The Project Gutenberg eBook of Gian Gabriele Borkman
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Title: Gian Gabriele Borkman
Author: Henrik Ibsen
Release date: December 22, 2025 [eBook #77533]
Language: Italian
Original publication: Milano: Treves, 1900
Credits: Barbara Magni and the Online Distributed Proofreading Team at http://www.pgdp.net (This file was produced from images made available by The Internet Archive)
*** START OF THE PROJECT GUTENBERG EBOOK GIAN GABRIELE BORKMAN ***
ENRICO IBSEN
GIAN GABRIELE BORKMAN
DRAMMA IN QUATTRO ATTI
Versione autorizzata di Mario Buzzi
MILANO
FRATELLI TREVES, EDITORI
1900.
PROPRIETÀ LETTERARIA
_Chi intende valersi di questa traduzione per la recita, deve
assolutamente ottenerne il permesso dal D.r Mario Buzzi,
Via Cassa di Risparmio, 1, Trieste._
Tip. Fratelli Treves.
PERSONAGGI:
GIAN GABRIELE BORKMAN, ex direttore di una Banca.
GUNILDE BORKMAN, sua moglie.
ERARDO BORKMAN, studente, loro figlio.
ELLA RENTHEIM, sorella gemella della signora Borkman.
FANNY WILTON.
GUGLIELMO FOLDAL, impiegato in un ministero.
FRIDA FOLDAL, sua figlia.
UNA CAMERIERA.
_L’azione si svolge, durante una sera d’inverno, nella villa della
famiglia Rentheim, poco lungi dalla Capitale._
ATTO PRIMO.
Camera della signora Borkman. Porta aperta nel fondo, che riesce
sulla veranda: a traverso le invetriate della veranda si scorge il
giardino coperto di neve. Alla parete di destra, porta che dà sulla
strada: più avanti un’antica stufa di ferro, in cui crepita un buon
fuoco. Nel fondo a sinistra piccolo uscio: più in qua finestra
con pesanti cortinaggi. Fra l’uscio e la finestra un sofà ed un
tavolino con tappeto: sul tavolino lampada accesa con paralume.
Seggiolone addossato alla stufa. Al di fuori, sotto l’incerto
bagliore del crepuscolo, la neve cade a piccoli fiocchi.
SCENA PRIMA.
La =Signora Borkman= sola; poi la =Cameriera=; poi =Ella Rentheim=.
(_La signora Borkman, una donna attempata, dai capelli incanutiti
e dall’aspetto freddo e grave, è seduta sul sofà e sta lavorando
d’uncinetto: le sue mani sono affusolate e diafane. È vestita
di un abito di seta nera, fuori di moda ed alquanto usato: sulle
spalle porta uno scialle di lana. All’alzarsi della tela la signora
Borkman tralascia di lavorare e se ne sta immobile e meditabonda.
Si ode il tintinnìo dei sonagli di una slitta, che arriva._)
Sig.ª BORK. (_dopo di essere stata in ascolto, esclama quasi
involontariamente, ma raggiante di gioia:_) Erardo! Finalmente!
(_S’alza e guarda fuori della finestra: ma poi, delusa, ritorna al
tavolino e riprende il lavoro. Poco dopo dalla porta di destra entra la
Cameriera con un vassoio._)
Sig.ª BORK. (_impaziente_). Dunque il signor Erardo non è ancora
arrivato?
CAM. No, signora. C’è però di fuori una signora....
Sig.ª BORK. (_mettendo da parte il lavoro_). Sarà la signora Wilton....
CAM. (_avvicinandosi alla signora Borkman_). No, è una signora che non
conosco.
Sig.ª BORK. (_indicando il biglietto di visita sul vassoio_). Datemi
quel biglietto.... (_dopo aver dato un’occhiata al biglietto, s’alza
fissando la cameriera_) Ma siete proprio certa che il biglietto è per
me?
CAM. Sì, è per la signora, o almeno così mi parve d’aver sentito....
Sig.ª BORK. E quella signora vi ha detto che voleva parlare con me?
CAM. Sì, con lei, signora.
Sig.ª BORK. Ebbene, fatela entrare.
(_La cameriera va ad aprire — Ella Rentheim entra. Ella Rentheim è
molto somigliante alla sorella: il suo aspetto però è di persona
sofferente, quantunque i lineamenti del volto rivelino ancora
le tracce di una splendida bellezza. I capelli folti ed ondulati
sono completamente bianchi. Porta cappellino e veste un abito di
velluto nero ed un mantello foderato di pelliccia. Le due sorelle
si guardano vicendevolmente con sguardo indagatore; tutte e due
sembrano dapprima perplesse di rompere il silenzio._)
ELLA RENT. (_ferma accanto alla porta_). Sei meravigliata di vedermi
qui, Gunilde?
Sig.ª BORK. (_immobile, in piedi fra il sofà ed il tavolino, sfiorando
il tappeto con le punte delle dita_). Non ti pare d’aver sbagliato
strada? Dovresti pur sapere che il fattore abita dall’altra parte della
casa.
ELLA. Oggi non ho da parlare col fattore.
Sig.ª BORK. Hai forse da parlare con me?
ELLA. Sì. Ho da parlare con te.
Sig.ª BORK. (_movendole incontro_). Allora.... prendi posto.
ELLA. No, grazie; posso starmene bene anche in piedi.
Sig.ª BORK. Fa come meglio ti aggrada. Ma levati almeno il mantello.
ELLA (_sbottonando il mantello_). Infatti in questa stanza fa un po’
troppo caldo....
Sig.ª BORK. Soffro tanto freddo!
ELLA (_fissando la sorella ed appoggiando un braccio sul seggiolone_).
Gunilde, sono ormai trascorsi quasi otto anni dall’ultima volta che ci
siamo viste.
Sig.ª BORK. (_fredda_). Sì, otto anni dall’ultima volta che abbiamo
parlato insieme.
ELLA. Hai ragione: dall’ultima volta che abbiamo parlato insieme —
giacchè nel frattempo avesti più d’una volta occasione di vedermi....
ogni anno, quando venivo qui, dal fattore.
Sig.ª BORK. Credo due o tre volte, tutt’al più.
ELLA. Anche io ti vidi un paio di volte, alla sfuggita.... là, alla
finestra.
Sig.ª BORK. È possibile; m’avrai visto rincantucciata dietro le
cortine. Che buona vista la tua! (_ruvida e pungente_) Ma l’ultima
volta che ci parlammo fu proprio qui, in questa stanza....
ELLA (_interrompendo_). Lo so, Gunilde!
Sig.ª BORK. Una settimana prima.... prima che egli venisse fuori....
ELLA (_facendo qualche passo per la stanza_). Non tocchiamo
quell’argomento!
Sig.ª BORK. (_con voce sommessa, ma energica_). Una settimana prima che
egli.... il direttore di Banca, venisse rimesso in libertà.
ELLA (_c. s._). Sì — è vero! Mi ricordo benissimo di ogni particolare!
Ma è così angoscioso, di non poter pensare a quei ricordi così
tristi.... oh!
Sig.ª BORK. E con tutto ciò non è dato liberarsi di quei pensieri,
che continuano a girare e rigirare incessantemente nella fantasia!
(_con impeto, battendo le mani_) No, non lo comprendo! Dovessi vivere
ancora cent’anni, non lo potrei comprendere! Non posso comprendere
come una simile disgrazia.... una disgrazia tanto terribile abbia
potuto piombare sur una famiglia! E pensa.... sulla nostra famiglia!
Una famiglia tanto rispettabile quanto la nostra! Chi avrebbe mai
potuto soltanto pensare che proprio la nostra famiglia dovesse venirne
travolta!
ELLA. Oh Gunilde.... molte, molte altre famiglie furono colpite da
quella disgrazia.
Sig.ª BORK. Sì, hai ragione; ma di quelle famiglie non mi do tanto
pensiero, perchè per loro la catastrofe si ridusse unicamente alla
perdita di qualche centinaio di corone.... o di qualche centinaio di
banconote.... Ma per noi....! Per me! Per il mio povero Erardo! Per
il mio povero bambino — perchè in allora Erardo era ancora bambino!
(_sempre più eccitata_) L’onta, di cui fummo coperti noi due innocenti!
E poi la vergogna! Quell’odiosa, quell’orribile vergogna! E per giunta:
rovinati completamente!
ELLA (_con diffidenza_). Dimmi, Gunilde.... come sopporta le
conseguenze del suo fallo?
Sig.ª BORK. Chi? Erardo?
ELLA. No.... lui. Rispondimi!
Sig.ª BORK. Credi forse ch’io gli domandi....?
ELLA. Oh, ma non occorre domandare....
Sig.ª BORK. (_guardandola meravigliata_). Spero bene che non vorrai
credere che io viva con lui! Trovarmi con lui? Vederlo?
ELLA. Neppur vederlo!
Sig.ª BORK. Vedere un uomo, che dovette scontare cinque lunghi
anni di carcere? (_nascondendosi il viso fra le mani_) Oh quale
onta! (_alzandosi_) Se poi penso di quale aureola fosse a suo tempo
circonfuso il nome di Gian Gabriele Borkman!... No, no, no.... non
voglio più vederlo.... mai più.
ELLA (_fissandola per qualche tempo_). Gunilde, tu hai un cuore ben
duro!
Sig.ª BORK. Verso di lui — sì.
ELLA. Al postutto egli resta sempre tuo marito.
Sig.ª BORK. Ma non fu forse lui, che in tribunale, durante il suo
processo, incolpò me di essere stata la causa, che lo aveva trascinato
al precipizio, la causa della rovina, rinfacciandomi di avere sprecato
migliaia di corone?
ELLA (_esitante_). Che non ci fosso un po’ di verità in quelle sue
confessioni?
Sig.ª BORK. No, egli voleva che tutti sprecassero con quella
leggerezza....
ELLA. Lo so, lo so: ed appunto per questo motivo avresti dovuto
mettergli a tempo un freno. Oh quanto bene gli avresti procurato
mettendogli un freno!
Sig.ª BORK. E doveva io sapere che non era suo il denaro.... sì, il
denaro che egli mi lasciava sprecare? E quanto e come ne sprecò lui!
Dieci volte più di me.
ELLA (_con calma_) Forse il posto coperto da Borkman avrà portato con
sè tutto quello spreco o almeno una buona parte.
Sig.ª BORK. (_ironica_). Certo: ci fu un tempo, in cui si andava sempre
ripetendo che la famiglia del direttore Borkman doveva figurare. Ed
egli sapeva “figurare„ e splendidamente. Quando sdraiato nel suo tiro
a quattro passava davanti alla casa, pareva come se passasse un re:
egli rispondeva ai saluti della gente proprio come un monarca. La gente
pronunciava il suo nome come il nome di un re: “Gian Gabriele!„ “Gian
Gabriele!„ Tutti sapevano di quanta grandezza fossero circonvolti quei
due nomi!
ELLA (_risoluta e con calore_). Allora egli era infatti una grandezza.
Sig.ª BORK. Sì, apparentemente. Mai, però, mai egli mi fece conoscere,
neppure con una sola parola, quali fossero le sue condizioni
finanziarie; nè mai m’indicò la provenienza di tutto quel denaro.
ELLA. Oh no.... anche gli altri non avrebbero potuto supporlo.
Sig.ª BORK. Verso gli altri non lo avrei tenuto responsabile; ma
verso di me era suo dovere di dire la verità. E la verità non me
la disse mai! Menzogne, menzogne, ecco il suo sistema; e m’ingannò
sfrontatamente.
ELLA (_interrompendola_). Scaccia dalla testa una simile idea, Gunilde!
Borkman non ti ha ingannata — non ha mentito; forse egli credette più
opportuno di sottacerti il vero stato delle cose.
Sig.ª BORK. Fa pure questione di parole, se così t’aggrada: il
risultato rimane sempre l’identico.... Poi sopravvenne la catastrofe e
tutto andò in rovina. Anche tutta l’aureola!
ELLA (_sopra pensiero_). Sì, tutto andò in rovina.... per lui.... ed
anche per gli altri.
Sig.ª BORK. (_alzandosi minacciosa_). Ella.... devo però osservarti,
che non mi do ancora per vinta! Oh io saprò bene ancora procurarmi una
soddisfazione! Puoi esserne certa!
ELLA (_con ansia_). Vuoi procurarti una soddisfazione? Non ti
comprendo....
Sig.ª BORK. Voglio procurarmi una soddisfazione per riabilitare il
nome, che andò perduto coll’onore e coll’agiatezza! Voglio avere una
soddisfazione per la mia vita trascorsa sì miseramente, comprendi!
Sappi che tengo in mio potere un uomo.... un uomo, che deve lavare
l’onta del direttore.
ELLA. Ma Gunilde! Gunilde!
Sig.ª BORK. (_sempre più accalorandosi_). Pensa che esiste una mano
vendicatrice, la mano di un uomo, che deve riparare a tutto il male che
mi fece suo padre!
ELLA. Erardo — dunque!
Sig.ª BORK. Sì, Erardo.... il mio diletto figliuolo! Oh egli saprà
certamente rialzare le sorti della casa, della famiglia, del nostro
nome. Erardo ricostruirà tutto quello che è ancora possibile di
rifare.... e forse anche qualche cosa di più.
ELLA. E come credi che ciò potrà mai avvenire?
Sig.ª BORK. Avvenga quello che si voglia.... io non lo so. Ma è
fuori di dubbio che tutto ciò debba accadere — un giorno o l’altro,
(_tentando di leggere negli occhi di Ella_) E a te, Ella.... non
passò mai per la mente una simile idea, allorquando Erardo era ancora
bambino?
ELLA. Non lo saprei....
Sig.ª BORK. Da senno? E perchè conducesti con te, via di qui, il
piccolo Erardo, quando la bufera scoppiò.... sopra questa casa?
ELLA. In allora tu non avresti potuto occuparti di Erardo, Gunilde.
Sig.ª BORK. Ah, sì, è vero, è vero. E poi suo padre aveva un motivo ben
giustificabile per non poter occuparsi di suo figlio.... era così ben
guardato là, dove si trovava....
ELLA. Gunilde! Come parli!
Sig.ª BORK. (_con tono invelenito_). E pensare che ti adattasti ad
assumere l’educazione del figlio.... del figlio di un Gian Gabriele,
e che lo trattasti come se fosse stato tuo!... Portarmi via il
bambino?... andar con lui lontano di qui?... tenerlo tanti anni in casa
tua, dove egli trascorse quasi tutta la sua infanzia?... (_guardandola
con diffidenza_) Ma, Ella, spiegami il perchè di tutte queste tue
premure verso Erardo? Dimmi perchè lo tenesti tanto tempo sotto la tua
vigilanza?
ELLA. A poco a poco, Erardo incominciò a volermi tanto bene....
Sig.ª BORK. Più che a me.... sua madre!
ELLA (_pronta_). Non lo so.... e poi Erardo era allora di gracile
complessione.
Sig.ª BORK. Gracile? Erardo!
ELLA. Almeno mi fece l’impressione.... quella volta. Oltre a ciò, non
devi dimenticarti che la temperatura di laggiù, alla costa, è molto più
mite di quella di questa regione.
Sig.ª BORK. (_sorridendo amaramente_). Davvero? più mite?
(_interrompendosi_) Sì, sì, tu hai fatto del bene, molto, ad Erardo.
(_cambiando tono_) Del resto era facile per te, Ella, che ne avevi i
mezzi, (_sorridendo_) La sorte ti fu propizia, Ella! Arrivasti ancora
in tempo a salvare tutto il tuo patrimonio!
ELLA (_compunta_). Eppure io non feci neppure un passo per riacquistare
il mio denaro.... te l’assicuro. Non potevo supporre — e lo rilevai
soltanto molto più tardi — che tutte quelle carte, che erano depositate
a mio nome alla Banca.... fossero state risparmiate....
Sig.ª BORK. Bene; bene: io già non me ne intendo di questi affari. Ti
ripeto soltanto che fosti molto fortunata. (_con sguardo scrutatore_)
Ma dimmi quale era la tua intenzione, quando, in vece mia, ti decidesti
di educare Erardo?
ELLA (_fissando la sorella_). Quale fosse la mia intenzione?
Sig.ª BORK. Avrai avuto pure una intenzione! Mi spiego: cosa volevi
fare di Erardo?
ELLA (_con calma_). Volevo facilitargli il cómpito di diventare l’uomo
più felice di questo mondo.
Sig.ª BORK. (_con sprezzo_). Bah! I disgraziati della nostra specie
hanno ben altro da fare che di pensare alla felicità!
ELLA. Intenderesti dire....?
Sig.ª BORK. (_con gravità_). Tutti i pensieri di Erardo dovono essere
rivolti tanto in alto, tendere ad un punto sì eccelso, che nessun
uomo del paese possa più scorgere l’ombra, in cui suo padre ha voluto
gettare me.... e mio figlio.
ELLA (_indagando_). Dimmi, Gunilde: Erardo si è proprio prefissa questa
méta per la sua vita....?
Sig.ª BORK. (_meravigliata_). Oso sperarlo!
ELLA. .... o questa méta, alla quale vorresti vederlo indirizzato, non
è che un semplice desiderio da parte tua?
Sig.ª BORK. (_freddamente_). Io ed Erardo abbiamo avuto sempre le
stesse aspirazioni.
ELLA (_accorata_; _lentamente_). Puoi adunque contare in tal modo su
tuo figlio, Gunilde?
Sig.ª BORK. (_con aria di trionfo_). Sì.... grazie a Dio. Puoi esserne
convinta!
ELLA. Allora, ad onta di tutte le tue disgrazie, devi pur sentirti
felice.
Sig.ª BORK. Infatti.... o almeno sotto questo rapporto. — Ma poi, ad
ogni istante, rivive il ricordo di quell’altra storia.... e allora
nella mia anima si scatena la bufera.
ELLA (_cambiando tono_). Dimmi.... dimmi adunque.... perchè sono venuta
qui proprio per questo....
Sig.ª BORK. Ebbene parla! Spiegati!
ELLA. Vorrei parlarti di un affare.... ma prima dimmi un po’.... Erardo
non abita qui, con voi....?
Sig.ª BORK. (_freddamente_). Erardo non può abitare qui, con me. Egli
devo tenere la sua abitazione in città....
ELLA. Lo so da una sua lettera....
Sig.ª BORK. Erardo deve rimanere in città per finire i suoi studi: però
egli viene a trovarmi qui ogni sera.
ELLA. Allora forse lo potrò vedere qui da te? Sta bene: approfitterò
dell’occasione per dirgli qualche cosa.
Sig.ª BORK. Oggi non è ancora venuto, però non può tardare più oltre.
ELLA. Eppure, Gunilde.... a quest’ora Erardo deve essere già venuto:
sento rimbombare i suoi passi sopra di noi.
Sig.ª BORK. (_con uno sguardo fugace_). Qui sopra — nel salotto?
ELLA. Sì. Ho sentito il rumore dei suoi passi durante tutto il tempo
che abbiamo parlato.
Sig.ª BORK. (_volgendo altrove gli occhi_). Non sono i passi di Erardo,
Ella!
ELLA (_meravigliata_). Non è Erardo? (_con aria di presentimento_) Ma
chi è dunque che cammina nel salotto del primo piano?
Sig.ª BORK. Il direttore di Banca.
ELLA (_con un filo di voce, quasi come se provasse dolore_). Gian
Gabriele! Gian Gabriele Borkman!
Sig.ª BORK. Passeggia su e giù — da mattina a sera; tutti i giorni —
sempre così.
ELLA. Mi si raccontò infatti....
Sig.ª BORK. Lo credo. La gente parla qualche volta di noi....
ELLA. Lo seppi da Erardo, che in una delle sue lettere mi raccontò che
suo padre conduceva una vita solitaria, nel salotto del primo piano.
Egli mi scrisse altresì che tu avevi fissato il tuo appartamento al
pianterreno.
Sig.ª BORK. Sì, Ella: tiriamo innanzi in questo modo dal giorno in cui
lo rimisero in libertà e me lo rimandarono a casa. Pensa, sono già otto
lunghi, otto eterni anni, che conduciamo questa vita!
ELLA. Non avrei però mai creduto che si dovesse prender per buona
moneta tutto ciò che Erardo mi scrisse sul vostro metodo di vita. Mi
pareva impossibile....
Sig.ª BORK. (_affermando col capo_). Tutto verità! D’altronde non
poteva essere altrimenti.
ELLA (_fissandola_). Quale orribile vita è la vostra, Gunilde!
Sig.ª BORK. Tormentosa più che orribile.... ed ormai quasi
insopportabile.
ELLA. Lo comprendo benissimo.
Sig.ª BORK. Sento sempre il rumore dei suoi passi: da mattina a
sera.... e come echeggiano qui abbasso!
ELLA. Echeggiano forte, è vero.
Sig.ª BORK. Qualche volta mi sembra che i suoi passi sieno simili a
quelli di un lupo ammalato, rinchiuso nel salotto come in una enorme
gabbia. (_stando per un momento in ascolto_) Ascolta, ascolta.... su e
giù.... il lupo si muove su e giù....
ELLA (_con precauzione_). E non potrebbe mutarsi questa situazione,
Gunilde?
Sig.ª BORK. (_pronta_). Egli non ha mai fatto nemmeno un passo verso di
me.
ELLA. E non potresti tu fare il primo?
Sig.ª BORK. (_stizzita_). Io? dopo quel delitto, che egli commise
contro di me!... Grazie tante! Che il lupo resti pure nel salotto, dove
potrà muoversi a suo talento.
ELLA. Il caldo si fa sempre più sentire in questa stanza. Se permetti,
vorrei mettermi un po’ in libertà.
Sig.ª BORK. Te lo dissi già prima....
(_Ella Rentheim depone il mantello ed il cappellino sopra una sedia
accanto alla porta d’ingresso._)
ELLA. E non accado mai che tu l’incontri fuori di casa?
Sig.ª BORK. (_con riso amaro_). Intendi di dire: in qualche famiglia di
conoscenti?
ELLA. No, quando egli esce di casa per pigliare una boccata d’aria
fresca — laggiù nel bosco o....
Sig.ª BORK. Il direttore non esce mai di casa.
ELLA. Nemmeno verso sera?
Sig.ª BORK. Mai.
