Le rive della Bormida nel 1794

By Giuseppe Cesare Abba

Project Gutenberg's Le rive della Bormida nel 1794, by Giuseppe Cesare Abba

This eBook is for the use of anyone anywhere at no cost and with
almost no restrictions whatsoever.  You may copy it, give it away or
re-use it under the terms of the Project Gutenberg License included
with this eBook or online at www.gutenberg.org


Title: Le rive della Bormida nel 1794

Author: Giuseppe Cesare Abba

Release Date: May 12, 2007 [EBook #21425]

Language: Italian


*** START OF THIS PROJECT GUTENBERG EBOOK LE RIVE DELLA BORMIDA NEL 1794 ***




Produced by Carlo Traverso, Claudio Paganelli and the
Online Distributed Proofreading Team at http://www.pgdp.net
(This file was produced from images generously made
available by Biblioteca Nazionale Braidense - Milano)






[Copertina]

  LE

  RIVE DELLA BORMIDA

  NEL 1794


  RACCONTO

  DI

  GIUSEPPE CESARE ABBA


  MILANO

  TIPOGRAFIA E. CIVELLI e C.
  Via Silvio Pellico, N. 8

  1875



[Occhiello]


  GIUSEPPE CESARE ABBA

  LE RIVE DELLA BORMIDA NEL 1794


[Frontespizio]



  LE

  RIVE DELLA BORMIDA

  NEL 1794

  RACCONTO

  DI

  GIUSEPPE CESARE ABBA


  MILANO

  TIPOGRAFIA E. CIVELLI E C.

  1875


[Verso]

  «L'autore dichiara riservati a sè tutti i diritti accordati
  dalle vigenti leggi sulla proprietà letteraria.»





  A MIA MADRE MORTA



LE RIVE DELLA BORMIDA NEL 1794




CAPITOLO PRIMO


Chi si parte dalla marina del Finale, e su pel fianco dell'Appennino
va verso le Langhe, si arresta trafelando ogni tratto a ripigliar
lena, e a vedere quanta sarà ancora la salita, e quanto s'è scostato
da quella spiaggia, diversa giù giù per foci di torrenti, per
iscogliere tagliate a filo, per promontori neri, dirupati, somiglianti
a mostri, che si inoltrano cimentosi nei flutti. Ma guadagnata che
abbia la vetta del Settepani, sente l'affanno della via ripida e
lunga, quetarsi in una vista maravigliosa. La catena dell'Alpi è di
lassù un'occhiata infinita; e se vi si arriva all'apparire del sole,
tutta la distesa di picchi, di coni, di aguglie, gli pare un mondo di
cose vive e moventi. Si vorrebbe aver l'ali per lanciarsi su qualcuno
di quei culmini, così alti nel cielo; e si abbassa di malavoglia lo
sguardo, a cercare la via, giù per i gioghi avvolti ancora nell'ombra,
lì sotto: dove per un lungo digradarsi di monti, si confondono
villaggi, selve, burroni spaventosi; qua Montenotte, là Cosseria,
castella e torri feudali per tutto; più lontana e più bella d'ogni
altra quella di Vengore, che nera e solitaria si spicca su un
altipiano, oltre il quale la nebulosa pianura.

Giù per le selve fumano le carboniere da mille siti. Le donne, colle
ceste del mangiare in capo, s'affrettano verso quelle, pei dirotti
sentieri; e ti guardano fantasticando sull'esser tuo: gli uomini, a
mo' di brusco saluto, ti dicono «animo,» o «allegri!» quasi lassù non
potesse passare chi non è lieto o animoso. Non ti paia d'essere
capitato fra gente mezza barbara; chè se tu chiederai loro qualche
servigio ti saranno cortesi, e interrogati ti additteranno i ripari di
pietre ferrigne, fatti dagli Alemanni, superati dai Francesi; e i
tumuli erbosi sotto i quali giacciono i morti di quelle genti;
gloriandosi di non averli turbati mai. Se l'ora sarà del riposo, e
sederai con loro, ti narreranno leggende antiche come quella di
Adelasia ed Aleramo; o forse qualche storia della sorta di questa mia,
seguita in luoghi che si vedono di lassù; quando i repubblicani
Francesi, calarono in Val di Bormida, a piantar alberi di libertà, e a
ballare la carmagnola pei sagrati e sin nelle chiese.

Uno dei borghi di quella vallata, in cui per amenità di postura e pel
genio allegro degli abitanti, facesse di quei tempi più bello stare,
era quello di D.... bagnato dalle acque della Bormida, che ivi scorre
con curve leggiadre, all'ombra d'alti pioppi e passa sotto le volte
d'un ponte angusto, gettato sopra di esse a guisa d'un patto, stretto
cautamente fra quel popolo, in età di poca concordia. Dico così perchè
D.... se ne sta diviso in tre vichi; dei quali due giacciono in riva
all'acque, di maniera che uno d'essi pare lì per tuffarsi; mentre il
terzo li soggioga dalla vetta d'un colle ronchioso e popolato di
cerri. La via onde si arriva su questo, serpeggia con repentine svolte
per l'erta; e sebbene non tutta a petto, è di molta fatica a salirla.
Ma come uno è sulla cima si sente rinato. Piace il sito della chiesa e
il campanile che si leva più alto parecchie braccia, con una
cupoletta, che miracolo se il vento non se la porta via: piacciono il
presbiterio e l'orto; e invoglierebbero ogni uomo d'essere prete, per
vivere lassù da curato. Alcune case che fanno corona alla chiesa,
quantunque belle pongono anch'esse in cuore un funebre senso. Le
ragnatele pendono dai balconi le cui imposte cascano sfasciate; e
mentre si direbbe che questa o quella delle tante porte sia lì per
aprirsi, dura sempre una quiete altissima, interrotta solo dalle
ventate che empiono di suoni cupi le sale deserte. Lassù, nè la state
nè il verno, mai che si vegga un comignolo a fumare, e se i nostri
fossero altri tempi, a udire l'ore battute dall'orologio di quel
campanile, si farebbe credere chi sa quale storia maravigliosa alla
gente semplice del contado. Ma ognuno sa che il sagrestano della nuova
chiesa parrocchiale, sorta da pochi anni in luogo più basso e più
comodo agli abitanti del piano; sale ogni giorno il colle a caricare
quel vecchio arnese; e il suo è il solo passo che rompa il silenzio
dell'antica parrocchia, sempre vuota come le case che ha intorno. Non
più messe grandi nè vespri cantati; non più conviti nè festini;
l'ultimo dei pievani dorme da oltre mezzo secolo nel sepolcro dietro
l'altare; e delle allegre donne e degli uomini buontemponi vissuti
lassù, rimane appena il ricordo nella mente vagellante di qualche
vecchio ottuagenario.

Questo gruppo di case per essere stato sede dei feudatari della terra
si chiamava il castello; e gli abitanti venuti dopo costoro, padroni
della parte più vasta e ubertosa del paese, erano tutti signori. Nei
vichi a piè del colle, le famiglie agiate e le case di bell'aspetto
erano poche; ma in quello della riva sinistra del torrente se ne
vedeva una, notevole per la grandezza, e più alta di tutto un piano
sul vicinato, quasi tutto catapecchie. Mostravano di qual sorta di
gente fosse, il piazzale, l'atrio, il giardino che le fioriva da un
lato; e più di tutto le finestre ampie e chiuse di vetriate, le quali
sebbene fatte a riquadri strettissimi, costavano di quei tempi molto
danaro.

A qualcuna di quelle finestre appariva talvolta una donna, cui si
leggeva in faccia lo sconsolato pensiero di trovar quella casa troppo
vasta per la sua poca famiglia; e i popolani della via la salutavano
con rispettosa dimestichezza. Essi la chiamavano la vedova, e i ricchi
la signora Maddalena. Aveva cinquant'anni, e mostrava la sessantina,
sebbene i suoi capelli fossero ancora neri, e le pendessero dalle
tempia due riccioloni, che nella sua giovinezza dovevano essere stati
una leggiadria. Ma le guancie attenuate, alcune rughe della fronte, il
pallore delle labbra, e più di tutto il portamento della persona
scemata; le davano quelle apparenze che fanno pensare al sepolcro.
Essa non era nata a D...... ma dall'altra vallata della Bormida, come
da terra straniera, ve l'aveva condotta sposa giovanissima il padrone
di quella casa; col quale erano vissuti sempre d'un animo e d'un
cuore; e morendo la lasciava con un figliuolo che nel 1794 aveva
venticinque anni. Questo giovane, venuto su bello e vigoroso, era
stato avviato a modo negli studi di latinità da un buon prete del
borgo di C..... grande amico del padre suo; e come si era scoperto in
lui l'amore alla medicina, il maestro aveva fatto che la madre si era
contentata di mandarlo allo studio di Torino. La povera signora, pur
pregustando le benedizioni dei paesani, che non sarebbero più morti in
mano ai chirurghi di quei tempi e di quei luoghi, castighi di Dio; al
pensiero della lontananza che le pareva dell'altro mondo, a figurarsi
la grande città in cui il figliuolo s'andava a smarrire, aveva tremato
più che la madre d'un navigante che per la prima volta si metta in
mare. Ma poi a poco a poco s'era quetata; e un anno dopo l'altro
sempre aspettando le vacanze, sempre ricadendo nella malinconia al
finire di queste: aveva finalmente veduto giungere l'ultimo anno, che
egli sarebbe stato laggiù; forse per lei il più lungo. Tuttavia era
lieta d'aver sofferto e di soffrire un altro po' di mesi, perchè ogni
volta che il suo figliuolo veniva in autunno, scopriva in lui i segni
d'un giovane cresciuto di pregi. E così senza avvedersene aveva
mescolato al suo amore grande di madre una certa venerazione; per cui
s'abbandonava sovente ad una dolce contemplazione dell'ideale che se
n'era formato: e a vederla in quei raccoglimenti, uno avrebbe creduto
che stesse pregando. In casa non aveva altra compagnia che d'una
fantesca, la quale non sapeva bene da quanti anni fosse al mondo, ma
si rammentava d'aver portato bambino il marito di lei; e perchè aveva
fatto da aia anche al figliuolo, essa non usava dire di lui nè il
signorino, nè il padrone, nè altro; ma lo chiamava alla buona
Giuliano, come egli chiamava lei la nonna Marta. Costei era sempre
stata là dentro più da padrona che da serva, e sebbene già tanto
vecchia non lasciava che altri vi si ingerisse di nulla. Essa in
cucina, essa per le stanze, essa a far i bucati che governava meglio
d'una biancaiuola di monastero; al tempo dei ricolti, faceva l'ufficio
sin di gastaldo; e sempre le avvanzava qualche ora da godersela colla
signora. Questa, di solito, stava seduta in una sala terrena ampia,
sfogata, fresca d'estate, scaldata d'inverno da un gran camino,
dinanzi al quale si tirava una cassapanca, che il rimanente dell'anno
era lasciata nell'atrio a chi vi si volesse adagiare. Il tempo che
erano insieme, la signora parlava del marito morto o del figlio
lontano; e Marta raccontando cose antiche di castelli, di conti, di
carnevali, si studiava di tenerla allegra; guardandola amorosa e con
certa reverente dimestichezza; proprio come se fosse stata una sua
figliuola, maritata per la sua bellezza e virtù alla buon'anima del
padrone.

La sera della seconda festa di Pasqua, dell'anno 1794, esse stavano
appunto sole, in quella sala terrena aspettando Giuliano; il quale era
andato a C.... a visitarvi il suo vecchio maestro: e quella era la
terza gita che egli vi faceva, in una settimana, dacchè era venuto da
Torino, a far la Pasqua in famiglia. Sebbene la signora si fosse
maravigliata di quella frequenza, non aveva dubitato neppure un
istante che suo figlio non andasse proprio per amore del vecchio
prete; e tutta la giornata era stata malinconica ma tranquilla. Però
in sull'annottare aveva cominciato a mostrarsi inquieta. Affacciavasi
ogni tantino alla finestra, aperta dalla parte di mezzogiorno, donde
si scopriva la via di C.... per cui Giuliano doveva tornare; e dopo
l'avemaria vedendo ch'egli non veniva, non trovava più posto ove
potesse star ferma. Andava su e giù per la sala, pigliando di sul
tavolino la lucerna deponendola e ripigliandola; tornava ad
affacciarsi alla finestra, come avesse voluto rischiarare lontano la
campagna; tendeva l'orecchio, si spazientiva, si toglieva di là
sospirando e guardando Marta. Questa se ne stava colle mani in mano,
badando a non mostrare quanto fosse anch'essa scontenta dell'indugio
di Giuliano. Intanto l'ora in cui si soleva cenare, era passata di
molto; e una grossa e vecchia gatta, levandosi di su certa stuoia su
cui stava a fare le fusa, era già corsa parecchie volte a fregarsi le
schiene contro gli stinchi della fantesca. A un tratto la signora non
potendo più reggere, si volse, e quasi incalzando un discorso già
incominciato, disse alla vecchia:

«Oh insomma, non istate a dirmi di no...! o egli è caduto da cavallo,
o ebbe qualche cattivo incontro.... Chiamate Rocco, voglio
mandarglielo incontro.... ditegli che venga da me.... subito....»

Marta uscì, e dopo alcuni momenti tornò a dire, che Rocco non era
ancora rivenuto, da fare la merenda in campagna colla famigliuola.

«Benedetta anche la merenda!--sclamò la signora--e dunque chi
manderemo?»

«Non si potrebbe aspettare un altro poco?--disse Marta--noi si sta col
cuore tra due sassi, ma a chi è fuori, massime i giovani, pare sempre
di far presto....»

«Pazienza gli altri tempi....! ma ora.... con questi Alemanni che sono
in volta....»

«Gli Alemanni!--proruppe Marta, quasi offesa:--per essere, le so dire
che gli Alemanni rispettano i signori, e a Giuliano gli farebbero
buona compagnia!

«Dio voglia....»

«Ma certo! Eppoi, se egli vedesse uno mandato ad incontrarlo come a un
fanciullo, potrebbe aversene a male....»

«Allora aspettiamo!--disse la signora, e affacciandosi di nuovo alla
finestra, coi gomiti appoggiati sul davanzale, si mise a guardare
nella notte. Marta sedette ancora, colle mani giunte e abbandonate
sulle ginocchia, colla testa chinata sul seno, come la tengono le
vecchie quando pare che dormano, e in cambio stanno pregando e forse
pensando ai propri peccati. Essa non pregava, ma pensava agli
Alemanni, de' quali la signora Maddalena, mostrava d'avere tanta
paura. Costoro erano venuti quell'anno parecchie migliaia di
Lombardia, e avevano gli alloggiamenti in C.... a sostegno delle genti
del Re di Sardegna: le quali fronteggiando i Francesi, sui monti di
Nizza, s'erano la state innanzi condotte con grande valore al colle di
Raus e a quello di Milleforche. I repubblicani non avevano trovato il
verso di superare quei colli; ma fattisi più grossi nell'invernata
s'andavano preparando a nuovi assalti: e quelle non se la sentendo di
poter reggere, poche come erano; il Re aveva chiesto aiuti
all'Imperatore d'Alemagna: il quale sebbene adagino s'era mostrato
disposto a dargli un poco di spalla. Marta non sapeva queste cose a
puntino, ma la venuta degli Alemanni le aveva recata gran gioia,
perchè le pareva che fossero tornati i tempi della sua giovinezza;
quando le Langhe essendo terre dell'impero, i popoli di quelle parti
si tenevano per Alemanni anch'essi. Godeva poveretta ai cento ricordi
che le nascevano dalla comparsa di quelle assise; le pareva d'essere
in collo al padre suo, portata bambina a vedere le rassegne o il
passaggio delle soldatesche Alemanne d'allora; si sentiva sulle guance
grinzose passare la mano che le aveva carezzate quando erano fresche
d'adolescenza, e vedeva d'innanzi a sè il soldato che le aveva fatto
quel vezzo discorrendo coi suoi sulla soglia di casa; immagine lontana
e già quasi sfumata nella sua memoria; forse anco qualche affetto
rimasto in sul nascere, scuoteva nel suo cuore gli avanzi di qualche
fibra; e così tra il pensiero della soldatesca imperiale antica e
nuova, e quello di Giuliano che non arrivando affliggeva sua madre, la
mente le ondeggiava come la fiamma della lucerna, la quale scossa
lievemente dal venticello della finestra, spandeva per la sala una
luce tremula e fioca, che s'addiceva in mesta maniera a quel
raccoglimento ed a quel silenzio.

Fuori suonava un'allegrezza di canti, ed empievano l'aria le grida sin
troppo festose delle brigate, che tornavano dalla merenda, menzionata
da Marta nel parlare di Rocco. Il quale era un colono che conduceva il
podere intorno alla casa della padrona; e appunto riveniva anch'egli
da quella baldoria, che i popoli di quei monti escono a fare in
campagna l'indomani di Pasqua. Festeggiano la primavera sui prati e
nei vigneti; bevono del migliore e mangiano i resti del giorno
innanzi, portati nei tovaglioli messi in bucato la settimana santa;
dopo il pasto gli uomini continuano a bere, le donne a chiacchierare,
i fanciulli si rincorrono, ruzzano, giuocano; e le zitelle tornano
finalmente a danzare coi loro dami, dopo aver camminato ad occhi bassi
tutta la quaresima, senza poter parlare con essi neppur sul sagrato.

Quei canti suonavano dunque da tutte le parti, ma la signora
Maddalena, assorta come era in Giuliano, non vi badava. Questi intanto
veniva o piuttosto si lasciava portare dalla sua giumenta; pensoso,
raccolto, tanto che neanch'egli udiva quel chiasso festereccio; nè
vedeva la via, nè forse la testa della sua cavalcatura, tra le cui
orecchie pareva guardasse con occhi intenti. Parlava tra sè di quando
in quando, a mezza voce; e allora la povera bestia incalzava un
tratto, quasi per vedere se quelle parole toccassero alla sua
andatura: poi si rimetteva tranquilla a quella che aveva mosso
partendo da C. Giunta così a un certo segno, squassò forte il capo,
nitrì fiutando l'aria della mangiatoia vicina; e allora soltanto
scuotendosi, Giuliano s'accorse d'essere lontano dai luoghi, dov'era
rimasto col pensiero e col cuore. La notte era fatta, il suo borgo
nativo gli stava dinanzi, si discernevano le finestre illuminate
fiocamente da dentro le case; e scoprendo le proprie, egli pensò che
sua madre era là in pena ad aspettarlo. Si ricompose in sella,
affrettò colle calcagna la giumenta, e sebbene agli altri suoi
pensieri s'aggiungesse che gli pareva d'essere un cattivo figliuolo;
pure provò un po' di quel senso, che a sera rallegra soavemente il
ritorno.

Era appunto in quella che la signora Maddalena, stanca d'aspettare,
stava per dire a Marta, che Giuliano fosse o non fosse per aversene a
male, voleva andargli incontro essa stessa; quando le pedate della
bestia si fecero udire sul ciottolato del vicolo per cui si veniva nel
piazzale.

«È qui!» sclamò essa, togliendosi dalla finestra tutta mutata nel viso
e sorridendo; e lesta lesta attraversò la sala seguita dalla fantesca,
che la raggiunse nell'atrio recando la lucerna.

Il giovane arrivò di trotto, e smontando a piè dei gradini dell'atrio
disse alla signora: «non mi sgridi..... mi perdoni.... a un'altra
volta tornerò più presto.....

«Ah.... te ne avvedi anche tu? Il perdono è un bel chiederlo.... ma a
quest'altra volta.... vedremo....»

Giuliano non le lasciò finire l'amorevole rimprovero, ma guardandola
umilmente negli occhi, le si avvicinò come per soggiungere qualcosa.
Poi non trovando la parola, tenne dietro a Rocco, il quale avendolo
udito arrivare, era corso mezzo brillo a pigliare la giumenta, e
l'andava a riporre.

A quel fare insolito sbigottì la signora; e già chiedeva che ne
pensasse a Marta, la quale s'ingegnava di riverberare colla palma i
raggi della lucerna dietro Giuliano, sicchè essa rimaneva colla faccia
e colla persona nell'ombra. Ma a stornarla dalla sua domanda,
s'udirono alcuni tocchi lenti e lamentosi della campana di castello,
venuti a mescolarsi, come la voce d'una terza persona, alla loro
malinconia. A quel suono che segna la una di notte, il popolo di quei
villaggi pensa a' suoi morti, e in ogni casa s'interrompono i discorsi
della veglia per recitare il _deprofundis_. La signora Maddalena, si
segnò, e si mise a dire il salmo sublime, che ad ogni verso, ci soffia
sull'anima l'aria fredda dell'abisso; e recando come un grido
dell'altro mondo, ci fa levare gli occhi al cielo, in cerca d'un po'
di luce, d'un po' di vita, di qualche novella dei sepolti quaggiù.
Marta non sapendo le parole del salmo, che mai non aveva potuto
mandare a memoria, teneva dietro coll'intenzione, a lei, guardandola
nelle labbra, o picchiandosi il petto; e quando la signora mostrò
d'avere finito segnandosi la seconda volta, essa disse: amen. Proprio
in quel punto ricomparve Giuliano.

«Qualche cosa da dirmi l'avrà di certo»--bisbigliò la signora, e
dall'atrio entrò nella sala, seguita da lui e da Marta; la quale
sussurrò nell'orecchio al giovane, che per amore di sua madre, facesse
viso allegro. Poi andò in cucina per dare in tavola, lasciando che
essi passassero nella stanza di là dalla sala, in cui la famiglia
soleva mangiare.

La signora non si era mai seduta là dentro, senza pensare al suocero
ed a madonna, che essa non aveva conosciuti. E quando viveva il
marito, aveva pigliato sempre un mesto diletto a farsi dire cenando la
loro storia; storia che ripeteva sovente al figliuolo. Ma quella sera
non pensò ai morti; e mentre Giuliano messosi a sedere, come fosse
molto stanco, guardava i canestri di frutta dipinti nelle pareti, con
quell'occhio che fissa e non vede: essa stendeva la tovaglia, metteva
le posate e i tovaglioli, volendo e non trovando il verso d'appiccare
discorso con lui, senza dargli a vedere l'ansietà che non le era
cessata ancora. Al fine le venne alla mente il nome del buon prete di
C......, e voltasi a Giuliano con quella dolcezza che sempre usava,
sedette anch'essa e gli disse:

«Oh appunto! e che nuove mi porti di don Marco?

«Don Marco? Lo vidi da lungi e di fuga.... e mi parve triste....»

«Come da lungi e di fuga? O non hai detto stamattina che andavi a
C.... proprio per veder lui?»

«Andai.... ma.... dopo il vespro egli era fuori pei monti, ad
assistere non so che moribondo....»

«Egli pei monti? Ma il parroco, i curati, gli altri preti
giovani...... come fanno a lasciar che vada quel povero vecchio?»

«Oh....! essi avevano altro a fare! Oggi c'era gran pranzo dal
parroco: un pranzo di preti, di frati, di soldati, di signori e
signore....! mezzo il borgo faceva le feste a quegli uggiosi Alamanni
che sono colà!....»

La signora diede attorno un'occhiata, quasi temesse che qualcuno fosse
stato a udire lo parole di Giuliano, poi mutò come potè il discorso, e
proseguì: «hai detto che è triste nevvero? povero don Marco,
capisco.... noi vecchi ci sentiamo fuggire il mondo....»

«Eh!.... a vedersi tra piedi quella turba di soldati, a sentire quello
strascichio di sciabole, anco a non essere vecchi c'è da diventar
tristi e far peggio....! Se gli Alemanni fossero a D.... non ci starei
più un'ora....!

«Giuliano!--sclamò la signora, levandosi ritta--dimmelo, che tanto l'ho
già indovinato....! Tu hai questionato con qualcuno di quei soldati!
Oh.... no? Me lo accerti? Voleva vedere! Pensa che qui, essi hanno in
mano tutto e tutti...; credi in cuor tuo quel che ti pare, ma bada a
non darmi dispiaceri, chè se non te l'ho mai detto te lo dico ora: non
sono più quella d'una volta e non potrei più sopportarli....!»

Giuliano sentì dar giù improvviso quel bollore che gli si era levato
in petto, e guardando fisso sua madre, come se soltanto allora
s'avvedesse che la salute le veniva scemando, provò uno sgomento sì
forte che rispose pronto e pacato:

«Dispiaceri da me non ne avrà mai; ma questi Alemanni venuti quassù a
proteggerci e a spogliarci..... gli odio.... gli aborro, vorrei
vederli tutti morti.»

La signora tacque: e Marta che essendo entrata a mettere qualcosa in
sulla mensa, aveva udito le ultime parole del signorino, si morse la
lingua e tornò in cucina sbalordita, come vi fosse rotolata giù da un
burrone, o quelle eresie fossero state ceffoni avuti in faccia. Odiare
gli Alemanni, odiarli a segno da desiderarli tutti morti, non le
pareva cosa che si potesse dire da un giovine dabbene, come era sempre
stato Giuliano. Capì il gran mutamento che doveva essere avvenuto in
lui nello stare lungi da casa; rammentò che questo mutamento, il
pievano l'aveva predetto sin dal primo giorno che egli era andato a
Torino; vide confusamente il male che ne poteva seguire, e una
profonda malinconia mista a certo sdegno pesò sul suo vecchio cuore.
Avesse visto entrare in casa la farfalla più scura del mondo; si fosse
versata e rotta l'oliera; o la gallina a lei più cara avesse cantato
da gallo in sul bel punto della mezza notte: essa non se lo sarebbe
recato in malaugurio, quanto quelle amare parole, che biascicò due o
tre volte, pesandole colla mente e chiudendo gli occhi, come se più
non osasse guardare la luce.

Intanto i padroni mangiucchiando avevano mutati i discorsi; e sebbene
il giovane di tanto in tanto lasciasse cadere le domande della madre,
essa dalla tema di fargli saltare in capo d'andar fuori di nuovo,
taceva in pazienza. Per sapere se qualcosa gli fosse avvenuto cogli
Alemanni, disegnava di mandare l'indomani qualcuno a C.... con un
biglietto per don Marco: ma pel momento, avendo in casa il figliuolo
non temeva di nulla, e finì di cenare, senza essersi raccappezzata in
quella tristezza e in quel viso scuro.

Marta chiamata a sparecchiare, venne dalla cucina imbroncita: e accesi
due lumi da mano, uno ne porse alla padrona ed uno al giovane, ma non
disse nulla. Egli salutata rispettosamente la madre, e data la buona
notte alla vecchia, salì nella sua camera, al più alto piano della
casa, proprio sopra quella della signora, alla quale non era mai parso
di poter dormire tranquilla, se la notte egli non era in luogo da
poterlo udire, solo che si movesse.

Rimasta sola colla signora, Marta volle sfogarsi, e giungendo le mani
proruppe:

«Eh? L'ha inteso? E chi lo conosce più? Io da parecchi giorni vado in
castello che mi pare di salire sul calvario.... e le occhiate del
pievano comincio a capirle...»

«Che pievano.... che occhiate?»

«Certe occhiate bieche, come se volesse dirmi che io gli nascondo un
peccato mortale....!»

«Oh smettetela un poco anche voi!--interruppe la signora Maddalena,
con un impeto di collera non più provato da chi sa quanti
anni:--questa sera n'ho già di troppo.... andate a letto....!»

Marta umiliata da quel tono insolito di parole, s'avviò alla porta che
dava nell'atrio, per chiuderla come l'altre sere.

«Lasciate!--proseguì la signora--questa sera chiuderò io.... no no....
andate vi dico, Marta.... vorreste cominciare ora a disobbedirmi?

La vecchia chinò il capo, diede la buona notte con voce tremante, e
andò a chiudersi nella sua cameretta terrena, in cui dormiva da
sessant'anni. La signora pur sentendosi pentita del rabbuffo fattole,
non istette a rattenerla per consolarla, come già il cuore le
comandava. Ma, chiusa la porta con ogni diligenza, recò le chiavi con
sè, salì nella sua camera anch'essa, le nascose sotto il guanciale;
poi si chinò sull'inginocchiatoio, a canto al letto, e mescolando i
suoi morti, i santi e Giuliano, cominciò a pregare.

In capo a un'ora volle coricarsi; ma non lo fece, perchè disopra
s'udiva uno scarpiccio, come d'uomo che gira inquieto; ed era
Giuliano, il quale aveva sentito rinascere i propri pensieri, a
martellarlo urgenti ed acuti. Egli s'era messo parecchie volte a
spogliarsi, ma sempre aveva finito per affacciarsi alla finestra, dove
rimaneva un istante, poi andava passo passo fino all'uscio, dava di
volta, tornava a sedere: parlava, sospirava, rifaceva tutte queste
mosse, confusamente, combattuto, coi lineamenti della faccia che si
facevano affilati, come lo crucciasse qualche fiera passione. Questo
suo travaglio pareva crescere a smania; quando, chi sa come, gli
tornarono alla mente i giorni della sua fanciullezza, e l'uso che
allora aveva sua madre di non mai coricarsi, senza prima essergli
venuta in camera, a dare un'occhiata alla finestra se fosse ben
chiusa, a vedere se avesse acqua nella boccia, o se il lume fosse in
luogo da non dar fuoco. Provò di quel ricordo una dolcezza, un aiuto;
e si pregò che la madre venisse di sopra anche quella sera, perchè lì
avrebbe avuto cuore da dirle una cosa, che solo a pensarla, il sangue
gli faceva dentro un gran cavallone. A un tratto parve aver afferrato
un'idea; stette un momento, si levò risoluto; e camminando diritto
discese al piano di sotto, e picchiò all'uscio di sua madre.

La signora Maddalena, che non aveva voluto coricarsi finchè non fosse
cessato quel rumore di sopra; udendolo discendere si rimescolò tutta,
e si lodò d'aver portato seco le chiavi di casa. Ma inteso che veniva
da lei, corse all'uscio, e mentre ch'egli picchiò, essa, già pronta,
aperse, e dolcemente gli disse:

«Lo sapeva che tu avevi qualcosa da dirmi.... vieni» E tirandolo per
la mano, s'andò a sedere su d'un seggiolone d'antica fattura; perchè
sebbene facesse le viste d'essere tranquilla, non si sentiva di stare
in piedi dal tremore; poi guardandolo amorosa soggiunse: ebbene?

«Ecco,--rispose Giuliano--io non poteva più reggere, e sono venuto a
dirle.... che.... si ricorda? l'autunno passato la nostra casa le
pareva troppo solitaria, e mi disse che le tardava mille anni che io
fossi medico, perchè qui sola ci moriva di malinconia. Allora non
osai... ma ora.... ora vorrei....

«Sposarti?--sclamò la signora Maddalena balzando in piedi
dall'allegrezza, come a mensa aveva fatto dalla paura:--e spòsati, e
sia benedetta la nuora che mi condurrai in casa....! Ma perchè mi hai
tenuta tutta questa sera sulle spine? Ci voleva tanto a darmi questa
bella nuova? Siedi, che ora non voglio vederti perdere la bella
sicurezza di poco fa, per questo rimprovero; siedi e parliamo di lei.
Già ho bell'e capito, essa è di C.... come si chiama?»

«Bianca dei N....--rispose Giuliano colle vampe al viso.

«Oh? Dei N.... ce n'è una famiglia sola, credo... Sua madre dev'esser
morta, e si chiamava la signora Costanza nevvero? Hai fatto bene a
innamorarti d'un'orfana! E la conosco sai; sta un po' a sentire: la
vidi una volta, al convento dei Minori Osservanti di C....: mi ci
aveva condotto tuo padre alla sagra della Madonna degli Angeli...
miracolo, perchè le sagre egli non le poteva udire manco a menzionare!
ebbene..... Bianca deve essere una di quelle due fanciulline che la
signora Costanza si menava per mano, sotto i pergolati del convento:
parevano due perle.... una era bionda, l'altra bruna....: ricordo che
vedendole io dissi che la festa della Madonna degli Angeli era fatta
per esse.... e tuo padre a ridere.... a ridere di sentimento.... e a
chiamarmi invidiosa.... E qual è delle due?»

«La bruna.

«Ah! già perchè l'altra deve avere pochi anni....! La
bruna!--Ripetendo questa parola la signora rimase cogli occhi fissi,
forse pensando ai tempi in cui anch'essa era piaciuta al giovane
forestiero, che poi le era diventato marito:--E sta bene,--continuò
poi,--ma come non mi hai detto nulla, mai nulla? Te ne sei forse
innamorato quest'oggi?

«Che so io?--rispose Giuliano, stato sino a quel punto come un barbero
alle mosse:--gli anni che stetti a C.... l'ho veduta venir su sotto i
miei occhi. La vedeva dal terrazzino di don Marco ogni giorno; la
seguiva in ogni luogo dov'essa andasse a passeggiare, in chiesa badava
sempre a trovare un posticcino da poterla guardare, e mi sentiva
addosso un'allegrezza!.... altro che i canti della gente e dei
preti!.... mi pareva che io avrei cantato colla voce d'un angelo! In
tutto era diventato il primo tra miei compagni; allo studio, al
giuoco, niuno se la sentiva più di vincermi: i pericoli io li cercava
come fossero spassi: e mi ricordo d'una volta che ardeva una casa, e
che io mi cacciai su fin sopra i tetti, e mi spiacque che non vi fosse
una vecchia, un bimbo, Bianca stessa da salvare. Un'altra mi
arrampicai su d'un pioppo, che aveva le cime curve sopra il torrente
in piena, per vedere gli uccelletti di un nido, che era lassù. Le
ventate mi dondolavano, e a mirare di sotto l'acqua furiosa, e lontano
in faccia il balcone di Bianca, mi credeva d'essere in paradiso. Oh!
quegli uccelletti come li baciai! Era diventato buono, così buono che
non poteva udire i poveri pregare alla porta, e correva a portar loro
il mio desinare. Don Marco diceva che ve n'erano troppi dei poveri....
e che i ricchi erano pochi e crudeli... Suvvia, io gridai una volta,
facciamoci tutti poveri e così andrà meglio....! i miei compagni non
capivano nulla.... e risero.... E la notte? La notte, se pioveva o
tirava vento, io mi sentiva in cuore una pietà che non mi lasciava
dormire, e mi doleva sin delle impannate, del cesto di basilico, delle
pietre della via che pigliavano il freddo. Una vecchia, poi, ricordo
una vecchia che aveva tre capre, la sua ricchezza; i compagni la
canzonavano, io mi posi in capo di farla rispettare, e qualcuno le
toccò sode! Poi vennero le malinconie; e talvolta tenni a mente
dugento versi di Virgilio, solo a leggerli due volte, tal altra stetti
settimane senza aprire un libro. Allora passava delle ore e delle ore
coricato colla guancia sull'erba, in qualche campo solitario; e là mi
pareva di udire quello che si faceva sotterra dai morti.... pensava
sempre alla morte, e non so perchè, ma in quei giorni, incontrando
Bianca, se qualcuno dei miei amici diceva che essa era bella, io avrei
voluto morire. Mi pativa il cuore che l'aria me la guardasse. Eppure
quelle malinconie erano nulla; le vere vennero di poi, quando andai a
Torino la prima volta.... Allora sentii uno sgomento....! e mi parve
che mi avessero fatto nel petto un buco tenebroso profondo, e che per
uscire da quella pena bisognasse....»

Qui Giuliano s'avvide di parlare a sua madre, e di parlarle come ad un
amico nelle mutue confidenze di amore. Arrossì, chinò il capo, e non
osò più dire. La signora Maddalena stava ad ascoltare, come colui che
camminando in sul far dell'alba, se ode il canto di un usignuolo,
s'arresta e teme di sturbarlo che voli via. Ma intanto le entrava
nell'anima un dolore, il dolore di avere scoperto che il suo figliuolo
non era più tutto suo; e pensando a quella fanciulla che le rapiva
tanta parte del cuore di lui, alfine si fece forza e gli chiese:

«E Bianca?»

«Io non le ho mai parlato:--bisbigliò Giuliano.

«E allora? E a C.... che cosa vi andavi a fare?

«A vederla.

«Via...., domani sarà di giorno: ora ho bisogno di raccogliermi.... tu
frattanto m'hai tolto un gran masso dal cuore! Con quegli Alemanni
m'avevi spaventata.... che t'han fatto, che c'entrano....? Basta! sono
tranquilla, vattene, domani mattina riparleremo.»

Così dicendo lo accompagnò fuori dell'uscio, ed egli risalendo alla
sua camera, dalla contentezza non toccava i gradini coi piedi. Là si
mise a guardare il cielo dalla finestra; il cielo che in quell'ora,
coi suoi splendori infiniti, gli pareva cosa meno lieta di quel che la
terra stava per divenire nelle sue nozze vicine. Ma chinando gli
occhi, vide nel giardino scuro, un tratto riquadro del suolo, su cui,
traverso la finestra di sua madre, posavano i raggi del lume che essa
teneva acceso. Quel tratto di suolo, lo percosse come la vista d'un
sepolcro scoperchiato; e subito gli passò per la mente, fantasia
maluriosa, l'ultima notte, in cui, la sua dolce madre sarebbe giaciuta
morta sul proprio letto; e il lume funereo avrebbe posato i suoi raggi
in quella maniera lugubre, da quell'istessa finestra, forse su
quell'istesso tratto di suolo. Provò l'amaro desiderio di morire prima
di quella notte, e chiuse le imposte pensando che grande miseria
sarebbe stata quel giorno, in cui nè in casa nè fuori avrebbe più
incontrato sua madre. «Che la vita sia corta è un bene:--mormorò
allora avvicinandosi ad uno scaffale--e guai a noi se uno potesse
farci dono dell'immortalità qui in terra, nel momento che ci muore la
madre!.... Sì, che la vita sia corta è un bene, e chi se ne lagna ha
torto; perchè coll'amore, collo studio, col lavoro, si può farla
valere secoli.» Così dicendo prese un grosso volume, l'aperse sul
tavolino, sedette, e raccolte le tempia fra le mani, si sprofondò
nella lettura, o forse in chi sa quali pensieri. Ad ogni modo,
chiunque l'avesse visto in quell'ora, avrebbe pensato che tanta
meditazione, non fosse cosa da potersi rompere, senza togliere
all'anima del giovine qualche ineffabile ed austera consolazione.




CAPITOLO II.


Marta essa sola, se fosse stata vicina a Giuliano, non avrebbe avuto
rispetto alla sua meditazione; offesa, stizzita, afflitta, per le cose
udite da lui. A quell'ora dava volta nel proprio letto, ora su d'un
fianco ora sull'altro; colla mente piena d'Alemanni, col cuore
travagliato dalla paura del pievano; il quale aveva predicato e fatto
predicare dal capuccino del quaresimale, che guai a chi avesse negato
qualcosa a qualcuno di quei soldati. Ora questo pievano non era uomo
da farsi pigliare a gabbo; e quel che diceva faceva; e le cose della
sua cura le conosceva a puntino; vedendo dentro le case come fossero
state senza tetto, o avessero avuto le mura di vetro. Venuto
trent'anni prima a quella pievania, la gente del borgo gli era nata
più che mezza sotto gli occhi; e quelli che non erano stati battezzati
da lui lo temevano, sebbene gli fossero meno reverenti. Rammentavano
d'essere andati ad incontrarlo il giorno del suo arrivo, lontano un
bel tratto, in processione, a suon di campane; e vivevano ancora quasi
tutte le donne, che da giovinette tra le più belle e dei migliori
casati, gli avevano fatto la fiorita per la via, vestite di bianco, e
cantando lodi come al Nazzareno. Ma in cambio, a cavallo d'una
gagliarda giumenta, accompagnato da un mulattiere carico di parecchie
casse, e da una donnicciola che pareva venisse a morte su d'un'asina
stanca; avevano visto comparire un prete prosperoso e di cera ardita;
il quale ricevute le prime accoglienze, aveva subito comandato di dar
volta ai maggiorenti che menavano la processione, e alle fanciulle
che, dinanzi a lui, s'erano tutte confuse e messe cogli occhi bassi.
Entrato al suo posto, era stato poco a mostrare d'aver preso alla
lettera i nomi di pastore e di gregge: alcuni che avevano osato di
badare alle opere sue, con due o tre esempi gli aveva fatti star
zitti; e a poco a poco s'era acconciato in casa, come se fosse stato
certo di campare cent'anni. E a dir vero, ai tempi di questa storia,
aveva già fatti i funerali a una generazione intera, senza essersi mai
lagnato d'un dolor di capo; e faceva conto di logorare un'altra
ventina di calendari, prima che un successore fosse venuto a cantargli
le esequie. Allora aveva sessant'anni, e a vederlo come vestiva lindo
e con panni bene attagliati alla persona, si capiva che da giovane gli
era piaciuto di parere un bel prete: ma i suoi occhi grigi, le guancie
rubiconde e un tantino cascanti senz'essere flosce, i capelli sciolti
e giù bassi sulla fronte; un paio d'orecchie grossissime, infiammate,
ciondolanti a guisa di bargiglioni, gli davano piuttosto l'aspetto
d'un uomo stato pronto e violento. Forse aveva sbagliato il mestiere,
perchè sui fatti suoi, rispetto a certi voti, nessuno osava lodarlo;
era avaro salvo che in certi casi che faceva il grande coi grandi; e
per desinare da un amico non badava a fare mezza dozzina di miglia.
Sebbene fosse di poca coltura, perchè appena uscito di Seminario aveva
smesso di leggere; non isdegnava gli ecclesiastici dotti, se gli
accadeva di incontrarne qualcuno: ma i laici che sapevano di lettere
li teneva d'occhio, e godeva che il volgo li chiamasse stregoni e gli
avesse sospetto. Anzi li gridava dal pulpito a dirittura uomini
perniciosi, citando esempi, facendo allusioni, dando a capire di chi
voleva parlare; e queste erano piccole giunte alle prediche che egli
sapeva fare, e che ogni tre o quattro anni tornavano sempre ad essere
le stesse; perchè egli le studiava in certi quaderni di carta
ingiallita, scarabocchiati sulle copertine con frappe, con date
antiche, con nomi diversi di preti, annestati a motti latini. Quei
quaderni erano una sorta d'eredità passata per molte mani, e tenuta da
lui molto riguardata in una cassetta, che il giorno del suo arrivo era
parsa ai curiosi uno scrigno: e le più belle di quelle prediche le
recitava dinanzi ai nobili, che dal Monferrato o da altra parte del
Piemonte, capitavano la state a pigliare i freschi nei loro poderi di
quelle valli. Era conosciuto da tutti costoro, perchè tutti ei
visitava lontano sin dove poteva andare e tornare in una giornata; e
ne aveva avuto sempre doni e carezze. Diceva spesso d'uno molto
potente in corte al Re di Sardegna, che gli aveva dato a capire, di
non sapere bene se i preti gli avesse a chiamare prima o seconda
milizia dello Stato; e che a sentir suo, nella loro gerarchia, un
pievano era pari e forse da più d'un capitano in quella dei soldati di
sua Maestà. Del rimanente ogni volta che tornava fuori con questo
discorso, finiva sempre dicendo che agli onori non si doveva badare;
la massima che l'uomo non deve porre troppo affetto nelle cose
terrene, nè in padre, nè in madre, l'aveva sulle labbra sovente, come
fosse un suo proverbio; forse non aveva mai pianto, prosperava un anno
più dell'altro; nel 1794 faceva quasi la sessantina e il suo nome era
don Apollinare.

La donna arrivata con lui il giorno ch'egli chiamava del suo avvento,
era una sua sorella più vecchia che ei si teneva in casa; creatura
spersonita ed infermiccia, che proprio reggeva l'anima coi denti. Era
così asciutta e grinzosa, che un parente tornato a vederla dopo mezzo
secolo, non avrebbe osato abbracciarla, dalla tema di sentirsela
scricchiolare tra le mani. Sotto la cuffia che colle guarnizioni
faceva alla faccia scarna una cornice disadatta, mostrava corti
capelli color di cenere, che forse erano una parrucca: un'aria soave
di purità, spirava da tutta la sua esile persona; aveva di bello gli
occhi, neri, grandi, pieni d'una profonda bontà. E buona la era
davvero, sebbene la natura e la fortuna se la fossero presa in fra
due; e la prima n'avesse formato una di quelle creature che stanno
sulla terra lunghissimi anni, e paiono sempre vicino a morire; l'altra
l'avesse posta tra quelle donne, costrette a rimanersi zitelle e ad
invecchiare in casa a qualche congiunto, non care, non respinte,
sofferte quasi da serve. La poveretta bisognosa di consolazioni più
che d'aria per vivere; dopo la sua venuta a D.... non ne aveva avuto
che di due maniere, quasi da celia. Ed una era questa che se la
quaresima capitava al presbiterio qualcuno, recando uova e salati, e
chiedendo licenza di mangiar latticini e di non digiunare, per sè o
per un ammalato; essa con aria mistica e solenne mandava il
supplicante, sciolto dalle discipline del magro e del digiuno; e non
dimenticava mai di dire, che a concedere quelle licenze, il vescovo ci
aveva messo il pievano, e il pievano ci aveva messo lei. L'altra delle
sue allegrezze la provava ammanendo il caffè pel suo fratello ogni
giorno, e le feste solenni per i sette od otto preti del borgo, che
venivano a pigliarlo con lui dopo il desinare. Godeva a udirli sorbire
quella bevanda, di cui allora si cominciava appena a parlare, come di
cosa dell'altro mondo; ma essa non ne assaggiava, perchè la sua bocca
non era da tanto. Si innebriava aspirandone il fumo, si teneva onorata
d'avere in casa quella delicatura, che anco i più ricchi del borgo non
avevano ancora; e se conversando dinanzi la porta, colle donne del
vicinato, le riusciva di far cadere il discorso su tanta grazia di
Dio; ne diceva da far venire l'acquolina a tutte; poi con certo suo
piglio orgoglioso e cortese, saliva di sopra, e poco dopo s'affacciava
con in mano un bricco lucente, donato al fratello da non so che
marchesana di quelle parti. E porgendolo a vedere imitava, senza
volerlo, l'atto che soleva fare il pievano, nell'alzare il reliquiario
più venerato della chiesa, a scongiurare il mal tempo. I fanciulli,
che non sapevano del celibato dei preti, sino a una certa età non la
chiamavano altrimenti che la moglie del pievano; al suo nome di
Placidia, si soleva aggiungere dai più il titolo nobilesco di donna;
derisione inconsapevole a una povera creatura, che nulla aveva della
donna salvo che i guai; nessuno avendola mai chiesta sposa, nessuno
amata, e potendosi dire di lei, che la si aveva lasciata vivere per
non commettere un peccato mortale.

Don Apollinare non aveva dato guari segni di voler bene a questa sua
sorella, nei tempi quieti; ma in quelli torbidi che s'erano messi
verso il 1790, la teneva come persona nudrita a posta, per poter darle
in casa i resti delle invettive, che scagliava in chiesa e fuori
contro le cose di Francia. Le quali in sul cominciare non gli erano
parse di gran momento; e a chi glie n'aveva chiesto, s'era contentato
di rispondere che erano follie di popolaglia, e che o pane o bastone,
avrebbero finito in nulla. Ma il 1791 gli era cascato addosso come
fosse stato la volta del Sancta Sanctorum, sfasciatasi mentre egli era
all'altare; e d'allora in poi aveva tenuto l'orecchio alzato a tutte
le novelle che poteva avere da quel paese. Ad ogni corriere, che
capitava ogni mese una volta, si faceva sempre più pensoso; i notabili
del borgo gli si raccoglievano intorno spauriti della sua cera: egli
parlava loro un linguaggio pieno di misteri: e se qualcuno osava
annunziare di suo, cosa che avesse inteso da gente d'altri borghi, o
dai mulattieri, che pei loro traffichi praticavano verso la Provenza;
quello agli occhi di lui, era pecora vicina a sbrancare, e cominciava
a tenerlo d'occhio. La Dichiarazione dei diritti dell'uomo, avuta per
via dei suoi superiori, due anni dopo che se n'era udito parlare, gli
aveva fatto passare il giorno più nero di tutto quel tempo. Letta,
riletta, meditata a lungo quella scrittura; chiesto a sè stesso mille
cose circa quei diritti, aveva finito col capire nulla di nulla; ma in
cuor suo rese grazie a Dio d'aver fatto morire un tale cui quel foglio
sarebbe giunto per certe vie ch'egli sospettava; un tale che avrebbe
fatto le capriole dall'allegrezza solo a leggere quelle sciocche
parole, e a dirne qualcosa fra il popolo della pieve! Dio non aveva
concesso che in tempi di pericolo, il lupo stesse a rondinare intorno
all'ovile, ed aveva fatto benissimo. Quel morto che da vivo gli era
stato in ira, aveva lasciato dietro di sè un figliuolo ricco, giovane,
non di buon ramo; ma egli sperava di poterlo raddurre; e ad ogni modo
gli tornava meno molesto del padre, e confidava nell'opera della
madre, che appunto era la signora Maddalena. Con questa si era lagnato
parecchie volte, accusandola d'aver troppo allentato il freno al
figliuolo; aveva predetto che le sarebbe stato cagione di grandi
scontenti; e s'era lasciato andare sino a farle la confidenza, che
Giuliano era la più acuta spina che avesse nella sua pieve. Pensava
tuttavia che coll'aiuto del Signore, passati i bollori dell'età
giovanile, arrivato ch'ei fosse in sui trenta, si sarebbe messo a
vivere più assegnato, più da senno, più da buon cristiano; e su avesse
voluto dire tutta la verità, non gli spiaceva che egli in quei tempi
torbidi se ne stesse a Torino. Perchè i suoi superiori gli scrivevano
sempre d'aprir gli occhi, di star sulle guardie; e senza che si
aggiungesse la briga di dover badare a un giovane ricco fatto di sua
testa, e che se la sentiva di disputare anche con un monsignore, a lui
da fare gli pareva di averne già troppo. In fatti s'era messo a spiare
più attento, a capitare improvviso nelle case altrui, a scrutare le
donne chiacchierone; e come le cose di D.... stavano nei limiti egli
credeva di molto operare per la salvezza del mondo. Ma un giorno,
mentre che stava desinando, gli fu portato uno scritto del suo
vescovo, che parlava di Re Luigi stato giudicato ed ucciso. «Non può
essere!--esclamò egli dando il pugno sulla mensa, per modo che il
bicchiere si rovesciò--questa è una celia che mi si vuol fare, guai
all'autore, se lo scopro!» A queste grida donna Placidia che veniva
recando un piatto, si fermò sulla soglia guardando il fratello, e le
parve ammattito. Egli intanto, tenendo il pugno chiuso e teso verso di
lei, rilesse la lettera, e vide ai bolli che non v'era da dubitare.
«Portate via ogni cosa:--continuò allora con voce dimessa--i popoli
ammazzano i re, e questi sono tempi da fare penitenza!»--A donna
Placidia la novella non fece nè caldo nè freddo; tanto più che il vino
versato sulla tovaglia e grondante dalla mensa sul pavimento, non era
segno di disgrazia vicina. Ma egli credè d'udire i cardini del mondo
stridere per uscire di posto; la pace da lui serbata in D.... non
aveva giovato nulla e se ne doleva: prese il libro dell'Apocalisse,
ora in capo, ora in fondo, lo lesse; lo rilesse, lo predicò dal
pulpito; spaventando i fedeli che non l'avevano mai inteso parlare a
quel modo. Tenne con sè quel libro giorno e notte quasi sperasse di
poterne trarre qualche aiuto nell'ora dell'imminente ruina; dopo
dieci, venti, trenta giorni, vedendo che il sole continuava ad alzarsi
dallo stesso lato, si quetò su quel fatto del regicidio; ma gli rimase
una gran paura dei Francesi nemici di Dio, uccisori di nobili e di
preti, belve che non più frenate da nessuno, avrebbero invasa la
terra, e forse anche il borgo di D.... A rimettergli il cuore in
corpo, non vi vollero meno di quelle migliaia d'Alemanni, venuti di
Lombardia e passati per D.... nell'andarsi a porre a campo vicino a
C.... borgo tenuto in conto di capitale dell'alte Langhe. La vista di
quelle genti, di quelle assise, che ridestavano i ricordi di Marta,
levarono a speranza l'animo del pievano; il quale fu il primo ad
ossequiare il capitano dell'impero, annoiandolo con certa orazione
latina, che diceva come i popoli delle trentasette terre delle Langhe,
rammentassero d'essere stati sudditi di sua Maestà Imperiale, sino a
cinquant'anni addietro; e che bramavano d'essere tenuti dai signori
Alemanni come cosa loro. Offerse agli ufficiali la sua casa, la sua
cantina, tutto sè stesso: e se d'una cosa si dolse, fu d'aver udito
che i più grossi eserciti d'Alemagna, si travagliassero in sul Reno,
di cui egli non sapeva nè dove nè che cosa fosse. Quella, a sentir
lui, era gente sciupata; quattro e quattro otto l'avrebbe voluta tutta
lì in val di Bormida; tutta, da poterla vedere, affacciandosi al
balcone; e allora si sarebbe messo a ridere dei Francesi. Tuttavia
rifatto un po' più tranquillo, tornò a mangiare gagliardamente, a
dormire sonni quieti, a dire ogni mattina alla punta del giorno la sua
messa; alla quale s'affollavano i contadini, prima d'andare a far
giornata nei campi, e vi venivano le serve e le donicciuole più divote
del borgo, tra le quali Marta non mancava mai.

La povera vecchia soleva alzarsi prima che fosse l'alba, e queta
queta, si metteva in capo il _mesero_ stampato ad augelli e ad alberi;
poi camminando in punta di piedi, e frenando la sua tosse mattutina,
usciva di casa e saliva in castello. Per l'età sua ogni onesto le
avrebbe consigliato di astenersi da quel disagio; ma essa faceva
quell'erta come a bersi un bicchier d'acqua. Sentita la messa tornava
che di solito la padrona era ancora in camera; e s'accingeva alle sue
faccende, talvolta cantarellando, talvolta brontolando, ma sempre
festosa come una cuffia nuova sul capo d'una bella dama.

