Andatevene, uscite!

MONSEN. So dov’è la porta, signor Bratsberg. (_Esce_).

BRATSB. (_va alla porta di destra_). Ringdal, Ringdal, venite!


SCENA VII.

=Bratsberg, Ringdal, Fieldbo.=

RINGD. Vostra Eccellenza?...

BRATSB. (_sulla porta del salone_). Signor dottore.... vi prego.
Ebbene, Ringdal, ecco avverate le mie predizioni.

FIELDBO. Che cosa desiderate?

RINGD. Quali predizioni?

BRATSB. Si va di bene in meglio! Ho saputo ora che c’è in giro una
cambiale falsa.

RINGD. Una cambiale falsa?

BRATSB. Sicuro. E intestata a chi, ve lo imaginate? Intestata a me!

FIELDBO. Ma, in nome di Dio, chi ha commesso questo falso?

BRATSB. Come posso saperlo? Dottore, fatemi un piacere: questa cambiale
dev’esser stata girata alla Cassa di risparmio, od alla Cassa di
previdenza delle ferriere: andate subito da Lundestad; egli, come
amministratore della Cassa, deve sapere se è stata presentata una
cambiale falsa.

FIELDBO. Vado, e spero di portarvi subito una risposta. (_Esce
rapidamente_).

BRATSB. E voi, Ringdal, andate subito alla Cassa di risparmio. Appena
il colpevole sarà scoperto, lo aggiusteremo come si merita. Nessuna
misericordia pel falsario!

RINGD. Ah, questa non me la sarei mai aspettata! (_Esce. Bratsberg
passeggia un momento su e giù per la stanza: quando sta per rientrare
nel suo studio, entra Erik_).


SCENA VIII.

=Bratsberg, Erik.=

ERIK. Buon giorno, caro papà....

BRATSB. Oh, sei qui!

ERIK. Ho assolutamente bisogno di parlarti.

BRATSB. Sono di pessimo umore stamani. Che cosa vuoi?

ERIK. Tu sai, caro papà, che fino ad ora non ti ho mai immischiato nei
miei affari.

BRATSB. Lo credo bene.

ERIK. Ma oggi mi trovo costretto....

BRATSB. A far che?

ERIK. Padre mio, bisogna che tu mi aiuti....

BRATSB. Vuoi del denaro. Sta sicuro che....

ERIK. Per una volta solamente! Ti giuro che sarà l’ultima. Bisogna che
ti confessi ch’io sono in rapporti con Monsen.

BRATSB. Lo so, e avete in vista una magnifica speculazione.

ERIK. Una speculazione? Chi te l’ha detto?

BRATSB. Monsen.

ERIK. Monsen è venuto da te?

BRATSB. Sì, poco fa, e io l’ho messo alla porta.

ERIK. Papà, se tu non mi vieni in aiuto, io sono rovinato.

BRATSB. Benissimo! Che cosa t’avevo predetto io?

ERIK. È vero; hai ragione: ma ormai è troppo tardi, per....

BRATSB. Rovinato! in due anni! E d’altra parte, dovevi aspettartela!
Bisognava bene che la finisse così, in quella società di scrocconi
e d’intriganti, che con dei capitali imaginari credono di darla ad
intendere a mezzo mondo! Con quella gente là o bisogna esser molto
furbi oppure lasciarsi gabbare! Ne hai le prove.

ERIK. Padre mio, vuoi salvarmi o no?

BRATSB. No, assolutamente no.

ERIK. Ma il mio onore è compromesso.

BRATSB. Oh, lascia stare le grandi frasi, fammi il piacere! Riuscire o
no in un affare, non è mai una questione d’onore, anzi è il contrario.
Va, va, torna a casa, metti in ordine i tuoi affari paga quello che
devi, e che questa noiosa storia sia finita una volta per sempre.

ERIK. Ah, ma tu non sai!...


SCENA IX.

=Detti, Selma= e =Dora=.

SELMA. Ho inteso la voce di Erik.... Ma che cosa c’è, Dio mio?

BRATSB. Niente; ritorna di là....

SELMA. No, non me ne andrò; voglio sapere che cosa c’è, capisci, Erik?

ERIK. C’è.... che io son rovinato! Tutto è perduto!

SELMA. Che cosa è perduto?

ERIK. Tutto.

SELMA. Tutto? vuoi dire le tue ricchezze. Esse sono tutto, per te.

ERIK. Ricchezze, casa, avvenire! Tu sola mi resti, Selma. Noi
sopporteremo insieme la nostra disgrazia.

SELMA. La nostra disgrazia? Sopportarla assieme? (_Con slancio_) Ah mi
trovi buona a qualche cosa, adesso!

BRATSB. Che vuoi tu dire?

ERIK. In nome di Dio, Selma!

DORA. Ti supplico, calmati.

SELMA. No, non posso più tacere: non so più dominarmi, e vi dirò tutto.
No, io non t’aiuterò per niente a sopportare la tua disgrazia.

ERIK. Selma!

BRATSB. Ma che dici, bambina, che non sei altro!

SELMA. Oh, come avete agito male verso di me! Avete agito in modo
indegno tutti! Non avete mai voluto nulla da me: ho sempre avuto
l’aria di essere una poveretta in mezzo a voi: sempre prendere, sempre
prendere, senza mai dar niente. Non avete mai voluto accettare da me il
più leggero sacrificio: non mi avete mai creduta capace di portare la
più piccola croce! Vi odio! vi detesto!

ERIK. Ma che cosa vuol dir ciò?

BRATSB. È ammalata, non ragiona....

SELMA. Ah, come sarei stata fiera se m’aveste interessata qualche
volta alle cose vostre! Ma se io azzardavo una domanda, tosto mi si
respingeva con gentile canzonatura. Voi mi avete vestita come una
bella bambola, avete giuocato con me.... sì, giuocato come si farebbe
con una bambina. Ed io che con tanto ardore aspiravo a tutto ciò
che di alto, di nobile, di passionale c’è nella vita! Ma solamente
oggi mi trovate buona a qualche cosa, perchè Erik non ha più che me.
Ebbene, io non voglio essere la risorsa estrema, alla quale ci si
attacca disperatamente, quando tutto il resto crolla intorno a voi. Io
non voglio dividere i tuoi dolori, no! Io me ne vado, ti abbandono!
Preferisco cantare e suonare per le vie! Lasciami, lasciami! (_Esce
correndo_).

ERIK (_seguendola_). Selma! Selma!

BRATSB. Dora, ma queste lagnanze avevano una ragione, oppure....

DORA. Sì, lo capisco per la prima volta, una ragione profonda.

ERIK. Oh io perderò ogni cosa; ma lei no! Selma! (_Esce_).


SCENA X.

=Bratsberg, Ringdal, Fieldbo, Hejre, Lundestad.=

RINGD. Signor ciambellano, vengo dalla Cassa di previdenza.

BRATSB. Ebbene? e la cambiale?

RINGD. Nessuna cambiale, colla vostra firma, è stata presentata colà.

FIELDBO (_entra con Lundestad_). È stato uno sbaglio.

BRATSB. Davvero? E nulla, neanche alla Cassa di risparmio?

LUND. No, in tutto l’anno, non mi è mai passata per le mani nessuna
cambiale firmata da voi, ad eccezione, si capisce, di quella di vostro
figlio.

BRATSB. Di mio figlio?

LUND. Ma sì: non vi ricordate più? Quella di diecimila corone.

BRATSB. (_cade mezzo svenuto su una sedia_). Oh, misericordia!

FIELDBO. Dio mio!

RINGD. È impossibile!

BRATSB. Oh Dio mio, non può esser vero. Ma vediamo.... Voi dite, una
cambiale di mio figlio? Firmata da me? Di diecimila corone?

FIELDBO (_a Lundestad_). È alla Cassa di risparmio?

LUND. Non c’è più; è stata pagata da Monsen, la settimana scorsa.

BRATSB. Da Monsen?

RINGD. Monsen è forse ancora alle ferriere, e vado subito....

BRATSB. No, rimanete!


SCENA XI.

=Detti= e =Hejre=.

HEJRE. Buon giorno, signori, buon giorno, carissimi. Prima di tutto,
i miei ringraziamenti per la serata d’ieri! Poi ho mille novità da
raccontarvi.

RINGD. Scusate, scusate, ma noi non abbiamo tempo....

HEJRE. Oh, anche voi non avete tempo! Lo stesso come il possidente di
Storli.

BRATSB. Monsen?

HEJRE. Eh, eh! Una storiella graziosissima! Siamo in pieni intrighi
elettorali! Sai tu che cosa si vocifera? Che si faranno dei tentativi
per corromperti, mio caro.

LUND. Per corromperlo?

BRATSB. Eh, diranno certamente che la scheggia ritrae dal ceppo.

HEJRE. Ah, Dio mio, parola d’onore, non ho mai inteso nulla di più
comico! Stavo prendendo il mio solito caffè da madama Rundholmen,
quando vedo l’avvocato e l’illustre signore di Storli in intimo
colloquio. Essi bevevano dell’assenzio, un orribile liquido verdastro,
che io non avrei assaggiato per tutto l’oro del mondo.... Del resto non
me ne hanno nemmeno offerto.... «Che cosa volete scommettere, mi grida
Monsen appena mi vede, che domani, alle elezioni del primo collegio,
Bratsberg si unirà al nostro partito?» — Sì, avete buon tempo, rispondo
io. — «Oh per questo, sapete.... coll’aiuto d’una piccola cambiale....»

RINGD. (_a Fieldbo_). D’una piccola cambiale?

LUND. All’elezione del primo collegio?

BRATSB. Ebbene? e poi?

HEJRE. E poi, non so altro. Ho inteso che si trattava d’un valore
di diecimila corone. Si quotano fortemente le persone altolocate! È
vergognoso!

BRATSB. Una cambiale di diecimila corone?

RINGD. Ed è in mano di Monsen?

HEJRE. No, egli l’ha rilasciata all’avvocato.

LUND. Oh, allora!

FIELDBO. A Stensgard!

BRATSB. Ma ne sei certo?

HEJRE. Certissimo. L’ho inteso che gli diceva: «Servitevene voi come
meglio crederete!» Ma non ho poi capito....

LUND. Sentite, signor Hejre, e anche voi, Ringdal. (_Parlano a bassa
voce_).

FIELDBO. Signor Bratsberg!

BRATSB. Eh?

FIELDBO. Quella cambiale è proprio di vostro figlio?

BRATSB. Ho ragione di crederlo.

FIELDBO. E se vi presentano questo falso?

BRATSB. Non darò querela.

FIELDBO. Capisco: ma voi dovreste far di più!

BRATSB. (_alzandosi_). Non posso far di più!

FIELDBO. Sì, sì: voi dovete salvare quel disgraziato!

BRATSB. E come?

FIELDBO. Oh, in modo semplicissimo: riconoscendo la vostra firma.

BRATSB. Credete, voi, signor dottore, che nella nostra famiglia, si
transiga su queste cose?

FIELDBO. Io non volevo offendervi.... parlo in buona fede.

BRATSB. Ah, sì, eh! Mi credereste capace d’una bugia! Credereste che io
voglia difendermi con una bugia!

FIELDBO. Ma non pensate che cosa ne sarà di lui?

BRATSB. Il colpevole appartiene alla giustizia: essa deciderà la sua
sorte. (_Esce_).


  (_Cala la tela_).




ATTO QUARTO.


  Nell’albergo della signora Rundholmen. Porta d’ingresso in fondo;
  porte laterali; a destra una finestra. Davanti alla finestra,
  una tavola coll’occorrente per scrivere. Un po’ indietro un’altra
  tavola.


SCENA PRIMA.

=Stensgard=, la signora =Rundholmen, Aslaksen=.

Sig.ª RUNDHOL. (_dietro la porta a sinistra_). Non me ne importa
niente. Vi ripeto che siete venuto qui per votare e non per bere. Se
non volete aspettare, peggio per voi!

STENSG. Buon giorno! Hum! hum! signora Rundholmen! (_Va alla porta di
sinistra_) Buon giorno, signora Rundholmen!

Sig.ª RUNDHOL. Chi c’è?

STENSG. Son io, Stensgard. Si può entrare?

Sig.ª RUNDHOL. Misericordia! no, no; non sono ancora vestita!

STENSG. E come mai vi alzate così tardi oggi?