ELLA (_scossa_). Non può fare uno sforzo?
Sig.ª BORK. Pare di no. Il suo vecchio pastrano ed il suo cappello a
cencio sono appesi in quell’armadio incassato nel muro.... vicino al
portone.... te ne rammenti?
ELLA (_quasi fra sè_). L’armadio in cui da bambine abbiamo giuocato
tante volte....
Sig.ª BORK. (_affermando col capo_). Qualche volta — verso sera — lo
sento scendere dal salotto.... come se volesse vestirsi ed andar fuori.
Ma di solito egli si ferma già a mezza scala.... e ritorna nel salotto
dove ricomincia la sua passeggiata.
ELLA. (_con voce sommessa_). E non viene mai a trovarlo qualcuno dei
suoi vecchi amici?
Sig.ª BORK. Egli non ha nessun vecchio amico.
ELLA. Eppure.... una volta egli aveva molti amici.
Sig.ª BORK. Ehm! egli seppe rompere quelle amicizie in un modo
veramente ammirabile. Gian Gabriele finì col diventare per gli
amici.... un amico troppo prezioso.
ELLA. Hai ragione, Gunilde.
Sig.ª BORK. (_impetuosamente_). Del resto devo confessare che fu vile,
indegno, abominevole da parte dei suoi amici di dare tanta importanza a
quelle insignificanti perdite, che dovettero subire per causa sua. Alla
fine non perdettero che un po’ di denaro: più in là niente.
ELLA (_senza darle ascolto_). Sicchè egli vive lassù nel salotto, solo,
tutto in balìa di sè stesso.
Sig.ª BORK. Probabilmente: mi hanno raccontato però che qualche volta
lo viene a trovare un vecchio impiegato, uno scrivano.
ELLA. Sarà sicuramente un certo signor Foldal. So che questo signore e
Borkman sono amici d’infanzia.
Sig.ª BORK. È possibile: io però non lo conosco. Questo signor Foldal
non faceva parte del nostro circolo.... del nostro circolo d’una volta.
ELLA. E adesso egli viene a tener compagnia a Borkman?
Sig.ª BORK. Il signor Foldal forse non avrà una numerosa cerchia di
amici: naturalmente il suo impiego non gli permette di andare da lui
che sull’imbrunire.
ELLA. Questo signor Foldal fu anche uno di quelli, che ci rimisero del
denaro all’epoca del fallimento della Banca.
Sig.ª BORK. (_schermendosi_). Mi sembra, infatti, di ricordarmi che
il poveretto perdette in quell’occasione un po’ di denaro. Però la sua
perdita sarà stata ben poca cosa....
ELLA (_facendo un po’ risaltare le parole_). Vi perdette tutto il suo
patrimonio.
Sig.ª BORK. (_sorridendo_). Sì, tutto il suo patrimonio.... è vero;
ma la sua sostanza era tanto insignificante, che non vale la pena di
spendervi altro parole.
ELLA. E Foldal non spese neppure una parola su quell’argomento....
durante il dibattimento.
Sig.ª BORK. Posso però assicurarti che Erardo indennizzò generosamente
il signor Foldal della bagatella che il pover uomo perdette alla Banca.
ELLA (_stupefatta_). Erardo! Ma come mai gli fu possibile
d’indennizzarlo?
Sig.ª BORK. Erardo si prese cura della figlia minore del signor
Foldal. Ora grazie agli sforzi di Erardo essa ha un’educazione, che
le permetterà di farsi fra breve una posizione indipendente e più
che discreta. Capirai che ciò vale molto di più di quello che avrebbe
potuto fare per lei suo padre.
ELLA. È vero — tanto più che il vecchio Foldal deve trovarsi in
condizioni finanziarie poco floride.
Sig.ª BORK. Nota poi che Erardo si occupò a tal segno della educazione
della ragazza, da farle apprendere anche un po’ di musica. E la ragazza
fece tali progressi, che ora può andare.... da lui.... qui sopra, nel
salotto, e può suonargli qualche pezzo.
ELLA. Dunque egli è ancor sempre tanto appassionato per la musica?
Sig.ª BORK. Certo. C’è sopra il pianoforte, che tu ci mandasti....
quando egli era aspettato qui....
ELLA. Sicchè è proprio su quel pianoforte che ora suona la ragazza?
Sig.ª BORK. Sì, — la ragazza viene qualche sera a fargli un po’ di
musica. — E tutto ciò lo si deve ad Erardo.
ELLA. Ma dimmi: la giovane Foldal deve fare ogni volta quel lungo
tratto di strada per venir qui e per poi ritornare in città?
Sig.ª BORK. Non è necessario. Erardo le ha procurato un’occupazione
presso una giovane signora, che sta qui nella vicinanza: la signora
Wilton....
ELLA (_impressionata_). La signora Wilton!
Sig.ª BORK. Una signora molto ricca, che tu non conosci.
ELLA. Ne conosco il nome. La signora Fanny Wilton.... hai detto?
Sig.ª BORK. Sì.
ELLA. Erardo me ne parlò sovente nelle sue lettere. E questa signora
Wilton abita ora qui vicino a voi?
Sig.ª BORK. Ha preso a pigione una villa non lungi dalla nostra: devi
sapere che la signora Wilton ha abbandonato la città soltanto da poco
tempo.
ELLA (_esitante_). Si vocifera che la signora Wilton viva separata dal
marito.
Sig.ª BORK. Credo che il marito sia morto da parecchi anni.
ELLA. È vero: ma in ogni caso il divorzio ci fu.... il marito si fece
separare da lei....
Sig.ª BORK. Il marito la abbandonò: ecco la sola verità. In tutta
quella faccenda la signora Wilton non ebbe ombra di colpa.
ELLA. Sei in una certa intimità con lei, Gunilde?
Sig.ª BORK. Così, così. Come ti dicevo, la signora Wilton abita qui
vicino e qualche volta mi viene a visitare.
ELLA. Ti è anche simpatica?
Sig.ª BORK. Oh è tanto intelligente! Ha un modo di giudicare le cose
tanto esatto; tanto chiaro!
ELLA. E sa giudicare bene anche gli uomini?
Sig.ª BORK. Sì, soprattutto gli uomini. Su Erardo, per esempio, la
signora Wilton ha fatto addirittura uno studio speciale — uno studio
profondo, fino nell’anima. Ed è perciò che egli la porta ai sette
cieli.... il che è ben naturale.
ELLA (_indagando_). Sicchè lei è in maggiore intimità con Erardo che
con te?
Sig.ª BORK. Erardo ebbe maggior occasione di incontrarla in città....
ancor prima che la signora Wilton si fosse decisa di venire ad abitare
in campagna.
ELLA (_sopra pensiero_). Ah dunque quella signora si è alla fine decisa
di venire ad abitare vicino a voi....
Sig.ª BORK. (_guardandola con sdegno_). Che cosa intendi di dire con
queste parole?
ELLA (_tentando di eludere la domanda_). Dio buono! Volevo dire....
Sig.ª BORK. Quelle parole sulle tue labbra mi parvero strane, Ella! Tu
volevi certamente alludere a qualche cosa.
ELLA (_fissandola con uno sguardo energico_). Infatti, Gunilde, io
volevo dirti qualche cosa.
Sig.ª BORK. Dunque parla!
ELLA. Anzitutto devo farti osservare che io tengo un certo diritto su
Erardo, o almeno così mi pare.... Forse me lo negherai?
Sig.ª BORK. (_volgendo lo sguardo verso la parete_). Dio me ne guardi
bene! Tutto il denaro che sborsasti per la sua educazione....
ELLA. Oh non è per il denaro, Gunilde! È perchè io porto affetto a tuo
figlio....
Sig.ª BORK. (_ironica_). A mio figlio? Sarebbe mai possibile? Tu? Ad
onta di tutto quello che è avvenuto?
ELLA. È possibile, sì.... e ad onta di quanto è avvenuto. È proprio
così. Nutro un vivo affetto per Erardo: l’amo come potrei amare un
uomo.... ora, alla mia età.
Sig.ª BORK. È possibile; ma....
ELLA. È perciò, vedi, che m’affanno e mi torturo quando penso che
esiste qualche pericolo per lui.
Sig.ª BORK. Qualche pericolo per Erardo? Ma quale è mai questo
pericolo? Chi glielo minaccia?
ELLA. In prima linea tu.... sì, tu.... a tuo modo....
Sig.ª BORK. (_con impeto_). Io!
ELLA. .... sì; in secondo luogo quella signora Wilton.... almeno lo
suppongo.
Sig.ª BORK. (_dopo averla guardata per qualche tempo_). Come lo
giudichi male! Il mio Erardo! Mio figlio! Erardo, che ha da compiere
una grande missione!
ELLA (_con isprezzo_). Quale missione?
Sig.ª BORK. (_sdegnata_). E me lo domandi con quell’aria di sprezzo!
ELLA. Ma credi forse che un giovanotto dell’età di Erardo.... credi
forse che un giovane sano ed allegro abbia voglia di sacrificarsi
per.... quella tal missione!
Sig.ª BORK. (_con intima convinzione_). Erardo la compierà! Ne sono
certa.
ELLA (_scuotendo il capo_). Gunilde, tu stessa non ne sei certa e non
vi presti nemmeno fede.
Sig.ª BORK. Non prestarvi fede? Io?
ELLA. I tuoi sono sogni e nulla più; senonchè, — lo comprendo bene
— senza quei sogni, la tua vita precipiterebbe senza dubbio nella
disperazione.
Sig.ª BORK. È vero; ciò costituirebbe per me una vita di disperazione!
(_con violenza_) Dimmi, Ella! Vedresti tu di buon occhio una simile
soluzione?
ELLA (_alzando il capo in alto_). Sì: la vedrò di buon occhio.... se
non saprai far di meglio che imporre un giogo ad Erardo.
Sig.ª BORK. Dunque tu vuoi intrometterti fra noi due! Fra madre e
figlio! Tu!
ELLA. Io voglio liberarlo dalle tue mani.... dal tuo giogo.... dalla
tua tirannide.
Sig.ª BORK. (_con aria di trionfo_). Non vi riescirai. Erardo rimase in
tuo potere.... sino ai quindici anni. Ora me lo sono riacquistato io —
comprendi!
ELLA. Oh io saprò riprendertelo! (_a voce bassa_) D’altronde noi due,
Gunilde, abbiamo lottato un’altra volta per un uomo.... ed all’ultimo
sangue.
Sig.ª BORK. (_con aria di tripudio_). Sì, ma in allora fui io la
vincitrice.
ELLA (_ironica_). Persisti ancora nel credere che quella vittoria fosse
per te proprio una conquista?
Sig.ª BORK. (_cupa_). No; purtroppo.
ELLA. Anche dalla lotta, che ora stiamo per impegnare, non potrai
aspettarti una vittoria.
Sig.ª BORK. Ma non sarà per me una vittoria il poter conservare
l’autorità materna sopra Erardo?
ELLA. No, perchè tu vuoi conservare sopra tuo figlio soltanto una
specie di tirannia!
Sig.ª BORK. E tu, invece, a che tendi? quali sono le tue intenzioni?
ELLA (_con calore_). Io voglio far mio il suo carattere così
affettuoso.... la sua anima.... tutto il suo cuore...!
Sig.ª BORK. Non vi riescirai mai!
ELLA (_fissandola_). Hai preso dunque tutte le precauzioni per
difendere il potere che vanti su Erardo?
Sig.ª BORK. (_sorridendo_). Sì: mi sono permessa di prendere tutte le
precauzioni immaginabili. — Ma dalle lettere, che ti scriveva Erardo,
non traspariva proprio nulla di tutto questo cambiamento subentrato nel
frattempo?
ELLA (_affermando lentamente col capo_). Sì. A poco a poco il tuo io
s’era infiltrato in tutti i suoi scritti.
Sig.ª BORK. (_pungente_). Per arrivare a questo risultato adoperai
tutti gli ott’anni.... da quando lo riebbi.... sai.
ELLA (_frenandosi_). E cosa dicesti a Erardo sul conto mio? Si potrebbe
saperlo?
Sig.ª BORK. Sì — certo!
ELLA. Dillo adunque!
Sig.ª BORK. Io non gli dissi che la verità!
ELLA. Quale verità?
Sig.ª BORK. Io gli ripetevo sempre e poi sempre di ricordarsi con
gratitudine che dovevamo unicamente a te l’attuale nostra posizione, la
nostra esistenza.
ELLA. E poi? Continua....
Sig.ª BORK. T’assicuro — lo so per esperienza — tali ricordi non si
cancellano nè si dimenticano mai....
ELLA. Ma tutto questo Erardo lo sapeva ancor prima di ritornare a casa
sua.
Sig.ª BORK. Quando egli ritornò qui, da me, Erardo supponeva ancora che
tutte le tue cure e tutte le tue premure verso di lui non fossero che
il frutto di un cuor d’oro, (_con sguardo raggiante di gioia_) Ora non
lo crede più, Ella!
ELLA. Ed a che cosa crede adesso?
Sig.ª BORK. Ora crede alla realtà dei fatti. Un giorno gli domandai
come potesse spiegarsi che la zia Ella non venisse mai a trovarci....
ELLA (_interrompendola_). Oh Erardo ne sapeva già prima il motivo!
Sig.ª BORK. Ora però lo sa meglio. Tu avevi trasfuso in lui la
convinzione che ciò accadeva per un riguardo verso di me.... e verso
l’uomo di quassù — del salotto....
ELLA. È vero: fu proprio così.
Sig.ª BORK. Ma di quella convinzione non è rimasta ora in Erardo
nemmeno una traccia.
ELLA. E come mai potesti supplire a quella sua convinzione?
Sig.ª BORKe. Ora egli crede alla realtà: egli crede che tu ti vergogni
di noi.... che tu ci disprezzi. — Non corrisponde tutto ciò alla
realtà? Ci fu un’epoca, in cui accarezzasti il progetto di staccare
Erardo completamente da me? Rifletti un po’, Ella — te ne rammenti?
ELLA (_cercando di scansare la domanda_). Fu all’epoca, in cui lo
scandalo aveva raggiunto la sua più scabrosa fase — quando l’affare era
stato già deferito al Tribunale.... Ormai ho mutato pensiero.
Sig.ª BORK. Però, anche se ciò fosse vero, il tuo desiderio non
ne guadagnerebbe gran cosa. Pensa alla missione di Erardo! Che
succederebbe della sua missione? No.... no. Sono io che ho bisogno di
lui.... non tu.
ELLA (_freddamente, ma insoluta_). È quello che vedremo! Sappi intanto
che mi sono decisa di rimanere qui.
Sig.ª BORK. (_trasalendo_). Qui — nella villa?
ELLA. Sì — qui.
Sig.ª BORK. Qui — da noi? Per questa notte?
ELLA. Voglio chiudere i miei giorni in questa villa, se così sta
scritto nel mio destino!
Sig.ª BORK. (_calmandosi_). È giusto, Ella.... d’altronde la villa è
tua.
ELLA. Ma che!...
Sig.ª BORK. Tutto quello che vedi qui appartiene a te. È tua la
sedia che occupo: è tuo il letto sul quale passo tante notti insonni,
agitate.... sì, anche tutto ciò che ci viene giornalmente servito a
tavola, lo dobbiamo esclusivamente a te.
ELLA. Infatti non è possibile altrimenti. Borkman non può più posseder
nulla: in caso contrario potrebbe venir qui qualcuno dei suoi creditori
e portargli via tutto.
Sig.ª BORK. Oh lo so bene! La nostra posizione è tale che per campare
dobbiamo accontentarci di dipendere dalla tua carità e dalla tua
misericordia.
ELLA (_freddamente_). Gunilde! Non posso proibirti di interpretare in
tal senso l’attuale stato delle cose.
Sig.ª BORK. No, non lo puoi.... E dimmi, quando ho da principiare a
sgomberare?
ELLA (_fissandola_). Pensi di sloggiare?
Sig.ª BORK. (_agitata_) Sì, voglio sloggiare: perchè non crederai già
che io sia disposta di vivere con te, nella stessa villa, sotto lo
stesso tetto! No — piuttosto all’ospedale o sulla strada!
ELLA. Bene. Allora acconsenti che Erardo parta con me....
Sig.ª BORK. Erardo! Mio figlio! Mio figlio!
ELLA. Se l’acconsenti, parto subito.
Sig.ª BORK. (_dopo aver riflettuto per un istante_). Lascio ad Erardo
la scelta fra noi due.
ELLA (_con dubbio_). La scelta ad Erardo?... e l’osi, Gunilde?
Sig.ª BORK. (_ridendo forte_). Se l’oso? Lasciar libera la scelta fra
sua madre e te, ad Erardo? Sì, l’oso.
ELLA (_ascoltando_). È arrivato qualcuno! Mi pare di sentire rumore di
passi....
Sig.ª BORK. Sarà Erardo!
(_Bussano alla porta d’ingresso, che s’apre. La signora Wilton,
in abito di visita e mantello, entra nella stanza: la segue la
cameriera, come se volesse scusarsi di non essere arrivata in tempo
per annunziare la visita._)
SCENA II.
La =Signora Borkman=, =Ella Rentheim=, la =Signora Wilton=, la
=Cameriera=; poi =Erardo Borkman=.
(_La signora Wilton, una figura di rara bellezza, è sulla trentina:
ha splendidi capelli castano-oscuri; le sue labbra, rosse e
fresche, sono atteggiate a sorriso._)
Sig.ª WIL. Buona sera, mia cara signora Borkman.
Sig.ª BORK. (_un po’ brusca_). Buona sera, signora Wilton. (_alla
cameriera, additando la lampada che trovasi nella veranda_) Portate
fuori quella lampada od accendetela. (_la cameriera eseguisce e parte_)
Sig.ª WIL. (_accorgendosi della presenza di Ella Rentheim_). Le domando
scusa, signora Borkman.... credevo che la signora fosse sola....
Sig.ª BORK. Non si faccia riguardi! (_presentando Ella Rentheim_) Mia
sorella, arrivata or ora.
(_Erardo Borkman, un giovanotto elegantemente vestito, dall’aspetto
gaio, entra frettolosamente dalla porta d’ingresso._)
ERARDO (_sull’uscio, raggiante di gioia_). È possibile! La zia Ella da
noi? (_correndo incontro alla zia ed afferrandola per le mani_) Zia!
Zia! Tu qui?
ELLA (_gettandogli le braccia al collo_). Erardo! Il mio caro e buon
Erardo! Oh come ti sei fatto grande! Quale gioia di poterti rivedere!
Sig.ª BORK. (_brusca_). Erardo!... Non ti comprendo.... perchè hai
ritardato?
Sig.ª WIL. (_pronta_). Erardo.... il signor Borkman mi ha accompagnato
qui da lei....
Sig.ª BORK. (_scrutando Erardo con lo sguardo_). Ah, è così, Erardo!
Invece di venire prima da tua madre....
ERARDO. Fui un momento dalla signora Wilton.... per prendere la piccola
Frida.
Sig.ª BORK. E dov’è la signorina Foldal?
Sig.ª WIL. Aspetta nell’anticamera.
ERARDO (_per l’uscio aperto_). Vada pur sopra, Frida.
(_Pausa. Ella Rentheim sta osservando Erardo, che sembra impacciato
ed impaziente; ad un tratto il di lui viso assume un’espressione
pensierosa._)
(_La cameriera entra con la lampada accesa, che depone nella
veranda: poi esce e chiude la porta._)
Sig.ª BORK. (_con affettata galanteria_). Dunque, signora Wilton.... se
vuole passare la serata in nostra compagnia.... allora....
Sig.ª WIL. La ringrazio infinitamente, signora Borkman: ma non era
questa la mia intenzione. Siamo stati invitati altrove: siamo attesi
dall’avvocato Hinkel....
Sig.ª BORK. (_fissando la signora Wilton_). Sono invitati? Chi?
Sig.ª WIL. (_sorridendo_). Veramente, non ci sono invitata che io. I
signori Hinkel, però, mi incaricarono.... se lo avessi incontrato per
combinazione.... d’invitare anche il giovane signor Borkman.
Sig.ª BORK. Ciò che avvenne, mi pare....
Sig.ª WIL. Sì — per una fortunata combinazione: venendo da me.... per
la piccola Frida....
Sig.ª BORK. (_seccamente_). Non sapevo che mio figlio conoscesse quella
famiglia.... la famiglia dell’avvocato Hinkel.
ERARDO (_stizzito_). Infatti non la conosco. (_un po’ impaziente_) Del
resto, mamma, tu conosci meglio di me le famiglie che sono solito di
praticare, e quelle, con le quali non mi trovo in relazione!
Sig.ª WIL. Ma che! È tanto facile di entrare in relazione con quella
famiglia! In casa Hinkel convengono sempre molti giovanotti allegri e
simpatici, ed uno sciame di belle ragazze.
Sig.ª BORK. (_con calore_). Conoscendo a fondo mio figlio, dovrei
arguire che in quella società egli non dovrebbe trovarsi molto bene.
Sig.ª WIL. Ma, signora Borkman, al postutto anche suo figlio è giovane.
Sig.ª BORK. È giovane, sì, grazie al Cielo. Sarebbe infatti triste....
ERARDO (_mal reprimendo la sua impazienza_). Sì, sì, buona mamma.... è
naturale che io non andrò questa sera dai signori Hinkel. Resterò qui
con te e con la zia Ella.
Sig.ª BORK. Lo sapevo bene, Erardo mio....
ELLA. No, no, Erardo, tu non devi trattenerti qui per cagion mia....
ERARDO. Ma no, cara zia: non parliamone più — sia come non detto!
(_guardando la signora Wilton — con aria d’imbarazzo_) Come si fa ora?
Siamo ancora in tempo? La signora Wilton ha già aderito all’invito....
a nome mio.
Sig.ª WIL. (_ilare_). Baie! Siamo ancora in tempo. Quando mi troverò
in quei salotti tanto brillanti e tanto simpatici.... sola, senza
compagnia.... non dubiti.... presenterò le dovute scuse.... a nome suo.
ERARDO (_sempre con imbarazzo_). Se fossimo ancora in tempo....
Sig.ª WIL. (_spensieratamente_). Ho accettato tante volte degli inviti
per poi rifiutarli.... a nome mio. E vorrebbe lasciare la zia, che è
arrivata da poco? Uh, _monsieur_ Erardo.... non sarebbe un comportarsi
da bravo figliolo!