L'indomani di quella sera, in cui Giuliano ne aveva detto di così
grosse; sebbene non avesse quasi dormito, la campana di castello
cominciava appena a suonare l'avemaria, e Marta era bell'e vestita e
pronta ad uscire. Pensiamo un po' che stupore dovette essere il suo,
quando giunta alla porta, o tesa la mano, per agguantare la chiave,
non la trovò nella toppa! Subito si rammentò che la sera innanzi la
padrona aveva voluto chiudere da sè; pensò che la chiave se l'era
portata di sopra, e indovinò anche la cagione di quella novità; ma le
parve che non fosse l'ora da andarla a disturbare. Però l'idea di
mancare quel mattino alla messa, le fece avvampare il vecchio sangue,
che già le impaludava nel cuore; e fattasi animo, salì dalla signora,
la trovò desta, chiese perdono; e avuta la chiave s'affrettò a
rimettere il tempo perso. Nell'aria si udiva tuttavia la romba della
campana, ed essa già entrata in chiesa; si rannicchiò nel banco dei
padroni, si segnò, guardò, e tra due moccoli accesi allora, vide il
signor pievano che saliva all'altare. Lieta d'essere giunta a tempo,
pur non potè difendersi dalla stizza della sera innanzi; e quella
storia delle chiavi custodite dalla signora; i certi dubbi e paure che
non sapeva donde venissero, le ingombrarono la mente, con i pensieri
che non erano d'orazione, tornarono ad assalirla; si raccomandò al
santi, alla Madonna, si morse le labbra, invano: la sua testa andava
in volta, e la messa fu finita senza che, povera donna, le fosse
riuscito di recitare un intero pater. Allora delle sue distrazioni ne
fece un'offerta al Signore, e il pievano non era più all'altare da un
quarto d'ora, quando essa, malcontenta di sè, si levò per tornare ai
fatti suoi. Ed ecco don Apollinare che, l'aspettasse o no, le si fece
incontro sul piazzale della chiesa, colla tabacchiera aperta, dicendo:

«Ebbene, nostra Marta, come state?

«Eh signor pievano, da vecchia bene anche troppo!

«Oh! vecchi non si è mai, finchè l'appetito ci serve!--e qui il prete
porgeva alla donna la tabacchiera, che vi facesse dentro una
pizzicata.

«L'appetito--rispondeva Marta sfregando le dita contro la veste, quasi
per nettarle prima d'accostarle alla tabacchiera;--l'appetito come Dio
vuole c'è, sebbene del mio pane n'abbia mangiato le nove parti.....

«Mangiate anche la decima, e vi rimarrà quello del paradiso:--disse il
pievano--intanto a conti fatti avete visto nascere molti che sono già
all'altro mondo; e molti vi passeranno innanzi, che credono di non
morire mai perchè sono giovani.... A proposito di giovani, ho inteso
che il signor Giuliano è qui in D....?»

Al modo altezzoso con cui don Apollinare dava del signore a Giuliano,
Marta si sentì gelare il cuore, e a mala pena rispose:

«C'è venuto a fare la pasqua....

«La pasqua! E dove la fa la pasqua? A tavola, o forse a C...., dove è
già andato tre o quattro volte, a trovare i giacobini che appestano
quel borgo? Ah l'ha fatta pur grossa la vostra padrona, quando lasciò
ch'egli andasse a studiare a Torino! Voleva farsi medico? Ebbene, non
poteva fare come tanti altri? impratichirsi da qualcuno dei vecchi,
che hanno sempre fatto il mestiere, senz'essere mai usciti da questi
monti? Io l'avrei raccomandato al marchese di C..... al conte di
P....., e quando fosse stato tempo, questi delle licenze di curare i
malati, gliene avrebbero dato, per amor mio, non una ma dieci....! Ma
egli, superbo, no....! questi dei nobili, che danno licenza ai medici,
sono privilegi di medioevo; io non ci vado a trottare sulla mula tre o
quattro anni pei monti, per essere poi ammesso al cospetto del
marchese, a disputare dell'arte mia col prete di casa....! io non ci
vado a farmi compatire dal nobiluomo, che colla parrucca in capo e
colla pergamena già pronta, accennerà cortese o farà rabbuffi, se il
pranzo non gli avrà fatto pro: io non ci anderò a tribolare l'umanità
mandato da questi signori.... no....! ha detto così il superbo, e andò
a Torino.... Almeno ci stesse per sempre laggiù! ma vedete come egli è
ritornato pieno di religione? Voi dite che egli è venuto a fare la
pasqua.....; tutti i galantuomini a quest'ora l'hanno già fatta, ma
lui, lui chi l'ha veduto?

«Ma! sospirò Marta facendo spallucce, in guisa che parve una
chiocciola che ritraesse le corna nel guscio.

«Basta!--soggiunse risoluto il pievano--vedremo che intenzione ha:
ditegli che stamattina l'aspetto.»

E diede di volta, piantando la povera vecchia; la quale stata un poco,
come non sapesse più ritrovare la via, partì, un passo innanzi
l'altro, colla mente a quelle parole, che le suonavano col sordo
rumore d'un temporale vicino. Discese di castello, con una gran guerra
di pensieri nel capo; e giunta a casa, buttato il mesero su d'una
sedia, si mise a rassettare e a spolverare gli arredi, senza badare a
non far rumore; parendole che la padrona non avesse a rimproverarla
d'averla sturbata, dacchè pel figliuolo di lei, le era toccato dal
pievano quella mortificazione. A un tratto rimasta colla mano in alto,
guardando il soffitto, stette a udire certe pedate nel corridoio di
sopra, che le parvero di Giuliano; gioì al pensiero di potersi alfine
sfogare, e smesso il suo lavoro, se lo vide comparire dinanzi.

Calzava gli stivali a ginocchiello, e aveva in gamba le brache di
nanchino giallognole, che i signori di quei tempi tiravano fuori dagli
armadi il giorno di pasqua, fosse questa alta o bassa, ossia nella
stagione ancor fredda, o già nella dolce. A vederlo vestito proprio
come la sera innanzi, quand'era tornato da C...., Marta credette che
egli fosse in punto di ripartire e gli disse:

«Che tornate a C....? No? O allora toglietevi di gamba coteste brache
che paiono di ghiaccio! Che si mettano la festa di pasqua per
santificarla, sta bene..... ma.... e la pasqua starebbe anche meglio
santificarla in un'altra maniera!

«State buona, nonna,--disse accarezzandola il giovane--stanotte non mi
sono spogliato.....

«Già! vizi che si pigliano in città....! Nelle città se ne pigliano
tanti dei vizi.... ma il più brutto.... il più.... Uno squillo di
campanello troncò a Marta la parola, che di quel passo sarebbe forse
finita coll'ambasciata di don Apollinare. Essa dovè correre di sopra a
vedere la padrona; e Giuliano rammentando i discorsi che aveva tenuti
a sua madre, e pensando che era sul punto di doversi presentare a lei;
fu colto da un gran batticuore.

Marta, molto meravigliata, per aver trovata la padrona già vestita, e
acconciata i cappelli, da parere più giovane di qualche anno; tornò
giù a dire al signorino che sua madre lo voleva: ed allora fattosi
animo, egli salì quella scala, ma lento come su per un monte.

«Vieni oltre--gli disse la signora Maddalena, incontrandolo sulla
soglia e fissandolo negli occhi:--prima di sera, sapremo se Bianca
verrà a farci felici.....

«Oh sì verrà--sclamò Giuliano stringendo fra le sue le mani della
madre.

«Va, e chiama Anselmo che venga a pigliarmi, col calesse...

«Ma che vuole andare lei, colle vie che vi sono....

«Va.»

Giuliano obbedì; ed essa col cuore alla gola, levò le mani in alto e
disse singhiozzando:

«Giuliano, Giuliano, se tu sapessi che dolore mi dai....!»

S'asciugò gli occhi, e si mise dinanzi all'immagine di suo marito,
stata dipinta colla sua, quando si erano sposati. Stette un tratto a
contemplare quella tela, come se tra lei e l'immagine fossero
misteriose corrispondenze; quindi avvicinatasi a un cantarono antico,
tirò una delle cassette, cavò di là dentro una veste di seta color di
rosa, e la distese sul letto, dove apparve fatta alla foggia di molti
anni addietro, stretta nelle maniche, rigonfia alle ascelle, accollata
e lunga la gonna, quanto poteva bastare a far un po' di strasico
avendola indosso. Di quella vesta ne teneva di conto; e la tirava
fuori ogni anno ricorrendo il giorno delle sue nozze: trasse ancora
una scatola in cui erano alcuni vezzi d'oro, collane, maniglie, anella
di vario lavoro; e la pose aperta vicina alla veste. Del suo corredo
di sposa, non le sopravanzavano più che quelle cose; perchè le più le
aveva date, un po' alla volta a povere fanciulle del borgo, andate a
marito; e dopo averle toccate e ritoccate, col pensiero ad altri
tempi, uscì sommessa in queste parole: «S'ha un bel affligersi, ma nel
giro di trent'anni si rinnovellano nelle case, feste e dolori! ora
tocca a lui!»

Lasciò quella veste e quei vezzi così come gli aveva messi, forse
desiderando che Giuliano li vedesse, mentre sarebbe stata lontana; poi
sempre pensosa discese. A vedere Marta trasecolata come era, le parve
di doverle dire qualcosa di quel che andava a fare, ma si rattenne
senza sapere il perchè; e chiesto che le porgesse una tazza di latte,
si pose a berne, mangiucchiando d'un pane casalingo, affettato lì per
lì dalla vecchia, la quale dal rimescolamento e dalla rapina di non
sapere qual aria volesse tirare, per poco non si tagliava le dita.

In questo mezzo Giuliano era venuto col calesse, sino all'arco, per
cui s'entrava nel piazzale; e lasciato là Anselmo ad aspettare,
Anselmo che aveva fatto le maraviglie per quell'andata della signora;
corse a farne avvisata sua madre. Essa era pronta: nè avendo a far
altro che mettersi in capo la cuffia, se l'acconciò da sè, salutò
Marta, fu al calesse accompagnata da Giuliano; e senza volgersi
addietro si mise dentro e partì.

Marta rimasta in forse a guardare dalla finestra della sala, colle
braccia al seno, sentiva qualcosa crescere dentro, venir su a far
groppo: e come la frusta d'Anselmo schioccò nell'aria, gli occhi le si
empierono di lagrime, e corse verso l'uscio per andar fuori. Di certo
all'abbrivo che aveva preso, avrebbe raggiunto il calesse; ma
s'abbattè in Giuliano nell'atrio, e colla punta del grembiale,
asciugandosi il viso lavato di lagrime, si piantò di faccia a lui e
sclamò risoluta:

«Fate come volete, ma se a voi e a vostra madre piace ch'io scoppi, ho
sempre obbedito! Che faccenda è questa che mi capita la prima volta,
dacchè sono qua dentro? Sì, se io sono stimata un coraccio che non
sente nulla, ditelo; e io faccio un fagotto della mia roba, e un
cantuccio da morirvi lo troverò....

«Ma Marta....--disse Giuliano--o che adesso impazzate....? Badate
invece a star sana, che avremo fra poco bisogno di voi come del
pane...! Ma non vi sgomentate; piglieremo una giovane che v'ajuti...,
e la farete buona come voi...; qua l'orecchio..., mi sposo...

«Dio lodato!--proruppe allora la vecchia traendo lunga la voce, mutata
in faccia che non pareva più quella:--ora so in che acque mi trovo...!
Vi pareva? lasciare al bujo me, che posso dire d'aver visto fondare la
casa; e ho portato vostro padre in collo, e fui sola a governargli la
roba fin quando si sposò....?

«Giusto! ben rammentato! quando si sposò...! Io voglio fare ogni cosa
come fece mio padre; animo, che feste avete fatto quando egli condusse
la sposa?

«Eh! miracolo se si è mai visto altrettanto!--sclamò Marta levando le
mani in alto, come a significare che le erano state cose da non
poterle rifare:--le feste durarono mesi, e se le racconto vi paiono
favole da narrarsi a canto al fuoco. State a sentire. In una sua gita
a M.... nella valle di là, sapete dov'è, vostro padre ebbe una sfida
al pallone. Egli non sapeva altro gioco, ma al pallone, capperi, era
conosciuto sino in capo al mondo! In quella sua gita s'innamorò di
vostra mamma, la quale stava con parecchie zitelle di colà a vedere i
giocatori....; vostro padre, non faccio per dire, ma era un bellissimo
giovane.... Tornò da quella gita pensoso, melanconico, crucciato, come
voi ieri sera...: ed io che, non per vantarmi, gli faceva da madre,
sin dall'anno quarantacinque, che i suoi erano morti della
pestilenza.... anche quello fu un bell'anno..., basta..! io credei che
egli, chi sa come, avesse perduto qualche gran somma, e volli sapere
che cosa lo tribolasse a quel modo. Egli mi disse, così e così....;
oh! sclamai io, tutto codesto? E gli consigliai quello che avrei
consigliato a voi ieri sera, se avessi saputo che cosa vi frullava pel
capo. V'era casa, v'era stato; non gli mancava nulla, appunto come ora
a voi; forse che avete bisogno d'esser medico, di cavar sangue, per
campare ammogliato, voi? Sposate quella ragazza, gli dissi, e che Dio
vi benedica! Faremo festa per un anno e un giorno, come in casa i
principi...! Mi diede retta, tornò due o tre volte a M...., parlò; e
di là a due settimane, vostra madre veniva qui da padrona. E mi disse
poi che anch'essa s'era innamorata di vostro padre sin dal primo
giorno che l'aveva veduto. Erano due bei sposi ve', e che
accompagnatura! Vennero attraverso ai monti e in tanti, che non s'era
mai visto una simile cosa a ricordo di vecchi. Signori, signore; a
cavallo, in lettiga; musici che suonarono tutta la via; canti,
schiopettate, sparate di pistole, una battaglia! E quando il corteo fu
scoperto da qui a quel varco dei monti lassù, le campane di castello
cominciarono a suonare a gloria, come venisse monsignor Vescovo a dare
la cresima. Io era qui, in questo luogo, e un'occhiata dava al corteo
che discendeva per quelle svolte come una processione; un'altra
correva a darne in casa dove aveva un mondo di donne ad ammanire il
pranzo: un pranzo di cento convitati, mica pochi, no; e che convitati!
La sera poi un festino, che manco vi saprei dire se fossi un
avvocato...; e la storia durò settimane... Chi mi avrebbe detto, tu
Marta starai tanto al mondo, che queste cose le rivedrai una seconda
volta? Pure una differenza v'è....; quegli erano tempi di gran pace e
di gran gioia; la gioventù non s'immischiava di nulla..., al comando
chi v'era vi stesse, e vostro padre era un uomo dabbene....

«Ed io...?--chiese Giuliano, che avrebbe dato il fiato alla vecchia
perchè ricominciasse.

«Eh... voi... non siete cattivo...; ma alle volte.... per esempio ieri
sera, che cosa vi facevano gli Alemanni....? E poi... sì... ve n'ho a
dir una;--e dando un'occhiata all'arco in capo al piazzale, se
spuntasse qualcuno, si fece più vicina a lui e continuò con
dimestichezza;--stamane il signor pievano mi ha parlato di voi, e vi
vorrebbe a fare la pasqua.»

Giuliano che, solo udendo menzionare gli Alemanni, già aveva perduto
la rallegratura del viso; a quella novella del pievano divenne
annuvolato del tutto; e disse a Marta severo:

«Domani, tornate lassù: e se vi chiede di me, ditegli che lasci in
pace i cristiani.

«Che mi fate celia!--sclamò la vecchia indietreggiando:--manco se mi
faceste diventare ricca come il mare! Il pievano vuole il vostro bene.
E che credete di farne dell'anima? Questo è un altro grillo come
quello di maledire quei poveri Alemanni.

«Non mi tornate a parlar di costoro!--gridò Giuliano avvampando: e
Marta concedendo il poco pel molto:

«Bene....! ma il pievano, la pasqua almeno... Dio ha le braccia
lunghe, e quando gli pare ci arriva! Date retta a me.... andate, o
sarà tutt'una, il pievano verrà qua....

«E venga!--proruppe allora il giovane--venga!» E assettandosi su d'un
sedile di pietra fuori dell'atrio, parve proprio risoluto ad
aspettarvi il pievano.

Marta pregava, badasse a non guastare la sua e la pace della famiglia;
ricordasse che anche la sera innanzi aveva promesso a sua madre di non
darle mai dispiaceri; pensasse che stava per farsi sposo, e che quello
non era tempo di cozzare coi preti; e che ad ogni modo senza che si
fosse accostato ai sacramenti, la fanciulla amata non l'avrebbe potuto
sposare.... Ma egli non le dava retta, e facendo a sè stesso col
pensare, quello che il leone, sferzandosi colla coda; levatosi ritto
come per andar incontro a qualcuno, diceva:

«Mi vuole...! E quando m'avrà avuto lassù a forza, bella religione la
sua e la mia! O perchè non lasciano che l'anime si volgano a Dio,
ciascuna su quell'ali che egli le diede? No...; essi le vogliono
spingere in su ajutati da questi altri servi della spada, che ci
tengono col capo nel fango. E intanto si fa il male da loro, da noi,
da tutti; carne, carne, carne, null'altro che carne. O vento che soffi
dalla Provenza.... o Francia insanguinata come vergine nel circo, tu
sei la scolta di Dio! Vieni colle tue legioni, e facciamola finita una
volta!»

Il petto di Giuliano pareva si fosse fatto più ampio, e l'occhio
scintillante, come d'uomo rapito nel leggere una pagina dei profeti,
gli era rimasto fisso nell'orizzonte, proprio verso quella parte, dove
Marta aveva inteso dire che vi era la Francia. Le prime parole del
giovane l'avevano sbigottita; tutto quello che potè capire delle
ultime fu che egli le aveva dette, e con amore, ad una nazione, la
quale empieva il mondo di terribili novelle, sicchè se ne parlava sino
dai pulpiti nelle chiese; e, povera vecchia, non avea membro che
tenesse fermo. Allora sì, che le balenò sul serio il pensiero
d'andarsene da quella casa, dove sotto le spoglie del suo Giuliano
d'un tempo, era venuto ad abitare chi sa che gran peccatore! E fu a un
pelo di dirglielo lì per lì. Ma la grande passione di lui, le fece
temere di udirlo prorompere in altre eresie; di che fattasi forza, con
un martellamento di cuore che si sarebbe inteso discosto tre passi, si
ricoverò in casa. Là pregò Dio caldamente, che pel bene della signora
Maddalena e del pievano, rattenesse questo dal discendere di castello;
perchè non sapeva neanch'essa che cosa avrebbe potuto seguire. Intanto
colla fantasia si figurò di essere in volta col suo fardelletto sulle
spalle, alla cerca d'una famiglia, da potervi servire buoni cristiani,
gli altri pochi anni che le rimanevano di vita: e non vedeva l'ora che
la padrona tornasse, per dirle ogni cosa e licenziarsi.

Giuliano quetatosi un poco, e rimessosi a sedere su quella pietra di
poco prima, fissò lontano il calesse di sua madre, che s'andava
dilungando, fin che gli fu uscito di vista. Poi l'accompagnò col
desiderio e coi voti verso la meta, oltre la quale vedeva e pregustava
la sua e la parte di paradiso d'un'altra persona. Sposarsi a Bianca,
condursela in casa, dirle: «qua dentro ogni cosa è tua; sii l'angelo
del mio focolare; ringiovanisci della tua giovinezza mia madre; e
viviamo d'amore essa, tu, io» era per lui qualcosa più che aver l'ali
da volare in capo al mondo, girarlo tutto, e salire sino alle stelle.
E già la vedeva venuta, già aver fatto l'uso alla nuova casa; marito
gli pareva d'aver acquistato in essa una seconda coscienza; medico si
sentiva tratto per la campagna a far il bene, ispirato dal desiderio
di poterlo dire, tornando stanco, «ho fatto questo, ho fatto
quest'altro....» padre, (questo poi era pensiero in cui si sprofondava
col diletto preso da giovane a tuffarsi nei pelaghetti della sua
Bormida, in tempo di gran caldura, mentre il suo genitore stava a
vederlo;) padre gli pareva che avrebbe educati figli, degni di dar
gloria fra gli uomini a quel Dio, nella cui bilancia dovrà pesare più
una goccia d'acqua data ad un assetato, che una intera vita passata a
star ginocchioni dinanzi a lui; ah! i figli, i figli! quel calesse
arrivasse a C.... col buon'augurio, Giuliano v'era già col cuore!

E il calesse andava, e tacerne sarebbe come voler nascondere al
lettore, che di quei tempi gli abitanti di val di Bormida, non avevano
mai veduto quattro ruote di quella fatta a girare. Eppure era un
vecchio e gramo arnese, che ai giorni nostri farebbe sgomento al più
modesto viaggiatore che se n'avesse a servire. Anselmo lo aveva
comperato dagli eredi di non si sapeva che baroni del Monferrato; ed
essendo uomo molto arricchito nei contrabbandi tra le terre della
repubblica di Genova e del re di Sardegna, per quell'acquisto era così
cresciuto di reputazione, che a D...., quasi più nessuno osava
chiamarlo col vecchio nome di mulattiere. Ma egli punto insuperbito,
se gli capitava di guadagnare s'alzava anche a mezzanotte. E sebbene
pel suo far costare il nolo del calesse un occhio del capo, si durasse
fatica a mettersi d'accordo con lui; la signora Maddalena non era
stata quel giorno a parlare di danaro, ed egli la portava verso C...,
certo di toccare una grassa mercede e un buon beveraggio.

La via correva a tratti sulle vestigia di quel ramo dell'Emilia, che
per val di Bormida menava i Romani da Tortona all'antica Sabazia. I
dotti, quando ne parlano, rammentano la tavola Pentingeriana, e
l'itinerario di Antonino. Romana o no quella via era un macereto, e
dava così gran disagio a farla in calesse, che camminare a piedi,
sarebbe stata per la povera signora minor fatica. Ad ogni passo il
legno pigliava tali scosse, che essa era sempre lì colle mani per
toccare Anselmo che si fermasse: ma egli da uomo rotto a ben altre
molestie, la confortava a non vi badare, e starsi sicura; e tirava
innanzi per la terricciola di R.... alla volta del borgo di C.... Il
quale a chi vi giunge da quelle parti apparisce amenissimo, sebbene
schiacciato com'è fra il torrente ed una rupe alta e malinconica,
parrebbe star meglio in mezzo alla pianura, che gli si apre dinanzi.
Questa non è ampia molto, ma quanto basta per dare aspetto magnifico
ad un anfiteatro di colli, sormontati su su da dossi più alti di monti
selvosi, che col verde cupo dei loro fianchi, fanno bel contrasto coi
sottoposti vigneti, colle piagge ridenti, coi prati e coi campi, dove
si lavora in dolcissima pace. Sulla rupe che soggioga il borgo, sorse
un castello che fu dei Del Carretto, ed era degli Scarampi quando
Vittorio Amedeo, generale degli eserciti di Francia e di Savoia,
guerreggiando gli Spagnuoli in quella vallata, lo trovò difeso da
dugento di costoro, e ne gli scovò con centoquarantaquattro cannonate
giuste. Era l'anno 1625, e di là a poco il Conte di Verrua tornato a
combatterlo lo atterrava del tutto. Ai tempi della mia storia quel
castello era già quale è ai nostri, roba di donnole e di volpi, nè dà
alla gente del borgo niuna noia, salvo che quella di toglierle una
bell'ora di sole in sul tramonto, e di minacciarla colle sue
pericolanti rovine. Macchie di castagni, da lasciare in desiderio il
più valente paesista, s'aggruppano su per il pendio sino a quelle; e
ai segni dei secoli che hanno nei tronchi ispidi e muschiosi, mostrano
d'aver fatto ombra alle castellane, se nelle ore calde saranno uscite
a sedere sull'erba a piè delle mura. L'edera inviluppa le macerie; e
le muraglie che stanno ancora irte di comignoli smisurati, spiccano
tra quel verde, come dossi di giganti costretti a mordere la polvere,
colle braccia poderose levate in alto a imprecare. La Bormida lenta in
quel suo passaggio, per i molti pelaghetti che forma, pare vaga di
riposarsi un tratto a far più bello il paese. Riverbera gaiamente il
castello, le case del borgo, i bucati distesi sulle sue rive le
donnicciuole che vi s'affaccendano intorno, e quelle che vi stanno a
lavare; e a chi conosce di quali piene talvolta si gonfi, pare angusto
quel letto in cui scorre poca e tranquilla. Laggiù laggiù, dalla parte
donde tirano i venti di mezzogiorno, menando sovente a furia sulla
selve e sulla pianura, le vette di San Giacomo e del Settepani fanno
l'orizzonte sempre leggiadro: ma a vedere l'azzurro oltremarino di cui
si tingono a sera, paiono in certa guisa sfumare nei colori del cielo.
Allora lasciando varco alla fantasia di chi le guarda, e trova
oltr'esse, i borghi, le terre e il mare di cui ha inteso a dire le
meraviglie; chiudono malinconicamente la bellissima scena.




CAPITOLO III.


Sotto quel cielo, a piè di quel castello, viveva quella Bianca, che la
signora Maddalena andava a cercare. Essa era una giovinetta in sui
diciotto, e se io mi provassi a ritrarla; e dicessi che il suo viso
pareva di questa o di quella statua; che l'occhio aveva grande, nero,
intento, e l'incarnato delle guancie fresco e sincero come di bambino
allattato sull'Alpi; i miei quattro lettori se la figurerebbero ognuno
diversa e di sua fantasia: e però mi pare meglio dire in una parola
che essa era bellissima. Bellissima e mesta, aveva il portamento d'una
santa che ignorasse d'essere in terra; e forse per averla veduta
guardare in cielo, coll'atto di chi aspetta di lassù qualcosa,
Giuliano se ne era innamorato. Vicina a lei, quasi fosse il suo angelo
custode, si vedeva sempre un'altra fanciulla, più giovane di qualche
anno; la quale sebbene non le somigliasse punto, e fosse bellezza di
tutt'altra sorta, era sua sorella e si chiamava Margherita. S'amavano,
ma non osavano dirselo; e pareva ad esse di fondersi l'una coll'altra,
d'essere la felicità in persona, quando potevano darsi del tu, senza
il pericolo d'essere intese. Ma questa era cosa che accadeva assai di
rado; perchè il babbo se le sue figliuole avessero usato tra loro
questa confidenza, gli sarebbe parso d'udire tremar la casa dalle
fondamenta, e guai alle poverette. Esse potevano dirsi le due gemme di
C.... e già in chiesa, a vederle sotto quel velo bianco, aereo, che le
fanciulle delle terre liguri sapevano, fin d'allora acconciarsi in
capo con tanto garbo; la gioventù pensava più ad esse che alla
preghiera. Orfane della madre sin dall'infanzia di Margherita, avevano
vivo il padre che si chiamava il signor Fedele; uomo ricco, tirchio,
rozzo, più che sessagenario, dottore di legge molto reputato nel
borgo. Costui era di quella maniera di padri, che gli affetti, se ne
hanno, li tengono bene nascosti: nè aveva pensato che a far roba, per
arricchire le figlie. Della loro coltura manco s'era sognato, e se
fosse rimasto da lui, le giovinette non avrebbero imparato che a
leggere, tanto da poter cantare nella processione del Corpus Domini
col libro in mano. Scrivere non sapevano, perchè non era cosa che di
quei tempi si potesse insegnare alle donne, se non da parenti che le
volessero usare al male. Ma lavoravano di cucito per bene, e in casa
facevano tutto colle loro mani: perchè il padre, duro a spendere,
permetteva solo che una donna venisse a cavar l'acqua e a rigovernare
le stoviglie, e appena fatto se n'andasse, che egli gente d'altri in
casa non ne voleva. Per compensarle delle loro fatiche, dava in
carnovale una festicciuola da ballo, in cui si mostrava discreto
spenditore; e una sera di quaresima le conduceva al teatrino del
borgo, a vedervi la passione di Cristo, rifatta dai disciplinanti
della sua confraternita, con gran pompa di mitre, d'elmi, e di turbe,
che finivano col fico di Giuda; donde si vedeva spenzolare l'apostolo
scellerato, tra le risa degli spettatori. Del rimanente la vita la
passavano parte in borgo, parte in villa; il governo della famiglia
era mantenuto dal signor Fedele con gran rigore; ed essendo egli di
quei tali, che intendono gli uffici di capo di casa a una torta
maniera; entrando od uscendo, sulla soglia mutava il viso; altro era
dentro, altro di fuori, burbero ed alla mano. Quando in famiglia si
parlava di lui non dico che si tremasse, ma i cuori si facevano
piccini; fuori nessuno si lagnava dei fatti suoi, nessuno ne diceva
male, ma era uno di quegli uomini che bisogna averli morti per sapere
se furono amati o temuti. Si mostrava assai cosa di chiesa, dove o
s'udiva a intuonare in coro il suo salmo, o si vedeva ritto in parte
da essere scoperto da tutti; in piazza dava strette di mano a destra e
a sinistra; se la faceva da amico con tutti i signori dei contorni, e
coi preti del borgo, allora così numerosi, che dall'alba fino a
mezzogiorno le campane non finivano mai di suonare a messa. Monete pel
sottile ne aveva messe di molto.

Come mai quelle due giovinette senza madre, avessero potuto venire su
così gentili, con quella sorta di babbo; è cosa che non si potrebbe
spiegare, senza dire che la Provvidenza, proprio non soffre un male
quaggiù, che lì vicino non vi ponga il rimedio. Una cognata del signor
Fedele, viveva nella famiglia, recondita, mansueta buona a fare ogni
bene, quantunque fosse cieca nata. Per la vita che aveva menata
raccolta e meditativa, le si erano affinate le virtù dello spirito e
del cuore; di maniera che miglior educatrice, non si avrebbe trovata
nè in C.... nè in altre parti di quella valle. Si poteva dire di lei,
che si fosse seduta al posto della sorella morta, a far da madre alle
sue nipoti; e finchè erano state piccine non aveva provato gran dolore
di non poterle vedere: ma ora sentendo Bianca cresciuta alla voce, ai
detti, ai silenzi in cui cadono le giovinette nell'età della loro
vita, che incomincia la donna; quel non poterla studiare nel viso, era
divenuto un gran tormento per la povera cieca; la quale conosceva
tutte le cose buone e le tristi del mondo, come per una misteriosa
rivelazione. E non potendo altro, pregava Dio che per Bianca e per
Margherita, quando fosse stato tempo da ciò avesse mandato due
giovani, poveri o ricchi non montava, ma quali essa se li sapeva
immaginare; poi che l'avesse presa. Nel borgo non la si vedeva, salvo
che quando andava alla messa e ai vespri, franca di passo in mezzo
alle nipoti; e nel tragitto essa capiva come camminassero confuse
perchè guardate dalla gioventù del borgo: ma con quel suo viso calmo e
muto, comandava rispetto a coloro che avessero osato fissarle di
troppo. Nell'andare e nel tornare dalla chiesa le donne la salutavano:
«damigella Maria:» ed essa si fermava fossero signore o popolane;
appiccava discorso volentieri, interrogava e rispondeva benevola; e
(tutti abbiamo qualche peccato) se quelle persone vestivano a nuovo,
godeva a parlare della bella indiana, del rigatino, del bordato, che
sapeva discernere al tatto e all'odore. E alle voci conosceva anche
gli aspetti, e diceva delle cose e delle persone, servendosi sempre
del verbo vedere, come se davvero avesse veduto. Passeggiava
volentieri a lungo, ma fuori per i prati sulle rive del torrente, che
col suo mormorìo gli pareva un compagno caro come le nipoti che le
davano mano. Ma la sua felicità era l'estate, che se non s'andava in
villa, poteva passare le ore su d'un'altana, ombrata di luppoli, la
quale dava su di un vicoletto, e aveva di faccia la casa di quel don
Marco, stato maestro di Giuliano. Da un terrazzino di quella casa
benedetta, il giovane aveva veduta Bianca la prima volta, questa
dall'altana aveva visto lui; l'intelletto d'amore s'era in essi
destato; e per anni non era passato giorno, che non fossero stati
ognuno al suo posto parecchie ore. Ma Bianca, trovandosi in gran
confusione, si soleva tenere nascosta dietro certi vasi di fiori, col
cuore che le pareva pieno di musiche, di canti, di quell'aura
misteriosa che soffia la primavera. Non s'accorgeva di nulla la cieca,
don Marco qualcosa del suo alunno capiva: tuttavia sapendo che l'amore
nascente all'età di quei due è cosa divina, egli taceva.

Un giorno che ancora l'altana non era rinverdita, ma già si godeva a
stare all'aperto pel tempo bellissimo; la cieca e le nipoti v'erano
state confinate dal signor Fedele, il quale aveva in casa una persona,
con cui gli bisognava parlare in gran secreto; una persona che Bianca
sospettava chi fosse, e a pensarvi le pigliava un'uggia non mai
provata. Damigella Maria, con una sua scusa, fatta andare Margherita
nelle stanze disopra, stringeva coi discorsi Bianca; per sapere da
lei, come mai cinque giorni prima, (il giovedì santo) andando in
chiesa, fosse uscita in un grido mal represso, e quasi avesse
inciampato a guisa di persona confusa da vista inaspettata. Quella era
la quarta volta che la cieca tornava ad assalire la nipote con quei
parlari; dubitando che questa avesse veduto qualcuno, che già potesse
sopra il suo cuore; e voleva cavarle una confessione. Bianca si
schermiva, combattuta dal desiderio di dire la verità, provando anzi
il bisogno di sfogare qualcosa che le bolliva dentro; ma alla zia
no.... sentiva di non potergliela dire.

Potevano essere quel giorno, le quindici ore d'Italia, e il calesse su
cui veniva la signora Maddalena, giungeva a scoprire ii borgo di
C....; e Anselmo ne faceva avvisata la viaggiatrice, la quale al cenno
rispettoso di lui, alzò il capo, e guardò intorno quei luoghi non più
riveduti dacchè vi era venuta col marito, a porre Giuliano a scuola in
casa a don Marco. Rimirando quei luoghi, quasi sentendo d'averlo
ancora allato, pregò l'anima di lui a starle vicino; e le torri brune
di C..., le vette alte degli olmi che allora cingevano il borgo, il
castello in rovina, le parve facessero segno di antica amicizia.
Subito cercò coll'occhio i siti delle case a lei note; vi si mise
dentro colla fantasia, s'immaginò le liete accoglienze; e un po'
raccapricciava, pensando ai mutamenti e alle morti che vi troverebbe
avvenute; un po' noverava le famiglie alle quali, appena avuta una
risposta da chi doveva darla, sarebbe andata ad annunciare le nozze di
Giuliano. E studiava le parole da dirsi; quando quel dolce lavoro
della mente, le fu turbato da uno spettacolo non veduto altra volta.
Pei campi e pei prati a sinistra della via, giostravano gli Alemanni,
passati a D..., mesi prima; quegli Alemanni odiati tanto da suo
figlio; e nei loro esercizi parevano governati da voci strane, alte,
rabbiose; da squilli di trombe, da rumor di tamburi. Alcune coorti di
cavalli galoppavano a briglia sciolta, varcando di lancio i fossati,
balzando con turbinoso agitare di zampe per disopra alle siepi,
divorando fragorose gli spazi a investire le squadre dei fanti; e
allora urla e scompiglio come in vera battaglia. A piè d'un
muricciuolo d'orti, di costa alla via, ardevano i fuochi del campo:
nereggiavano appese sopra le fiamme grosse caldaie, intorno alle quali
s'affaccendavano alcuni soldati luridi; mentre alcuni altri
contendevano per cavar acqua da un pozzo, e ne facevano altalenare il
mazzacavallo, come monelli. Da un poggio poco discosto, si diffondeva
un'armonia di strumenti guerriera e pietosa, che faceva pensare
all'Allemagna, alle famiglie di quei soldati, alle venture sanguinose,
cui erano condotti così da lontano.

La signora Maddalena veniva guardando tutte queste cose, piena di
compassione, e due o tre volte aveva affrettato coi cenni Anselmo
curioso e restio; il quale dopo un altro po' di trottata, uscì dicendo
«siamo arrivati».

Erano dove la via correva tra le ortaglie del borgo, quasi in ripa ad
una gora, che mena anche adesso l'acque ad un antico mulino; e vedendo
a man diritta una chiesetta campestre, la signora Maddalena si
raccomandò al santo patrono di quella, qualunque egli fosse. Quella
chiesetta era dedicata a Santa Marta, e sorgeva allora solitaria in
mezzo a quegli orti; ma oggi la stringe dall'un dei lati, il cimitero,
dove se ne va in pace la nostra gente; dall'altro stanno quattro
muricciuoli a nascondere due tombe; nelle quali (molti lo credono) si
dice che stia rinchiuso il bieco governatore di Sant'Elena, colla sua
famiglia. In verità, sarebbe cosa da chiarirsi, se Hudson Low cacciato
di terra in terra come un malfattore, sia riuscito davvero a finire i
suoi giorni in quel villaggio, così vicino a Montenotte; dove il suo
prigioniero era stato preso sull'ali dalla gloria e dalla fortuna. Il
fatto è che in quelle due tombe, giace una famiglia di protestanti
inglesi, venuti a dimorare e a morire in C...., saranno poco più di
cinquant'anni; e i veterani di Spagna e di Russia, passando vicino a
quelle tombe; in cambio di pregare, godevano di calcarsi in capo il
cappello per far onta al morto, e tiravano oltre guardando losco e
brontolando.

Quel giorno che le tombe credute di Hudson Low, e i veterani di
Napoleone erano ancora di là da venire, Anselmo tirò oltre anch'egli;
e indi a poco, il calesse fu a traversare il ponte lungo, stretto,
basso di muricciuoli, i quali a ciascuna pigna formavano un angolo,
dove i camminanti potevano, bisognando, cansarsi dalle file di muli,
che allora varcavano numerose, spandendo per quelle valli la musica di
centinaia di sonagliere. In capo al ponte, sorgeva un'altra
cappelletta, (ve n'erano a tutti i passi) e questa serviva a deporvi i
morti del contado, fino a che la confraternita li venisse a levare pel
mortorio. Alcuni fanciulli vi ruzzavano baloccandosi a giocare alle
palle di piombo avute dai soldati che sempre sono loro amici; e
all'apparire del calesse stettero maravigliati, per non aver mai visto
altrettanto. Ma altri più discoli che facevano alle piastrelle sul
greto del torrente, s'affollarono su per la ripa a chi più corresse, a
chi arrivasse alla carrozza; e l'avrebbero assalita a furia, senonchè
il primo che potè agguantarla per di dietro toccò una frustata sulle
mani; e gli altri si fermarono intorno a lui piangoloso e umiliato,
che si fregava il bruciore zoppicando. La signora corrucciata,
rimproverava ad Anselmo il suo giuoco bestiale, e si volgeva addietro
a guardare pietosa il mal capitato.

Girando a manca repentinamente, di là a cinquanta passi s'era alla
porta del borgo, ampia d'arco, munita ancora delle gravi imposte dei
tempi, in cui si soleva chiuderla; e prolungata a guisa d'androne,
sotto una volta, dalla quale si levava una torre, stata alta e forte,
e poi mozza e divenuta casa di gente dabbene. In una delle pareti
sotto la volta, si vedeva una rozza dipintura, che aveva ad essere
l'immagine della Madonna; e di faccia a questa, in una stanza terrena,
umida e tetra, v'era la guardia Alemanna.

Spiacque molto alla signora Maddalena, dover attraversare lo spazio
tra il ponte e quella porta, perchè sott'essi gli olmi che in lunga
fila sorgevano fuori le mura, sebbene per la stagione non rendessero
ancora ombra, conversavano a capannelli i maggiorenti della terra. Uno
di quegli olmi che per essere solitario e molto spanto pareva piantato
là a posta per gente privilegiata, ed era il più vicino alla porta, si
chiamava l'olmo dei preti. Nessuno che non fosse stato prete o frate,
avrebbe osato di fermarvisi sotto; e in quel momento che la signora
passava, vi stavano a crocchio discorrendo assai caldamente, mezzo il
clero del borgo e mezzi i frati di un convento poco discosto, che
vedremo tirando innanzi. Qua e colà, soldati infermi all'aspetto,
sedevano al sole, fumando le loro pipe di Boemia, accidiosi e mesti; o
accosciati in molti, l'uno dopo l'altro, s'acconciavano tra loro i
capelli, s'intrecciavano le lunghe code; sudici, cenciosi
motteggiandosi nei loro linguaggi, come mostravano alle risa e agli
sdegni.

I discorsi di quei signori e di quegli ecclesiastici, volgevano su
cose di sì gran momento; che alla vista del calesse niuno si mosse tra
i curiosi sfaccendati, che in altra occasione avrebbero fatto folla
come i scimuniti. E bisogna sapere che questo avveniva perchè appunto
quella mattina era giunta la nuova che i Francesi, fattisi grossi,
all'improvviso, sul confine della repubblica di Genova, da Mentone a
Ventimiglia, ne avevano invaso il territorio, tentavano di guadagnare
i varchi e le vette dell'Alpi Marittime; e a calarsi da queste nelle
valli della Bormida vi avrebbero messa poca fatica.

La signora Maddalena gli udì litigare sui nomi dei luoghi invasi dai
Francesi e sulle distanze; e lietissima di non essere badata, si mise
dentro l'androne, e tirò diritto per la via maestra del borgo. Gli
artigiani si affacciavano agli sporti guardandole dietro un istante,
mettendosi poi a chiaccherare colle mogli, o chiedendosi da bottega a
bottega quella donna chi fosse. Essa smontò ad una porta, che Giuliano
le aveva descritto così bene, che neanco cieca avrebbe potato
sbagliare; disse ad Anselmo che desse di volta e andasse ad
aspettarla, oltre il ponte, presso certa casuccia di costa alla via;
poi salì le scale, d'onde s'udiva venir giù una pedata grave e sonora
di sproni. E subito comparve un uffiziale Alemanno, allegro in vista
come tornasse dall'aver vinto un'esercito; uomo tozzo e impersonato,
si che ad ogni mossa, muscoli e polpe parevano lì per isquarciargli i
panni. Portava in capo uno di quei berrettoni da ulano, che i vecchi
di quelle parti rammentano, paragonandoli per la forma a un
manticetto, e ne aveva coperta la fronte fin sulle sopraciglia; sotto
le quali balenavano un par d'occhi verdastri, grandi, mirabilmente
accompagnati a due mostacchi rossicci, folti, attorciati come le
branche d'uno scorpione. Ad averlo visto una volta, lo si avrebbe
potato ritrarre dal più inesperto con tre pennellate, di scorcio, di
profilo, di prospetto tanto la sua vista colpiva; ma da gentil
cavaliero, s'accostò al muro, lasciando spazio, quanto la sua persona
ne poteva concedere alla dama; la salutò con garbo tra soldatesco e
paesano; e questa continuò a salire fino all'uscio che andava a
picchiare.

Damigella Maria e Bianca non s'erano per anco mosso di su l'altana; e
una donna che aveva vista la signora Maddalena entrare dal signor
Fedele, passando pel vicolo, levò in alto la faccia, e disse alla
cieca: «damigella Maria, le viene in casa una signora forastiera.» A
Bianca il cuore fece dentro un gran moto, e proprio in quel punto
s'udì uno squillo del campanello. Essa, vi fosse o non vi fosse sua
padre a sgridarla, corse ad aprire; e la signora Maddalena non aveva
lasciato, sto per dire, il cordoncino del campanello, che l'uscio fu
spalancato, e le apparve Bianca, dimessa le vesti e in tutta la
semplicità della sua bella persona. Vederla, ravvisarla per quella che
le aveva detto Giuliano, prenderle fra le mani la testa e baciarla in
fronte, fu per lei un solo atto. E la giovinetta si lasciava fare tra
desiderosa e soprafatta, sentendosi discendere molto addentro l'occhio
di quella donna, che aveva i segni in viso d'una dolcezza infinita. Nè
sapeva, ma le pareva d'averla conosciuta; l'immagine di Giuliano
veduta a C... tre o quattro volte in quella settimana, la rivedeva lì;
non osava richiedere del suo nome la forestiera, ma era certa che
n'avrebbe risposto uno caro, già noto, chi sapeva quale? E non pensava
lei sola a Giuliano; perdio la signora Maddalena, guardandola la
paragonava per la bellezza a lui, qual era alto, aitante e fiero; le
pareva di vederlo cogli occhi nerissimi ora fulminei, ora mesti,
intenti nella fanciulla; gioì per essa che l'avrebbe trovato uomo
degno d'altissimi amori, la cui anima accesa di lei sarebbe divenuta
luce; e la castità della vita che brillava in volto al giovine, stimò
degna dalla vergine che aveva dinanzi.

Non v'è da meraviglirsi se in quel momento che quasi era in estasi, la
signora Maddalena credè già il parentado bell'e fatto; nè se passato
il primo silenzio parlò alla fanciulla con materna dimestichezza,
dandole del tu, o chiedendole dove fosse suo padre. Allora Bianca capì
di più, e tramando per la gioia, metteva lei in una sala; dove andando
e tornando alcuni passi, chiedendo confusa e rispondendo colle vampe
nel viso, seppe il dolce nome e corse come potè a chiamare il proprio
padre.

Chi pensasse che la sala del signor Fedele, sebbene tra le più belle
del borgo, fosse arredata con fasto, s'ingannerebbe di molto. I tempi
chiedevano poco, e il padrone d'arredi non si curava molto. Poche
sedie, coperte di cordovano nero die vi stava appiccato con borchie di
ottone; un divano scuro; uno specchio, che a guardarvi dentro si
pareva butterati; due quadri antichi, uno dei quali rappresentava il
sogno di Giacobbe, l'altro la Samaritana al pozzo: ecco tutto quello
che là dentro si poteva vedere in un'occhiata. A una persona nuova,
quella sala sarebbe forse paruta d'un israelita usuraio; ma Bianca
aveva lasciato negli occhi della signora Maddalena tanto bagliore, che
questa non avrebbe veduta più splendida la dimora d'un re. Rimasta
collo sguardo fisso là donde Bianca era sparita, quasi continuasse a
vederla, ad ammirarla, pensava a quella bellezza, mai più immaginata,
agli anni che avrebbe vissuto con essa nella felicità della sua casa
di D..., e benediceva Giuliano d'averla voluta per sua.

La tolse da quella sorta di rapimento la voce grossa del signor
Fedele, che veniva di stanza in stanza, approssimandosi con certi oh!
lunghi e pieni di reverenza; e indi a poco comparì egli stesso
frettoloso e grave, col dorso ossequente, e con una mano tesa ad una
accoglienza rispettosa, coll'altra acconciandosi tra l'orecchio e la
tempia una grossa penna di pollo d'India. Portava calzette nere, come
le portano i preti, e brache di stoffa tralucente e nere anch'esse; le
grandi fibbie d'argento delle sue scarpe lustravano da far gola ad
ogni mariuolo; le catenelle dei due orologi che aveva nel panciotto di
seta cangiante, gli battevano sonore sulle cosce; e quella penna
l'aveva presa passando dallo scrittoio, così per parere.

«Oh! suonate a gloria campane! sclamò egli appena vide la
visitatrice--la signora Maddalena! Ma che miracolo, che buon vento,
che fortuna è la mia? segga, si metta a sedere, la prego!» E voltando
dieci inchini; prima che la signora avesse potuto dire una parola, già
l'aveva ridotta a sedere sul divano, e le si metteva di faccia sulla
prima scranna che gli capitò d'agguantare--«Dunque ella sta bene,
proseguiva, ed anche suo figlio? n'ho piacere! So della disgrazia del
marito... eravamo amici, fratelli! sono dolori, ma che vuole! uno alla
volta s'ha da partir tutti! E laggiù il signor pievano, che è sempre
grasso, rosso....? questa quaresima hanno avuto un predicatore di qui,
mio grande amico e grande oratore.... com'è piaciuto?

«Piacque;--rispose la signora, cui quel tempestare del signor Fedele,
metteva addosso non sapeva che confusione.

«Eh......! Bisognerà bene che qualche giorno venga a D.... a
pigliargli un pranzo al pievano, se no mi scomunica!....»--continuava
egli--ma che vuole? non s'ha mai un'ora libera..... benedetti clienti,
benedette liti....!

«Chi sa?--diceva essa.--Forse io potrei darle occasione di venire a
D.... più sovente.

«Oh!--sclamò il signor Fedele; e componendosi colle mani sul
ginocchio, e col viso sporto, stette aspettando, come a dire, i cenni
d'una cliente che poteva pagare assai bene.

«A dire il vero--continuò la signora--vengo per una cosa di cui avrei
dovuto farle parlare da qualche amico nostro..... Ma lei mi
perdonerà.... mi scuserà....

«Scusarla!--saltò su a dire il legale--che mi fa celia? Io sono qui
tutto orecchi, non ha che a comandarmi, sono cosa sua io, la mia
professione, la mia casa, la mia famiglia..... e parla di scuse?

«Ebbene--disse la signora pigliando animo--vengo a chiedere la sua
Bianca pel mio figliuolo....

«Bianca?--bisbigliò egli sommesso, levandosi e correndo a chiudere per
bene l'uscio pel quale era venuto;--più che volentieri.... ma.....»--E
qui tornato a sedere, appoggiò il dosso alla spalliera della seggiola,
distese le gambe, sprofondò la sinistra nella saccoccia del panciotto,
poi colla destra si tirò sul petto la coda come soleva in tutte le
occasioni che gli davano da pensare.

«Dunque?--interrogò timida e rimescolata la signora.

«Dunque......., io le dico una cosa; se suo figlio vuole ammogliarsi,
diamogli tra un paio d'anni l'altra mia figliuola, la Margheritina.....

«O perchè non Bianca?

«Bianca..., non lo direi a mia madre se tornasse dall'altro mondo...,
ma a lei... mi sia segreta..., Bianca l'ho promessa......

«Promessa! sclamò la signora colla voce spenta di chi cadendo da una
grande altezza volesse mandare un grido:--promessa? e non vi sarebbe
rimedio?

«Oh! quando noi si promette, gli è come avesse parlato il re!

«Pazienza!--essa disse, e si levò da sedere per partirsi. Le gambe
quasi non la reggevano, e nulla sapeva più rispondere a lui; che
ingegnandosi di parere cortese le parlava di star a desinare, di
riposarsi, di far conto di essere in casa sua. A quell'uscio dove
Bianca l'aveva accolta, la signora prese commiato; e il signor Fedele
tornando al suo studiolo, passò vicino alla fanciulla, che sola,
atterrita, sedeva cogli occhi fissi sul pavimento, in una stanza
attigua alla sala. Essa aveva inteso ogni cosa. Soffermatosi a
guardarla allegro e malizioso in vista: «eh?--le disse--quanti ve ne
sono dei padri sui quali s'affollino i partiti per le loro figliuole,
l'uno che incontra l'altro su per le scale?» E piantò la poveretta,
che a questo parole capì a chi suo padre l'avesse promessa. Le parve
che la sua mente si spegnesse; ondeggiò, si slanciò forse per
raggiungere la signora Maddalena.....; poi non potendo altro, corse
sull'altana, a smaniare colla testa in grembo alla zia, la quale
chiedeva invano che vi fosse, e in quella novità non si sapeva
raccapezzare.

Sgomenta forse quanto Bianca, la madre di Giuliano camminava,
s'andasse a riuscire dove si fosse, pur d'allontanarsi da quella casa
e dal borgo. Ma a un tratto diede di volta, rifece la via, fu alla
casetta di don Marco, ed entrò chiamando il prete.

Don Marco stava solo solo nella sua cameretta, leggendo l'_Emilio_ di
Gian Giacomo, avuto di quei giorni da un amico di gran segreto; e
quella lettura gli aveva destato un'avidità febbrile che non gli dava
pace nè giorno, nè notte. Uditosi chiamare, si fece incontro con quel
libro in mano a chi veniva, e non appena ebbe visto la signora:

«Ecco! ecco--sclamò--suo figlio voleva essere educato con questo
libro...., e appunto leggendo pensava a lui......

«Meglio--rispondeva essa--meglio non aver figliuoli, o non essere al
mondo a vederli infelici.»

Queste parole e l'atto con cui cadde di sfascio su d'una scranna,
fecero tremare al prete le membra e la vita, come se d'un tratto gli
si fossero aggiunti vent'anni, nè trovava il fiato per domandarle che
le fosse accaduto. Ma in quella s'udì un passo precipitoso, e Bianca
accesa in viso di pudore, e bella per angoscia di più scolpita
bellezza, si mostrò sulla soglia. Avendo vista dall'altana la signora
entrare dal prete, e non potendo più reggere; per certa scaletta che
metteva a terreno, era discesa, aveva attraversato il vicolo, e
capitava là dentro a crescere lo stupore di don Marco, gettandosi
nelle braccia della signora. La quale a prima giunta credendola
inseguita, la strinse al seno, guardando l'uscio se qualcuno
irrompesse; poi reggendole la fronte: «o Bianca--sclamò--siamo
infelici tutti!

«Ma io--proruppe la fanciulla--quell'Alemanno non lo sposerò!

«Che....? quello forse che incontrai per la vostra scala.....?--disse
la madre di Giuliano chiarita in un sol punto di tante cose e anche di
quell'odio giurato agli Alemanni dal figlio. E la fanciulla con voce
solenne:

«Sì...., ma morirò! nessuno potrà costringermi.... nemmeno mio padre!»

«Bianca--entrò a dire don Marco, che rinvenuto dallo sbalordimento,
molto aveva capito da quelle poche parole;--e perchè parli sdegnato
del padre tuo?»

La fanciulla tacque e chinò gli occhi dinanzi al sacerdote. Egli
continuò amorevole:

«A che ti vorrà costringere tuo padre? Perchè tu lo accusi? Va,
piangi, sfogati, e prega; stattene raccolta nella tua camera più che
puoi..., la solitudine addolcisce l'anima e insegna molte virtù a noi,
e a chi ci pare contrario...! Abbraccia la signora Maddalena..., essa
mi dirà ogni cosa.... t'aiuteremo.»

Così dicendo sciolse la giovinetta dalle braccia della signora, la
prese per mano e la condusse verso l'uscio con gran dolcezza. E «non
ti scaccio, no--le disse--ma va, e vedrai che ti vogliamo bene...»

Da quella soglia, la poveretta, con uno sguardo lungo insaziabile, si
fissò nella madre di Giuliano; poi si fece forza e partì, confusa e
meravigliata d'aver tanto osato.