Sig.ª RUNDHOL. Oh, quando mi sono alzata io, scommetto che voi
dormivate della quarta! Ma bisogna pur fare un pochino di _toilette!_
(_Guarda rapidamente nella stanza: ha una cuffia in testa_) Ebbene,
che cosa c’è? No, non guardatemi, signor Stensgard! Auf! ecco ancora
qualcuno! (_Si ritira_).

ASLAK. (_porta un pacco di giornali_). Buon giorno, signor Stensgard!

STENSG. Ebbene, c’è dunque?

ASLAK. Naturalmente: guardate «L’anniversario della Costituzione»
nostra corrispondenza particolare, e più sotto: «La fondazione della
Lega dei giovani» con tutto il vostro discorso. Le insolenze sono in
corsivo.

STENSG. Ma mi pare che quasi tutto sia in corsivo!

ASLAK. Quasi tutto, davvero!

STENSG. E il supplemento è uscito ieri?

ASLAK. Sicuramente, è già stato distribuito in città, agli abbonati, e
agli altri. Volete vederlo? (_Gliene dà una copia_).

STENSG. (_vi dà un’occhiata_). «L’onorevole signor Anders Lundestad
rinuncia alla sua carica di deputato al Parlamento.... I lunghi
e preziosi servigi»... hum!... «La Società fondata nel giorno
anniversario della nostra libertà; la Lega dei giovani.... L’avvocato
Stensgard, anima di questa Società.... Riforme adatte alle esigenze del
secolo....» Bene, benissimo. È cominciata la votazione?

ASLAK. Sì, c’è gran fermento in città. Tutti sono sulla piazza,
elettori e non elettori.

STENSG. Al diavolo i non elettori! a dirla fra di noi! Ebbene, andate,
Aslaksen, a sparar le ultime cartuccie.

ASLAK. Bene, bene.

STENSG. Incoraggiate i restii; dite loro che in fondo Lundestad ed io
abbiamo le medesime idee!

ASLAK. Lasciate fare a me: so come va presa questa gente.

STENSG. Oh, ancora una parola: abbiate pazienza; non bevete oggi.

ASLAK. Oh, come....

STENSG. Dopo, passeremo insieme un’allegra serata. Ricordatevi che si
tratta anche del vostro interesse, e di quello del vostro giornale....
Mio caro, ascoltate i miei consigli, vi raccomando.

ASLAK. Basta, basta, saprò ben regolarmi. (_Esce_).

Sig.ª RUNDHOL. (_in elegante acconciatura_). Eccomi, signor Stensgard,
eccomi qua. Che cosa c’era di tanto importante?

STENSG. Nulla: volevo solamente chiedervi a che ora Monsen verrà qui.

Sig.ª RUNDHOL. Ma egli non verrà qui, oggi.

STENSG. Non verrà?

Sig.ª RUNDHOL. No; è stato qui stamattina alle quattro; figuratevi!
Adesso viaggia sempre. È entrato qui, come una bomba, che io ero ancora
a letto: e, sapete? voleva che io gli prestassi del denaro.

STENSG. Monsen?

Sig.ª RUNDHOL. Sì; a quanto pare, ha bisogno d’una forte somma: pur
che gli riesca di trovarla! E voi, signor Stensgard, state per essere
eletto deputato, eh? I miei auguri, e sinceri, credete!

STENSG. Io deputato? Che sciocchezza! E chi lo dice?

Sig.ª RUNDHOL. È un amico di Lundestad che me l’ha detto.


SCENA II.

=Hejre,= signora =Rundholmen, Stensgard.=

HEJRE. Eh, eh, buon giorno! disturbo forse?

Sig.ª RUNDHOL. Ma che! vi pare?

HEJRE. Corpo di Bacco! Che lusso! Non vi siete mai fatta così bella per
me, eh?

STENSG. (_va verso il fondo_).

Sig.ª RUNDHOL. Naturalmente: bisogna cercar di piacere ai giovanotti!

HEJRE. (_a bassa voce_). Ah, dite ai pretendenti, signora Rundholmen,
ai pretendenti! Ah, se i miei processi non mi rubassero tutto il mio
tempo!...

Sig.ª RUNDHOL. Eh via, c’è sempre abbastanza tempo per sposarsi!

HEJRE. Vi sbagliate, vi sbagliate! Nel matrimonio bisogna che l’uomo
non sia troppo legato altrove. Eh, del resto, se non sposerete me, ne
sposerete un altro; perchè voi riprenderete marito, non è vero?

Sig.ª RUNDHOL. Eh, qualche volta ci penso!

HEJRE. Si capisce. Quando si sono provate le delizie coniugali.... Il
defunto Rundholmen era un marito esemplare.

Sig.ª RUNDHOL. Eh, così, così! Era alquanto triviale, e gli piaceva un
po’ troppo il vino. Ma, capirete, un uomo è sempre un uomo!

HEJRE. Avete detto una grande verità, signora Rundholmen: un uomo è
sempre un uomo, e una vedova è sempre una vedova.

Sig.ª RUNDHOL. E gli affari sono gli affari. Dio mio, se sapeste quanti
pensieri mi danno! Tutti vogliono comperare: ma quando si tratta di
fare i pagamenti, nessuno ci sente più, e allora, giù carta bollata,
atti, citazioni.... In fede mia, che vorrei sposare un avvocato!

HEJRE. Ebbene, prendetevi l’avvocato Stensgard, egli è celibe.

Sig.ª RUNDHOL. Ma siete proprio un uomo terribile! M’avete fatta andar
in collera sul serio con voi! (_Esce_).


SCENA III.

=Hejre, Stensgard, Fieldbo.=

HEJRE. Quella lì, vedete, sarebbe un’amante deliziosa, e una moglie
modello nello stesso tempo! Intelligente ed attiva! ed anche istruita;
essa ha letto molto, caro mio!

STENSG. Ha letto molto, dite?

HEJRE. Eh, eh, almeno crederei! visto che per due anni ha frequentato
molto la biblioteca dell’editore Halm. Ma basta, basta! Mi figuro che
voi avrete altro in testa, quest’oggi.

STENSG. Niente affatto, non ho da pensare che a dare il mio voto! E voi
per chi votate, signor Hejre?

HEJRE. Per nessuno, per nessuno, mio carissimo. Io metterò nell’urna la
mia scheda bianca....

STENSG. Oh Dio, scriveteci su almeno il nome della signora Rundholmen!

HEJRE. Eh, eh, burlone! Questa gioventù, eh! è sempre di buon umore!
Vado a veder le bestie feroci laggiù! Tutta la città dev’essere in
fermento. (_Scorge Fieldbo che entra_) Oh ecco il dottore! È senza
dubbio per amor della scienza che venite qui?

FIELDBO. Della scienza?

HEJRE. Sì, per l’epidemia. È scoppiata or ora la febbre elettorale
maligna! Addio, miei cari amici. (_Esce_).


SCENA IV.

=Stensgard, Fieldbo.=

STENSG. Di’, hai parlato oggi al ciambellano?

FIELDBO. Sì.

STENSG. Che ha detto?

FIELDBO. Di che cosa?

STENSG. Sai, io gli ho scritto.

FIELDBO. Davvero? E che cosa gli hai scritto?

STENSG. Che sono fermo nell’idea di ottenere la mano di sua figlia; che
desidero parlar con lui, e che domani andrò a trovarlo.

FIELDBO. In ogni caso, faresti bene a protrar la tua visita. Domani è
la sua festa e ci sarà molta gente.

STENSG. Tanto meglio: più gente ci sarà, più sarò contento. Ho tutto le
probabilità di riuscire.

FIELDBO. E glielo hai lasciato capire?

STENSG. Come?

FIELDBO. Voglio dire se hai infiorato le tue dichiarazioni amorose con
qualche piccola minaccia.

STENSG. Fieldbo, hai letto la mia lettera?

FIELDBO. No, t’assicuro.

STENSG. Ebbene, sì, è vero: l’ho minacciato.

FIELDBO. In questo caso, può darsi ch’io abbia una risposta da
comunicarti.

STENSG. Una risposta? e quale?

FIELDBO (_mostrandogli una busta suggellata_). È la scheda del
ciambellano.

STENSG. E per chi ha votato?

FIELDBO. Ad ogni modo non per te.

STENSG. E per chi allora? Di’ su, per chi?

FIELDBO. Per l’esattore e pel Pastore.

STENSG. Nemmeno per Lundestad!

FIELDBO. No: e sai perchè? Perchè Lundestad ti ha proposto quale suo
successore.

STENSG. Ah, questo è troppo!

FIELDBO. Sicuro: e mi ha detto anzi: «Se vedete Stensgard,
comunicategli pure il mio voto, saprà almeno come regolarsi verso di
me.»

STENSG. Ebbene, gli darò ciò che merita.

FIELDBO. Pensa e rifletti: bada che la demolizione di una vecchia torre
è pericolosa: e che si può, talvolta, lasciarci la pelle.

STENSG. Sono diventato prudente da qualche giorno in qua.

FIELDBO. Oh non abbastanza però! poichè colla tua gran prudenza, ti
lasci menar per il naso dal vecchio Lundestad!

STENSG. Non dubitare che l’ho capita la tattica di Lundestad! Egli
s’è rivolto a me perchè m’ha creduto in auge presso il ciambellano
per mettermi in urto con Monsen, ed isolare così il possidente di
Storli.... oh sì, sì! l’ho capito benissimo!

FIELDBO. E adesso che sa che non sei per niente in auge presso
Bratsberg....

STENSG. Oh, adesso è andato troppo avanti, per tornare indietro! Io non
mi sono addormentato, sai: ho fatto distribuire giornali, manifesti,
circolari.... tutti i miei partigiani sono qui, sulla breccia, mentre i
suoi stentano a venire.

FIELDBO. Ma, sai: fra candidato e deputato c’è un abisso.

STENSG. Lundestad sa benissimo che se mi danneggierà in quest’elezione,
io sono capace di farlo uscire dall’amministrazione comunale.

FIELDBO. Eh, eh, non sarebbe mal pensata! ma per riuscire ti ci
vorrebbero, e tu stesso lo senti, delle radici un po’ più solide di
quelle che hai tu.

STENSG. Ah questo sì! Gli elettori esigono che i loro deputati
offrano delle garanzie materiali, che abbiano con loro una comunanza
d’interessi....

FIELDBO. Perfettamente; ed è per questo, si capisce, che la signorina
Bratsberg dovrebbe esserti sacrificata.

STENSG. Sacrificata? No, no, non è la parola. Io sono stato violento
come un facchino, è vero.... ma sento che essa sarebbe felice con me.
Ma tu che hai, Fieldbo? M’hai tutta l’aria di congiurar qualche cosa!

FIELDBO. Io?

STENSG. Sì, tu; tu lavori sott’acqua contro di me. Perchè? Sii
leale!... Vuoi?...

FIELDBO. Ah no, francamente. Non voglio essere leale con te. Tu ti curi
troppo poco degli altri; e non ti periti a servirti di segreti che puoi
scoprire a caso. Per quanto posso esserti amico, senti: rinuncia alla
signorina Bratsberg.

STENSG. Non lo posso. Voglio uscire dalla posizione falsa in cui mi
trovo. Non posso più condurre la vita che ho fatto fin qui, in mezzo
a queste meschinità, a questi studentelli che mi danno del tu, e
che pretendono ch’io rida delle loro sciocche spiritosità. L’amore
nobile ch’io porto al popolo non può schiudersi, no, in un ambiente
così meschino. Io non saprei più trovare quelle frasi altisonanti
piene d’entusiasmo che scuotono le masse. Io ho bisogno d’aria pura,
capisci? Io sogno la società elegante, intellettuale, dove splendono le
belle dame, dai sorrisi incantatori. Io sto male qui. Mi par d’essere
rinchiuso in un golfo tetro, al di là del quale io veda passare le onde
azzurre, irradiate dal sole.... Ma tu, tu, sei capace di comprendere
queste cose?


SCENA V.

=Detti= e =Lundestad=.

LUND. (_dal fondo_). Buon giorno, buon giorno, amici miei!

STENSG. Signor Lundestad, sapete la novità? Sapete per chi vota
Bratsberg?

FIELDBO. Taci, è disonesto da parte tua.

STENSG. Che me ne importa? Egli vota per l’esattore e pel Pastore.