Sig.ª BORK. (_tocca_). Da bravo figliolo?
Sig.ª WIL. Via, signora Borkman, mi correggo: volevo dire, da bravo
figlio adottivo.
ELLA. Ben detto; così mi piace.
Sig.ª WIL. Ad ogni modo parmi si debba portare più gratitudine ad una
brava madre adottiva che alla propria madre.
Sig.ª BORK. Lo dice per esperienza?
Sig.ª WIL. Ah.... ho conosciuto tanto poco mia madre. Se però avessi
avuto anch’io una madre adottiva tanto buona.... forse non sarei
cresciuta così.... così indisciplinata.... come mi chiama il mondo.
(_verso Erardo_) Dunque, signor studente, adesso si resta a casa con la
mamma e con la zia.... a prendere il tè! (_verso le due signore_) Buona
sera, signora Borkman! Signorina, addio.
(_La signora Borkman ed Ella Rentheim la salutano col capo: la
signora Wilton s’avvia all’uscio._)
ERARDO (_tenendole dietro_). Posso accompagnarla — per un breve tratto?
Sig.ª WIL. (_sull’uscio, opponendosi_). No, non glielo permetto —
neppure un passo di più: sono tanto abituata di fare da sola la mia
strada. (_guardandolo fissamente e tentennando il capo_) Ora però,
signor studente, si guardi bene.... si guardi bene — glielo ripeto!
ERARDO. Di che?
Sig.ª WIL. Andando adesso via da questa casa, per la mia strada....
sola, senza compagnia.... voglio provare la mia forza ipnotica su lei.
ERARDO (_ridendo_). Dunque vuole provare la sua forza ipnotica ancora
una volta su me?
Sig.ª WIL. (_in tono semiserio_). Stia bene in guardia! Andando ora
via da qui, ripeterò fra me e me, con tutte le forze della mia volontà:
Erardo Borkman — signor studente Borkman.... prenda il cappello!
ERARDO. E lo studente prenderà il cappello? Crede?
Sig.ª WIL. (_ridendo_). Oh se lo credo! Egli prenderà subito il suo
cappello. Poi io dirò: Erardo Borkman, da bravo, infili il soprabito!
E prenda le soprascarpe di gomma! Non se le dimentichi, sa! E mi segua!
Suvvia — m’obbedisca! Da bravo!
ERARDO (_con ilarità forzata_). Non ne dubiti.... obbedirò!
Sig.ª WIL. (_con l’indice teso_). Sempre così obbediente!... Buona
notte! (_ride, saluta le signore e chiude dietro a sè la porta_)
SCENA III.
La =Signora Borkman, Ella Rentheim, Erardo Borkman=.
Sig.ª BORK. È poi vero che la signora Wilton possa esercitare sugli
altri una forza ipnotica?
ERARDO. Neppure per sogno! Come puoi prestar fede ad un simile scherzo?
La signora Wilton scherzava.... ecco tutto. (_interrompendola_) Ora non
parliamo più della signora Wilton.
(_Erardo obbliga la zia di prender posto sul seggiolone accanto la
stufa._)
ERARDO (_accanto alla zia e fissandola_). Come ti sei decisa di fare
questo lungo viaggio, zia Ella? E per sopra più con questo freddo!
ELLA. Vi fui costretta, Erardo.
ERARDO. Davvero? E perchè?
ELLA. Ho dovuto decidermi a venir in città per consultarmi una buona
volta coi medici.
ERARDO. Brava zia!
ELLA (_sorridendo_). Ne sei contento?
ERARDO. Certo; godo che finalmente ti sia decisa a venire in città.
Sig.ª BORK. (_alzandosi dal sofà; fredda_). Ella, sei ammalata?
ELLA (_guardandola con severità_). Lo sai bene che sono ammalata.
Sig.ª BORK. So infatti che da parecchi anni sei un po’ sofferente....
ERARDO. Già all’epoca del mio soggiorno in casa tua, ti raccomandai più
d’una volta di consultare qualche medico.
ELLA. Non ho nessuna fiducia nei medici del mio paese: e poi in
quell’epoca la malattia non aveva ancora raggiunto la fase attuale.
ERARDO. E adesso?
ELLA. Adesso è subentrato un peggioramento.
ERARDO. Fortunatamente non ci sarà pericolo?
ELLA. È questione di opinioni.
ERARDO (_premuroso_). Ma ora non ritornerai a casa, non ci lascerai
tanto presto?
ELLA. No, no; ora voglio rimanere qui.
ERARDO. Probabilmente ti fermerai in città, dove ci sono parecchi
medici di grido?
ELLA. Partendo da casa avevo anche io quest’intenzione....
ERARDO. Procura di trovarti un buon alloggio.... una pensione
tranquilla e comoda.
ELLA. Stamane ho preso alloggio all’antico albergo, dove ero solita
prender stanza anche negli anni passati....
ERARDO. Ti troverai ottimamente in quell’albergo?
ELLA. Ottimamente; però penso di non rimanervi a lungo.
ERARDO. Ed il motivo?
ELLA. Dacchè mi trovo in questa casa ho cambiato idea.
ERARDO (_con meraviglia_). Hai cambiato idea?
Sig.ª BORK. (_tutt’intenta nel suo lavoro, senza alzare gli occhi_).
Tua zia vuol prendere dimora nella sua villa, Erardo.
ERARDO (_guardando ora la madre, ora la zia_). Qui? Da noi? Nella sua
villa?... È vero, zia?
ELLA. È questa la decisione che ho preso poco fa.
Sig.ª BORK. (_come sopra_). Spero bene che non avrai dimenticato che in
questa villa tutto è di proprietà di tua zia.
ELLA. Ormai ho stabilito di rimanere qui, Erardo; almeno per il momento
e sino a nuova deliberazione. Mi farò accomodare un appartamento
nell’edifizio abitato dal fattore.
ERARDO. Ottima idea! Quelle stanze sono sempre pronte per te. (_con
improvvisa vivacità_) Ora che ci penso, zia.... tu sarai stanca del
viaggio?
ELLA. Sì, sono un po’ stanca.
ERARDO. Perciò sarebbe bene che ti coricassi per tempo.
ELLA (_sorridendogli_). Lo farò.
ERARDO (_premuroso_). Continueremo le nostre chiacchiere domattina....
o un altro giorno. Parleremo di quello che più t’aggradirà: di cose
vecchie e di nuove.... E la mamma sarà pure con noi.... Ti pare?
Sig.ª BORK. (_interrompendolo ed alzandosi dal sofà_). Erardo....
comprendo bene che tu vuoi congedarti da me!
ERARDO (_scrollando le spalle_). Che dici?
Sig.ª BORK. Dico che tu hai vivissimo desiderio di andare dall’....
dall’avvocato Hinkel!
ERARDO (_sopra pensiero_). Infatti vorrei.... (_ritornando in sè_)
Ti parrebbe forse miglior cosa se io rimanessi piuttosto a casa per
intrattenere la zia Ella fino ad ora tarda?... Pensa che la zia è
ammalata!
Sig.ª BORK. Vuoi dunque andare in casa Hinkel?
ERARDO. Sì, mamma.... mi pare che sarebbe bene di approfittare di
quell’invito. Che ne pensi, zia?
ELLA. Penso che nelle tue azioni sei completamente libero, Erardo.
Sig.ª BORK. (_avvicinandosi minacciosa ad Ella_). Tu vuoi adunque
portarmelo via!
ELLA (_alzandosi_). Oh se lo potessi, Gunilde!
(_Al di sopra, nel salotto, si odono gli accordi di un
pianoforte._)
ERARDO (_stizzito_). Questo poi non lo posso sopportare. (_cercando
intorno con gli occhi_) Dov’è il mio cappello? (_ad Ella_) Zia, conosci
il pezzo di musica, che si sta suonando qui sopra?
ELLA. No — non lo conosco, Erardo.
ERARDO. È la _danse macabre_ — la danza macabra. Non conosci, zia, la
danza dei morti?
ELLA (_con sorriso melanconico_). Non ancora.
ERARDO. .... Mamma.... te ne supplico.... lasciami uscire.
Sig.ª BORK. (_guardandolo con uno sguardo severo_). Vuoi dunque
lasciare tua madre?
ERARDO. Ritornerò più tardi.... domani.
Sig.ª BORK. (_in preda a violenta agitazione_). Vuoi tu dunque
lasciarmi per andare da quel signore, per andare da.... no, no; non
voglio nemmeno pensarvi!
ERARDO. Mamma — nei salotti splendidamente illuminati di quel signore,
non si vedono che facce allegre e raggianti di giovinezza.... vi si fa
della buona musica....
Sig.ª BORK. (_indicando il salotto superiore_). Anche là sopra si fa
della musica, Erardo.
ERARDO. Ed è proprio la musica.... la musica di là sopra che mi obbliga
ad uscire di casa.
ELLA. Vorresti forse proibire a tuo padre di obbliare, per un momento,
sè stesso!
ERARDO. Oh no! Vorrei anzi che quell’obblio avesse su lui un’efficacia
ben più duratura. Ma quella musica io non la posso soffrire.
Sig.ª BORK. (_con aria d’ammonizione_). Sii forte, Erardo mio! Sii
forte! Non dimenticarti che t’incombe una grande missione.
ERARDO. Mamma.... non sciorinarmi tanti paroloni! Non sono nato per
fare il missionario! Addio, buona zia! Addio, mamma! (_esce in fretta_)
SCENA IV.
La =Signora Borkman= e =Ella Rentheim=.
Sig.ª BORK. (_dopo breve pausa_). Ella, tu lo attirerai ancor una volta
nelle tue reti!
ELLA. Potessi almeno crederlo!
Sig.ª BORK. Ma, vedrai, lo dominerai soltanto per poco tempo.
ELLA. Perchè tu mi opporrai degli ostacoli, nevvero?
Sig.ª BORK. Io o lei.... quell’altra.
ELLA. Fra le due — meglio lei che te.
Sig.ª BORK. (_affermando lentamente col capo_). Ti comprendo. E lo dico
anch’io: meglio lei che me.
ELLA. Anche se ciò dovesse condurlo....?
Sig.ª BORK. Avvenga quello che ha da avvenire!
ELLA (_prende il mantello ed il cappellino_). È la prima volta, in
questo mondo, che andiamo d’accordo — noi, le due gemelle! — Buona
notte, Gunilde. (_fuori per l’uscio d’ingresso_)
(_Il pianoforte diffonde sempre più forte e più distinta la sua
voce._)
Sig.ª BORK. (_rimane per un momento immobile: poi stringendosi nelle
spalle e come accasciata dal dolore mormora:_) Il lupo ùlula di nuovo!
Il lupo ammalato! (_Pausa. — Gettandosi quindi a terra e singhiozzando,
mormora con voce dolorosa:_) Erardo, Erardo.... non abbandonarmi!
Ritorna e vieni a soccorrere tua madre! Perchè non posso sopportare più
a lungo questa vita.
FINE DELL’ATTO PRIMO.
ATTO SECONDO.
L’antico salotto di ricevimento nulla villa Rentheim. Le pareti
sono coperte di antichi _gobelins_ sbiaditi e rappresentanti scene
pastorali e di caccia. Alla parete sinistra, porta a due battenti:
più avanti un pianoforte. Nell’angolo a sinistra, in fondo, una
porta senza incorniciatura, con cortine. Addossata nel mezzo della
parete di destra una grande scrivania di quercia intagliata con
molti libri e carte. Più avanti, a destra, un sofà, un tavolo e
sedie. Tutto l’ammobiliamento è in istile _empire_. Sulla scrivania
e sul tavolo, lampade accese.
SCENA PRIMA.
=Borkman= e =Frida Foldal=.
(_Gian Gabriele Borkman è in piedi, vicino al pianoforte, con le
mani sul dorso e sta ascoltando Frida Foldal, che suona le ultime
note della “Danse Macabre„._)
(_Borkman è un uomo sui sessant’anni, di media statura, di
robusta complessione. Ha l’aspetto grave ed il profilo fine; occhi
penetranti; barba e capelli grigi, ricciuti. Veste un abito nero,
fuori di moda; al collo una cravatta bianca. — Frida Foldal è
una leggiadra fanciulla sui quindici anni; il viso pallido porta
tracce di stanchezza. Veste un abito di color chiaro con poche
guarnizioni._)
(_Il pezzo di musica è ormai finito. — Pausa._)
BORK. Indovini un po’ dove ho sentito per la prima volta questo pezzo
di musica?
FRIDA. Non lo saprei....
BORK. Giù — nelle miniere.
FRIDA (_sorpresa_). Davvero? Nelle miniere?
BORK. Lei sa bene che io sono figlio di minatori! O forse non le era
noto questo particolare della mia nascita?
FRIDA. No, signor Borkman.
BORK. Sì, sono figlio di minatori. Qualche volta mio padre mi conduceva
giù, nelle miniere. — E nelle miniere il metallo fa sentire la sua
voce.
FRIDA. Il metallo può adunque anche cantare?
BORK. (_affermando col capo_). Sì, esso fa sentire la sua voce quando
viene staccato dalla roccia. I colpi dei martelli che lo staccano....
sono la squilla della mezzanotte che echeggia laggiù nelle viscere
della terra e che lo rende libero. Ed è perciò che il metallo, ebbro di
gioia, canta.... a suo modo sì.... ma canta.
FRIDA. E perchè canta, signor Borkman?
BORK. Perchè vuol vedere la luce del giorno e perchè vuol rendere
servigi all’umanità.
(_Passeggia su e giù per il salotto, con le mani sempre sul
dorso._)
FRIDA (_rimane seduta ancora per qualche istante, poi, data un occhiata
sul suo orologio, s’alza_). Scusi, signor Borkman.... ma ora devo
andarmene.
BORK. (_fermandosi dinanzi a lei_). Vuole già andare?
FRIDA (_riponendo il pezzo nel suo portamusica_). Lo devo; sono
invitata altrove stasera.
BORK. In qualche riunione famigliare?
FRIDA. Precisamente.
BORK. E pensa anche di prodursi in quella riunione?
FRIDA (_mordendosi le labbra_). No: ho da suonarvi soltanto un po’ di
musica da ballo.
BORK. Soltanto un po’ di musica da ballo?
FRIDA. Sì; dopo la cena, i padroni di casa vogliono che gli invitati
facciano qualche giro di valzer.
BORK. (_guardandola per qualche tempo_). E suona lei volontieri la
musica da ballo — nelle famiglie?
FRIDA (_infilando il mantello_). Sì, se mi mandano a chiamare.... c’è
sempre da guadagnare qualche inezia.
BORK. (_scrutandola_). E pensa al guadagno anche quando sta suonando
quella musica?
FRIDA. No; penso invece quanto meglio sarebbe se anch’io potessi
prender parte alle danze.
BORK. (_affermando col capo_). Ecco proprio quello che mi interessava
di sapere. (_camminando — con inquietudine_) È verissimo: il non poter
prendere parte alle danze deve essere qualche cosa di penoso! (_si
ferma_) Lei, però, Frida, può facilmente trovare un compenso per quel
suo desiderio irrealizzabile!
FRIDA. In qual modo?
BORK. Con tutta quella musica che lei ha nell’anima, mentre tutte
quelle coppie danzanti non ne hanno nemmeno la decima parte!
FRIDA (_con un sorriso evasivo_). Veramente io non so se questo sia
proprio il mio caso!
BORK. (_coll’indice teso in atto di farle un’ammonizione_). Spero bene
che non sarà tanto pazza da mettere in dubbio la sua fama di buona
pianista!
FRIDA. Ma se nessuno s’accorge di queste mie qualità....!
BORK. Basta che le conosca lei. — E dove va a suonare stasera?
FRIDA. Dall’avvocato Hinkel.
BORK. (_con sguardo sdegnato_). Da Hinkel, ha detto?
FRIDA. Sì.
BORK. (_con riso sardonico_). E quell’uomo dà ricevimenti a casa sua?
Oh come mai può colui adescare della gente nei suoi salotti?
FRIDA. Eppure la signora Wilton mi assicurò che ai ricevimenti di casa
Hinkel intervengono molte persone.
BORK. (_con impeto_). Ma che razza di persone? Mi può nominarne
qualcuna?
FRIDA (_un po’ timidamente_). No; non so dirle nemmeno un nome.
Aspetti, aspetti.... ora mi ricordo.... mi hanno assicurato che anche
il giovane signor Borkman andrà questa sera in quella casa.
BORK. (_sorpreso_). Erardo? Mio figlio?
FRIDA. Sì, vi sarà anche lui stasera.
BORK. E come lo sa?
FRIDA. Me lo disse lo stesso signor Erardo, circa un’ora fa.
BORK. Dunque oggi mio figlio è venuto qui fuori?
FRIDA. Sì, ha passato tutto il pomeriggio in casa della signora Wilton.
BORK. (_con sguardo indagatore_). E non saprebbe dirmi se egli sia
stato anche quaggiù e se abbia parlato con qualcheduno?
FRIDA. Sì: il signor Erardo fece una breve visita alla signora.
BORK. (_con amarezza_). Aha.... già me lo avevo immaginato.
FRIDA. Credo però che oggi sia venuta a trovare la signora Borkman
anche una signora sconosciuta.
BORK. Davvero? Già.... già: la Signora deve pure ricevere di quando in
quando qualche persona.
FRIDA. Se vedo più tardi il signorino ho da dirgli di passare qui sopra
da lei?
BORK. (_bruscamente_). Non gli dica niente! Glielo proibisco! Chi vuole
parlare con me lo deve fare spontaneamente. Io non sono avvezzo di
pregare nessuno.
FRIDA. Non gli dirò nulla, stia pur certo. — Buona notte, signor
Borkman.
BORK. (_camminando per la stanza e quasi borbottando_). Buona notte.
FRIDA. Per abbreviare il cammino potrei forse uscire per la scala a
chiocciola?
BORK. Faccia come crede. — Buona notte.
FRIDA. Buona notte, signor Borkman. (_via per l’uscio di fondo_)
SCENA II.
=Borkman=, poi =Guglielmo Foldal=.
(_Borkman, rimasto solo, s’avvia pensieroso verso il pianoforte,
come se volesse chiuderlo: poco dopo però s’arresta. Dopo d’aver
girato e rigirato gli occhi nel vuoto, incomincia a camminare —
con aria d’impazienza e d’inquietudine — su e giù fra lo spazio
che corre dal pianoforte all’angolo destro in fondo. Alla fine
s’avvicina alla scrivania: sta per un momento in ascolto verso la
direzione della porta a sinistra: poi si guarda in uno specchietto
e s’accomoda la cravatta._)
(_Bussano alla porta di sinistra. Borkman, che ha inteso, lancia
un’occhiata furtiva alla porta: non risponde. Si bussa di nuovo e
più forte._)
BORK. (_vicino alla scrivania, con la mano sinistra appoggiata sul
tappeto e con la destra nello sparato del vestito_). Avanti!
(_Guglielmo Foldal entra con aria di soggezione: è un uomo
dall’aspetto macilento e dal portamento curvo; ha gli occhi
azzurri e miti; i capelli lunghi e grigi gli coprono il bavero del
soprabito. Ha sotto il braccio un portafoglio; in mano un cappello
a cencio. Porta, rialzati sulla fronte, un paio d’occhiali orlati
di corno._)
BORK. (_cambiando posizione e guardando Foldal con un’aria ambigua, fra
la disillusione e la soddisfazione_). Ah sei tu, Foldal!
FOLDAL. Sono io. Buona sera, Gian Gabriele.
BORK. (_guardandolo con sguardo severo_). Mi pare che arrivi un po’
tardi.
FOL. Che vuoi, per venire da te c’è da fare un bel pezzo di strada,
specialmente per un uomo che, come me, è costretto di andare a piedi!
BORK. Perchè andare sempre a piedi, Foldal? Il _tramvay_ non è poi
tanto lontano da casa tua.
FOL. D’altronde l’andar a piedi è più igienico: e poi ci risparmio
dieci centesimi. — A proposito, è già stata da te la Frida? Ti ha fatto
della musica?
BORK. È andata via in questo momento. Non vi siete incontrati?
FOL. No: non la vedo da parecchio tempo.... dal giorno in cui è entrata
in casa della signora Wilton.
BORK. (_sedendosi sul sofà ed indicando una sedia a Foldal_). Siediti,
Guglielmo.
FOL. (_sedendosi_). Grazie. (_con aria melanconica_) Non puoi
immaginarti quanto increscioso mi riesca di dover viver solo, senza
aver Frida vicino a me!
BORK. Diavolo! E gli altri tuoi figlioli?
FOL. Sì: quei cinque marmocchi!... Frida però era la sola che mi
comprendesse un pochino. (_tentennando il capo, con tono triste_) Gli
altri non mi comprendono affatto.
BORK. (_guardando dinanzi a sè con sguardo fosco e battendo le dita
sulla scrivania_). Sì, così vanno le cose: è una maledizione che
gravita sempre su noi, gli uomini eletti. La massa e la maggioranza —
formate esclusivamente da uomini dozzinali — non ci comprendono, buon
Guglielmo.
FOL. (_con rassegnazione_). Io non esigo per ora dai miei figli
dell’intelligenza: questa si matura con un po’ di pazienza e coll’andar
del tempo.... (_con voce piagnucolosa_) Oh ma c’è un’altra cosa, ben
più amara!
BORK. (_scosso_). Più amara?
FOL. Sì, Gian Gabriele. Prima di uscire di casa.... assistetti ad una
certa scenata.
BORK. Vorresti dire?
FOL. (_prorompendo_). A casa.... mi sprezzano.... capisci!
BORK. (_trasalendo_). Come? Ti sprezzano!
FOL. (_asciugandosi le lagrime_). Me n’ero accorto da parecchio tempo:
ma appena oggi ne ebbi la prova....
BORK. (_dopo breve pausa_). Fosti ben infelice nella scelta, quando
prendesti moglie.
FOL. Oh allora non si poteva più parlare di una scelta. Del resto....
si prende tanto volentieri moglie, quando gli anni incominciano a
pesare. E poi allora ero ridotto a sì mal partito....