«Povera Bianca!--sclamò don Marco--dunque se ho capito bene...?

«Sì,--interruppe la signora--venni a chiederla sposa pel mio
figliuolo, e la trovo promessa....!»

«Promessa, s'intende a sua insaputa; e siamo in terra di cristiani!

«E dire che Giuliano l'amava da anni! Benedetto figliuolo, se me ne
avesse parlato!

«Ed io--disse il prete con voce impressa di rimorso,--io che m'era
accorto di quest'amore, sin da quando egli veniva a scuola da me! la
colpa è mia che avrei dovuto mettermi di mezzo, e prima ch'egli
andasse a Torino, chiedergli che avesse in mente di fare...! Forse non
avremmo adesso quest'Alemanno tra' piedi....

«Ma don Marco, don Marco; Giuliano come farò a quetarlo...?

«Bisogna fare che di questo soldato non sappia nulla; pensiamo che
questi stranieri sono strapotenti; che qui non si vede nulla più bello
di loro: e un cenno, un'occhiata, un sospiro bastano a farci
incatenare e condurre come malfattori sin chi sa dove...!

A queste parole la signora Maddalena, quasi dimenticandosi di quel
primo dolore; s'empiè di paura, per la nuova sorta di pericoli a cui
Giuliano si poteva esporre.

«E allora--proruppe--io non veggo altro rimedio che nel farlo
ripartire per Torino! Venga, venga con me, m'aiuterà a persuaderlo;
gli diremo che prima di tutto il padre di Bianca vuole che egli sia
medico, e che del matrimonio se ne parlerà poi...; per l'amor di Dio
venga, perchè io sento che mi pende sul capo una grande sciagura!

«Non per rifiutarmi no;--rispose don Marco--ma se io venissi a D....,
non gli potrebbe nascere qualche sospetto? Egli è figlio rispettoso;
lo potrà indurre la parola della madre, più che cento d'amici.... E
parta prima che gli venga in mente di tornare qui....; gli prometta
tutto quello che può giovare a persuaderlo: meglio un inganno pietoso,
che un guaio inevitabile.... Poi vi è di buono che questa fanciulla
pare deliberata a soffrire ogni cosa piuttosto che sposarsi ad un
altro... Io farò di saper meglio questa faccenda dell'Alemanno;.... e
alla fine delle fini, vuole che le ne dica una....? I Francesi sono a
due passi da qui; la guerra non è cosa da cristiani, ma alle volte
rimedia a tante brutte cose! Chi sa? Calando di qua dai monti i
Francesi troncheranno questa e molte altre storie, scacciando dalle
Langhe questi Alemanni, che già v'hanno spadroneggiato di troppo...!»

Parve alla signora Maddalena, che don Marco parlasse d'oro, e da quei
discorsi pigliava consiglio e forza e sino a un certo segno
consolazione.

Bianca intanto, tornata sull'altana, questa volta non conobbe più
freno, e si gettò a' piedi di damigella Maria; la quale fuori di sè
per quei portamenti, ondeggiava tra l'usare la collera e la dolcezza.
Ma a questa volta la fanciulla le si aperse; le si confidò d'un
Alemanno che la guardava da parecchio tempo; che sempre a passeggio e
nell'andare a messa se lo vedeva innanzi: e disse che la persona cui
suo padre aveva parlato quel mattino in tanto segreto, era appunto
colui e che di certo gliela aveva promessa. «Ma io non lo voglio!»
continuava, e narrò dell'amor suo per Giuliano; chiese perdono di non
le aver detto mai nulla; parlò della signora Maddalena venuta a
domandarla per suo figlio, e ridisse che voleva bene a lui, e che
sarebbe morta piuttosto che sposare un altro. La cieca piangeva con
quei suoi occhi spenti, lagrime di tenerezza e di paura; nella sua
mente vide chiaro che i tempi delle lotte domestiche erano giunti; il
suo cuore sentì da madre; e si mise dalla parte di Bianca.

Tutte queste cose accadevano in meno di due ore dalla venuta della
signora Maddalena in C..., e l'orologio della chiesa parrocchiale
batteva le diciasette, quando essa usciva di casa a don Marco,
accompagnata da lui per tornare a D....

I due camminando per una viuzza fuori mano giunsero al ponte, e
passando vicino alla cappelletta, dove un par d'ore prima ruzzavano i
monelli, videro gente trarvi a folla, e vollero guardare che fosse. Vi
giaceva un soldato alemanno, morto e sanguinoso, stato calpestato dai
cavalli nel campo. I commilitoni l'avevano portato sugli schioppi, ma
là, poveretto, era spirato. La donna infelice e don Marco si
allontanarono, questi recitando una preghiera tra sè, quella pensando
alla madre lontana di quel morto, la quale in quell'ora non aveva
alcun sospetto di tanta sventura. E la prese una profonda malinconia,
all'idea della fossa, in cui i soldati avrebbero sepolto quel misero;
fossa che si sarebbe chiusa come quella d'un bruto. Allora le si
diffuse in faccia un'aria di rassegnazione più durevole e pietosa, e
volgendosi al prete gli disse:

«Don Marco, è vero; vi sono al mondo madri più sventurate di me!

«Eh! signora--rispose il prete--la terra se la dividono in due, la
sventura e la ingiustizia...; e in tanti secoli che Gesù è morto, le
sue promesse sono di là da compirsi!»

La signora lo guardò maravigliata, ma tocca da quelle parole; e
tirarono innanzi senza dir altro, sino alla casuccia, dove Anselmo col
calesse cominciava a spazientarsi, e scerpando manate d'erba, ne dava
a mangiare al cavallo. I due s'accomiatarono ridicendo cogli occhi
tutto quello che s'erano detto a voce; poi essa si mise dentro il
legno, Anselmo si chinò per baciare la mano al prete, che non volle
lasciarlo fare: ma come il cavallo partì, diede di volta pensoso, e
passo passo lasciandosi menar dalle gambe, se ne tornò a casa.

Egli era, povero vecchio, il decano dei preti di C..., portava alla
meglio i suoi settant'anni, e viveva solo. Da lunga pezza aveva visto
addensarsi la bufera, che in quei giorni rumoreggiava terribile dalla
Francia; e alcuni che erano stati da lui a scuola, ora che si udivano
i fatti, rammentavano certe sue parole, dette molti anni prima, come
profezie avverate. Scoppiata la rivoluzione egli ne aveva avuto un
senso, diverso da quello fatto al clero, e per esempio a don
Apollinare: perchè egli la capiva nelle sue cause; perchè egli aveva
un cuore così grande, che nato re si sarebbe fatto mendico; perchè
pensava che il medio evo fosse stato un troppo lungo oltraggio alla
dottrina di Gesù, ed ancora non gli pareva finito. Perciò il grido di
quella rivoluzione gli era giunto come una voce nota; e gli aveva
fatto chinare la fronte, quasi somigliasse in qualche guisa ai tuoni
del Sinai. A Parigi sarebbe stato coi Girondini sino alla morte; ma
amava Danton, in cui per quel poco che n'udiva così da lungi,
ravvisava qualcosa di San Paolo; in Vandea avrebbe dato il cuore a
Bonchamps, la mano a Marceau; nel suo borgo oscuro, era un povero
prete, poco capito, che viveva insegnando la buona latinità. Dal quale
ufficio, e da un poderetto che aveva sui colli vicini, e formava il
suo patrimonio ecclesiastico, gli veniva quel po' di bene che faceva a
metà coi poveri, che di quei tempi battevano numerosi alle porte.
Molto aveva speso in libri e molto gli aveva studiati; e così vissuto
in certa maniera coi morti, s'era mescolato poco a quel volgo di
ricchi sfaccendati e di preti ignoranti, de' quali la borgata allora
era ingombra. Questi ultimi sebbene mostrassero d'onorarlo, lo
scansavano volentieri; ed egli esperto di sè e del mondo, non se ne
aveva a male. Del sacerdozio pensava un po' alla sua maniera, forse da
cristiano primitivo; perchè si narrava che un giovane volendo farsi
prete, ed essendo andato a lui per consiglio, egli gli avesse detto:
«Tirate innanzi un altro tantino colla vita, poniamo fino ai
cinquanta: e se a quell'età vi tocchi qualche gran dolore, se Dio vi
chiami colla voce severa della sventura; datevi a consolare le
afflizioni altrui, parlando del cielo, e pregando con tutti. Sarete un
buon sacerdote, di questo v'accerto io: ma a vent'anni farsi prete,
come altri si fa medico, soldato, o che so io... no... no... non istà.

«Ma e lei?--si dice che interrogasse l'altro stupito. E don Marco:

«Io? Eh! io sono un uomo che in settant'anni ho imparato molte cose!»

Man mano che invecchiava la sua vita si faceva più raccolta ed
operosa, come di chi si apparecchia il viatico per mettersi in
cammino; la sua casa s'andava spogliando, ed era ormai quasi vuota.
Dormiva su d'un letticciuolo di paglia, perchè aveva dato il proprio
letto a due poveri sposi; s'ammaniva da sè il cibo, mangiando da
tenersi ritto; e nei detti, negli atti, in tutto, mostrava d'attendere
la morte come l'ora dell'adempimento d'un dovere verso gli uomini, e
d'un diritto fatto valere verso l'infinito.




CAPITOLO IV.


Mentre che la signora Maddalena partiva da C..., tutt'altra d'animo da
quella che v'era venuta, le cose tra Giuliano e don Apollinare si
facevano a D... molto oscure. Questi, certo della diligenza di Marta a
mandare da lui il giovane, l'aveva atteso invano parecchie ore; dopo
la colazione lo aspettava ancora; e per fare un viaggio e due servizi,
rannicchiato nel suo seggiolone, diceva l'uffizio. Era già innanzi un
bel tratto a recitar salmi, e di tanto in tanto, mentre rovesciando il
breviario sul ginocchio, fiutava un po' di tabacco, pensava che se
quel renitente fosse capitato, sarebbe stato un bel gusto tenerlo
ritto lì fuori dello studiolo, e non farlo entrare almeno per una
mezz'ora. «Caspita!--esclamava--questo gusto non se l'ha pigliato
Gregorio settimo coll'imperatore Arrigo?» Rammentava d'aver letto
quella storia, e d'averne udito predicare, nei verdi anni del
Seminario, come della più bella pagina della chiesa: e alla maniera
che una lucciola può guardare una fornace ardente, e credere di
somigliarle; egli si compiaceva alcuni istanti nella immagine del
fiero papa. Poi ripigliava la lettura dei salmi, biasciando a verso a
verso; e all'ultimo amen si levò in piedi stizzito, e proruppe:
«Adesso vado io!»

Si mise in capo il cappello con piglio risoluto, e nell'andare passò
pel salotto, ove stava seduto a dire anch'egli le ore, un Minor
Osservante del convento di C..., il quale, fatto il quaresimale in
D..., aspettava la domenica _in Albis_, per dare la benedizione
papale, e tornarsene poi al proprio convento.

«Dove va, signor pievano?--chiese costui, vedendo don Apollinare
pigliar l'uscio difilato.

«Posso dire _in partibus infidelium_!--rispose il pievano.»

Il frate scoppiò in una risata così piena, che s'appiccò fino a
Placidia occupata in cucina; Placidia che non rideva di voglia manco
tre volte l'anno.

Passin passino don Apollinare discese di castello; e sebbene quanti
s'imbattevano in lui, s'affrettassero come l'altre volte, a
sberrettarsi, a baciargli la mano che egli sapeva porgere con garbo da
vescovo, gli pareva che la gente sapesse la poca obbedienza
mostratagli da Giuliano, e perciò gli fosse meno rispettosa. E
procedeva levando il bastone vivacemente, e poi misurandone il moto
all'andatura, lo vibrava innanzi, lo appuntava a terra; schiacciando i
noccioli di ciliegia dell'anno passato, o scansando i ciottoli della
via. Giunto al piano, passò il ponte, ed entrò nel vico oltre il
torrente. I borghigiani facevano le meraviglie, vedendolo andare
diritto verso la casa della signora Maddalena, dove non era tornato da
anni; le donne bisbigliavano con aria di mistero, e stavano lì per
dirgli come la signora non vi fosse, ma nessuno l'osava.

Quando fu sul piazzale, egli si fermò un tantino e tossì; volendo che
quei di casa lo udissero e s'affollassero a fargli accoglienza. Ma la
signora era fuori; Giuliano toltosi di là dove Marta l'aveva lasciato
a sedere, se n'era andato nel più remoto angolo del giardino; e là
passeggiava, soffermandosi a tastare le boccioline or di questa or di
quella pianta, come se avessero qualche legame co' suoi pensieri
d'amore. In casa non v'era che la fantesca; la quale non appena ebbe
visto il pievano corse ad incontrarlo, tutta batticuore, inchini, e
ringraziamenti interni alla Madonna, che anco questa volta l'aveva
aiutata. La buona donna, se ci rammenta, s'era tirata in casa pregando
il cielo che don Apollinare non venisse, o almeno indugiasse tanto da
non trovarsi con Giuliano in quell'ora cattiva; e siccome questi non
era più là ad aspettarlo, così essa credeva che il cielo se ne fosse
proprio immischiato.

«Men furia e più memoria!--disse il pievano vedendola affrettarsi alla
sua volta.

«O signoria, so che cosa vuol dirmi; ma stamattina sono tornata che la
signora era in sul partire; darle colazione, aiutarla a vestirsi,
correre su e giù..., sa pure che io qui sono Marta, ma faccio anche da
Maddalena; e come diceva..., la sua ambasciata, il signorino... non
l'ho ancora veduto...»--E subito aggiunse colla mente: «dacchè l'ho
lasciato qui.

«E per dove è partita la signora!

«Ma..., se per in giù o per in su... non mi ha detto nulla... Già sarà
per affari; morto il padrone buonanima tutti hanno approfittato per
usurpare,...» Qui si picchiava mentalmente il petto, per le due bugie
sgusciatele in un lampo; e pensando che se il pievano stava là un
quarto d'ora, altro che purgatorio! faceva il conto agli anni di pena
che s'era procacciata, contandone sette per ognuna di quelle bugie.

Il prete che non soleva farsi uccellare, mise in disparte quel
discorso, e fissandola bene tra ciglio e ciglio, le disse:

«Dunque il signorino si può vederlo?

«Ah! questo sì...--rispose essa rimescolata--cioè, posso guardare, era
qui..., sarà là... sarà...»

Sarà di qua sarà di là, avrebbe dato i suoi salari di cinquant'anni,
se in quel momento le campane del castello avessero suonato qualcosa,
anco se occorreva una agonia, pur di vedere il pievano tornarsi
addietro: invocò un'altra volta il cielo, ma il cielo l'abbandonò; e
don Apollinare segnando col bastone in fondo all'orto, mostrò d'aver
scoperto Giuliano, che si vedeva traverso il fitto degli alberi, non
ancora fronzuti. Senza dire alla vecchia nè ai nè bai, s'avviò da
quella parte, punto da una smania che gli correva dal cuore sino al
sommo dell'unghie; ma da uomo avvisato si seppe rattenere, e pigliare
in viso un poco di calma.

Giuliano gli dava le spalle; ma udendo le pedate, si volse e vide lui,
e Marta dopo che trinciava segni, faceva l'occhio supplichevole, e
coll'indice teso su dal mento in sulla bocca, pareva volergli dire
mille cose, e che fosse prudente. Salutando cortese per amor di lei, e
per l'onor della casa, egli si fece incontro al pievano; questi
rispose con un cenno, e subito uscendo nelle piacevolezze, disse alla
fantesca:

«State allegra, Marta, che con questa sorta di ortolani avrete la più
bella ortaglia del mondo!»--E rise in cadenza, soggiungendo a
Giuliano:--Ebbene, torinese? Come si stà al paese del Re?

«Bene--rispose il giovane;--ma non quanto tra questi nostri monti; che
qui almeno tutta questa primavera ci pare cosa nostra, e c'entra nel
sangue bevuta a sorsi...

«Gioventù foco e fiamme!--sclamò don Apollinare: e Giuliano
giocondamente a lui:

«Le spegneremo con due bicchieri di moscatello...»

Quasi non ebbe il tempo di proferire queste parole, che Marta, beata
di vedere i propri timori risolversi in un brindisi, non attese
d'essere comandata, ma andò da sè per la bottiglia, lesta che il
pievano manco se ne avvide.

«Lasciate stare il moscatello dov'è;--disse egli a Giuliano,
annuvolando improvvisamente;--lo beveremo se io partirò di qua
amico...

«Amico?--sclamò il giovane--ma di casa nostra non so che uno sia mai
partito scontento!

«Sarà... ma io in casa vostra ci vengo, non per avere cortesie, ci
vengo per rimproverarvi di non avere obbedito! Voi non avete ancor
fatta la pasqua?

«La pasqua? Oh io la faccio quando mi pare; anzi l'ho fatta con mia
madre, e vorrei essere lasciato in pace con essa, sempre...!

«Proprio come un debitore che dicesse al creditore: non darmi noia!
Bravo!

«Via, signor pievano, non vada in collera! In faccia a questa bella
natura che si risveglia, in questi giorni di vera risurrezione,
facciamo come gli uccelli; li sente? Cantano d'amore e d'accordo che è
un desio. E in quest'inno che si diffonde dalla terra al cielo, non ci
capisce nulla, lei? Questo per me è una pasqua! e non mi par vero, che
noi così piccini, eppure fatti a godere di sì grandi cose, ci abbiamo
a guastare tra noi...

«Come sarebbe a dire?--interruppe il pievano.--E chi siete voi che
osate parlarmi a cotesto modo?

«Io? Non sarei mai venuto a dirglielo; ma poichè lo vuole, sappia che
io oso molto di più! Oso persino alzare la voce e la mente al cielo,
dove mia madre m'insegnò da bambino a cercare quel padre che non
s'addonta di udirci parlare amorosi tra noi; che capisce il suo, il
mio, tutti i linguaggi; quel Dio che io amo, e che ella vorrebbe che
io temessi...

«Orgoglioso!--gridò il pievano, cui tremolavano le guancie, e il viso
si faceva rosso:--orgoglioso ubriaco di letture infami! Li voglio!
andiamo, venite a darmi tutti i vostri libri!»

«I libri? E perchè non mi chiede addirittura i pensieri, il cuore,
l'anima mia?

«Ah giovane traviato! Uno come voi non ce l'ho mai avuto nella mia
pieve; non ce l'hanno in tutti i parrochi delle Langhe! E non so che
gran peccato io abbia commesso, per meritare il castigo di una pecora
così marcia in mezzo al mio branco. Me ne duole per voi; ma verrà il
vostro giorno, e vorrei che Dio v'aspettasse in buon punto. La morte
galoppa, e sarà una bella gloria pel vostro casato, che si porti il
vostro cadavere nel borro selvaggio, cogli scellerati, cogli empi, le
cui ossa contaminerebbero quelle dei fedeli defunti...!»

Questo borro selvaggio era una sorta di baratro, nelle selve di quelle
parti, vicino a Montenotte; e di quei tempi si credeva che vi fossero
portati di notte, a lume spento, tra nugoli di corvi e fischi di
diavoli, coloro che morivano in cattivo odore a Santa Chiesa. Giuliano
udendolo menzionare dal pievano non si sdegnò, ma sorrise mestamente e
rispose:

«A lei duole per me; ma io mi dovrei dolere molto più per lei, che
crede di servire il Signore spaventando i semplici con codeste
novelle! Ma che vuole che faccia a me il borro selvaggio? Più in
questa che in quella terra la pace del sepolcro sarà tutt'una per
me..., in fondo al mare, come in una chiesa, sotto una zolla di questo
orto, come sotto una piramide dell'Egitto...

«Ma che vi ha fatto la Chiesa? Che vi ho fatto io..., vostro pastore?

«La Chiesa? Oh! quando io era fanciullo, e vi veniva la sera..., e
udiva là dentro quelle voci di donne, di vecchi, di giovanetti,
cantare le litanie, mentre l'oscurità discendeva, e avvolgeva gli
altari e noi, e tutto nelle tenebre; io pigliava colle mie le mani di
mia madre, e stringendomi ad essa mi pareva d'andare portato in un
vuoto misterioso e dolcissimo...! E poi quando s'accendevano i ceri, e
vedeva lei all'altare incensare in alto, e benedire la moltitudine
silenziosa e reverente, provava certe ebbrezze...! E la Chiesa
l'amava! E amava anche lei, signor pievano; e nel mio pensiero mi
pareva di veder Dio che lo mirasse di lassù; che le facesse cenni; ed
io lo credevo l'uomo più grande, più buono, più santo dell'universo!

«Oh...! tornate, Giuliano; torna, figlio mio, con noi... Vedremo
Dio...»

Così dicendo, fosse commosso o fingesse, il pievano era lì per
abbracciare il giovane; senonchè questi ritraendosi:

«No--rispondeva con calma--io col gregge, col branco non ci tornerò
più, non vedrò più quel Dio...

«E perchè?--proruppe allora don Apollinare, ripigliando il suo posto,
severo.

«Perchè? Non mica perchè io non creda; non mica perchè io nutra odio
per lei no; ma che vuole? ho cavato la lucerna di sotto al moggio; ho
un po' letto la storia; ho pensato al bene che voi preti avreste
potuto fare, e al male che avete fatto; ho capito che voi foste sempre
dalla parte dei più forti, ed io amo i deboli...; e voi preti,
soldati, principi, tutti, mi parete una mano di congiurati, che avete
a capo un Dio di vostra testa, un Dio che ha figli reietti e figli
beniamini; e vi godete in suo nome il mondo, beni e persone!

«Sciocco! sciocco! sciocco! E se non fossimo noi, i vostri coloni, che
s'assaettano mattina e sera a lavorare i vostri campi, e stentano il
boccone; v'accopperebbero un bel giorno, e vi lascerebbero a mangiare
ai lupi sull'aia, dove non avete sudato, eppure andate a dividere il
grano...!

«Signor pievano, manco se ella mi avesse tirato uno schiaffo, io non
le avrei fatto l'oltraggio che ella si fa da sè con le sue parole.
Bella gloria per la Chiesa l'essere tenuta in codesto conto da' suoi
stessi preti! Ah! la parabola dell'Epulone pare che Gesù l'abbia detta
ieri...; ma se tutti i sacerdoti la pensano come lei, lo parrà ancora
di qui a migliaia d'anni...!»

«Ma Epulone è all'inferno, ed Eleazaro nel seno d'Abramo! Ed è più
facile ad un camello passare per la cruna d'un ago, che ad un ricco
entrare nel regno dei cieli...! Questa consolazione, ai poveri, l'ha
lasciata Iddio...

«Ebbene!--disse Giuliano--allora le ripeto che io non vo' sapere di
questo Dio. Smettiamo di parlare di lui!

«Ed egli vi punirà colla morte del corpo e con quella dell'anima...!

«No..., egli quando gli pare, ci coglie sulla via di Damasco, e di
Saulo fa San Paolo! Ma via, ha più nulla a chiedere da me?

«Che veniate a fare la pasqua; chè questo scandalo nella mia pieve non
lo voglio soffrire!

«Ripeto che la Pasqua la faccio con mia madre: e salendo talvolta su
qualcuno di questi monti, mentre nasce il sole o quando va sotto. In
quelle ore piene di voci misteriose, io m'inginocchio volentieri, e
guardo, e ascolto... Allora Dio mi si fa sentire più vicino..., e
rifaccio la pasqua alla mia maniera con lui....

«Ah! ah!--sclamò il prete, e si vedeva chiara la collera che gli
fiottava dentro:--penso che voi vorreste salirne uno dei monti, ma uno
tanto alto, da poter vedere la Francia e Parigi, e le carnificine, che
desiderate di poter fare anche qui!

«Sì--rispose il giovane con sicurezza meravigliosa--la Francia e
Parigi....; ma non occorre tanto...! Vede laggiù il Settepani, San
Giacomo, tutta quella catena? I varchi sono facili, e dall'altro
versante, forse in questo punto, l'esercito della repubblica salisce?

«Salisce,.. salisce, un corno!--urlò il pievano, terribile in vista
non si capiva bene se per minaccia che gli paresse d'aver ricevuta, o
che volesse fare:--matto voi e chi vi somiglia! Già! Li vedete?
Aspettano i Francesi per farci scannare! Aspettate pure, che noi
pregheremo tanto, e tanto faremo pregare in chiesa, che il Dio degli
eserciti manderà su quei monti legioni d'Arcangeli a nostra difesa.
Oggi bandirò un triduo in onore di San Giorgio, di San Martino, di
tutti i Santi che hanno portate armi; vi nominerò dall'altare, vi farò
conoscere a tutto il borgo..., ma pregherò il Signore che v'illumini,
mi vendicherò di voi colla carità.

«Della carità mandi a farne laggiù a quella svolta, oltre quei
vigneti. Là, una povera donna muore di stento con quattro fanciulli
che le piangono intorno.... Là, lei ed io potremo fare insieme la
carità che m'ha insegnato mio padre....

«Vostro padre era un....

«Zitto!--gridò il giovane con tanta maestà della persona e nel viso,
che più non potè darne Michelangelo al suo Davide--zitto, e se ne vada
subito! Quà ella non può più stare da uomo; da prete, nessuno ha
bisogno di lei; vada e non si volga addietro!»

Nelle parole e nell'atto di Giuliano v'era da cacciare ben altri che
il prete, il quale non se lo fece ridire e partì. Ma si sentiva
l'animo rintuzzato, far dentro come focoso cavallo, che raccolto col
freno e tormentato collo sprone, gonfia le nari, s'impenna, sbuffa,
tesse colle gambe su poco suolo rabbioso e soffre; ma si farà vedere
quando gli verrà dato lanciarsi di carriera.

Passando vicino la Marta, a quale tornata che quella sorta d'alterco
era sul forte, stava poco discosta, coll'impaccio d'una bottiglia e di
due bicchieri in mano; non badò al profondissimo inchino, che la
poveretta fece per rabbonirlo, o per mostrargli che essa non ci poteva
nulla. Ma come avesse voluto lasciarle un'altra ambasciata, disse tra
denti: «sfacciato! l'avrà a pagare!» E via più che di passo, in pochi
istanti disparve oltre l'arco, in fondo al piazzale.

«Ahimè!» povera donna,--sclamò Marta--vecchia come la terra d'un
castagneto, e chi sa che cosa mi toccherà vedere!

«E che volete vi tocchi?--Le chiese il giovane che s'era avvicinato,
soave nella voce, e mettendole sopra la spalla una mano.

«Certe parole--rispose essa scotendosi quella mano di dosso--bisogna
proprio averle imparate dal diavolo! Lasciavano il segno nell'aria
come le saette!

«Oh santa semplicità!--esclamò egli sorridendo mestamente;--Una volta,
che in una città di questo mondo, i preti stavano abbrucciando un
uomo, che loro non piaceva guari; una vecchierella come siete voi,
recava legna da aggiungere al fuoco, per aiutarli, e dare gloria a Dio
con essi!»

«E una volta--rimbeccò Marta provocata da quel raccontino:--una volta
che saranno sessant'anni, ed io me ne ricordo; lo speziale qui di
D..., per aver detto a un prete molto, ma molto meno di quello che voi
diceste al signor pievano; fu condannato a starsi ginocchioni in mezzo
alla chiesa, con due birri uno per lato, e con un grosso cero acceso
tra le mani, legate, la domenica dell'ulivo, tutto il tempo della
messa grande. Sì, sì, ridete; ma non rise la sua povera moglie morta
di vergogna; non rise lui, che stato in carcere parecchio tempo, uscì
spiantato bottega e figli: perchè gli era cascata addosso la
maledizione di Dio. E siccome questa maledizione cascherà anche sopra
questa casa..., così io ho deciso di andarmene. Sono vecchia, ma se
non troverò un tozzo di pane lavorando, l'accatterò di porta in porta;
pur di salvar l'anima non mi fa di morire, se occorre, anco in mezzo
la via...!»

Qui Marta imbambolava: e Giuliano che s'era sentito cader l'animo, al
racconto di quella moglie morta miseramente; subito gli si affacciò il
pensiero, che così triste ventura, avrebbe potuto cogliere la sua
povera madre; nè potè por mente all'ultime parole della vecchia.
Accennandole di moversi, le tenne dietro silenzioso fino al sedile di
pietra fuori l'atrio; e là sedette un'altra volta, chè in casa non
aveva cuore d'entrarvi. Marta invece si mise dentro, e si diede
attorno ad ammanire il desinare, l'ultimo che le pareva di cuocere in
quella cucina, governata da lei cinquanta e più anni. Faceva per non
uscire di là col rimorso di avere trasandata una faccenda anche
piccina; che se no avrebbe mandato all'aria piatti e tegami: e di qual
animo fosse si può pensare.

Rimasto solo, egli tornò a meditare; e parlava a bassa voce tra sè,
come coloro che sono travagliati da forte passione. «Sicuro!--diceva--a
conti fatti il meglio è che io parta. E me ne duole, perchè questo
signor pievano crederà d'avermi impaurito. Ma se io rimango? E se gli
si fosse annestato il capriccio di farmi un qualche gioco? Mia madre ne
morrebbe, come la moglie di quello speziale! Eppoi...., non potrebbe
andarne rotto il mio matrimonio? Si fa presto a mettere uno in conto
d'eretico al signor Fedele; ed egli che quasi si picca d'essere una
colonna della Chiesa, la sua figliuola non me la darebbe più, di certo!
Sì, sì.... sto a vedere quel che mia madre porta da C..., do una corsa
fin lassù, dirò a Bianca.... che cosa ci diremo con Bianca? Non ci
siamo parlati mai! Come era bella ieri, mentre andava in chiesa! E mi
ha veduto, e a me parve mi raggiasse in viso il sole! E il giovedì
santo! Mi feci vedere troppo improvviso.... dalla confusione inciampò
nel lembo della veste, e damigella Maria se n'accorse, perchè le
agguantò la mano, e le parlò....: forse le chiese che avesse..., chi sa
che abbia risposto? Io..., io se fossi stato in lei, avrei risposto:
«ho veduto un giovane che gli voglio bene, e che ne vuole a me tanto...
tanto....»

La signora Maddalena spuntò dall'arco in quell'istante camminando a
piedi; e gli ruppe il filo di quei dolci pensieri. Egli balzando
ritto, le corse incontro, e coll'anima tutta negli occhi, le disse:
«dunque?»

«Andiamo in casa:--rispose essa colta a quel modo; e per non farsi
leggere in viso, passò rapidamente innanzi a lui, che cansando Marta
venuta oltre, forse per spiatellare lì ogni cosa alla padrona, seguì
sua madre su per le scale.

Se di queste ve ne fossero state venti da salire sino al tetto, la
signora Maddalena le avrebbe fatte tutte, per pigliare quell'altro
poco di tempo; tanto le pareva d'essere sprovveduta di fermezza e di
parole acconcie al fatto del figliuolo; sebbene v'avesse studiato
sopra tutta la via. Ma più su del secondo piano non si poteva
ascendere; ond'essa fattasi animo, si fermò, si volse a lui che le
stava ai panni coll'agonia di udirla, e senza dargli tempo di tornarle
a dire quell'«ebbene?» spasimato, rispose:

«L'ho veduta....

«E le hanno detto di sì?

«Sì...., ma sai pure..., sono certe cose..., basta! se tu ti condurrai
bene...

«Oh! per me..., mi dicano quel che debbo fare.... Vede? solo a pensare
che le hanno detto di sì, e che quella dell'Alemanno era una favola.

«Che sapevi tu d'un Alemanno...?--sclamò senza volerlo la signora,
facendosi in viso come un panno lavato.»

Giuliano la guardò fisso, e le colse negli occhi la verità.

«Ah! dunque era vero?--proruppe--per carità, mamma, parli..., mi dica
tutto, non tema di nulla, parli..., o monto a cavallo, vado da me a
vedere, e stassera mi perdo...!

«Perdiamoci insieme una volta!--disse la signora, smarrito per un istante
il disegno fatto C... con don Marco, ma subito ripigliandosi:--che cosa
t'ho detto? che Alemanno mi vai maledicendo? Ebbene? E se uno chiede una
zitella in isposa, gli è forse come l'avesse sposata?

«Sì... perchè ella non sarebbe così sbigottita!--E abbandonandosi su
d'una scranna, colla fronte tra le mani, i capegli scomposti;--oh
stolto, proseguiva Giuliano, stolto che io fui a tardare tanto! l'ho
meritato...! l'ho meritato...! dunque hanno fatto gli sponsali! Non
v'è più speranza? E Bianca ha potuto dimenticarmi?

«Giuliano--disse la signora--forse il meglio è che tu sappia la verità
tutta intera. Io avrei voluto non dirtela; ma sii uomo, perchè tu non
faresti che mettere il tuo ed il mio nome sulle labbra ai maligni
della vallata...

«E vengano, parlino i maligni! son qua!--gridò egli levandosi in
piedi: ma essa ingegnandosi di quetarlo colle mani, coll'atto del
viso, colla voce:

«Sì, lo so--proseguiva--noi non li temiamo; ma pazienza se vi fosse da
disperarsi! Allora direi vada all'aria ogni cosa! Invece, se tu avrai
giudizio qualche anima del purgatorio pregherà per noi; e Bianca,
vedrai, non acconsentirà a sposarsi a quello straniero; me l'ha
promesso.

«Proprio l'ha promesso a lei?--disse il giovane di subito sentendo
rinascere la speranza:--o Bianca, tu l'hai promesso, tu mi fai questa
grazia, e già dubitava di te!»--E rimase colle mani giunte, come se la
fanciulla fosse stata davvero dinanzi a lui.

Allora la signora, pigliando consiglio dallo stato del figliuolo; gli
raccontò ogni cosa seguitale a C...., e più animandosi a misura che lo
vedeva rischiararsi:--ecco, diceva, così ti voglio, pieno di speranza
e di fede. L'Alemanno poi e il signor Fedele facciano pure: Bianca è
sicura di sè; Don Marco è dalla parte nostra; i Francesi son lì alle
porte....

«Domani, fossero qui domani!--sclamò Giuliano! afferrando l'idea che
sua madre non aveva esposta intera:--venissero domani, e avessi cento
vite, tutte le porrei a combattere con essi, contro queste orde di
schiavi!

«Combattere?--disse la signora rimescolata e pentita d'aver toccata
quella corda; e facendosi severissima in faccia,--tu, sin che io sarò
viva, questa parola non la proferirai più...! Sii buono, dà retta a
chi ti vuol bene; prima di tutto fa di essere medico, e parti per
Torino...

«Oh...!--rispose Giuliano, spirando da tutta la persona l'aria d'un
guerriero pigliato dallo sconforto;--gli è che noi, allevati come
siamo..., si riesce una razza d'imbelli..., e a partire ci aveva
pensato da me. Partirò sì, ma prima voglio andare a C...

«Tu guasteresti ogni cosa! Finiresti di rovinare Bianca, e mostreresti
di non obbedire una madre che tu vedi e sai quel che farebbe per te...

«Ma che male c'è a vederla ancora una volta, a dire addio a don
Marco...

«No..., tu partirai.

«Ebbene!--disse il giovane chinando il capo--domani all'alba partirò.

«Oh! non ti si scaccia mica!--sclamò la signora, che pur di saperlo
disposto a non tornare a C..., l'avrebbe rattenuto, anzichè fargli
fretta a partire. Ma egli non si lasciò smuovere, e ripetè severo:

«No... no mamma, l'aveva bell'e deciso, parto domani.»

Appunto in quel momento, Marta d'in fondo alla scala, mandava su quel
noioso annunzio del desinare, già troppo ritardato, e messo in tavola
a raffreddarsi. Essi discesero, sedettero a mangiucchiare colla
malavoglia della sera innanzi; ma alla fantesca pareva non finissero
mai, dalla tanta smania di rimanere sola colla signora, per dirle del
gran parlamento fatto dal giovane col pievano; e del suo proposito di
lasciar quella casa. Così i minuti le si facevano ore, ma alfine
Giuliano si levò da mensa ed uscì. Allora essa raccolse quanto fiato
potè, e si fece oltre verso la signora per cominciare; senonchè questa
si tolse da sedere, e parlando prima di lei:

«Animo--le disse--prepariamogli un po' di roba...

«Come?--sclamò la vecchia--che se ne va? che il Signore gli ha toccato
il cuore?

«Che Signore... che cuore... che cosa mi dite?--chiese la signora,
guardando Marta, e maravigliando di quell'esclamazione, e della sorta
d'allegrezza che l'aveva accompagnata.»

La vecchia ondeggiò un istante; e in quell'istante capì, quanto le
sarebbe poi riuscito amaro lasciare quella casa che si poteva dir sua;
quella padrona che l'aveva tenuta più da amica che da serva; per
buttarsi su d'una via, in cerca di pane e di ricovero. Se Giuliano
partiva, che vi poteva essere di meglio per lei? Avrebbe potuto
rimanere tranquilla al proprio posto, chè il pericolo d'offendere Dio
servendo un peccatore era bell'e cessato. E quanto a sè abbandonò del
tutto il suo disegno; ma quanto al pievano, quel che gli era seguito
col signorino, non le riuscì tenerlo sullo stomaco, manco un minuto.
Vinta dalla propria natura, e dallo sguardo della padrona, cominciò
dall'ambasciata avuta in castello al mattino; e le narrò ogni cosa,
sino al modo in cui don Apollinare se n'era andato imbestialito
mezz'ora prima. Le eresie buttate dal giovane, e la minaccia del prete
di fargliela costar saporita, diedero alla signora il tuffo; e le
venne addosso una smania, che le pareva di non poter durare sino
all'alba dell'indomani. E se non fosse stata la tema di vederlo
intestarsi a rimanere, avrebbe pregato Giuliano a montare a cavallo, e
a partire subito segnato e benedetto. Ma si quetò un poco pensando,
che alla fine delle fini, per acchiapparlo bisognavano birri, e che a
D...., come Dio voleva, di quella roba non ve n'era. Chi sa? forse il
pievano aveva minacciato così per minacciare; o alla peggio non
avrebbe spacciato uno di carriera per avere da C.... o da altri luoghi
man forte. Di là all'indomani non c'era molto, e in ogni caso Giuliano
si sentiva in gambe per scampare di forza. Non potendo divorare le
ore, affrettò quella faccenda del fardello; e pur confusa com'era,
aiutata da Marta, adoperava ogni diligenza perchè nulla avesse a
mancare. Brache di nanchino per la state che s'avanzava; camicie di
tela casereccia con belle gale agli sparati; e sottovesti, e giubbe, e
calzette di seta, riponevano col garbo concesso dal turbamento,
cercata da prima ogni cosa se bisognasse qualche rammendatura.

Così facendo parlavano sottovoce perchè Giuliano non le avesse a
sentire; non sapendo che egli era discosto da casa un trar di
schioppo, in parte donde poteva scoprire le lontane ruine del castello
di C..., alcune cime a lui note, certi sentieri biancheggianti nelle
montagne, e fino una rupe su d'una vetta selvaggia e foresta, dove don
Marco soleva accompagnare lui e gli altri suoi scolari a diporto.
Messosi a giacere sull'erba, coll'occhio or su l'una or sull'altra di
quelle viste, immaginava che Bianca stesse sull'altana di casa sua a
pensare a lui; pianse d'affetto; e provò non sapeva che pietà per quel
soldato, che nella sua fantasia gli pareva di vedere umiliato dai
rifiuti della fanciulla. Stette così adagiato, finchè s'avvide del
sole che andava sotto, e allora tornò verso casa. Il sentiero correva
fra due siepi di biancospino e di rose silvestri che facevano allora
le boccioline; ed egli veniva giù, ascoltando una voce di suono
dolcissimo, la quale cantava alle rondinelle una soave canzone.
L'affetto del canto, temperava la rozzezza delle parole; e le rondini,
tornate di quei giorni, radendo a volo i prati, levandosi in alto
alcune braccia, stando a brillare un istante, e ripiombando fulminee,
parevano far segni di rispondenza amorosa alla cantatrice.

Giuliano diede un'occhiata per di sopra al siepe, e vide che la
cantatrice era Tecla, una figlia sedicenne di Rocco, il suo colono.
Essa stava seduta all'un dei capi d'una lunga tela greggia, distesa là
sull'erba, perchè tra per l'acqua che vi si buttava sopra, e pel sole
divenisse bianca. E se ne raccoglieva sulle ginocchia, tirando e
addoppiando di quella, quanto erano lunghe le sue braccia nude fino al
gomito; e la tela s'accorciava man mano, strisciando sull'erba; e per
il fruscìo la giovinetta non avendo inteso la pedata di Giuliano,
proseguiva a cantare. A un tratto si accorse di lui che s'era fermato
lì accosto, e tacque arrossendo. Finito di raccogliere la tela, si
levò in piedi rimescolata, e tenendosela in fascio contro il seno,
stette vergognosa di vedersi guardata come non s'era mai vista da
niuno.

«Perchè non canti più?--le chiese il giovane: ed essa cogli occhi
bassi e col cuore agitato, fece atto di partirsi senza dir nulla.

«A buona Tecla, tu sei felice!--proseguì Giuliano--oh! se Bianca fosse
nata qui, lontana da quella gente... e povera come te. Se tu fossi
Bianca! Addio Tecla, va... canta, canta pure, che sei felice.»

La fanciulla si tolse di là dimessa e sbigottita. Egli stette a
guardarla, poi sclamò: «in verità vorrei essere nato contadino, perchè
sento che a falciar erba e a vangare campi sarei felice come sei tu!»
Qui subito pensando al colloquio avuto con don Apollinare, soggiunse
sdegnoso, e parlando a sè stesso: «e tu!--tu osi dire che questa
povera gente è felice? E sai tu l'anima di questa fanciulla? Tu che ti
trattieni a guardarla; e le dai del tu; e solo che ti venisse in capo,
potresti farla piangere, mandandola ramminga coi suoi, fuori del tuo
podere?»

Così pensando fu in casa. Là Rocco, il padre di Tecla stava pigliando
gli ordini della signora, che gli raccomandava di tenersi lesto
all'alba, col suo bardotto e colla giumenta del figliuolo. Il quale
aggiunto qualcosa di suo, e stato in sala un altro poco; prese licenza
e andò a gettarsi sul letto, dove quanto fu lunga la notte non gli
venne fatto dormire mezz'ora di seguito, travagliato com'era dai
pensieri che ogni poco gli rompevano il sonno.

In sala rimasero la signora e Marta, le quali ad ogni più leggero
rumore tremavano, e credevano fossero i birri. Vegliavano per essere
pronte a far fuggire il giovane prima dell'ora fissata, dove
occorresse; ma quando l'orologio di castello ebbe suonate le sei
d'Italia, e per tutto fu quiete altissima, la fantesca disse:

«Signora, se ne vada pure a riposare, che oramai se qualcosa aveva ad
accadere non saremmo più qui...»

E tanto fece e disse, che la signora, sebbene non volesse per nulla,
dovè andarsi a riposare. Ma prima salì in camera a Giuliano, che
appunto dormiva uno di quei corti sonni che ho detto. S'avvicinò
cauta, facendo schermo colla mano al lume, che dandogli negli occhi
non lo destasse, e lo guardò con amore lungamente. Povera donna! A
quel che già sapeva da lui, e a quel che le era stato detto da Marta,
circa al fatto del pievano; pensò che della fede in cui l'aveva
allevato, egli nè serbasse punta o poca. Provò al cuore una stretta
dolorosa, e stesa la destra lo segnò leggermente dalla fronte al
petto, come usava fargli da bambino, appena adagiatolo nella culla
prima di coprirlo. Così facendo non osava neanche fiatare dalla tema
che destandosi se ne avesse a male; poi in punta di piedi uscì di
quella camera, e discese nella sua, dove stette un'altra mezz'ora a
pregare per sè e per lui.

Marta vegliava a terreno, menando i ferruzzi a fare la calza, e stava
tutta orecchi. Ma per tutta la notte non udì nulla mai, salvo che la
gatta, la quale aggomitolata sul seggiolone della signora, faceva le
sue perpetue fusa. La vecchia bestia si destava di quando in quando, e
porgeva orecchio anch'essa, non se udisse birri a venire, ma allo
sgrigliolio dei ferruzzi di Marta, scambiandolo forse pel rosicchiare
d'un sorcio. Vedendo la fantesca, chinava la testa, e subito si
rimetteva a ronfare.

Come si fu messo un po' d'albore, e s'udì Rocco parlare colle due
bestie arnesando; Marta aperse la finestra della cucina e s'affacciò.
O l'aria del mattino le spianasse le rughe, o la lunga veglia avesse
potuto nulla sopra di lei, essa era come si fosse levata allora allora
da letto. Chiamò la signora Maddalena, e poco dopo Giuliano discendeva
anch'egli vestito e stivalato, pronto a partire. Egli si trattenne con
sua madre, a parlar con grande passione; disse, ascoltò, promise tutto
quel ch'essa volle; bevve una tazza di latte, mangiò un pane; poi
baciata la mano a lei, e strettala a Marta, uscì sul piazzale e fu in
sella d'un balzo. Rocco montò un po' meno agile sul bardotto, avendo
in groppa il fardello del giovane; e questi innanzi, ed egli dopo,
pigliarono la stradicciuola, che menava a varcare i monti, pei quali
le due valli della Bormida sono divise.

Le donne stettero a guardargli dietro, e v'era poco discosto Tecla,
venuta quella mattina più sollecita dell'altre volte, a recar latte
per la famiglia. Tenutasi in disparte, finchè essi furono partiti,
aveva gli occhi lagrimosi, e pareva accorata. Marta fattalesi
all'orecchio, le bisbigliò: «che piangi, sciocca? Va altrove, che la
padrona ha bisogno di tutt'altro che di vedere le tue lagrime. Va, va,
che tuo padre tornerà, e di qui a stassera non c'è molto».

Tecla se n'andò, lasciando la vecchia punto dubbiosa di avere
indovinata la cagione del suo pianto; e questa rientrò in casa colla
signora. La quale sfatta per quel che aveva patito dal giorno innanzi,
sedette come persona inferma; e voltasi alla fantesca le disse:

«Marta; e tutta la paura che ebbimo del pievano? Fummo pur pronti a
pensar male....

«Che vuole!--rispose Marta--ieri mattina egli se n'è andato così
furioso; il signorino glie ne aveva dette di così grosse! Ho fatto i
giudizi temerari.... povera me, chi si salverà farà la gran bella
giornata....!»

In verità, sebbene i fatti dessero ragione ai pentimenti di Marta, il
pievano s'era partito il dì innanzi da quella casa, proprio col
proposito di pigliar vendetta a suo modo del giovane giacobino.
Risalendo in castello v'aveva meditato sopra, e non vedeva l'ora
d'averlo tra le mani senonchè, rientrando nel presbiterio, s'era
abbattuto in donna Placidia che gli porgeva una lettera, suggellata
grossamente con cera di Spagna, e il Minore Osservante che gli si
faceva incontro, dicendo in tuon di celia:

«Non ha gli occhi cavati, non il naso tagliato, non gli orecchi mozzi,
dunque gli infedeli si sono convertiti....?»

«Ah! padre,--sclamò il pievano, cui il sangue rimescolato dalla
procella di poco prima, flottava tuttavia assai forte,--ella parla
d'infedeli per celia, ma qui nella mia pieve ho di peggio! Qui vi sono
i rinnegati....

«Rinnegati!--urlò il frate battendo insieme le palme:--Che mi dice mai
rinnegati? O le mie prediche? Ne parlerò domenica dando la benedizione
papale.

«Eh! il rinnegato non ha visto nè lei nè la chiesa! Altro che
prediche...! Adesso vado a C.... mi presento al generale Alemanno, gli
dico le cose; e quel Giuliano laggiù, cui non fanno paura nè Dio nè
Santi, quel Giuliano laggiù che vuol fare scuola di religione e di
morale a me..., lo colgo e l'aggiusto io! Placidia, dite a Mattia che
ponga la bardella sulla giumenta...»

Parlando alla sorella, si rammentò della lettera che essa gli aveva
data; e mentre il Minore Osservante rispondeva alla sfuriata di lui,
con un'altra sfuriata, come dicessero i salmi un verso per ciascuno;
egli alzò il suggello, aperse il foglio, vi piantò gli occhi sopra, e
lesse colla mente:

«Molto reverendissimo signor pievano. Vengo con questo piccolo foglio
a farle sapere, che questa volta i regicidi, scomunicati, scellerati
Francesi, hanno il diavolo dalla loro; perchè i nostri vengono
perdendo, dalla marina verso in qua ogni giorno. Sui monti di Nizza,
fu ieri grosso parapiglia, e per quel che so se il Dio di Sabaot non
ci aiuta, finirà male. Le dico che non dormo nè dì nè notte, e se mai
avessi a fuggire, faccio conto di venire da lei, per scampare da quei
briganti, e con questo mi sottoscrivo.

«Sì sì! sottoscrivi e vieni!--sclamò don Apollinare diventato
tutt'altr'uomo nella voce, nel gesto, nel viso;--vieni e mi troverai
qui colle braccia aperte!....

«Che è? che è?--dissero ad un tempo il frate e donna Placidia, mossi
dal turbamento di lui, che aveva parlato ansando come chi patisse
d'asma.

«C'è che i Francesi ci coglieranno colle calze bracaloni! Legga padre,
legga quel che scrive il Rettore di Montefreddo!»

Il frate prese la lettera e lesse ad alta voce; donna Placidia si
cacciò la mano nella saccoccia del grembiale, si recò tra le dita i
pippori del suo rosario, e per poco non recitò la preghiera che soleva
allo scoppiare dei temporali: «Santa Barbara, San Simone, liberatemi
dal lampo e dal tuono.» Il pievano poi, mentre l'altro leggeva,
cercato un suo vecchio cannocchiale, pose la mira sulle gole dei monti
verso la marina, là dove sapeva di scoprire Montefreddo; terricciuola
sulle creste dell'Appennino dalla quale la lettera veniva. Non durò
fatica a vederne il campanile biancheggiante nel verde degli abeti,
come vela solitaria in golfo lontano; e solo si tolse dall'occhio
quell'arnese, quando il frate, letta la lettera una e due volte, gli
disse:

«Signor pievano, mi pare che sarebbe da uomo prudente aver pazienza,
circa a quel giovinotto di cui parlavamo or ora...

«Ben detto! sclamò il pievano--non è tempo da cercarsi nemici. Ma!
Eravamo così tranquilli! Si faceva il dover nostro e stavamo come il
pesce in mare! Bisognava che i Francesi diventassero pazzi, per darci
queste noie...!»

Qui entrarono in ragionamenti che a noi non fanno gioco, e finirono
mettendo in disparte ogni pensiero di conciar Giuliano alla loro
maniera. L'indomani poi quando lo seppero partito, l'uno e l'altro
rallegrandosi assai di quella partenza, la chiamarono fuga, e se ne
lodarono molto.

In questa guisa Giuliano potè andarsene libero, ma la signora
Maddalena e Marta, ignorando le intenzioni avute dal pievano, rimasero
con una sorta di rimorso pei giudizi temerari fatti sopra di lui.




CAPITOLO V.


Vada Giuliano in buona ventura senza che mi pigli vaghezza di
cavalcargli in groppa. Allora non mi potrei tenere dal descrivere i
monti e le valli per cui aveva a passare, e sarebbe troppa tela. Dirò
soltanto come quel giorno a notte chiusa, Rocco rivenisse menando a
mano la giumenta del giovane, e smontasse alla porta della signora; la
quale volle dargli cena con sè, e gli fece raccontare dell'andata, e
dei discorsi, che, egli disse, erano stati corti e mesti. Tra via non
avevano avuto altra molestia che di sentirsi, ad ogni tratto, chiedere
novelle dei Francesi; e il colono s'era scompagnato dal padrone in sul
mezzodì, lasciandolo in Alba all'osteria chiamata un tempo dello Scudo
di Francia; donde faceva conto di riporsi in via l'indimani al proprio
destino.

Così i nuvoloni addensatisi sul tetto della signora Maddalena, erano
dissipati dal vento che soffiava dall'Apennino, portando innanzi al
suo furore, altri nuvoloni gravidi di maggior tempesta. E già si
sentiva quanto sarebbe stata furiosa nello scoppiare; soltanto a
vedere come a C.... corressero giorni di gran travaglio, per la
soldatesca, che vi aveva le stanze da parecchi mesi. Il generale
Alemanno pareva sulle brage, attendendo di Lombardia aiuti che non
capitavano mai; ed in cambio gli giungevano ogni tantino cavalieri in
gran diligenza, i quali venivano dalle montagne verso la marina, per
quello che si poteva argomentare, portatori di novelle non liete. A
poco a poco, il popolo indovinava le verità tenute nascoste; e già si
sapeva che i Francesi, in sul cominciar dell'aprile, ripigliate le
offese, si ricattavano assai bene dei danni patiti l'anno innanzi, per
forza dei Piemontesi, i quali gli avevano fugati a Raus, e afflitti di
molte morti. Adesso tornavano grossi e minacciosi, e sebbene per
quell'anno non fossero ancora venuti a battaglia di campo, tuttavia
l'aspetto delle cose era da far presagire che sarebbero usciti
vincitori.