LUND. Era da aspettarsela. Voi avete guastato ogni cosa. E sì che
v’avevo tanto raccomandato d’agire con un po’ di politica!

STENSG. Ma comincierò da oggi ad agire con politica, vedrete!

FIELDBO. Bada, che gli altri non facciano altrettanto. (_Esce_).

STENSG. C’è qualche cosa di losco nel contegno di quell’uomo. Egli
macchina qualche cosa che non posso indovinare. Ne sapete voi qualche
cosa?

LUND. No, ma sembra anche a me. Quanto al nostro ottimo Stensgard, egli
ha dato buona prova di sè, anche come giornalista, non è vero?

STENSG. Io?

LUND. Sì; con una graziosa diatriba d’insolenze a mio riguardo.

STENSG. Tutta colpa di quell’imbecille di Aslaksen!

LUND. Sul giornale c’è anche riportata la vostra sortita contro il
ciambellano!

STENSG. Ma senza autorizzazione mia: capirete che se volessi
attaccarlo non mi mancherebbero delle armi più taglienti!

LUND. Davvero?

STENSG. Conoscete questa cambiale, signor Lundestad? Guardatela. Vi
pare autentica?

LUND. Se è autentica? questa cambiale?

STENSG. Ma sì, guardatela bene.


SCENA VI.

=Detti= e =Hejre=.

HEJRE. Ma per tutti gli dei d’Olimpo, che cosa c’è? Ah! ah! prego,
prego, state comodi! Sapete che effetto mi fate tutti e due? Di una
notte d’estate al polo nord.

LUND. Che paragone sublime!

HEJRE. Eh, eh, non c’è male: ne volete un’altra? Il sole che nasce,
e il sole che tramonta in tenera unione. Splendida, non è vero? Ma
a proposito, sapete che cosa c’è di nuovo? Tutta la gente laggiù in
città, par diventata matta: tutti gridano, corrono, s’urtano, cantano;
mi sembrano tante mosche senza capo.

STENSG. Questa giornata ha una grande importanza.

HEJRE. E dagli con questa importanza! Non è questo, no: si mormora
invece di una rovina improvvisa, di una bancarotta, non politica,
signor Lundestad, no, grazie a Dio!

STENSG. D’una bancarotta?

HEJRE. Eh, eh! V’interessa questo, non è vero, avvocato? sicuro; si
dice precisamente in città che un pezzo grosso stia per cadere; la
rovina è imminente. Hanno veduto passare di qui due o tre forestieri:
ma dove andassero, perchè fossero venuti, nessuno lo sapeva. E voi,
signor Lundestad, non avete inteso dir nulla?

LUND. Io so tacere, signor HEJRE.

HEJRE. Naturalmente: voi siete un uomo politico, un uomo di Stato, eh,
eh! Io invece me ne andrò in cerca di notizie su questa faccenda. È
bellissima questa! Già tutta questa gente d’affari vive d’espedienti!
Mi fan l’effetto d’una collana di perle.... il paragone è troppo
lusinghiero, eh, eh, che quando se ne sfila una, tru!... tutte le altre
le corron dietro. (_Esce_).

STENSG. Che cosa c’è di vero in queste chiacchiere?

LUND. Voi mi facevate vedere una cambiale: mi è sembrato che portasse
il nome del giovane Bratsberg.

STENSG. E quello del padre pure.

LUND. Mi avete chiesto se è autentica.

STENSG. Sì, guardatela dunque.

LUND. Essa non è delle più autentiche.

STENSG. Allora si tratta d’un falso!

LUND. Le cambiali false sono sempre le più sicure: sono quelle che si
pagano prima delle altre.

STENSG. Ebbene, che vi sembra dunque di questa? È, o non è falsa?

LUND. Temo che ve ne siano altre del medesimo stampo, signor Stensgard.

STENSG. Ma come? Eppure non è ammissibile che....

LUND. Se il giovane Bratsberg va a fondo, quelli che stanno vicino a
lui dovran fare altrettanto; capite?

STENSG. (_afferrandogli il braccio_). Chi sono «quelli che stanno
vicino a lui?» Spiegatevi meglio.

LUND. Si può star più vicini che padre e figlio?

STENSG. Ma, Dio mio....

LUND. St! fate conto ch’io non abbia detto nulla: ricordatevi che è
stato Daniele Hejre a parlar pel primo di bancarotta e di rovina.

STENSG. Questo è un colpo di fulmine a ciel sereno!

LUND. Oh, ciò accade sovente anche alla gente più onesta di questo
mondo. Un povero diavolo si lascia abbindolare, garantisce per gli
altri; viene il momento di pagare, e il denaro manca: i possedimenti
son messi all’asta, e venduti per una miseria.

STENSG. E allora.... naturalmente.... anche i figli....

LUND. Eh, sicuro, restano anch’essi senza niente. Mi dispiace proprio
per la ragazza, che ha pochissimo da parte di sua madre, se pure si
potrà salvare quel poco.

STENSG. Ah, ora capisco il consiglio di Fieldbo! Che ottimo amico!

LUND. Che cosa v’ha detto il dottor Fieldbo?...

STENSG. È troppo leale e prudente per dir cosa alcuna; ma lo comprendo
ugualmente; e comprendo anche voi, signor Lundestad.

LUND. Ma.... e prima non mi capivate?

STENSG. Non interamente.... Dimenticavo la favola dei topi che fuggono
dalla casa incendiata....

LUND. Vi prego di credere che non è veramente il caso, però.... Che
cos’avete? siete diventato pallido! Vi ho dato forse qualche notizia
cattiva?

STENSG. Che notizia?

LUND. Oh, sì, sì: ora capisco. Povero signor Stensgard! Ma eppure
sentite: se l’amate davvero quella fanciulla, che cosa v’importa se
essa sia ricca o povera?

STENSG. Che cosa me ne importa?...

LUND. La ricchezza non è necessaria alla felicità domestica.

STENSG. Naturalmente.

LUND. Voi siete giovane, avete del coraggio e della buona volontà. Col
lavoro, riuscirete a farvi una bella posizione. Ma non scoraggiatevi
ora. So anch’io che cos’è l’amore, perchè ho letto molto su
quest’argomento, quand’ero giovane.... Le gioie domestiche.... una
moglie fedele. Amico mio, pensateci ora, per non aver rimpianti poi.

STENSG. Ma allora, la vostra rinuncia?

LUND. Non potrei disgraziatamente mantenerla. Credete che io possa
esigere un simile sacrificio dal vostro cuore?

STENSG. Oh, lo farò questo sacrificio. Vedrete che ne avrò la forza.
Una città intera aspetta l’opera mia, e mi chiama a sè. Come potrei
ritirarmi? Io vedo aprirsi dinanzi a me un nuovo orizzonte. Io rinuncio
alla felicità del mio cuore, ne faccio un sacrificio alla felicità e al
benessere di questo paese. Io dirò al mio popolo: Eccomi a te! son cosa
tua.

LUND. (_lo guarda con muta ammirazione e gli stringe la mano_). In
verità, voi siete un grand’uomo, signor Stensgard! (_Egli esce.
Stensgard cammina su e giù, agitatissimo. Un momento dopo arriva
Bastiano_).


SCENA VII.

=Stensgard, Bastiano=, poi =Fieldbo=.

BAST. Eccomi.

STENSG. Da dove vieni?

BAST. Dalla nazione.

STENSG. Dalla nazione? Che cosa vuoi dire?

BAST. Sì, la nazione: vale a dire il popolo, il basso popolo, quello
che non sa niente, non possiede niente, non capisce niente: quello che
si lascia guidare come una mandra.

STENSG. Corpo di Bacco, che cosa significa questa caricatura?

BAST. Questa caricatura?

STENSG. Da qualche tempo mi sono accorto che tu mi fai la scimmia
in tutto e per tutto: nel mio modo di vestire e di parlare. Ciò è
seccantissimo per me.

BAST. Ma, scusa: non siamo noi del medesimo partito?

STENSG. Sì, ma questo non c’entra per niente: tu diventi ridicolo.

BAST. Ridicolo, quando t’imito?

STENSG. Quando mi fai la scimmia.... va. Smetti questo modo di fare, da
bravo, Monsen! Senti un po’: quando ritorna tuo padre?

BAST. Non saprei: credo che sia partito per Cristiania, e che starà in
viaggio una settimana.

STENSG. Tanto tempo? Me ne dispiacerebbe. Ha qualche grossa
speculazione in vista?

BAST. Non so, davvero. Per il momento son io che ne avrei una in vista.
Ma bisognerebbe che tu m’aiutassi.

STENSG. Volontieri, e in che modo?

BAST. Oh adesso mi sento anch’io buono a qualche cosa.... tutto merito
tuo, del resto, sei tu che m’hai svegliato. Infine voglio far qualche
cosa anch’io.... Voglio prender moglie.

STENSG. Prender moglie tu? e chi vuoi sposare?

BAST. St! indovina: non è lontana di qui.

STENSG. La signora Rundholmen?

BAST. Sì, è lei. Di’ una buona parola in mio favore. Capisci che per me
sarebbe un partito convenientissimo: s’intende di affari, è ricca, in
buoni rapporti colla famiglia del ciambellano, dopo che sua sorella è
stata governante in casa Bratsberg. Se riesco a sposarla potrò avere i
lavori del Comune. E poi, amico mio.... io l’amo!

STENSG. Amare, amare! Lascia in pace questa vecchia canzone,
quest’ipocrisia!

BAST. Ipocrisia?

STENSG. Sì. Non capisci che tu menti a te stesso? Tu parli d’amore e di
lavori del Comune, tutto insieme. Chiama invece le cose col loro nome.
No, no, non ci vedo chiaro in questa faccenda: io non voglio entrarci.

BAST. Ma senti dunque....

STENSG. No, no, ti prego. (_A Fieldbo che entra_) Ebbene, come vanno le
elezioni?

FIELDBO. A gonfie vele! Lundestad dice che tu hai quasi tutti i voti!

STENSG. Davvero?

FIELDBO. Ma a che ti servirà ciò, poichè non possiedi dei fondi?

STENSG. (_fra sè_). Maledizione!

FIELDBO. Eh, caro mio, non si può aver tutto a questo mondo! Si
guadagna da una parte e si perde dall’altra. Addio. (_Esce_).

BAST. Che cosa vuol dire col suo guadagnare e perdere?

STENSG. Ti spiegherò più tardi. Ma ascolta, Monsen, per tornare al
nostro discorso, io t’ho promesso di dire una buona parola per te....

BAST. M’hai promesso? Ma tutt’altro, caro mio....

STENSG. Ma lasciami parlare, una volta. Io ho disapprovato che tu
mettessi assieme l’amore e i lavori del Comune: in verità, è un po’
troppo! trascinare in quella prosa.... comunale il sentimento più
nobile che Dio ha posto nel cuore dell’uomo! Ma infine, se tu ami
davvero quella ragazza....

BAST. Quella vedova.

STENSG. Sì vedova o ragazza, è lo stesso; voglio dire che quando si ama
realmente una donna, tutto il resto non conta per niente.

BAST. Allora tu parlerai per me?

STENSG. Col massimo piacere; ma a condizione che tu pure farai qualche
cosa per me.

BAST. Io, e presso di chi?

STENSG. Come, non ti sei mai accorto di nulla? Essa ti riguarda così da
vicino!

BAST. Sarebbe forse?...

STENSG. Sì, Anna, tua sorella. Oh tu non sai come io sia stato subito
colpito dalla sua grazia e dalla sua bontà, dalle sue virtù silenziose,
dalla sua dolcezza!...

BAST. Davvero? È possibile?

STENSG. E come? Tu, che sei tanto perspicace non te n’eri mai accorto?

BAST. Ma.... ecco: da principio m’era parso: ma adesso, corrono tante
voci! Dicono che tu vai in casa del ciambellano.

STENSG. Ebbene, sì; se debbo parlarti francamente, ebbi un momento
d’incertezza; grazie a Dio, è passato. Ora vedo chiaramente innanzi a
me; vedo la linea che debbo seguire, e non devierò da quella.

BAST. Qua la mano: parlerò per te. E sta pur sicuro: Anna farà quanto
suo padre le dirà.

STENSG. È appunto, riguardo a tuo padre, che volevo....

BAST. St! Ecco la signora Rundholmen. Mi metto nelle tue mani. Al resto
ci penso io.