BORK. (_alzandosi adirato_). Dovrebbe essere questa forse un’allusione
a me? Vorresti forse rinfacciarmi....?
FOL. (_con angoscia_). Dio me ne liberi; Gian Gabriele....
BORK. Sì, tu alludi in questo momento alla rovina che travolse la
Banca....!
FOL. (_tentando di calmarlo_). Ma io per quell’affare non ho mai
gettato su te la colpa! Per l’amor del Cielo!
BORK. (_si mette nuovamente a sedere e mormora:_) Sta bene!
FOL. Non credere già che io mi lagni di mia moglie. La povera donna non
è molto educata, ne convengo: ma sì può sempre sopportarla.... no; sono
i bambini.... capisci....
BORK. Oh, lo sapevo bene!
FOL. Poichè i bambini.... hanno un’educazione più completa; e credono
perciò di poter vantare maggiori esigenze.
BORK. (_mostrando interesse alle parole di Foldal_). E perchè mai ti
sprezzano quelle birbe?
FOL. (_scrollando le spalle_). Sai bene.... la mia carriera si ridusse
a ben poca cosa.... ne sono d’accordo....
BORK. (_avvicinandoglisi e prendendolo per un braccio_). E sanno quei
marmocchi che tu, nella tua giovinezza, hai scritto una tragedia?
FOL. Oh se lo sanno! Sembra però che non ne siano rimasti troppo
soddisfatti.
BORK. Allora i tuoi figli non hanno nemmeno un’ombra d’intelligenza. La
tua tragedia è un lavoro ben fatto: te lo dico io!
FOL. (_con viso raggiante_). Non è vero che c’è del buono in quel
mio lavoro, Gian Gabriele? Ah, se potessi far rappresentare la mia
tragedia in qualche teatro! (_apre frettolosamente il portafoglio e ne
estrae alcuni fogli_) Eccola! Ora ti mostrerò i punti dove ho creduto
opportuno di introdurre qualche modificazione....
BORK. Ne hai con te il copione?
FOL. Sì, l’ho portato qui con me. — È passato tanto tempo dall’ultima
volta che te la lessi! — E poi ho pensato che la lettura di due o tre
atti potrebbe procurarti un po’ di distrazione....
BORK. (_alzandosi e tentennando il capo_). No; non oggi; sarà per
un’altra volta.
FOL. Bene, come t’aggrada.
(_Borkman cammina su e giù per la stanza. Foldal ripone il
manoscritto nel portafoglio._)
BORK. (_fermandosi davanti a Foldal_). Quello che mi andavi dicendo
poc’anzi è giusto.... la tua carriera si ridusse a ben poca cosa.
Però senti, Guglielmo.... quando sarà scoccata l’ora della mia
redenzione.... ti prometto....
FOL. (_in procinto di alzarsi_). Ah quanto te ne sono grato....!
BORK. (_con un cenno di mano_). No, resta al tuo posto. (_poi
animandosi sempre più_) Quando sarà suonata l’ora della mia
redenzione.... quando si capirà di non poter fare senza di me....
e verranno qui, nel salotto.... tutti sommessi.... a pregarmi, a
supplicarmi di riprendere la direzione della nuova Banca.... di
quella Banca, che hanno fondato e che non sono capaci di reggere!
(_avvicinandosi alla scrivania e battendosi il petto_) Voglio
aspettarli, voglio riceverli proprio in questo salotto! E quali comenti
per il paese quando si saranno divulgate le condizioni imposte da
Gian Gabriele Borkman nel.... (_interrompendosi bruscamente e fissando
Foldal_) Ma che? Perchè mi guardi con quello sguardo diffidente? Dubiti
forse che abbiano da venire? lo dovranno.... sì, dovranno venire da me,
un giorno o l’altro! Eh!
FOL. Lo credo, oh se lo credo, Gian Gabriele!
BORK. (_sedendosi sul sofà_). Io nutro una fede forte, incrollabile....
sono convinto che verranno. Se non ne avessi la certezza.... da
parecchio tempo mi sarei cacciato una palla nel cervello.
FOL. (_atterrito_). Per l’amor del Cielo!
BORK. (_con aria di trionfo_). Essi verranno! sì, verranno! Fa
attenzione! — Io li attendo qui ogni giorno, ogni ora. E come vedi mi
tengo sempre pronto per riceverli.
FOL. (_singhiozzando_). Venissero presto!
BORK. (_con inquietudine_). Hai ragione; il tempo passa; passano gli
anni.... no.... no.... è meglio non pensarvi! (_fissandolo_) Talvolta
però provo una certa impressione....
FOL. Quale?
BORK. Mi pare di provare l’identica impressione che avrebbe provato
Napoleone il Grande se fosse stato ferito e storpiato nella sua prima
battaglia campale.
FOL. (_appoggiando una mano sul portafoglio_). Anch’io provo
un’impressione consimile.
BORK. Sì, ma in proporzione ridotta.
FOL. (_calmo_). Il mio piccolo mondo poetico ha un grande valore per
me, Gian Gabriele.
BORK. (_con irruenza_). Io che avrei potuto accumulare tanti milioni!
E tutte quelle miniere, che avrebbero dovuto formare il mio dominio!
Miniere ancora inesplorate e stendentisi all’infinito! Cascate d’acqua!
Cave di marmo! Nuove vie commerciali e nuove linee di navigazione
abbraccianti il mondo intero! E tutti questi progetti io li avrei
potuti mandare ad effetto con le mie sole forze!
FOL. Lo so; non esisteva difficoltà che tu non l’avessi sormontata.
BORK. (_stringendosi le mani_). Ed ora devo razzolare qui come un
uccellaccio con l’ali monche e devo sopportare che gli altri usurpino
il mio posto.... e che mi derubino.... pezzo per pezzo!
FOL. Anche io mi trovo nelle stesse acque!
BORK. (_senza prestargli attenzione_). Oh, si sono già vedute molte di
questo cose!... Ed ero là, vicino alla méta; oh se avessi avuto otto,
soli otto giorni per rimettere tutto al suo posto! Tutti i depositi
di denaro sarebbero stati surrogati con dei nuovi: tutti i valori che
io aveva adoperato con un’audacia senza pari, sarebbero ritornati nei
loro forzieri, ai loro antichi posti. Mancava un’inezia per mettere
in attività tutte quelle colossali società per azioni: e nessuno vi
avrebbe rimesso un centesimo....
FOL. È vero; fosti tanto vicino alla tua méta....
BORK. (_invelenito_). Sorse allora il tradimento e fui preso alle
spalle! Proprio alla vigilia della vittoria decisiva. (_fissando
Foldal_) Dimmi un po’: sai tu quale sia il più infame delitto che possa
commettere un uomo?
FOL. No: quale?
BORK. Nè l’omicidio, nè la rapina; e neanche lo spergiuro o lo scasso
notturno — giacchè tutti questi delitti vengono commessi per lo più
contro uomini che sono odiati dai malfattori o che sono indifferenti
alla maggioranza della gente....
FOL. Il delitto più infame è adunque....
BORK. (_facendo spiccare le parole_). Se.... se un amico abusa della
fiducia del proprio amico.
FOL. (_un po’ pensieroso_). Sì, però.... ascolta....
BORK. (_stizzito_). Che volevi tu dire? Lo so, lo so! Ma non era questo
il caso! Le persone che avevano depositato alla Banca il loro denaro
avrebbero ricevuto di ritorno tutto il loro avere.... fino all’ultimo
centesimo!... No, caro Foldal.... il delitto più infame che possa
venir commesso da un uomo è quello di abusare delle lettere del proprio
amico.... divulgando ai quattro venti tutte quello confidenze che gli
sono state affidate a quattr’occhi dall’amico — a fil di voce ed in una
stanza vuota, oscura e chiusa a chiave. Un uomo che si serve di simili
mezzi, è corroso sino al midollo delle ossa dalla morale professata
da tutti i farabutti di questo mondo. Ed io ebbi un tale amico! E fu
quest’amico che mi mandò in rovina!
FOL. Mi pare di conoscere questo tuo amico!
BORK. Io gli confidai tutti i miei affari, anche i più inconcludenti:
ma al momento opportuno egli scaricò su me tutte lo armi che io stesso
gli avevo messo fra le mani.
FOL. Non ho mai potuto comprendere perchè egli.... Del resto a quel
tempo corse la voce....
BORK. Ebbene? Dimmela! Non mi pervenne all’orecchio nemmeno una
sillaba.... giacchè, poco dopo, fui posto in.... in isolamento. Dunque
che si divulgò in allora sul conto mio?
FOL. Si sparse la voce che saresti diventato ministro.
BORK. Infatti mi si offerse anche un portafoglio, che io però rifiutai.
FOL. Tu non gli eri adunque d’ostacolo!
BORK. Egli mi tradì per un altro motivo.
FOL. Allora non comprendo più nulla....
BORK. Oh a te posso raccontare tutto, Foldal!
FOL. Spiegati!
BORK. Ci fu di mezzo.... un affare.... un affare in cui erano involte
delle donne....
FOL. Un intrigo di donne, Gian Gabriele?
BORK. (_interrompendolo_). Sì.... ma non vale la pena di parlare più
oltre di quella vecchia ed insulsa storia. — Però se io non divenni
ministro, non lo divenne neppur lui.
FOL. Egli salì però molto in alto.
BORK. Ed io discesi molto in basso.
FOL. Tragedia davvero tremenda....
BORK. (_affermando col capo_). Tanto tremenda, quanto la tua, mi pare.
FOL. (_schermendosi_). Sì; per lo meno altrettanto tremenda.
BORK. (_ridendo a fior di labbra_). Esaminandola da un altro punto di
vista, quella tragedia ha però anche un po’ della commedia.
FOL. Della commedia?
BORK. Sì, giudicandola almeno dalla piega che sembra aver preso in
questo momento. Mi spiego....
FOL. Sì, sì.
BORK. Venendo qui da me, non t’incontrasti con Frida — è vero?
FOL. No.
BORK. Ebbene, mentre noi stiamo chiacchierando in questo salotto, la
tua Frida suona musica da ballo in casa dell’amico.... di quello che mi
tradì e mi mandò in rovina.
FOL. Non ne avevo il più lontano sospetto!
BORK. Eppure è così! Tua figlia, dopo d’aver preso i suoi pezzi di
musica, si congedò da me per andare da quel.... signore.
FOL. (_cercando di scusare la figlia_). Non devi dimenticare che la
povera piccina....
BORK. E chi credi che sia anche andato a quella festa ed ascolti ora la
musica che suona la tua Frida?
FOL. Non lo saprei....
BORK. Mio figlio!
FOL. Tuo figlio?
BORK. Sì: che ne dici, Guglielmo? Uno dei ballerini di questa sera è
anche Erardo.... Ora non avevo io ragione, dicendoti poc’anzi che tutta
quella tragedia ha anche un po’ della commedia?
FOL. Probabilmente tuo figlio non sarò a giorno dell’accaduto....
BORK. Di che?
FOL. Egli sarà — senza dubbio — all’oscuro del modo con cui.... quel
signore....
BORK. Nominalo pure — ormai quel nome non mi fa andare più in collera!
FOL. Eppure io persisto nel credere che tuo figlio non conosce nemmeno
una fase di quella fosca storia.
BORK. (_pestando sulla tavola e con voce cupa_). Oh se la conosco!...
la conosce com’è vero che in questo momento mi trovo qui con te!
FOL. È mai possibile che tuo figlio frequenti quella casa?
BORK. (_tentennando il capo_). Forse mio figlio potrà vedere le cose
da un punto di vista diverso dal mio... È probabile anche che Erardo
si sia a quest’ora schierato dalla parte dei miei nemici! Lo giurerei!
Crederà anche lui, come tutti gli altri, che l’avvocato Hinkel col
tradirmi non abbia fatto che semplicemente il proprio dovere.
FOL. Per amor di Dio! E chi mai dovrebbe averlo trasformato in tal modo?
BORK. Chi? E me lo domandi ancora? Ma non ti rammenti più le persone
che si presero cura della sua educazione? Dapprima sua zia.... che se
lo portò via quando Erardo aveva sei o sette anni.... poi sua madre.
FOL. Mi pare che tu sia ingiusto verso quelle due donne.
BORK. (_trasalendo_). Io non sono mai ingiusto con nessuno! Ti faccio
osservare che tutte e due lo aizzarono contro di me!
FOL. (_come accondiscendendo_). Può essere che tu abbia ragione.
BORK. (_con amarezza_). Ah queste donne! Come ci amareggiano la
vita! Come ci fanno girare e rigirare! E ci rovinano tutto il nostro
destino.... tutti i nostri trionfi!
FOL. Non tutte le donne, Borkman!
BORK. Non tutte? Sta bene! Nominami allora una — una sola donna, che
valga qualcosa.
FOL. Ecco il nodo! Le poche donne che conosco io non valgono nulla.
BORK. (_ironico_). Che importa allora che esistano tali donne.... se
poi non si conoscono!
FOL. (_accalorandosi_). Se importa, Gian Gabriele? È un pensiero così
splendido, così importante: là fuori, lungi, lungi da noi.... esiste
ancora la vera donna.
BORK. (_con impazienza_). Cessa una buona volta con questi tuoi sogni
di poeta!
FOL. (_colpito profondamente_). Ah chiami sogni di poeta ciò che
costituisce la mia più sacra convinzione?
BORK. (_con asprezza_). Sì, sogni di poeta! Ed è per questi tuoi sogni
che non hai mai fatto carriera nel mondo. Mandali una buona volta al
diavolo! Solo in tal caso potrei aiutarti.... a salire in alto.
FOL. (_in preda ad un’interna agitazione_). Tu questo non lo puoi più!
BORK. Lo potrò, quando sarò giunto nuovamente al potere.
FOL. Ci dovrà correre molta acqua per la china....
BORK. (_con impeto_). Non credi che ritornerò ancora una volta al
potere? Rispondimi, subito!
FOL. Non so proprio cosa risponderti!
BORK. (_alzandosi grave e freddo ed indicando la porta_). Allora non ho
più bisogno di te.
FOL. (_alzandosi rapidamente_). Non hai più bisogno di me?
BORK. Se non credi che il mio destino debba ancora mutarsi....
FOL. Alla fine non posso credere a ciò che cozza col buon senso! —
Anzitutto dovresti esserti riabilitato....
BORK. Prosegui! Prosegui!
FOL. Ti premetto che non mi è mai riuscito di dare i miei esami: ma da
quel poco che mi ricordo dei miei studî....
BORK. (_affrettato_). La credi un’impossibilità?
FOL. Non conosco un precedente che possa far sperare....
BORK. Ciò non è necessario per gli uomini superiori!
FOL. La legge però non si occupa degli uomini superiori.
BORK. (_negando col capo_). Tu non sei poeta, Guglielmo!
FOL. (_stringendosi le mani_). Parli sul serio?
BORK. (_senza rispondergli alla domanda_). Noi due sprechiamo
miseramente il nostro tempo.... è meglio che tu non venga più da me.
FOL. Vuoi adunque che ci lasciamo?
BORK. (_senza guardarlo_). Non ho più bisogno di te.
FOL. (_calmo e mettendosi sotto il braccio il portafoglio_). È
possibile.
BORK. Dunque tu, durante tutto questo tempo, non hai fatto altro che
ingannarmi.
FOL. Gian Gabriele, io non ti ho mai ingannato.
BORK. Non m’ingannasti tu, adunque, coll’insinuarmi fede, fiducia,
speranza?
FOL. Non t’ingannai fino a che tu credesti nella mia vocazione: fino a
che tu avesti fede in me, io pure l’ebbi in te.
BORK. Dunque ci siamo ingannati reciprocamente. Abbiamo ingannato....
noi stessi.
FOL. Alla fin dei conti l’amicizia non è questa, Gian Gabriele?
BORK. (_con riso amar_o). Sì, l’inganno.... è l’amicizia. Hai ragione:
ne ho fatto già un’altra volta l’esperienza.
FOL. (_fissandolo_). Dunque, secondo te, io non possiedo nemmeno
un’ombra di vocazione poetica.... E me lo dicesti con tanta
indifferenza!
BORK. (_in tuono più mite_). Non sono competente in fatto di poesia.
FOL. Più di quello che tu stesso lo credi.
BORK. Io?
FOL. Sì, tu. Talvolta.... sorsero anche a me dei dubbî.... un terribile
dubbio.... l’aver speso tutta la mia vita per un’illusione!
BORK. Ma se nascono dei dubbî anche a te, allora anche la tua fede è
ben poco salda!
FOL. Ed è perciò che trovavo un conforto venendo a casa tua e facendo
assegnamento su te, che eri pieno di fede. (_prendendo il cappello_)
Ora però mi sei diventato uno sconosciuto.
BORK. Altrettanto da parte mia.
FOL. Buona notte, Gian Gabriele.
BORK. Buona notte, Foldal. (_Foldal via a sinistra_)
SCENA III.
=Borkman=, poi =Ella Rentheim=.
(_Borkman resta per alcuni momenti vicino alla porta che è stata
chiusa da Foldal; fa un movimento come se volesse richiamarlo; poi,
pentito, incomincia a passeggiare su e giù per la stanza, con le
mani sul dorso. Dopo qualche tempo s’avvicina e s’arresta al tavolo
davanti al sofà e spegne la lampada. Il salotto è immerso nella
semi-oscurità._)
(_Dopo una breve pausa bussano in fondo, a sinistra._)
BORK. (_dal tavolo si volge e domanda a voce alta:_) Chi è là?
(_Nessuno risponde: bussano di nuovo._)
BORK. (_immobile_). Chi è là? avanti!
(_Ella Rentheim con una candela in mano entra: veste come nel primo
atto; ha sulle spalle il mantello, che è sbottonato._)
BORK. (_guardandola_). Chi è lei? Che vuole da me?
ELLA (_chiude dietro a sè la porta e si avvicina_). Sono io, Borkman.
(_depone la candela sul pianoforte e resta immobile._)
BORK. (_come colpito dal fulmine, la contempla con gli occhi fissi, e
mormora a fil di voce:_) Ella? Ella Rentheim? È proprio lei?
ELLA. Sì, sono la tua Ella, come mi chiamavi un giorno.... allora....
molti, molti anni fa.
BORK. (_come sopra_). Sì, sì.... Ella.... ora ti riconosco!
ELLA. Mi riconosci adunque?
BORK. Sì, ora incomincio....
ELLA. Gli anni non fecero tanti complimenti con me.... siamo arrivati
all’autunno.... come mi trovi?
BORK. (_forzato_). Ti sei un po’ cambiata. A prima vista....
ELLA. Ora non mi scendono più sulle spalle, in brune anella, quei
capelli che tu, in altri tempi, ti compiacevi di accarezzare con le
dita!
BORK. (_rapidamente_). È vero! Ora me ne accorgo, Ella! Non hai più
l’acconciatura d’una volta.
ELLA (_con riso amaro_). Proprio così: è l’acconciatura che cambia....
BORK. (_cambiando discorso_). Non sapevo ch’eri venuta qui fuori.
ELLA. Sono arrivata da poco.
BORK. E perchè sei venuta in questa stagione?... in inverno?
ELLA. Te lo dirò.
BORK. Vuoi qualche cosa da me?
ELLA. Sì, anche da te. Prima di parlarti di un certo argomento, dovrei
ritornare col pensiero nel passato e rivolgerlo su cose avvenute.
BORK. Sei stanca, Ella?
ELLA. Sì; sono stanca.
BORK. Non vuoi accomodarti? Là.... là sul sofà?
ELLA. Grazie: ho infatti bisogno di sedermi. (_Si siede sull’angolo
anteriore del sofà: Borkman, immobile accanto il tavolino e con le mani
sul dorso, la fissa. Breve pausa._)
ELLA. Sono passati molti anni — Borkman — dall’ultima volta in cui ci
siamo trovati soli — così a quattr’occhi!
BORK. (_cupo_). Sono passati molti anni! E fu nel frattempo che si
svolse tutta quella terribile storia!
ELLA. Da quella volta è trascorsa una vita d’uomo! Una vita perduta!
BORK. (_sdegnato_). Perduta!
ELLA. Sì, perduta: e per ambidue!
BORK. (_freddamente_). Eppure io non credo che la mia vita sia già a
quest’ora una vita perduta!
ELLA. Ma la mia?
BORK. Lo devi ascrivere a tua colpa, Ella.
ELLA (_con un movimento di dispetto_). E sei tu che me lo dici?
BORK. Sì, io: Ella, tu avresti potuto raggiungere la tua felicità anche
senza di me!
ELLA. Lo credi?
BORK. Purchè tu l’avessi voluto.
ELLA (_con amarezza_). Se ben mi ricordo, fu un altro uomo che mi
chiese la mano....
BORK. Tu gliela rifiutasti.
ELLA. Sì; gliela rifiutai!
BORK. E non gli rifiutasti la mano un’unica volta! Per anni ed anni....
ELLA (_ironica_). .... Per anni ed anni respinsi da me la felicità....
è così che intendevi dire?
BORK. Avresti potuto vivere molto felice anche con lui.... in tal caso
io sarei stato salvo!
ELLA. Tu?
BORK. Sì, tu mi avresti salvato, Ella!
ELLA. Spiegati: in che modo?
BORK. Egli si cacciò in testa che io fossi la vera ed unica causa di
tutti quei tuoi rifiuti. — E se ne vendicò: fu una facile vendetta
per lui, che aveva nelle mani tutte quelle mie lettere, piene di
confessioni. Se ne servì a dovere.... ed allora per me fu questione
finita.... almeno per il momento. E di tutto ciò fu tua la colpa, Ella!
ELLA. Ah, Borkman, rifletti un po’.... proseguendo di questo passo,
finirò col diventare io — io sola la causa di quanto è accaduto!
BORK. È questione di modo di vedere! So benissimo quanto io debba a te:
all’incanto di questa possessione, fosti tu che ne facesti l’acquisto;
poi la mettesti completamente a mia disposizione.... e a disposizione
di tua sorella. Prendesti con te Erardo: ti curasti di lui sotto ogni
rapporto....
ELLA. .... Fino a che mi fu concesso.
BORK. .... fino a che ti fu concesso da tua sorella — volevi dire.