In casa al signor Fedele, qualcuno aveva aperto il cuore alle voci di
prossimi eventi, e Bianca sentiva una dolce promessa, da quell'aria
procellosa che ho detto. Dopo che s'era confidata colla zia dell'amor
suo per Giuliano, dicendo che tra l'Alemanno e la morte avrebbe scelta
quest'ultima; la povera cieca, consigliatasi con Don Marco, la
confortava a persistere nel rifiuto, ma con dolcezza. Il buon prete,
ogni volta che lo poteva, dava ad esse novelle di quelle parti, donde
rivenivano soldati piemontesi o alemanni feriti, narrando cose
dell'altro mondo; e sgomentando i compagni che vi s'avviavano
melanconici, come persone che sapessero d'andare a certa morte. Egli e
le donne, ne provavano pietà; ma facevano voti per i loro nemici; il
prete sperando da questi miglior vita pel popolo; esse pensando che a
vincere il signor Fedele, nulla avrebbe giovato se non la calata di
quei Francesi, i quali per quanto male si udisse di loro, alla fine
delle fini dovevano essere uomini anch'essi. Era vero che si potevano
credere cose terribili, a vedere le centinaia di famiglie liguri, che
capitavano ogni giorno, coi loro preti, in lunghissime processioni:
gli uomini carichi di masserizie; le donne coi bambini in sulle
spalle; i vecchi menati dai nipoti, scalzi, piangolosi, affamati; ma
che valeva? Interrogati come avessero abbandonati i loro villaggi, non
sapevano che si dire; e coll'aspetto di chi va, nè sa perchè mova, nè
dove riesca, narravano di danni patiti di casi atroci avvenuti nei
borghi vicini. A conti fatti venivano cacciati a quel modo dalla
paura. Maria poneva mente a una cosa, ed era che non s'udiva
raccontare da quella gente, che i Francesi avessero fatto onta alle
donne. E da questo traeva conforto a sperare, che il diavolo fosse men
brutto di quello si credeva; perchè se i Francesi rispettavano le
donne, di certo erano in tutto migliori degli Alemanni; questi avendo
dato a parlare di violenze fatte qua e là a donne del contado, che per
quello se ne diceva non erano state poche. E non si tenevano dal
menarne vanto i loro uffiziali, chè anzi vi facevano sopra le grosse
risate; e la cieca che sapeva queste cose da don Marco, pensava come
la pensarono indi a poco i popoli delle Langhe, i quali lasciarono per
ricordo un proverbio che diceva di quei Francesi d'allora «meglio essi
nemici, che gli Alemanni amici.»

Ma sino a quel punto, i più non vedevano altro Dio che costoro; e come
dèi gli adorava Marocco, vecchio volpone, che conduceva in C.... un
caffeuccio, proprio in sulla piazzetta del borgo. Egli se gli era
tenuti sempre bene edificati, e si dava attorno a servirli colla
moglie che aveva bella: nè faceva segno di recarsene, dove questa
sorridesse ad alcuno di essi, o rispondesse piacevolmente ai loro
motti arditi. Pur di brancicar monete, sarebbe stato ad occhi chiusi
tutta la vita; e già dacchè gli Alemanni erano nel borgo, aveva messo
in serbo di belle doppie. La sua era una botteguccia a modo, e antica
al mestiere che ei vi faceva dentro; come si vedeva all'insegna sopra
la porta, dalla quale si sarebbe potuto cavare la più bella vignetta,
che abbia mai ornato frontispizio di poema eroicomico. Era una tavola,
dipinta di molte figure, che volevano essere la meglio parte soldati,
assorti in enormi stivaloni, e stranamente ingoffitti da immani
cappellacci. Effigiati com'erano a sedere, guai se quei soldati si
fossero levati in piedi; e peggio se in atto di scaraventare i
bicchieri e le bottiglie che avevano innanzi; i cocci ne sarebbero
andati sin chi sa dove, tanto erano tremendi in vista, pei mostacchi
non più veduti, e per occhi che mostravano il bianco, come di cani
ringhiosi. A ciascuna di quelle figuracce, Marocco sapeva dare un
nome; e a udirlo, erano ritratti d'antichi Uffiziali del Re di
Sardegna, stati a presidio nel borgo, per far la guardia alla
repubblica di Genova, che non entrasse in corpo al loro Sovrano.
Questo era un gran giocator di pallone; quest'altro amoreggiava la
madre d'una signora del borgo, che viveva ancora; quello faceva tremar
la gente solo che s'affacciasse alla finestra... Marocco conosceva di
tutti vita e miracoli, sapeva dov'erano nati, dove morti, e fino dove
sepolti. «La mia bottega, diceva egli mescendo agli Alemanni, fu
sempre il convegno dei valorosi! Il conte tale, il cavalier tale,
tutti nobiloni dei primi casati del regno, venivano qui, ed erano
soldati allegri e spenditori; ma come loro signori, in coscienza non
ve n'ho avuti mai!» E pigliava un gusto matto, a farsene far fede dai
signorelli del borgo, i quali venivano a giuocare un tantino in sul
desinare; cari una volta ora gabbati da Marocco, che si faceva udire a
chiamargli scaldapanche. Buscava da essi qualche scapellotto, ma pur
di far ridere i suoi signori Alemanni, non vi badava.

Un giorno, (che non monta sapere qual fosse, o decimo o ventesimo dalla
partenza di Giuliano da D....); nella bottega di Marocco, si faceva un
gran dire della guerra ricominciata. Era voce che il generale Alemanno
avesse ricevuto ordine di recarsi con tutta l'oste verso Nizza; perchè
i Francesi venivano, cacciando di là i Piemontesi, vinti a Dolceaqua,
al colle delle Forche, a Raus, e si parlava della rocca di Saorgio
investita. I discorsi s'incrociavano come spade, e tutti parevano là
dentro sulle brage, pel gran desiderio di menar le mani. Un solo non si
mescolava in quei fervori; ed era quell'uffiziale, che si sentiva
morire di Bianca, e non vedeva l'ora di poterla sposare. Stava raccolto
in un angolo, gomitoni su d'un deschetto, che sebbene fosse sodo,
pareva lì per isfasciarsi sotto quel peso. Di tanto in tanto beveva un
sorso d'acquavite ad un grosso bicchiere che aveva innanzi; e chi
avesse potuto vedere i sussulti del suo cuore, di certo diceva che
bevesse per darsi coraggio, a udire i compagni parlare in quei modi di
guerra e di morte. E sì che egli era prode e cimentoso; nè si conosceva
chi fosse più esperto di lui, a condurre partite notturne, a farla da
scorgitore, a caricare il nemico menandogli addosso una ruina di
cavalli: ma tant'è non poteva farsi vivo, e stava mesto in quella
guisa; quando capitò alla bottega un giovano trombetto, il quale, data
un'occhiata intorno, gli fu dinanzi, e fatto quella sorta di
scambietto, che gli ussari costumano nel salutare, recossi la mano alla
visiera e gli disse: «signor uffiziale, il generale la vuole.»

L'uffiziale accennò d'aver capito, il trombetto ripartì ed egli gli
tenne dietro, lontano pochi passi.

Il generale era un vecchio prode della guerra dei sette anni, ed abitava
di faccia alla chiesa, una delle migliori case del borgo. I signori che
l'albergavano, s'erano ridotti stretti da averne disagio; ma pur di
piacere a quell'uomo rigido e sornione, pur d'averne un sorriso benevolo,
si sarebbero acconciati a star sui solai: e nelle molte stanze occupate
da lui, avevano accozzati quanti arredi e quadri tenevano in casa, che
pareva una dogana. Le volte che egli gli degnava, si sbracciavano a
mostrarsi più alemanni di lui: e rammentavano d'aver visti i proprii
padri e tutto il borgo, piangere nell'anno 1737, ch'essi chiamavano
sottovoce funesto, perchè le novanta terre delle Langhe erano state
cedute in quello, dall'Imperatore al Re di Sardegna. Narravano, con
sazievole loquacità, a tutta la canatteria di soldati scribi, ond'era
ingombro il quartiere, come avessero avuto uno zio, morto a Belgrado,
capitano ai servigi dell'Impero; e ne ponevano in mostra il ritratto,
meravigliando che quei soldati non s'inginocchiassero a salutarlo.

Quel giorno, in quella casa, tutti s'erano accorti del tempo ch'era
cattivo: e quando videro l'uffiziale entrar dal generale, lo
salutarono, gli fecero dietro gli occhi grossi; e osarono
compiangerlo, perchè certo andava a farsi scaricare addosso qualche
sfuriata.

Com'egli fu dentro; e vide il generale imbroncito, fece come quei
soldati, che, dovendo starsi colle armi al piede, bersaglio d'un
nemico cui non possono assalire, chinano il capo rassegnati a qual
sorta di grandine stia per cadere. Recò la destra alla visiera, e
rimase poco oltre la soglia, stecchito, gli occhi negli occhi del
generale: il petto sporto, e l'altra mano giù dall'anca, che pareva di
legno posticcia.

«Cinque passi in qua!--disse asciutto asciutto il generale.., e
l'altro avendo fatti i cinque passi contati, senza scomporsi:--Signor
uffiziale--continuò--ho qui per lei un plico, che mi si raccomanda
molto da Vienna; vi deve essere dentro la licenza datale, di sposare
una zitella di questa bicocca, e su questo non ho a ridire. Ma ella mi
ha taciuta la dimanda fatta di qua a sua Maestà; (qui salutò come se
l'Imperatore fosse stato là a udire) ella non s'è governata da quel
soldato che crede d'essere ed è. Sia grata, non a me, ma al rispetto
che ho per la sua promessa sposa, a me ignota, se mi accontento di
consigliarla a non dimenticare fra le gioie del matrimonio, che noi
siamo qui per menar colpi di spada in servizio dell'imperatore.»

E salutando una seconda volta il nome dell'Imperatore, porse la carta
all'uffiziale, che togliendola colla sinistra, e udendosi dire:
«vada», fece il suo scambietto, quasi barcollando, poi diè di volta
sui tacchi tutto d'un pezzo, lasciandone il segno profondo e polveroso
sull'ammattonato.

Sebbene le parole del generale, gli fossero parute troppo acerbe, egli
discese le scale speditamente, come uomo lieto; corse difilato al suo
quartiere, e dalla voglia spasimata di leggere quelle carte, ogni
passo gli si faceva un miglio. Appena potè alzare i sigilli e aprire i
fogli, brillò tutto nel volto e nella persona. Era proprio la licenza,
che i suoi, gente d'alto stato, gli avevano ottenuta dall'Imperatore.
Essi n'erano in collera; ma come lo sapevano uomo di forti propositi,
s'erano acconciati a quel fatto maldicendo la maliarda italiana, e
pregando per lettera il generale a vedere almeno che la sposa fosse
zitella dabbene.

Come ebbe letto, l'uffiziale si fregò le mani, si rassettò addosso i
panni, diè una scossa del capo; e via di buona gamba a casa il signor
Fedele.

Costui pareva fosse all'uscio ad aspettarlo; perchè egli non aveva per
anco stesa la mano al cordoncino del campanello, e già l'imposta
s'apriva, lasciando vedere la persona dell'arzillo leguleio; il quale
presolo per mano, lo trasse dentro con paterna dimestichezza.

Messisi a sedere, là proprio dove, giorni innanzi, la signora
Maddalena e il signor Fedele avevano avuto il colloquio che noi
sappiamo; l'uffiziale fu primo a parlare della faccenda, e dopo lungo
discorso, porse le carte allo suocero, che gli pareva un Dio....
Questi presele come roba che aveva in pratica, si pose a guardarle
ammirando l'aquile, le corone, i suggelli; tutte cose significanti la
razza gentilesca e il gran luogo ove il barone era nato. Non vi lesse
dentro, perchè non ci si sarebbe raccappezzato; ma assicurando
l'uffiziale che non era mestieri di tanto, ripose i fogli, gli strinse
le mani, vezzeggiandogliele e guardandolo in guisa, che il poveretto,
a vederlo come si lasciava fare, aveva l'aspetto d'un leone in balia
d'una volpe spelacchiata.

«Ed ora se le par tempo--disse alfine il barone dolcemente--vorrei
vedere Bianca...»

Il signor Fedele balzò ritto, come per rispondere al desiderio più
ratto del desiderio stesso; e corse per la fanciulla nell'altre
stanze, lasciando lui colla mano sul cuore pieno di un senso, che gli
rammentava gli strani ribollimenti di sangue provati sul cominciare
delle battaglie. Il pover'uomo aveva più di trent'anni, e amava come
un giovinotto di qua dai venti.

Il padre di Bianca aveva mandato innanzi il fatto sino a quel punto,
che non bisognava altro che far gli sponsali e andare in chiesa a dir
sì; nè aveva chiesto mai alla fanciulla di qual animo stesse verso
l'Alemanno, e se fosse per acconciarsi a sposarlo. Perchè non ne
dubitava nemmen per ombra, e per lui la potestà paterna non aveva
confini o rispetti. La trovò soletta a cucire nella sua camera,
dov'essa soleva stare raccolta, come le aveva consigliato don Marco.

«Animo! Bianca,--le disse--poni indosso il tuo più bell'abito, e vieni
in sala a vedere lo sposo.

«Che sposo?--sclamò la fanciulla colta all'improvviso, alzando i dolci
occhi nel padre.

«Eh via! non farmi la bambina! O che credevi che il barone venisse qua
innamorato di me?

«Se avessi viva mia madre,--rispose Bianca mestamente--mi
consiglierebbe e risponderebbe per me: ora, babbo, la prego di dire a
quel gentiluomo ch'io lo ringrazio, e che se mi lascerà stare pregherò
sempre per lui.

Come! come! come!--tempestò il signor Fedele, incrociando le braccia
sul petto, e rimanendo a fissarla un tantino;--moviti e non farmi
rage, che qui non è caso di ringraziamenti nè di preghiere! Ho fatto
tutti i passi per amor tuo, e lo sposo è là che muore dalla voglia di
parlarti.

«Ebbene, gli chiegga perdono in mio nome, ma io di là non vengo.»

A questa risposta calma e risoluta, il Signor Fedele dirugginì i
denti, come un beccaio arrota i suoi coltellacci, ma si rattenne. E
posta la mano sul capo della fanciulla, che s'era di nuovo curvata al
lavoro, diceva colla voce più dolce che gli riuscisse fare:

«Tu.... tu.... vorresti negare a tuo padre la gioia di vederti ricca;
ossequiata da tutti questi gentiluomini; invidiata da tutte le signore
del borgo; sposa d'un uomo, il quale, nonchè barone, deve essere un
principe? Tu vuoi vederci morire lui e me?

«Fosse il figlio del Re, piuttosto che sposarlo, morirei anch'io!»

Non aveva finito di dire, che il Signor Fedele era lì per darle le
mani nel viso: ma pensando a quel che ne poteva seguire, si trasse
indietro un passo, e guardandola con occhio, che se fosse stato al
buio, avrebbe mandato lampi, tese la mano verso di lei, quella mano
che le aveva posta sul capo amorevole; e uscì di quella stanza. Fuori,
stette un istante a ricomporre il volto, poi, colla maggior calma che
potè, cominciò a parlare come interrogasse e rispondesse a qualcuno.
«Torneranno? Stassera? Oh la testa vuota! Vecchi vecchi...!» E
rivenuto dov'era il barone:

«Vecchi! Vecchi!--continuava--badi, badi a non invecchiare, perchè si
perde il meglio, la testa e la memoria.... Vede che mi accade? Stamane
ho mandato le mie figliuole a ricrearsi un tantino alla nostra villa
vicina a quel convento, là, che si vede stando sul ponte...., ebbene,
vegga memoria! Andava a cercar di Bianca par la casa. Rida, rida, ma
perdoni; trovo qualcuno, e mando a dire che tornino subito...»

Così dicendo faceva segno di voler andare; ma il barone rattenendolo:

«No no... per quanto mi spiaccia non poterla vedere, non voglio torre
alle sue figliuole un'ora di spasso.... A domani, a domani....»

Il loro colloquio durò un'altra mezz'ora; durante la quale, il signor
Fedele, pur avendo il capo ai rifiuti di Bianca, seppe così bene non
farsi scorgere, che parve tutto occupato del suo interlocutore. Questi
poi, prese commiato; rimanendo tra loro che l'indomani si sarebbero
riveduti per condurre a termine ogni cosa; ed essendo già l'ora
dell'abbassare del giorno, se n'andò tutto solo a passeggiare sotto
gli olmi, e a guardare la via, se vedesse Bianca tornare.

Aveva bell'aspettare; e in verità, sarebbe stato meglio per la
fanciulla essere su quella via, perchè in casa aveva a passare un
triste momento. Suo padre, vistosi solo, fece come colui che giunge a
strapparsi il bavaglio che l'affogava. Uscì in un largo respiro, e a
passi lenti, accigliato, con una mano tormentandosi la coda tirata sul
petto, coll'altra agitando la catenella d'uno dei due orologi che
aveva nelle saccoccie della sottoveste, fu dinanzi a Bianca; la quale
non era più sola, la zia e Margherita essendole venute in camera poco
prima. Le fu dinanzi:

«E se--disse, quasi continuando il discorso--se voi non lo sposerete,
neanche se fosse il figlio del Re; in coscienza il barone sposerà voi,
dovessi strapparvi la lingua, per farvi dir sì!»--E volto alle due con
grand'ira: «E voi che fate? Levatevi di tra piedi!

«O babbo, o cognato!--sclamarono la cieca e Margherita: e questa gli
abbracciava le ginocchia, quella tendeva le mani come per cercare le
sue. Ma egli respingendole e gridando che non aveva nè cognata nè
figlie, le mise fuori della camera, chiuse le finestre, andando e
tornando come forsennato; e fu di nuovo sopra Bianca, pallida,
silenziosa, seduta, colle mani abbandonate sulle ginocchia, come
un'antica vergine cristiana, che ne' sotteranei del circo stesse
aspettando d'essere data alle fiere.

«Orsù--ripigliò--a qual giuoco si fa tra noi? Parliamoci corto: lo
sposerete?»

E Bianca umile e mansueta: «non posso.

«Non posso!--urlò il padre--non voglio, dovete dire! Ed è una trista
parola, per risponderla ad un padre della mia sorta! Chi mi vi ha
fuorviata a questo modo? Ho inteso dire che le fanciulle osano
talvolta innamorarsi!... impallidite? Ditemi la parola, che vi veggo
lì sulle labbra; ditela che me la possa appiccicare bene qui,
all'orecchio...! Dunque voi volete bene a qualcuno? Forse io so a
chi...., ma non voglio saperne il nome da voi...., no...., sarei viso
da farlo ammazzare...!»

Bianca diede un grido, il padre incalzava ghignando.

«Se domani, udiste dire da qualche feminetta di quelle che passano per
la via: «hanno ammazzato il tale.... Oh! no no..., non temete, per ora
non lo farei....; ho bisogno di tranquillità.... E la troveremo la
tranquillità; stassera partiremo...., andiamo alla villa; voi non ve
ne accorgete, ma siete ammalata....; se foste sana dovreste domani
essere qui a parlare col barone, e sareste tale da guastarmi ogni
cosa....; alcuni giorni di malattia, e do' sesto al vostro cervello, e
all'altre faccende; e fra tre o quattro settimane si faranno le nozze.
Vedete? il sole va sotto...., fra un'ora s'andrà....»

Spinse l'uscio, e vedendo damigella Maria e Margherita, che non
s'erano potuto staccare di là dalla tema che egli percotesse Bianca;
«anche voi,--proseguì--anche voi cognata, e tu pure pupattola mia,
tutti alla villa, a godersi la primavera! Oh le buone donne, che io ho
in casa...! Vedete, Bianca? Pregano Dio che vi tocchi il cuore, e vi
renda il senno. Pregate, preghiamo....» E se n'andò.

La cieca e Margherita, tremavano strette l'una all'altra come due
pellegrine, colte tra via da temporale furioso; nè osarono dirgli,
parola. Ma come furono sole con Bianca, la abbracciarono ambedue con
gran passione; poi Maria con voce tremebonda come chiedesse la carità
le disse: «ed ora, che faremo?

«Anderemo alla villa» rispose Bianca.

«Ma tu.... tu.... come ti salverai? come faremo noi ad aiutarti? oh
colui, quell'Alemanno chi l'ha mandato per nostra sciagura?

«Oh!--sclamò la fanciulla, con volto impresso di mestizia e di
fede:--la Provvidenza--ha salvato fanciulle smarrite in mezzo alle
selve, e in mano ai masnadieri, e abbandonerebbe me....?»

In pochi momenti, il dolore le aveva fatto pigliare tanto vantaggio
sugli animi di quelle due dolci creature, che nel dire parve ad esse
una santa. E l'ora passò sì presto, che non avevano raccolto il po' di
fardello che loro sarebbe bisognato in villa, e il signor Fedele venne
a pigliarle. Chiuse per bene le porte di casa, uscirono fuori del
borgo, per quel vicolo dov'era passata la signora Maddalena, nel suo
ritorno doloroso. Coperte di lunghe guarnacche nere, le due fanciulle
reggevano il passo della zia, tenendosi strette a lei, come usavano
menandola a messa; e il padre dietro, per un sentiero fuori mano, le
fece scendere nel greto del torrente. La povera cieca, inciampava ne'
ciottoli o si pungeva tra le spine, ma non fiatava; dolendosi solo di
non aver potuto parlare a don Marco prima di partire, chè di certo da
lui avrebbe avuto qualche sano consiglio. A un certo segno, il
sentiero entrava sott'uno degli archi del ponte, che rimaneva a secco
per la povertà del torrente; e mentre esse passavano i pipistrelli
spiccandosi dalla volta, venivano spauriti a sbattere l'ala nelle loro
persone; di che tremavano poverette, quanto il signor Fedele
d'incontrarsi coll'Alemanno, o in chi potesse dar voce nel borgo di
quell'andata notturna e misteriosa. E però s'era messo per quel passo
mal destro, come avesse gente insieme che andasse a mal fare.

Ebbero a tribolare oltre il ponte anche un poco, poi risalendo a
mancina su per la ripa erbosa, furono sulla via, grande, ma scura
scura per i pioppi fitti che non vi lasciavano raggiare la luna,
levatasi pur allora. Di là per campi e per vigneti, giunsero alla
villa, dove la famiglia del colono era già a riposo. Solo vegliava il
capo di essa, uomo di buona età e vigoroso, il quale sedeva sulla
soglia della casa, e faceva guardia alla roba, per tema dei soldati
Alemanni, che uscendo la notte dai loro campi, andavano rubando, e
ogni mattina s'udiva a parlare di pollai vuotati, e sin di vitelli
rapiti.

«Chi va di notte!--chiese costui levandosi ritto, con un grosso
bastone fra le mani, e venendo oltre al rumore delle pedate.

«Siam noi, Lorenzo,--rispose il signor Fedele.

«Come? il padrone a quest'ora? che fatto è? perdoni, chiamo i
figliuoli....

«No no..., sta cheto, vogliamo far domani un po' d'allegria, e veniamo
sin d'ora...; non abbiamo mestieri di nulla, salvo d'un po' di lume,
che tu m'aiuterai ad accendere, e poi tornerai alla tua guardia....
Avanti figliuolo, che la guazza fa male...»

Entrati nella palazzina, e acceso il lume, il colono se ne tornò a'
fatti suoi, un po' maravigliato dell'aspetto delle signore che
parevano venute a un mortorio: e il signor Fedele senza far ad esse
parola, le mandò a dormire, Poi s'appartò taciturno, s'allungò in sul
letto, s'affagottò tra le lenzuola; e là si mise a pensare come
avrebbe trovato modo di indur Bianca alle buone, a quel matrimonio.
Interrogava per sè, e rispondeva per lei, da principio esortando, poi
minacciando. Essa sempre ferma; egli allora a fingersi ammalato dal
dolore. Invano. Bisognava rivolgersi ai castighi, e si pose a
cercarne: e fu buona cosa che presto s'addormentasse, perchè pensando,
chi sa che inferno avrebbe immaginato ai danni di quella infelice.

Non andò guari, che mentre egli giaceva russando forte, e le tre donne
vegliavano parlando basso tra loro; un suono mestissimo di campana,
venne per la solitudine dell'aria, come voce che dicesse al cielo, o
ai morti, o a non so che altro misterioso che esiste: «qualcuno veglia
a quest'ora sopra la terra!»

Era la campana del convento dei Minori di San Francesco, che sorgeva
poco discosto. A quei tocchi Bianca alzò il capo, e porse ascolto con
tanto desiderio, che più non avrebbe fatto, se fossero state voci
della madre sua, morta. E poi volgendosi alla zia, nel buio della
stanza: «Oh!--disse--e noi non ci avevamo pensato! Zia, se mi facessi
monaca?

«Preghiamo--rispose la cieca--i frati s'alzano a quest'ora per
discendere in chiesa a pregare....»

Margherita piangeva. Tacquero, rimasero deste un altro momento; poi
come l'ora e la stanchezza poterono più del travaglio del cuore,
s'addormentarono; e Bianca sognò tutta notte, monache, chiese e canti
devoti.

L'indomani il signor Fedele, s'alzò prima dell'alba, e fattosi sulla
soglia della loro camera, gettò dentro queste parole: «nessuna di voi
vada fuori, sino a che non sia tornato». E disceso alla casa colonica,
che era muro a muro colla palazzina, comandò al cascinaio ed alla
moglie di lui, che non parlassero ad anima viva nè della sua venuta in
villa, nè dell'ora, nè d'altro; e badassero bene a non farsi vedere
con damigella Maria e con Margherita, per non dar ombra a Bianca: alla
quale, gli fossero segreti, pareva stesse per dar volta il cervello,
dalla gran paura dei Francesi; e in tutto e tutti vedeva nemici e
spie.

«Povera signorina!--sclamava la cascinaia impietosita e sciugandosi
gli occhi col grembiale, stette a udire gli ordini che le dava il
padrone, per la colazione delle signore; uova, cacio, latte. Poi fece
vedere una focaccia cavata allora di sotto la cenere, avvolta in un
mantile bianco come la neve, e cotta proprio per esse; che venendo
alla villa solevano chiederle sempre di quella sorta di pane. Il
signor Fedele contento della donnicciuola partì.

La curiosità è femmina e sirocchia della ignoranza; onde non è a dire
come pungesse l'animo della cascinaia. Costei non attese d'essere
chiamata, ma tolta quella roba che le aveva detto il padrone, se la
recò in un cesto, entrò nella palazzina, salì le scale; e facendo a
fidanza colla bontà delle signore, disse fra sè: «se mi colgono dirò
che veniva con questa grazia di Dio; se no voglio un po' vedere che
cosa è questo mistero....» Cattellon catelloni, s'appressò all'uscio
della camera ove esse erano, le vide attraverso la toppa; e si mise a
origliare.

Altro che parere in punto d'andarsi in volta col cervello! Bianca
parlava di suo padre, che voleva sacrificarla, calma, affettuosa, e
diceva di volersi far monaca per togliersi da questo mondo, che non le
era parso mai bello. Le altre due le rispondevano, ingegnandosi di
consolarla; ma il discorso era così avanti, che la contadina non ci si
poteva raccapezzare. Quanto avrebbe dato, pur di sapere tutto quello
che avevano detto! Ad un tratto le parve che Margherita volesse
muoversi; ed essa togliendosi di là come un folletto, e chiamate di
sulla scala le signore, fece le viste d'essere venuta allora allora,
portando la colazione.

Intanto il signor Fedele era in via alla volta di C...., e vi giungeva
che il sole non era peranche levato. Molto stupì vedendo gli Alemanni
sotto i filari d'olmi, e la squadra di cavalli schierati e pronti; non
come gli altri giorni per andare agli esercizi, ma con quell'aspetto
diverso, affaccendato, quasi zingaresco, che hanno le milizie in punto
di levare il campo. I signorelli del borgo si tenevano in mezzo gli
ufficiali, dando e pigliando fede d'amicizia, con grandi strette di
mano, con quella ciera tra sciocca e sbigottita dell'uomo che,
rimanendo a casa, conforta a starsi di buona voglia chi va agli
sbaragli della guerra. I preti v'erano tutti, salvo don Marco; ed
avevano i volti compunti, e parlavano del Dio di Sabaot, che guardava
dal cielo le invitte spade dei loro amici. Gli uffiziali ridevano e
s'accarezzavano i mustacchi.

Come il signor Fedele fu in parte da essere veduto, il barone che non
aveva perso d'occhio un istante quella via per cui veniva, gli corse
incontro, chiedendo che fosse stato di lui e della famiglia.

«Nulla!--rispondeva quegli--non fu nulla; ma qui che è questo che
veggo?

«Mi dica di Bianca, Bianca....?

«Eh non mi faccia piangere! Ieri sera venne il colono a dirmi che le
aveva preso male, e ho dovuto andare alla villa....

«Malata!--proruppe l'Alemanno--ed ora....?

«Ora s'è messa al meglio, e all'alba l'ho lasciata che dormiva
chetamente. Ma qui, ripeto, che c'è di nuovo?

«Andiamo alla volta d'Oneglia--rispose l'Alemanno mestamente.

«Maledetti i Francesi!--sclamò il signor Fedele; ma l'altro
interrompendolo:

«No.... maledetti, no....: il generale ricevette l'ordine d'andar là,
stanotte....; torneremo.... ma...., Bianca.... se mai, le dica che io
parto, lasciandomi il cuore addietro, ma che appena potrò.... Chi
sa....? su quei monti....» E si volse a guardare dalla banda della
marina.

Il sole illuminava le vette di San Giacomo e del Settepani, i quali
giganteggiavano lasciando che per l'aria limpida del mattino, l'occhio
penetrasse nelle loro selve, e scoprisse le vie alpestri, che gli
Alemanni avevano a salire.

Le parole del barone erano state dette con tanta mestizia che facevano
contrasto meraviglioso colla sicurtà dell'ardire che gli si vedeva in
tutta la persona. Ma il signor Fedele volle confortarlo, e chi sa che
sciocchezze stesse per dirgli; quando s'udì venire una cavalleria, e
le trombe suonarono, e gli uffiziali corsero ciascuno alla sua
schiera: sicchè il barone affrettatosi a dare l'ultima stretta di mano
al suocero futuro; fu al suo cavallo, raccolse le briglie, e montò in
sella leggiadro in vista, ma col lutto nel cuore.

Alla voci dei capitani, rispose un moto e un rumore d'armi, poscia
silenzio. Il generale veniva in mezzo a parecchi cavalieri, e il
popolo faceva largo dinanzi a lui. Fu cosa di pochi momenti; un
andare, un tornare, un parlarsi sommesso da questi a quello, un gridar
alto alla moltitudine d'armati; tutto con quell'aria di mistero che
usano le gerarchie sacerdotali e militari, quando parate fanno mostra
di sè. Indi a poco a poco si spiccò la squadra d'ulani condotta dal
barone, e presero la via verso mezzogiorno a mò di scorgitori; e
dietro i fanti, e dopo questi le artiglierie, portate a dorso di muli;
da ultimo salmerie, monelli e cani, tutti misurando l'andatura al
suono guerriero di pifferi e di tamburi.

Di là a qualche ora tutto nel borgo era quiete; e la sera s'incominciò
in chiesa un triduo, per invocare la vittoria dell'armi alemanne. Si
pregava di cuore, ma gli animi aspettavano paurosi le novelle del
campo. Marocco era stato colto da uno struggimento ch'egli solo sapeva
quanto fosse grande, vedendosi ridotto a quella compagnia d'avventori
paesani, che l'avrebbero tenuto sobrio. Il signor Fedele si fregava le
mani, parendogli che la partenza dell'alemanno, gli fosse tant'oro,
avendo mestieri di tempo per adoperare con Bianca il braccio della
ragione. Tuttavia pensava che il barone avrebbe potuto morire; e
allora si grattava la nuca plebeamente, stiracchiandosi la coda e
meditando chi sa.....; cosa che io non sono vago di cercare in quel
suo cervellaccio.




CAPITOLO VI.


Tornato alla villa, il signor Fedele cominciò dall'assalire Bianca coi
ragionamenti, e trovandola sempre uguale, la condannò a starsi tutto
il giorno in una stanza appartata. Guai alla zia e alla sorella, se
avessero tentato parlarle. Per maggior umiliazione la faceva venire a
mensa all'ora dei pasti; ma la poneva a sedere in un angolo del desco
senza tovaglia, e le stoviglie in cui le dava a mangiare, non erano
quelle lucenti di stagno che usava per sè e per la famiglia, bensì
certo piatto di terra scura, da mangiarvi dentro l'elemosina, tolto a
prestito dalla cascinaia. E anche in quel tempo le avea vietato di
aprir bocca. Sui volti delle altre due, si fecero in breve profondi i
segni dell'animo afflitto; ma temendo di procacciare a Bianca maggiori
mali, tacevano; ed essa per certo raggio degli occhi nuovo e soave,
mostrava di crescere in forza a sopportare quei trattamenti, e si
consolava pensando che per amor di Giuliano avrebbe patito anche più,
se più fosse bisognato.

Così entrava il maggio, senza che la festevolezza della stagione,
valesse a ricondurre in quella casa la pace e la gioia. Damigella
Maria e Margherita, libere di starsi o di uscire a diporto, non
movevano guari, per non godere quel che a Bianca era vietato;
avrebbero volentieri mutata sorte colle donne più tapine che fossero
nella valle: e udendo i campagnuoli cantare strambotti pei colli, in
quelle notti piene di misteriose melodie; i loro pensieri
s'incontravano mestamente con quelli dell'infelice.

«Oh!--diceva la cieca--han bello dire, ma le contadine sono più felici
di noi! Vengono su pascendo le pecore e sarchiando il campo, durano
stenti grandi, è vero; ma almeno quel po' di pane che Dio manda lo
mangiano in pace, senza tante ambizioni....! Noi.... noi....
invece....»

Margherita assorta nei canti che s'udivano lontani, chiedeva che
volessero significare a quell'ore insolite, e pareva passionarsene: la
zia sospirando rispondeva: «cantano la primavera tornata; la tua bella
età, che Dio protegga, sicchè tu sia più fortunata di tua sorella!

«E Bianca?--ripigliava la giovinetta--che farà di là? le piaceranno
questi canti, a lei così afflitta?»

Non era da dubitarne. Bianca porgeva orecchio dalla sua finestra, e
pensava ai mài, che i contadini piantavano cantando dinanzi le porte
delle foresi cui volevano bene. E anch'essa cadeva in quell'idea, che
nata villanella, sarebbe stata più lieta; e che pur di potersi sposare
all'uomo amato, la sferza del sole non la si doveva sentire, e
lavorare sul solco da un'avemaria all'altra, doveva parere un
trastullo. Ma per sè non poteva sperare che lo sterile rifugio d'un
monastero; e in quei giorni di silenzio e di solitudine, ne parlava
seco stessa, menzionando la pace, il sepolcro, mille malinconie; in
guisa che se la zia l'avesse intesa, si sarebbe alfine levata contro
il cognato; e delle due l'una, o egli smetteva dal tormentare Bianca,
o essa se ne sarebbe andata a vivere da sè.

«Ma!--diceva la povera giovane, in certe ore che l'aspetto della vita
le si faceva più lugubre:--quando sarò nel monastero, e mi avranno
tagliati i capegli, e la mia faccia si sarà fatta smorta; se egli
venisse a vedermi una volta, e mi ravvisasse, e mi dicesse: «tale
divenisti per amor mio!» oh! come sarei lieta di morire in quel
momento! Ho udito dire che le monache pregano nelle loro chiese dietro
le grate, non viste.... E se egli venisse in chiesa per vedermi....,
se cantasse per farsi conoscere da me...! Già, non intesi mai la sua
voce, non ci siamo mai parlati....! Eppure quanti discorsi abbiam
fatti, egli dal terrazzino di don Marco, io dalla nostra altana! Mai
una parola.... mai un cenno....; ma fa bisogno di dirsele certe cose?
Chi sa dove sarà? A D...? Chi sa se mi incontrerà mai più....? Oh!
viva o morta lo sentirò venire e tremerò tutta!»

Di questo andare, s'era accostumata a considerarsi già fatta monaca; e
mai che le fosse venuto in pensiero di ribellarsi del tutto, fuggire,
e andar in cerca di Giuliano, o di fargli sapere di sè per qualcuno di
mezzo. Scrivergli non avrebbe osato; solo il filo di speranza che
attraversava le sue miserie, faceva capo a don Marco; e qualche
momento osava sperare ch'egli avrebbe rimediato a ogni cosa; ma quel
pensiero di lui su' Francesi che sarebbero venuti a liberarla,
cominciava a parerle una promessa mancata. Non venivano mai quei
Francesi!

Non venivano? Avesse potuto leggere nell'animo del proprio padre,
l'avesse udito maledire tra sè i repubblicani e la Francia; e avrebbe
capito come i Francesi erano vicini! Egli non andava neanche più al
borgo, per non udirne parlare; perchè là si dicevano cose da farlo
basire. Oggi la rotta dei Piemontesi e degli Alemanni al ponte di
Nava; domani la presa d'Ormea, di Garessio, di Bagnasco, tutti luoghi
che egli sapeva alla grossa come fossero poco discosti; un'altra
settimana, due forse, e la guerra alpina sarebbe stata perduta pei
regi e per gli imperiali; e i repubblicani, eccoteli padroni di
scendere a lor agio a divorarsi le Langhe.

S'aggiungeva a queste cose, che sua Maestà Vittorio Amedeo, aveva di
quei giorni mandato ai magistrati, e ai parrochi di tutti i villaggi e
borghi e città un bando, col quale comandava a tutti d'ogni grado e
stato, purchè atti alla guerra, si provvedessero d'armi e di
munizioni, quante bastassero per giorni quattro, e si tenessero pronti
a movere contro i Francesi al primo cenno. Il Re parlava di premi e di
pene; e il signor Fedele per parer di quelli non atti alla guerra,
oltre a non recarsi più al borgo, quasi non usciva più dalla
palazzina.

«O Madonna!--gli era venuto di sclamare una sera spogliandosi per
andare a letto--se voi terrete i Francesi lontani dalle mie campagne;
se mi renderete sano e salvo il barone e mi aiuterete a condur Bianca
sulla buona via; vi edificherò una cappella proprio nel mezzo dei miei
vigneti, e vi farò celebrare ogni domenica una messa da questi frati,
santi servi vostri e del serafico San Francesco!»

Nei fondacci della sua coscienza, non credeva nè alla Madonna nè a San
Francesco, nè agli altri Santi del Calendario: ma allevato a parlar ad
essi colle mani giunte da bambino; a metterli in disparte da
giovinetto; e da uomo maturo, ad averli sempre in bocca, e a
giovarsene come di zucche legate ai fianchi per tenersi a galla sul
pelago della bassa gente, che in essi avea fede e in Dio: adesso, di
faccia al pericolo, si rivolgeva alla Madonna colla dimestichezza
d'una femminetta, avvezza a parlarle a tu per tu, tutta la vita.

Quella notte s'addormentò con addosso l'indigestione delle brutte
nuove avute dal cascinaio; il quale le aveva raccolte un po' dai
frati, un po' dai campagnuoli; e qualche ora prima che fosse l'alba,
si svegliò come persona cui venga fatta forza, molle di sudore e tutto
scompannato il letto, pel grande agitarsi fatto nel sonno. Aveva
sognato d'essere soldato del re, caduto in mano ai Francesi con grossa
compagnia. I barbari, trucidato e sparato il più grasso tra i
prigionieri, se lo mangiavano, e ne davano a mangiare anche a lui, che
provandosi con ogni sua forza a schermirsi, si trovava agguantato
nella coda e nel mento, e costretto a spalancare le fauci; mentre uno
di quei ribaldi lo imboccava di quelle carni spietatamente,
spingendogliene in gola con una baionetta lunga lunga, che ad ogni
tratto si mutava in un serpente.

«Ahimè!--sclamò tastando il letto, e guardando nel buio cogli occhi pieni
di quelle immagini, e colla gola arsa d'amarezza disgustosa:--ahimè! che
spavento, Gesù Maria! Se durava un altro poco io moriva!»

E diè volta sull'altro fianco, studiandosi di non più addormentarsi,
pauroso che il brutto sogno ricominciasse. Stette così un tantino
rannicchiato, poi riprese a parlare.

«O che è questo picchio nell'orecchio? Che sia effetto del sangue?»

In quel dire alzava la testa dal guanciale. Il picchio non pareva più
un picchio, ma sì un martellare di campane; al quale s'aggiunse un
altro suono, noto, terribile, quello del corno, sorta di nicchio
marino onde di quei tempi, coma usa in Corsica, andava ne' monti
liguri provveduto ogni casale; sicchè di ladri, d'incendi, di lupi
calati l'inverno, si mandava di valle in valle, rapida e lontana la
voce.

«Ohe!--gridò allora sorgendo a mezzo,--la campana di C.... stormeggia,
e questo è il corno! Signore aiutatemi!»

E balzando dal letto, senza stare a cercar co' piedi le pianelle,
corse a spalancar la finestra; ma di subito preso da più stretta
paura, riaccostò le imposte e le tenne socchiuse, quanto potesse
guardar fuori con un solo occhio. In quella il cascinaio, i figli, chi
dalla porta, chi dai finestrelli, porgendo il capo, si mostravano
anch'essi.

«Dunque che cosa accade?--chiese ansando il signor Fedele--ne sapete
qualcosa voi?»

Per tutta risposta, uno di quei villani, che s'era insino allora
rattenuto per non destare il padrone, e scoppiava dalla voglia,
precipitò sull'aja si recò alla bocca il corno, e ne trasse un muggito
così pieno ed acuto, che al signor Fedele parve sentirsi passato fuor
fuori da una cannonata.

«Ti pigliasse il canchero, te e il tuo toro! birbante! Tu mi vuoi far
morire le donne? Butta al diavolo codesto tuo arnese d'inferno!»

A queste parole il giovanotto stette come allibito. Non aveva mai
inteso il padrone porsi in bocca quelle parolacce. Gettare all'inferno
quell'arnese, che s'adoperava a chiamare in chiesa i fedeli, gli
ultimi giorni della settimana Santa, quando le campane sono legate, e
le tabelle suonano le ore! Non osò soffiarvi dentro una seconda volta,
ma l'avesse anche spezzato veniva a dir nulla, perchè per tutta la
valle qua e colà fu un muggire d'altri nicchi, un apparire di lumi
sulle coste, un chiamarsi da luogo a luogo, un interrogarsi, un
rispondere di guerra, di Francesi, di finimondo, tutto nel buio. La
campana del convento vicino, cominciò anch'essa a suonare a stormo; e
quella d'un villaggio sulla montagna, che chiudeva la vallicella,
rispondeva a questa, o forse ad altre della vallata sinistra della
Bormida, mentre l'alba spuntava e pareva quella del _Dies irae_.

Damigella Maria e Margherita, non è mestieri dirlo, s'erano levate sin
dai primi rumori, e Bianca dimenticato il divieto di venir fuori della
sua stanza, correva ad esse spaventata. Tutte e tre si facevano
intorno al signor Fedele che s'era messo in gamba le brache e in dosso
un giubbarello; e appena mezze vestite, scarmigliate, piangenti, lo
supplicavano, lo rattenevano che non uscisse di casa. Egli, standosi
fra Bianca che colle mani giunte sulle spalle a lui, si abbandonava in
atto di grande dolore, e Margherita che l'abbracciava alle ginocchia;
non avendo forse avuto neanco in mente d'uscire, sclamava:

«Come? La terra del mio re, sarà coperta di nemici, e si potrà dire
che io non sono corso a far testa? Via da me che non voglio perdere la
grazia di Sua Maestà, per le vostre lagrimette! Via da me, voi,
ingrata figlia! che importa di me a voi, se in dieci giorni mi avete
fatto invecchiare di dieci anni?

«Pietà, pietà, babbo,--dicevano le fanciulle--non vada, non vada o ci
conduca....

«Voi.... io.... pietà....--rispondeva il signor Fedele dibattendosi
fra le donne:--ne avete voi per me, quante siete? Pietà di me
l'avranno i Francesi che toglieranno dal mondo il più infelice dei
padri...!»

Dicea così sperando di dar a Bianca un gran colpo; ma vedendola niente
disposta a dirgli, «padre farò quel che vorrà...!» diede un squasso sì
forte, che mandò questa a cadere, e togliendosi Margherita di tra
piedi, stette un momento che aveva l'aspetto d'un vecchio re, forse di
Priamo che si sgombra il passo tra le sue donne, per andarsi a gettare
coll'imbelle dardo, in mezzo ai nemici a morire.

Discese sull'aia, al colono che gridava «i Francesi! i Francesi!» diè
sulla bocca una gran palmata, sclamando «bugiardo! Te n'andrai dal mio
servizio!» Poi si rifece sopra sè stesso, e crescendogli il cuore sino
alla gola; comandò ad uno dei figli del contadino, si mettesse la via
tra piedi e corresse a C...., a vedervi un poco a qual segno fossero
le cose.

Ma non fu mestiere che questi partisse, perchè essendosi messo un po'
d'albore, si vide da ogni parte gente discendere dai monti, gente
uscir dai seni della vallata; drappelli di qua, drappelli di là,
venivano a farsi grossi sulla via maestra, traendo verso il convento
dei Minori Osservanti. L'affrettarsi, il tumulto, l'aspetto terribile
di quelle turbe, armate di roncole, di bidenti, di falci, e financo di
vecchi schioppi colti nelle guerre spagnuole di mezzo secolo prima; si
accordavano in guisa tempestosa alla furia di parecchie donne che
aizzavano gli uomini; e agli atti dei frati usciti dalle loro celle,
agitando in aria i crocifissi, gridando guerra e morte, da parer
forsennati.

Man mano che la gente arrivava, faceva sosta attorno ad uno rialto; e
chi mandava baci alla campana del convento, che dindonava rabbiosa
anch'essa; chi spiegava al vicino la faccenda com'era, chi più
voglioso di andare cominciava a spazientarsi; quando venne oltre sul
rialto il guardiano, uomo venerabile per lunga barba, e per la bella
salute, che ad onta dei molti anni vissuti gli splendeva sulle guance.

Egli fece far silenzio alla moltitudine, la quale fu così pronta a
star zitta, che si sarebbe inteso una mosca a volare. Allora trasse
dalla manica un foglio, e vi lesse ad alta voce come predicando. Era
il bando del Re, quel bando che ho menzionato più su, e che comandava
ai sudditi di tenersi pronti al primo squillo di campana.

«Lo squillo di campana è dato,--sclamò il guardiano quand'ebbe
letto--è dato qui, a C...., a D...., per tutto in questa valle e
nell'altre! Armiamoci e andate, o popoli, che Dio v'accompagni a
sterminare quei giacobini maledetti, i quali vogliono discendere fra
voi, a vuotarsi i granai, a contaminarvi le donne, a porre le mani nel
sangue dei vostri sacerdoti! Volgetevi da quella banda: (tutti si
volsero a guardare i monti di San Giacomo e del Settapani, che si
vedevano assai bene, ammantati dal verde primaverile) vedete lassù?
Ciò che ora è verde diverrà rosso come sangue; e dove oggi nascono i
fiori passeranno i demoni, e ne verrà un odore d'inferno da rimanerne
affogati....! popoli all'armi....! ecco lassù il Signore che ci fa
segno d'essere con noi!»

I poveracci non videro il Signore, ma credettero nel frate che l'aveva
visto per essi. E «andiamo, andiamo!--cominciarono a urlare--Dio è con
noi! Viva Dio! Morte ai Francesi! Viva noi! Viva il Re! Il primo
giacobino che mi dà tra' piedi lo strozzo, fosse mio fratello! Lo
mangio, fosse mio padre! Morte ai giacobini!....»

Fra questo tempestare di viva e di morte, si fece udire una voce su
tutte gridar chiaramente. «E chi ci condurrà alla battaglia?»

E un'altra voce rispose: «i nobili, i signori! Passeremo per C.... v'è
il signor Francesco, il signor Crispino il conte, don Luca, verranno
con noi, anzi li troveremo belli e pronti....

«E chi ricusa, a morte!»

In quella il signor Fedele, voglioso di sapere e fidandosi troppo,
giungeva ad una svolta della via, vicino di là a un trar di pietra.
Udire quelle grida, ed arrestarsi come avesse dato del petto in una
rupe, fu tutt'una cosa: porse orecchio un tantino, e: «come?--disse
tra sè--i signori v'hanno a condurre alla battaglia? Acchiappami se
puoi, chè io vengo.» E pensando di non essere stato veduto, diè di
volta correndo verso la palazzina; badando a dar nei fossati, curvo e
spedito a menar le gambe che meglio non avrebbe potuto fare uno
scolaretto, colto a scioperarsi dal pedagogo. E si teneva certo del
fatto suo; ma il guaio fu che qualcheduno, o donna, o uomo, l'aveva
scoperto, e s'era messo a gridare:

«Si! sì! i signori, eccone laggiù uno dei signori....

«Il signor Fedele, l'avvocato! e' fugge.... dàgli dàgli... lo vogliamo
con noi!

«È vecchio!--diceva un frate.

«Ed io son giovane?--rimbeccava un contadino.

«Ed io son più vecchio di lui!--gridava un altro di quei furibondi--ho
moglie e figli, e terre al sole per me il Signore non ce n'ha
messe....»

In mezzo a questo vociare, una dozzina di villici, accesi in viso come
al tempo delle svinature; si lanciarono alla volta della palazzina,
agitando le falci, i forcoli, il diavolo che brandivano, e chiamando a
nome il signor Fedele.

Questi toccata la soglia, s'era volto addietro alle grida; e al
luccicare di quelle armi, credette di sentirsele cascare sul capo,
entrare nelle reni fredde diaccie, si vide fatto in pezzi a dirittura,
e peggio che nel sogno della notte innanzi.

«Son morto!» sclamò, e chiuso l'uscio a due mandate, tirò il catorcio,
mise la stanga, non istette a rispondere alle figlie, venute a lui
piene di terrore: ma per un andito scuro si cacciò in cantina, si
buttò carponi; e squarciandosi i vestiti, e insozzandosi le mani e il
viso, spingi, ponza, e rispingi, potè rannicchiarsi sotto un tino,
donde mandò fuori rangoloso queste parole, alle figlie:

«Se non mi volete morto, andate via di qua...! Via...!»

Subito un gran rumore di colpi, menati contro la porta, fece
ammutolire le poverette che lo pregavano a uscir di là sotto, e più
terribili dei colpi s'udirono queste grida furiose:

«Fuori il signor Fedele! Aprite! Vogliamo lui! Siamo della valle!
Veniamo a pigliarlo per capitano! Vogliamo che ci meni ad ammazzar
tutti i Francesi! daremo loro come ai cani arrabbiati.... al lupo....
al diavolo in carne!»

Le voci diverse suonavano d'ogni parte intorno alla palazzina, nè
valeva il cascinaio a far che quei bifolchi smettessero dal gridare
selvaggio. Chè anzi alle due fanciulle da dentro, pareva girassero
cercando modo di salire sulle finestre, E stavano strette l'una
all'altra, aspettandosi ad ogni istante di vederli irrompere; quando
cessò il vociare, e porgendo orecchio udirono la parola soave della
zia Maria, che si volgeva alla fiera brigata da una finestra del primo
piano. Costoro vedendo quel viso di donna cieca, dipinto di sicurtà,
d'innocenza e quasi di fanciullezza; stavano a bocca aperta
ascoltando: tornati in quel rispetto che avevano sempre avuto per la
famiglia del signor Fedele, e già vergognavano d'aver osato tanto. E
la cieca diceva:

«Buona gente, abbiate compassione delle mie nipoti e di me; già mi
pare alle voci di conoscervi tutti. State quieti, voi cercate di mio
cognato, ed egli non è qui...

«Come? Non l'abbiamo visto coi nostri occhi?--diceva uno della
brigata, quasi consigliandosi coi compagni. E un altro:

«Ehm! pareva anche a me che avessimo preso abbaglio.... Il signor
Fedele sarà a C.... nevvero signora damigella Maria?

«Sicuro è a C....--usciva a dire un terzo, togliendo alla cieca il
pericolo di dire una bugia:--passeremo là e lo cercheremo.... lei
capisce signora, che se alla fine delle fini non siamo guidati, noi
ignoranti siamo buoni a nulla....!

«A rivederla, signora Maria, stia di buona voglia, che i Francesi sin
qua non verranno; e se qualcuno volesse farle male, ci faccia chiamare
anche a mezzanotte, che siamo cose sue....»

Così diceva un quarto, e con questa e con altre scuse e profferte, si
allontanarono sberettandosi, come se la cieca avesse potuto vedere
quei loro atti rispettosi. E con essi volle partire il cascinaio,
conducendo seco il maggiore dei suoi figli, tra le strida della moglie
e delle figliuole, che fecero intorno alla casa un piagnisteo da non
potersi dire.

Tornati quei furiosi al convento, la compagnia potè mettersi in
cammino. Con alcuni dei frati in capo, presero la via di C....
cantando a squarciagola, e levando un polverio che pareva mosso da
vento di tempesta. Di tanto in tanto qualcuno dava nel corno e a quel
suono rispondevano altri corni da altre vie, dove si vedevano altre
brigate, volte del paro verso C.... Questo era luogo di gran convegno,
perchè il parroco vi aveva dignità di vicario foraneo; vi sedeva il
magistrato del Re per la giustizia; il borgo era come la capitale
delle Langhe, e giaceva in sito da potervisi raccogliere gli stormi di
tutta la vallata, per quindi moversi alla grande ventura.

Tra questi stormi, uno ne veniva numeroso per la via maestra,
lungh'esso l'opposta riva della Bormida; e se non fossero state le
armi, che si vedevano luciccare, pareva una di quelle processioni, le
quali si solevano fare appunto in quella stagione, per implorare dal
cielo i buoni ricolti. Cantavano litanie e salmi a verso a verso, e
ogni poco prorompevano in urli feroci, come a tener deste le ire; e
innanzi a tutti cavalcava un prete.

«Quelli là hanno a essere quei di D....; li conosco, conosco la
giumenta del pievano....»--dissero a un tempo due o tre della brigata
venuta dal convento:--se da tutte le pievi ne vengono tanti, ci
troveremo a C... parecchie migliaia. Viva il pievano di D...!

«Viva San Francesco!» risposero quelli che erano proprio di D...., e
il pievano levò in alto il cappello, a salutare tre volte, con atto
d'un generale.

Don Apollinare in quel momento eroico della sua vita, si rifaceva
gongolando delle cose patite nell'ultime settimane. Le sue pene erano
state tante, che dal giorno in cui gli era capitata la lettera del
rettore di Montefreddo, aveva perduta del tutto la bella pace goduta
tanti anni; e quando il padre Anacleto, dopo la domenica in Albis,
l'ebbe abbandonato per tornarsene al suo convento, si sentì cadere le
braccia. Il suo pasto si venne assottigliando; le notti si svegliava
scosso da visioni che avrebbero fatto incanutire un leone; il
presbiterio gli pareva un eculeo; Placidia, la mite Placidia, un
ingombro fastidioso tra piedi; la calata dei Francesi un'uggiosa
minaccia che gli faceva sclamare: «o dentro o fuori una buona volta!»
Pur di finirla in qualche modo, accadesse quel che doveva accadere, ma
alla lesta: e stava pronto, la giumenta colla bardella addosso, e la
briglia lì appiccata al chiodo; sicchè il bando reale lo trovò, sto
per dire, coi lembi cinti e col bastone in mano. Lo lesse una, due,
tre volte sospirando; ma fattosi animo, si picchiò sul petto una
palmata e proruppe:

«Oh! alla fin fine anche questo è un rimedio! Avvenga che può; meglio
morire d'una cannonata che a furia di punture di spillo!»