(_Esce nell’istesso momento in cui entra la signora Rundholmen_).


SCENA VIII.

=Stensgard=, la signora =Rundholmen=.

Sig.ª RUNDHOL. Ebbene, tutto va a meraviglia, signor avvocato. Tutti
votano per voi.

STENSG. È molto lusinghiero.

Sig.ª RUNDHOL. Sicuro: chi sa che cosa ne dirà Monsen!

STENSG. Signora Rundholmen, vi prego, una parola.

Sig.ª RUNDHOL. Che cosa c’è? Che cosa c’è?

STENSG. Volete ascoltarmi?

Sig.ª RUNDHOL. Ma vi pare? Altro che! Volentieri.

STENSG. Voi avete parlato poco fa dell’isolamento in cui vi trovate.

Sig.ª RUNDHOL. Sì.... era quel terribile Hejre....

STENSG. E voi dicevate che per una vedova è assai difficile....

Sig.ª RUNDHOL. Certo, signor Stensgard, si capisce facilmente!

STENSG. Sentite un po’: e se un bel giovinotto venisse....

Sig.ª RUNDHOL. Un bel giovinotto?

STENSG. Che da molto tempo vi ama in segreto....

Sig.ª RUNDHOL. No, no, non posso ascoltarvi di più....

STENSG. (_continuando_). E al quale la solitudine pesa, come a voi.

Sig.ª RUNDHOL. Come? Non vi capisco affatto.

STENSG. Nelle vostre mani voi tenete due destini: il vostro e quello....

Sig.ª RUNDHOL. E quello del bel giovinotto, non è vero?

STENSG. Sì: rispondetemi.

Sig.ª RUNDHOL. Oh, signor Stensgard, voi volete burlarvi di me?

STENSG. Ma vi pare? Neppur per sogno. Ditemi dunque, non sareste
disposto....

Sig.ª RUNDHOL. Ah Dio mio! Ma certo, certo. Mio caro, mio amatissimo!...

STENSG. (_dando un passo indietro_). Eh?!...

Sig.ª RUNDHOL. Zitto, per carità! Vien qualcuno.


SCENA IX.

=Detti= e =Anna=.

ANNA. Domando scusa.... Mio padre non è qui?

Sig.ª RUNDHOL. Vostro padre? Sì.... no.... credo. Egli è passato di qui
stamani.

ANNA. Di qui?

STENSG. È partito per Cristiania.

Sig.ª RUNDHOL. Sì, ma, signorina.... voi non sapete quanto io sono
felice! Aspettate un minuto. Bisogna proprio che vada a prendere una
bottiglia del più vecchio!... (_Esce_).

STENSG. Dunque, signorina, voi cercate vostro padre?

ANNA. Sicuro, l’avete udito.

STENSG. Non sapevate che s’era messo in viaggio?

ANNA. E come potevo saperlo? Chi dice mai qualche cosa a me? Eppure mi
pare impossibile che sia andato a Cristiania! Buon giorno.

STENSG. (_le impedisce il passaggio_). Anna! ascoltatemi! Perchè siete
così fredda con me? Perchè non mi trattate più con quell’espansione dei
primi giorni?

ANNA. Lasciatemi!

STENSG. È il cielo che vi ha mandato a me, Anna. Ma lasciate quell’aria
corrucciata! Sorridete come facevate altre volte.

ANNA. Grazie a Dio, quel tempo è passato.

STENSG. Ma perchè?

ANNA. Perchè v’ho conosciuto meglio; e per fortuna non ho aspettato
troppo a farlo!

STENSG. Oh capisco! Mi avranno calunniato! Chi sa che cosa v’hanno
detto sul conto mio? Forse è colpa mia, perchè mi son lasciato
circondare da certa gente. Ma adesso è finita. Oh quando vi vedo, tutto
sorride intorno a me! Io vi amo, Anna, amo voi e nessun’altra!

ANNA. Lasciatemi! Ho paura di voi!

STENSG. Domani, Anna, potrò vedervi? Mi permetterete di parlarvi,
domani?

ANNA. Sì, sì, domani.... ma ora lasciatemi.

STENSG. Oggi no! domani! vittoria! ho vinto! sono felice!

Sig.ª RUNDHOL. (_entra con del vino e dei dolci_). Ebbene noi berremo
alla gioia, e alla benedizione del Cielo.

STENSG. Sì, all’amore! alle gioie, alle delizie dell’amore! Un evviva
alla giornata di domani! (_Ad Anna. Tutti bevono_).


SCENA X.

=Detti, Helle.=

HELLE (_ad Anna_). L’avete trovato?

ANNA. No, non è qui: andiamo, andiamo!

Sig.ª RUNDHOL. Che cosa vuol dir ciò?

HELLE. Niente. Sono venuti dei forestieri a Storli, e....

Sig.ª RUNDHOL. (_ad Anna_). Oh, voi avete sempre dei forestieri in casa
vostra!

ANNA. Sì, sì: scusatemi, bisogna che me ne vada. Buon giorno.

STENSG. (_l’accompagna_). Addio! A domani! (_Anna ed Helle escono_).


SCENA XI.

=Stensgard, Hejre,= signora =Rundholmen=.

HEJRE. Ah, ah! Tutto va a gonfie vele! Stensgard, Stensgard! Siete
proprio fortunato! Tutti votano per voi! Votate per lui anche voi,
signora Rundholmen!

Sig.ª RUNDHOL. Eccone un’altra delle vostre! Ma davvero, tutti votano
per lui?

HEJRE. Tutti. Il signor Stensgard gode la fiducia pubblica. Il vecchio
Lundestad ha tutta l’aria d’un cane frustato. Ah che bella cosa tutto
questo movimento!

Sig.ª RUNDHOL. E sarete ben fortunati tutti di averlo eletto! Io non
posso votare: ma esserne felice, sì! (_Esce_).

HEJRE. Guardate, signor Stensgard, voi mi sembrate adattatissimo
per consolare una vedovella! Sapete, dovreste dedicarvi a quella lì:
fareste un buon affare, mio caro.

STENSG. Alla signora Rundholmen?

HEJRE. Ma sicuro: ve l’ho già detto: essa sarebbe un’ottima moglie. E
del resto, sapete: sarà il miglior partito della città, non appena la
rovina del signore di Storli verrà dichiarata.

STENSG. Ma spero bene, che nessuna sventura minaccierà quelli di Storli!

HEJRE. Eh? Ma avete la memoria labile, mio carissimo. Non vi ricordate
già più di quanto si diceva prima? Non si parla dappertutto di
bancarotta e di rovina, e non sono venuti a cercar Monsen anche qui?
Tre forestieri sono arrivati a Storli.

STENSG. Sì, lo so: delle visite.

HEJRE. Oh, delle visite non troppo gradite! Si mormora di polizia, e
di creditori furiosi; son già state fatte, se volete saperlo, alcune
perizie. A proposito, che cos’era quella carta che vi ha dato Monsen,
ieri?

STENSG. Niente, una carta qualunque. Delle perizie, dite voi? Sentite:
voi conoscete la firma del ciambellano Bratsberg?

HEJRE. Eh, eh! Credo di sì!...

STENSG. Ebbene, guardate qua.

HEJRE. Questa, caro mio, non è mai stata la sua firma.

STENSG. No? Allora....

HEJRE. Questa cambiale è stata firmata da Monsen?

STENSG. No, da Bratsberg figlio.

HEJRE. Taralalà! Fatemi vedere ancora. (_La guarda_) Sì, sì, potete
accendere il sigaro con questa.

STENSG. Ma come? Anche il nome del firmatario!...

HEJRE. È un falso, amico mio, un falso, come è vero ch’io mi chiamo
Daniele. Basta guardarlo un momento....

STENSG. Ma par impossibile! Certamente, Monsen non vorrebbe....

HEJRE. Monsen? Egli non capisce niente dei suoi affari; volete che
capisca di quelli degli altri? Ma bisogna che tutto ciò finisca una
buona volta! Il peggio si è che Monsen trascina nella sua caduta il
giovane Bratsberg, e che Bratsberg, il negoziante, vi tira a sua volta
Bratsberg, il ciambellano.

STENSG. Sì, è quello che si diceva poc’anzi.

HEJRE. Naturalmente, un fallimento ne porta con sè degli altri, ed ecco
come molte persone si trovano spesso rovinate tutte in una volta! Ma
tenete bene a mente quanto vi dico, perchè io son profeta: Monsen andrà
in galera; il giovane Bratsberg otterrà un accomodamento; e il vecchio
Bratsberg sarà messo sotto tutela. Vale a dire, che i suoi creditori
gli faranno un vitalizio di qualche migliaio di talleri. Bella fine,
bella fine in verità! Del resto, è sempre così!... Sapete, eh, il
vecchio proverbio latino? «Fiat justitia pereat mundus» che vuol dire,
in buon volgare: «Che strana giustizia c’è in questo mondo corrotto!»

STENSG. (_molto agitato_). Ecco due vie che si chiudono innanzi a me!

HEJRE. Eh?

STENSG. E proprio adesso!


SCENA XII.

=Stensgard, Hejre, Aslaksen.=

ASLAK. Le mie congratulazioni, le mie congratulazioni, signor
Stensgard! Voi siete eletto!

STENSG. Eletto?

ASLAK. Con centodiciassette voti! Lundestad ne ha avuti cinquantatrè:
gli altri sono andati dispersi.

HEJRE. Ecco fatto il primo passo sulla via della gloria, signor
Stensgard!

ASLAK. E questo vi costerà un punch! (_Chiamando_) Signora Rundholmen!
l’eletto del popolo ci paga da bere, a tutti!

HEJRE. Ed ecco il primo passo sulla via delle spese!


SCENA XIII.

=Detti= e =Lundestad.=

HEJRE (_a Lundestad_). Ecco dunque il bel compenso che il nostro caro
popolo dà a chi ha lavorato e affaticato per lui!

LUND. (_piano a Stensgard_). Ci tenete sempre molto?

STENSG. E a che serve tenerci o no? quando tutto crolla sotto i miei
piedi?

LUND. Ma credete proprio che non ci sia più nessuna speranza?

ASLAK. (_in fondo_). La signora Rundholmen paga da bere! Essa dice che
è la prima interessata nell’elezione!

STENSG. La prima interessata?

LUND. Perchè?

STENSG. La partita non è perduta, signor Lundestad. (_Si siede e
scrive_).

LUND. (_piano_). Ascoltate, Aslaksen. Potreste inserir due righe mie
nel vostro giornale, dopo domani?

ASLAK. Certo. Dite, sono molto salate?...

LUND. No, affatto.

ASLAK. Oh, non importerebbe niente! Le inserirei lo stesso.

LUND. È il mio testamento politico. Ve lo manderò domattina. (_Esce_).


SCENA XIV.

=Detti, Bastiano,= una =Cameriera.=

CAMERIERA. Ecco il punch, signora! (_Mette il vassoio sul tavolo_).

ASLAK. Evviva! evviva il nostro deputato! (_Egli versa il punch agli
altri e beve egli stesso, più volte, durante la scena_).

BAST. (_arriva da destra; piano_). Non dimenticatevi della lettera.

ASLAK. State tranquillo: (_battendo sulla tasca del suo abito_) essa è
qui!

BAST. Profittate della prima occasione, appena potrete.... capite?

ASLAK. Non dubitate, non dubitate! (_Forte_) Andiamo Lisetta, i
bicchieri sono pieni!

BAST. State certo che ve ne ricompenserò.

ASLAK. Bene, bene! (_Alla cameriera_) Un limone, Lisetta, presto,
presto! (_Bastiano esce_).

STENSG. Sentite, Aslaksen. Domani sera, passerete di qui?

ASLAK. Domani sera? Ma sì.

STENSG. Bene; allora entrerete qui, e darete questa lettera alla
signora Rundholmen.

ASLAK. Da parte vostra?

STENSG. Sì: nascondetela in tasca. Così! A domani sera.

ASLAK. Non dubitate. (_La cameriera porta il limone. Stensgard va alla
finestra_).

BAST. Ebbene hai parlato alla signora Rundholmen?

STENSG. Sì, ma poche parole.

BAST. E che cosa ha detto?

STENSG. Non posso dirti nulla: è venuta subito gente.

BAST. Allora mi faccio coraggio.... D’altra parte, essa si lagna sempre
della sua triste solitudine!... Ah, fra un’ora sarà decisa la mia
sorte!