Io non mi immischiai mai in tutte queste faccende domestiche.... Ah,
sì.... dunque stavo per dire.... io sono perfettamente a cognizione di
tutti i tuoi sagrifizi sostenuti per me e per tua sorella. Tu potevi
anche farlo, Ella: non dimenticarti, però, che devi a me se fosti in
grado di farlo.
ELLA (_mossa a sdegno_). In tal caso t’inganni.... Borkman.... e molto!
Fu l’interna voce del mio cuore, fu il caldo affetto per Erardo.... ed
anche per te.... che mi consigliarono di agire in quel modo.
BORK. (_interrompendola_). Cara Ella, lasciamo da parte gli affetti e
le passioni consimili: ciò che volevo dirti, era con altre parole: se
agisti a quel modo, fui io a procurartene la possibilità.
ELLA (_ridendo_). La possibilità.... ah, ah.... la possibilità!
BORK. (_riscaldandosi_). Sì, proprio la possibilità! Alla vigilia della
battaglia decisiva — quando non potei più salvare nè parenti nè amici;
quando dovetti ricorrere a quei milioni che erano stati affidati a
me.... e vi misi anche la mano sopra.... io salvai tutto quello che
era tuo — sì, tutto il tuo patrimonio.... quantunque avessi potuto
trafugarlo ed impiegarlo.... come feci col resto.
ELLA (_con calma, fredda_). È vero, Borkman.
BORK. Lo vedi! E perciò quando vennero da me e mi condussero via....
trovarono intatto, nei forzieri della Banca, tutto il tuo patrimonio.
ELLA (_fissandolo_). Ci ho pensato tante volte su questo fatto.... ma
veramente perchè risparmiasti il mio patrimonio? proprio ed unicamente
il mio?
BORK. Perchè?
ELLA. Sì, perchè?
BORK. Credi forse che lo feci per avere qualche cosa di riserva.... per
il caso che la faccenda dovesse prendere una cattiva piega?
ELLA. No.... a quell’epoca non avresti potuto pensare a quel modo!
BORK. Mai, e poi mai! Ero tanto sicuro della mia vittoria....
ELLA. Ed allora perchè....?
BORK. (_scrollando le spalle_). Dio buono, Ella.... non è poi tanto
facile ricordarsi di cose di vent’anni fa. Mi ricordo solamente che,
passeggiando solo ed architettando nella solitudine tutte quelle
immense imprese che volevo mandare ad effetto, mi pareva di provare
le sensazioni che, secondo me, dovrebbero agitarsi nella mente di un
aeronauta. Nelle notti in cui non potevo prender sonno, mi pareva di
dover gonfiare un enorme pallone e di essere in procinto di slanciarmi
con esso sopra un oceano malsicuro, irto di pericoli.
ELLA (_sorridendo_). Tu, che non dubitasti mai della vittoria?
BORK. (_con impazienza_). Sì, Ella: gli uomini sono tutti fatti così.
Credono e dubitano nel medesimo tempo. (_come fra sè e sè_) Fu quella
la causa per cui non volli prendere te ed il tuo patrimonio nel
pallone.
ELLA (_trepidante_). E perchè? Ti domando il perchè?
BORK. (_senza guardarla_). In un viaggio così ardito non si suole mai
prendere nella navicella il più prezioso dei beni.
ELLA. Ma tu avevi nella navicella il più prezioso dei tuoi beni: la tua
vita avvenire....
BORK. La vita non è sempre il più prezioso dei beni.
ELLA (_trattenendo il respiro_). Eri anche allora dello stesso avviso?
BORK. Sì: ero dello stesso avviso.
ELLA. Che fossi stata in allora io il più prezioso dei tuoi beni?
BORK. Sì, per quanto ne ho memoria.
ELLA. Eppure allora erano passati molti anni dall’epoca in cui mi
abbandonasti per sposare.... un’altra donna.
BORK. Averti abbandonata? Io? Capirai che ci devono essere state delle
ragioni ben superiori.... sì, ben alte ragioni, che mi costrinsero a
fare quel passo. Senza l’appoggio di quel tale, io non avrei potuto
andare avanti.
ELLA (_frenandosi_). Avermi abbandonata.... per delle ragioni ben
superiori!
BORK. Io non potei fare a meno del suo appoggio, e come prezzo egli mi
chiese la tua mano.
ELLA. E tu gli pagasti il prezzo.... l’intero prezzo; senza
contrattarlo!
BORK. Non mi rimaneva altro scampo: o vincere o soccombere.
ELLA (_con voce tremante e fissandolo_). Secondo quanto mi dicesti or
ora, io ero adunque in quell’epoca il più prezioso dei tuoi beni?
BORK. Sì, ed anche più tardi.... per molti e molti anni.
ELLA. Ciò nulla meno tu allora mi vendesti; e trattasti con un altro
uomo per il diritto del tuo amore. Vendesti il tuo affetto per un....
un posto di direttore di Banca.
BORK. (_cupo, col capo chino_). Fu dura necessità, Ella!
ELLA (_alzandosi dal sofà; con voce selvaggia e tremante_). Traditore!
BORK. (_atterrito, ma trattenendosi_). Questa parola mi fu scagliata
un’altra volta.
ELLA. Non creder già ch’io voglia alludere all’infrazione del codice da
parte tua: no, non ti fo alcun carico sul modo con cui impiegasti tutte
le obbligazioni, tutte le azioni.... tutti quelli effetti di Banca, no!
Ah se mi fosse stato concesso di essere vicino a te nel momento del tuo
tracollo....!
BORK. (_con grande interesse_). In tal caso, Ella....?
ELLA. Avrei teco diviso con gioia i colpi del destino crudele
— t’assicuro: t’avrei reso meno insopportabile l’onta,
l’annichilamento.... tutto!
BORK. L’avresti voluto? o l’avresti potuto?
ELLA. L’avrei voluto e potuto. A quell’epoca io ero ancora all’oscuro
di quel tuo terribile, immane delitto....
BORK. A quale delitto alludi tu ora?
ELLA. Alludo a quel delitto, per il quale non esiste perdono.
BORK. (_con lo sguardo fisso su lei_). Ella, tu deliri!
ELLA (_avvicinandosi a Borkman_). Sei un assassino! Hai commesso il
grande peccato mortale.
BORK. (_indietreggiando verso il pianoforte_). Ella, tu deliri!
ELLA. Tu hai spento in me la fiamma dell’amore! (_avvicinandoglisi
ancor più_) Mi comprendi? La Bibbia parla di un peccato misterioso,
per il quale non esiste perdono. Prima d’oggi quelle parole della
Bibbia mi erano oscure: ora le comprendo. Quel peccato capitale, senza
perdono.... è il peccato che si commette spegnendo in una creatura
umana la fiamma del suo amore!
BORK. Io — secondo te — avrei dunque commesso quel delitto?
ELLA. Sì, tu l’hai commesso, Borkman! Fino ad oggi ho vissuto
all’oscuro di tutto ciò. Ma questa sera mi è caduto il velo dagli
occhi. Fino ad oggi io credevo che tu mi avessi posposta a Gunilde....
per incostanza d’affetto da parte tua e per crudeli raggiri da parte
sua. E per questo motivo credo di averti una volta anche un po’
disprezzato.... Ma ora! dopo questa tua confessione! Tu hai abbandonato
me — la donna del tuo cuore; tu hai venduto il più prezioso dei
tuoi beni per ricavare un lucro! Ecco il duplice assassinio, che hai
commesso! L’assassinio della tua anima e l’assassinio della mia!
BORK. (_freddo e calmo_). Oh come si riafferma ancora una volta la
tua natura selvaggia ed indomabile, Ella! Tu ti compiaci naturalmente
di osservare le cose dal tuo punto di vista. Lo comprendo! Sei donna,
Ella! A mio modo di vedere tu non ti occupi che unicamente de’ tuoi
casi; tu credi che al mondo non esistano altre dolorose vicende
all’infuori delle tue!
ELLA. È proprio così, Borkman.
BORK. Dunque è soltanto della piaga del tuo cuore che ti dai pensiero?
ELLA. Penso soltanto a quella — soltanto a quella! Hai ragione!
BORK. Non devi però dimenticarti, anzitutto, che io sono uomo, Ella.
Come donna tu mi eri certamente il più prezioso dei beni. Ma una donna
può surrogarsi con un’altra.... se così vuole il destino....
ELLA (_sorridendo_). Arrivasti a questa conclusione con lo sposare
Gunilde?
BORK. No: anche il cómpito che m’ero creato per questa vita contribuì a
rendermi tutto ciò sopportabile. Io volevo avere fra le mie mani tutte
le sorgenti del potere: volevo avere sotto il mio giogo tutti i tesori
del suolo, dei monti, dei boschi, del mare per render contenti e felici
migliaia e migliaia di uomini.
ELLA (_come assorta nei ricordi_). Lo so: oh quante volte abbiamo
parlato insieme di tutti questi tuoi progetti.... sull’imbrunire....
BORK. Con te lo potevo fare, Ella.
ELLA. Ed io scherzavo su tutti quei tuoi progetti e ti domandavo se tu
volessi svegliare gli spiriti sonnecchianti dell’oro.
BORK. (_affermando col capo_). Mi ricordo di quella espressione.
(_lentamente_) Gli spiriti sonnecchianti dell’oro!
ELLA. Tu però non scherzavi, perchè a quella domanda mi rispondesti:
Sì, Ella, io voglio svegliarli!
BORK. È vero. In quel tempo io ero appena ai primi passi della
mia carriera. Tutto dipendeva da quell’uomo: egli poteva e voleva
procurarmi la direzione della Banca.... purchè io d’altro canto....
ELLA. Purchè tu dal canto tuo rinunciassi alla donna che tu amavi
tanto.... e che amava te alla follia.
BORK. Io conoscevo quanto grande fosse il suo affetto per te. Ma
quell’uomo mi pose per condizione....
ELLA. E tu l’accettasti anche!
BORK. (_con impeto_). L’accettai, sì, è vero! Quella brama di dominare
era in me tanto forte! Dovetti accettare quella sua condizione: ed egli
mi aiutò a salire su quelle vette affascinanti! Ed io salii sempre più
in alto — d’anno in anno sempre più in alto....
ELLA. Ed io sparii dal tuo cuore.
BORK. Ma poi egli mi precipitò nell’abisso.... e per te, Ella.
ELLA (_dopo aver meditato per qualche tempo_). Borkman.... non pare
anche a te che su tutto quel nostro amore abbia pesato una maledizione?
BORK. (_fissandola_). Una maledizione?
ELLA. Sì, una maledizione: non pare anche a te?
BORK. (_inquieto_). Forse! Ma il motivo....? (con irruenza) Ah Ella....
io non capisco proprio chi abbia ragione — io o tu?
ELLA. Sei stato tu che hai commesso quell’orribile peccato, e che hai
distrutto tutta la mia felicità!
BORK. (_con angoscia_). Oh non dirlo, Ella!
ELLA. Sì; tu hai troncato tutta la felicità d’una donna. Dal giorno in
cui la tua immagine incominciò a dileguarsi dal mio cuore, la mia vita
si oscurò come se fosse stata immersa in un eclisse solare. In tutti
questi anni trascorsi ho sentito manifestarsi in me un’avversione.... e
da ultimo mi fu impossibile di amare una qualche creatura: non uomini,
non bestie, non fiori — soltanto lui, lui....
BORK. Chi?
ELLA. Erardo!
BORK. Erardo....?
ELLA. Sì, Erardo — tuo figlio, Borkman.
BORK. E gli portasti proprio tanto affetto?
ELLA. E perchè me lo presi a casa mia? perchè mai lo trattenni vicino a
me tanto tempo.... sino a che mi fu possibile? Perchè?
BORK. Così.... per misericordia — come per il resto.
ELLA (_con viva agitazione interna_). Per misericordia! Aha! aha! Ma
non sai che io non ho provato più misericordia.... dal giorno in cui
mi abbandonasti! Non potevo più provare misericordia! Quando capitava
nella mia cucina qualche povero piccino affamato, e tutto tremante
e con le lagrime agli occhi domandava qualche cosa per isfamarsi,
incaricavo la cuoca di dargli da mangiare. Non sentivo mai in me il
desiderio di chiamare il poverino nella mia stanza, per poi riscaldarlo
vicino ad un buon fuoco, e per provare un senso di compiacenza
nel vederlo scacciare lungi da sè la fame. E pensare che nella mia
giovinezza ero tanto misericordiosa! Fosti tu a far sorgere un vasto
deserto in me.... ed anche fuori di me.
BORK. Anche su Erardo?
ELLA. No, quel deserto non si estende su tuo figlio; esso si estende su
tutto ciò che si muove ed ha vita. Tu hai rapito alla mia vita le gioie
e la felicità di una madre; anche le lagrime e le cure di una madre. E
questa fu per me la più penosa dello perdite.
BORK. Lo credi, Ella?
ELLA. Chi lo sa? Forse quelle cure e quelle lagrime avrebbero potuto
apportarmi grandissimo conforto. (_animandosi sempre più_) Allora però
mi fu impossibile di trovare un altro conforto per la perdita fatta!
Fu per questo motivo che condussi Erardo con me! Mi assicurai il suo
cuoricino tanto caldo, tanto promettente.... fino al giorno.... ah!
BORK. Fino ai giorno?
ELLA. .... in cui sua madre — volevo dire l’autrice dei suoi giorni —
me lo portò via.
BORK. Il distacco — o prima o tardi — doveva avvenire: Erardo doveva
venire in città per continuare i suoi studi.
ELLA (_stirando le mani_). Ma io non posso più sopportare questa
solitudine.... questo deserto.... non posso sopportare la perdita del
cuore di tuo figlio!
BORK. (_con lo sguardo pieno d’odio_). ..... Hm,.... Ella, tu non
hai perduto il suo cuore — no..... Non si perde tanto facilmente un
cuore.... qui, al pianterreno.
ELLA. Ho perduto Erardo qui, sì, qui. E fu lei che me lo portò via....
o forse un’altra donna. Tutto ciò risulta abbastanza evidentemente
dalle lettere che egli mi scrive qualche volta.
BORK. Tu sei venuta adunque qui per riprenderlo?
ELLA. Sì, purchè sia possibile....
BORK. È possibile, se proprio lo vuoi: il primo e maggior diritto su
Erardo spetta a te.
ELLA. Diritto! E si può parlare in questo caso di diritto? Se egli non
viene via con me spontaneamente.... non posso avere il suo cuore, che
devo averei Io devo avere tutto, tutto il cuore del mio figliolo!
BORK. Non dimenticarti che Erardo ha già venti anni suonati; non
potresti far quindi duraturo assegnamento su tutto, tutto il suo
cuore.... per usare le stesse tue parole.
ELLA (_con un amaro sorriso_). Non è necessario che egli resti molto
tempo con me.
BORK. No? Credevo che tu esigessi di trattenere Erardo sino ai tuoi
ultimi giorni.
ELLA. Questa è infatti la mia intenzione.... per ciò che riguarda i
miei ultimi giorni, non ci vorrà molto tempo....
BORK. (_con sorpresa_). Che dici....?
ELLA. Ti sarà noto che negli ultimi anni fui sempre sofferente?
BORK. Tu sofferente?
ELLA. Non lo sapevi?
BORK. No.... veramente.... no....
ELLA (_guardandolo con aria di stupore_). Non ti ha mai parlato Erardo
delle mie sofferenze?
BORK. Ora non posso proprio ricordarmene....
ELLA. Forse Erardo non t’avrà mai parlato di me?
BORK. Sì, sì: egli mi parlò di te.... almeno mi pare. Del resto io
lo vedo ben di rado; anzi quasi mai. C’è qui giù, al pianterreno, una
persona che lo tiene lontano da me.... lontano da me, intendi?
ELLA. Ne sei certo, Borkman?
BORK. Oh se lo sono! (_cambiando tono_) Dunque sei stata sofferente,
Ella?
ELLA. Sì: nell’autunno scorso il male s’aggravò tanto da costringermi a
venir qui per consultare i medici della città, che hanno più esperienza
dei nostri.
BORK. Li hai già consultati?
ELLA. Sì: stamane.
BORK. E ti dissero?
ELLA. Mi convinsero pienamente di quello che avevo presentito io stessa
da molto tempo....
BORK. Ebbene?
ELLA (_rassegnata e calma_). La mia malattia mi condurrà al sepolcro,
Borkman.
BORK. Non prestarci fede, Ella!
ELLA. La mia malattia è di quelle per le quali non valgono rimedi. I
medici non ne conoscono uno: devono accontentarsi di seguire il corso
del male; non lo possono arrestare: tutt’al più possono procurare
qualche sollievo — il che è già una bella fortuna.
BORK. Ad onta della tua malattia, tu vivrai ancora molto a lungo....
vedrai....
ELLA. I medici m’hanno assicurato che molto probabilmente avrei potuto
tirare avanti ancora tutto l’inverno.
BORK. (_sopra pensiero_). L’inverno.... è tanto lungo.
ELLA (_sommessamente_). Sì — abbastanza lungo.
BORK. (_premuroso, come se volesse cambiare discorso_). E come mai
fu possibile che tu ti ammalassi così gravemente? Conducevi sempre un
regime di vita così regolato.... così igienico.... come mai....?
ELLA (_fissandolo_). I medici sostengono che la causa del mio male sia
stata una commozione d’animo d’antica data.
BORK. (_montando in collera_). Una commozione d’animo! Comprendo la tua
allusione!
ELLA (_in preda ad un’agitazione interna sempre più crescente_). Del
resto ormai è troppo tardi di voler rintracciarne la causa! Io però
devo avere ancora una volta — prima di morire — il mio unico figliolo!
È così triste di dover abbandonare tutto ciò che palpita di vita su
questa terra.... il sole, l’aria, la luce.... senza lasciare a questo
mondo almeno una persona, che possa qualche volta ricordarsi di me....
e pensare a me con affetto e con rimpianto.... come un figlio pensa
alla madre morta.
BORK. (_dopo breve pausa_). Porta pur via Erardo, Ella.... purchè tu
possa riuscirvi.
ELLA (_con calore_). Vi acconsenti? Lo puoi?
BORK. (_cupo_). Sì: ma non è un gran sagrifizio il mio, perchè io già
da molto tempo non ho più nessun potere su mio figlio!
ELLA. Grazie, grazie per il tuo sacrifizio! — Ora ho da volgerti
un’altra preghiera, Borkman.... anzi, secondo me, una grande preghiera.
BORK. Parla!
ELLA. Troverai puerile.... forse incomprensibile....
BORK. Parla dunque!
ELLA. Dopo la mia morte resterà un patrimonio non indifferente....
BORK. Sì, un patrimonio rilevante.
ELLA. Ebbene, è mia intenzione di lasciare il mio patrimonio ad Erardo.
BORK. Dal momento che non hai altri parenti più prossimi....
ELLA (_con anima_). Infatti non ho altri parenti più prossimi....
BORK. Non ci sono più superstiti della tua famiglia, è vero: tu sei
l’ultima Rentheim.
ELLA (_affermando lentamente col capo_). L’ultima! Ora se io muoio....
sparirà con la mia morte anche il nome dei Rentheim. E vedi, anche
questo pensiero mi è tanto angoscioso! Di me non resterà più nulla in
questo mondo.... neppure il mio nome....
BORK. (_interrompendola_). Aha,.... ora ti comprendo!
ELLA (_con passione_). Fa che il mio nome non muoia con me! Fa che
Erardo porti anche il nome dei Rentheim.
BORK. (_guardandola con stizza_). Comprendo le tue mire. Tu vuoi
liberare mio figlio dal nome che porta suo padre: ecco la tua
intenzione!
ELLA. No — non è vero! Io avrei portato quel nome in tua compagnia con
tanto entusiasmo, con tanta fierezza! Ma per una madre, che si trova
sull’orlo della fossa.... credimi, Borkman, il nome è un legame ben più
forte di quello che tu possa immaginare!
BORK. (_freddo, ma con fierezza_). Sta bene, Ella: io sarò l’unico uomo
che porterà ancora il nome dei Borkman.
ELLA (_stringendogli le mani_). Grazie, grazie! Ora abbiamo saldato
la nostra partita! Sì, sì — lascia che te lo dica! Tu hai fatto
un’onorevole ammenda — per quanto stava nelle tue forze! Morta me,
vivrà un Erardo Rentheim!
(_La porta in fondo, a sinistra, si apre: apparisce la signora
Borkman con lo sciallo sulla testa_.)
SCENA IV.
=Borkman, Ella Rentheim,= la =Signora Borkman.=
Sig.ª BORK. (_in preda a vivissima eccitazione_). Erardo npn porterà
mai quel nome!
ELLA (_indietreggiando_). Gunilde!
BORK. (_in atto minaccioso_). Non tollero che nessuno entri in camera
mia.
Sig.ª BORK. (_entrando nella stanza_). Mi sono presa la libertà....
BORK. (_andando incontro a sua moglie_). Che vuoi da me?
Sig.ª BORK. Voglio lottare e combattere per te; — voglio difenderti
dagli spiriti maligni.
ELLA. Gli spiriti più maligni albergano in te, Gunilde!
Sig.ª BORK. (_in tuono aspro_). Su questo argomento — non una parola di
più! (_in atto di minaccia, col braccio teso — ad Ella_) Una cosa però
voglio sin d’ora imprimerti bene nella mente: Erardo porterà sempre
il nome di suo padre! Lo porterà a testa alta e lo circonderà di nuovo
splendore! Ed io sola ho da essere la madre di Erardo Borkman! Io sola!
E nessun’altra donna! (_via e chiude la porta_)
SCENA V.
=Borkman= ed =Ella Rentheim.=
ELLA (_scossa_). Borkman.... In questa burrasca sarà Erardo quegli
che risentirà i più dannosi effetti. È d’uopo che si venga ad una
spiegazione fra te e Gunilde! Andiamo quindi subito da lei....
Scendiamo!
BORK. (_fissandola_). Io andare da lei? Eh?
ELLA. Sì, tu con me.
BORK. (_agitando il capo_). Tua sorella è inflessibile, Ella —
inflessibile come il metallo che un giorno io volli estrarre dallo
miniere.
ELLA. Ritenta ora la prova!
BORK. (_resta immobile, senza rispondere, come se fosse indeciso_)
FINE DELL’ATTO SECONDO.
ATTO TERZO.