Venuto l'ordine di far la mossa, messosi d'accordo coi seniori del
borgo, i quali pur non volendo, mostravano i segni della mala voglia;
mandò gente per la pieve a dare la posta per l'indomani sul sagrato,
che tutti gli uomini atti alla guerra vi venissero con armi e
munizioni. Il tramestio fu grande, e la notte egli potè vedere
dall'alto del castello, correre i lumi in ogni parte della campagna.
Gli parve d'avere sulle braccia un mondo, e fatto venire a sè il
sagrestano gli disse:

«Mattia, domattina si va.... Un'ora prima dell'alba darete dentro a
suonar a stormo.... O perchè ciondolate....? che avete paura?

«Paura io, che ho fatto tremare mezze le Langhe?...» rispose Mattia
trascinando le parole.

«Dunque siete briaco?

«Oh, signor pievano--rimbeccò Mattia mostrandosi quasi offeso: e
spingendo innanzi un piede, si provò a reggersi ritto sull'altro; ma
vacillò, vacillò sicchè per poco non andò a cascargli addosso.

«Schifoso!--urlò il pievano levandosi in piedi;--briaco la vigilia
d'un giorno in cui potremmo morire! Levatevi di qui..., e se domani
non sarete a segno, mal per voi!»

Mattia partì; e camminando tastoni per l'andito, passò dinanzi
all'uscio della cucina. Placidia che stava là dentro, sospirando l'ora
di poter andare a letto, e dicendo il rosario colla coroncina tra le
mani sotto il grembiale; indovinò che Mattia era in disgrazia, e gli
disse dolcemente: «Tiratevi dietro la porta.» Egli obbedì, e tirata
l'imposta dell'uscio da via, misurò contro quella i pugni chiusi,
esclamando: «Non dà un Cristo a baciare in tutto l'anno; e se si beve,
pare che si beva del suo! Sta pure, che se andiamo alla guerra ti farò
vedere il diavolo nell'ampolla!»

Entrato nella sua catapecchia destò la moglie, e le comandò (comandava
anch'egli a qualcuno), tenesse l'orecchio all'ore, e un tratto prima
dell'alba lo destasse. Poi si coricò vestito sul giaciglio, e colle
tempia martellate dal vino, cominciò a russare.

Don Apollinare messosi a giacere per riposare quelle poche ore, le
passò fantasticando; e stava per addormentarsi, quando squillarono i
tocchi della campana martellata, a stormo da Mattia, il quale colla
spranghetta al capo, aguzzava dal campanile gli occhi nel crepuscolo
mattutino. Tutta la campagna era un moto di villici; là come nella
valletta dove giaceva la villa del signor Fedele, come sarà stato in
tutte le pievi; era un accorrere, un gridare, un chiamarsi, un suon di
corni che non finiva. Il pievano balzò dal letto, e si diede attorno a
vestirsi, stupito di sè stesso, perchè gli pareva sentirsi dentro un
cuore di guerriero, nascosto, sino a quel giorno, a sua insaputa,
sotto la zimarra del prete. Placidia venutagli in camera a vedere se
gli bisognasse nulla, maravigliava anch'essa dell'aspetto sgherro di
lui; ma come egli badava a vestirsi, si ritrasse vergognosa in cucina
ad ammanirgli il caffè, che poteva essere l'ultimo.

«Placidia, io parto--le diceva egli venendo sin sulla soglia della
cucina e abbotonandosi la sottoveste:--l'avvenire è nelle mani di Dio;
voi rimarrete qui, rispettata da tutti...; e ad ogni evento, nel mio
inginocchiatoio, troverete di che vivere...: ah! son pur venuti i
giorni amari!»

La povera donna imbambolò, più pel suono della voce insolito ed
amorevole, che per le parole; e intanto la campana continuava a
suonare, e il sagrato a popolarsi, e il giorno a farsi chiaro, e l'ora
della partenza vicina. Allora il pievano mandò un ragazzo a prendere
il posto di Mattia sul campanile, e fece dire a costui che scendesse
ad arnesargli la giumenta, e al popolo che aspettando cantasse il
_Vexilla_.

Un urlo che parve di selvaggi tuonò sul piazzale, destando un'eco
solenne dalla chiesa; poi s'intese l'inno cantato da voci gravi,
diverse; e ad ogni tratto nuova gente, signori e villani alla rinfusa,
si mettevano in coro. In mezzo alla folla si vedeva Mattia, che teneva
a mano la cavalcatura del padrone, tastando cinghie, rivedendo
ordiglioni, parlando sommesso alla bestia, quasi per darle ad
intendere dove l'avrebbe portato.

Alfine, avendo bevuto il caffè, ed essendo l'ora di porsi in cammino,
il pievano apparve sulla soglia del presbiterio. Aveva indosso una
giubba smessa, in gamba certe brache vellose e rattoppate; e in un
fagottino recava la talare, che poteva accadere d'averne mestieri.
Appena fu visto, scoppiò un gran battimani; ed egli ringraziata co'
cenni la folla, aiutato alla meglio montò a cavallo. Poi data
un'occhiata a Placidia, rimasta alla finestra, piangente e sbalordita;
tese la mano e sclamò: «Dio è con noi! Ci siamo tutti? Andiamo!»

Discesero di castello, e trovarono al piano altra gente, con armi, e
forcoli e falci, cento maniere d'arnesi atti a far sangue. Le donne
benedicevano dalle finestre e dalle porte; i fanciulli si mettevano in
brigata, le madri li tiravano fuori sculacciandoli; e la signora
Maddalena, guardando dal suo piazzale quel moto confuso, ringraziava
il cielo, che Giuliano fosse lungi da casa. Vedeva quella turba irta
d'armi, e quegli stendali delle confraternite drappellati come dalle
braccia di pazzi, e raccapricciava: Marta, standole vicina, si doleva
di non essere un uomo, per poter andare contro i Francesi; e la
signora non fu quieta che quando lo stormo le uscì di vista, e la
campana cessò dal suonare.

Avesse suonato a lutto tutto quel giorno, e sarebbe stata giustizia.
Perchè la gente di D..., nel passare per la terricciola di R..., fu
come la maledizione di Dio. E sì che il villaggio si poteva dire
tutt'una cosa col loro borgo, tanto erano vicini; ma da rozzi si fa
presto a diventar malvagi; e trovate le case non difese, per avere gli
uomini di R.... fatta anch'essi la leva in massa verso C...;
cominciarono a pigliarsi brutti spassi, spaurire le donne, mandare a
male il vino nelle cantine, guastare alberi ed orti; e se don
Apollinare non si fosse adoperato a rabbonirli, certo sarebbe rimasto
poco da fare a quei Francesi, dei quali s'andava ad impedire la calata
e se ne dicevano tante ribalderie.

Come piacque al diavolo, ripresero la via verso C..., dove arrivarono,
come abbiamo veduto, che il sole era già alto. Il borgo pareva un
formicaio. Vi si lavorava a più non posso a far cartocci, ad affilare
vecchie armi d'ogni generazione. Di qua gli uni si facevano scrivere;
di là gli altri davano carta o la pigliavano, di loro negozi, dinanzi
ai notai, stando per andare tra la vita e la morte; sotto i filari
d'olmi si davano le cariche ai maggiorenti, che pigliavano diletto ad
essere elevati su su, grado grado, ai più alti onori della milizia,
generali, colonnelli, capitani; guai al popolo se avesse dovuto
provvederli tutti. Tuttavia le cose correvano onestamente; ma fra la
moltitudine s'aggiravano certi ceffi, furfanti da bosco e da riviera,
segnati nei libri della giustizia, e vissuti da anni mogi mogi; che
adesso ripigliavano ardimento e parevano i più valorosi. Alcuni
ribaldi affollavano la porta chiusa del caffè di Marocco. La moglie di
costui tribolava in mezzo ad essi lagrimosa, supplicando pel marito,
che poveretto stava morendo, e aveva in camera il prete che gli
raccomandava l'anima. Povero Marocco! Due giorni innanzi gli avevano
dato schioppo e cartocci, che stesse pronto a partire. Ma il meschino
a vedere quell'arme, s'era sentito giù per la schiena come un secchio
d'acqua diaccia; e fattala portar di sopra, stette un poco
rannicchiato vicino al fuoco; poi levatosi in piedi pallido come un
morto di tre giorni, prese la moglie in disparte, e le disse: «Tasta
che cuore! Sono un uomo morto!» Postosi a letto, chiamato il cerusico,
nè questi seppe trovargli il male, nè egli volle dirne la cagione; non
tolse più gli occhi da quello schioppo, la baionetta del quale
scintillava in un angolo della camera e gli pareva l'occhio d'un
assassino. Chi l'avrebbe mai detto! Un uomo par suo, che aveva sempre
avuti in casa soldati, s'era messo in capo che quello schioppo
l'avrebbe ucciso; e poveraccio moriva proprio in quel punto, che un
suon di tamburi, di corni, di trombe, un vociare di signori ornati di
grandi pennacchi, annunziava che lo stormo dei guerrieri della
religione e del trono, movevano a farla finita coi Francesi.

Movevano, ma fu gran fatica pei condottieri, montati sull'asine e
sulle giumente tutte nappe e sonagliere, meglio che nella festa di
Sant'Antonio. La moltitudine strepitava camminando come gualdana
infernale; miscuglio di entusiasmo, di vero valore, e di grosse
millanterie. Qua cantavano salmi o canzoni popolari: là procedeano
silenziosi ascoltando qualche vecchio novellatore; alcuni recitavano
il rosario tenendo in mano certe corone dai pippori così grossi, da
poterne all'occorrenza far palle da schioppo: e su tutte quelle teste
si vedevano l'armi appuntate al cielo. Erano più di due migliaia, e
avevano un'aria terribile e selvaggia.

Su su a quel modo per val di Bormida, si misero nelle strette, dove il
torrente rovina con voci strane, fra massi ispidi, smisurati,
precipitati dall'alto a frenare la collera dell'onda, che in tempo di
piena non dirompa le ripe.

Il sole andava sotto, quando i più volonterosi toccarono le vette del
monte di San Giacomo, sopra il Finale. Sul mare che si scopriva
innanzi, biancheggiavano vele verso Provenza, vele verso Portofino,
vele per tutto il golfo; mirabile alla vista pei mutamenti dei colori
onde s'andava tingendo. Quelle erano vele inglesi, napoletane e
francesi, che si davano la caccia in alto; mentre molti legni sottili
di genovesi avidi ed audaci, navigando marina marina, recavano
provvigioni verso la Francia affamata.

Lassù i nostri battaglioni, fecero la loro fermata in sul tramonto;
quasi stupiti che il sole osasse discendere come tutti gli altri
giorni. Dalla vetta del San Giacomo a quella del Settepani, non si
vedeva che gente, stendardi e croci; non s'udivano che grida; pareva
la tregenda. Don Apollinare seppe del rettore di Montefreddo, e
d'altri preti, suoi amici, venuti lassù coi popoli delle due vallate
della Bormida, e ne provò consolazione. Ma quel che più gli piacque fu
la notizia che i francesi non erano molto vicini, e prima d'arrivare
sino a lui avrebbero avuto a sbrigarsela colle soldatesche piemontesi
e alemanne. Gli parve di potersi riposare tranquillo a piè d'una rupe
trovatagli da Mattia. Tuttavia l'ora della sera gli volgeva il desio;
e la mente gli fuggiva al suo presbiterio, al desco, a Placidia;
persino a Placidia, per la quale sentiva in quel punto un affetto mai
più provato.

Mattia, intanto, sbocconcellava un po' di focaccia, e aveva intorno un
capannello di compaesani, che si facevano narrare da lui le prodezze
della sua vita; perchè egli era stato da giovane bravazzo ai servigi
dell'ultimo signorotto d'una terra vicina a D..., e in opera di trovar
costure aveva avuto gran nome. Dicevasi di lui che la mira
dell'archibugio l'avesse posta bene più d'una volta; ma le erano
memorie lontane più di quarant'anni; e di quelle sue ribalderie, egli
ne dava carico a personaggi di fantasia, o al suo padrone. Adesso
raccontava di costui la mala morte; e diceva ai villici, tutti orecchi
ad ascoltarlo:

«Era un vecchio, ponete come sono io, ma robusto e prepotente. Un
giorno certo giovinotto tornava da chiesa, dove s'era sposato alla più
bella ragazza della terra. Il marchese si fece sulla via incontro agli
sposi e alla comitiva, chiedendo i suoi diritti, i suoi diritti...
«Che diritti? gridò il giovane stizzito; quelli forse d'andarti
all'inferno?» E lanciandosi contro il marchese coi pugni stretti, gli
diede un punzone così forte nel petto, che il povero diavolo andò
ruzzoloni e precipitò in un borro, tutto rovi e sassi, sfracellato
morto, che non ebbe il tempo a dire _amen_! Beh! mi par di vederlo!»

Qui Mattia faceva colle labbra un versaccio, come avesse posti i denti
in un frutto lazzo ed amaro.

«E voi?--gli chiedevano gli uditori.

«Io? Io m'affacciai al precipizio, guardai, inchinai gli sposi: poi
feci nell'aria un gran crocione, e addio vicini, mi tramutai. E venni
nel vostro paese, dove mi acconciai col pievano defunto, e vi ho
seppelliti mezzi, e ho fatto gran bene all'anima mia. Nevvero, signor
pievano?

«Sta bene, sì, sì...»--disse don Apollinare vergognoso di vedersi
usare dal sagrestano tanta dimestichezza. Ma avendo mestieri di
tenerselo amico, trangugiò quel boccone.

A un tratto un gran parapiglia, un vociare rabbioso, un suono di colpi
menati, in luogo più basso furiosamente, fece sorgere lui, e Mattia, e
tutta quella gente che avevano intorno; ma egli con diverso animo,
perchè corso alla giumenta fece atto di voler montare in sella,
gridando: «I Francesi!»

«Stia, stia,--gli gridò il sagrestano--sono quei di A... che si
picchiano fra loro!

«Allora datemi l'orcio dell'acquasanta, vado a chetarli!

«Che!--rispose Mattia--vorrebbe scendere laggiù a buscarne? Faccia da
qui che l'acqua santa va da sè: Vede come si fa?»

E preso in mano l'aspersorio, che per volere del pievano aveva recato
dietro coll'orciolino e con altre carabattole; lo agitò in aria due o
tre volte, poi lo diede a lui che benedicesse quei furibondi. I quali
volendo accendere i fuochi, pel freddo che faceva su quelle alture,
avevano cominciato a contendere nel far legna e da ultimo a menar le
mani, a strapparsi code, a scaraventare cappellacci, sino a che la
pace potè tornare, che fu briga assai lunga.

Don Apollinare credette d'aver fatto col suo aspersorio assai; e
venuta la notte, s'avvolse per bene nel ferraiuolo, non senza aver
molto raccomandato a Mattia di vegliare. Questi gli si sdraiò vicino,
facendo conto di dormire con un occhio, e di contare le stelle
coll'altro: e noi lasciandogli a serenare, tirati dalla carità ci
rifaremo in fretta dal signor Fedele; che non avesse ad affogare sotto
quel tino, dovo l'abbiamo visto cacciarsi.




CAPITOLO VII.


Ho fatto tardi, e la carità che volevamo usare al signor Fedele, ci fu
tolta di mano da quel Minore Osservante, che aveva predicato a D....
la quaresima, e che trovammo in casa al pievano. Se ci fossimo
affrettati, l'avremmo visto sedere a mensa, nella palazzina, più lieto
che lungo, col padrone e colla famiglia in grande dimestichezza. Ma
per narrare come vi fosse venuto, converrà che io torni a parlare di
quella donnicciuola della cascinaia; la quale di certo non può aver
lasciato memoria di sè, salvo per la mala azione d'essersi messa ad
origliare i discorsi di Bianca, il primo giorno in cui le signore
erano venute alla villa. Se ne rammenta il lettore? Allora
proseguiamo.

Costei sin da quel giorno, aveva disegnato di correre al convento, per
dire ogni cosa al suo confessore; di quei tempi usando molto confidare
al confessionale i propri peccati e le faccende altrui. Ma in tante
volte che vi era andata, non aveva potuto trovarlo, e la mattina della
partenza dello stormo, la poveraccia teneva tuttavia sullo stomaco il
gran peso di quel suo segreto. N'era tribolata come dal peccato
mortale; e pensando al marito, al maggiore de' figli, andati chi sa a
quali sbaragli, non potè più reggere. S'affrettò verso il convento
decisa a non moversi più, senza aver visto il padre Anacleto, senza
essersi confessata a lui, senza averlo pregato a porre i suoi uomini
nella guardia di Dio.

Dalla palazzina del signor Fedele, si poteva andare in pochissimo
tempo al convento; che sorgeva a piedi di una collina, formante una
fondura a guisa di conchiglia, la quale pareva far atto di tirare a sè
l'edificio, in solitudine più sicura. E il valloncello era alberato di
querce antichissime, le quali, dalla cresta che girava intorno un par
di miglia, alla più bassa piaggia, coprivano di loro macchie la terra
per modo, che non vi poteva nè luna, nè sole: meravigliose alla vista,
perchè da quella infuori per tutta la costa della collina, l'occhio
non scopriva altro verde. Il bosco si chiamava dei frati: e perchè
pareva nato appunto per essi, la fantasia paesana vi aveva lavorato
sopra di curiose leggende. Fra l'altre questa, che San Francesco,
capitato là attorno, per edificare un convento; avendo avuto da Ottone
del Carretto feudatario della terra, quel sito; subito si pose
all'opera aiutato da sì gran numero di contadini, che il diavolo ne fu
geloso. Un dì che i manovali si affaccendavano a murare, se ne
scoperse tra essi uno che tentava i compagni e gli scioperava, osando
persino dar la berta al Santo, che s'affaticava a recar pietre sulle
sue spalle delicate. Fu badato a costui dai compagni; e come ogni
mattina accadeva di trovare il lavoro del giorno innanzi buttato gran
parte a terra; il Santo gli mise gli occhi addosso a quel manovale e
s'avvide alfine a certi segni, che egli era un soggettaccio da non
poterlo nominare senza segnarsi tre volte. Fattoglisi cautamente
vicino, gli gettò al collo il suo cordone benedetto, e a furia di
croci lo costrinse a darsi per quel che era, e a portar calce, e
sabbia, e pietre quanto bisognava per l'edificio, di che prima di
notte vi fu d'avanzo ogni cosa. Il Santo non fu contento a tutto quel
servizio, e dacchè il diavolo ci era cascato, volle giovarsi quanto
potè dell'opera sua. Però menandoselo dietro a cavezza per lungo giro
chiese che ad ogni passo facesse germogliare una quercia, o non
l'avrebbe sciolto mai. Il diavolo, nato per amare la libertà tanto da
ribellarsi a Dio, non istette a perfidiare per la miseria di quattro
arboscelli: chè anzi San Francesco non chiedeva uno ch'egli non desse
dieci e cento; e delle querce ne fece nascere tante che il Santo non
aveva finito di torgli il cordone dal collo, e il bosco era, come
fosse sorto da secoli, bello, diffuso e forte. Così il popolo di
quelle parti dava ragione a sè stesso, del come quella selva fosse
sorta in mezzo al tufo brullo della collina.

Il convento poi, parlando sul serio, crebbe e durò più che cinque
secoli e mezzo; e forse durerebbe tuttavia se il generale Victor, nel
1799 non v'avesse appiccato il fuoco; e Napoleone nel 1805 non ne
avesse cacciata la frateria, che rifatta ogni cosa v'era tornata a
star bene. I terrieri dissero che fu gran peccato, perchè i frati
erano buoni, l'edificio bello, e la chiesa anche più. Questa era di
tre navate, partite in molte cappelle, tenute in patronato dai
maggiorenti del borgo di C..., larghi donatori ai frati e alla chiesa.
Ognuna delle cappelle aveva nel pavimento un coperchio di tomba; e la
prima in capo alla navata sinistra, diversa dalle altre per lo stile e
per gli ornamenti, apparteneva ai Marchesi della terra, come è
mostrato dal coperchio della sepoltura, il quale reca un arme
coll'impresa di un carro e d'un'aquila imperiale a graffito. In quella
tomba avvenne cosa, che se non ha che fare colla mia storia, nè coi
tempi di essa; ne ebbe molto coi teschi, raccolti là dentro: poveri
teschi, che pur avendo portato elmo e corona, somigliano a tutti i
teschi umani; calvi, smascellati, hanno viso di ridere d'aver vissuto
questa vita.

Faranno vent'anni, e un giovedì di quaresima, tre scolaretti
maninconiosi, erano andati a quel convento ruinato, col proposito di
rubarvi un teschio: avendo udito alle prediche di quei giorni, che
niuno ornamento migliore, e nulla di meglio contro il peccato potesse
avere in camera un giovinetto. I tre adolescenti si fermarono sopra la
lapide blasonata; trovarono a ridire sul cattivo latino
dell'inscrizione; poi fecero alle pagliuzze cui toccasse discendere
nel sepolcro in cerca del cranio. Come ebbero fatto, i due vincitori
recatisi in mano le campanelle del coperchio, lo levarono a gran
fatica sull'un dei lati, quanto il compagno potesse passare nel vano
la sua persona: e questi, messe le gambe nella buca, peritoso,
peritoso, si calò con forte batticuore, a frugare il sepolcro.

I teschi erano laggiù in fondo, raccolti come ad amarsi, a
consigliarsi; e alla poca luce che poteva là dentro, biancheggiavano
in forme incerte. Più in là si vedeva buio, e pareva che ne venisse
un'aria tetra, greve, umida, forse quella dell'eternità. Il giovinetto
si spinse avanti carponi, e già stendeva la mano sopra uno dei teschi;
quando i due del coperchio udirono una voce di donna gridare
arrangolata dando loro dei monelli, disturbatori di morti! Subito la
pietra del sepolcro ricadde con un tonfo pauroso; e i passi dei due
fuggenti compagni suonarono cupi, sul capo del tapinello, rimastovi
chiuso. Egli non osò movere un dito dalla paura d'urtare in qualche
morto, levatosi a vedere che fosse; ma nè allora nè mai, seppe quanto
rimase a quella tortura. Il fatto finì, che i compagni ritornarono; la
tomba fu scoperchiata un'altra volta; egli agile come un tigrotto, ne
fu fuori di lancio; e giù sui due menò tanti colpi e tanti n'ebbe, che
se non fosse stata a chetarli a colpi di rastrello, quella donna
istessa ch'era cagione del guaio, qualcuno dei tre finiva ridotto a
mal partito. Ritornarono mesti, mogi, a mani vuote da quella
spedizione; e per lunga pezza non ebbero più pensiero nè di quei
crani, nè del convento.

Tornando al quale, ed alla chiesa, qual era in sul finire del secolo
passato: seguiterò a dire come fosse ricca di marmi, e avesse un coro
di legno di ciliegio, lavoro antico d'un intagliatore Lombardo,
stralevigato dai dorsi de' frati a segno che i novizi vi andavano a
specchiarsi. V'era una cantoria angusta, tarmata, e un pulpito
pitturato, bigoncia e pilastro, di certi simboli rossi su fondo
giallo; ed io immagino che moltissime volte saranno stati scambiati
per papaveri, o per qualche altra pianta sonnifera, dai fedeli dei
tempi, in cui i frati vi salivano a predicare.

Dalla chiesa per una porticina, si passava nel chiostro. Questo come
tutti i chiostri, era bello davvero. Le sue colonnine di pietra
verdastra sorreggono ancora gli archi leggiadri e severi; a ognuno dei
quali corrisponde nelle pareti intorno, sotto le volte, un affresco.
Ivi sono rappresentati i miracoli operati sulla terra dal Santo
Fondatore; piedi troncati colla scure e colla scure rappiccati; uomini
storpi raddrizzati; ciechi illuminati, tanti che sarebbe lunga
litania, a voler descrivere tutti quei gesti maravigliosi.

Per un'altra postierla, aperta traverso un muro grosso come di
castello; si poteva entrare dal chiostro nella cucina: e il visitatore
stupiva dell'ampiezza inaspettata di questa. Faceva contrasto
l'angustia delle finestre, munite di sode inferriate, le quali colla
poca luce che mettevano dentro, davano un aspetto tetro alla vòlta e
alle pareti, tralucenti pel fumo venutosi aggrumando a guisa di
vernice nerissima: e più di tutto dava nell'occhio la smisurata cappa
del camino, la quale aveva l'aria d'un mostro, che spalancasse la gola
a divorare là dentro ogni cosa. La porta maggiore della cucina, del
paro che quella del chiostro, mettevano sotto un portichetto, che
formava un angolo retto colla facciata della chiesa, e aveva dinanzi
un piazzale, dove i contadini si raccoglievano la domenica, a
chiaccherare del tempo e dei ricolti, fin che entrando le messe i
campanelli dalla chiesa ne li facessero avvisati. Stando sotto quel
portichetto, a sedere su d'una cassapanca di legno grossolano lavorato
a colpi di scure, e vecchia di chi sa quanti secoli; i conversi, i
cuochi ricreavano la vista, in due lunghi e bellissimi pergolati; le
travicelle dei quali erano sorrette dai muriccioli degli orti, e da
due ordini di pilastrini; e in mezzo a questi correva la via, per cui
dalla valle si veniva al convento. Sotto i pergolati solevano
passeggiare i frati coi loro amici delle terre vicine, che venivano
soventi a visitarli, per desinare assieme, per consigli, o per deporre
il peso delle scrupolose coscienze: e se le pietre parlassero, quei
pilastrini ci potrebbero narrare chi sa che allegre cose, dette
all'ombra delle viti che vivono ancora assai rigogliose.

Il rimanente dell'edificio, era somigliante, in ogni parte, a tutti i
conventi. Aveva due corridoi lunghi, incrocicchiati, ai capi dei quali
si aprivano grandi balconi: e lungo le pareti porte di celle anguste,
ognuna col suo santo, monaca o frate, a fresco sopra l'architrave. Il
refettorio poi, (che io non lo dimentichi), era in sito delizioso; e
dava colle finestre su d'un orto ricco, d'alberi e di pozzi d'acque
limpidissime. Questi pozzi coperti di viluppi d'erbe, oggi paiono
poco; ma in fondo vi gracidano le rane, quasi per ammonire l'uomo che
badi a non vi cascar dentro, essendovi l'acqua pericolosa, e di rado
v'ha qualcuno per averne aiuto.

I frati di questo convento erano la meglio parte delle terre di
Monferrato e delle Langhe. Ve ne venivano talvolta dalla Liguria; ma
gli uni e gli altri, a quel che intesi dai vecchi, vi si accomodavano
assai bene, e se ne andavano a malincuore. Tenevano in mano molte fila
della vita civile e domestica nei borghi vicini; predicavano,
confessavano, pregavano, parevano tanti santi e tra loro in gran
concordia; sebbene anche in quello come in tutti i sodalizi del mondo,
covassero le invidie, le gelosie, gli odi; e si potesse assomigliarlo
ad un lago quieto come specchio alla faccia, e giù giù nei fondi,
agitato da pesci d'ogni sorta, persino mostruosi. I loro cercatori
correndo i contadi raccoglievano copia d'ogni ben di Dio, n'avessero
potuto portare; e rivenivano ogni sera carichi come api ed allegri
sempre.

Costoro non si veggono più girare per le vie e pei campi, col sacco
della cerca in ispalla; e del vasto edificio avanza appena un'ala che
si possa abitare da cristiani. Vi sta una famigliuola di coloni, che
mandano innanzi a podere le terre intorno. Corridoi e celle sono
crollati o offesi da larghe crepe: la chiesa non ha più tetto; gli
altari sono scalcinati; il campanile si regge a stento, e fa segno di
non saper bene dove si abbia a coricare, o sulla terra, dell'orto, o
sul grembo erboso della chiesa. Ma non andrà guari e sarà anch'esso
confuso coi ruderi sconvolti come per terremoto; e nulla, più nulla,
parlerà di quello che era il convento or sono settant'anni. A me duole
assai di questo, ma più dei frati, chè tra loro neppure uno ha
lasciato memoria di sapienza, d'amore, o d'altre virtù. Che importa a
noi sapere che venivano coll'età molto avanti? Forse gli è appunto per
aver badato a vivere lunga vita, che sono morti del tutto: e sebbene
delle loro ossa siano piene quattro tombe; queste non han nulla da
dire al visitatore, che ascolta le coppie di colombi tubare dal
campanile i loro dolci amori, ricolmando di mestizia gli archi, le
vôlte, quell'ingombro di ruderi, e quell'erbe lussureggianti. Incontra
talora di vedere qualche personcina, sfatta, macilenta, gialla come
per febbre maremmana, fuggire per un bosco, far capolino da un uscio,
o nascondersi dietro una colonna cadente. V'ha da rimanere attoniti,
come se fosse un'anima di frate venuta dall'altro mondo; e sarà un
figlio del colono, guasto, poveretto, dalla malaria di quelle ruine.
Il bosco è bello ancora, ma mostra qua e là di larghe radaie; la mano
del tempo e dell'uomo vi fanno a gara nel distruggere; tuttavia
l'occhio si posa da lontano, assai volentieri, su quella valletta,
come in luogo di pace.

Quando la cascinaia del signor Fedele giunse al convento, il padre
Anacleto era sul rialto, donde poche ore prima, il guardiano aveva
arringata la turba andata in guerra. Egli girava intorno a certo
pilastro sormontato da una croce di ferro, al fresco delle grandi
querce che ombravano il poggiolino. I frati solevano venirvi a
riposarsi in sul desinare, e a dire le barzellette alla gente che
passava, per la via appiè di quello. Essendo ancora mattino, il padre
Anacleto vi stava solo soletto, teneva il breviario sotto il braccio,
e colle mani una sull'altra, diceva passeggiando le ore.

Parve alla povera donna, che Dio l'avesse posto là ad aspettar lei; e
appressandosi peritosa, come potè chiamollo a nome sommessamente.

«Oh!....--sclamò il frate mettendosi sulla persona altezzoso;--sei tu?
Ebbene? Tuo marito se n'è andato anch'egli col figlio maggiore
nevvero?

L'altra imbambolava a queste prime parole, e stava per fregarsi gli
occhi col dosso della mano; ma il frate accorto, soggiungeva:

«Hanno fatto bene! L'intenzione è santa..., ma io credo che non avremo
mestieri delle loro forze; e quand'anche fosse, il Signore sa quali
sono i nostri....; bisogna avere fede in lui, e starsi di buona
voglia. Allegri!»

E tornò a passeggiare, come, se con questo le avesse detto addio. Ma
essa con voce umile e timorosa:

«O signor padre, mi perdoni, sono venuta per parlare con lei....

«Con me? Allora son qui!» rispose il frate fermandosi di nuovo; e
prese l'aspetto d'uomo che tiene una mano su in cielo e l'altra sopra
la terra: certo che colei veniva con qualcuna delle noie, solite ad
essergli date dalle foresi, le quali erano lì ogni poco, a fargli
recitare il responsorio di Sant'Antonio per ritrovare la gallina
perduta; o con uno scrupolo da sciogliere; o con un sogno da
decifrare.

«Veniva per confessarmi--disse la campagnuola. Ed egli a lei:

«Ma se fa appena un mese che hai fatta la pasqua. Che ci hai di nuovo?

«Peccati, no: ma ho certa cosa che mi pesa sull'anima; e mi pare che
se io non la dico, il mio povero uomo avrà la mala ventura. Son venuta
qui parecchie volte...

«Spicciati, spicciati,--interruppe il frate.

«Ecco! Ella sa che i padroni sono in villa: ma ha da sapere che quella
notte in cui ci vennero, voglio dire quando fu mattino, il signor
Fedele, prima di tornare a C.... mi disse che portando la colazione
alle signore, badassi bene a non parlare con esse, perchè alla Bianca
voleva dar volta il cervello, e vedeva tutto, spie, nemici, Francesi e
che so io....

«Caspita!--sclamò il frate, quasi maravigliando di quelle cose seguite
a sua insaputa.

«Ascolti, ascolti!--continuò la donna pigliando animo:--portando la
roba io mi sono lasciata tirare dalla curiosità, e andai ad origliare
all'uscio delle donne. Parlavano tra loro, e Bianca diceva cose...,
cose, poverina, da far piangere! Altro che impazzare! parlava come un
libro; ma non ho potuto capire nulla, salvo che vuol farsi monaca, e
che non vuol essere sacrificata... Basta! Il fatto è questo, che da
quel giorno, in casa ci pare il mortorio; e il signor Fedele, quando
lo vedo, fa tremare anche me. È torbido come se gli si avesse tolto il
pasto di bocca... Se ella ci andasse a vedere un poco... Ah!... già mi
dimenticava; il padrone sin da stamane s'è nascosto in cantina, e non
c'è santi per farlo venir fuori: la palazzina è chiusa, ma dentro ci
si sente la disperazione!

«Allora vado»--disse il frate; e la donnicciola ringraziandolo mosse
verso il convento a udirvi messa, spigliata come si fosse tolto di
dosso un macigno. Egli poi, stato un altro poco a girare intorno al
pilastro, si segnò due volte, e s'avviò alla villa del signor Fedele.

Vi giunse che questi aveva scacciato con grandi minaccie Bianca e
Margherita, tornate a pregarlo si togliesse di quel brutto luogo, che
quei furiosi se n'erano andati: ma le loro preghiere avrebbero mosso a
pietà qualunque crudele, non lui. Scendevano e salivano dalla cantina
alla stanza, dov'era la zia Maria, e con essa facevano le dolorose
querele; quando s'intese un picchio leggero all'uscio di sotto, e
Bianca affacciandosi sclamò: «il padre Anacleto!»

La cieca, credè, a quel nome, di ricevere un messaggio del cielo;
Bianca corse da non veder le scale, a suo padre, dicendogli del frate;
e Margherita non aveva quasi avuto tempo di raggiungerla, che il
signor Fedele, come se una mano poderosa l'avesse afferrato per le
gambe; vergognoso di sè, in meno che non aveva fatto ad entrare in
quella sorta di tana, ne era già fuori. Ma ahimè, come concio! Pareva
un masnadiero fuggito, per qualche fogna al bargello; per giunta un
nugolo di molesti moscioni, gli si turbinavano intorno al viso, ed
alla persona. Bianca si provava a nettarlo, e piangeva; Margherita,
aperta la porta, faceva venir dentro il padre Anacleto.

«_Deo gratias!_»--disse questi facendosi oltre diritto, verso la parte
onde veniva la voce del signor Fedele; ma vedendolo qual era--«che
fatto è questo--sclamò,--che ti veggo scompigliato a codesto modo?» Il
frate dava del tu a tutti, salvo che agli ecclesiastici più vecchi di
lui.

«Eh! padre--rispondeva l'altro,--ella viene in casa a un ospite
sventurato! Ero disceso in cantina, per vedervi come sto a vini
stagionati; mi prese il capogiro, caddi, e buon per me che queste mie
figliuole furono pronte ad aiutarmi.»

Se là dentro fosse stato un po' più di luce, il frate avrebbe visto
sui volti delle due fanciulle, i segni della maraviglia, in cui
l'infingimento del padre mise le loro anime semplici. Ma non ebbe
neanco tempo di dire al signor Fedele, che ringraziasse il Signore di
avergli tenuta sul capo la sua santa mano; che costui scaricando su
Bianca il miscuglio tempestoso di passioni, che gli fiottava
nell'animo:

«E voi--le gridava--voi, che ci fate qui? Andate al vostro posto!...»

La povera giovane, che quasi s'era dimenticata d'ogni patimento, solo
per aver potuto parlare quelle poche ore colla zia e colla sorella;
rimase a quelle parole, come se venuta tapina a chiedere la carità, le
avessero chiuso in faccia l'uscio di casa sua. Di che, chinando gli
occhi mestamente, si volse addietro, salì le scale, ritornò nella sua
camera, ai suoi silenzi. Margherita stette senza saper che si fare,
addolorata di veder ricominciata la trista istoria: poi usci sull'aia
singhiozzando da sola.

Allora il padre Anacleto, capì che sotto quei portamenti v'era
qualcosa, di cui la cascinaia gli aveva fatti a ragione i grossi
misteri. E valendosi della considerazione, in cui sapeva d'essere
tenuto dal signor Fedele, presolo per la mano, con dimestichezza
paterna, gli disse:

«Fedele, tu sei più vecchio di me, ma io sono più di te esperto della
vita. Sai che io ti sono amico, non t'ho mai veduto così severo colle
tue figliuole; che t'hanno fatto? Non mi hai detto or ora, come t'han
mostrato d'amarti? Dacchè non ti ho riveduto, tu sei mutato in viso,
ma molto mutato: segno che non sei contento! Perchè non sei venuto da
me? A dirti il vero qualcosa mi diceva qua dentro: «egli non viene da
te, e tu va da lui!» e sono venuto, ed ecco che non m'ingannai. Che
posso per te? Noi siamo ai servigi dei felici e dei mesti, dei ricchi
e dei poveri..... parla pure....

«Oh, padre!--rispose basso il signor Fedele--questa è la casa
dell'afflizione! Se dura così un altro mese, qualcuno di noi sarà
portato al sepolcro!

«Oh!--sclamò il frate--dunque c'è a mezzo qualche seria faccenda?

«Seria! altro che seria!--proseguì sospirando il signor Fedele, che
stato in forse quei pochi momenti, aveva deciso di confidarsi al frate
delle cose di casa sua:--i figliuoli de' nostri tempi, non obbediscono
più i loro padri, e il mondo va per la via torta....

«Il mondo si sfascia come un cadavere--sentenziò il padre Anacleto; ed
ambidue uscirono all'aperto, mettendosi sotto il pergolato tuttavia
poco ombroso. Buon pel signor Fedele che niuno lo vide, conciato
com'era; chè all'aspetto strano, gli avrebbe scemata la stima.

«Ecco--diceva egli continuando;--ella sa, padre, che le mie due
figliuole mi sono più care che le pupille. M'è capitato per la prima
di esse un partito, un partito da renderne invidiosa una principessa.
La trista non vuole saperne.... e sono settimane che mi arrovello a
trovar modo di farle far senno. Baje! Essa mi si fa sempre più
cocciuta, e quasi io perdo la santa pazienza. Non mi pare vero; così
dolce com'è....!

«Eh!--disse il frate--del vino dolce si fa l'aceto forte. Ma l'uomo
che tu le vuoi dare, le piace?

«Via!--rispose l'altro tentennando un tantino;--diciam gatta alla
gatta, pare che no.

«O allora, che vuoi? Farle forza? È tanto giovane, e non v'ha da
temere che ti rimanga in casa zitella. E colui del partito, non può
aspettare?

«Che aspettare! Questo partito mi fa come la palla; mi balza in mano e
se non le do mio danno! Mi sia segreto padre; questo partito è un
uffiziale alemanno, ricco come il mare; e la piglierebbe senza parlar
di dote. Così quel po' di ben di Dio che abbiamo al sole, mi
basterebbe a maritar la sorella più ricca....

«Dà retta--interruppe il frate--sai di qualcuno quassù cui tua figlia
voglia bene?

«Questo--rispose l'altro, tastandosi la nuca, e poi badando alle dita
che gli rimasero piene di ragnatele:--questo sospetto nacque anche a
me... e... giacchè ci siamo, le dirò tutto. Sarà un mese, proprio il
giorno in cui l'alemanno mi chiese Bianca; venne da me una signora di
D...: ella che fu laggiù a fare il quaresimale, la conoscerà.... è la
signora Maddalena.... venne, e quattro e quattr'otto, mi chiese
anch'essa la figlia per suo figliuolo che si chiama Giuliano....»

Udire questo nome, aggrottare le ciglia, farsi indietro un passo; fu
pel padre Anacleto un solo atto. E appuntando l'indice della destra
nel signor Fedele.

«E tu,--sclamò--dovevi risponderle, che se suo figlio vuole una
moglie, se la vada a cercare nelle terre di Calvino, di Lutero, in
Turchia....!

«Turchia?--disse il signor Fedele--o che è questo, ch'ella mi fa
tremare le gambe?

«Bisognerebbe che tu fossi stato a D.... sarà giusto un mese, per
sapere ciò che dico! Bisognerebbe avere inteso le parole, che colui
osò dire al pievano di laggiù. Cose da temere che gli si aprisse la
terra sotto i piedi! Ah Fedele, quale sventura, se tua figlia volesse
bene a quell'empio!»

«Oh Dio! che può essere, e forse è!

«Non sai che colui è stato scolaro di don Marco?

«Sicuro!....

«E che dalla casa di questo matto benedetto alla tua, non v'ha di
mezzo che il vicolo?

«Già!

«Credilo a me, quando quella signora venne, i due giovani avevano
bell'e fatto l'accordo.

«Eppure non si sono parlati mai....! disse il signor Fedele rotando
gli occhi.

«Oh! quanto a questo, pensa alla tua giovinezza. Fedele, questa
passione, se v'è, la levo io dal cuore di Bianca. Una ragazza non deve
porre in pericolo l'anima sua.... dell'anime non ne abbiamo che una, e
con un Volteriano per marito, essa non si salverebbe di certo. Fammela
vedere.

«Sì! sì! padre, e badi a convertirla; io poi farò il debito mio verso
lei, e verso San Francesco....»

Così dicendo, mise dentro la palazzina il frate, e salirono in sala.
Là cortesie e accoglienze liete tra damigella Maria e Margherita e
quest'ultimo; il quale chiesto di Bianca, gli fu insegnato dalla
sorella la camera del piano di sopra, dov'era. Ed egli fece la scala
accompagnato dalle benedizioni delle due donne, cui pareva gran
ventura la visita d'un uomo, che forse veniva recando seco il segreto
della consolazione.

Frattanto il signor Fedele, che s'era andato a ricomporre un tantino i
panni in altra stanza, fattosi sull'uscio della sala, con certa
allegrezza nuova nella voce, diceva alla cieca:

«Cognata, pensate al desinare; lo voglio sontuoso, perchè terremo con
noi il padre Anacleto: tu Margherita corri dalla massaia, che tiri il
collo a un par di piccioni e a una gallina; con un sorso d'aceto che
io metterò loro in gola, diventeranno di buona cottoia lì per lì;
diamoci attorno leste, e se vi bisogna aiuto son qua io. Che? ridi?
ridete? In opera di cuocere vedrete chi sono!»

A questo fare piacevole, mai più costumato da lui, la zia Maria e
Margherita, si sentirono proprio rinate. Che tutto questo mutamento
d'anima e di modi, venisse dal padre Anacleto? Che gli avesse toccato
il cuore? Lo benedissero cento volte, nè la cieca avrebbe fatto di
più, se il frate le avesse dato un barlume. La nipote valeva dieci
cotanti più degli altri giorni; e di sù di giù, una affaccendata,
l'altra in cucina; in un batter d'occhio le pentole bollivano, le
padelle friggevano; avessero potuto imbandire pupille di fagiani,
sarebbero loro parso poco pel frate; al quale, l'odore delle vivande
gratissimo, saliva dalla cucina fin nella camera di Bianca.

Egli v'era entrato, come a entrare nella propria cella; mentre la
fanciulla, appoggiata al davanzale della finestra, guardava fuori la
campagna, e i colli e i monti lontani. E a veder biancheggiare qualche
campanile che accennasse un villaggio romito; si sentiva rapire il
cuore a quella lontananza, come se là avesse potuto vivere felice.

«Bianca,--aveva detto il padre Anacleto, dopo essersi soffermato un tantino
sulla soglia, a mirare la bella in quel suo raccoglimento:--Bianca, tu stai
guardando i campi, come se attendessi da qualche parte un portatore di
novelle liete...»

La fanciulla, che s'era volta addietro alla prima chiamata; col volto
chino, come temesse di lasciare scoperti i mesti pensieri; si fece
incontro al frate, per baciarli il cordone; ma questi le porse la
mano. Essa la baciò, e poi disse:

«Oh padre, come ha fatto bene a venire quassù! Non l'ho più riveduta
da due mesi, sa? quel giorno che venne a C.... al mortorio di quella
povera mia amica.... Povera! io, povera, e non essa! ma faccio per
dire...

«O che hai con queste malinconie!--sclamò il frate,--lo so anch'io,
che a questo modo andrai a male colla salute!--E tenendole alta la
fronte colla mano, che essa aveva baciata, e guardandola maestoso nel
viso, soggiunse:--dunque, tu non mi vuoi dire che cosa aspetti, o che
cosa cerchi cogli occhi, da quella finestra?

«Nulla!--rispose Bianca--io non aspetto nulla. Guardava così, per quei
campi; e pensava che sotterra si deve stare quieti quieti, in queste
lunghe giornate che non vogliono mai finire. Cercava, quale sarebbe il
più bel posto per farvisi scavare il sepolcro.

«Bei pensieri!--disse il padre Anacleto:--pensieri che sono nella
gioventù, come i tarli in legno prezioso!

«Eppure ci si prova una dolcezza, una soave dolcezza...!

«Un'amarezza che uccide lentamente, dovresti dire! Tu hai bisogno di
consolazioni, fanciulla; e se io potessi toglierti dal cuore le tue
malinconie, sarei lieto d'aver servito Dio nella sua creatura. Ma già
io non posso nulla....»

A queste parole Bianca prese animo e disse: «Oh! ella potrebbe tutto,
se volesse farmi il bene che io le chiederei...!»

«Parla son qui a posta!--s'affrettò a dire il frate--accostiamoci alla
finestra, e parla: che hai, che ti hanno fatto? io sono un umile
consigliere, un povero mortale, ma alle volte Dio si compiace in noi,
e parla colle nostre labbra.

«Ebbene,--cominciò Bianca, mostrando di volersi rimettere in
lui:--vidi soventi frati forastieri venire quassù; se da qualcuno di
questi, si potesse sapere dove sia il monastero più vicino a noi; ma
un monastero che vi si entri per non uscirne più, nè vivi nè morti....
e se mi ottenesse da mio padre la grazia di farmi monaca in quello: io
pregherei per la sua salute tutto il resto della mia vita, e mi
ricorderei di lei, padre, come del mio più grande benefattore....»

Il frate aveva sorriso alla semplicità di Bianca, la quale pensava che
oltre la cerchia di quelle montagne, il mondo fosse anche per lui
ignoto. Ed essa, dicendo, aveva a poco a poco osato alzare gli occhi
negli occhi di lui; e lo sguardo le si era fatto così eloquente, che
egli vi lesse dentro tutto l'animo della donzella, decisa a quel passo
di cui parlava. Stimò buona cosa venir col discorso a seconda di quei
desideri mesti e profondi; e dopo un tantino di silenzio, disse:

«E sta bene! Fanciulla che si manifesta inclinata a diventare sposa di
Cristo, bisogna aiutarla, e t'aiuterò. Appena di là di questi monti,
che abbiamo in faccia, nell'altra Bormida, in un luogo che più ameno
non potrebbe essere, v'ha un monastero dove tu saresti sempre la
benvenuta... Ma..., poni mente a quel che ti dico: quella che tu
vagheggi è una vita dura..., una vita di penitenze in cui si spegne la
giovinezza; anzi si cerca di struggerla, come un incenso che si brucia
per mandarne il profumo al cielo...»

Bianca provava una voluttà amara a udire di quel martirio; e il frate
continuava:

«Tu, lo veggo, gioisci a queste notizie, o anima eletta! Ma..., quando
avrai fatto il gran passo, oltre quella soglia da cui non si esce mai
più; se tu venissi a sapere che tuo padre ne sarà rimasto accorato da
morirne; se la tua Margherita, e la tua povera zia, che ti tenne
amorosa luogo di madre; perdendoti come tu fossi morta, non potessero
darsi pace, e morissero anch'esse di dolore: tu sapendolo là dentro,
(e lo saprai perchè, in quei chiostri solitari, dove non si fa altro
che patire e pregare per tutti i peccatori della terra, il cuore parla
la verità); ebbene non ti sentirai pigliare dallo sgomento di aver
fatto tanto male, d'avere aperto tre tombe ai tuoi più cari?»

La fanciulla ruppe in pianto, e le lagrime le caddero per le guancie
sul seno affannato. Di che il frate mutò subito la voce e gli atti, e
fattosi dolcissimo, soggiunse:

«Vedi? Oh, io lo so molto bene come sono fatti i vostri cuori! La
solitudine, il chiostro, illusioni; ma l'obblio delle case nostre, dei
nostri affetti, siamo sicuri di averlo acquistato? Non parlare più,
per ora, di monastero. Se Dio ne' suoi consigli t'avrà chiamata; quei
consigli non mutano, e te li significherà meglio, domani, tra un mese,
tra un anno, quando a lui piacerà... Oggi tu devi essere savia, avere
più fiducia nel mondo..., voglio dire ne' tuoi..., in tuo padre..., in
me se mi degni...: insomma se t'ho a dire la verità, io temo che tu
non mi dica nè tutto nè metà di quel che dovresti, ad uno cui domandi
aiuto; e se debbo andarmene, io me ne vado...»

E fece atto di partire.

«Oh! no, padre,--sclamò Bianca rattenendolo colle sue candide
mani;--non se ne vada, per amor di Dio! Adesso mi pare che avrei a
dirle tante cose; ma ho un cerchio al capo, un cerchio come di ferro,
di fuoco, e tutte le mie idee mi sembrano svanite...

«Via,--disse il padre Anacleto, segnando col dito il cuore della
fanciulla;--le tue idee svaniscono, ma non svanisce quello che tu hai
costaggiù. Dimmi il vero, Bianca, dimmelo che darai gloria a Dio! E
perdonami se io entro in te, ma lo fo pel tuo meglio...; dimmelo, tu
vuoi bene a qualcuno...»

Il fiore di melagrano appena sbocciato è una pallidezza, paragonato al
rossore di cui la giovinetta si tinse. Ma non fece segno di voler
celar l'animo; chè anzi guardando il frate umilmente, e rifatta
pallida, pallida, chiese sommessa: «È forse male?

«Male..., male no!--rispose il frate--anzi dirò che il voler bene,
come comanda Dio, viene da gentilezza di cuore... Ma alle volte,
questo benedetto cuore, inesperto, s'apre ad affetti, che poi si
mutano in pentimenti...; e ora che ti guardo meglio, mi pari così
diversa da quella di prima, che io temo tu non abbia posto amore in
qualche uomo indegno di te...

«Indegno?--proruppe Bianca facendosi tutta fuoco, e atteggiandosi che
non pareva più una fanciulla timida ed oppressa, ma donna forte da far
valere la verità:--Se ella conoscesse quel giovane, non avrebbe detto
questa parola!»

E rimase guardando il frate, le palpebre abbassate un tantino, e il
labbro sporto sdegnosamente, come chi ha detto, e non vuol udir altro.
Ma il frate senza scomporsi:

«Questo tuo sdegno nobilissimo mi persuade ch'egli sia giovane
dabbene; e se le mie parole t'avessero offesa, me ne dorrebbe assai.
Ma noi si fa sempre e si dice in fin di bene, e se tu vuoi che io ne
parli a tuo padre, dimmi il nome...

«Oh! no, no, per carità,--interruppe la giovinetta--non dica nulla!
Mio padre mi ha detto un giorno che se sapesse che io voglio bene a
qualcuno, egli sarebbe uomo da farlo ammazzare...!

«Bah! Sono cose che si dicono nella collera! Sta di buon animo, la mia
fanciulla, che tutto si accomoderà secondo il volere di Dio...

«Ma mio padre m'ha promessa ad un altro...!

«E tu fagli bel viso, che alla fine delle fini non è un tiranno! Forse
io sono destinato a ricondurti la gioia in casa... Ma tu hai un torto,
un torto grave...; non m'hai voluto dire quel nome... eppure me lo
dirai, lo saprò; oh! lo saprò e forse lo so fin d'ora...»

Se il signor Fedele non fosse entrato a rompere quel discorso, Bianca
avrebbe di certo finito per dire quel nome, che d'altra parte il padre
Anacleto sapeva da sè. Ingenua e col cuore traboccante di dolore,
stava per isfogare la sua grande passione, messa in vampe dalle parole
del frate, come brace sopra cui si scarichi improvvisa una buffa di
vento.

«Padre,--diceva il signor Fedele, facendosi sull'uscio della
cameretta;--oggi lo vogliamo a far penitenza con noi. Bianca, a
momenti s'entra in tavola, prega il signor padre a volerci degnare.»

Bianca, che a veder comparire il padre suo, s'era rifatta sopra sè
stessa, rivolgendo timidamente gli occhi alla campagna; stupì del modo
di quegli inviti, che tornava così diverso dai trattamenti avuti
un'ora prima. Il frate, scostatosi da essa, si fece far largo
dolcemente dal signor Fedele, per uscire, e gli susurrò all'orecchio:
«M'hai disturbato; ma va e sii dolce; col miele si pigliano l'api»--E
gradino, gradino discese in sala.

L'altro, che a quelle parole fece tra sè e sè conto di rimettersi
tutto nel frate; mosse verso Bianca, e vezzeggiandola, come non aveva
mai fatto, le prese la mano, e menandosela dietro amorevolmente,
diceva:

«Vieni, Biancuccia, che tu hai a fare gli onori di casa al padre
Anacleto; mangeremo un boccone in santa pace ed allegria; poi sarà
quel che Dio vorrà. T'ho maltrattata stamattina, ma quei villani
m'avevano fatto perdere il capo..., vieni...»

La fanciulla, si sentì come a cascar di dosso la gramaglia, e mutarsi
in una veste di tutti i colori più belli. A lei sorrise l'anima, a lui
sorrisero le labbra; e come se nulla fosse stato dei lunghi bronci,
discesero anch'essi in sala.

Trovarono la cieca, Margherita, col padre Anacleto che pareva stesse
dicendo loro le sue più dolci parole; ma costui quando li vide venir
dentro, bilicata tra l'indice e il pollice della destra la sua
tabacchiera, e facendole fare mulinelli, mutò discorso giocondamente.