STENSG. Fra un’ora?


SCENA XV.

=Stensgard, Bastiano, Aslaksen, Lundestad,= signora =Rundholmen=.

BAST. (_che vede entrare la signora Rundholmen, piano a Stensgard_).
Zitto, che nessuno s’accorga di nulla. (_Passeggia su e giù per la
scena_).

STENSG. (_piano ad Aslaksen_). Non aspettate domani sera per la
lettera, consegnategliela appena potrete.

ASLAK. Bene, bene, lasciate fare.

Sig.ª RUNDHOL. (_a Bastiano_). Che cosa ne dite di questa elezione?

BAST. Oh, ne sono contentissimo. Stensgard ed io siamo buoni amici. Mi
rallegro proprio che gli sia toccato quest’onore.

Sig.ª RUNDHOL. Ma vostro padre ne sarà malcontento?

BAST. Oh, mio padre ha tanta carne al fuoco! E poi se si manda
Stensgard al Parlamento, l’onore rimane per così dire in famiglia.

Sig.ª RUNDHOL. In che modo?

BAST. Egli ha intenzione di sposarsi.

Sig.ª RUNDHOL. Dio mio, v’ha raccontato qualche cosa, in proposito?

BAST. Sì; e gli ho promesso anche di perorar la sua causa. Io credo che
il matrimonio si farà certo: Anna, a quanto pare, ha anch’essa della
simpatia per lui.

Sig.ª RUNDHOL. Anna?

LUND. (_avvicinandosi_). Di che cosa parlate dunque con tanto calore,
signora Rundholmen?

Sig.ª RUNDHOL. Ma figuratevi! egli mi racconta che Stensgard vuol
prender moglie!

LUND. Che egli voglia è una cosa; ma che il signor ciambellano
acconsenta, è un’altra!

BAST. Il ciambellano?

LUND. Eh, sicuro: essa è un partito troppo splendido per un semplice
avvocato.

Sig.ª RUNDHOL. Ma chi?

LUND. La figlia, perdio!

Sig.ª RUNDHOL. Ma egli non avrà domandato la mano della signorina
Bratsberg?

LUND. Ma sì.

Sig.ª RUNDHOL. Ma è possibile? Ne siete ben sicuro?

BAST. E a me che aveva detto di parlare in suo favore! (_Bastiano e
Lundestad si allontanano_).

Sig.ª RUNDHOL. (_a Stensgard_). State attento, Stensgard! Diffidate!

STENSG. Di chi?

Sig.ª RUNDHOL. Dei cattivi. C’è della gente qui che parla male di voi.

STENSG. E che me n’importa? Io non tengo che all’opinione d’una persona
sola.... (_Sono interrotti dalla cameriera che viene a parlare alla
signora Rundholmen. Stensgard si avvicina ad Aslaksen_). Mi par che sia
questo il momento opportuno per darle la lettera!

ASLAK. (_senza farsi scorgere si avvicina alla signora Rundholmen_).
M’hanno incaricato di consegnarvi questa lettera.

Sig.ª RUNDHOL. E chi?

ASLAK. St! Leggetela quando sarete sola.

Sig.ª RUNDHOL. Vado subito. (_Esce_).


SCENA XVI.

=Stensgard, Ringdal.=

RINGD. Ebbene, siete dunque uscito vittorioso dalla battaglia
elettorale, non è vero?

STENSG. Sicuro, signor amministratore, malgrado il voto del vostro
nobile padrone.

RINGD. Egli si è valso, come tutti gli altri, dei suoi diritti di
elettore.

STENSG. Fortunatamente per lui, egli avrà ancora ben poche occasioni di
valersene.

RINGD. Che cosa volete dire?

STENSG. Voglio dire che si sono fatte certe perizie....

RINGD. Certe perizie? E su che?

STENSG. Non fate lo gnorri. Non lo sapete dunque che c’è un gran
temporale in aria? È una bancarotta disastrosa?

RINGD. Ho inteso varie voci in proposito....

STENSG. E il signor Bratsberg e suo figlio non sono forse compromessi
in quest’affare?

RINGD. Scusate.... Ma siete matto?

STENSG. Ma allora, non è vero?

RINGD. Per niente affatto. Ma chi vi ha detto questo?

STENSG. Non ve lo posso dire, per ora.

RINGD. Non importa. Colui che ve l’ha detto, aveva certo un secondo
fine.

STENSG. Un secondo fine?

RINGD. Sì, pensateci bene. Non conoscete nessuno che abbia interesse ad
allontanarvi dal signor ciambellano?

STENSG. Sì, sì, ce ne son parecchi che avrebbero questo desiderio.

RINGD. In fondo, sapete, il signor ciambellano ha molta simpatia per
voi.

STENSG. Davvero?

RINGD. Certo. Soltanto per farvi perdere la sua stima, gli raccontano
che non v’intendete ancora abbastanza degli affari del paese, che siete
un esaltato, un sobillatore, un....

STENSG. Oh, maledetti assassini!... E la signora Rundholmen, che ha la
mia lettera!

RINGD. Che lettera?

STENSG. Oh, niente, niente! Forse sono ancora in tempo! Caro signor
Ringdal, questa sera vedrete il signor ciambellano?

RINGD. Certamente.

STENSG. Ditegli, vi prego, da parte mia, che non dia troppo peso a
ciò che i miei nemici dicono contro di me: che sono tutte sciocohezze.
Ditegli che domattina verrò io stesso da lui, per spiegarmi meglio.

_Ringd._ Ah, sì? Venite?

STENSG. Sì, per provargli.... per provargli.... che.... Ecco qua,
signor Ringdal, dategli questa da parte mia.

RINGD. La cambiale?

STENSG. Non mi capite? Non importa. Ditegli soltanto da parte mia:
«Ecco come si vendica l’uomo che voi volevate perdere.»

RINGD. Eseguirò la vostra commissione. (_Esce_).

STENSG. Sentite un po’ signor Hejre, perchè mi avete raccontato quella
storia riguardo al signor Bratsberg e mi avete fatto credere?...

HEJRE. Io vi ho fatto credere?...

STENSG. Era una menzogna!

HEJRE. Davvero, davvero! Ma io ne sono felicissimo! Sapete, signor
Lundestad, che quella storia del signor Bratsberg non è vera?

LUND. St! È stato un falso allarme! Pare che il guaio sia più vicino!

STENSG. Come, più vicino?

LUND. Ma.... ho inteso a mezza voce il nome della signora Rundholmen!

STENSG. Eh?!

HEJRE. Non ve l’avevo predetto? Le sue relazioni col gran signore di
Storli....

LUND. Egli è partito di casa, stamattina, all’alba.

HEJRE. E i suoi che lo cercano dappertutto!

LUND. E il figlio che ha tanto interesse a maritar la sorella!

STENSG. A maritarla? Essa m’ha detto: «Domani.» E la sua agitazione
riguardo a suo padre?...

HEJRE. Eh, eh! Scommetterei che s’è appiccato!

ASLAK. Oh, c’è qualcuno che s’è appiccato?

LUND. No, è Hejre che suppone che Monsen....


SCENA XVII.

=Monsen, Aslaksen, Stensgard, Bastiano, Hejre.=

MONSEN. Dello _champagne_ per tutti!

ASLAK. (_e qualche altro_). Monsen!

MONSEN. Sì, Monsen, precisamente! Monsen, il gran signore di Storli, il
re di danari! Del vino dunque, corpo di mille bombe, del vino!

HEJRE. Ma, carissimo....

STENSG. Voi? Ma dove siete stato, che nessuno vi trovava più?

MONSEN. A conchiudere un magnifico affare! Cento mila corone
guadagnate! Nè più, nè meno! Tutti sarete invitati! Dello _champagne_,
vi dico! Presto! I miei complimenti, signor Stensgard, per la vostra
elezione.

STENSG. Sì, ma io voglio prima spiegarvi....

MONSEN. Che! Non me ne importa proprio niente. Del vino, dunque! Ma
dove s’è andata a nascondere la signora Rundholmen? (_Va verso la porta
di sinistra_).

CAMERIERA (_entrando_). Nessuno può entrare! La signora sta leggendo
una lettera.

BAST. Diamine! (_Esce_).

STENSG. Legge una lettera?

CAMERIERA. Sì, e ride e gesticola che pare una matta.

STENSG. A rivederci, signor Monsen. A domani a mezzogiorno, a Storli.

MONSEN. A domani!

STENSG. (_piano ad Hejre_). Signor Hejre, volete farmi un piacere?

HEJRE. Volontieri.

STENSG. Fatemi cadere in disgrazia di madama Rundholmen: ditele male di
me; lanciate qualche parola a doppio senso. Voi siete così esperto in
queste cose!

HEJRE. Ma, scusate, e perchè?

STENSG. Ho i miei motivi: è uno scherzo.... una scommessa che ho fatto
con qualcuno.... contro il quale avete della ruggine!

HEJRE. Ah, ah! capisco, capisco!

STENSG. Tanto meglio; cercate dunque di scemare la buona opinione che
ella ha di me.

HEJRE. State tranquillo; sarete servito a dovere.

STENSG. Grazie. Signor Lundestad, io vorrei parlarvi domattina, prima
di mezzogiorno, in casa del signor ciambellano.

LUND. Avete qualche speranza?

STENSG. Triplice speranza!

LUND. Triplice? Non vi capisco.

STENSG. Non importa. D’or in avanti, voglio sempre agir di mia testa!
(_Esce_).

MONSEN. Ancora un bicchiere, Aslaksen! Ma dov’è Bastiano?

ASLAK. È andato via di premura: e anzi io ho una sua lettera da
consegnare.

MONSEN. A chi?

ASLAK. Alla signora Rundholmen.

MONSEN. Ah, così?

ASLAK. Ma egli m’ha detto, non prima di domattina! Nè prima, nè dopo.
Alla vostra salute!

HEJRE (_a Lundestad_). Che cosa diavolo c’è fra Stensgard e la signora
Rundholmen?

LUND. (_a mezza voce_). Egli ha delle idee sopra di lei.

HEJRE. Non l’avrei creduto. Egli m’ha pregato di denigrarlo agli occhi
di lei, di parlar male di lui più che potevo.... Basta!

LUND. E voi avete promesso?

HEJRE. Naturalmente.

LUND. Crederà certo che voi facciate l’opposto di quanto avete promesso.

HEJRE. Eh, eh! L’innocentino! Questa volta s’è proprio sbagliato!

Sig.ª RUNDHOL. (_con una lettera in mano_). Dov’è l’avvocato Stensgard?

HEJRE. Ma, cara signora; l’ho veduto un momento fa, baciare la vostra
cameriera, poi è scomparso.


  (_Cala la tela_).




ATTO QUINTO.


  Salone di ricevimento in casa Bratsberg. Porta d’ingresso in fondo.
  Porte laterali.


SCENA PRIMA.

=Ringdal, Fieldbo.=

RINGD. Avanti!

FIELDBO. Buongiorno!

RINGD. Buongiorno, signor dottore.

FIELDBO. Come va, dunque?

RINGD. Eh, non c’è male, qui: ma....

FIELDBO. Ma....

RINGD. Non sapete la grande notizia?

FIELDBO. No. Che cosa c’è?

RINGD. Come, non sapete che cos’è successo a Storli?

FIELDBO. No.

RINGD. Monsen è scomparso! Partito!

FIELDBO. Partito? Monsen?

RINGD. Partito!

FIELDBO. Ma, giusto cielo, è possibile?

RINGD. Già da ieri circolavano delle voci misteriose in proposito: ma
Monsen è ritornato, sviando così ogni sospetto.

FIELDBO. E il motivo?

RINGD. Delle perdite enormi su carichi di legna. Inoltre due o tre case
di Cristiania avrebbero sospesi i pagamenti, e allora....

FIELDBO. E allora è fuggito!

RINGD. Chi sa? Forse sarà andato in Svezia! Intanto, m’han detto, la
giustizia ha già messo i suggelli, e si stanno iniziando i processi
verbali.

FIELDBO. E la sua povera famiglia?

RINGD. Il figlio non si è mai occupato d’affari, specialmente poi in
questi ultimi tempi.

FIELDBO. E la ragazza, poveretta?

RINGD. St! Essa è qui!

FIELDBO. Qui?