Camera della signora Borkman, come nell’atto primo. La lampada,
sul tavolo accanto al sofà, arde tuttora. La veranda è immersa
nell’oscurità.
SCENA PRIMA.
La =Signora Borkman,= poi la =Cameriera,= poi =Ella Rentheim= e =Gian
Gabriele Borkman.=
(_La signora Borkman, con lo sciallo sulla testa, entra in preda
a vivissima agitazione per l’uscio d’ingresso e va alla finestra,
dove solleva per un momento le cortine. Poi s’avvicina alla stufa e
vi si siede acanto. Quindi s’alza e tira il cordone del campanello.
Rimane per qualche tempo in attesa, accanto al sofà. Non comparisce
nessuno. Tira una seconda volta e più forte il cordone_.)
(_Dopo breve pausa entra la Cameriera dalla porta di destra: ha gli
occhi ancor gravi disonno e gli abiti in disordine — come se aveste
dovuto vestirsi in tutta fretta_.)
Sig.ª BORK. (_con impazienza_). Dove siete stata tanto tempo, Lena? Ho
già suonato due volte.
CAM. Ho udito suonare tutte le due volte, signora.
Sig.ª BORK. E perchè non siete venuta subito?
CAM. (_brontolando_). Ho dovuto pur vestirmi per venire qui!
Sig.ª BORK. Bene: mettetevi ancora un po’ in ordine, e poi uscite e
andate a chiamare mio figlio.
CAM. (_con stupore_). Ho da andare a chiamare il signorino?
Sig.ª BORK. Sì: e ditegli che venga subito; chè ho da parlargli.
CAM. (_facendo il viso arcigno_). E non sarebbe meglio di svegliare il
cocchiere del fattore?
Sig.ª BORK. E perchè?
CAM. Per attaccare la slitta. Stanotte la neve cade a turbini....
Sig.ª BORK. Non importa. Fate però presto! Del resto non ci sono che
pochi passi!
CAM. Pochi passi?
Sig.ª BORK. Non sapete adunque dove si trovi la villa dell’avvocato
Hinkel?
CAM. (_pungente_). Ah, è nella villa dell’avvocato Hinkel che si trova
a quest’ora il nostro signorino?
Sig.ª BORK. (_stizzita_). E dov’altro mai potrebbe egli trovarsi a
quest’ora?
CAM. (_sorridendo_). Il signorino potrebbe trovarsi nella casa, che è
solito frequentare tutti i giorni....
Sig.ª BORK. In casa di chi?
CAM. In casa della signora Wilton!
Sig.ª BORK. Non è abitudine di mio figlio di andare ogni giorno in casa
della signora Wilton!
CAM. (_a voce bassa_). Dicono che ci vada tutti i giorni.
Sig.ª BORK. Tutte chiacchiere, Lena! Andate ora dal signor Hinkel e
domandate del signorino!
CAM. (_alzando in alto la testa_). Bene; ora me ne vado: (_Mentre
s’avvia all’uscio d’ingresso, compariscono Ella Rentheim e Borkman_.)
Sig.ª BORK. (_indietreggiando di un passo_). Cosa vorrebbe mai
significare questa visita?
CAM. (_atterrita e stringendosi istintivamente le mani_). Gesù!
Sig.ª BORK. (_susurrando alla Cameriera_). Ditegli che venga subito!
CAM. (_piano_). Va bene, signora.
(_Ella Rentheim e Borkman entrano nella stanza. La Cameriera esce,
chiudendo dietro a sè la porta. Breve pausa_.)
Sig.ª BORK. (_come se fosse riuscita a padroneggiarsi completamente; ad
Ella_). Che vuole egli mai da me?
ELLA. Borkman vuole tentare di venire ad una spiegazione con te.
Sig.ª BORK. Finora egli non l’ha mai fatto!
ELLA. Ed ora lo vuole!
Sig.ª BORK. L’ultima volta, che siamo stati l’uno di fronte all’altro,
fu al Tribunale.... quando venni citata per deporre....
BORK. (_inoltrandosi_). Ed oggi sono io, che ho da deporre.
Sig.ª BORK. (_guardandolo_). Tu?
BORK. Sì; ma non sul mio fallo, che oramai lo conosce tutto il mondo....
Sig.ª BORK. (_sospirando; con amarezza_). È vero: tutto il mondo
conosce oramai il tuo fallo.
BORK. Il mondo però ignora il motivo, per cui io commisi quell’errore:
ignora il movente, per cui io fui costretto a farlo, perohò io era....
Gian Gabriele Borkman.... e non un altro. È su questo punto che voglio
fare ora le mie deposizioni.
Sig.ª BORK. (_scrollando il capo_). Le tue deposizioni non servono a
nulla. D’altronde anche la scusa d’aver agito sotto l’altrui impulso
non assolve mai nessun colpevole.
BORK. Essa può assolverlo davanti ai suoi proprî occhi.
Sig.ª BORK. (_con un movimento di mano, come se volesse schermirsi_).
Lasciamo quest’argomento! Ho pensato e ripensato tante volte su quella
tua triste storia!
BORK. L’ho fatto anch’io. In quei lunghi, eterni cinque anni, trascorsi
al cellulare.... ed altrove.... ebbi più d’una volta l’occasione ed
il tempo di farlo: ed ancor più forse negli otto anni, passati lassù
nel salotto. Mi sono ricostruita tutta la situazione giuridica della
mia storia — per esaminarla con gli stessi miei occhi. L’ho studiata
una volta, e poi ancor un’altra.... e così via. Mi sono eretto
successivamente accusatore, difensore, giudice di me stesso: ed in
tutti quelli uffici conservai sempre la più rigida imparzialità....
sì — posso ripeterlo — fui più imparziale di qualsiasi altra persona.
Passeggiando lassù — nel salotto — ho esaminato tutte le mie azioni
sino nel loro più piccolo dettaglio. Le ho esaminate prima da una parte
e poi dall’altra, sempre imparzialmente, sempre scrupolosamente....
come l’avrebbe fatto un avvocato avversario. Ed il risultato di tutte
quelle indagini, di tutto quelle analisi.... fu sempre l’identico: mi
convinsi sempre più che la persona più terribilmente colpita dal mio
fallo.... fui io stesso.
Sig.ª BORK. E non ne fui colpita anche io? non ne fu colpito anche tuo
figlio?
BORK. Sì, anche voi due: quando parlo di me, parlo implicitamente anche
di voi due.
Sig.ª BORK. E tutte quelle centinaia di porsone, che, secondo
l’opinione pubblica, furono rovinate dal tuo fallo?
BORK. (_accalorandosi_). Arrivai al potere! Sorse allora in me
quell’impulso indomabile! M’apparvero allora per tutto il paese e
nelle profondità delle miniere quei milioni incatenati e mi chiamarono,
gridandomi di liberarli dalle loro catene! Ma nessun altro uomo potè
udire la loro voce! Fui io solo!
Sig.ª BORK. Sì, tu solo hai udito quella voce.... per coprire d’infamia
il nome dei Borkman!
BORK. Avrei voluto vedere come avrebbe agito un altro uomo se — come fu
il caso mio — fosse giunto al potere!
Sig.ª BORK. Nessun uomo avrebbe fatto quello che tu osasti di fare!
BORK. Forse nessun altro l’avrebbe fatto, perchè nessun altro possedeva
la mia capacità! E se anche l’avessero fatto, non l’avrebbero
mai conseguito coi miei mezzi.... ciò che avrebbe dato all’affare
un’impronta del tutto diversa.... In poche parole: io mi sono assolto
da me stesso.
ELLA (_con tuono dolce, supplichevole_). Puoi ripetere ciò con intima
convinzione, Borkman?
BORK. (_affermando col capo_). Sì — io stesso mi sono assolto da
quell’accusa. Ma ora sorge la grave, la terribile accusa, che mi sono
scagliato con le mie mani!
Sig.ª BORK. Quale accusa?
BORK. Ho sprecato otto anni preziosi della mia esistenza passeggiando
su e giù per il salotto! Ebbene — nello stesso giorno, in cui mi
rimisero a piede libero, in quello stesso giorno io avrei dovuto
entrare nel mondo della realtà — della realtà, che è immutabile e senza
sogni! Avrei dovuto ricominciare la strada: ricominciarla dal basso....
per slanciarmi un’altra volta in alto — molto più in alto di prima — ad
onta di tutti i fatti accaduti.
Sig.ª BORK. Ah — persuaditi, la tua vita non si sarebbe punto mutata
col mutar di strada!
BORK. (_scrollando il capo e fissando la moglie come per spiegarle
qualche cosa_). Non può accadere nulla di nuovo: ma quello che è
accaduto.... non si ripete più. È il nostro occhio quello che trasforma
le situazioni; e l’occhio trasformatore fa apparire le cose veochie
sotto forme nuove. (_interrompendosi_) Ma tu già non comprendi queste
parole.
Sig.ª BORK. (_secca_). No, non le comprendo.
BORK. Ecco la mia maledizione: non aver mai trovato un’anima umana, che
mi potesse comprendere!
ELLA (_fissando Borkman_). Mai, Borkman?
BORK. Forse una, una sola.... ma molti, molti anni fa.... quando mi
pareva di non aver bisogno di venire compreso da nessuno. Più tardi,
però, io non trovai nè ebbi mai al fianco mio una persona prudente, che
fosse pronta ad ogni istante di chiamarmi.... di svegliarmi come con un
rintocco mattutino di campana.... di spronarmi ad un lavoro nuovo, ad
un lavoro più attivo.... ad imprimermi nella mente che io fino allora
non avevo fatto nulla di duraturo.
Sig.ª BORK. (_con riso ironico_). Ah bisognava adunque che qualcuno te
lo imprimesse nella mente?
BORK. (_con collera_). Ah, quando sento che tutto il mondo è d’accordo
nel dichiararmi in faccia, che Gian Gabriele Borkman è un uomo
irremissibilmente perduto, allora parmi per un momento di dover anch’io
prestar fede all’opinione pubblica. (_alzando in alto il capo_) Ma
poi la mia coscienza prende nuovamente il sopravvento: ed è la mia
coscienza che mi assolve!
Sig.ª BORK. (_guardando Borkman con severità_). E perchè non sei venuto
mai da me per cercare la persona che ti comprendesse?
BORK. E se anche fossi venuto.... l’avrei forse trovata?
Sig.ª BORK. (_con un gesto ripulsivo di mano_). Tu, in vita tua, non
hai avuto che un’unica mira: te stesso!
BORK. (_con fierezza_). Mi stette a cuore la forza!
Sig.ª BORK. Sì — la forza!
BORK. .... la forza di poter rendere immensamente felici tutti gli
uomini!
Sig.ª BORK. Eppure ci fu un momento, in cui tu avresti potuto rendermi
felice: perchè non ne approfittasti?
BORK. (_come se volesse sottrarsi allo sguardo della moglie_). Qualcuno
deve pur venire inghiottito.... in un naufragio.
Sig.ª BORK. E tuo figlio? Hai forse sfruttato il tuo potere in suo
favore.... ti sei forse adoperato mai in vita tua per renderlo felice?
BORK. Mio figlio? Io non lo conosco!
Sig.ª BORK. Hai ragione. Tu non lo conosci!
BORK. (_con asprezza_). Questo non è che il risultato delle cure di sua
madre.
Sig.ª BORK. (_guardandolo con un’aria di superiorità_). Oh tu ignori le
mie cure?
BORK. Le sai tu sola?
Sig.ª BORK. Sì: io sola.
BORK. Parla adunque!
Sig.ª BORK. Le mie cure furono rivolte alla tua memoria.
BORK. (_con un riso secco_). Alla mia memoria? È strano! Parli di me,
come se io fossi già morto!
Sig.ª BORK. (_facendo risaltare le parole_). Tu sei già morto!
BORK. (_lentamente_). Forse hai ragione. (_brusco_) No, no: non sono
ancor morto! Sono stato all’orlo della fossa, è vero: ma ora mi sono
risvegliato! Ora mi sento guarito! La vita s’agita ancora davanti ai
miei occhi: ed io la vedo quella vita ancora iridescente, che palpita e
che m’attende.... La vedrai anche tu....
Sig.ª BORK. (_coll’indice teso_). Non sognare mai più di poter vivere
ancora una volta! Accontentati della tua posizione attuale!
ELLA (_trasalendo_). Gunilde, Gunilde.... come puoi tu mai....!
Sig.ª BORK. (_senza darle ascolto_). Voglio erigere un monumento sulla
tua fossa.
BORK. La colonna infame.... eh?
Sig.ª BORK. (_con un’agitazione ognor più crescente_). No, il tuo
monumento non sarà nè di granito nè di bronzo: sul monumento, che io
intendo di erigerti, non verrà inciso nessun epitaffio ironico. Una
fitta boscaglia di alberi e di cespugli si estenderà sul sepolcro
della tua vita e ne coprirà tutte le macchie. Gian Gabriele Borkman
scomparirà dagli occhi degli uomini, avvolto dall’oblio.
BORK. (_con voce rauca; ironico_). Sarà una bell’opera di carità la tua!
Sig.ª BORK. In quell’opera di misericordia io non sarò sola: avrò
un compagno di collaborazione in un uomo, che io mi sono assunta il
còmpito di educare e che s’è imposto di spendere la sua vita per una
missione. Questo mio collaboratore, conducendo un’esistenza, ispirata
a principî puri, santi e sublimi, cancellerà dalla memoria degli uomini
tutti i ricordi della tua vita tenebrosa.
BORK. (_minaccioso_). Vuoi forse alludere ad Erardo?
Sig.ª BORK. (_fissandolo negli occhi_). Sì, ad Erardo. — Tu devi
rinunziare a tutti i diritti che vanti su lui.... come pena per tutte
le tue colpe.
BORK. (_con lo sguardo rivolto ad Ella_). Come pena per la più grave
delle mie colpe!
Sig.ª BORK. Per il fallo, che hai commesso verso un’altra persona? Oh
pensa piuttosto al peccato di cui ti sei reso reo verso di me! (_con
aria di trionfo, guardando ora Borkman, ora Ella_) Oh il mio Erardo non
ascolterà le vostre parole! Io lo chiamerò in mio aiuto ed egli non
me lo negherà! Erardo vuol restare con me — con me sola e con nessun
altro.... (_s’arresta come per ascoltare se giungesse qualcuno; quindi
esclama:_) Oh sento i suoi passi! Egli è qui — egli viene qui. Erardo!
(_Erardo Borkman entra dall’uscio d’ingresso: ha il soprabito e
porta il cappello in testa_.)
SCENA II.
La =Signora Borkman, Ella Rentheim,= =Gian Gabriele Borkman= ed
=Erardo=.
ERARDO (_pallido e con affanno_). Ma, mamma.... cos’è successo....!
(_si accorge del padre, che è rimasto alla porta della veranda;
trasalisce e si leva il cappello_)
ERARDO (_dopo una breve pausa_). Ebbene, mamma, che vuoi da me? Cosa è
mai accaduto qui?
Sig.ª BORK. (_stendendo le braccia verso Erardo_). Voglio vederti,
Erardo mio! Voglio averti qui vicino a me.... e sempre!
ERARDO (_borbottando_). Vicino a te?... E sempre? Non ti comprendo!
Sig.ª BORK. Voglio averti vicino a me, sì, vicino a me, poichè qui c’è
qualcuno, che vuole separarti da tua madre!
ERARDO (_indietreggiando di qualche passo_). Tu non lo ignori adunque,
mamma!
Sig.ª BORK. No, non l’ignoro. E lo sai tu pure?
ERARDO (_guardando meravigliato la signora Borkman_). E me lo
domandi?... Lo so.... naturalmente.
Sig.ª BORK. Che brutto giuoco! Perchè me l’hai fatto così di nascosto!
Erardo! Erardo!
ERARDO (_frettoloso_). Mamma, dimmi, cosa sei venuta a sapere?
Sig.ª BORK. Sono venuta a sapere tutto: so che tua zia è venuta qui per
portarmi via mio figlio!
ERARDO. Zia Ella?
ELLA. Erardo, ascolta prima le mie parole!
Sig.ª BORK. (_proseguendo_). Tua zia vuole che io ti ceda a lei: vuol
divenire tua madre. Tu diverrai suo figlio.... non sarai più mio.
Diventerai l’erede di tutto il suo patrimonio.... cambierai nome....
assumerai il suo!
ERARDO. Ma, zia, è possibile tutto ciò?
ELLA. Sì, è proprio così!
ERARDO. Fino ad ora io non ne avevo nemmeno la più lontana idea! Ma
perchè, zia, vuoi che io ritorni a casa tua?
ELLA. Perchè in questa casa sento di perderti.
Sig.ª BORK. (_con asprezza_). Sì, tu lo perdi per colpa mia.... il che
è ben naturale....
ELLA (_con aria supplichevole ad Erardo_). Erardo, io non posso
perderti ora! Tu sai che tua zia è una donna, che vive sola, tutta
sola.... che è moribonda....
ERARDO. Moribonda....?
ELLA. Sì: moribonda. Vuoi restare con me sino all’ultimo guizzo
della mia pupilla? Vuoi consacrarti tutto a me? Vuoi diventare mio
figlio....?
Sig.ª BORK. (_interrompendola_). Ed abbandonare tua madre e riuunziare
alla tua missione? Lo vuoi, Erardo?
ERARDO (_commosso, con trasporto_). Zia Ella.... tu sei stata sempre
tanto affettuosa verso di me! In casa tua ho assaporato tutte le
dolcezze della felicità, che accompagnano l’infanzia....
Sig.ª BORK. Erardo! Erardo!
ELLA. Continua! le tuo parole mi fanno tanto bene!
ERARDO. .... ma adesso non posso più sacrificarmi per te. Mi è
impossibile di diventare tuo figlio....
Sig.ª BORK. (_con aria di trionfo_). Oh lo sapevo bene! Ella, tu non lo
riconquisti più! non lo riconquisti più!
ELLA (_triste_). Lo vedo. Egli è nelle tue mani.
Sig.ª BORK. Sì... Erardo è e resterà nelle mie mani! Non è vero —
Erardo — noi abbiamo da percorrere insieme ancora un buon tratto di
strada?
ERARDO (_in lotta con sè stesso_). Mamma.... è meglio che io ti
confessi....
Sig.ª BORK. (_con inquietudine_). Ebbene?
ERARDO. Mamma, la strada, che avremo da percorrere insieme, sarà breve.
Sig.ª BORK. (_come colpita da un fulmine_). Spiegati!
ERARDO (_facendosi animo_). Buon Dio.... Mamma, sono giovane! Mi pare
che se dovessi respirare ancora più a lungo l’aria di questa casa ne
soffocherei....
Sig.ª BORK. Erardo!
ERARDO. Sì, è proprio così!
ELLA. Vieni allora con me, Erardo!
ERARDO. Ah, zia Ella, persuaditi! La tua casa è un ambiente diverso da
questo, è vero, ma non è migliore.... almeno per me. Anche nel nostro
giardino — come nel tuo — olezzano le rose e la lavanda.... ma anche
a casa tua si respira lo stesso odore di rinchiuso, che si espande fra
questi muri!
Sig.ª BORK. (_trasalisce, ma poi padroneggiandosi_). Senti odore di
rinchiuso accanto a tua madre?
ERARDO (_con sempre più crescente impazienza_). Sì, non conosco una
parola più adatta. Tutte queste preoccupazioni morbose.... tutte
queste idee sublimi.... o come le volete chiamare.... m’hanno reso
insopportabile la vita.
Sig.ª BORK. (_con profonda gravità_). Ti sei dimenticata la missione,
alla quale ti chiama la tua vita, Erardo?
ERARDO (_impaziente_). Sarebbe meglio che tu dicessi: la missione, alla
quale mi chiami tu! Sì, finora tu — tu sola sei stata la mia volontà!
Io non ne ho mai potuto avere una propria! Ma ora questo giogo mi
riesce troppo gravoso, troppo opprimente! Sono giovane! Ricordatelo,
mamma. (_con uno sguardo mite e pieno di riguardo a Borkman_) Non posso
sacrificare la mia vita per le colpe di qualche altra persona! Fosse
pure.... non so chi!
Sig.ª BORK. (_con ansia ognor crescente_). Chi ti ha trasformato mai in
questo modo, Erardo?
ERARDO (_risentito_). Chi? E non potrei essere stato io stesso....?
Sig.ª BORK. No, no, no! Tu sei capitato sotto l’influenza di qualche
altra persona: non subisci più l’influenza di tua madre, e nemmeno
l’influenza di tua.... tua madre adottiva.
ERARDO (_con fierezza forzata_). Mamma, ormai non mi muovo più che
sotto la mia sola influenza e di mia propria volontà.
BORK. (_avvicinandosi ad Erardo_). Forse in questo momento è finalmente
arrivata la mia ora!
ERARDO (_con affettata premura, come se parlasse ad uno straniero_).
Lei diceva?... Babbo, tu dicevi....?
Sig.ª BORK. (_ironica_). Sarei anch’io desiderosa di saperlo....!
BORK. (_senza darle ascolto_). Ascoltami, Erardo: vuoi tu andare con
tuo padre? Un uomo, caduto in disgrazia, non può mai venir redento
dalla condotta morale di un altro. Questi sono sogni, semplici sogni,
fiabe che ti furono raccontate.... qui nel tanfo di questa stanza. Se
anche tu conducessi una vita casta come quella di tutti i Santi.... io
non ne avvantaggerei minimamente.
ERARDO (_con affettato rispetto_). Parole piene di verità, babbo, le
tue!
BORK. Sì, parole vere: nè un maggior utile io ritrarrei anche se
volessi consumare la mia vita fra le penitenze e fra le flagellazioni,
in tutti questi anni.... ho tentato di illudermi con sogni e con
speranze, che non fanno per me: ora bando ai sogni!
ERARDO (_inchinandosi leggermente_). Lei vuol dunque.... babbo, tu vuoi
dunque....?
BORK. Voglio risorgere con le mie proprie forze. Voglio incominciare
da capo. Il passato lo si può dimonticare soltanto col presente e col
futuro: lo si può dimenticare col lavoro — col lavoro febbrile, che già
nella mia giovinezza mi sembrò essere lo scopo dolla vita umana. Ma ora
voglio salire mille volte più in alto di prima. Erardo, vuoi tu venire
con me? Vuoi aiutarmi in questa vita nuova?