«Dunque,--diceva--oggi m'ho a fermare a far penitenza con voi? Sarà
una penitenza assai dura a quel che sento nell'aria; ma cogli amici
ogni patire torna godimento...

«Sempre gaio il padre Anacleto!--diceva damigella Maria, la quale chi
sa quel che avrebbe dato, per vederlo un istante in viso.

«L'animo lieto fa l'età fiorita!--rispondeva egli: lo dice Salomone.
Ed essa:

«Mi vuole a lato?

«Sì! e vedrò di raccontarvi qualche istoria che vi tenga allegri...

«Allora entriamo a mensa;--disse il signor Fedele--e ad uno ad uno
come fanno i frati: dico bene padre?

«Ad uno ad uno, a far penitenza...»

Così rispose il frate, ed entrarono nella stanza, dove avevano messo
in tavola. Questa era un po' angusta, ma ariosa, e per la gran luce
che vi veniva dentro da due finestre, pareva la sede dell'allegrezza.
Pigliarono ognuno il suo posto; e Bianca quasi non rammentò d'essersi
seduta là tanti giorni, per inghiottire bocconi amari. A tutti
sembrava d'uscire da un inverno tetro e caliginoso, e che allora
appunto il tempo si mettesse alla più bella primavera del mondo.

Mangiavano, bevevano, chiacchieravano in un dolce abbandono d'ogni
cerimonia: e dissero a lungo della gente, mossa quella mattina contro
i Francesi. «Chi sa dove saranno...? a quest'ora avranno fatto sosta
qua, l'avran fatta là...; da C..., da M..., da A..., chi sa quanti ne
saranno andati? Forse i tali..., forse i tali altri...?» E poi
strologarono sul tempo che sarebbe durata l'impresa; e giù altre
congetture, altri presagi, che tutti venivano chiusi, come i salmi dal
gloria, con un: «sarà fatta la volontà di Dio!» detto dal padre
Anacleto devotamente. Così l'ilarità, e le piacevolezze, durarono
tutto il tempo del desinare; il quale fu lungo e inaffiato di vini
deliziosi, che il signor Fedele teneva riposti chi sa da quanti anni.
Ma come ogni cosa in cui si pigli diletto ha presto fine; così venne
l'ora di levarsi da mensa, e il frate si ricordò di aver da tornare al
convento. Il signor Fedele volle accompagnarlo, e Bianca chiese di
seguirli. Allora preso commiato da damigella Maria e da Margherita, il
padre Anacleto uscì con essi; e s'avviarono passo passo, al dolce
calore del sol di maggio, che tramontando alle loro spalle, stendeva
le loro ombre lunghe lunghe, ora sulla via, ora sulle prode dei campi.

Come furono in parte, dove l'andare si faceva disagevole, si
congedarono a vicenda con inviti e promesse per l'indomani; e il frate
volte le spalle, si mise a camminare spedito per un sentiero traverso
che menava al convento. Bianca gli guardò dietro mentre egli
s'allontanava, e le pareva sentirsi venir meno un grande aiuto;
timorosa di rimanere sola col babbo, che forse le avrebbe chiesto del
colloquio avuto da essa col padre Anacleto. Ma egli fu contento di
sbirciarla sorridendo, e nel tornare a casa, le parlò di tutt'altro da
quel che essa temeva; non volendo rischiarsi a guastare l'opera, a
quel che pareva, bene intrapresa dal frate.

Intanto, Margherita dalla finestra stava a vedere, e diceva alla zia i
loro passi. Quando il padre Anacleto fu per uscirle di vista, in capo
a quel sentiero grigio, che si perdeva nel bosco, essa si volse alla
cieca dicendo:

«Ecco; il padre Anacleto non si vede quasi più; entra nel bosco... è
scomparso.

«Santo uomo! che Dio lo benedica:--disse la cieca--proprio possiamo
dire, che se la pace e la concordia ci tornano in casa, è merito suo.

«E babbo e Bianca, sono costaggiù che tornano; e discorrono
amorevolmente fra loro.

«È un miracolo, Margherita, un miracolo! E se dura vogliamo andare di
notte, bell'e in mezzo al bosco dei frati, a far la novena intorno
alla cappelletta di San Francesco. Tu e Bianca mi condurrete...

«Di notte nel bosco? Vi sono l'anime dei morti che singhiozzano sulle
querce?

«Sono assiuoli e non anime di morti! Chi ti mette codeste ubbíe in
capo? Eppoi pregando non s'ha a avere paura di nulla, perchè l'angelo
custode ci sta sempre allato...»

In quel momento rientrarono Bianca e suo padre. La fanciulla era
malinconica; ma come persona uscita di malattia che cominci a riavere
la salute, mostrava a tratti qualche movenza allegra. Egli parlava a
tutte e tre riguardoso, sempre temendo di rompere quella sorta
d'incantesimo fatto dal frate; e quel giorno principiato nei trambusti
e nel pianto, finiva per le loro quattro anime come per l'erbe dei
campi e per gli augelli dell'aria, ai quali un tramonto dorato,
prometteva per l'indomani un mattino di luce e d'amore.

Il padre Anacleto poi, giunto al convento che era l'ora d'andare in
refettorio a cenare; per non farsi scorgere, s'andò a sedere al suo
posto: ma com'è da pensarsi non prese nulla. Per ingannare quei
momenti, si pose a guardare un affresco, che era in fondo alla sala,
sopra la sedia del guardiano; e doveva rappresentare una cena, fatta
tra San Rocco e non so quali altri santi. Dico così perchè di
quell'affresco, sopravanzano pochi bocconi, essendo caduto l'intonaco
del muro su cui era dipinto: ma una testa pennelleggiata assai bene;
una spalla coperta di un sarrocchino sul quale spicca una conchiglia
che par vera; un boccale e un piatto di verde sulla mensa danno a
capire che in quella pittura si stava mangiando.

Pieno di pensieri, per la famiglia, dal cui desco s'era levato
poc'anzi, il frate lasciò correre la mente ai parchi desinari fatti
dagli Apostoli in casa d'amici, dove capitavano a consolare qualche
afflitto od a soccorrerlo di loro consigli. Quasi quasi osava
somigliare sè stesso ad uno di quelli; e di certo si tenne d'aver
fatto in quel giorno molto bene il debito suo. E si ringalluzzava
tutto, pensando che il pievano di D..., avrebbe potuto dire di
Giuliano, che la pena per lui, teneva dietro alla colpa assai da
vicino: e non vedeva l'ora di potergli scrivere che aveva scampata
dalle insidie del demonio una giovane innamorata di quel suo
parrocchiano senza legge e senza fede.




CAPITOLO VIII.


In iscambio don Apollinare si trovava a certi passi, che non era il
caso di poter pensare nè al padre Anacleto, nè a Giuliano.

I monti sui quali lo abbiamo lasciato colle turbe di Val di Bormida,
in capo a quattro o cinque giorni, formicavano, come vi si fosse
raccolto un esercito di barbari; pronti a calare dove loro fosse
venuta bene la preda, per portarsela a quelle sedi alpestri e selvose.
Aveva durato a venirvi gente dalle più remote parti delle Langhe; nè a
ricordo d'uomini nè di libri, s'era visto nulla di simigliante. Lassù
tutto era andato sossopra, rocce, zolle, alberi per far terrati e
ripari: e come a star all'aperto, dì e notte, si diventa industriosi;
con certi graticci che sapevano intrecciare assai bene, i boscaiuoli
avevano fatto baracche pei capi, i quali dando pochi quattrini
cansavano le infreddature. E questi capi erano tanti, che le baracche
crebbero di numero, quasi da togliere a quelle montagne l'antico
aspetto foresto.

Gli abitanti della marina là sotto, avevano paura di quelle plebi più
che dei Francesi già vicinissimi; e ogni mattina guardavano se vi
fossero ancora, e mandavano sui monti messaggi d'amicizia, e saluti, e
notizie grosse; per tenerle all'erta, che ad esse non venisse il
grillo di calare nei loro borghi, a farvi chi sa che tragedie. Le
turbe ricambiavano i saluti, e invece di pensare a discendere laggiù,
compiangevano chi vi stava.

Talvolta vedevano navi passare in vista facendo segni con bandiere; ma
in quel pararsi di tanti colori non ci capivano nulla. I capi si
strappavano fra loro i cannocchiali, e per non essere scortesi
rispondevano a quei saluti, bruciando cataste di legna, da mandarne le
fiamme alte come d'incendi.

Un di quei giorni erano capitati lassù alcuni uffiziali, dai campi
alemanni e piemontesi, posti lontano poche miglia giù verso il mare.
Veduto in qual conto s'avessero a tenere quelle strane milizie, e
fatta correre la voce che fra breve tempo si sarebbero viste alla
prova; se n'erano ripartiti, a quel che si sapeva, ben edificati del
loro contegno. E in verità quella lode soldatesca era meritata; perchè
durava l'ardore col quale s'erano messe all'impresa di difendere il
trono e la religione: e la meglio parte di quella moltitudine,
allevata alla vita travagliosa dei solchi e delle selve, non badava ai
disagi. Mangiavano i neri pani che s'aveano recati nelle bolge; le
quali portate, come usa da quelle parti, che una ne pende sul petto
un'altra sul dorso, e bianche di colore, avevano l'aria d'assise
bizzarre. Bevevano l'acqua pura delle fonti, per quelle montagne
copiose e frequenti; e se alcuni serbavano qualche goccia di vino nei
barletti, era per berlo e confortarsi, dove per mala sorte avessero
toccata qualche ferita.

All'alba si levavano in piedi, liete come se nulla fosse stato della
guazza, e delle brine che talvolta anco in quella stagione, il vento
frizzante dell'Alpi porta nella contrada; dicevano ad alta voce le
orazioni del mattino; poi facevano d'ogni sorta d'esercizi, visti a
fare ai soldati. Due volte il giorno, i preti predicavano da qualche
poggio ognuno alla sua compagnia; e parlando di Dio e del Re, tenevano
deste le ire, e il desiderio di dar dentro a menar le mani in guisa,
che dopo ogni predica le montagne suonavano di grida altissime, di
strage e di vendetta. Non sapevano bene, ma tutti accozzavano nelle
menti torbidi pensieri di religione, d'empietà, di re e di patiboli; i
più ardenti aizzavano coi discorsi i compagni; chetarli era gran
fatica; e ad ogni tratto si tornava da capo. Presi così alla grossa,
s'accostumavano a quella vita assai bene.

Ma a don Apollinare, e a molti altri che avevano viso di condottieri,
l'ore cominciavano a parer lunghe. Quattro giorni di disagi, erano
stati d'avanzo a fare dar giù il bollore ai loro spiriti; e la
prontezza d'animo con cui s'erano mossi, cedeva un po' ogni giorno,
alla stanchezza in tutti, in molti alla noia, in taluni alla paura.
Perchè agli altri guai s'era aggiunta la vista di soldati regi ed
imperiali; i quali passavano per quelli alpestri sentieri, tornando
feriti o malconci dalle scaramuccie, che seguivano giù giù, tra quel
d'Oneglia e quel di Loano. I poveretti camminavano da sè a fatica, o
portati da certi muli, spasimando, ogni poco, per i squassi crudeli:
ed erano quali mesti, quali baldanzosi, alcuni bestemmiavano, altri
mostrando le ferite toccate, dicevano a quelle genti affollate a
vedere, come laggiù laggiù, di palle e di baionettate i Francesi ne
avessero in serbo anche per esse. Quelle parole non erano atte a
sgomentare la moltitudine; ma i capi ponendo gli occhi stupiti in
quelle piaghe mal fasciate, si sentivano frizzare le carni; e
pensavano alle famiglie, ai quieti piaceri, ai loro villaggi, nei
quali avevano vissuto sino a quel punto, cullati da quel buon popolo
che gli adorava e temeva, e lassù si sarebbe fatto in pezzi per essi.
Volgendosi addietro, potevano vedere i loro campanili biancheggiare
lontani a poche miglia, e si lasciavano cogliere dalla nostalgia; la
malavoglia cresceva; ma non v'era chi osasse primo abbandonare la
spedizione, per non parere da meno del vicino o del rivale in amori o
in averi. Pregavano, ognuno in suo cuore, che la ventura cui s'erano
messi, un po' per forza un po' per genio, volgesse in qualche guisa al
suo compimento; pur di cavarsela colle ossa e colla riputazione
inoffese, quasi quasi avrebbero fatta la pace colla repubblica di
Francia.

Mattia mostrava in quei giorni d'aver animo più alto del suo padrone;
e se ne stava lassù colla testa su due guanciali, come il maggior
pericolo fosse stato quello di vedere il mare levarsi a quell'altezza,
e d'affogarvi dentro. Stato uomo da sbarragli tutta la giovinezza,
stimava cose da beffe le brighe presenti; e il suo più gran da fare,
era di reggere il cuore al pievano. Il quale per tenerselo amico, gli
dava a mangiare i polli arrostiti, che il Rettore di Montefreddo
faceva portare dalla sua cura poco discosta; e il sagrestano ben
pasciuto, sempre lieto, sempre ritto, pareva l'anima dello stormo di
D.... Lassù nessuna molestia per lui, nè di famiglia nè di mestiere;
non campane da suonare, non ceri da accendere, non morti da
seppellire: e se pure di questi un qualche giorno ve n'aveva a essere;
tra l'averli nudi, avvolti in un lenzuolo, e vederseli ai piedi
vestiti e non frugati, ci correva la moneta che avrebbe trovata nelle
loro saccoccie. Eppoi lassù non aveva quella noia della moglie, e
quell'altra di gente cui dovesse roba o danaro; mentre a D...., eh! a
D.... erano litanie che non finivano mai.

Stava egli adunque in barba di miccio; ma la quinta notte, dacchè
campeggiava lassù colle turbe, gli avvenne caso da fargli dire, che
proprio gente contenta sulla terra non ve ne può durare.

Sedeva col dorso appoggiato alla capanna che aveva formata pel
pievano; e faceva la guardia, come l'altre notti, perchè questi
potesse dormire tranquillo. Tenendosi desto a fatica, guardava i suoi
compatriotti addormentati là intorno; e colla mente che gli pareva
avere avvolta di nebbia, pensava: «Eh! Mattia, chi direbbe, che dei
parenti di costoro ne hai messi nelle buche le centinaia! Centinaia?
Altro che centinaia! di certo non durerai da seppellirsene
altrettanti...»--E provandosi a contare, rammentandoli, i morti che
aveva sepolti in sua vita; non riesciva alle due dozzine che la testa
cominciava a cascargli, or su l'una, ora sull'altra spalla, or sul
petto; e allora si scuoteva, tossicchiava, e badava alle stelle se
indovinasse l'ora.

Una di queste volte, alzando il capo, si vide là ritto dinanzi un
uomo, che appoggiate le mani su d'un lungo e grosso bastone, sulle
mani reggeva il mento, anzi si poteva dire la persona, a vedere come
vi pesava sopra curvo ed intento.

«Fatti in là che così desterai il pievano!--sclamò Mattia,
rabbioso--chi t'ha creanzato?

«Mattia, a qual giuoco abbiamo fatto sino ad ora?

«A qual giuoco? Ognuno secondo le carte, io per esempio faccio la
guardia al signor pievano....

«Ed io la faccio a voi; perchè i desinari, le cene, le paia di
capponi, ed anco le doppie che aveste da me, stanotte ve le farò
costar care, se non mi menerete a cavare il tesoro, che m'avete
promesso mille volte....!

«Oh! siete voi Zirione?»--disse Mattia fingendo le meraviglie; e
levatosi in piedi fece segno di voler tirare in disparte il villano,
che don Apollinare non avesse a udire quei suoi imbrogli. Ma l'altro,
piantato come era là innanzi, mosse al tirar di Mattia come a un
soffio di vento, e soggiunse tentennando il capo:

«Sì....! fate le viste di ravvisarmi adesso...! Io invece penso a voi
da tre giorni; e non ho fatto che misurare cogli occhi le distanze dai
nostri monti a questi; mi sono messo in tutte le posture, e ho capito
alla fine, che noi siamo appunto su quelle cime che voi mi additavate
dicendo che erano la nostra Spagna, che vi era un tesoro, e che un
giorno o l'altro ci saremmo venuti.... Eccoci.... ci siamo, e il can
per l'aia non lo meno più.... Poche parole! se il tesoro l'avete
cavato voi, datemi la parte mia....

«Ah!--sclamò Mattia mostrandosi offeso:--se non mi stimate più per un
galantuomo, allora....!

«Galantuomo? Ebbene se lo siete...., il tesoro l'andremo a cavare
insieme e adesso....

«Ma non pensate, che bisogna avere un palo di ferro, una marra, un
diavolo che ci porti voi e me?

«L'ho qua io l'arnese....; ci aveva pensato....»

Mattia guardò il bastone su cui il villano si reggeva, e vide che era
un badile. Si pentì allora della magra scusa trovata, e con aria di
voler capacitare l'altro, diceva: «ma.... vedete, amico....

«Che amico!»--interruppe costui, facendo mazzo delle dita e
picchiandosi sulla saccoccia del panciotto, dove aveva un gruzzolo di
monete che suonavano assai chiaramente:--i miei amici sono questi! e
voi li conoscete, perchè a furia di merende e di presti, mi costate
più d'un paio di bovi....!»

Al suono di quelle monete, Mattia aveva veduto i milioni di scintille,
come se gli avessero dato le ditate negli occhi; e da uomo esperto a
trovar modo di scroccare il prossimo, nella mente le aveva già fatte
sue. Nè sarebbe rimasto dal suo proposito, se lo stesso pievano fosse
uscito dalla capanna, a pronosticargli che sarebbe morto nell'impresa.

«Date retta,--disse al villano--quando si fanno le cose, ci si deve
aver pensato prima e bene. A trovare il tesoro, gli è come a trovare
giù nella terra le sorgenti d'acqua... A questo son buoni i nati a
sette mesi....; a trovare il tesoro ci vuole qualche altra virtù....;
per esempio, la pietra del fulmine dà soventi nei campanili
nevvero?..... ecco..... così oro fa oro..... e a scoprir il punto
della terra dove si sa che dev'essere un tesoro nascosto, bisogna
avere oro in mano, perchè tra questo e quello corrono misteri che ora
non vi posso dire...; basta! verremo un'altra volta.... porteremo con
noi qualche collana, qualche anello, vostra moglie ne avrà...»

Il pover'uomo infinocchiato a questo discorso, pose la mano sulla mano
di Mattia quasi per rattenerlo, e disse pieno di speranza:

«E se fosse oro di moneta?

«È sempre oro!--rispose grave Mattia.

«Eccone qua!--soggiunse l'altro affrettandosi a picchiar di nuovo
sulla saccoccia.

«E quanto avete?--chiese il sagrestano, cui cresceva in bocca la
saliva e la lingua.

«Dieci doppie!

«Possono bastare:»--degnò di dire lo scaltro--ci proveremo...: un
momento e sono con voi....»

E messa la testa nella capanna, udito che il pievano dormiva della
migliore, tolse l'aspersorio, e il breviario, se li cacciò sotto il
giubbone, poi data un'occhiata alla giumenta se fosse legata per bene,
arzillo e gaio, disse al villano: «andiamo.»

Si misero in cammino che era l'ora di mezzanotte, cauti, e cansando le
sentinelle che vegliavano ai varchi, all'usanza dei soldati. Mattia
aveva gran pratica dei luoghi, essendovi passato assai volte da
giovinotto, per servizio di quel tal marchese; il quale soleva
spacciarlo ai suoi nobili amici della riviera e massime d'Albenga, con
presenti di selvaggina o di primizie dei suoi poderi. Di che non durò
fatica a uscir dal campo inosservato, col suo compagno; e discesa la
costa meridionale del Settepani, andando ruzzoloni parecchie volte,
giunsero alle ruine d'una torre che guerniva una gola ai tempi degli
Spagnuoli, e si chiamava la torre di Melogno.

«Segnatevi--disse basso Mattia--qui v'ha sempre qualche spirito...»

Il villano si serrò a lui segnandosi tre volte; ed egli strizzando
l'occhio, come a qualcuno che fosse d'accordo con lui nelle tenebre,
disse tra sè: «l'uomo è nostro!»

Di là a pochi passi furono alle falde di Montecalvo; la vetta del
quale essendo deserta, Mattia l'aveva scelta per compiervi il
maleficio. Il monte a guardarlo da certi punti ha l'aspetto d'un
cranio smisurato; e forse aveva questa immagine in capo, chi prima gli
diede il nome. Squallido, ignudo, con due cavità che formano le
occhiaie, sembra contemplare il golfo di Genova che gli stà dinanzi.
Nell'ora in cui Mattia e il suo compagno camminavano; essendo la notte
senza luna, non appariva altrimenti che una mole oscura, la quale a
chi avesse voluto salire in cima riusciva difficile e faticosa.

Cominciarono a inerpicarsi per un sentiero ronchioso, angusto, a ogni
tratto ingombro di rovi; e si valevano quasi ad un modo dei piedi e
delle mani. Mattia raccomandava all'amico di star zitto e di tenere il
fiato: il poveraccio, quanto al parlare aveva tutt'altra voglia e
obbediva; ma quanto al fiato gli si veniva facendo sì grosso, che più
non sarebbe stato se avesse patito d'asma.

Erano più che a mezza costa, quando udirono uno scoccar d'ore
dall'orologio della parrocchia di B...., piccolo villaggio che siede
sul fianco delle montagne dalla parte di mezzogiorno. Quel suono
improvviso fece dare un gran giro al sangue del contadino; il quale
osò chiedere a Mattia, da qual campanile venisse.

«Da B....--rispose questi--Come vi sentite? Riposiamo un tantino, date
qua le monete, e non abbiate paura....»

Il villano porse il borsellino, senza dire parola, poi ripresero a
salire: ed egli non udiva altro che la pedata di Mattia; il gran
battere del proprio cuore; e dietro, in lontananza, il grido misurato
e lamentoso delle sentinelle paesane, che gli tornava dolce come di
voci amiche. Mattia, tenendo in pugno il gruzzolo, coll'unghia del
pollice contava le monete.

Alfine toccarono la vetta del monte; dove bisognando risolvere in
qualche maniera l'impresa, il sagrestano si fermò, e guardò l'amico
per capire di che animo stesse.

«Eccoci sul posto!--bisbigliò--ancora pochi passi e saremo sopra il
tesoro: ma vogliono essere fatti in punta di piedi..., animo, non
abbiate paura, venite....»

Fatti que' pochi passi ch'ei volle, con gran rispetto come camminasse
su l'ossa dei morti; si volse a un tratto al compagno, e con voce
commossa, gli disse: «animo, animo! che tutto questo è nulla!» Poi lo
prese per un braccio, lo fece girare tre volte sopra sè stesso, e
colla mano tesa gli segnò intorno l'infinito tenebroso, soggiungendo
cupo:

«Siamo in mezzo a tre vescovadi: Mondovì.... Albenga... e Savona.»

Sagrestano da più che quarant'anni e seppellitore di morti, Mattia
sapeva, occorrendogli, pigliare un'aria mistica o paurosa. Aveva udito
cento volte, alla spiegazione del Vangelo, come un giorno il diavolo,
condotto Gesù sulla cima d'un monte, gli avesse mostrati i regni della
terra; ed egli vecchio profanatore di tombe ed altari, prese
l'atteggiamento di Satana, quale se l'era sempre immaginato. L'amico,
che aveva lasciato cadere il badile, lo guardava senza muovere costa;
e sentiva farsi alla fronte e giù per la schiena un senso, come stesse
per pigliargli male. Mattia cavato di sotto i panni il breviario, che
nell'oscurità pareva un mattone, glielo pose aperto tra le mani
tremanti, e cominciò un brontolio di salmi, che guai a lui se l'avesse
udito don Apollinare, tanto era scellerata la sconciatura delle parole
latine. Il villano, credendo che Mattia leggesse davvero nel libro che
ei gli teneva aperto dinanzi a mala pena; non osò neanco chiedergli
come potesse vedere in quel buio: la sua fantasia s'accese via più; le
orecchie gli fischiarono quasi ci avesse dentro due serpi; a tratti
avrebbe giurato di vedere bagliori grandi, e di udire qualcosa che
s'appressasse: e tremava a verga a verga.

Mattia s'avvide come il tapino stesse per isvenire; e levato in alto
l'aspersorio, per dargli il tuffo, segnava a destra ed a manca croci e
crocioni, mormorando certe parole da incantesimi; quando un grido come
d'uomo irato, gli ruppe l'atto e la voce. Quel grido, un rumore d'armi
e di passi frettolosi, gli parvero la cosa più terribile che avesse
intesa in sua vita; e di subito, pensando d'essere cascato in mano ai
Francesi, si buttò per disperato a fuggire, verso la parte per cui era
venuto alla ribalderia.

Il compagno correva più di lui; ma erano inseguiti, e assai da vicino.
«Ferma! ferma!» gridavano alle loro spalle, molte voci straniere; e
alle voci s'aggiunse una schioppettata, e una palla fischiò tra i due
malcapitati, che entrambi credettero d'averla nella nuca, nelle
spalle, nelle reni ad un tempo. Mattia aperse le braccia, cadde sulle
ginocchia, chiuse gli occhi, e sclamò: m'arrendo! signori Francesi,
m'arrendo! Sono cristiano anch'io!»

Egli s'era sentito afferrare, come da mano poderosa, per la lunga
coda, e udendo le pedate del compagno che fuggiva libero senza darsi
pensiero di lui, lo maledisse. Poi alzò gli occhi adagio adagio..., e
non vide nessuno: fece atto di levarsi in piedi, nessuno lo teneva...;
s'accorse che la coda gli era rimasta intricata in un roveto, la
districò; e raccogliendo nel petto tutta la forza e tutta la baldanza
che potè:

«M'arrendo un fico!--proruppe--neanco se fosse qui tutta la Francia,
no!»

E via, di quella gamba che è facile a immaginarsi ripigliò la fuga. Ma
una bocca di schioppo gli chiuse la via; un'altra se ne vide alle
tempia; in un fiato si trovò affollato, agguantato nel petto,
squassato da averne schiantati i visceri fosse stato un elefante;
dieci voci gli suonarono intorno, e di quelle non capì altro che
d'essere caduto in mano agli Alemanni, e che era preso per uno
ispione.

«Io spione?--gridava arrangolato--io spione? Io sono il sagrestano di
D.... e ho servito a mensa le loro signorie in casa al mio padrone.
Signori generali, badino per carità, io sono un amico..., sono qui per
loro servizio.»

Aveva un bel dire, ma quei feroci non capivano; e per farla finita col
suo molesto vociare, uno d'essi che pareva il capo, dandogli una gran
palmata sulla bocca lo fece star zitto. Egli tacque; e per non buscar
la seconda, si lasciò trarre verso la banda opposta a quella, che
aveva pigliato fuggendo.

Erano davvero Alemanni, andati in pattuglia fuori del campo, che
(indietreggiando sempre coll'esercito Sardo) avevano posto, sul far di
quella notte, vicino al Finale. Costoro smarrita la via per le alture,
non sapevano neanch'essi in che modo erano capitati lassù, a cogliere
Mattia nel meglio dell'opera sua. Camminando un po' a spintoni, un po'
trascinato, il pover'uomo apprese come il meglio a farsi, fosse porre
il cuore in pace; e pensò che alla fin fine l'avrebbero condotto a
qualcuno dei capitani, dal quale si sarebbe fatto riconoscere per quel
che era. Allora, alla peggio, stato un par di giorni fra gli Alemanni,
potrebbe tornarsi libero a rivedere i suoi compaesani; e già pensava
le spacconate e i modi di ricattarsi dei disagi sofferti, colle doppie
del compare scampato. Qui tremando non venisse in mente ai soldati di
frugarlo, si faceva docile, bonino, pronto in tutto ai loro voleri. Ma
poichè, fu nel campo Alemanno, il guardare oltraggioso dei soldati che
erano ai posti staccati, fece vacillare le sue speranze. Sebbene non
facesse peranco l'alba, fu tratto al cospetto d'un generale, raccolto
a consiglio coi capi, in una capanna da boscaiuolo. E questo generale
era lo stesso che aveva svernato a C..., e desinato a D..., in casa al
pievano. Mattia ravvisò lui e parecchi degli ufficiali che stavano là
dentro; ma o la sua cera non piacesse al generale, o questi trovasse
buono scaricare sopra un poveraccio le molte ire, che gli si andavano
raccogliendo nell'animo, pei rovesci patiti nell'infelice difesa della
riviera; lo strapazzò nelle guise più aspre; e volle che lo si
giudicasse lì per lì, coi modi di guerra.

Povero Mattia! A vederlo pregare, piangere, proclamarsi più Alemanno
degli Alemanni, chiamando in testimonio i Santi e Dio; qualcuno degli
astanti si sarà sentito annodarsi il cuore; ma niuno osò parlare, par
salvarlo. E buon per lui che d'improvviso s'udirono cavalieri per
l'erta a spron battuto, venir annunziando, che laggiù oltre il Finale,
i Francesi giungevano grossi all'assalto; e che le ordinanze Sarde,
impotenti a reggere, già balenavano. Egli benedisse i repubblicani,
pose in essi le sue combattute speranze, e quasi non credette a quella
novella.

Ma era la verità: e l'alba che soleva vedere quel mare, coperto di
burchielli, governati da pescatori mattinieri; quella spiaggia viva
per frotte di donne intente a tirare le reti; quei colli popolati di
gente affaccendata all'opere degli olivi; per tutto pace, canti e
lavoro, a dar gloria a Dio padre! l'alba spuntava sopra quel lembo di
terra, aspettata dagli uomini pronti a sgozzarsi.

Infatti giù giù, verso il mare, era cominciato il trarre delle
artiglierie, cui rispondeva in guisa formidabile l'eco delle montagne,
come si fossero accozzati là sopra tutti i tuoni del cielo. Il suono
dei tamburi pareva un brontolio monotono; le trombe squillavano con
certa rabbia guerriera; i Piemontesi davano dentro nella mischia per
disperati. Gli Alemanni si schieravano, si serravano, guardavano i
viluppi di fumo che parevano segnare l'avanzarsi dei Francesi; in
breve ora furono anch'essi tirati nella battaglia; e tutto divenne
offese, strage, a ferro, a fuoco, a pietrate, di che quelle rupi
andarono sanguinose.

Mattia, sbalestrato di qua e di là, di su di giù, ora in mano degli
Alemanni, ora dei Piemontesi; sempre chiedendo giustizia e sempre
beffato e percosso: tentato a più riprese, e invano, di sgattaiolare;
pesto, lacero, senza voce pel lungo sclamare, finì per cadere in man
dei Francesi, con altri prigionieri parecchi. Pensando alle tante lame
che s'era visto balenare sul capo; alle tante palle uditesi fischiare
rasente gli orecchi; e vedendo che la battaglia durava accanita; tenne
per un beneficio del cielo l'essere prigioniero dei repubblicani: ai
quali, per dire il vero, avrebbe un'ora prima avvelenato il cibo,
l'acqua, e sino l'aria se avesse potuto. Menato lontano parecchie
miglia, al primo campanile che gli venne veduto torreggiare sopra una
terricciuola della spiaggia, ricolse il fiato; diede un'occhiata alle
campane e pianse, ma una lagrima sola; perchè i Francesi vincevano, e
parevano risoluti quel giorno, a farla finita coi Sardi, cogli
Alemanni, col diavolo se loro si fosse parato innanzi; e da
prigioniero, sentiva di pericolare meno assai, che da libero colle
turbe, pronte a far testa sul Settepani.

Sul qual monte, sebbene confuso, lo strepito delle artiglierie era
giunto sino dal rompere dell'alba; e aveva riscossa la gente degli
stormi, che rimase in ascolto stupefatta, come di cosa mai più
sentita. Io mi figuro quelle turbe quali fossero, rammentando l'atto
di tale che vidi curvo al cratere del Vesuvio, porgere l'orecchio ai
boati, che s'odono prorompere da quelle profondità tenebrose.

Come furono certe che, essendo il mare tranquillo, quel mugghiamento
non poteva essere che cannonate, s'accesero gli animi; e chi aveva
schioppo si diede a rivedere la pietra, a rinfrescare la polvere nello
scodellino, a contare le palle che teneva in serbo; e gli armati di
falci, ch'erano i più, cominciarono a menare le coti, facendo uno
stridore, che aveva qualcosa di barbarico insieme e di grande.

«Dove sono? gridavano--dove sono gli scomunicati? Vengano, vengano! A
noi toccherà finirli!

«Ed io--giurava uno altamente--se non avrò falciate le gambe a mezza
dozzina di quei basilischi, non tornerò più a casa...!

«Animo!--dicevano da tutte le parti molti che forse da giovani erano
stati soldati;--mettiamoci in ordine; vogliamo darci dentro come a
falciare il fieno! Sangue ha da essere! sangue da vedersi scorrere a
rigagni!

«Ohè! e i signori...? Signori capi, che cosa fanno...? Si va innanzi?
Si va innanzi? Si sta? Che staremo qui a grattarsi le ginocchia sino
al dì del giudizio...? All'armi, da bravi!»

Quelle povere genti, avvezzate da quattro anni a pensare dei Francesi
come di tanti malfattori; aizzate dal pulpito e dal confessionale,
avevano salutato l'avvenimento che s'appressava, come il giorno d'un
gran voto da sciogliere. Il vecchio sangue ligure, sebbene
assottigliato di molto traverso i secoli del feudalismo, tornava a
ribollire nelle loro vene; e le braccia poderose e i petti irsuti,
erano pronti a dare e a ricevere la morte con animo grande. Ma,
vergogna a dirsi! i preti i primi, poi i vecchi gentiluomini, da
ultimo i più giovani, cominciarono a parlar basso, tra loro, a
buccinare freddure, a dar sulla voce ai più volenterosi fra i
popolani: e quando sulle vette di Montecalvo, e nella gola di Melogno,
apparvero i primi fuggiaschi Alemanni, i quali s'affannavano nella
fuga, confusamente; allora quei preti, quei gentiluomini, si
chiarirono donnicciolucce da rocca e da presepio.

«O che i soldati fuggono a quel modo?--sclamava uno che in C..., aveva
carica di seniore.

«E se fuggono i soldati, dovremmo tener testa noi, senz'armi ed
inesperti?--Cosi un altro che in D..., era tenuto in gran conto; e un
terzo a fargli eco:

«Soldati rape, che sanno guerreggiare com'io fare orologi...!

«Ci faremo ammazzar noi, perchè i loro generali non sanno altro che
mostrare i tacchi ai Francesi?

«I Francesi! I Francesi! Eccoli! Eccoli!....»

E qui uno, due, quattro, a pigliarsi la via tra le gambe, chi a
cavallo, chi a piè, senza dare nè udire consigli: e tra i primi Don
Apollinare, il quale, chiesto di Mattia a mezzo mondo, chiamatolo
invano cento volte con quanta voce aveva in gola; aiutato da qualcuno
della sua pieve montò sulla giumenta; e gridando: «vado a far gente,
vado a far gente!» diè giù a rompicollo, pel primo sentiero che gli si
offerse alla fuga.

Dato il mal esempio, le turbe stettero poco a diradarsi. Rimasero i
migliori per animo e per forza; ma anco tra questi, alcuni presero a
dire verità, chiare come il sole che avevano in faccia.

«Gli avete veduti i nostri padroni? Se ne vanno; e noi che utile
abbiamo a star qui?

«A farsi scannare! Forse che non troveremo più posto nelle sepolture
dei nostri vecchi?

«Respingere i Francesi!--sclamava un villano, forte a vederlo come un
leone:--bella parola! Ma, che i Francesi vengono per far male a noi
soli?

«Sì...! quell'ultimo pochino di male, che non ebbero tempo a farci gli
amiconi Alemanni!

«E le donne?--diceva un giovinotto, che aveva viso di essere
ammogliato di fresco:--i Francesi le oltraggieranno!

«O allora--rispondeva un vicino--perchè non si diede addosso agli
Alemanni, che non le hanno rispettate?

«Incendieranno le chiese! uccideranno i preti....!

«Bravi i preti! Gli avete visti? Hanno spulezzato i primi...!

«To, to! guarda da quella parte là di Montecalvo! E laggiù a quella
forra! Sono essi... i Francesi..., gli Alemanni... i Piemontesi...,
tutti! È finita, è finita... scampi chi può... scampi chi può!...»

Fu l'ultimo grido! Quel popolo, così pronto, sofferente ai disagi ed
audace, abbandonato dai suoi capi, non accostumato ad amare la patria,
pensando che la libertà di mangiare pan nero, di bere al pozzo, di
coricarsi sulla paglia, e d'assaettarsi dì e notte a lavorare,
Francesi, Piemontesi, o Alemanni che fossero i dominatori l'avrebbe
sempre avuta; era diventato come un'onda vituperevole di codardi.
Ruppero in fuga disordinata, recandosi tra loro ferite, che peggio non
potevano toccarne dai nemici; non uno ne rimase neanco a vedere se i
Francesi fossero davvero mescolati cogli Alemanni vinti; e quelle vie
fatte nell'andata gridando il finimondo, le affollarono nel ritorno,
portando le novelle più orribili che le loro fantasie potessero
creare.

Il pievano di D..., cavalcando come se avesse inforcato un prunaio,
galoppò, galoppò, galoppò senza dar tregua alla giumenta meschina;
tanto era il battisoffio e l'agonia di giungere al suo presbiterio.
Traversò i villaggi della vallata, non badando a che si parasse
innanzi; e le selci delle vie gettavano faville al suo passaggio, le
donne imprecazioni per i bimbi che rischiavano d'andare schiacciati.
Imprecazioni, inconscie d'essere scagliate a tant'uomo; perchè tale
era la foga di lui, tali gli strappi de' suoi panni; tanto aveva
arruffata la testa per essergli caduto (e non se n'era accorto) il
cappello, che niuno poteva discernere s'ei fosse un prete.

Non s'aspettava di rivederlo così sciamannato donna Placidia, alla
quale i quattro o cinque giorni passati dalla partenza di lui, s'erano
fatti anni, sebbene a vederla paresse tranquilla. E della sua
solitudine, s'avevano preso pensiero la meglio parte delle donne del
borgo, e la signora Maddalena anch'essa, afflitta come era di suo,
aveva deciso quel giorno d'andarla a trovare. Dopo il desinare, non
pensando manco per ombra al ritorno del pievano, messasi in capo la
cuffia, e indosso una guarnacca cenerognola, s'era avviata passo
passo, con molta contentezza di Marta, seccata d'udirsi chiedere da
tutti, se la padrona, non uscendo quasi più di casa, fosse ammalata.

«Gesù--diceva tra sè la signora, soffermandosi per l'erta del
castello, ogni tantino, a ricogliere il fiato,--Gesù come mi batte il
cuore, e come gli occhi mi si fanno torbidi!»

Quetato l'affanno, ripigliava la via. E così stentando giunta in
castello, s'accostò per riposare al muricciolo, che coronava la volta
del colle e guardò l'orizzonte.

La vista dell'alpi le parve bella come non l'aveva vista mai. Oh! quel
Monviso, che sembra il faro del Piemonte, e pare sempre vicinissimo da
qualunque parte lo si scopra; quel Monviso come torreggiava sublime
nella luce del sole, che andava sotto! Come appariva più cupo il
solco, che ha nel fianco, e da lungi somiglia a una crepa, ed è invece
una fondura ampia, selvosa e sonante di molte acque! La donna mesta,
pensava a suo figlio, che forse guardava in quell'istesso momento e
più da vicino il gran monte; e mandò a questo uno sguardo d'amore: poi
come si sentì le lagrime negli occhi, se n'andò diffilata nel
presbiterio.

«O signora Maddalena!»--sclamò donna Placidia venendole incontro, a
passi leggeri come d'un lepre, e tendendole le braccia che apparivano
in tutta la loro esilità, nelle maniche della veste strettissime
secondo l'usanza d'allora:--ha fatto pur bene a venire quassù un poco,
sono così sola che dalla gran noia mi butterei ai pesci....»

E così dicendo, e ascoltando le scuse della signora, la condusse nel
salotto; dove s'era seduta pochissime volte con tanta libertà, e da
padrona come quel giorno.

«Ho pensato--diceva la signora mettendosi a sedere di faccia a donna
Placidia:--ho pensato anch'io, che ella si doveva annoiare, e dissi
tra me: lasciami andare a vedere come sta.... intanto potrò avere
notizie dei nostri paesani, che chi sa in quali acque si troveranno...

«Non ne so nulla io,--rispondeva l'altra:--ma pensiamo un po'; sono
alla guerra e basta! Oh! chi l'avrebbe detto che anche al signor
pievano sarebbe toccato pigliare uno schioppo.... Per me quasi pensavo
sin qui che le fossero cose da celia.... e invece....! E sapesse
quanti ammalati, hanno fatto chiamare mio fratello, di questi giorni!
Pare proprio che si sian data l'ora.... e già ne son morti due lassù
nei boschi, senza prete; e ad uno che era più vicino, sono andata a
raccomandare l'anima io stessa.... l'ho benedetto coll'acqua santa....
gli ho messa la stola sul letto.... mi sono ingegnata....!»

Proprio in questo punto, arrivava don Apollinare grondante sudore, e
colla giumenta ridotta che se avesse avuto a fare un altro quarto di
miglio gli sarebbe cascata sotto. Smontò a fatica, tanto aveva
indolenzite le gambe; e lasciata la bestia che andò da sè nella
stalla, si mise dentro la porta di quel presbiterio, che non gli era
paruto mai così bello, così agiato, così casa sua.

Donna Placidia, fattasi incontro a lui sulla soglia del salotto,
rimase a mirarlo trasecolata, come se egli tornasse dall'altro mondo;
e la signora Maddalena, vedendolo così trafelato, in quell'arnese
gramo; sclamò spaurita: «che abbiamo?

«Guai! guai! guai!--gridò egli lasciandosi cadere sul suo
seggiolone;--guai più grossi di quelli del libro delle sette trombe!
Ma io non so nulla...! Io non sono uomo di sangue.... io sono venuto
via...; perchè..., perchè.... da sacerdote non era al mio posto....

«Dunque i nostri saranno mezzi morti!» chiesero le due donne ad un
tempo.

«Morti?--rispose il pievano--altro che morti! Scriva, scriva al suo
Giuliano, gli scriva che venga a benedire la rivoluzione di Francia!
Sciocchi! sciocchi! sciocchi!...... Basta! sia che Dio vuole, io non
me ne immischio; Placidia, io me ne vado a letto, che non mi reggo
più...!»

A quella tirata di Don Apollinare, la signora Maddalena, rimase
coll'anima come rannicchiata e timorosa. E stava per chiedere licenza
d'andarsene; quando s'udì fuori sul piazzale un gridar forte di donne,
e un piagnisteo di fanciulli, che parevano in grande desolazione.

«Che son già qui i Francesi?» sclamò don Apollinare balzando in piedi;
e Placidia:

«No..., sono donne che vengono a chiedere dei loro uomini....

«Non so nulla.... non so nulla io!.... aspettino e vedranno... vado a
dormire..., non so nulla..., sono ammalato!...»

E senza dire nè ai nè bai, alla signora Maddalena; s'andò a chiudere
in camera, si mise a letto, si coperse di quante coltri e panni potè
trovare; e colla testa tra due guanciali, stette come fosse mezzo
dicembre, non addandosi del calore, della fame, della sete, di nulla.

La signora Maddalena prese commiato da donna Placidia, e lasciolla a
far spallucce colle mani e cogli occhi alzati al soffitto, come a
dire: «rimettiamoci nel Signore». Fuori del presbiterio fu affollata
dalle donne piangenti, alle quali diede speranze e parole cortesi; e
tornò a casa sua pensando sempre a Giuliano; il quale, se un certo
guizzo visto negli occhi di don Apollinare, non mentiva, o prima o poi
avrebbe avuto a fare col prete implacabile. Di che fu persuasa ognora
più, che le bisognava stare tutt'occhi, perchè costui non l'avesse a
cogliere in qualche maniera.

Quella notte poi, e l'indomani, e il giorno appresso, giunsero alla
sfilata quei della pieve, tornati dall'impresa infelice. Ne spuntavano
da tutte le parti; e chi avendo gettate le armi, chi camminando carico
di falci, di forcoli o d'altri arnesi in capo a quei due giorni, tutti
erano rivenuti, salvo che Mattia. Del quale non si riseppe nulla:
perchè il villano che l'aveva visto cadere in mano degli Alemanni, o
paura o vergogna tacque di quella ventura. Pochi si dolsero per lui,
perchè ognuno aveva a rallegrarsi di sè stesso; nè lo pianse la
moglie. Costei, l'aspettò una settimana giusta; e quando le parve
d'avere aspettato invano, sedendo al telaio e pigiando le calcole,
cantò una sua frottola con questo ritornello strano:

    E se non torna il cuculo in aprile,
    È morto è morto, il povero animale.

Non v'era rima; ma essa pigliava diletto a cantare, perchè le pareva
di dire al mondo, che nulla le spiaceva d'essere al buio sulle sorti
di suo marito: dal quale aveva sempre buscato più ceffate che carezze.

A poco a poco il terrore della calata dei Francesi si quetò; e si
rimase nella vallata con questa notizia, che gli Alemanni s'erano
tenuti in forza sui monti di San Giacomo, del Settapani e degli altri,
i quali a foggia di cortina stanno tra le valli della Bormida e il
mare. A quel che si diceva, i Francesi sebbene vincitori, non osavano
avventurarsi di qua dell'Apennino: i popoli respirarono; ognuno attese
a mettere in salvo le cose di pregio; non si vedeva l'ora d'aver
tirato in casa i ricolti; i preti tornavano a predicare la crociata
contro gli invasori ma non erano creduti; e intanto si avanzavano i
grandi giorni d'estate.




CAPITOLO IX.


Sul pensiero che Don Apollinare non aveva peranco smesso il rancore
rimastogli contro Giuliano; nacque nella mente della signora Maddalena
quest'altro, che Don Marco, non essendosi più fatto vivo, avesse
dimenticato lei, il suo figliuolo e il caso doloroso d'un amore, in
cui la sventura pareva aver posta la mano. Fosse stata a vedere come
il povero prete s'annuvolava ogni volta che pensava a queste cose; e
all'animo suo delicato sarebbe parso d'offenderlo, e di aggiungere un
dolore ai tanti che gli contristavano la vita. Egli s'era messo in via
almeno dieci volte, per andare alla villa del signor Fedele, e vedervi
da sè quello di cui non avrebbe osato chiedere a chicchessia: ma non
era mai giunto sino a quella, non potendo vincere una ripugnanza
confusa, che gli nasceva appena arrivato a scoprire la palazzina. Si
soffermava a guardarla, ondeggiava un tantino tra il tirare innanzi e
lo starsi; poi dava di volta e tornava a casa accorato. E in verità,
se il signor Fedele gli avesse chiesto in nome di chi veniva a
mescolarsi nelle cose sue; quale risposta, avrebbe potuto fargli,
sebbene fossero amici dell'infanzia? Forse che istruito di certe
istorie, andava a lui per consigliarlo? Ma questi consigli chi glieli
aveva chiesti? O non v'andando da amico, doveva dire che da prete, gli
recava la parola del Signore? Don Marco non aveva osato mai chiamarsi
ministro di Dio, di cui sapeva tenersi da nominare invano insino al
nome. E così, aggiungendosi che forse la sua visita avrebbe nuociuto a
Bianca; finiva sempre lasciando al tempo che facesse lui.
Quell'Alemanno, coll'essere lontano, si sarebbe fors'anco scordato
della fanciulla; e a conti fatti le gite intraprese verso la
palazzina, s'erano tutte mutate in passeggiate meste e solitarie.

Tornava appunto da una di queste, quando intese che le genti di val di
Bormida rivenivano scompigliate dalla spedizione; e per non vedere lo
spettacolo che doveva essere nelle vie del borgo, si ridusse a casa
per il senteruolo a piè delle mura, fatto altra volta in compagnia
della signora Maddalena. Si chiuse con diligenza, e udendo i briachi
cantare in brigata scempiatamente, accostò gli scurini; poi essendo
l'ora dell'imbrunire, si mise a letto e s'addormentò, con un cuore che
gli diceva cose poco liete di sè, ma anche meno del mondo. Sognò sin
verso il mattino mille mestizie; ma quando fu vicina l'ora in cui
soleva destarsi, vedeva i cieli nuovi e la terra nuova, promessi
nell'Apocalisse. Al rompere dell'alba gli si ruppe il sonno, e aperti
gli occhi sorrise e disse: alle volte si sognano cose sì belle, che
peccato non dormire per sempre.

Si vestì alla lesta, e fattosi sul terrazzino, stette ad ascoltare se
s'udissero ancora i rumori della sera innanzi. Suonava nei boschi un
ultimo corno, se pur non era il muggito di qualche giovenca, discesa
ad abbeverarsi al torrente. Ne fu quasi lieto; e guardò a lungo il
cielo, che in quei mattini di maggio pare tutto un primo amore, anco
le nuvole, se ve ne sono a veleggiarlo.

Ma abbassando gli occhi sulla casa del signor Fedele lì in faccia, si
rifece pensoso, gli parve di vedere Giuliano tendere a lui le mani da
lungi supplicando, e di udirlo dire: «o maestro, e perchè mi ha fatto
dire da mia madre che si sarebbe adoperato per me col signor Fedele?
Io non mi sarei mai allontanato dai luoghi dove mi si toglie la donna
mia; maestro, se la sposeranno ad un altro, udirà parlare della mia
morte. Perchè m'ha tradito?»

«Sicuro!--sclamò Don Marco--se un guaio avvenisse, io ne sarei in
parte cagione... Questa volta anderò ad ogni costo!»

Così dicendo uscì, stupito di non trovare alla porta il passeraio di
fanciulli che vi si raccoglievano ogni mattina, per andargli a servire
la messa: ma tosto conobbe il perchè di quella assenza strana.

Dopo i fuggiaschi paesani, arrivavano i piemontesi e gli alemanni,
feriti due giorni innanzi dalle parti di Loano; e il popolo traeva
fuori le mura del borgo ad incontrarli, recando pannolini, ristori,
con quel pronto animo che in esso non muore mai.

Ai lamenti che venivano dal prato, dove quei miseri venivano deposti
di sui muli, e di sulle barelle, il buon prete si sentì schiantar
dentro dalla passione. Ne vide di tutti i gradi e di tutti gli
aspetti: visi robusti da star bene nei quadri di Salvator Rosa; faccie
pallide, ed occhi come ne dipinse Schaeffer nelle sue meste tele: qua
una voce di subalpino chiedeva aiuto; là un tedesco invocava il suo
Got; e non era da ridere se qualche donnicciola rispondesse alla
invocazione, porgendo un gotto d'acqua, che il poveretto beveva,
inconsci dell'equivoco esso e l'altra.

Don Marco fattosi in mezzo a quel dolore, cominciò a darsi attorno a
spacciar uno di qua, a chiamar l'altro di là; e quale in questa, quale
in quella casa, faceva ricoverare quei dolenti, che gli volgevano
occhiate piene di gratitudine e d'amore; perchè giunto lui pareva, che
fosse capitato ad ognuno la madre od una sorella. Si diceva che dei
feriti, ve n'erano ancora molti tra via, sebbene paressero già troppi
quelli arrivati: e nella furia di torsi dai piedi alcuni che morivano
lì di stento; parecchi se ne portavano a seppellire, che non erano per
anco spirati. In un campicello a ridosso del borgo, cinque o sei
marrani lavoravano a scavar fosse: venivano i soldati coi morti e coi
morenti sulle spalle, e li buttavano nelle buche, che poveretti
s'aggrappavano ancora alle prode per tornar fuori; ma una zappata sul
cranio e una palata di terra sulla bocca, troncavano il grido
disperato e il pensiero della famiglia lontana. Se ne racconta
tuttavia ai nostri giorni, e si sanno le ultime parole di quei miseri,
sin dai fanciulli; i quali, dopo scuola, vanno a ruzzare in quel
campicello; e la sera ne fuggono, spauriti dai fuochi fatui, che
scambiano per l'anime di quei sepolti vivi.

Nell'opera di misericordia, don Marco ebbe compagni alcuni preti del
borgo, e cinque o sei frati del convento venuti, all'annunzio,
volonterosi. Ma non era tra questi il padre Anacleto, il quale per
nulla al mondo si sarebbe staccato da Bianca; bisognosa di lui,
sanatore dell'anima sua. In quei pochi giorni, aveva fatto con essa
molto cammino sulla via della salute; e mi duole non poterlo mostrare
che in fretta e quasi di scorcio, nei suoi portamenti. Si ricorda il
lettore, che l'avevamo lasciato in refettorio, a fantasticare sopra un
dipinto? Ebbene; egli non aveva voluto por tempo in mezzo, e sin
dall'indomani era tornato alla palazzina. Trovata Bianca che scerpava
erbe sotto il pergolato, e ne dava ad un agnellino nato di fresco;
s'era fermato a guardare la fanciulla e l'animaletto vezzoso, che ora
le saltellava attorno; ora spiccava corse, sprigionando un'allegrezza
tenuta dentro a fatica; ora ruzzolava in un fossato: e Bianca
sorrideva.

Appena vide il frate, la giovinetta si fece ad incontrarlo; e rifatta
la storia del baciamano, gli diede notizie della famiglia, di che egli
si rallegrò e disse:

«Bianca, tu mi sembri più contenta, o almeno quella tua tetraggine, si
è risolta in una malinconia dolce, che se ti fiderai di me diventerà
allegrezza.

«E di chi dovrei fidarmi più?--rispose la fanciulla:--ho pensato tutta
la notte a quelle cose che mi disse ieri; e l'idea del monastero, me
l'ho quasi levata dal cuore.

«Ah!... quello era il mal passo! E dire che una volta messo il piede
innanzi non lo si può più ritrarre! Gli è come a sposarsi; cari o no,
son nodi che stretti una volta, la sola morte può sciorli...

«Oh sì...!--sclamò Bianca ponendo sè colla mente in ben altro campo,
che non era quello in cui il frate la voleva tenere; ma egli accorto
le troncò la parola, e riprese:

«Sì! sì! sì! tu dici, ma non sai nulla. Voi giovinette, a udirvi,
conoscete il mondo più d'ogni vecchio...! E poi...; che sai tu? neanco
la storia di quel nome, che ieri non mi volesti dire, e che adesso io
so assai bene...; e ti debbo dire che, l'ira nobilissima da cui fosti
presa udendomi chiamar indegno colui..., era mal consigliata da un
affetto malissimo posto...!»