RINGD. Il precettore l’ha condotta qui stamattina coi bambini, e la
signorina Bratsberg ha offerto loro ospitalità secretamente.

FIELDBO. E come ha preso la cosa?

RINGD. Eh, s’è rassegnata facilmente. Capirete del resto che in
famiglia era tanto maltrattata che.... St! Ecco il signor ciambellano.


SCENA II.

=Bratsberg, Fieldbo, Ringdal.=

BRATSB. Ah, siete voi, dottore!

FIELDBO. Sì, sono venuto più presto stamattina, per presentarvi i miei
auguri pel vostro anniversario, signor ciambellano.

BRATSB. Ah, sì, che Dio ci accordi dei giorni migliori! Grazie,
dottore: so che i vostri auguri sono sinceri.

FIELDBO. Mi permettete, signor ciambellano....

BRATSB. Prego. Lasciate questo titolo in disparte.

FIELDBO. Ma, scusate, perchè?

BRATSB. Io sono padrone di ferriere, nè di più, nè meno.

FIELDBO. Ma.... che cosa significa tutto ciò?

BRATSB. Ho rinunciato ai miei titoli: la lettera di rinuncia sarà
spedita oggi stesso.

FIELDBO. Ma datevi almeno il tempo di riflettere....

BRATSB. Quando il mio Re mi chiamò a coprire una delle più alte cariche
della sua corte, egli lo fece per la considerazione e la stima di cui
la mia famiglia godeva da parecchie generazioni.

FIELDBO. Ebbene?

BRATSB. Adesso la mia famiglia è disonorata con quella del possidente
Monsen! Lo sapete, non è vero, che cos’è successo di Monsen!

FIELDBO. Sì, lo so.

BRATSB. (_a Ringdal_). Non si è saputo nessun altro particolare?

RINGD. No; soltanto che la sua rovina porta con sè quella di molti
fittajuoli.

BRATSB. E mio figlio?

RINGD. M’ha fatto vedere il suo bilancio. Egli può pagare le sue
passività; ma non gli rimane più nulla!

BRATSB. Hum! Fate dunque ricopiare la mia lettera.

RINGD. Ai vostri ordini. (_Esce_).

FIELDBO. Ma avete riflettuto? Non vi pare che le cose si potrebbero
accomodare, in segreto?

BRATSB. E se anche fosse così, credete voi che io potrei cancellare
dalla mia mente ciò che è stato?

FIELDBO. Ma che cosa è poi stato, in fin dei conti? Egli v’ha scritto,
ha riconosciuto i suoi torti, ve n’ha chiesto perdono. Non è la fine
del mondo, mi pare!...

BRATSB. Fareste voi, come ha fatto lui?

FIELDBO. Egli non ricomincerà, state pur sicuro.

BRATSB. Che garanzia posso avere io, che non ricominci con qualche
altra pazzia?

FIELDBO. Sentite, per lo meno l’incidente provocato da vostra nuora,
gli farà mettere giudizio per sempre!

BRATSB. (_attraversando la stanza_). Povera la mia Selma! Povera
felicità nostra ormai distrutta!

FIELDBO. Eppure anche la vostra felicità non era che un’illusione o
un edificio senza base! Anche voi, non avete sempre giudicate le cose
con retto criterio, anche voi siete stato cieco ed orgoglioso, signor
ciambellano.

BRATSB. Io?

FIELDBO. Sì, voi. Perdonatemi la mia franchezza. Voi che siete tanto
fiero dell’onoratezza della vostra famiglia, ma era stata messa alla
prova codesta onoratezza? Lo sapevate se ad una prova essa avrebbe
resistito o no?

BRATSB. Vi prego.... non son disposto ad ascoltare i vostri sermoni.
Sono abbastanza accuorato per gli avvenimenti di questi ultimi giorni.

FIELDBO. Lo capisco, ma bisogna però farsi una ragione delle cose.
Voi condannate vostro figlio: ma che avete fatto per lui? Gli avete
fatto molte prediche sul rispetto che doveva avere pel vostro nome,
ecc., ecc., ma non lo avete però istruito o diretto in maniera, che
trovandosi nell’occasione, egli sapesse condursi degnamente.

BRATSB. Ah, lo credete davvero?

FIELDBO. Non lo credo, lo so. Del resto è il sistema generale, è
l’educazione moderna. E se ne vedono i risultati: dei giovani colle
migliori doti d’intelligenza e di cuore, finiscono per diventar
tutt’altro di quello che promettevano; come Stensgard, per esempio.

BRATSB. Sì, Stensgard. Che ve ne pare di lui?

FIELDBO. È un essere pieno di incongruenze. Io lo conosco fin da
bambino. Suo padre era un poco di buono. Aveva un piccolo negozio di
pegni, e inoltre, prestava il danaro ad usura: veramente a questo
ci pensava la moglie. Una vera strega, quella! Prepotente, villana
e ordinaria; bisognava vedere come faceva rigar dritto suo marito!
È in quest’ambiente che Stensgard è cresciuto! Ogni tanto compariva
a scuola: «Bisogna che studii, ripeteva sua madre, ne faremo un buon
contabile.» Malgrado i cattivi esempi che aveva sott’occhio, il ragazzo
prometteva bene. Era intelligente, attivo; aveva un’imaginazione
fervida, delle grandi aspirazioni verso il bello e l’ideale: era però
d’una volubilità sorprendente; ciò che gli piaceva oggi, non gli andava
più domani. Ciò non lo poteva condurre, naturalmente, che allo sperpero
di tutte le sue qualità!

BRATSB. Si capisce. Ma mi piacerebbe poi anche di sapere dove esiste il
bene, secondo voi. Da Stensgard non si poteva aspettarsi nulla, da mio
figlio neanche. Ma da voi, naturalmente, da voi....

FIELDBO. Sì, da me, precisamente. Non sorridete. Forse vi sembro
presuntuoso.... Io possiedo ciò che dà l’equilibrio, la giusta misura
delle cose, ciò che rende sicuri di sè stessi. Io sono cresciuto
nell’ambiente sano e tranquillo di una onesta famiglia borghese. Mia
madre è una donna nel vero senso della parola. Di noi, nessuno ha mai
aspirato ad innalzarsi al di sopra della sua posizione. Nessun rovescio
finanziario, nessuna disgrazia hanno mai turbato la quiete della nostra
casa. Anche noi sentivamo l’amore del bello, ma esso consisteva nel
nostro modo di apprezzare la vita, e non s’arrestava all’esteriorità
delle cose. Nè mai abbiamo in alcun modo concesso di traviare nè al
sentimento, nè all’intelligenza!

BRATSB. Sicuro, sicuro, è per questo che voi siete così perfetto.

FIELDBO. Oh, sono ben lungi dal credermi tale: vi facevo constatare
solo che la vita è stata molto facile per me, e che ciò m’impone dei
doveri.

BRATSB. Sia pure. E Stensgard allora che non ha di questi doveri, ha
tanto più merito....

FIELDBO. Come?

BRATSB. Non giudicatelo tanto severamente, caro dottore. Guardate
questo! Che ne dite?

FIELDBO. La cambiale di vostro figlio?

BRATSB. Sì, me l’ha rimandata.

FIELDBO. Di sua spontanea volontà?

BRATSB. Di sua spontanea volontà; e senza condizione alcuna: questo è
bello, è generoso, ed è per ciò che d’or innanzi la mia casa gli sarà
sempre aperta.

FIELDBO. Pensateci, nel vostro interesse, e in quello di vostra figlia.

BRATSB. Lasciamo stare. Egli ha molte belle qualità, che voi intanto
non avete. Egli è franco, mentre voi fate sempre tutto alla sordina,
caro dottore! FIELDBO. Io?

BRATSB. Sì, sì: voi venite sempre in casa mia, io vi domando il
vostro parere su tutto; eppure voi.... non so.... avete sempre un’aria
misteriosa, un certo fare diplomatico.... che so io, che infine mi urta
i nervi.

FIELDBO. Ma potreste benissimo spiegarvi ciò....

BRATSB. Io? No, no, ciò riguarda voi e non me. Del resto lasciamo
quest’argomento.

FIELDBO. Signor ciambellano, voi non mi capite. Io non ho nessuna
cambiale da rimandarvi, ma faccio forse un sacrificio più doloroso
assai.

BRATSB. Voi? in che modo?

FIELDBO. Tacendo.

BRATSB. Tacendo! Volete che vi dica io invece ciò che mi tenterebbe? Io
vorrei diventar villano, brutale, entrare nella Lega dei giovani. Voi
siete molto intelligente, molto distinto, signor medico delle ferriere;
questo non conviene alla nostra libera società. Vedete Stensgard....
egli è tutt’altro! E appunto per questo verrà in casa mia, sicuro....
sicuro.... Ah, avrei proprio volontà di.... Basta, basta. E adesso
regolatevi. Quello che si semina si raccoglie.


SCENA III.

=Detti= e =Lundestad=.

LUND. Mille auguri, signor ciambellano, vi desidero onori e prosperità
e tutti i beni possibili.

BRATSB. Andate al diavolo!... auff!... Tutto crolla a questo mondo,
caro Lundestad, non c’è niente di solido.

LUND. Già.... È quello che dicono i creditori di Monsen.

BRATSB. Questa faccenda di Monsen non vi ha fatto l’effetto di un
fulmine a ciel sereno?

LUND. E glielo avevate predetto da tanto tempo, voi!

BRATSB. Hum, hum!... Anche l’altro ieri, quando è venuto qui per
trascinarmi nei suoi imbrogli....

FIELDBO. Chi sa che non lo aveste salvato invece!

LUND. Impossibile. Era già andato a fondo! E può ancora ringraziare Dio
che le cose siano andate così!

BRATSB. E voi ringraziate anche Dio per la vostra sconfitta elettorale?

LUND. Non è stata una sconfitta. Io sapevo già che sarebbe successo
così. Non si può misurarsi con Stensgard. Egli ha un certo non so
che.... che manca a noi, insomma.

BRATSB. Non vi capisco.

LUND. Egli ha la grand’arte di trascinare le masse; d’altra parte
egli non ha nessun legame nè di carattere, nè di convinzioni, nè di
posizione sociale: gli è facile in tal modo di fare il liberale.

BRATSB. Ma anche noi siamo liberali, mi pare!

LUND. Certamente che siamo liberali, per Dio! ma liberali alla nostra
maniera; mentre invece Stensgard lo è alla maniera degli altri! Ed ecco
precisamente ciò che cambia la situazione.

BRATSB. E voi approvate quest’opera di rivoluzione?

LUND. Ho letto in vecchi libri di storia, che vissero anticamente
degli uomini i quali avevano il potere di evocare gli spettri, ma non
potevano poi scacciarli.

BRATSB. Come!... voi mio caro Lundestad, voi uomo colto e
intelligente.... voi credete....

LUND. Lo so bene che è superstizione, ma avviene per le nuove idee come
per gli spettri evocati, non si possono più discacciare! Perciò è pur
necessario accordarsi con essi il meno peggio che si può!

BRATSB. Sì; ma adesso che Monsen è caduto, e con lui la sua influenza
perturbatrice....

LUND. Se Monsen fosse caduto due o tre giorni prima, quante cose
sarebbero andate diversamente!

BRATSB. Peggio per voi, che avete avuto troppa fretta.

LUND. Mi sono fatto dei riguardi per la vostra situazione, signor
ciambellano.

BRATSB. Per la mia situazione?

LUND. Il nostro partito deve conservare il suo prestigio agli occhi
del popolo; noi rappresentiamo l’antica onestà norvegese. Se io avessi
combattuto Stensgard, voi sapete.... egli ha quella famosa cambiale in
mano....

BRATSB. Non l’ha più.

LUND. In che modo?

BRATSB. Eccola.

LUND. Ve l’ha rimandata?

BRATSB. Sì, è un uomo d’onore: non posso a meno d’affermarlo.

LUND. (_pensoso_). Quello Stensgard!... non manca di abilità.


SCENA IV.

=Detti= e =Stensgard.=

STENSG. (_sulla porta_). Posso entrare?

BRATSB. (_andandogli incontro_). Certamente.

STENSG. E mi permettete di presentarvi i miei auguri?

BRATSB. Volontieri.

STENSG. E allora accettateli: partono da un cuore ardente e sincero! Ma
tirate un velo, vi prego, su tutte le sciocchezze che ho scritte.