Sig.ª BORK. (_in atto minaccioso_). Erardo! Non farlo!
ELLA (_con ardore_). Acconsenti, acconsenti! Aiuta tuo padre, Erardo!
Sig.ª BORK. Questo è dunque il tuo consiglio? Tu.... la solitaria....
la moribonda!
ELLA. Di me non mi do più pensiero!
Sig.ª BORK. Purchè io non lo riconquisti....
ELLA. È vero, Gunilde!
BORK. Dunque, Erardo, acconsenti?
ERARDO (_come se si trovasse in una penosa situazione_). Babbo.... ora
non lo posso. È semplicemente impossibile!
BORK. Ma quali sono adunque i tuoi progetti?
ERARDO (_animandosi_). Sono giovane ed anche io voglio vivore una
volta! Voglio vivere questa mia vita!...
ELLA. E non vorresti tu sacrificarti per qualche mese, rischiarando con
un raggio di sole una povera vita, che volge al suo tramonto?
ERARDO. Zia, anche so lo volessi, non lo potrei.
ELLA. Nemmeno per una persona, che t’ama tanto svisceratamente....?
ERARDO. Per la vita mia.... zia.... non lo posso!
Sig.ª BORK. (_guardandolo negli occhi_). E nemmeno tua madre potrebbe
più trattenerti?
ERARDO. Mamma, io ti vorrò sempre bene; ma non posso più continuare a
vivere solamente per te. Questo non si chiamerebbe più vita.
BORK. Vieni dunque e stringiti al fianco mio. Vivere vuol dir lavorare,
Erardo. Vieni: entriamo ora nella vita e lavoriamo insieme!
ERARDO (_con trasporto_). Ma io non voglio lavorare! Sono giovane!
E prima d’ora non ho mai sentito questa mia giovinezza! Sento adesso
pulsarmi calda per le vene la vita! Non voglio lavorare! Ma vivere,
vivere, vivere!
Sig.ª BORK. (_trepidante_). E per quale soopo vuoi tu vivere, Erardo?
ERARDO (_con occhi di gioia_). Per essere felice, mamma!
Sig.ª BORK. E dove vuoi trovare questa felicità?
ERARDO. L’ho già trovata.
Sig.ª BORK. (_gridando_). Erardo!
ERARDO (_si precipita alla porta, l’apre e chiama_). Fanny, Fanny....
ora puoi entrare! Entra.
(_La signora Fanny Wilton, in mantello, comparisce sull’uscio_.)
SCENA III.
La =Signora Borkman, Ella Rentheim,= =Gian Gabriele Borkman, Erardo
Borkman= e la =Signora Wilton.=
Sig.ª BORK. (_con le mani alzate_). Signora Wilton!
Sig.ª WIL. (_titubante; interrogando Erardo con lo sguardo_). È
permesso....?
ERARDO. Sì, ora puoi venire. Ho raccontato tutto.
(_La signora Wilton entra nella stanza; Erardo chiude l’uscio. La
signora Wilton saluta Borkman con fare misurato: Borkman risponde
al saluto con un inchino. — Breve pausa_.)
Sig.ª WIL. Dunque la grande parola è stata pronunciata. E m’immagino
che io entri in questa stanza come una persona, che abbia arrecato un
grave colpo alla casa Borkman.
Sig.ª BORK. (_fissandola in viso; lentamente_). Lei ha distrutto
quanto rimaneva dell’uomo, per il quale io potevo ancora vivere. (_con
irruenza_) Ciò nulla meno.... è impossibile, sì: è impossibile....
Sig.ª WIL. Comprendo che tutto ciò debba parerle addirittura
impossibile, signora Borkman.
Sig.ª BORK. Lei stessa dovrebbe dire, che tutto ciò è impossibile....
Sig.ª WIL. Anzi io dovrei dire, che tutto ciò è un assurdo. Ma così
deve essere e basta!
Sig.ª BORK. (_ad Erardo_). Il tuo modo d’agire è poco serio, Erardo!
ERARDO. Ecco la mia felicità, mamma! Tutta la mia felicità, l’immensa
mia felicità. Non saprei altro dirti.
Sig.ª BORK. (_alla signora Wilton, stringendosi le mani_). È stata
dunque lei a sedurre mio figlio, ad ammaliarlo!
Sig.ª WIL. (_con fierezza, con la testa alta_). No, non sono stata io!
Sig.ª BORK. Non ne sarebbe capace?
Sig.ª WIL. No! Io non ho sedotto nè ammaliato suo figlio. Erardo mi si
è offerto spontaneamente. Ed io spontaneamente gli sono andata incontro
— a mezza strada!
Sig.ª BORK. (_guardando la signora Wilton da capo a piedi, con uno
sguardo sprezzante_). Spontaneamente? Lo credo bene!
Sig.ª WIL. (_padroneggiandosi_). Signora Borkman.... vi sono nella vita
umana delle forze, che Lei sembra di non conoscere affatto.
Sig.ª BORK. Quali forze?
Sig.ª WIL. Le forze, che offrono a due esseri la possibilità
di annodare — o presto o tardi — le loro esistenze in un legame
indissolubile....
Sig.ª BORK. (_ironica_). Credevo che la signora Wilton fosse già
indissolubilmente legata ad un altro uomo!
Sig.ª WIL. (_secca_). Quell’uomo m’ha abbandonata.
Sig.ª BORK. Si dice però che egli sia ancora vivo!
Sig.ª WIL. Per me egli è come se fosse morto.
ERARDO (_energico_). Sì, mamma, per Fanny quell’uomo è come se fosse
morto. E poi tutto ciò è affatto indifferente!
Sig.ª BORK. (_con uno sguardo severo_). Tu conosci adunque i rapporti
della signora Wilton con quel signore?
ERARDO. Li conosco tutti e minuziosamente.
Sig.ª BORK. E tutto ciò ti è indifferente?
ERARDO (_schermendosi con baldanza_). Ti ripeto che voglio godere la
felicità! Sono giovane. E voglio vivere, vivere, vivere!
Sig.ª BORK. Sì, Erardo, tu sei giovane.... forse troppo giovane!
Sig.ª WIL. (_con gravità_). Signora Borkman — creda a me — io non ho
taciuto nulla ad Erardo. Gli ho raccontato francamente tutte le vicende
della mia vita, gli ho ripetuto continuamente che ho sett’anni più di
lui....
ERARDO (_interrompendola_). Ma che! Fanny.... lo sapevo ancor prima....
Sig.ª WIL. .... ma tutto fu inutile.... tutto.
Sig.ª BORK. Tutto? Davvero? Ma allora perchè non metterlo alla porta?
perchè non proibirgli di venire in casa? Ecco ciò che lei avrebbe
dovuto fare!
Sig.ª WIL. (_con voce ottusa_). Non mi fu possibile, signora Borkman!
Sig.ª BORK. E perchè no?
Sig.ª WIL. Perchè trovai in Erardo — in lui solo.... la mia
felicità....!
Sig.ª BORK. (_con fare sprezzante_). Ehm! La felicità.... la
felicità....!
Sig.ª WIL. Prima d’ora in’era ignoto che cosa significasse: “essere
felice„. Capirà poi che non potevo lasciarmi sfuggire questa felicità,
soltanto perchè mi era apparsa un po’ tardi.
Sig.ª BORK. E credo lei che questa sua felicità sarà perenne?
ERARDO (_interrompendola_). Perenne o no.... mamma, ciò è indifferente!
Sig.ª BORK. (_con rabbia_). Povero illuso! Ma non vedi tu dove ti potrà
condurre il passo che stai per fare?
ERARDO. Non mi curo dell’avvenire! Poco m’importa del domani! Mi basta
di poter vivere una volta!
Sig.ª BORK. (_con dolore_). E questo chiami tu vivere, Erardo?
ERARDO. Ma non vedi quanto è bella la mia Fanny!
Sig.ª BORK. (_stringendosi convulsivamente le mani_). E sono io che
deve sopportare quest’immensa vergogna!
BORK. (_dal fondo — ironico_). Ma che, Gunilde.... ormai sei già
abituata a sopportare simili onte!
ELLA (_supplichevole_). Borkman!
ERARDO (_c. s._). Babbo!
Sig.ª BORK. E pensare che dovrò sforzarmi di veder ogni giorno mio
figlio in compagnia di una.... di una....!
ERARDO (_brusco_). Non temere, mamma! Non mi vedrai più! Ancora poche
ore....
Sig.ª WIL. (_con tuono reciso_). Siamo di partenza, signora Borkman.
Sig.ª BORK. Dunque parte anche lei! Insieme ad Erardo?
Sig.ª WIL. (_affermando col capo_). Parto per il Mezzogiorno:
vado all’estero in compagnia di una giovane signorina. Ed Erardo
m’accompagna in quel viaggio....
Sig.ª BORK. Dunque mio figlio parte con lei e con una giovane signorina?
Sig.ª WIL. Sì, con la signorina Frida Foldal, che mi avevo presa in
casa. Voglio che all’estero essa si perfezioni nella musica.
Sig.ª BORK. Dunque la signora conduce con sè anche Frida?
Sig.ª WIL. Naturalmente, non posso mandarla sola in un paese tanto
lontano.
Sig.ª BORK. (_con un sorriso forzato_). E che ne pensi tu, Erardo?
ERARDO (_imbarazzato; scrollando le spalle_). Mamma.... se Fanny la
vuole proprio assolutamente.... allora....
Sig.ª BORK. (_con freddezza_). E si può sapere quando le loro signorie
pensano di partire?
Sig.ª WIL. Partiremo subito — questa notte istessa. La mia slitta ci
attende in istrada.... davanti la villa Hinkel.
Sig.ª BORK. (_guardando la signora Wilton da capo a piedi_). Ah.... fu
dunque in casa Hinkel — al ricevimento di stasera....?
Sig.ª WIL. (_ridendo_). In casa Hinkel non eravamo che io ed Erardo — e
naturalmente anche la signorina Frida.
Sig.ª BORK. E dov’è ora Frida?
Sig.ª WIL. Ci aspetta nella slitta.
ERARDO (_con imbarazzo penoso_). Mamma.... capirai! Volevo risparmiare
questa visita.... a te ed a tutti gli altri....
Sig.ª BORK. (_mortificata_). Volevi dunque partire senza nemmeno dare
un addio a tua madre?
ERARDO. Reputavo miglior partito.... per tutti noi.... Tutt’era già
bello e pronto: erano già pronte le valigie.... quando mi facesti
chiamare.... (_stendendole la mano_) Ora, addio, mamma!
Sig.ª BORK. (_respingendolo_). Non toccarmi!
ERARDO (_calmo_). Sono queste le tue ultime parole?
Sig.ª BORK. (_con asprezza_). Sì, le mie ultime parole.
ERARDO (_ad Ella_). Addio, zia Ella!
ELLA (_stringendogli le mani_). Addio, Erardo! Godi la vita! E sii
felice, felice.... finchè lo potrai.
ERARDO. Grazie, grazie — buona zia! (_inchinandosi davanti a Borkman_)
Addio, babbo! (_piano alla signora Wilton_) Cerchiamo di andar via da
questa casa più presto che sia possibile!
Sig.ª WIL. (_piano_). Sì, andiamo!
Sig.ª BORK. (_con un sorriso malizioso_). Signora Wilton.... crede
opportuno di condurre seco la giovane ragazza?
Sig.ª WIL. (_con un sorriso fra il serio e l’ironico_). Gli uomini sono
così poco costanti, signora Borkman — ed anche le donne. Quando Erardo
si sarà annoiato di me — ed io di lui — sarà pur bene per ambidue di
tener in pronto per Erardo una persona che possa sostituirmi.
Sig.ª BORK. E lei....?
Sig.ª WIL. Quanto a me, saprò già cosa fare.... Buona sera a tutti!
(_Saluta ed esce per la porta d’ingresso. Erardo resta un momento
indeciso sul da farsi, poi s’avvia all’uscio e corre dietro alla
signora Wilton_.)
SCENA IV.
La =Signora Borkman, Ella Rentheim,= =Gian Gabriele Borkman=.
Sig.ª BORK. (_a mani giunte_). Senza più figlio!
BORK. (_come se avesse preso una risoluzione_). Anche io voglio uscire
di qui.... fuori, fuori nella bufera. Datemi subito il mio cappello! Il
mio soprabito! (_avviandosi frettolosamente all’uscio_)
ELLA (_atterrita vuol trattenere Borkman_). Gian Gabriele, dove vuoi
andare?
BORK. Fuori, fuori: nella bufera della vita.... Lasciami.... Ella....
lasciami!
ELLA (_trattenendolo a viva forza_). No, non te lo permetto! Tu sei
ammalato! Lo vedo!
BORK. (_svincolandosi dalle mani di Ella Rentheim_). Lasciami, ti dico!
(_via per l’uscio d’ingresso_)
SCENA V.
La =Signora Borkman= ed =Ella Rentheim=.
ELLA (_sull’uscio_). Aiutami a trattenerlo, Gunilde!
Sig.ª BORK. (_immobile nel mezzo della stanza; con freddezza_). Io non
trattengo più nessun uomo! Vadano pure via tutti: l’uno o l’altro....
mi è indifferente! Vadano via — lungi, lungi da me.... quanto più loro
aggrada. (_all’improvviso con un grido straziante_) Erardo mio, non
partire! (_Si precipita con le mani tese verso l’uscio — Ella Rentheim
la sorregge_.)
FINE DELL’ATTO TERZO.
ATTO QUARTO.
Spianata al fianco della villa Rentheim. A destra un angolo della
casa con piccola gradinata di pietra, che mette al portone. In
fondo erto pendìo, coperto di abeti carichi di neve. A sinistra
piccola boscaglia. Notte oscura: un pallido chiarore lunare
squarcia di tratto in tratto le nuvole, che corrono per il cielo.
La neve, caduta di fresco, è dappertutto.
SCENA PRIMA.
=Gian Gabriele Borkman=, la =Signora Borkman=, =Ella Rentheim=.
(_Borkman, la signora Borkman ed Ella Rentheim stanno immobili
sul gradino del portone. Borkman, affranto, è appoggiato al muro:
porta un vecchio pastrano ed un cappello grigio a cencio; in mano
un grosso randello. Ella Rentheim ha il mantello sul braccio.
La signora Borkman coi capelli in disordine ha uno sciallo sulle
spalle_.)
ELLA (_sbarrando la strada alla signora Borkman_). Non corrergli
dietro, Gunilde!
Sig.ª BORK. (_agitata — affannosamente_). Lasciami, lasciami! Erardo
non deve partire, non deve abbandonarmi!
ELLA. È tutto inutile: ormai non puoi più raggiungerlo.
Sig.ª BORK. Lasciami, Ella; voglio ancora tentare.... griderò il suo
nome, là sulla strada; egli sentirà la voce di sua madre!
ELLA. Erardo non può più sentire la tua voce! A quest’ora egli si
troverà già sdraiato nella slitta....!
Sig.ª BORK. No, no.... è impossibile che egli si trovi già nella slitta!
ELLA. Persuaditi! Erardo a quest’ora si trova già nella slitta.
Sig.ª BORK. (_con accento disperato_). S’egli si trova nella slitta....
oh allora anche quella donna è con lui.... lei!
BORK. (_con un amaro sorriso_). In tal caso egli non potrà sentire la
voce di sua madre!
Sig.ª BORK. No.... non potrà sentirla! (_stando in ascolto_) Silenzio!
Quale rumore?
ELLA (_pure in ascolto_). Mi sembra lo squillar di sonagli.
Sig.ª BORK. (_con un grido represso_). È la loro slitta!
ELLA. .... o forse un’altra....
Sig.ª BORK. No, no; è proprio la slitta della signora Wilton! La
riconosco al tintinnio dei sonagli d’argento! Ascolta! A momenti
passerà proprio qui davanti a noi.... osserva laggiù — verso quella
discesa....
ELLA (_premurosamente_). Gunilde, se vuoi chiamare Erardo, approfitta
del momento! Forse egli può ancora.... (_il rumor dei sonagli si fa
sempre più distinto_) — Presto, presto, Gunilde! La slitta passa in
questo momento proprio sotto i nostri occhi! Chiamalo!
Sig.ª BORK. (_per un momento titubante; poi trasalisce: quindi con
freddezza_). No; non voglio chiamarlo! Erardo Borkman passi pure
davanti ai miei occhi! Vada pure lontano, lontano.... incontro a ciò
che egli chiama felicità e vita! (_I sonagli non s’odono più_).
ELLA (dopo una pausa). Non odo più i sonagli!
Sig.ª BORK. Mi fecero l’impressione di una campana funebre.
BORK. (_con un riso represso_). Ah, ah.... quella campana non ha
suonato certamente per me!
Sig.ª BORK. È suonata invece l’ultima ora per me e per l’uomo che mi ha
abbandonata.
ELLA (_pensierosa_). Chissà che il tintinnio di quelle sonagliere non
sia l’inno inaugurale della felicità e della vita di Erardo, Gunilde!
Sig.ª BORK. (_trasalendo e guardandola con asprezza_). Credi tu che
quell’inno sarà duraturo?
ELLA. Sì — almeno per qualche tempo.
Sig.ª BORK. E gli àuguri tu felicità e vita... anche in compagnia di
quella donna?
ELLA (_con ardore affettuoso_). Sì, e di tutto cuore — con tutta
l’anima mia!
Sig.ª BORK. (_con freddezza_). L’amore deve ardere nel tuo cuore ben
più vivido che nel mio.
ELLA. Forse è il sagrifizio d’amore, che fa ardere nel mio cuore quella
fiamma.
Sig.ª BORK. (_guardando Ella_). Ella! Se è così.... fra breve, anche
nel mio cuore brucerà una fiamma eguale alla tua. (_entra nella casa_)
SCENA II.
=Gian Gabriele Borkman, Ella Rentheim,= poi =Guglielmo Foldal=.
ELLA (_sta immobile per qualche tempo; poi guarda Borkman con
preoccupazione; quindi ponendogli dolcemente le mani sulle spalle_).
Vieni, Gianni! Ritiriamoci in casa!
BORK. (_scosso_). Io?
ELLA. Sì. L’aria invernale è penetrante e tu non la puoi sopportare —
lo vedo. Vieni, ritiriamoci in casa, dove l’aria è riscaldata.
BORK. (_sdegnato_). Nel salotto — eh?
ELLA. Sarebbe meglio nella stanza di Gunilde....
BORK. (_trasalendo_). Per Iddio non metto più piede in quella casa.
ELLA. E dove vuoi andare, Gianni? Così a tarda notte?
BORK. (_coprendosi col cappello_). Prima di tutto voglio andare a
vedere tutti i miei tesori nascosti.
ELLA (_guardandolo con ansia_). Gianni.... non ti comprendo!
BORK. (_con sarcasmo_). Oh quei tesori non sono cose rubate! Non
temere, Ella! (_pausa — indicando con la mano un punto poco distante_)
Osserva! Chi è quell’uomo, che viene da quella parte?
(_Guglielmo Foldal entra da destra; ha un vecchio pastrano, coperto
di neve, ed un ombrellone. Le falde del suo cappello sono tirate
all’ingiù. Cammina penosamente, zoppicando col piede sinistro._)
BORK. Guglielmo! Vieni ora da me.... di nuovo?
FOL. (_guardando Borkman_). Dio mio.... tu sulla scaletta, qui fuori!
Gian Gabriele? (_saluta_) E c’è anche la signora?
BORK. (_secco_). No: non è la signora.
FOL. Domando perdono. Ho perduto i miei occhiali nella neve. — Ma tu,
che non metti mai il piede fuori di casa...?
BORK. (_prorompendo in un’allegrezza sfrenata_). Capirai, che è tempo
ormai ch’io mi muova di nuovo all’aria aperto. Ho passato quasi tre
anni nel carcere preventivo, cinque anni nel cellulare, ott’anni nel
salotto....
ELLA (_preoccupata_). Borkman.... ti prego...!
FOL. Sì, sì....
BORK. Ora però rispondimi: che vuoi da me?
FOL. (_che si è fermato al primo gradino della scaletta_). Volevo
venire a casa tua, Gian Gabriele. Sentivo in me come un dovere di
venire a trovarti nel salotto.... già, nel salotto....
BORK. Anche dopo d’averti messo alla porta?
FOL. Ciò m’è indifferente.
BORK. Ti sei fatto male al piede? Tu zoppichi!
FOL. Sì.... pensa!.... sono stato rovesciato....
BORK. Come? Rovesciato?
FOL. Sì: sono stato rovesciato da una slitta....
BORK. Oh! oh!
FOL. .... da una slitta tirata da due cavalli, che volavano giù per la
discesa di quella strada. Non fui in tempo di scansarla.... e....
ELLA. .... e ne fu travolto?
FOL. .... sì, signora — cioè — signorina. Mi urtarono e fui rovesciato
nella neve; perdetti il mio paio d’occhiali e spezzai l’ombrello....
(_toccandosi il ginocchio_) e mi feci anche un po’ di male alla gamba.
BORK. (_con riso mal represso_). Ma tu sicuramente ignori chi ci fosse
in quella slitta, Foldal?
FOL. E come potevo guardarvi dentro? Era una slitta chiusa, con le
tendine abbassate.... ed il cocchiere, vedendomi cadere, invece di
fermare i cavalli tirò innanzi. — Del resto m’importava sino ad un
certo punto.... (_interrompendosi_) Ah sono tanto contento adesso....
sai?
BORK. Contento?
FOL. Sì: veramente non saprei proprio come chiamare il senso che
m’invade ora.... sì: contentezza — non ne trovo un vocabolo migliore.
— È accaduto qualche cosa di meraviglioso! Ed è perciò che non potevo
far altro.... che dovevo venire qui per dividere e godere con te la mia
gioia.
BORK. (_brusco_). Quale gioia?
ELLA. Borkman, rientra prima in casa col tuo amico.
BORK. (_con asprezza_). Te l’ho già detto che non voglio più entrare in
quella casa?
ELLA. Ma non hai sentito poc’anzi: il signor Foldal è stato travolto....
BORK. Ma che! tutti dobbiamo venir travolti un giorno o l’altro.... in
questo mondo. Però bisogna anche rialzarsi e tirar avanti come se non
fosse accaduto nulla.