Questo dire sicuro e solenne, prostrò l'animo di Bianca, la quale a
prima giunta pareva volersi levare a nuova difese.

«Padre--rispose essa chinando il capo, e poco dopo alzando gli occhi a
lui, nell'atto in cui vediamo dipinte le sante sofferenti estasi
dolorose:--io non so chi le abbia detto quel nome; io sono una povera
creatura che diventerà scema; e non so che una cosa. Da un mese in qua
mi si è oscurato il cuore; mi par d'essere in fondo a un abisso; a
momenti m'agguanterei, per uscirne, a ferri infuocati; a momenti
vorrei starvi per sempre, nè rivedere più il mondo, nè me stessa...!

«E di Giuliano... di questo giovane cui pare abbiano dato il nome
dell'apostata sin dal sacro fonte, presaghi di quello che sarebbe
diventato...; di questo Giuliano che legge libri proibiti, che non va
in chiesa, non fa la pasqua, oltraggia i ministri dell'altare; e deve
essere scritto a qualcuna di quelle Società, in cui si beve sangue
facendo il patto; e s'impara il segreto infernale di mutarsi in
qualunque bestia per far malefici; e si giura morte ai sacerdoti e a
Dio: di questo Giuliano, tu non le sapevi le belle cose che io ti
dico, coll'anima che mi trema dentro, e colle labbra scottate dalle
parole che mi paiono carboni accesi?»

A questo segno e senza quasi addarsene, il frate si trovava colle
braccia aperte, la persona curva, l'occhio intento su Bianca; la quale
vinta a poco a poco, s'era lasciata cadere ginocchioni atterrita; e
teneva il viso alto, sicchè la barba di lui le ondeggiava sul collo e
sul seno. L'agnellino li guardava coll'occhio stupefatto
dell'innocenza; e pareva un simbolo, in un quadro dove fosse dipinto
un esorcismo.

Oh! che pallidezza! che cuore era quello di Bianca! D'amare Giuliano,
non s'era confidata mai, salvo che a Don Marco, alla signora
Maddalena, e alla zia Maria: ora il frate, come aveva saputo quel
nome, e come i segreti del giovane, gli orribili segreti, che erano
per essa più che la scoperta d'un cadavere di lebbroso, nel sito ove
credeva nascosto un tesoro?

«Alzati, va e piangi! le disse il padre Anacleto;--piangi che il
Signore lo vuole; ed io pregherò che ti perdoni d'aver amato un empio;
e pregalo tu pure per lui come faresti per un'anima del purgatorio.
Domani tornerò.»

E con passo spedito s'allontanò e disparve.

«Dio della misericordia!--sclamò la fanciulla--pigliatemi, pigliatemi
che al mondo non ci faccio più nulla! O Giuliano, e che ci venivate a
fare in chiesa, se avete giurato morte a Dio e ai sacerdoti...?
L'avessi saputo, e mi sarei nascosta fin nei sepolcri, piuttosto che
guardarvi...! Eppure..., egli mi pareva più buono di quel bell'angelo
dipinto sopra l'altare, col fanciullo per mano che fugge al pesce
mostruoso.... Somigliare a quell'angelo, e sprezzar Dio...!»--Qui
sentendosi lambire la mano dall'agnellino, gli prese la testa, e
parlando all'animale innocente;--mi uccidono, mi uccidono--diceva--come
faranno a te, e nessuno dirà, povera Bianca!»

Non potè piangere, ma lentamente si rimise a vagare su e giù; mentre
il signor Fedele che aveva visto ogni cosa dal buco d'una impannata,
la guardava e gioiva.

Il padre Anacleto tornò l'indimani, e il giorno appresso, e l'altro e
l'altro; coll'accorgimento d'un medico di villaggio, che sappia farsi
vedere in tempo acconcio dall'ammalato. Gli bastava una parola,
un'occhiata a sapere l'animo di Bianca; ed era lieto di sè, perchè gli
pareva d'averla, in meno che non credeva, tirata alla riva, donde
rivolta addietro, avrebbe poi veduto l'acque pericolose, in cui senza
lui sarebbe affogata.

Al quinto giorno, proprio quello in cui, se non avvenivano in C... le
cose narrate qui sopra, si incontrava con Don Marco nella palazzina
del signor Fedele; egli ed il leguleio stavano a consigliarsi l'un
l'altro; ancora sotto quel pergolato di cui il lettore può essere
sazio, ma che per essi era una delizia.

Avevano almeno dieci volte preso a parlare di Bianca; ma il discorso
uscendo di carreggiata, li portava sull'argomento della guerra, e
della spedizione, vista da essi moversi e tornare in quella guisa
vergognosa. Parlavano e sentenziavano ora da uomini di grand'animo,
ora facendo lor conti da femminette paurose; e mentre il signor Fedele
diceva che quello di cui più si sentiva afflitto, era il non saper
nulla del barone; gli seguì un caso maraviglioso. Davano appunto di
volta in capo al pergolato, col nome dell'Alemanno in sulle labbra; e
videro venire di buona gamba il procaccio di C..., il quale teneva in
una mano una lettera, nell'altra il cappello che si era tolto di sul
capo, appena giunto in vista ad essi due. Costui baciò il cordone al
frate, inchinò tre volte il signor Fedele; poi mostrandosi affannato
più che non fosse davvero, disse a quest'ultimo:

«Signoria, don Marco mi manda con questa lettera; ho fatto come il
vento, ed eccomi, fui qui in uno sbadiglio di gallo...

«Don Marco! pensò tra sè il frate, mentre l'altro leggeva la
lettera;--o che vuole don Marco...?

Glielo chiarì il signor Fedele ponendogli sotto gli occhi il foglio; e
gridando al procaccio: «Corri, va, e dì a don Marco che volo; corri,
sei qui ancora, lumacone?...» Il pover'uomo spinto da lui ripartì;
forse pensando da chi avrebbe toccata la mercede di quella sua fatica;
chè quanto al signor Fedele non buscarla subito, voleva dire non
buscarla mai più; piacendo al leguleio d'essere stimato, in queste
cose, uomo di corta memoria. La mancia l'avrà avuta da don Marco; il
biglietto del quale, diceva alla lesta, com'egli avesse in casa il
barone, ferito malamente; corresse a vederlo, che il poveretto non
voleva altri che lui!

«Sono segni del cielo! Corri tu pure,--disse il frate al signor
Fedele--e trova modo di portar qua il barone... Chi sa? La compassione
può dare l'ultimo ajuto a movere l'animo di Bianca... va.»

In quattro passi il signor Fedele fu in casa; in altri quattro tornò
sul prato con panni da gentiluomo indosso: e stretta la mano al frate
e dettogli che alle donne aveva nascosto il perchè della sua andata al
borgo; rimasero che questi sarebbe stato attorno alla fanciulla, per
disporla a quelle accoglienze ch'essa doveva usare al barone; dove per
buona sorte lo si fosse potuto trasportare alla palazzina. Con questo
l'uno partì, e l'altro salì dalle signore.

Bianca e Margherita lavoravano di cucito, vicine alla zia Maria; cui
la gioia di riaverle, come essa diceva, sotto gli occhi, dava nel viso
una bella rallegratura. La minorella era gaia, e Bianca silenziosa:
dire che non fosse mesta sarebbe troppa bugia, ma un po' più serena la
pareva davvero; e se n'era accorta sin la cieca, la quale diceva di
conoscerla al colore del viso, ma in verità l'argomentava dai sospiri
di lei meno frequenti.

Il frate si mescolò alla buona nei loro discorsi; e studiando di farsi
posto in questi, per la faccenda che voleva dare a capire; guardava
traverso la finestra, le belle ruine del castello di C... le quali si
vedevano dalla sala assai bene.

«Che guarda, signor padre? uscì a dire Margherita, che vispa com'era
aveva gli occhi su tutto, e usava colle persone un ultimo avanzo di
dimestichezza infantile.

«Io guardo,--rispondeva egli, trovando da maestro quel che gli
bisognava, senza togliere l'occhio dalla bella vista in cui pareva
assorto--io guardo quei comignoli laggiù del castello, e penso che
darei un anno della mia vita, per poter vedere, non fosse che un'ora,
il castello, i baroni, il popolo del borgo e tutte le cose, com'erano,
per esempio, seicent'anni or sono...; quando le castellane vivevano da
sante, e i cavalieri andavano e tornavano di Palestina, pieni di fede,
carichi d'armi, a conquistare il Santo Sepolcro e il regno dei
cieli...

«Oh!... e come si possono sapere codeste cose?--chiese Margherita, che
sempre aveva preso diletto a farsi narrare favole e leggende.

«Dai libri,--rispose il padre Anacleto;--ma sono libri latini, che non
tutti li sanno leggere...»

«Ci racconti qualcosa lei, ci racconti...» entrò a dire damigella
Maria.

«Sì, sì--padre, racconti:--incalzava Margherita. Bianca taceva; ed
egli con quell'aria che sanno pigliare anche i più volgari favolatori,
cominciò a narrare.

«Fra i tanti fatti che si hanno dai libri di cui vi parlo, ne ricordo
uno bellissimo, seguito proprio in quei tempi, che il nostro San
Francesco capitò quassù a fondare il convento, dove noi siamo. Che
felicità, nevvero, se vi fossimo stati anche noi? Ebbene, si diceva in
quel tempo, che nelle montagne là verso il mare, (vedete? da quella
parte dove si leva il sole in questa stagione); si diceva che in una
rupe cavernosa avesse vissuto una famigliuola, di cui niuno sapeva
bene come vi fosse venuta. Io quella caverna l'ho veduta, ed è su per
giù dell'ampiezza di mezza questa sala. Abitavano là dentro marito e
moglie, colla benedizione di due bei fanciulli: il padre lavorava a
far carbone; la madre a filare lana e a far camicciole; i bambini a
cercare nidiate nelle selve, finchè fatti grandicelli poterono aiutare
il babbo nel faticoso mestiere. E recavano sulle loro spalle sacca di
carbone alla città di Savona; la quale come avete inteso a dire è in
riva alla marina, lontana dalle montagne dov'è la caverna parecchie
miglia. Partivano alla punta del giorno, tornavano la sera, e non si
stancavano mai. Una fra le tante volte che v'andarono soli, dice, che
vennero carichi di balocchi, e senza quattrini, e quei balocchi erano
pugnali, spade, elmi rugginosi che valevano un fico.

«Il babbo, sì che gli avrà sgridati!» disse Margherita, cui pareva di
veder i fanciulli, l'armi, la caverna, ogni cosa.

«Che! neanco per sogno! Anzi, fuori di sè dall'allegrezza, e
stringendo la moglie al petto: «Adelasia,--sclamò--Adelasia! il sangue
nostro, parla ai nostri figli dei loro avi e di noi....» Una
vecchierella, la quale praticava in quella grotta, intese queste
parole; le ridisse maravigliata ad un'amica, l'amica se ne confidò ad
un'altra, e via... via, ne venne a sapere tutta la montagna, insino a
Savona. In quel torno venne l'imperatore d'Alemagna con grande
esercito, a guerreggiare contro i Saraceni in questi monti; ponete
come fosse ora, che abbiamo gli Alemanni a scamparci dai Francesi, i
quali sono peggiori di tutti i Saraceni del mondo. Ebbene, dice, che
quelle parole, quel nome d'Adelasia, giunsero all'orecchio del
potentissimo sovrano, che volle vedere la donna, il marito e i
fanciulli, e..., indovinate un po'...? La donna era la figlia
dell'imperatore; l'uomo era Aleramo, che se l'aveva portata via dalla
corte molti anni prima! Povero cavaliero, amato da lei, non la potendo
sposare, l'aveva rapita; e penando chi sa quanto, erano venuti
dell'Alemagna sui nostri monti, a passarvi quella misera vita.

«Oh! E poi padre, e poi? chiese Margherita vedendo il frate far pausa;
racconti racconti ancora....

«No no,--egli rispose--non racconto più, perchè Bianca non istà
attenta....

«Oh sì!--disse Bianca io l'ascolto....

«L'imperatore--proseguì il frate--roso da lunghi rancori contro il
rapitore della figlia, che cosa doveva fare? La credeva morta da gran
pezzo; rivederla fu per lui come un miracolo. Non so dire quanto
penasse a perdonare lei e il marito, ma perdonò; e ad Aleramo diede in
feudo il paese bagnato dalla Bormida, e da non saprei che altri
torrenti. Alla grotta che dicevamo, rimase il nome d'Adelasia; e
dovreste visitarla un qualche giorno, che il babbo sia contento di
voi. Vi si arriva in quattr'ore....

«Ma e San Francesco?» tornò a chiedere Margherita, che rimasta
coll'ago in aria, non si poteva saziare di quei racconti.

E il frate, sempre cogli occhi in Bianca, la quale non aveva mai
smesso di cucire, ma a certi punti della narrazione, s'era o abbuiata
o rischiarata in viso, ripigliò:

«Lascia che respiri, santa pazienza! La stirpe d'Aleramo crebbe, e
piantò castelli e torri per tutto, in queste valli; e della storia
d'Adelasia durò la diceria per secoli. Tutte le castellane, venute col
tempo dalla sua schiatta, furono devote alla sua memoria, come a
quella d'una santa. La imitavano in tutto; volevano somigliare a lei
in tutto; massime in quel punto d'innamorarsi di chi loro piaceva. Ora
accadde che una di queste, figlia del marchese di C... aveva preso a
voler bene ad un poveraccio, il quale d'armi e di cavalleria ne sapeva
quanto ne so io, frate pacifico. E non c'era santi a farle sposare un
barone, che aveva castelli e vassalli, e che la voleva, sto per dire,
viva o morta. Il padre della zitella si prese termine d'un anno e un
giorno; e pregò lui d'andare in Terra Santa, a procacciarsi onori e
meriti in faccia a Dio. Egli intanto si sarebbe adoperato a
consigliare la figliuola, e alla fine le nozze si sarebbero fatte. Il
cavaliero partì lasciandosi addietro il cuore: e fu in Palestina dove
degli infedeli ne uccise tanti, che i menestrelli lo onoravano colle
loro canzoni, sotto le tende dei più gran principi della cristianità,
ch'erano alla crociata. Ma..., (qui entra di mezzo S. Francesco) la
zitella non voleva saperne delle cento storie che il padre le andava
raccontando ogni giorno: questi la pregava, la minacciava, la teneva
chiusa. Che! veniva a dir niente. Appunto di que' giorni capitò S.
Francesco, e il marchese si raccomandò a lui. Date retta che il bello
viene adesso. Un dì il Santo stava colla giovane addolorata
castellanina, lassù in una di quelle sale, che ora non sono più che
ruine; ed essa gli narrava le sue miserie, ed egli le parlava come
sapeva parlare un santo pari suo. Le parlava di quel cavaliere, che
per amore di lei era lontano a combattere e a patire. La giovinetta,
essendo come tutte le fanciulle bennate, molto pietosa, ascoltava il
Santo, e si sentiva rimordere delle fatiche e delle pene, alle quali
stava per cagion sua, quel valoroso barone. E già era vicina a
piangere; quando a un tratto, facendosi in vista come fosse stato in
mezzo ad una battaglia, il Santo proruppe: «in questo momento, cade il
prode dal suo cavallo e gli infedeli gli sono sopra per trafigerlo con
cento lame.» Signore Signore...!» Un grido della fanciulla che pareva
smarrirsi, richiamò il Santo dalla sua visione; «o Dio, aveva sclamato
essa, Salvatelo! Salvatelo! e sarò sua sposa!» Questo era un voto
fatto col cuore: e la fanciulla stette settimane e mesi, ad una delle
tante finestre che vediamo lassù, ornate di quelle colonnine di marmo
bianco; ad aspettare come in penitenza, sperando che qualcuno venisse
di Terra Santa, a recar novelle del cavaliero. E questo qualcuno
venne, ma chi era? Il cavaliero in persona, che tornava colle ferite
appena chiuse; e le aveva toccate proprio in quel momento, che San
Francesco, per virtù divina, aveva avuta quella visione. Spirava
appunto il termine d'un anno e un giorno dalla partenza: e di là ad
alcune settimane, fu nel castello un gran torneo; e i banchetti e i
festini non ve li so dire; tutto in onore della sposa e del cavaliero
valoroso e pio. La storia non dice che S. Francesco fosse al convito;
già noi poveri frati facciamo il bene, poi ci tiriamo in disparte:
dunque il santo non vi sarà stato. Vi piace?»

Damigella Maria accennò col capo; ma il frate che non aveva raccontato
per lei, non le badò. Gli pareva d'aver trovato così bene il filo di
cui aveva mestieri: Bianca s'era fatta ascoltando, sto per dire, così
trasparente; egli aveva potuto leggerle così chiari in viso, i
confronti che essa faceva di sè con quella castellana favolosa, e la
sua secreta e mesta compiacenza in tanta somiglianza di casi: che
lietissimo dell'opera propria, neanco s'accorse di Margherita, la
quale insaziabile lo pregava a tirare innanzi, come se il racconto non
fosse flnito.

«Dio mi ha proprio ispirato!--pensava,--chi avrebbe potuto disporla
meglio? Essa non ha più bisogno che d'un tratto; e se Fedele mena
quaggiù il barone, la cosa è fatta!»

E il barone giaceva in casa a Don Marco, il quale nell'ufficio pietoso
di quella mattinata, s'era imbattuto in lui fra i feriti. Pensando al
gran bene che avrebbe potuto fare, avendolo in casa; il buon prete gli
aveva profferta l'ospitalità, ed egli non s'era fatto pregare, perchè
sapeva come Don Marco stesse di casa vicino a Bianca. Stupito di non
vedere il signor Fedele, non aveva osato chiederne; ma l'andarsi a
porre discosto due passi da lui, gli pareva la miglior ventura che gli
potesse incontrare. Il prete, dal canto suo, era contento, perchè
sperava di pigliare dimestichezza con quel soldato; cagione di tanti
dolori a Bianca, alla signora Maddalena, e chi sa di quali guai a
Giuliano: il quale viveva lungi, accarezzando vane speranze, come
colui che innaffia una pianta morta, ingannato dalle poche foglie di
cui verdeggierà ancora per breve tempo.

«Io avrò agio di parlargli, di supplicarlo a dimenticare quella
poveretta: a far sacrificio del suo amore, per la felicità di due
creature, che s'amavano prima che egli venisse quassù. Gli dirò che
non gli sta bene lasciare memoria di sè come d'una bufera, passata a
schiantare gli alberi più gentili. Gli chiederò se nessuna donna
piange nelle sue contrade per lui; talvolta i soldati hanno spirito di
cavalieri antichi, si commoverà, vedrà il bene che può fare; pregherò
tanto che mi darà ascolto.»

Con questi pensieri, conduceva, usando gran diligenza, il ferito; il
quale camminava da sè, pur reggendosi a lui e ad un vecchio servitore,
che aveva menato seco dall'Alemagna. Questi tirava per le briglie il
cavallo, su cui il padrone tribolando molto, era venuto pei monti, dal
campo di Loano, dove aveva toccata la ferita; e il povero animale
teneva dietro, a testa bassa, quasi umiliato di non averlo più in
sella. Legato ad un arpione dell'uscio da via, rimase a guardarlo
mentre saliva la scala, e gli mandò dietro un sommesso nitrito.

Come furono dentro, il servitore vedendo la prima stanza affatto
disadorna, arricciò il naso. Un lettuccio da sedervi sopra, perdeva
l'imbottitura per gli strappi del marocchino; e gli ridestò l'immagine
dei cavalli visti di fresco sui campi, colle entragne uscenti dalle
pance squarciate. Nella stanza del terrazzino dov'era il letto di Don
Marco, aggrottò le ciglia: e questi che se n'avvide, pensando che il
servitore avesse notato nel barone qualche segno di ripugnanza a
quella povertà, disse tra sè: «Pazienza! Ma che ci posso fare se io
non sono nè un vescovo nè un parroco ricco...?» E quasi si pentiva
d'aver fatto quel passo; ma subito si consolò vedendo il barone porsi
a giacere come su d'un letto d'amici. Allora si provò a parlargli
della ferita, che era tempo di rivederla; profferse ristoro di cibo e
di bevanda; ma ebbe un bel dire; l'altro non voleva nulla. A udirlo la
sua ferita non gli dava noia, non chiedeva che d'essere lasciato in
pace. A un tratto volti gli occhi al terrazzino, chiese a Don Marco:

«Quella casa là, è del signor Fedele, nevvero?

«Sì, rispose il prete, abbuiando in viso.

«Ci sarebbe modo d'averne nuove?

«Non è in borgo» disse Don Marco, mettendosi più sul riservato.

Il barone tacque un istante, che parve assopirsi: poi levandosi sul
gomito ripigliò risoluto:

«Ah! voleva pur dirlo che, forse non era nel borgo. Don Marco, m'usi
questa cortesia, faccia chiamare il signor Fedele, o io anderò da me a
trovarlo dov'è.»

Il prete alzò gli occhi al cielo, quasi per dire addio alle speranze
fallaci, concepite poco prima; gli parve di non meritare l'amarezza di
quel che le circostanze gli davano a fare: e scrisse quel biglietto,
che spacciato al signor Fedele, fece correre costui dalla villa al
borgo, più presto che il barone stesso non avrebbe creduto.

Questi, a vederlo apparire sulla soglia della camera, balenò in quei
suoi grandi occhi verdastri, d'una gioia ineffabile: e sebbene negli
abbracciamenti il signor Fedele lo urtasse col petto proprio nella
ferita, non fece cenno di dolore; ma quando si vide lasciato solo con
lui, quasi continuando la dimanda che gli aveva fatta, il giorno in
cui era partito pei campi della riviera, gli chiese: «e Bianca?

«Bianca?--riprese il signor Fedele--Bianca, non dico nulla, la vedrà.
Alla lesta; se la sente di far un altro po' di via? Alla villa ci si
aspetta.... ci aspettano tutti colle braccia aperte....

«Oh!--sclamò l'Alemanno--un ferito in casa...! Si recano tante
molestie....

«Molestie? In casa mia niuno sa che voglia dire questa parola. Alla
lesta, ripeto, si tenga pronto, io torno in dieci minuti con una
lettiga...

«Ma... no...--disse il barone pigliando la mano di lui per
rattenerlo;--sono venuto a cavallo sin qua.... ma se mi concedesse di
guarirmi in casa a questo buon prete.....

«Storie! Non parliamone più....»

Il signor Fedele chiamò Don Marco; il ferito levatosi in piedi
ringraziò dell'ospitalità avuta, e il prete mesto e quasi umiliato
stette, a vederli discendere, in capo alla scala. Poi quando furono
fuori, tornò nella sua camera e sclamò: «È finita, Giuliano! Bianca
sarà sua!» Sedè, si pose gomitoni sul tavolino, chinò il capo e
pianse.

Intanto gli altri s'avviavano lentamente alla villa, dove il padre
Anacleto stava colle donne, stringendo i panni addosso alla povera
Bianca. Egli s'era affacciato forse la quinta volta, a vedere se il
signor Fedele tornasse; quando lungi un trar di schioppo apparve la
comitiva, tra le siepi di bianco spino, che facevano riparo ai campi,
dove il grano vegeto di molto, mosso da un'aura dolce di primavera,
ondeggiava come quei laghetti che sovente incontra di vedere, a chi
cammina sulle Alpi.

Il frate chiamò alla finestra Bianca, la quale fu sollecita a correre;
e additandole da quella parte, le disse: «Parlavamo testè della
castellana e del cavaliero ferito in Palestina: chi ci avrebbe detto
che uno ve n'era tra via, cui manca una madre, una sorella, una
consolatrice; e fu ferito per nostra difesa...?»

A queste parole Margherita discese sull'aia; la zia cieca fece atto di
levarsi da sedere; ma ripigliato il suo posto, annuvolò come chi ha
ombra di qualche cosa.

Bianca s'era sentita a prima giunta, rappiporire la vita; poi in
quelle cose che aveva intese, e in queste altre che vedeva pur allora,
le parve che qualcosa di miracoloso ci fosse. Padre Anacleto, da uomo
avvisato molto, le bisbigliò che bisognava fare, come la castellana,
buon viso a chi soffriva; perchè la carità era la corona delle altre
virtù. La povera fanciulla si mosse, si rattenne, tornò a moversi;
allora egli la prese per la mano, e dicendole dolcemente: «andiamo»
discese con essa.

Quale fu lo stupore del signor Fedele, quando vide Bianca venir oltre
col frate; quella Bianca ch'egli temeva d'avere a scovare chi sa da
qual buco, arrivando coll'Alemanno! Si sentì addosso quella gioia che
fa fare ai fanciulli le capriole; e gli crebbe la forza per modo, che
bastò da sè ad aiutare il barone a smontare da cavallo. Questi dal
gran turbamento, si sentiva mancare, e penava a reggersi quei pochi
passi: di che il signor Fedele pigliandolo a bracetto, accennò al
servitore di tenersi più accosto. Quel frate che veniva incontro a
quel soldato ferito; quel vecchio che menava il cavallo a cavezza;
facevano un vedere assai pittoresco: ma l'occhio d'uno spettatore
gentile, sarebbe rimasto fisso su Bianca, la quale tenendo nella sua
la mano di Margherita; tinta d'un rossore leggerissimo in viso, stava
sul ciglio dell'aia, dinanzi la palazzina; e pareva davvero una delle
donzelle dei tempi antichi, nel punto che a piè del castello paterno
accoglievano il corteo, venuto d'un altro feudo, a chiederle spose.

L'Alemanno si scoperse il capo, e fece un passo verso di lei, per
chiederle scusa d'aver tanto osato; ma come colui che giunto su d'una
vetta altissima veda il mare improvviso, ed esclama «infinito!» così
egli sclamò: «Bianca!» poi tra pel patimento e pel travaglio del
cuore, non vide più che un gran buio, vacillò e svenne. Felice se in
quel momento avesse inteso il grido sfuggito alla fanciulla; chè
sebbene fosse di pietà, l'avrebbe creduto d'amore: ma bisognò portarlo
sulle braccia nella palazzina, e come corpo morto fu deposto sul letto
del signor Fedele.

Durò in quello stato, che nulla giovò spruzzarlo d'acqua o dargli
aceto a fiutare, quanto padre Anacleto ebbe tempo d'andare al
convento, e tornarne accompagnato da un laico; il quale recava un
cestellino pieno di bende e di barattoli, che pareva un barbiere.
Messosi all'opera in pochi momenti ebbe sfasciato il braccio
all'Alemanno, e si vide la ferita sopra il gomito, che pareva una
zannata di tigre. Il signor Fedele nascose il viso tra le mani, per
non dar degli occhi in quella piaga; e al colore delle carni e al sito
che cominciavano a mandare, il frate rimase sgomento. L'Alemanno
guardava tranquillo; e i figli del cascinaio, che correvano dalla
camera alla sala per quel che bisognava; dicevano alle fanciulle
intente a far filacciche, lo spettacolo compassionevole della ferita.
Esse tenendo a fatica i singhiozzi, chiedevano alla zia, qual santo si
suolesse pregare, in simili casi.

«San Lazzaro, San Bastiano, tutti i Santi! ma lasciatemi in pace!»
rispondeva la cieca: e le fanciulle, massime Bianca, tacevano
intimorite. Essa cominciava a raccapezzarcisi, in quella faccenda: e
mentre era donna da aver compassione d'un moscerino, per quello
straniero tribolato non provava punto pietà.

Mezz'ora di poi, il barone medicato, lasciato solo a riposare nella
quieta oscurità di quella camera, pensava alla sua casa, al mestiere
travaglioso dell'armi; e facendo proposito di smetterlo a guerra
finita, si poneva a piene vele nei lunghi anni di amore e di pace, che
avrebbe vissuti con Bianca.

Porgeva orecchio al bisbiglio che veniva dalla sala, e si studiava di
scernere la voce di lei. Là il signor Fedele, lieto come un bambino
alla mammella, fantasticava sopra l'Impero d'Alemagna, che quasi gli
pareva d'averlo in casa: il padre Anacleto si pavoneggiava, guardato
da Bianca reverente e pensosa: Margherita vicina alla zia pigliava da
lei la malinconia taciturna: e di fuori s'udiva il cascinaio, il quale
ammaestrato dal servitore, governava il cavallo del barone; con un
occhio alla bestia, e l'altro allo scudiscio, che il vecchio teneva in
mano.




CAPITOLO X.


Staccia buratta, dal convento alla palazzina del signor Fedele, e da
questa al convento, siamo lì, direbbe un marinaio genovese, sempre di
faccia a Pegli. Ma quello che non posso pigliar di spazio, piglierò di
tempo; per dire, che in capo a quindici giorni, ognuno in quella casa,
aveva intera nel viso e nei portamenti, l'impressione dell'animo in
cui s'era sentito all'arrivo dell'Alemanno.

Al signor Fedele, s'era fatta una cera di trionfo; non vedeva più che
Bianca, la portava in palmo di mano, era il suo occhio dritto.
Damigella Maria e Margherita parevano la istoria dell'olmo e della
vite; e stavano sole la meglio parte del giorno, scansando con ogni
cura il padre Anacleto. La cieca aombrava più sempre, dell'avviamento
che pigliavano le cose; si coricava la sera disegnando per l'indomani
di dire tutto il suo cuore; ma poi taceva dalla tema di ridestare le
collere del cognato; di far nascere qualche diceria sul conto della
nipote; e confidando nel senno di questa, tirava innanzi. Il frate
veniva sin due volte ogni giorno, e soleva passare di lunghe ore, o
vicino a Bianca o al letto dell'Alemanno; il quale aveva cominciato a
migliorare tanto che presto si sarebbe sentito risanato.

E Bianca? Riacquistato l'affetto del padre, non s'accorgeva di nulla,
neanco dei mutamenti avvenuti in sè stessa. La solitudine patita per
castigo, nei giorni andati, adesso la cercava da sè. In quell'ore
solitarie le accadeva sovente di trovarsi, non sapeva nè a che nè
come, vicino all'uscio dell'Alemanno; e là origliando i discorsi
piacevoli del frate o del proprio padre, gioiva; e le pareva strano,
ma delle tre, la voce del ferito le cercava il cuore più dolcemente.
Pensava all'Alemagna lontana, ch'essa non sapeva immaginarsi diversa
da quella vallicella e da quei monti, che aveva sempre veduti intorno
a sè. Le città, le grandi vie, i giardini di cui udiva parlare, non
potevano essere più che le vie di C.... prolungate; non più che orti
come quello del convento, forse un po' meno foresti; la casa del
barone poi, se la figurava come quella dei marchesi di C..., tutta
sale e gallerie da trovarvisi spauriti. Egli parlava dei suoi, e più
della propria madre, dando a capire come fosse di grande stato: e
Bianca sentiva pietà di quella donna lontana; e come un lampo, che
guizzando lascia nell'occhio una traccia luminosa, le passava dinanzi
l'imagine della signora Maddalena. Già, tutte le madri sono donne di
una certa età, quali più quali meno, ma tutte un po' meste; e la
fanciulla s'accostumava a confondere quella dell'Alemanno con quella
di Giuliano. A questo poi non pensava più, se non come ad un peccato
di cui avesse fatta la confessione, e ne fosse stata assolta con
qualche rabbuffo. Se alle volte l'immagine di lui si veniva a porre in
mezzo a' suoi pensieri, essa penava prima di poterla scacciare; ma se
ne confidava al padre Anacleto, il quale la tirava su da quelle corte
cadute, e la rimetteva in via benedetta. Le ore che passava col frate
l'accostumarono alla sua compagnia; nè l'avrebbe pensato mai, ma una
volta ch'egli non comparve, capì che di lui non poteva fare a meno,
per difendersi dalle memorie pure e dolcissime, d'altri tempi ancor
freschi. Come mai non compariva, egli puntuale sempre come un oriolo,
a venire, dopo aver detto messa? Che al padre guardiano fosse paruta
soverchia la frequenza di lui in quella palazzina, o gli avesse
vietato di tornarvi? Bianca cominciava a formare congetture e a
spazientirsi, s'affacciava ogni tantino a vedere se spuntasse da
qualche parte, si provava a farlo partire colla fantasia ora dalla
cella, ora dalla sagrestia; l'accompagnava contandone i passi,
«eccolo--diceva--dovrebbe esser qui,» tornava ad affacciarsi....,
nulla. Allora ripigliava il suo lavoro, stizzita.

Un giorno essa era sola nella sala; il signor Fedele s'era recato al
borgo per sue faccende: damigella Maria e Margherita, essendo assai di
mattino, non erano per anco venute fuori della loro camera; ed essa
poteva pensare, sospirare, piangere a suo talento, che nessuno
l'avrebbe turbata. Sfaldava tela, sebbene in tutti quei giorni, delle
filacciche ne avesse fatte tante da bastare ad una intera coorte di
feriti; e si sarebbe detto che non pensasse, come alla fine dovesse
pur venire un giorno, in cui l'ospite non avrebbe più avuto mestieri
di quelle robe. E sì che sapeva come egli, da un par di giorni,
cominciasse a vestirsi, e stesse in camera coll'agonia di poter fare
due passi all'aperto!

In uno di quei momenti in cui stanca d'affacciarsi invano, pensava al
rimprovero da farsi al padre Anacleto, un fruscio, come di sandali, le
si fece sentire alle spalle; ed essa levandosi ritta, nell'atto di
volgersi a chi veniva, sclamò: «bravo, il padre Anacleto!» ma
facendosi nel volto di fuoco, poi come un panno lavato, chinò gli
occhi quasi persona colta in fallo, e giunse le mani tremando.

L'Alemanno, pallido, col braccio sorretto da una fascia annodata sul
collo, severo e quasi bello, sebbene paresse intimorito, con voce
impressa di gentilezza e d'affetto, le disse:

«Ed io?.... Io le fo paura? Veggo che ho osato troppo.... Ma, o
Bianca, se m'avesse visto qua dentro in questi giorni....! Essere in
casa sua, sapere che era sempre lì a due passi...., mia fidanzata....,
e non vederla....! Ora..., l'ho intesa sospirare, son venuto per dirle
che io non posso più reggere..., e veggo che le ho fatto paura...»

«Oh no paura...! credeva fosse il padre Anacleto...» rispose Bianca
cogli occhi bassi e colla voce tremante.

«Ebbene--ripiglio l'Alemanno--sono io..., sono io qui, per dirle
quello che sa, ma che non ho potuto dirle mai da me..., l'amo, e le
chieggo una grazia, quella di dirmi il giorno delle nostre nozze...»

Essa che già era confusa e quasi smarrita, udì queste parole, come
fosse stata a camminare sul ciglio d'una rupe altissima, e un impeto
di vento l'avesse investita, in punto di mettere un piede nel vuoto.
Diede uno sguardo intorno a sè; e il suo pensiero urtò per tutto.
L'empio che aveva amato riputandolo un angelo; il frate che si era
adoperato a salvarle l'anima; la memoria dei trattamenti paterni del
mese addietro; tutto le turbinò in giro, togliendole la vista d'ogni
varco a scampare: e alzati un poco gli occhi in viso all'Alemanno,
vedendolo in certa guisa abbellito dallo struggimento, aperse le
labbra e le venne detto:

«Bisognerà sentire mio padre...

«Oh! benedetta la mia vita! Voi Bianca verrete a far meravigliare le
donne delle mie contrade, comparendo un momento in mezzo ad esse! Un
momento solo..., poi torneremo quassù, e vi farò signora di tutto quel
che vi parrà bello...! Io farò vostro quel castello, che vedeva là dal
mio letto, e in questi giorni lo riedificai colla fantasia mille
volte...! E lo riedificherò per voi davvero..., vi chiameranno la
castellana, ed io sarò l'uomo più felice di questa terra...! Dov'è
vostro padre?

«Non è in casa... rispose a fatica Bianca.

«Non è in casa?--sclamò l'Alemanno turbato; poi sentendo dar giù quel
bollore dell'animo, proseguì umiliato: «allora.... perdonatemi.... mi
perdoni, Bianca, io non lo sapeva...»

E salutando modestamente, lasciò lei che non mosse; discese le scale,
uscì dalla palazzina, e aprendo il petto a quell'aria pura del
mattino, non più respirata da lunga pezza, temprò un poco quella sorta
di sgomento in cui era caduto. «O bei colli--sclamò--patria mia
dell'avvenire, io vorrei baciare ogni vostra zolla! Ma essa..., che
dirà di me...? Penserà che io stetti in agguato per coglierla sola?»
Questo pensiero gli fece scottare la terra sotto le piante; vagò senza
badare per dove; e alla fine s'abbandonò a piè d'un filare d'avellani,
forse a un trar di mano dalla palazzina.

La fanciulla, rimasta un tratto come persona che pena a destarsi;
rinvenendo da quella sorta di stordimento, sentì qualcosa che poteva
essere rimorso e sdegno dell'Alemanno, di sè, di tutto; ma udendo la
zia che entrava in sala, fuggì paurosa in punta di piedi; prese le
scale, fu alla porta della cascinaia, la chiamò a bassa voce come per
un brutto sotterfugio; e corse con essa difilata al convento.

«Bianca--diceva la cieca, mestissima nell'aspetto, venendo oltre per
la sala, colle mani tese verso la parte dove la fanciulla soleva
stare:--ho inteso... tutto... tu dunque lo sposerai? tu ci lascierai
qui sole, e andrai tanto lontana, che neanco sapremo di te se sarai
viva o morta? Non ti ricordi di quel giorno, di don Marco, della
signora Maddalena...? Oh tu singhiozzi...! tu non lo sposerai no, tuo
padre non fisserà nessun giorno...! tu sei più mia che sua, nevvero?
Vieni... vieni Margherita... (e porgeva la mano a questa che veniva
dietro lentamente), vieni... preghiamola, povera Bianca... ti vogliono
ingannare...

«O zia,--diceva Margherita--Bianca non v'è mica, non v'è...

--Come!--esclamò damigella Maria, corrugando la fronte; e il petto le
si affannò, la gola le si gonfiò di singhiozzi l'uno incalzato
dall'altro, vacillò, si resse a Margherita, e tacque.

In questo mezzo Bianca giungeva al convento. Sotto il portichetto,
donde si godeva la bella vista dei pergolati, alcuni laici sedevano
sulla cassapanca colle mani in mano; di certo chiacchierando di pace e
di guerra, che tale era di quei giorni l'oggetto d'ogni discorso.
All'apparire di lei, forse si misero a parlare della sua bellezza, e
ci avranno avuto il garbo, che avrebbe a suonar la cetra
quell'animale, di cui ricorre il nome quando tra uomini si vuol dirsi
ingiuria.

Come la giovinetta fu vicina a costoro, dimandolli del padre Anacleto,
dove lo si potesse vedere; ed uno, il quale alla colatura di cera che
aveva sulle maniche del saio pareva il sagrestano, pose lei e la
cascinaia su di una viuzza che menava a trovarlo.

Bianca ringraziò appena, e si mise a camminare frettolosa, lasciando
quei laici addietro a fare le congetture.

Proprio bell'e in mezzo al bosco, vi era uno spianato erboso, sopra il
quale i rami delle querce più antiche, erano infittiti per modo che
non vi poteva raggio di sole. Sorgeva a quell'ombra una cappella
modesta, quella se ci rammenta, a cui damigella Maria aveva fatto voto
di venire di notte per ringraziarvi San Francesco, della pace
ricondottale in casa dal padre Anacleto. Il Santo era dipinto sul muro
di quella cappella, a mani giunte dinanzi a un crocifisso, con a piè
della croce un teschio e un libro, i cui fogli parevano assai bene
agitati dal vento. Due lagrime gli colavano per la guancia scarna, e
le stigmate apparivano infiammate e sanguinose. La dipintura si vede
ancora ai nostri dì, e durerebbe intatta, se molte scalcinature non
mostrassero che vi furono tratte schiopettate, a prova o a disprezzo.
Quelle palle le tirarono i Francesi nel 1794, nè so come non sia stato
detto che il piombo rimbalzando uccise i profanatori. Nella vallata lo
si avrebbe creduto; e sarebbe rimasta fama di malurioso al luogo assai
bello. Il quale in un col convento minato, attende qualcuno che del
mondo n'abbia assai; e venga a farne la sede di piaceri tranquilli; e
ad allevarvi figliuoli, robusti come i nodi di quelle roveri
solitarie, che videro il mio frate e la fanciulla che l'andava a
trovare.

Egli pigliava il fresco, seduto su d'una delle pietre che giacevano a
piè della cappelletta; e lavorava a formare di canne un arnese, da
farne un presente al barone. Appena le due visitatrici l'ebbero
veduto, la cascinaia, da donna esperta, rattenne il passo; lasciando
che Bianca andasse oltre da sè. Questa che non bramava di meglio,
entrò sotto l'ombra delle querce, togliendosi la pezzuola che tra via
s'aveva messa in capo; e il suo volto acceso dal caldo già forte a
quell'ora, espresse subito il ristoro della freschezza che era là
sotto.

Alle pedate leggere, il frate alzò il capo, e visto lei che discosta
pochi passi si peritava a venire innanzi; levossi in piedi e le si
fece incontro sorridendo:

«Che miracolo--le disse--che tu, figliuola mia, sia venuta sin qua con
questo sole?

«Ci sarei venuta se anche avesse grandinato a baleni--rispose
Bianca.--O perchè stamane non si è fatta vedere?

«Eh! a casa tua ci verrò di rado d'ora in poi; tua zia si è fatta
capire che non le vado più a genio...

«Mia zia...? Ma le sarà parso, padre...

«Eh sì parso! E mi è parso che tiri dalla sua anche Margherita... Ma
finchè avete in casa un uomo che soffre io ci verrò... Vedi? Stava
appunto lavorando per lui quest'arnese, che è un'incannucciata da
reggervi il braccio, quando uscirà a passeggiare...

«Padre--disse Bianca chinando gli occhi, vergognosa di aver lasciato
che il frate entrasse pel primo a parlare di colui, che in parte era
la cagione di quella sua venuta,--egli è già uscito.

«Ebbene? che c'è da farti rossa per questo?

«Egli mi trovò sola, e mi chiese quale sarà il giorno che io
fisserò...

«Per le nozze, nevvero? Oh! E tu chi sa che avrai risposto...?

«Che bisognava parlare con babbo...

«Saviamente risposto! Ma... quella castellanina di cui parlammo una
volta, avrebbe avuto altro cuore.... E tu quando tuo babbo avrà
fissato il giorno; tu testolina, avrai viso di rispondere che non lo
vuoi più...

«Ma non ha visto padre, che gran signore egli è? Che dirò quando mi
condurrà nella sua città, nel suo palazzo? E sua madre? Mi troverà
fatta troppo alla buona...; e poi no... io non voglio andare così
lontano, voglio vedere sempre mia zia, mia sorella...

«Ah sempliciona! E tu una volta pensavi di andar monaca, di quelle che
non escono più di monastero nè vive nè morte! Stai pure, che
coll'amore si vince, e potremo tirare il tuo sposo a stabilirsi quassù
da noi.

«Per codesto, disse che comprerà tutta la vallata, o il castello; e
che lo farà ricostruire per me...

«Vedi, vedi? Lascia fare a me, che dentr'oggi s'ha a a fissare ogni
cosa...

«Oh! padre... no così presto...

«Sta zitta: Tutta la valle sa che ti hai a sposare.... E se la guerra
ce lo portasse via? Che si direbbe? Che t'ha piantata... Chi ha tempo
non aspetti. Tu sarai la prima dama del borgo; avrai fanciulle che ti
serviranno come una regina; ti faranno priora della confraternita di
Sant'Elisabetta; e quando sarai lassù nel tuo castello, a farti fresco
col ventaglio, affacciata al balcone; e vedrai questo povero frate,
per l'erta, venire da te..., dirai: «Sarei stata pur sciocca a non
dargli ascolto!» Ed io sarò contento, come fossi io stesso al tuo
posto.»

Bianca, ascoltando, fissava gli occhi nell'erba; e pareva le si
dipingesse su quella, la scena di cui il frate parlava. A un tratto
essa uscì in queste parole, che suonarono come un ultimo squillo di
tromba in mezzo alla sconfitta.

«Ma egli è soldato....

«E gli faremo smettere il mestiere!--sclamò il frate impettito come
chi ha superato l'ultimo riparo nemico:--gli faremo smettere il
mestiere: s'intende nè oggi nè domani, ma quando lo potrà, colla stima
dei gentiluomini suoi pari...

«Ma se venisse a sapere che io volli bene a quell'altro....

«E chi glie l'ha a dire....?

«E il Signore m'avrà perdonata...?

«Altro che perdonata!--interruppe il frate, prodigo di perdono,
appunto (per continuare la similitudine) come il vincitore di cure al
vinto;--va in buona ventura..., anzi t'accompagnerò io stesso....

«Oh no!--pregò Bianca--ci venga più tardi: il barone potrebbe credere,
che io sia venuta da lei a posta....

«E tu va... che io ti seguirò...»

Bianca stette un altro poco, quasi avesse qualcosa ancora da dire; poi
baciato quel benedetto cordone, che aveva avuti tanti suoi baci,
raggiunse la cascinaia rimasta sempre in disparte; e s'allontanarono,
spedito com'erano venute, per un sentiero, che lasciando il convento a
manca, metteva di là alla palazzina.

Poichè le ebbe viste sparire, il padre Anacleto si volse a quel San
Francesco della cappelletta, e dall'allegrezza gli parve di vedere il
diavolo, vestito alla foggia del paese, fatto della persona su per giù
come quel Giuliano di D..., fuggire colle corna rotte e colla coda tra
le gambe, più che se avesse avuto alle spalle una fiumana d'acqua
benedetta. Si prostrò dinanzi all'immagine del Santo e proruppe. «O
San Francesco, sia vostra gloria, se io senza correre in contrade
selvagge, senza attraversare mari e deserti, ho potuto togliere al
diavolo l'anima di questa fanciulla! Così il buon pievano di D...,
potesse acciuffare il giacobino che la voleva perdere; acciuffarlo e
guardandogli bene in viso, dirgli: «ma chi t'ha posto in corpo la
legione di demoni che tu ci hai? Pentiti, pentiti, pentiti!» e dargli
intanto squassi e benedizioni, finchè gli avesse tutti vomitati...!

Nella foga del dire, per poco non tese la mano ai capegli dipinti del
Santo, scambiandolo per un vivo, ma subito la rattenne proseguendo:
«San Francesco benedetto, tutta questa settimana e la ventura, dirò
messa al vostro altare...!»

Ciò detto, si mise di nuovo su quella pietra, si recò in mano
l'incannucciata che stava formando; e s'affrettò a terminarla cogli
occhi sull'opera, e i pensieri nel barone ed in Bianca.

La quale rientrando nella palazzina, udì la zia e Margherita che
parlavano tra loro in sala; e pur vergognandosi vinta dalla curiosità,
intese queste cose.

«Dunque non c'è verso a trovarla?--diceva la cieca--Ma si fosse almeno
certi della sua fuga...! Oh traditore! E colui? Affacciati, guarda se
lo vedi sempre?

«Sì--rispondeva Margherita--è laggiù all'ombra degli avellani...»

Bianca udì; e quelle parole della zia le fecero come una fiammata
levatasi improvvisa dal cuore per tutta la vita. Non sapeva bene il
perchè, ma si sentiva ferita proprio nel vivo dell'anima; e fattasi
forza salì, si mise dentro la sala, severissima nell'aspetto.

«Eccola! eccola!--gridò Margherita, battendo le mani e correndo ad
abbracciarla.

«Donde venite?--chiese levandosi ritta, la cieca--E Bianca, più sempre
ferita da quel sentirsi dare del voi rispose:

«Dal convento.

«Questa è la prima, e sia l'ultima volta che v'avrò vista
allontanarvi.... da sola! Almeno, dico sin che io sarò qui....: dopo
farete il piacer vostro!

«Ah zia»--sclamò Bianca, dandosi le mani nel viso; e col cuore alla
gola salì in camera. Là il pensiero le ritornò sui giorni passati
nella solitudine e nel pianto. Ma allora niuno aveva pensato di lei,
quello che le pareva d'aver indovinato, nelle parole della zia. Adesso
l'ingiustizia le parve troppa; troppa verso di lei, troppa verso
l'Alemanno; e quasi per ricattarsi dell'offesa, si compiacque
amaramente nel desiderio, che il barone fosse vicino, per farsi udire
dalla cieca a parlare con esso.

In questo mezzo, il padre Anacleto, s'era mosso anch'egli dalla
cappelletta, e per diverso sentiero da quel che aveva visto pigliar da
Bianca, veniva alla palazzina. Quando all'uscire del bosco fu sopra un
poggiuolo scoperto, dal quale si poteva godere la bella vista del pian
di C...., che a quell'ora di mezza mattinata pareva una conca; si
fermò un istante, e gli cadde lo sguardo sopra un uomo, che giaceva
nel vigneto del signor Fedele, a piè d'un filare d'avellani. Il sito
era in parte, donde non si poteva vedere chi venisse dal convento per
la via fatta da Bianca; ma il padre Anacleto, che teneva altro
sentiero, fu visto da quell'uomo, il quale subito si levò in piedi, e
mosse ad incontrar lui, che facendosi solecchio colla mano procedeva
guardandolo.

Quell'uomo era il barone, stato quasi due ore a giacere sull'erba,
oprando poco da savio, uscito come era di malattia. Se n'avvide ai
primi passi che volle fare, perchè le gambe non lo volevano reggere, e
gli pareva che il cervello andasse per aria. Allora s'appoggiò ad un
albero e attese il frate, che disviando un tantino, veniva diritto
verso di lui.

«Figliuolo,--disse questi arrivando e facendo vedere
l'incannuciata;--ecco tutto quello che ci rimane di quel che sapeva
fare San Francesco: egli risanava gli infermi con un soffio, io ho
potuto appena formare quest'arnese che l'aiuti a reggere il braccio un
po' più agiato che codesta fascia....» E presogli il braccio, glie lo
acconciava, su quello strumento con molto amore.

«A me importa nulla guarire!»--disse il barone con voce profonda.

Allora il padre Anacleto guardandolo in viso, sfatto come fosse
tutt'altro che in via d'uscir guarito, diede un passo addietro e
proruppe: «O che la fa bestemmiare in codesta guisa? E che vuol dire
la faccia così smorta?»

«Ho fatto una mala azione, padre; e meriterei che mi si spogliasse
della divisa, e mi si mandasse ai Francesi, che mi uccidessero!.... In
casa al signor Fedele io non c'entro più, perchè uscii di camera,
trovai Bianca..., le parlai..., e suo padre non c'era....

«Oh ragazzo!--interruppe il frate;--uomini che con una spada in mano
affrontano la morte, tremano in casa d'amici, per una parola, per uno
sguardo! O Bianca non è sua fidanzata? E quando non ci si trova niun
male noi, voi ve lo trovate?»

L'Alemanno mise i suoi occhi verdastri, tra ciglio e ciglio al padre
Anacleto; e gli parve di non aver visto mai viso impresso di più
sincerità. Non aggiunse parola, si lasciò pigliare a braccetto, e
condurre alla palazzina; discosta quanto un uomo destro lancierebbe,
in due tratti, una pietra.

Là, il signor Fedele, tornato un momento prima da C... aveva cacciato
il capo dentro la camera dell'Alemanno, ma vistola vuota, rimasto col
piede sulla soglia, e col dito sul sali-scendi, chiedeva stupito alla
cognata, che non s'era mossa dalla sala:

«E il signor barone?

«Il signor barone--rispose asciuttamente la cieca:--potete cercarlo
fuori; in casa non c'è, e così non vi fosse stato mai!

«Oh lo spensierato che io fui!--sclamò il signor Fedele dandosi una
palmata nella fronte:--spensierato che io fui a lasciarvi sole, a non
tornare addietro, quando incontrai quel guasta capi di don Marco, che
veniva da questa parte! Che c'è venuto a fare qui? Chi l'ha chiamato?
dov'è? Ditelo, prima che vi ponga le mani addosso!

«Don Marco!--levossi a dire la cieca maestosa, mentre Margherita le si
rannicchiava dietro, paurosa del padre imbestialito:--don Marco? Fosse
venuto! ma egli non si cura di voi, nè di noi.., nè delle case come la
vostra...!

«Zitta!--disse il signor Fedele tra denti:--udite? il barone
arriva..., guai a chi osa fiatare».--E spingendo la cieca e Margherita
verso la loro camera minaccioso, le chiuse; poi si fece sulla scala a
vedere l'Alemanno che saliva aiutato dal frate.

Il barone era pallido, e pareva tornato ai giorni in cui la febbre
della ferita l'aveva più travagliato. Teneva, salendo, gli occhi nel
signor Fedele; e come fu in cima alla scala, li girò attorno, cercando
con gran desiderio. Il frate fece per disopra le spalle di lui, un
cenno a quello, che era lì per prorompere chi sa in quali
esclamazioni; e fra tutti e due si diedero attorno a riporlo a letto.
Egli si lasciava fare come un fanciullo.

Damigella Maria e Margherita spinte dal signor Fedele, in quella guisa
brutale, nella loro camera, stavano questa sbigottita, quella così
offesa nel vivo, e incerta di quel che s'avesse a fare; che si sarebbe
chinata a baciare i piedi, a chi fosse venuto a darle un consiglio. E
non le pareva vero che don Marco fosse passato da quelle parti, senza
rammentarsi di lei, e fantasticava, e si lagnava di lui colla nipote.
A un tratto si levò in piedi, e giunte le mani: «Oh guarda!--sclamò--e
non ci aveva pensato. Oggi è il natalizio di don Marco, e di certo
egli andò a dir messa laggiù a San Matteo. Non hai inteso la
campanella, che sarà un'ora, suonava! E sì che mi pareva d'udirla
dire: «vieni! vieni!» Margherita, dammi la mia pezzuola, poni in capo
la tua, anderemo tanto che lo troveremo!

Margherita obbedì sollecita; e non viste nè udite dal signor Fedele,
uscirono guadagnando spedite la via, che sul margine d'un rigagnolo
detto dei frati, menava diritto a un gruppo di case, raccolte, come
famiglia concorde, intorno ad una chiesicciuola, in fondo alla
vallicella.