BRATSB. Io bado ai fatti, signor Stensgard. E d’or innanzi, se vi farà
piacere, consideratevi qui come in casa vostra.

STENSG. Posso?...

                              (_Bussano_).

BRATSB. Avanti!


SCENA V.

=Detti, Dora=, degli invitati, alcuni cittadini, e una rappresentanza
delle ferriere.

          (_Bratsberg riceve i loro auguri e parla con loro_).

DORA. Signor Stensgard, anch’io voglio ringraziarvi.

STENSG. Voi, signorina!

DORA. Papà m’ha raccontato il vostro nobile modo d’agire.

STENSG. Ma....

DORA. Come siamo stati ingiusti verso di voi, e come vorrei riparare i
nostri torti!

STENSG. Voi vorreste?... Voi, davvero?

DORA. Se sapessi in che maniera....

BRATSB. Dei rinfreschi per questa gente, Dora.

DORA. Subito. (_A Stensgard_) Mi permettete?...

STENSG. Prego, prego, signorina. (_Dora esce; un momento dopo arriva
una cameriera coi rinfreschi_). Caro signor Lundestad, oggi sono felice
come il dio della Vittoria!

LUND. E ieri non eravate contento?

STENSG. Oh! è tutt’altra cosa, oggi! Questo è davvero il più bel giorno
della mia vita! La gloria e la felicità!

LUND. Eccovi coi vostri sogni!

STENSG. Ma niente affatto sogni! è la felicità, la felicità d’amore!

LUND. Ah! allora il cognato Bastiano v’ha dato la risposta!

STENSG. Bastiano?

LUND. Ma sicuro! m’ha detto ieri che l’avevate creato vostro
patrocinatore presso una certa signorina....

STENSG. Che pazzia!

LUND. Non abbiate timore di me. Se voi non siete ancora sicuro, ve lo
dirò io, voi siete vittorioso, signor Stensgard! Me l’ha detto Ringdal.

STENSG. Che cosa v’ha detto Ringdal?

LUND. Che la signorina Monsen aveva acconsentito!

STENSG. Acconsentito! acconsentito! E suo padre è assente!

LUND. Ma essa è qui.

STENSG. Ha dato il suo consenso! Proprio mentre un simile scandalo
colpiva la sua famigliai Ma questo è troppo! contrasta con ogni
sentimento di delicatezza femminile. E qualunque uomo di cuore non
potrà a meno di disapprovarla! Del resto c’è un equivoco. Io non ho
chiesto nulla a Bastiano Monsen: la responsabilità è tutta sua.


SCENA VI.

=Detti, Hejre,= più tardi =Anna= e =Helle=.

HEJRE. Eh, eh, quanta bella gente! Tutti vestiti della festa!... fanno
i loro discorsetti complimentosi, eh, eh! Allora, anch’io....

BRATSB. Grazie, grazie, mio vecchio amico!

HEJRE. Sì, sì, vecchio amico! Hum! (_Arrivano dei nuovi invitati_)
Oh, ecco qua gli agenti della giustizia, il consiglio esecutivo. (_A
Stensgard_) Oh caro e fortunatissimo giovanotto, qua la mano! I miei
sinceri rallegramenti!

STENSG. A proposito di che?

HEJRE. Voi m’avete incaricato ieri di lanciare qualche parola a doppio
senso sul vostro conto.

STENSG. Sì, ebbene?

HEJRE. Io vi ho servito, secondo i vostri desideri.

STENSG. E come l’ha presa? Dite.

HEJRE. Come una donna innamorata, caro mio; s’è messa a piangere, è
scappata in camera sua, e felicissima notte! non ha voluto sentirne di
più!

STENSG. Dio sia lodato!

HEJRE. Ma siete crudele, sapete: torturare così il cuore d’una povera
vedova! Ma l’amore, sapete, ne fa proprio di graziose!... Oggi
sono ritornato da lei e l’ho trovata di buonissimo umore, fresca,
sorridente, che pettinava i suoi splendidi capelli d’oro davanti alla
finestra aperta! Sembrava una sirena.... col vostro permesso! Una
splendida donna....

STENSG. Bene: e poi?

HEJRE. E poi rideva, e la gioia brillava nei suoi occhi. M’ha mostrato
una lettera, e m’ha gridato: «È una domanda di matrimonio, signor
Hejre, mi sono fidanzata ieri!»

STENSG. Fidanzata?

HEJRE. Sicuro. I miei complimenti, e i miei auguri di felicità,
giovanotto; mi rallegro d’essere io il primo a darvi la buona novella.

STENSG. Ma no: non erano che dei progetti, infondati!

HEJRE. Come?

STENSG. Voi avrete capito male, o sarà lei che non avrà capito niente
del tutto. Fidanzata? Ma che! Adesso poi che Monsen è rovinato,
anch’essa facilmente....

HEJRE. Ma no, mio carissimo, la signora Rundholmen è molto solida!

STENSG. Non importa: io ho tutt’altro in testa. Quella lettera non era
che un semplice scherzo, caro signor Hejre, e vi prego, non raccontate
a nessuno questa stupida storiella.

HEJRE. Va bene, va bene: staremo zitti! Ecco un bel romanzetto! Questa
benedetta gioventù, ha la fantasia così poetica! Ma sapremo tacere,
certo, certo!

BRATSB. (_che da un momento parlava con Lundestad_). No, Lundestad, non
posso crederlo: è impossibile.

LUND. Vi assicuro: me l’ha detto Hejre.

HEJRE. Che cosa v’ho detto io?

BRATSB. Dimmi un po’: è vero che il signor Stensgard t’ha fatto veder
la cambiale ieri?

HEJRE. Sicuro che è vero. Ma che cosa c’entra questo con....?

BRATSB. Te lo dirò dopo. E tu gli hai detto che era falsa?

HEJRE. Sì, fu uno scherzo innocente, per calmare la sua ebbrezza di
gioia, che gli aveva montato la testa.

LUND. Ma gli avete detto che le due firme erano false?

HEJRE. Eh già! perchè una e non tutt’e due!

BRATSB. E così....

LUND. (_a Bratsberg_). E quando ha saputo questo....

BRATSB. Ha dato la cambiale a Ringdal.

LUND. Perchè non gli poteva più servire per intimorirvi.

BRATSB. Ed ha voluto fare il generoso! E ancora m’ha costretto a
ringraziarlo, ad essere gentile con lui, ad aprirgli la mia casa! Ah
quel.... quell’uomo!

HEJRE. Ma che cosa vuol dire tutto ciò?

BRATSB. Ti racconterò dopo, mio caro. (_A Lundestad_) E voi proteggete
ed appoggiate un uomo simile!

LUND. Ma voi stesso?...

BRATSB. Oh, io ho una voglia di....

LUND. (_accennando Stensgard che parla con Dora_). Guardate! che cosa
deve pensare la gente?

BRATSB. Lo vedranno ciò che debbono pensare!

LUND. Troppo tardi, signor ciambellano; egli sa troppo insinuarsi, con
ogni mezzo....

BRATSB. Ma ho la mia tattica anch’io, signor Lundestad.

LUND. Che volete fare?

BRATSB. Lo vedrete subito. (_S’avvicina a Fieldbo_) Signor dottore,
volete farmi un piacere?

FIELDBO. Ai vostri ordini....

BRATSB. Ebbene, mettete quell’uomo alla porta!

FIELDBO. Stensgard?

BRATSB. Sì, quel cavaliere d’industria.... non voglio neanche
pronunciare il suo nome! Cacciatelo di qui! Vi do carta bianca!

FIELDBO. Carta bianca.... sotto ogni rapporto?

BRATSB. Ma sì, perdio!

FIELDBO. La vostra mano, signor ciambellano.

BRATSB. Eccola.

FIELDBO (_tra sè_). Animo! o adesso o mai più! (_Forte_) Questi egregi
signori possono ascoltarmi un istante?

BRATSB. Il dottor Fieldbo ha la parola.

FIELDBO. Ho l’onore di partecipare a tutti, dietro consenso di
Sua Eccellenza il ciambellano Bratsberg, il mio fidanzamento colla
signorina Dora, sua figlia.

       (_Grande sorpresa. Dora getta un leggero grido. Bratsberg
                 vorrebbe dir qualche cosa, poi tace_).

STENSG. Il suo fidanzamento! (a Fieldbo). Il tuo....

HEJRE. Colla figlia del ciambellano? (_Rivolto a Bratsberg_) Con
tua.... con.... con....

LUND. Ma il dottore è impazzito!

STENSG. Ma, signor ciambellano....

BRATSB. Eh, che volete farci? Io sono un libero pensatore, e mi unisco
alla Lega dei giovani!

FIELDBO. Grazie, grazie e.... perdonate!

BRATSB. Noi siamo nel secolo delle Associazioni, signor avvocato.
Evviva la libera concorrenza!

DORA. Oh mio caro padre!

LUND. E giacchè siamo sull’argomento matrimonio, vi annuncierò anoh’io
un altro fidanzamento tra....

STENSG. Che! non è vero!

LUND. Verissimo! Il fidanzamento della signorina Monsen con....

STENSG. È falso, vi dico che è falso!

DORA. Sì, papà, è verissimo: sono qui tutti e due.

BRATSB. Ma chi dunque?

DORA. Anna e lo studente Helle: là. (_Indica la porta a destra_).

LUND. Sicuro; lo studente Helle: è proprio lui!

BRATSB. È qui? In casa mia? (_Va verso la porta_) Venite, venite pure,
cari ragazzi!

ANNA (_timidamente_). Oh, no, no: c’è troppa gente!

BRATSB. Su, coraggio; tenete la fronte alta, voi non avete colpa di ciò
che è accaduto.

HELLE. Essa non ha più casa, signor ciambellano.

ANNA. Ah, se voi non ci aiutate!

BRATSB. Calcolate su di me. Intanto io vi ringrazio d’aver cercato un
asilo in casa mia.

HEJRE. Ma che bella cosa eh, eh! Un fidanzamento dietro l’altro!...
Allora io posso completare la lista.

BRATSB. Come? Tu? Alla tua età! Ma sei matto?

HEJRE. Ma non si tratta di me!... oh! oh!

LUND. La partita è perduta, signor Stensgard.

STENSG. Credete? (_Ad alta voce_). Tocca a me signor Hejre, di
completar la lista. Signore, signori: anch’io ho una partecipazione da
darvi.

BRATSB. Come?

STENSG. Si può condurre un doppio gioco, si possono dissimulare le
proprie idee, quando ciò sia necessario all’interesse pubblico. La
mia missione è già tracciata e la pongo al di sopra di tutto. La mia
attività è consacrata a questo distretto, bisogna illuminare le menti
della popolazione. Non è questa un’opera da cavaliere d’industria.
Gli abitanti della regione devono serrarsi attorno ad uno dei loro.
E perciò ho voluto legarmi ad essi con nodi indissolubili, con quelli
del cuore. Se ho provocato della diffidenza mi si perdoni.... Anch’io,
signori, sono fidanzato!

BRATSB. Voi?

FIELDBO. Fidanzato?

HEJRE. Io posso affermarlo.

BRATSB. Come?

FIELDBO. Con chi?

LUND. Non sarebbe per caso....

STENSG. È un matrimonio d’amore e vantaggioso nello stesso tempo: la
mia fidanzata è la signora Rundholmen.

BRATSB. La vedova dell’albergatore?

LUND. Oh, allora!...

BRATSB. Ma io non capisco.... come.... in quelle condizioni?...

STENSG. È questione di strategia, signor padrone delle ferriere!

LUND. È proprio inespugnabile!


SCENA VII.

=Detti, Aslaksen=, una =Cameriera=.

ASLAK. (_sulla porta_). Domando mille scuse, ma....

BRATSB. Avanti, Aslaksen; venite anche voi a farmi i vostri augurii?

ASLAK. Dio me ne guardi! Non sono così maligno io! Sono qui, perohè ho
assolutamente bisogno di parlare al signor Stensgard.

STENSG. Più tardi aspettami fuori.

ASLAK. Ma niente affatto! Io debbo e voglio parlarvi subito.

STENSG. Silenzio! Non siate così importuno! Oh, signori miei, i decreti
del destino sono strani. Il paese ed io volevano unirci in modo saldo
e duraturo; ed io ho trovato una donna di cuore, che mi renderà lieta
la vita. Ho gettata la maschera di.... cavalier d’industria, ed eccomi
qui, onesto uomo del popolo, in mezzo a voi, pronto a dedicarvi tutta
l’opera mia.