FOL. Quanto è giusta la tua osservazione, Gian Gabriele! Del resto
posso raccontarti in poche parole, anche qui all’aperto, quello che mi
preme di comunicarti!
BORK. (_in tono più mite_). Fammi questo favore! Guglielmo!
FOL. Ora attenzione! Immaginati un po’.... ritornando via da te trovo
— a casa mia — una lettera.... una lettera di.... Sapresti indovinarne
l’autrice?
BORK. Forse la tua piccola Frida?
FOL. Benissimo! Hai colto subito nel segno! Sì, una lettera lunga —
abbastanza lunga, che era stata portata a casa mia da un servitore. —
Indovina ora il motivo per cui Frida mi scrisse quella lettera?
BORK. Probabilmente per prender congedo dai suoi genitori? È così?
FOL. Benissimo! è meraviglioso come tu le indovini tutte, Gian
Gabriele! In quella lettera mia figlia mi partecipa che la signora
Wilton, la quale s’è interessata moltissimo di lei, vuole ora condurla
con sè all’estero, per darle un’educazione musicale più perfetta. La
signora Wilton si è già assicurata l’opera di un bravo maestro, che
deve partire con loro.... per istruire Frida.... giacchè l’educazione
della mia Frida è purtroppo ancora un po’ deficiente in qualche punto.
BORK. (_sforzandosi di nascondere un riso sempre più crescente_). Sì,
sì, Guglielmo — comprendo perfettamente tutto ciò!
FOL. (_continuando con calore_). E pensa! Frida venne a conoscenza del
viaggio progettato appena stasera — in quella casa.... mi comprendi!
— Approfittò di quel po’ di tempo, che le restava, per scrivermi la
lettera — una lettera affettuosa, scritta col cuore.... e scritta tanto
correttamente.... sai! Ed in tutta la lettera non c’è nemmeno una frase
di disprezzo verso suo padre. E poi quel suo pensiero tanto gentile....
di mandarci i saluti per lettera.... prima di partire!... (_ride_) Ma
Frida sembra d’aver fatto i conti senza l’oste!
BORK. (_con uno sguardo scrutatore_). Vorresti dire?
FOL. Mia figlia m’ha scritto pure che sarebbe partita domattina — molto
per tempo....
BORK. Domattina? Ti ha proprio scritto che sarebbe partita domattina?
FOL. (_ride e si frega le mani_). Sì. Però io sono più furbo di quello
che lo si creda! Vado subito dalla signora Wilton....
BORK. A quest’ora?
FOL. Non è poi tanto tardi. Se fosse già chiuso il portone, suonerò
senz’altro, perchè voglio e devo vedere mia figlia prima della
partenza. Dunque buona notte. (_fa per andarsene_)
BORK. Ascoltami, povero Foldal.... puoi risparmiarti quella strada
faticosa!
FOL. Vuoi alludere alla mia gamba...?
BORK. Sì; oltre a ciò debbo osservarti che stanotte tu non potrai
entrare in casa della signora Wilton.
FOL. Ma che! Suonerò fino a che qualcheduno mi verrà ad aprire. Capirai
che voglio e devo vedere la mia Frida!
ELLA. Signor Foldal, la sua Frida è già partita.
FOL. (esterrefatto). La mia Frida è già partita! Lo sa di certo? Chi
glielo disse?
BORK. Lo abbiamo saputo dal suo futuro maestro.
FOL. Davvero? E chi è mai costui?
BORK. Uno studente: un certo Erardo Borkman.
FOL. (_con gli occhi scintillanti di gioia_). Tuo figlio, Gian
Gabriele! È mai possibile?
BORK. Sì, la signora Wilton gli ha affidato l’incarico di educare la
tua piccola Frida.
FOL. Dio sia lodato! Ma allora mia figlia si trova in ottime mani! Sei
certo che sono già partiti?
BORK. Sì: sono partiti con quella slitta, che ti travolse sulla strada.
FOL. (_battendo le mani_). La mia Frida si trovava adunque in quella
splendida slitta!
BORK. Sì, Foldal.... tua figlia siede ora su cuscini soffici e
morbidi.... e così pure lo studente Borkman. Ehm.... hai ammirato anche
i sonagli d’argento?
FOL. Come! Sonagli d’argento, hai detto? Sonagli d’argento? Erano
proprio d’argento?
BORK. Sì: erano d’argento, come dello stesso metallo erano pure tutti i
fregi della slitta!
FOL. (_commosso_). È strano come possa cambiarsi la fortuna d’un uomo!
Il mio.... il mio estro poetico si è trasformato in Frida in un estro
musicale! Non sono stato dunque un poeta buono a nulla! Frida va ora in
quel mondo vasto, in quel mondo lontano, di cui ho tante volte sognato!
La mia piccola Frida può ora rinchiudersi in una slitta dai sonagli
d’argento....
BORK. .... e travolgere suo padre....
FOL. Ciò mi è indifferente.... dal momento che mia figlia.... Dunque
sono arrivato troppo in ritardo. Bene: ora ritorno a casa per consolare
mia moglie, che piange in cucina.
BORK. Piange?
FOL. (_ride_). Sì, pensa.... quando la lasciai, i suoi occhi erano in
lagrime.
BORK. Tu però ridi, Guglielmo!
FOL. Io rido! Naturalmente! La povera donna non ne capisce nulla. Ma
ora me ne vado.... Il _tramway_ non è poi tanto distante dalla tua
casa.... Addio, Gian Gabriele! Buona notte, signorina! (_saluta ed esce
zoppicando nella stessa direzione, dalla quale è venuto_)
SCENA III.
=Gian Gabriele Borkman, Ella Rentheim,= poi la _Cameriera_.
BORK. (_immobile per un momento; quindi quasi fra sè_). Addio, Foldal!
Non è la prima volta in vita tua che fosti travolto, vecchio amico!
ELLA (_guardando Borkman — con ansia repressa_). Sei così pallido,
Gianni....
BORK. È l’efletto dell’aria di quella prigione, là sopra.
ELLA. Non ti ho mai veduto tanto pallido.
BORK. .... perchè non hai mai veduto la faccia di un carcerato,
scappato dalla prigione.
ELLA. Vieni, Gianni.... rincasiamo!
BORK. Finiscila con quello tue parole tentatrici. Te l’ho già detto....
ELLA. E se io ti supplicassi? Per il tuo meglio....
(_La Cameriera comparisce sul portone_.)
CAM. Dovranno scusarmi; la signora m’ha dato l’ordine di chiudere il
portone.
BORK. (_piano ad Ella_). Lo senti! Ora vogliono chiudermi di nuovo!
ELLA (_alla Cameriera_). Il signor Direttore non si sente bene. Vuol
respirare ancora qualche boccata d’aria fresca.
CAM. La signora però m’ha detto....
ELLA. Chiuderò il portone io stessa. Lasciate pur là la chiave....
CAM. Va bene. (_rientra in casa_)
SCENA IV.
=Gian Gabriele Borkman= ed =Ella Rentheim.=
BORK. (_sta per qualche istante in ascolto: quindi scostandosi dalla
casa_). Ora sono fuori di quei muri, Ella! Le pareti di quella casa non
mi vedranno mai più!
ELLA. (_avvicinandosi a Borkman_). Gianni, anche in casa tua godi piena
libertà: puoi andare e venire a tuo piacere.
BORK. (_lentamente — con orrore_). Mai più sotto quel tetto! Si sta
tanto bene qui fuori, di notte. Se ritornassi nel salotto.... il
soffitto e le pareti mi stringerebbero, mi soffocherebbero.... mi
schiaccerebbero come una mosca.
ELLA. E dove vuoi mai andare a quest’ora?
BORK. Lontano.... sempre avanti. Voglio tentare di riconquistare
un’altra volta la libertà, la vita e gli uomini. — Ella, vuoi tu venire
con me?
ELLA. Io? adesso?
BORK. Sì, subito.
ELLA. Ma dove?
BORK. Più lontano che sia possibile.
ELLA. Rifletti un po’.... in questa fredda ed umida notte d’inverno....
BORK. (_con voce rauca_) Oh oh.... la signorina si prende cura della
sua salute, eh?... già, già: la signorina è un po’ sofferente!
ELLA. È della tua salute, non della mia, che mi prendo cura!
BORK. Ah ah ah! Ti dai pensiero della salute di un morto? C’è da
ridere! (_s’accinge a partire_)
ELLA (_trattenendolo_). Dicesti or ora di essere...?
BORK. Un morto. Hai dimenticato il consiglio, che mi suggerì Gunilde:
di accontentarmi di vivere in quel mondo, in cui ho vissuto fino ad
oggi?
ELLA (_getta via il mantello — risoluta_). Io vengo con te, Gianni!
BORK. Sì, Ella: noi siamo due creature indissolubili — (_s’inoltra_)
seguimi!
(_Borkman ed Ella sono giunti alla boscaglia di sinistra, che
scomparisce a poco a poco. Scompariscono pure la casa e tutto il
paesaggio di fondo, che si trasforma gradatamente, prendendo un
carattere sempre più selvaggio_.)
VOCE DI ELLA (_dal bosco — a destra_). Gianni, dove andiamo? Temo di
smarrire il sentiero!
VOCE DI BORK. (_c. s._). Segui le mie orme impresse sulla neve.
VOCE DI ELLA. Ma perchè salire tanto in alto?
VOCE DI BORK. (_più da vicino_). Là, su quel sentiero serpeggiante!
VOCE DI ELLA. Ah! non posso più continuare....
BORK. (_nel bosco a destra_). Avanti, Ella! Non ci sono più che pochi
passi per arrivare alla spianata. Molti anni fa c’era un sedile....
qui....
ELLA (_comparendo fra gli alberi_). Te ne ricordi ancora?
BORK. Potrai riposarti su quel sedile.
(_Borkman ed Ella Rentheim sono giunti su un poggio, che s’eleva
nel mezzo del bosco. Dietro il poggio un precipizio: a sinistra
un esteso paesaggio con fjordi e con numerose catene di monti. Sul
poggio a sinistra un abete sfrondato: accanto all’albero un sedile.
Il poggio è tutto coperto di neve_.)
(_Borkman ed Ella s’avanzano faticosamente sulla neve_.)
BORK. (_sull’orlo del precipizio_). Vieni qui, Ella. Guarda....
ELLA (_avvicinandosi a Borkman_). Cosa vuoi mostrarmi, Gianni?
BORK. (_mostrando colla mano_). Guarda come libero ed infinito
s’estendo sotto i nostri sguardi il paese.... lontano.... lontano....?
ELLA. Quante volte, seduti su questo sedile, abbiamo rivolto i nostri
sguardi ancora più lontano!
BORK. Era il paese dei sogni quello, a cui rivolgevamo allora i nostri
sguardi!
ELLA (_affermando col capo; con voce dolorosa_). Era il paese dei sogni
della nostra vita! Ed ora il paese è tutto coperto di neve, e l’antico
albero è isterilito!
BORK. (_senza darle ascolto_). Vedi tu il fumo, che sale da quei grandi
piroscafi, che galleggiano laggiù sul mare?
ELLA. No.
BORK. Io lo vedo. — Partono e ritornano, creando commerci per tutto il
mondo, ed apportando la luce e la vita dell’anima in migliaia di case.
Ed io sognai una volta di mandare ad effetto tali progetti.
ELLA (_mite_). Fu un sogno!
BORK. Sì, fu un sogno! (_in ascolto_) E laggiù sulle sponde del
fiume.... le vedi? Tutte quelle fabbriche in attività! Le mie
fabbriche! Tutte le fabbriche, che avrei voluto costruire da me, con
le mie sole forze! Ascolta il rumore della loro attività! Lavorano
anche di notte: dunque lavorano giorno e notte! Ascolta, ascolta! Come
fremono gli ingranaggi! Osserva! Come scintillano i cilindri nella loro
pazza corsa! Non ne odi il rumore, Ella?
ELLA. No.
BORK. Io l’odo.
ELLA (_con pena_). Credo che t’inganni, Gianni!
BORK. (_sempre più animandosi_). Tutto ciò.... sai.... non è che il
muro di cinta del regno!
ELLA. Del regno? Di quale regno?
BORK. Del mio regno — naturalmente — del regno, che ero già sul punto
di conquistare allora.... quando mi colse la morte.
ELLA (_atterrita, con voce fioca_). Ah Gianni, Gianni!
BORK. Ed ora esso giace.... senza re, senza padroni.... preda agli
assalti ed ai saccheggi degli assassini.... Ella! Vedi tu quelle catene
lontane di monti, che s’ergono l’una dietro l’altra e che s’incielano
come tante torri? È là il mio regno eterno, il mio regno senza
confini....
ELLA. Ah Gianni! Ma da quel regno si effonde una brezza di ghiaccio!
BORK. Quella brezza giunge a me come il soffio della vita: m’accarezza
il volto come se fosse un saluto degli spiriti di sotterra. Ed io li
vedo quei milioni incatenati; vedo i filoni dei metalli, che stendono
verso di me le loro braccia innumerevoli e contorte come i rami d’una
foresta. Sorsero davanti a me come ombre viventi.... in quella notte,
in cui, con la lanterna in mano, entrai nella cella della Banca.
Voi volevate liberarvi dai vostri gioghi! Ed io tentai di farlo — ma
invano! Il tesoro piombò nuovamente nelle viscere della terra.... (_con
le mani tese_) Ma qui — nella quiete della notte — voglio sussurrarvi
una confessione: Io vi amo, o spiriti, che dormite un sonno di morte
apparente nelle profondità e nelle tenebre della terra! Io vi amo,
o tesori avidi di vita.... in tutto il vostro splendore, in tutta la
vostra grandezza! Io vi amo! vi amo! vi amo!
ELLA (_con agitazione dapprima repressa, poi sempre più crescente_).
Sì, il tuo amore palpita ancora sempre forte laggiù nelle tenebre
della terra; laggiù esso ha sempre palpitato. Ma qui, nella luce del
giorno.... m’intendi.... tu avevi un cuore di donna, che palpitava
sempre caldo per te. Tu hai distrutto quel cuore! Ma che? Tu hai
commesso un’azione dieci volte più orribile! Hai venduto quel cuore....
per.... per....
BORK. (_tremante, come se per le vene gli corresse un brivido_). ....
per il regno.... per il potere.... per la grandezza.... eh?
ELLA. Sì; te l’ho già detto stasera: tu hai spento la fiamma d’amore
nella donna che t’amava e che tu pure amavi.... o almeno per quanto
lo potevi. (_col braccio teso_) Ed è perciò che io ti predico: Gian
Gabriele Borkman, tu non otterrai mai il premio da te richiesto per
quell’assassinio; tu non farai mai l’entrata trionfale nel tuo regno
freddo, nel tuo regno tenebroso.
BORK. (_s’appressa vacillante al sedile, poi vi cade sopra di peso_).
Temo che la tua profezia s’avveri!
ELLA (_avvicinandosi_). Gianni, tu non devi temere quella profezia: è
quello che di meglio ti potrebbe ancora toccare!
BORK. (_alzandosi e mettendosi le mani al petto_). Ah! (_spossato_) Ora
mi ha lasciato!
ELLA (_scuotendolo_). Gianni, cosa dici!
BORK. (_rovesciandosi sulla spalliera del sedile_). Una mano di
ghiaccio mi ha stretto il cuore.
ELLA. Gianni! Hai sentito una stretta di quella mano di ghiaccio?
BORK. (_borbottando_). No.... non era una mano di ghiaccio.... era una
mano di ferro! (_cade rovescioni sul sedile_)
ELLA (_levandosi il mantello e stendendolo sul corpo di Borkman_).
Resta pur tranquillo su questo sedile! Io corro a chiamare qualcuno
per soccorrerti. (_s’avvia verso destra, ma dopo alcuni passi si ferma,
ritorna accanto a Borkman e gli tocca il polso e le tempie_)
ELLA (_calma, ma con risolutezza_). No. Per te è meglio così; è meglio
così per te, Gian Gabriele Borkman. (_Avviluppa ancor più accuratamente
nel mantello il corpo di Borkman; quindi si siede sulla neve, vicino
al banco. — Breve pausa. — La signora Borkman, avvolta in un mantello,
comparisce fra gli alberi di destra: la precede la Cameriera con una
lanterna accesa._)
SCENA ULTIMA.
=Gian Gabriele Borkman, Ella Rentheim,= la =Signora Borkman= e la
=Cameriera.=
CAM. (_avvicinando la lanterna al suolo_). Sì, sì.... signora.... vedo
delle orme sulla neve....
Sig.ª BORK. (_dopo di aver guardato intorno con uno sguardo
indagatore_). Ah essi sono là! Sì! Sono seduti su quel sedile!
(_chiama_) Ella!
ELLA (_alzandosi_) Vieni a cercar noi?
Sig.ª BORK. (_con asprezza_). Lo credo!
ELLA (_indicando il cadavere di Borkman_). Gunilde, egli è là.
Sig.ª BORK. Dorme?
ELLA (_affermando col capo_). Sì: dorme un sonno profondo, un sonno
eterno.
Sig.ª BORK. (_con irruenza_). Ella! (_padroneggiandosi, domanda
calma:_) E si è ucciso.... di sua mano?
ELLA. No.
Sig.ª BORK. (_come alleggerita da un grave peso_). Dunque, non si è
ucciso di sua mano?
ELLA. No. Fu una mano di ferro, che gli strinse il cuore.
Sig.ª BORK. (_alla Cameriera_). Chiamate della gente per aiutarci:
andate dal fattore!
CAM. Va bene, signora. (_a voce bassa_) Gesù mio! Gesù mio! (_via per
il bosco di destra_)
Sig.ª BORK. (_dietro il sedile_). Lo ha dunque ucciso l’aria
notturna....?
ELLA. È possibile.
Sig.ª BORK. .... lui, l’uomo robusto!
ELLA (_innanzi il sedile_). Non lo vuoi vedere, Gunilde?
Sig.ª BORK. (_schermendosi_). No.... no.... no. (_con voce calma_)
L’uomo, che è morto or ora, era figlio di minatori..... Ed è perciò che
non potè sopportare l’aria rigida della notte.
ELLA. Fu ucciso dal freddo, ti dico io!
Sig.ª BORK. (_tentennando il capo_). Dal freddo, dici? Oh il freddo
l’aveva ucciso da lungo tempo!
ELLA (_affermando col capo_). .... trasformando te e me in due ombre....
Sig.ª BORK. Hai ragione, Ella!
ELLA (_con riso doloroso_). Un morto e due ombre.... ecco l’opera del
freddo!
Sig.ª BORK. Sì: il freddo del cuore! — Ora possiamo stringerci la mano,
Ella!
ELLA. Sì, ora lo possiamo.
Sig.ª BORK. Noi, le due gemelle.... sopra l’uomo, che abbiamo amato
ambedue.
ELLA. Noi, le due ombre.... sopra lui — il morto! (_La signora Borkman
dietro il sedile ed Ella Rentheim sul davanti si stringono le mani_.)
FINE DEL DRAMMA.
Nota del Trascrittore
Ortografia e punteggiatura originali sono state mantenute, correggendo
senza annotazione minimi errori tipografici.
*** END OF THE PROJECT GUTENBERG EBOOK GIAN GABRIELE BORKMAN ***
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providing copies of Project Gutenberg™ electronic works in
accordance with this agreement, and any volunteers associated with the
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Section 2. Information about the Mission of Project Gutenberg™
Project Gutenberg™ is synonymous with the free distribution of
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computers including obsolete, old, middle-aged and new computers. It
exists because of the efforts of hundreds of volunteers and donations
from people in all walks of life.
Volunteers and financial support to provide volunteers with the
assistance they need are critical to reaching Project Gutenberg™’s
goals and ensuring that the Project Gutenberg™ collection will
remain freely available for generations to come. In 2001, the Project
Gutenberg Literary Archive Foundation was created to provide a secure
and permanent future for Project Gutenberg™ and future
generations. To learn more about the Project Gutenberg Literary
Archive Foundation and how your efforts and donations can help, see
Sections 3 and 4 and the Foundation information page at www.gutenberg.org.
Section 3. Information about the Project Gutenberg Literary Archive Foundation
The Project Gutenberg Literary Archive Foundation is a non-profit
501(c)(3) educational corporation organized under the laws of the
state of Mississippi and granted tax exempt status by the Internal
Revenue Service. The Foundation’s EIN or federal tax identification
number is 64-6221541. Contributions to the Project Gutenberg Literary
Archive Foundation are tax deductible to the full extent permitted by
U.S. federal laws and your state’s laws.
The Foundation’s business office is located at 809 North 1500 West,
Salt Lake City, UT 84116, (801) 596-1887. Email contact links and up
to date contact information can be found at the Foundation’s website
and official page at www.gutenberg.org/contact
Section 4. Information about Donations to the Project Gutenberg
Literary Archive Foundation
Project Gutenberg™ depends upon and cannot survive without widespread
public support and donations to carry out its mission of
increasing the number of public domain and licensed works that can be
freely distributed in machine-readable form accessible by the widest
array of equipment including outdated equipment. Many small donations
($1 to $5,000) are particularly important to maintaining tax exempt
status with the IRS.
The Foundation is committed to complying with the laws regulating
charities and charitable donations in all 50 states of the United
States. Compliance requirements are not uniform and it takes a
considerable effort, much paperwork and many fees to meet and keep up
with these requirements. We do not solicit donations in locations
where we have not received written confirmation of compliance. To SEND
DONATIONS or determine the status of compliance for any particular state
visit www.gutenberg.org/donate.
While we cannot and do not solicit contributions from states where we
have not met the solicitation requirements, we know of no prohibition
against accepting unsolicited donations from donors in such states who
approach us with offers to donate.
International donations are gratefully accepted, but we cannot make
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outside the United States. U.S. laws alone swamp our small staff.
Please check the Project Gutenberg web pages for current donation
methods and addresses. Donations are accepted in a number of other
ways including checks, online payments and credit card donations. To
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Section 5. General Information About Project Gutenberg™ electronic works
Professor Michael S. Hart was the originator of the Project
Gutenberg™ concept of a library of electronic works that could be
freely shared with anyone. For forty years, he produced and
distributed Project Gutenberg™ eBooks with only a loose network of
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