BRATSB. (_alla cameriera che è entrata_). Ebbene, ebbene, che cosa c’è?

CAMERIERA. La signora Rundholmen....

GLI INVITATI. La signora Rundholmen?

CAMERIERA. La signora Rundholmen è qui col suo innamorato.

GLI INVITATI. Col suo innamorato? Ma come! La signora Rundholmen?

STENSG. Che pazzia!

ASLAK. Niente affatto! È appunto quello che volevo dirvi! (_A
Stensgard_).

BRATSB. (_va verso la porta_). Avanti, avanti!


SCENA VIII.

=Detti=, la signora =Rundholmen, Bastiano=.

Sig.ª RUNDHOL. Signor ciambellano, vi prego, non abbiatevene a male....

BRATSB. Perchè? Tutt’altro!

Sig.ª RUNDHOL. Ho proprio voluto presentarvi io stessa il mio
fidanzato, e anche alla signorina....

BRATSB. Bene, bene: dunque voi siete fidanzata? Ma....

DORA. Noi non sapevamo nulla.

STENSG. (_ad Aslaksen_). Ma, in nome di Dio, come va questa faccenda?

ASLAK. Io avevo tante cose per la testa ieri!

STENSG. Ma la mia lettera l’avrete consegnata, spero!

ASLAK. Quella di Bastiano, sì; ma la vostra no, eccola!

STENSG. (_prende la lettera, la stropiccia e la mette in tasca_).
Quella di Bastiano! Ah maledetto corvo di malaugurio!

Sig.ª RUNDHOL. Sì, io ho capito subito. Bisogna diffidare degli
uomini.... quando si hanno delle intenzioni oneste.... Ah siete qui,
signor avvocato? Non vi congratulate con me dunque?

HEJRE (_a Lundestad_). Che occhiate terribili gli lancia!

BRATSB. Ma certo che si congratula con voi, signora Rundholmen! E
voi stessa non porgete le vostre felicitazioni alla vostra futura
cognatina?

Sig.ª RUNDHOL. Chi dunque?

DORA. Anna. Anch’essa è fidanzata.

BAST. Tu, Anna?

Sig.ª RUNDHOL. Ma sì, il mio fidanzato m’aveva detto che un certo
signore aveva domandato la sua mano; è vero!.... Tanti augurii a tutti
e due! Siate il benvenuto in famiglia, signor Stensgard!

FIELDBO. Ma non è lui!

BRATSB. È lo studente Helle il fidanzato di Anna. È un ottimo giovane.
Ma voi dovete anche congratularvi con mia figlia....

Sig.ª RUNDHOL. Oh, cara signorina! Il signor Lundestad aveva ragione.
Le mie felicitazioni, signorina, e anche a voi, signor avvocato!

FIELDBO. Signor dottore, bisogna dire, perchè sono il felice fidanzato,
signora Rundholmen.

Sig.ª RUNDHOL. Allora io non capisco più niente.

BRATSB. Ed io invece comincio a capire!

STENSG. Vogliate scusarmi: ma un affare di premura....

HEJRE. Ci private così presto della vostra amabile compagnia? Oh!

BRATSB. (_piano a Lundestad_). Lundestad, come l’avevate chiamato
l’altro giorno? cavalier d’industria e.... l’altra parola?

LUND. Avventuriero!

STENSG. A rivederci.

BRATSB. Ancora una parola: una parola che da molto tempo ho sulle
labbra.

STENSG. (_andando verso la porta_). Scusate, scusate, ho premura!

BRATSB. (_seguendolo_). Avventuriero!

STENSG. A rivederci, a rivederci! (_Esce_).

BRATSB. Oh! s’è purificata l’aria, amici miei!

BAST. E con me, signor ciambellano, non l’avete per quello che è
accaduto da noi?

BRATSB. Eh, ognuno pensa ai casi suoi, caro mio!


SCENA ULTIMA.

=Detti, Selma, Erik= poi =Ringdal.=

        (_Durante la scena precedente Selma è stata sulla porta
                              di destra_).

SELMA. Padre mio, sei soddisfatto adesso? Gli permetti di venire?

BRATSB. Selma! Tu m’implori per lui! tu, che l’altro giorno....

SELMA. L’altro giorno è ormai lontano.... Tutto è rimediato. Ho capito
adesso che egli non è semplicemente una macchina calcolatrice, ma che
sa anche fare delle pazzie!

BRATSB. E te ne rallegri?

SELMA. Sì, che possa farne è un conto, ma che noi gliele lasciamo fare,
è un altro!

BRATSB. Che venga. (_Selma esce_).

RINGD. (_arriva dalla prima porta a destra_). Ecco la vostra lettera di
rinuncia.

BRATSB. Grazie, laceratela.

RINGD. Lacerarla?

BRATSB. Sì, Ringdal, non è redatta nella forma voluta. Oltre a ciò....

ERIK. (_arrivando con Selma dalla destra_). Padre mio, è vero che mi
perdoni?

BRATSB. (_dandogli la cambiale_). Non voglio essere più inflessibile
del destino!

ERIK. Papà, da oggi stesso rinuncio a quel commercio, al quale tu ti
opponevi tanto.

BRATSB. No, ragazzo: non torniamo indietro. Tu non devi lasciar la tua
carriera, ma io, io stesso mi associerò a te. (_Ad alta voce_) Sapete
la novità, signori? Divento socio di mio figlio!

GLI INVITATI. Ma come? voi, voi.... signor ciambellano?...

HEJRE. Tu, mio carissimo?

BRATSB. Sì, è un commercio onesto ed utile, almeno può diventarlo. Non
ho più ragione di astenermene.

LUND. Signor ciambellano, se voi prendete parte alla vita attiva del
paese, sarebbe ridicolo e vergognoso che un vecchio lavoratore come me,
non facesse il suo dovere!

ERIK. Voi, davvero?

LUND. Sì, sì: dopo le delusioni amorose toccate oggi al povero
Stensgard, non vorrei certo forzarlo ad occuparsi degli affari
pubblici. Poveretto, avrà ben altro in mente! Bisogna prima che si
rimetta dalla batosta sofferta; gli faremo cambiar aria, lo manderemo
in viaggio. Intanto, miei cari concittadini, se voi avete bisogno di
me, eccomi qua!

MOLTI INVITATI (_stringendogli la mano_). Grazie, Lundestad! Voi siete
sempre il nostro vecchio Lundestad! Voi non vi smentite mai!

BRATSB. Oh benissimo! Tutto è successo per il meglio, e tutto
finalmente si accomoda bene. Ma chi è, in conclusione, la causa di
tutto ciò?

FIELDBO. Ecco Aslaksen, che ne ha la sua buona parte!

ASLAK. (_spaventato_). Io, signor dottore? Ma se io sono innocente come
l’acqua fresca!

FIELDBO. Ma la lettera che....

ASLAK. Non è colpa mia, ma dell’elezione, di Bastiano Monsen, del
destino, del caso, della signora Rundholmen, e del suo punch: non c’era
abbastanza limone dentro! Ed eccomi ancora sulla breccia colla stampa!

BRATSB. (_avvicinandosi_). Come? che cosa dite?

ASLAK. La stampa, signor ciambellano.

BRATSB. La stampa? Ma non v’ho sempre detto io che al giorno d’oggi la
starhpa è una potenza straordinaria?

ASLAK. Oh, non mi pare, signor ciambellano!...

BRATSB. Bene, bene: fino ad ora non ho mai letto il vostro giornale; ma
in avvenire lo leggerò. Me ne volete dare dieci copie?

ASLAK. Venti, se volete, signor ciambellano!

BRATSB. Ebbene, mandatemene venti. E se il denaro vi mancherà, venite a
trovarmi: ma vi avviso fin d’ora, non scriverò mai una riga.

RINGD. Signor ciambellano, è vero ciò che mi dicono? Vostra figlia è
fidanzata?

BRATSB. Sì, che ve ne pare?

RINGD. Io ne sono felicissimo. Ma da quando?...

FIELDBO (_rapidamente_). Ne parleremo più tardi!

BRATSB. Dal 17 maggio, ultimo scorso!

FIELDBO. Come?

BRATSB. Il giorno stesso che la signorina Anna....

DORA. Come, papà, tu sapevi?...

BRATSB. Sì, mia cara, io l’ho sempre saputo.

FIELDBO. Oh, signor ciambellano!

DORA. Ma chi ha?...

BRATSB. Un’altra volta, mie belle ragazze, parlerete più a bassa voce,
quando io faccio la mia siesta sotto la tenda.

DORA. Oh, Dio, dunque eri là?...

FIELDBO. Ora capisco il vostro modo d’agire.

BRATSB. Sì, ma come avete potuto tacere?

FIELDBO. E a che scopo avrei parlato prima del tempo?

BRATSB. Avete ragione: era destino che le cose finissero così.

DORA (_piano a Fieldbo_). Oh lo vedo che sai tacere! Di tutta questa
storia di Stensgard, perchè non m’hai mai raccontato nulla?

FIELDBO. Quando lo sparviero gira intorno alla colomba, si sta in
guardia, senza spaventarla! (Sono interrotti dalla signora Randholmen).

HEJRE (_a Bratsberg_). Senti; scusa sai, ma bisognerebbe che noi
rimandassimo il nostro processo ad epoca indeterminata....

BRATSB. Ti pare? per me son dispostissimo.

HEJRE. Ho accettato il posto di redattore al giornale di Aslaksen.

BRATSb. Bravo, benissimo.

HEJRE. E capirai tu stesso che le numerose occupazioni....

BRATSB. Figurati, caro amico, io posso aspettare fin che vuoi.

Sig.ª RUNDHOL. (_a Dora_). Oh sì, ho pianto troppo per quell’infame, e
non lo meritava davvero! Adesso ringrazio Dio d’avermi dato Bastiano,
che è così buono e bravo! Quell’altro invece.... falso come Giuda, e
inoltre pieno di vizii; fuma come un turco, ghiottone, come pochi ne ho
veduti.... Infine è stata una fortuna per me d’essermene liberata.

CAMERIERA. Il signor ciambellano è servito.

BRATSB. Io vi ringrazio tutti nuovamente, signori. Signor possidente
Lundestad, voi restate con noi, e anche voi, signor tipografo Aslaksen!

RINGD. Non mancheranno certo gli argomenti per i brindisi!

HEJRE. No, certamente. E sarà anche permesso a un vecchio come me di
fare un brindisi agli assenti.

LUND. Gli assenti possono ritornare, signor Hejre.

HEJRE. Alludete all’avvocato?

LUND. Sì, e credete a me, signori: fra dieci o quindici anni, Stensgard
sarà deputato o ministro, o meglio tutti e due assieme.

FIELDBO. Fra dieci o quindici anni? Ma allora non potrà più essere alla
testa della Lega dei giovani!

HEJRE. E perchè no?

FIELDBO. Perchè anche lui.... sarà d’un’età un po’ equivoca.

HEJRE. Allora si metterà alla testa d’una Lega di gente equivoca: è
questa la vostra idea, Lundestad? Del resto siete anche voi del parere
di Napoleone, che diceva: «La gente equivoca è quella che dà i più
grandi uomini politici.» Eh, eh!

FIELDBO. Ma la nostra unione non morrà, e sarà sempre la Lega dei
giovani. Quando Stensgard, fra il plauso della folla, fu portato in
trionfo, nel giorno fortunoso di libertà, egli proclamò che la Lega dei
giovani contraeva un’alleanza colla Provvidenza. E credo che il nostro
ottimo Pastore, qui presente, approverà questo patto.

BRATSB. Lo credo io pure, miei cari amici. Poichè, davvero noi abbiamo
errato, come smarriti nel buio, ma buoni angeli vegliavano su di noi.

LUND. Sì, grazie a Dio, li abbiamo avuti, anzi in mezzo a noi, gli
angeli tutelari.

ASLAK. E tutto per le nostre condizioni locali, signor Lundestad.


  FINE.





Nota del Trascrittore

Ortografia e punteggiatura originali sono state mantenute, correggendo
senza annotazione minimi errori tipografici.





*** END OF THE PROJECT GUTENBERG EBOOK LA LEGA DEI GIOVANI ***


    

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