Là don Marco soleva andare il dì del suo natalizio, a dir messa e a
pregare pei suoi vecchi; che erano stati di quel casale. I villani
accorrevano dai campi e dai vigneti; reverenti a quel prete buono, che
riveniva ogni anno, come la rondinella della gronda, a far sentire la
sua parola d'amore nella chiesetta. Detta la messa, egli andava a far
colazione con qualcuno di essi; poi se ne tornava a casa, e fino
all'altro anniversario non lo si vedeva più comparire.

La cieca pensò, che il meglio era aspettarlo a un bivio, a mezza
strada tra la palazzina e quel casale; e ivi si fermò appunto in
quella, che egli spuntava a una svolta della via, camminando colla
testa bassa, e forse pensando alla gente della palazzina, che vedeva
poco discosta.

«È qui--disse Margherita, e damigella Maria si sentì dare un gran
tuffo al sangue.

Appena le vide, don Marco affrettò il passo, e quasi turbato disse
alla cieca: «grazie, o Maria, grazie! io da lei non mi sentiva il
cuore di venirvi!

«O don Marco! in casa nostra non ci si può più vivere; ci comanda il
padre Anacleto, e Bianca pare che le abbiano mutato il cuore. Venga,
venga un po' lei, ci scampi tutti, per carità...

«Andiamo--disse don Marco: e Margherita che s'era tirata in disparte,
e in quel mattino s'era indonnita più che non avrebbe fatto in un
anno; corse a dar in mano alla zia un po' della sua gonna, come
soleva, per aiutarla a camminare. Così mossero, badando essa e il
prete, che la cieca ponesse a modo i piedi per quelle sassaie; e
s'avviarono alla palazzina.

Bianca che non s'era più tolta dalla finestra della sua camera, gli
scoperse improvvisamente. L'apparizione di don Marco, fu per lei, come
se l'avessero posta dinanzi ad uno specchio, e di bellissima che era
stata, si fosse vista divenuta deforme. Ripensò a quel giorno, in cui
s'era andata a gittare a' piedi della signora Maddalena, in casa del
prete; sentì come un'eco lontana delle parole che aveva detto quel
giorno; e misurato l'abisso che già la disgiungeva da quella d'allora;
provò dentro qualcosa a guisa dei fanciulli, i quali svegliandosi al
buio, colti da terrore, s'affagottano nelle coltri a segno d'affogare.
La sua coscienza si fece codarda; e presa da uno sgomento invincibile,
si cacciò su per una scaletta angusta, e si rifugiò in una torretta,
che spiccava alta sul tetto della palazzina. Alcuni colombi, che
annidavano lassù, turbati fuggirono a stormo per la campagna; ed essa,
pensando che quegli innocenti l'avessero in orrore, si rannicchiò in
quel luogo immondo, e non ebbe il conforto manco del pianto. Fu quello
il momento più amaro della sua vita; ma pur di fuggire la vista di don
Marco, sentiva che sarebbe stata lassù tutta l'eternità, come in luogo
di penitenza.

Damigella Maria, Margherita e don Marco, giungevano intanto alla
soglia della palazzina; e questi veniva messo dentro dalla cieca, in
una stanza terrena, dove nella state si soleva raccogliere la famiglia
a godere il fresco.

«Maria--disse egli--io aspetto qui suo cognato; vorrei parlargli da
solo, gli dica che col suo comodo ci venga un momento.»

La cieca salì con Margherita, e trovato il signor Fedele che stava
mangiando col padre Anacleto gli disse: «V'è di sotto una persona che
vi vuole....»

Al tono della voce severo, al silenzio di Margherita, egli si levò da
mensa, ricambiò col frate alcuni sguardi, discese a terreno, e si vide
innanzi a Don Marco. Se l'aspettava e non se l'aspettava; ma da quel
fino dissimulatore che egli era, non fece segno di essere scontento;
anzi, gli fu incontro colle braccia aperte, come chi accoglie un amico
desiderato.

«Fedele--cominciò don Marco--fummo amici da giovani.

«Amiconi, diascolo! In che ti posso servire?...

«In una cosa...; dimmi, in casa tua siete tutti felici?

«Felici! Tu insegni che il Signore felici non ne vuole; ma per quanto
si può....

«Tu stai per maritare Bianca?

«Te lo voleva dire quel giorno, in cui venni in casa tua a pigliare lo
sposo....

«Sposo! E tu pensi che Bianca lo ami, codesto sposo che tu vuoi darle?
Bada, Fedele; al mondo, dei miseri ve ne sono già troppi; e pensa che
degli affetti delle fanciulle, un cristiano deve farne altra stima da
quella che si suole. La donna è abbastanza infelice da sè: e darla
contro il suo cuore, a chi piace a noi; è forse un aprire la via della
fuga alla virtù, che prima o poi se ne va. Tua figlia ama un altro; lo
sai?

«Che ha il nostro Don Marco?»--entrò dicendo il padre Anacleto,
disceso in quel punto, a porsi tra i due.

«Ho che qui si vuol rovinare una fanciulla inesperta!--sclamò Don
Marco all'improvvisa apparizione del frate:--ed ella dovrebbe aiutarmi
a fare che non avvenisse!

«Ma Don Marco,--disse il signor Fedele, tutto cuore a sentirlo:--chi
ti fa credere, che io voglia maritare per forza mia figlia?

«Va--interruppe il padre Anacleto, sicuro del fatto suo:--va, falla
venir quà, che egli la vegga, la oda; certe cose non c'è che vederle
da sè... va....»

Fedele salì, in cerca di Bianca; e il frate e il prete rimasero un
istante a guardarsi in viso.

«Don Marco;--disse alfine il padre Anacleto:--ella è il decano del
clero di C...; parliamoci chiaro: viene per intercedere a prò di quel
suo scolare di D..., Giacobino e Volterriano, più prossimo al carcere
che all'aule, dove dà a credere di stare a studio?

«Empio?--rispose Don Marco:--io, quanto a me, non so a qual uomo
getterei in faccia questa parola. Che io poi sia qui pel bene di quel
giovane, è la verità....

«E poichè ella dice la verità, la dirò anch'io; sì anch'io son qui, e
ci fui, e ci sto: lieto d'aver tolta Bianca al pericolo di perdere
l'anima sua, e d'averla tornata nell'obbedienza del padre....

«Oh se noi,--sciamò doloroso Don Marco--se noi ci immischiassimo meno
della salute dell'anime; e si pensasse a fare che sulla terra fosse un
po' più di giustizia! Si soffrirebbe meno, e si godrebbe abbastanza; e
il fumo del peccato non s'innalzerebbe con quello degli incensi, che
noi abbruciamo ogni giorno! Padre Anacleto, abbandoniamo questa casa
ambedue, la luce del Signore vi discenderà da sè....»

A questo punto, il signor Fedele tornava con Bianca. L'aveva cercata
coll'aiuto di Margherita, ed anche di damigella Maria; e scovertala in
quel nascondiglio, erano riusciti a cavarnela più a forza, che colle
preghiere. Di che stizzita, vergognosa, aveva dato in ismanie
dapprima; poi sbigottita al pensiero dell'Alemanno che poteva udirla,
e disperando d'essere lasciata in pace; «che si vuole da me?--aveva
sclamato--che chiede Don Marco? Mi cerca? dov'è? io non lo fuggo
mica!» E mentre la cieca si sentiva rimpicciolire il cuore, il signor
Fedele quasi in punto di battere le mani dall'allegrezza, menava la
figlia giù per le scale a quella stanza, dove erano Don Marco e il
frate.

Alla vista dei due, Bianca fu quasi colta da capogiro: sentì gli
ultimi pensieri di rispetto che aveva pel prete, cozzare coi nuovi
postile in mente dal padre Anacleto, e involarsi; appunto come avevano
fatto poco prima i colombi alla sua apparizione. E Don Marco, con voce
impressa d'affetto pietoso le disse:

«O Bianca; sono venuto a vederti, e tu non mi dici nulla..., che
pensi, che fai?...»

Essa chinò gli occhi e rispose:

«Io non ho nulla a dire... faccio quello che il Signore comanda...,
obbedisco mio padre....

«Dunque tutto quell'affetto....

«Ho pianto abbastanza;--interruppe Bianca--e non voglio peccare, pur
col rammentare il passato...»

Don Marco rimase come uomo che acciechi improvvisamente. Aperse le
braccia, guardò in alto, e senza più dire parola, uscì di quella casa,
dove gli pareva di sentirsi strozzare. La famiglia del cascinaio lo
vide allontanarsi quasi fosse perseguitato da qualche nemico; e vide
anche il padre Anacleto venir sulla soglia, e fargli dietro una croce,
per mandarlo segnato e benedetto. Questi, rientrando, stava per fare
le feste di quella sua nuova vittoria; quando tastoni, ansante,
pallida come una morta, veniva giù della scala madamigella Maria.

«E voi--sclamava--voi avete scacciato Don Marco? Scacciate dunque me
pure!»--E così dicendo faceva atto d'andarsene sola. Senonchè il
cognato, il padre Anacleto, la stessa Bianca le furono attorno, e
ingegnandosi di trattenerla, questa diceva:

«O zia, Don Marco se n'è andato da sè..., io gli dissi che farò quello
che mio padre vuole, ed egli rimase contento che il Signore m'abbia
illuminata....

«Illuminata!--diceva singhiozzando la cieca: dunque tu andrai
lontana?... tu m'ingannavi?... Fu nulla tutto quello che io penai per
te... o Bianca, Bianca!...» E presa tra le mani la testa di lei, le
baciava i capelli, la fronte, la bocca, per tutto dove in quella
angoscia le cadevano le labbra.

La fanciulla piangeva; il signor Fedele era quasi commosso; il padre
Anacleto coglieva il modo di quetare la cieca, e diceva:

«Come! e tu Bianca non hai detto a tua zia, che lo sposo t'ha promesso
di stare quassù; di far tua, se vorrai, tutta la valle; di riedificare
il castello..., e tante altre bellissime cose? Datti pace Maria, tu
starai sempre con essi, sarai l'angelo consolatore della loro casa; ma
ora per carità non facciamoci intendere da lui; che potrebbe
risentirne la sua salute.»

Damigella Maria, solo a udire che Bianca sarebbe rimasta sempre in
C..., sebbene tutti quei giorni si fosse accostumata a fidarsi poco
del padre Anacleto, si quetò un tantino; e disse che pigliava un po'
di tempo per trovare il partito che più le conveniva. Fu lasciata con
Bianca; e il signor Fedele salì dall'Alemanno il quale stando a letto
aveva udito quel viavai, ma per buona sorte non ci si era
raccapezzato.

Nella palazzina si rifaceva la quiete, essendo quasi l'ora di
mezzogiorno; e il padre Anacleto tornando al convento guardava se in
qualche punto della vallicella scoprisse Don Marco; il quale dallo
sgomento di quelle sconfitte, doveva a sentir suo, avere smarrita per
lo meno la via.




CAPITOLO XI.


Se altra fosse stata la vista del padre Anacleto, ed egli avesse data
un'occhiata alla via, che di là della Bormida, a seconda di questa,
menava a D...; avrebbe scoperto Don Marco, sotto i vecchi castagni,
avviato a quella volta.

Uscito dalla palazzina, che gli pareva di non aver più senso di nulla,
il buon prete era andato alla ventura; ma a poco a poco rivenutigli i
pensieri, aveva colto quello d'andare a D..., e là, detto apertamente
ogni cosa alla signora Maddalena, porla in grado di sapersi governare
col figlio. Il quale poteva capitare a casa da un giorno all'altro; e
si sarebbe trovato ai fatti dolorosi, che s'andavano compiendo.

Per guadagnare la via che aveva a fare, gli era bisognato piegare a
manca, e varcare la Bormida su d'una palancola, la quale si specchiava
in un lago verdastro, formato dalle acque vorticose e raccolte là
sotto, in un gorgo pauroso. Questo a chi vi passava sopra, dava le
vertigini, e ne riverberava l'immagine, rotta in cento maniere. Di là
del varco, fatti pochi passi su per un macereto, si trovava la via; e
Don Marco vi si mise di quell'andatura, che consentivano gli anni, e
la passione che lo turbava.

Così, colle mani appaiate sulle reni, un passo innanzi l'altro, fu in
un'ora al villaggio di R..., mezzo ancora sossopra per la passata
dello stormo di quei di D.... Cansò le case, pigliò i traghetti, e
nascosto dalle siepi degli orti, si ripose più oltre sulla via
maestra. Quando giunse a scoprir D..., i vichi sulle riva del
torrente, il castello, il campanile, tutto parve sorridergli come ad
un amico, e dirgli che dei guai di Giuliano, e dei patimenti della
signora Maddalena, niuno sapeva nulla. Il suo sguardo si posò sulla
casa di lei, che spiccava fra l'altre, col suo piazzale ombrato di
viti prosperose; e a mirare quelle mura d'allegra vista, non sembrò
vero manco a lui, che lì dentro si fosse annidata la sventura.

A quel punto del suo cammino, udì un cavallo che gli veniva dietro di
trotto; e tirandosi in sulla proda della via, si fermò per lasciarlo
passare. Il cavaliero era un ulano alemanno, di quei che avevano
svernato a C..., il quale come fu vicino al prete, rattenne la
cavalcatura, si scoperse, e facendo vedere un foglio, dimandollo molto
rispettosamente:

«Signor prete, sarebbe lei il pievano di D....

«No,--rispose Don Marco:--Salga su quel monticello dove vede quel
campanile; il pievano abita lassù; vada pur dritto che non può
fallare....»

Il soldato salutò di nuovo, e ripigliando il trotto, tirò innanzi.

Ma così non fece Don Marco; chè avendo cansato la terricciuola di
R.... per non imbattersi nel curato, il quale l'avrebbe annoiato col
volerlo seco qualche ora; adesso si studiava passare in parte da non
essere visto dal pievano di D.... nè da altri preti, che gliene
potessero dire. Si sentiva mal disposto verso gli ecclesiastici; e
disviando, discese sul greto del torrente, per guadare alla riva
sinistra, e quindi arrivare alla casa della signora Maddalena, che
giaceva su quella.

Al guado più agevole, sedette sul primo sasso che trovò, si scalzò
lentamente; e dando uno sguardo alle sue gambe insecchite, quasi per
confortarle a porsi nell'acque; sorrise, e pensò che tra non guari le
avrebbe poste a riposare nelle buche dei morti. Entrato nell'acqua, i
ciottoli del fondo gli scivolavano sotto le piante; ma sebbene ad ogni
passo gli paresse di cadere, la freschezza dell'onda gli temperava il
disagio, e guadagnò l'altra sponda. Là si rimise in gamba le grosse
calze di lana, che non erano più nere, ma d'un colore come di panno
strinato; poi contento del tepore che gli ravvivava le carni, prese un
sentieruolo, il quale lungo l'argine d'una gora guidava al molino del
borgo, donde in pochi passi, si saliva al piazzale della signora
Maddalena.

Tra l'andare e lo stare a ripigliar fiato, ora a quella, ora a
quest'ombra, aveva fatte quasi le ventidue; ed egli sapeva come fosse
l'ora, in cui la signora soleva uscire per le sue passeggiate
solitarie. Guardò pei prati e pei campi vicini, ma non la vide; perchè
s'erano mutate in quella casa di molte usanze, massime in quei due
mesi, ch'essa non usciva quasi più. Amava la solitudine; un cerchio
plumbeo le si era venuto formando intorno agli occhi; dal tanto
patire, le carni le si erano fatte scure; talvolta, si lagnava colla
fantesca, d'avere le labbra arse, e nel cuore un caldo come d'acqua
bollente; tal'altra rabbrividiva, e poi parlava di mostri che le era
parso di vedere. Marta s'ingegnava di farle animo, diceva che di
quelle scosse di nervi n'aveva provato anch'essa; e parecchie volte
pigliava la via della montagna, e tornava carica d'erbe che conosceva
per buone a quei mali; ma l'indomani le buttava via senza averle
adoperate.

A guarire la signora sarebbe occorso altro aiuto. Suo figlio in casa,
Bianca per nuora, e la dolce quiete; questi sì che sarebbero stati
farmachi da giovarle! Ma di lui non si pregava che le notizie; di
Bianca non aveva più risaputo nulla; nè s'era mai rischiata di
chiederne a Don Marco per lettera o per altra via. Di quello che aveva
inteso e veduto a C... le era rimasto qualcosa che la consigliava a
non si fidar nel futuro; e sebbene la fanciulla avesse promesso di non
essere d'altri mai; si mescolava a quella memoria l'immagine del
signor Fedele, come quella d'un drago delle tante favole, che alla
fine l'avrebbe costretta.

Per togliersi un poco a quelle idee lugubri, aveva trovato un
passatempo che per quell'età, non era cosa da poco. Raccoglieva ogni
giorno tre o quattro fanciulle del vicinato, e loro insegnava a
leggere con molto amore. In questa impresa, essa e le alunne s'erano
così dilettate, che queste sino dalle prime lezioni avevano imparato
il _gesummaria_. Io non saprei con quale giudizio i pochi che allora
sapevano di lettere in quella valle, avessero dato all'_abicì_ quel
nome, che sempre è sulle labbra alla gente che sclama per dolore, per
uggia o per paura: ma so che lo si chiamava ancora a quel modo, sarà
poco più di vent'anni.

La novità spiaceva a Marta, la quale ne mormorava tra sè ogni giorno;
molestata dal monotono sillabicare di quelle donne: spiaceva a Rocco,
perchè tra queste ci aveva la sua Tecla: e sopra tutti spiaceva al
pievano, il quale non s'era potuto tenere dal dire di sul pulpito, che
qualcuno della sua pieve, lavorava a far roba pel diavolo. Ma la
signora Maddalena, pur avendolo risaputo non ci badava, e tirava
innanzi da brava maestra.

Quel giorno, all'ora in cui don Marco si avvicinava, essa aveva seco,
delle alunne, la sola Tecla... Questa, chi non l'avesse più riveduta,
dal dì della partenza di Giuliano, a prima giunta non la ravvisava.
Faceva allora i suoi sedici anni; e prima, niuno s'era accorto che
fosse bella; perchè la sua faccia aveva patito il sole; e forse la
gran sanità, che fa parere le campagnuole sin troppo virili, teneva
nascosti i pregi delle sue forme. Ma da quando Giuliano le aveva
dette, sul prato, le afflitte parole che rammentiamo; i contorni del
viso e la persona le si erano risolti in molta bellezza: e a misura
che immagriva, si avrebbe potuto somigliarla ad una statua, sbozzata
alla grossa nella furia del creare, e poi condotta a fine con lungo
affetto. Di certo le era entrato qualche dolore, che assiduo ma pacato
aveva fatto migliore l'opera della natura; e parlava in essa dagli
occhi neri e languenti, maestro d'un'anima nata con ali da volar alta,
e tenuta in cambio, tutta l'adolescenza, nascosta e costretta come
gemma in seno alla roccia.

La signora Maddalena, cui quel mutarsi della fanciulla, dava gran
piacimento; stava, come ho detto, con essa in sala: e avendo terminata
la sua lezione di lettura, diceva amorosa:

«Non ti puoi immaginare la dolcezza che provo! Prima che l'anno
finisca, voglio che tu sappia leggere a modo, e scrivere. Così, se un
giorno ti sposerai a qualche buon giovane, ti vorrà più bene. E allora
ti ricorderai di me, nevvero?... Adesso provati a imitare questi segni
che t'ho fatto in cima al foglio.»

A Tecla, quelle parole suonavano piene di mesti presagi, e insieme di
dolci promesse. Si appoggiò al tavolino, e cominciò a menare la penna
di pollo d'India, sgorbiando certe lettere che un po' le riescivano
somiglianti a scorpioni, un po' a girini; e a tratti la penna
impuntando come bestia restia, schizzava inchiostro fin sulle dita
della signora.

In quella don Marco, giunto sul piazzale, si spolverava un tantino; e
attraversato il corto andito, che dall'atrio metteva nella sala
terrena, battè all'uscio pianamente, quasi gli fosse piaciuto di non
essere inteso. Tecla corse ad aprire spedita.

«O Dio!--sclamò la signora, facendosi bianca come la baverina, che dal
collo le si rovesciava sulla veste turchina carica; e movendo incontro
al prete, rimasto a quel grido sulla soglia impacciato, gli prese la
mano lo guardò fisso, gli lesse negli occhi. A lui la lingua gli andò
in fondo alla gola; essa non trovò la forza a dir altro.

Con questa sorta d'accoglienza s'andarono a sedere vicino al tavolo,
sul quale si vedeva il calamajo, la penna, il foglio sgorbiato da
Tecla, e allora soltanto, così per aspettare che alla signora si
quetasse quel rimescolo di sangue: «qui,--disse don Marco--qui abbiamo
una scuola?» E pigliò in mano il foglio, ma non disse altro
all'alunna, nè lodò la bella impresa, come sarebbe stato da lui. Tecla
intanto accorta d'esservi di troppo, chiesta timidamente licenza, si
tirò in cucina, sotto colore d'ajutarvi Marta in qualche faccenda.

«Dunque, tutte quelle promesse son divenute nulla!--disse la signora,
certa d'avere indovinato quel che il prete portava.

«Le hanno fatto vedere che il mondo è vasto, bello, ricco di piaceri;
Bianca ha dimenticato il suo paradiso. S'è fidanzata, bisogna
rassegnarsi.

«Rassegnarsi! noi rassegnarci, ma Giuliano? Ah quel giorno, glie
l'aveva pur detto che queste cose avrebbero trista fine...! O che sono
le fanciulle dei nostri tempi? Come mai si può mutarsi tanto,
com'essa, in sì breve tempo? E a udirla era pronta ad ogni martirio..!

«Sono cose che chi non le ha viste, manco saprebbe
immaginarle:--rispose don Marco; e qui cominciò a narrare l'andata
improvvisa in villa del signor Fedele; poi dell'Alemanno capitato a
C.... ferito, e di nuovo di colui che se l'era venuto a pigliare per
portarselo laggiù. Disse di quel tempo in cui non aveva avuto cuore
d'andare a quella villa, e quanto gli rimordeva; raccontò quel che gli
era incontrato poche ore prima; e ripetè le parole di Bianca, che gli
era parsa fresca e rossa, e aveva detto di voler fare in tutto la
volontà del padre suo, con tai modi, da non lasciare speranza di
vederla tornata all'antico proposito.

Diceva di sentimento, ma badando a dar meno dolore che potesse alla
signora; la quale a mano a mano che gli parlava, si abbandonava di
nuovo nella sua stanca malinconia. Ma come se per quel giorno, non ne
avesse abbastanza, doveva capitarle in casa don Apollinare con
un'altra consolazione.

Chi fosse stato a vedere costui, scendere di castello, infilare il
ponte, passarlo, piegare a manca verso la casa della signora
Maddalena; avrebbe creduto che visto andarvi un prete forastiero,
corresse a lagnarsi dell'ospitalità chiesta altrove, piuttosto che nel
presbiterio. Ma egli veniva per tutt'altro, rosso in viso, e per quel
che si capiva dal passo spigliato, con qualcosa nell'animo che lo
agitava di molto. Alla fine delle fini il suo giorno era giunto per
quel discolo di Giuliano; egli lo sapeva, e s'affrettava a dirlo alla
povera madre, a farle dinanzi le grosse esclamazioni; proprio come un
uomo tenuto sobrio gran tempo, che appena lo può corre all'odor del
forno, con la voglia spasimata d'una buona satolla. Passando sotto
quell'arco, vedendo quell'orto, si rammentò di quella tal mattina che
Giuliano glie ne aveva dette di così scolpite; attraversò in fretta il
piazzale, l'atrio, l'andito; ma all'uscio della sala non istette a
picchiare, ed entrò da sè addirittura.

La signora Maddalena manco s'accorgeva di lui, se don Marco andandogli
incontro, così per dire qualcosa, non gli chiedeva della sua salute.

«Io sto bene!--rispose il pievano:--ma non così tutti coloro che mi
stanno a cuore. Suo figlio, signora, a Torino si finisce di rovinare.

«Che non l'è ancora abbastanza?--proruppe essa levandosi ritta:--ci
pigli una volta me e lui! ci mandi schiavi ai Turchi; peggio di qui
non istaremo!»

Queste parole, il modo in cui furono dette, la guardatura di don
Marco, posero il pievano in gran confusione. Di che ripiegandosi un
tratto in sè stesso: «io--disse--io che le ho fatto a lei...? Me ne
vado e ognuno s'ingegni...!»

E fece atto d'andarsene; ma don Marco si pose tra l'uscio e lui per
rattenerlo; e stava per consigliarli maggior carità, per la signora;
senonchè questa aveva già presa la mano di don Apollinare, e tenendola
umilmente e lagrimando diceva:

«No...! signor pievano, abbia compassione d'una povera madre, che non
finirà di penare, sinchè non sia morta o impazzita! Mi dica tutto...,
mi dica, e che io muoia se è tempo!

«Ecco!--sclamò egli spiegandosi di nuovo:--ecco che cosa le fruttò
l'aver taciuto, quando egli mostrava di perdere il timor di Dio!
Questa è una lettera, che ho calda calda da un soldato, spacciatomi a
bella posta dal generale piemontese, che accampa dalle parti di Ceva,
il quale l'ebbe da Torino, per la via di Mondovì: e in essa mi si
chiede notizie di un Giuliano da D..., che studia laggiù, che è mio
parrocchiano;... insomma si vuol sapere che soggetto è...! e se ne
immischia la polizia, la Curia... tutti!»

Così dicendo faceva vedere la lettera, battendola sul dorso della mano
sinistra, e aspettando che l'un dei due parlasse. La signora teneva il
capo chino, colla mente negli abissi in cui il figliuol suo
precipitava; don Marco, guardando il pievano, pareva studiare, come un
sacerdote potesse aver cuore, di tormentare così fuor di maniera una
donna già troppo infelice.

«Che ne dice, ella che fu suo maestro?--gli chiese alfine don
Apollinare, vedendo che non gli si rispondeva nè dall'una nè
dall'altro.

«Eh!--rispose don Marco--io dico, che questo miscuglio di monsignori,
di polizie e di generali, mi pare una torbida cosa: e mi duole di
vedere che noi preti, a quest'ora abbiamo lacerate mezze le pagine del
Vangelo! Dia retta a me, faccia in pezzi cotesto foglio, li metta per
segnacoli nel suo breviario; e ogni volta che li rivede, rammenti quel
dettato che abbiamo sempre in bocca; non muove foglia che Dio non
voglia.

«Altro che foglie!--proruppe il pievano--va in aria la intera foresta,
e il vento della rivoluzione l'amulinella!

«O allora, qual riparo vi possono fare la Curia, la polizia, il
generale di Ceva...? E Giuliano, un giovane che manco si vede sulla
terra, che cosa può aggiungere alla grande bufera? Non gli faranno
nulla... vedrà...

«No... nulla!--saltò su a dire la signora Maddalena, pigliando dalla
sicurtà di don Marco, un subito ardimento:--non gli faranno nulla,
perchè noi scriveremo, andremo, mi presenterò al Re!

«Il Re è stanco di perdonare--disse il pievano--e Dio non può più
vedere la religione calpestata, i suoi ministri oltraggiati! Io ho qui
la lettera; farò il debito mio, da cristiano e da pastore; ella
scriva, mandi, vada, faccia quel che pare! l'ho avvisata!»

Ciò detto diè di volta, infilò l'uscio e scomparve, stizzito di non
avere potuto sfogarsi, per quell'importuno don Marco. Il quale,
rattenendo la signora, che voleva correr dietro al pievano per
supplicarlo:

«Stia,--diceva:--e non si sgomenti...! E la marchesa di G..., non farà
nulla per Giuliano? non l'avrà tenuto d'occhio?»

A questo ricordo, la signora Maddalena si fece in faccia, come sarebbe
a dire un fiore, su cui discenda un raggio di sole dopo un ribocco di
pioggia. E da quel nome pigliando lena, si mise col prete a pensar
modo di chiedere alla gentildonna, che aiutasse Giuliano a scampare
dai pericoli ignoti, de' quali il pievano era venuto a parlare.

Ora la marchesa di G..., cui don Marco aveva raccomandato Giuliano,
sin dal primo anno della sua andata a Torino; era di quei tempi, dama
d'altissimo conto, in corte ai reali di Sardegna. Nelle due valli
della Bormida, la si stimava onnipotente: e perchè vi veniva ogni anno
a villeggiare, ora in quello ora in questo de' suoi molti poderi,
conosceva per quei borghi i primi casati. Rimase nelle Langhe memoria
di lei onoratissima: e si parla tuttavia di giovani, scampati per
opera sua, nei due o tre giudizii di quegli anni, in cui per tutto si
vedevano Giacobini e nemici di Dio e del Re, da torre di mezzo. Tra
l'altre si narra la storia d'uno scuolare, che carcerato con altri
molti, la marchesa gli fece dire non pigliasse altro cibo, salvo
quello che gli avrebbe mandato lei. Ogni giorno capitava in carcere
una dozzina d'aranci pel prigioniero, e in capo a una settimana, egli
potè uscire, e tornarsi libero alle montagne native.

La signora Maddalena e Don Marco, stettero un pezzo a fare e disfare
disegni, discorrendo di Giuliano e della gentildonna: e appunto
concludevano con quello di scriverle, quando Marta venne a dire che
era l'ora di cena. La signora aveva più volontà di piangere che di
muoversi; il prete era uomo di poco cibo, che se aveva in cuore
qualche tristezza, di questa si nudriva come di vivanda succosa; ma
ambedue per usanza di cenare sull'imbrunire, passarono in quella
stanzetta oltre la sala, dove era la mensa apparecchiata.

Tecla, che s'era tenuta fino a quel punto in cucina, donde aveva
inteso i discorsi di Don Marco colla padrona, e quella notizia portata
dal pievano, appena ebbe veduto libero il passo per la sala; uscì di
là in punta di piedi, turbata che non pareva il caso di trovar la
porta, per cui andar fuori. Poichè fu sul piazzale diede intorno
un'occhiata, come una fuggitiva che cercasse la via più destra. Il
sole era andato sotto allora allora, ma se un ultimo raggio l'avesse
percossa negli occhi, si sarebbe franto in due lagrime, che non
potendo sgorgare, davano alla sua guardatura non so che addolorato e
selvaggio. A un tratto parve aver afferrato un pensiero, una memoria:
e correndo difilata a casa di suo padre, salì per la scala di legno
sul pianerottolo che metteva nelle stanze, dov'erano i lettucci della
famigliuola. Entrò guardinga; non vide nessuno: e fattasi vicino ad
una vecchia ed ampia cassa, in cui suo padre teneva il frumento;
disteso sul coperchio un fazzoletto, tirò giù dalla stanga una gonna
d'indiana rossa, un giubboncello di panno azzurro, un grembiale
d'ugual colore, che cinto la copriva fin dietro le anche; poi aggiunto
un fazzoletto da capo stampato d'alberi e d'uccelli, e gli scarponcini
da festa; di tutto fece un fagottino, aggruppò in croce le becche del
fazzoletto, e buttò giù dalla finestra dietro la casuccia, in un
orticello. Discese, scantonò non vista, raccolse il fardelletto,
attraversò un vicolo, e fu sulla via che lungo la ripa del torrente,
menava a seconda dell'acque. Era quella presa da suo padre due mesi
innanzi, quando aveva accompagnato il signorino; e una volta in
viaggio essa aveva inteso dire assai volte, che per chi ha la lingua
in bocca ogni via va a Roma. Molti che tornavano dai campi, o che già
cenavano sulle soglie delle loro casette, la videro passare; ma come
erano usi a non le abbadare, così non fu chiesta da nessuno, che
cercasse o dove corresse.

In casa sua l'attendevano a cena; e sulla madia finiva di fumare
raffreddandosi la sua scodella di minestra; quando Rocco levando il
capo, e stando per imboccare l'ultima cucchiaiata, pose gli occhi in
quegli della sua donna, e le chiese: «e Tecla?»

«Chi lo sa dov'è?--rispose la moglie--ora che impara a leggere, non la
si può più comandare....!

«Vai a vedere dalla signora padrona!--gridò Rocco irato ad uno dei
figliuoli: e questi andato, tornò subito portando che di là Tecla era
uscita da un pezzo. Allora la donna, si fece sulla porta, e colla voce
più acuta che potè chiamò; «Tecla! Tecla!» tre o quatto volte. I più
discoli della ragazzaglia che ruzzava nel vicolo, risposero per beffa
imitando la voce della fanciulla; e la donna ingiuriandoli in cuor suo
proseguiva a chiamare. Ma Tecla di qua, Tecla di là, questa non si
faceva viva; ond'essa salì a veder nelle camere, e trovato che di
sulla stanga era stata tolta la veste cogli altri panni della
figliuola; tornò giù così in furia, che manco non vide la scala, e
piantatasi di faccia al suo uomo, gli disse sgomenta «Tecla è
fuggita!»

Rocco balzò ritto, e ruppe a quella nuova in certe parolacce, che le
donnicciole del vicinato, affacciate a chiedere che fosse, si turarono
le orecchie gridando: «Gesummaria!» Marta stessa, venuta alla voce, ne
lo rimproverava! e intanto sull'aia, dinanzi la casa, si faceva folla
come a vedere l'infortunio. Allora si cominciò a bisbigliare; e chi
aveva vista Tecla, con un fagottino, passare dinanzi la sua porta; chi
s'era abbattuto in essa e gli era parsa stravolta; uno le aveva tenuto
dietro coll'occhio sino al tale punto, un altro sino alla tale svolta
della via; sarà andata di qua, avrà tirato per di là, l'avranno
maltrattata in casa; chi l'accusava, chi la compativa; e i più
caritatevoli dissero che bisognava andare cercarla, trovarla dovunque
fosse, perchè dei soldati Alemanni se ne incontravano da per tutto,
e.... non osavano dire di più. Così gli uni correvano a pigliar
lanterne, gli altri a munirsi di bastoni; la moglie di Rocco non
faceva più che pianti: ed egli affaccendato a rispondere, a
interrogare, ad allestirsi un lume; venne più volte a segno, che se
avesse avuto lì uno schioppo, se lo sarebbe scaricato nel capo.

La signora Maddalena e Don Marco, saputo da Marta la cagione di quel
tramestio, erano venuti fuori anch'essi; e quella tremava, e il prete
accorreva pensando alle sciagure che in quel giorno facevano mazzo. Là
si diede attorno a porre un pò d'ordine fra quella gente; e
spacciandone per ogni banda, finì col mettersi insieme a Rocco ed a
parecchi altri, proprio per la via presa da Tecla.

Questa a loro sentire non poteva essersi allontanata di molto; e in
verità non era lungi più d'un miglio, sebbene avesse avuto tempo di
far più cammino. Ma ad un bivio s'era fermata, incerta di qual parte
doveva pigliare, e un pò spaurita dalla notte che s'era fatta alta. In
quel sito, su d'uno rialto, coperto di cespugli maluriosi, sorgeva una
croce, e Tecla a piè di quello la guardava di sotto in su, pregando
con gran batticuore, «Madonna Santa! mandatemi un'ispirazione! da qual
parte si va a Torino? non vado mica a dirgli nulla no...., vado a
raccontargli che sua madre muore di dolore, s'egli non se ne viene via
di là; che lo metteranno in carcere, che quella giovane...., ah...
Madonna Santa, non mi lasciate qui smarrita!» Così stando le si era
accesa la fantasia per modo, che le parve d'essere guardata da un paio
d'occhi balenanti di dietro la croce; e raccapricciò, come avesse
avuto lo spasimo di tutto quel roveto nelle carni. E subito rammentò
che là un viaggiatore era stato morto dagli assassini; credè di vedere
i tristi acquattati, e i loro ferri luccicanti nei cespugli, e il
morto ruzzolare dalla ripa sanguinante a' suoi piedi. Si abbandonò, si
rannicchiò, si fece piccina, e non osando fiatare: «eccoli, pensava
porgendo orecchio affannosa--vengono, mi uccidono; ma.... se dicessi
loro quel che vado a fare a Torino? Chi sa che non mi ci menassero
essi stessi? Ne ho intese tante di masnadieri, che alle volte fanno di
belle cose! oh, mio Dio, sono qui..!» E si strinse vie più; quasi
volesse farsi una buca nella terra; e un sudore freddo le correva per
la persona.

Qualcuno veniva davvero, perchè lungo la via che essa aveva fatto,
s'udivano pedate e parole; e fra i tronchi scuri degli alberi si
vedevano due o tre lumi apparire e celarsi. Alla lentezza
dell'avanzare, si discerneva che coloro cercavano con diligenza la
riva del torrente; ma Tecla non potè badare a questo, perchè provatasi
a fuggire, ricadde senza forza, e ravvolgendo la faccia nel grembiale,
ruppe nel pianto più disperato che creatura umana possa versare.

Come la brigata fu al bivio, uno che precedeva di pochi passi vide
quella cosa scura a piè del rialto; e correndovi accostò la lanterna.
Non ebbe tempo di vedere che fosse, e Tecla facendo uno sforzo, con
voce rotta dall'affanno gli gridava: «signore, sono una povera
creatura, non mi faccia alcun male; vado a Torino a salvare il signor
Giuliano...

«È qui, è qui,--urlava colui scoprendo il viso alla giovane mezza
morta dalla paura. «Te lo do io il signor Giuliano!» gridava Rocco,
smesso il rammarichio con cui si era venuto lagnando come un uomo che
morisse svenato; e d'uno slancio fu sopra la figliuola sbuffando
feroce, e colle pugna levate. Ma un'altra mano incontrò le sue sul
capo della infelice; ed egli guardando chi osasse toglierli quello
sfogo di padre, vide don Marco in atto così dolce, che gli fece cadere
quel primo furore. E «orsù confessati--disse risoluto alla
figlia--confessati qui a don Marco, che qualche gran peccato ce l'hai
di certo. Suvvia... a chi dico? Comando io, o chi comanda?» e così
dicendo, e ridestandosi in lui l'ira, torceva alla fanciulla le
braccia.

«No Rocco--entrava a dire don Marco--questo non è fare da cristiano;
date mano a Tecla, essa è vostra figlia, e si confesserà a voi, meglio
che a me, meglio che a chichessia.»

E fatto raccattare il fagotto ad uno di quei villani, ai quali la sua
parola tornava sì nuova e sì dolce; parlando di pietà, d'amore, di
perdono, don Marco s'avviò con essi per tornare al borgo.

Vi giunsero che il ponte riboccava di gente, e chi una e chi un'altra,
tutti in quella faccenda dicevano la loro. Don Apollinare anch'esso,
disceso di castello, dopo aver ben chiarito, che non era affare di
Francesi; alle congetture che ardiva fare, aggiungeva la sua, e
tenendosi in mezzo ad un capannello di maggiorenti, diceva.

«Tutte baie! Quella ragazza va a male da due o tre mesi in qua; ed io
ne sono certo, e dico che ha pigliato il maleficio. Chi in una mela
chi in un garofano, ne ho viste molte che l'avevano preso; e tutte
finirono col fuggire improvvisamente di casa, come, salvo l'anima, i
cani che vanno in rabbia....

«Dice bene il signor pievano; salva l'anima, come i
cani!--rispondevano coloro:--eccola, eccola, l'hanno trovata, è
qui....» E tutta quella gente si affollava, in capo alla via.

«Vieni qua... menala qua che la vegga...--diceva il pievano a
Rocco--fategli largo..... Eh? di queste ne ho a sentire nella mia
pieve?--E levando il bastone sopra la fanciulla, che veniva innanzi
trascinata dal padre;--ma se l'ho detto, continuava, è malefiziata!
non la vedete com'è stravolta? Va, tienila chiusa, mettile in bocca
una foglia d'olivo benedetto, falle bere un sorso d'acqua santa;
domani la condurrai in chiesa, faremo l'esorcismo; e se il diavolo non
le uscirà di corpo, bisognerà condurla a Savona, a farla esorcizzare
nella miracolosa cappella del Cristo risorto.

«Ma signor pievano! interrompeva don Marco, che stanco com'era,
arrivava un po' dopo degli altri:--che parla di malefici, di
esorcismi... di diavolo...? Ho visto questa fanciulla a piè d'una
croce costaggiù, e lei insegna che il diavolo fugge dalla croce....!

«È vero.... l'abbiamo sin per proverbio.... fuggire come il diavolo
dalla croce....! dicevano gli astanti.

«Oh! si persuada?--proseguiva don Marco pigliando a braccetto il
pievano, cui l'assentire dei suoi parrocchiani toglieva l'ardire: e
tirandolo via verso la salita del castello gli andava dicendo: «ai
demoni e ai malefici, si crede meno di quel che pare; per carità,
badiamo a non nuocere a nessuno, e tanto meno a fanciulle povere e
senza difesa....»

Rocco, colto il destro, s'allontanava con Tecla; i signori e i
popolani, chi lieto, chi mal sazio, si dispersero ognuno verso casa
sua; i due preti si fermarono a piè della salita del castello; e chi
fosse stato dietro a un oratorio che ivi sorge antichissimo, avrebbe
inteso don Marco continuare il suo discorso col pievano; il quale lo
lasciava dire, come quegli fosse stato un vescovo, ed egli un
chierichetto novizio.

«Le sarò grato--diceva don Marco--le sarò grato d'essersi persuaso;
d'avere smessa l'idea d'esorcizzare quella povera giovane, perchè
sarebbe morta di vergogna.... Ma ora ho un'altra cosa, per cui sarei
venuto domani mattina a pregarla: e giacchè siamo qui..., mi dica....
a quella lettera d'oggi risponderà....?

«E come no?--sussurrava il pievano.

«Risponderei anch'io; ma mi dimenticherei di qualunque corruccio.
Pensi, signor pievano, che là in quell'angolo della sua pieve, vive
una povera madre, che non sa più a qual santo volgersi per un po' di
pace. Io credo che la troverà nella tomba, perchè non durerà più a
lungo. Ma un giorno quando gliela porteranno morta, a farla benedire,
sotto le vôlte della sua chiesa: e il popolo che le vuol bene, la
piangerà come una madre perduta; qual consolazione per lei, poter
dire: io le ho fatto un beneficio, e questa donna lo deve a me se non
è morta da tempo....?

«La signora..... povera donna, è degna di rispetto....--rispondeva don
Apollinare:--ma lui, quel suo figliuolo, quell'insolente che farebbe
ingiuria al paradiso...! Qui il pievano s'accendeva, ma don Marco
sempre con dolcezza:

«Senza macchia non v'è manco il sole! Eppoi, sia pure Giuliano quel
che le pare, ma sta bene a un prete giocar di vendette? Sta bene a noi
essere i primi, a portar la lanterna al bargello? E se domani, se fra
venti giorni la guerra ci portasse in casa i Francesi; e qualcuno si
pigliasse la briga di dir loro che ella ha perseguitato un giovane,
che la pensava un po' alla loro maniera? La vendetta rifiglia, ella lo
sa; e se i Francesi ponessero le mani addosso a lei?

«Io....--disse il pievano sentendosi arricciare la pelle più assai di
quella volta, in cui il padre Anacleto gli aveva dette a un dipresso
uguali parole:--io scriverò a Torino che Giuliano è un giovane.... sì,
un giovane.....

«Via.... un giovane dabbene, dica! Mi porto via la sua promessa,
signor pievano; e se non ci vedessimo più, le sia dolce quanto a me,
pensare che l'ultima volta abbiamo fatto insieme un po' di bene....»

Ciò detto, e strettagli la mano con gran sentimento, lo lasciò a piè
della salita; e s'affrettò a casa di Rocco, dove non sapeva come
avrebbe trovata la povera Tecla. Sull'uscio della casetta s'imbattè in
lui e nella moglie, che si bisticciavano, circondati dai figliuoli; ma
la fanciulla non v'era, perchè la signora l'avea scampata a fatica
dalle furie della madre, e se l'era tirata in casa per tenervela
quella notte. Don Marco si fermò un tratto da Rocco per consigliare a
lui e alla moglie pazienza e pace; poi fece quei pochi passi che
correvano di là alla casa dalla padrona. Marta lo aspettava
nell'atrio, struggendosi dalla voglia di parlargli: e appena lo vide
gli si piantò in faccia, e gli disse:

«Mi perdoni; ci ha capito nulla lei nel fattaccio di questa sera? No?
Ebbene, io invece ci ho capito che la ragazzona è innamorata del
signorino! Già me ne era accorta quest'oggi, mentre ella parlava colla
padrona, e quando il signor pievano venne a dare quelle brutte nuove;
Tecla pareva sul fuoco, e piangeva. Ora questa scappata.... quel
fagotto.... vorrei parlarne alla signora....

«Date retta, Marta, la signora lasciatela in pace.

«Ma se venisse il signorino a casa...? Questa ragazza....

«Lasciamo questi discorsi, Marta, e domani sarete più contenta d'avere
parlato poco.»

La fantesca tacque, gli aperse l'uscio, ed entrò dietro di lui. La
signora Maddalena scendeva da una camera, vicina alla sua, dove aveva
posta Tecla a dormire; e fattosi incontro al prete gli chiese:

«Ebbene, che diceva il pievano?

«Il pievano? Parlò di malìe, di malefici, di diavoli...; voleva che
Tecla gli fosse menata domattina per esorcizzarla....

«Oh! allora dovranno venirla a togliere di qui a forza! sclamò la
signora, lieta di potersi porre a qualche sbarraglio, ora che suo
figlio pericolava a Torino:--di qui Tecla non uscirà più; alla fine
delle fini, baciar la polvere ogni volta che il signor pievano lo
vuole, non è manco da cristiani!

«Ma egli ha smessa l'idea;--aggiunse don Marco--ed anche mi ha
promesso di scrivere a Torino lodando Giuliano.»

Discorsero un altro poco di Tecla, del signorino, del pievano; e
quindi si lasciarono colla buona notte. Don Marco fu accompagnato da
Marta nella camera di Giuliano, dove la signora faceva tenere il letto
sempre rifatto, perchè a vederlo le pareva che il suo figliuolo non
fosse via: ed era una sua dolce illusione. Là il prete vide libri e
schioppi in bell'ordine; e avvicinatosi allo scrittoio trovò su certi
fogli molti visi di donna abbozzati, che tutti somigliavano a Bianca.
«Gran musa l'amore!» disse tra sè, e sedutosi, cominciò a scrivere la
lettera a quella gentildonna di Torino, molto raccomandandole il suo
antico scolaro. Poi si coricò, e don Apollinare, Giuliano, il signor
Fedele, l'Alemanno, Bianca e quella Tecla infelice, forse più di
tutti; gli uni con faccia di scherno, gli altri di dolore, gli
facevano nella fantasia una ridda, che gli metteva la febbre.
Meditando sul fatto di quella sera, e sulle parole dette da Tecla nel
punto in cui era stata trovata; finì per credere che Marta avesse
ragione, e che la fanciulla fosse davvero innamorata del signorino. Il
primo pensiero fu di immischiarsene pel bene di tutti, ma gli parve di
sentirsi negli orecchi una gran risata del padre Anacleto, e la voce
di lui dirgli: «prete, tu trovavi a ridire di me?» Con questo, contro
ogni sua speranza, gli venne il sonno; e in casa la signora Maddalena
tutto fu quiete, come fosse stata non abitata.




CAPITOLO XII.


L'indomani un po' dopo l'alba, don Apollinare stava sotto il
portichetto della chiesa, con parecchie divote che avevano udito la
messa; lo speziale apriva la bottega, e uscito a vedere che tempo
facesse, si mescolava al crocchio: un uomo attempatetto, che era il
cerusico, montato su d'un cavalluccio per avviarsi a visitare i
malati, si fermava a barattar con essi qualche parola, sul fatto della
sera innanzi: parevano l'ultima nuvola d'un temporale notturno,
risolto da un vento benefico, in un mattino quieto.

Marta, che manco per mezzo mondo, non avrebbe lasciata nella propria
vita la lacuna d'una messa perduta, perchè le sarebbe parso di non si
poter più fidare tranquilla all'eternità; aveva penato a non
trattenersi a dire anch'essa la sua; ma si era fatta forza, e
discendeva di castello frettolosa, per giungere a tempo, se la padrona
e don Marco levandosi, bisognassero di nulla. E camminando le pareva
di aver sognato, su quello che le era stato detto dalla signora, che
Tecla, da quel giorno in poi in cambio di andare a pascere il branco,
e a spigolare dietro i mietitori, sarebbe rimasta in casa come una
figliuola. Il villano che per pietà prese la serpe a scaldarsela in
seno; al sentire di Marta non se n'era di certo pentito, come la si
sarebbe di poi la signora, inconscia del capriccio annestatosi in capo
alla figlia di Rocco. Eppure non poteva avvisarla, non poteva dirle
che badasse bene. Perchè don Marco l'aveva consigliata a tacere quel
suo sospetto: e per essa contradire un prete, se proprio non v'era
tirata pei capelli, valeva quanto usare scortesia ad un angelo del
cielo, se l'avesse incontrato per la via, come ai tempi d'Abramo.

Giunta a casa, trovò che la padrona, don Marco e Tecla, facevano
colazione, sebbene non fosse peranco l'ora; e vedendo che la
fanciulla, servito il latte, ed affettato il pane, sedeva a mensa con
essi, assai bene composta; capì con dolore, di non essere necessaria
là dentro; ingelosì, corse in cucina, e forse pianse. Tecla s'era
accorta dell'animo di lei, e dalla confusione manco non aveva osato
levare gli occhi a guardarla. La signora e il prete non badarono ad
esse; occupati l'una a pregar l'altro di rimanere, mentre questi si
schermiva, e persisteva nel voler partire; e alla fine s'accommiatava
che poteva essere un'ora di sole. Passando dinanzi alla casuccia di
Rocco, vide costui che dava dentro nel pestello, a fare un savoretto
d'aglio da spalmarne la polenta; e capì che il pover'uomo, mezzo
scornato la sera innanzi, stava sulla porta a pestare, perchè le donne
del vicinato lo vedessero, e fossero persuase che in casa sua v'era
tutt'altro che guai, che anzi vi si scialava a mangiare. Lo salutò,
senza potersi tenere dal sorridere di quella semplicità; e Rocco e la
sua moglie riconoscenti, per poco non gli chiesero la benedizione,
come ad un monsignore.

Indi a poco Anselmo, fatto chiamare dalla signora Maddalena, giungeva
a cavallo in sul piazzale. Questa afflitta per l'addio di don Marco,
gli diede la lettera di lui da portare in Alba, al gastaldo della
marchesa di G...; coll'incarico di dire a costui, che la mandasse in
gran diligenza alla sua padrona in Torino. Anselmo avute le
raccomandazioni e alcune monete, levò il trotto allegro come il sole
di maggio; e poi che fu sparito, la signora, Tecla e Marta si
ritirarono in casa, ognuna pensando a Giuliano secondo il proprio
cuore; meste come se quella solitudine in cui rimanevano, non avesse
dovuto mai più finire.

E Giuliano? Avveniva di lui come di tanti, che mentre a casa loro si
sta dì e notte in pena per essi; cercano lontano gli spassi e la lieta
vita, badando a fare i magnifici della roba sparagnata dai parenti?

Se fosse stato a D...., sotto gli occhi di sua madre, non avrebbe
potuto essere più raccolto, nè più severo di vita; e dal dì del suo
ritorno a Torino, che facevano appena due mesi, s'era così mutato, da
mostrare qualche anno di più. Seguiva di lui, come di certe fanciulle,
che dall'oggi al domani ti capitano innanzi indonnite: e pareva un
uomo, che già avesse trovato il suo da fare nella vita. Non era
malinconico, sì che altri se ne accorgesse, ma schivava ogni spasso;
taciturno e solitario, invece d'uno scuolare, che non vedeva l'ora di
potersene tornare medico alle sue montagne; lo si avrebbe creduto uno
dei tanti fuorusciti francesi, che di quei giorni, andavano randagi
coi segni in viso di lutti domestici, o di sconfitte toccate alla loro
parte. Faceva le sue passeggiate per le vie più deserte della città;
desinava or qua, or là nelle osterie più basse, per ascoltarvi i
discorsi dei popolani, i quali già osavano sussurrarsi qualche parola,
e mostrarsi vogliosi di vedere i mutamenti del mondo: e il meglio
delle sue giornate, studiava nella camera, che aveva presa a pigione
sui lembi della città, dalla banda della fortezza; luoghi memori
dell'eroismo di Micca, di cui non so se i discendenti rosicchiassero
sin d'allora il tozzo di pane, dato dai re di Sardegna alla schiatta
del prode. Di certo gli accadde più d'una volta, di meditare sul gran
gesto del popolano Canavese, e di vederne l'ombra passare nelle
tenebre, colla face in mano, e coll'anima immortale tutta negli occhi.
E pensando ai Francesi combattuti da lui, e a quelli che adesso si
affacciavano all'Alpi; gli parve che a mutare l'ire dei popoli in
fratellanze durature, non mancasse che un po' più di luce nelle menti
delle moltitudini.

Il mattino e la sera, soleva salire sulla terrazza della casa; e di
lassù pasceva l'animo contemplando la natura, maestra sovrana di chi
sa capirne i divini linguaggi. E talora sprofondava lo sguardo nelle
valli delle Alpi, velate dall'azzurro vaporoso delle lontananze; e
colla fantasia trovava in seno ad esse, i villaggi, sorgenti in mezzo
al verde dei prati irrigui, o fra macchie di pini. Sulle case vedeva
levarsi i campanili delle chiese; e all'ombra di queste, serene figure
di vecchi parrochi, sedere fra i borghigiani, poveri e degni di
riverenza. Ma la memoria di don Apollinare, subito gli guastava nella
testa la dolce visione. «Illusioni, illusioni!--diceva--tali quali si
fanno, i preti sono tutti d'una maniera; noi ce li figuriamo
sacerdoti, e in cambio non sono che uomini, i quali più o meno fanno
un mestiere.» Spingeva allora quello sguardo dalle valli basse alle
altissime vette; e si pregava d'essere un pastore, d'avere lassù sua
madre e Bianca, per vivervi con esse d'amore, di meditazione e di
libertà. Poi si volgeva dalla parte di mezzodì, cercando
nell'orizzonte gli Apennini nativi, sebbene sapesse di non li poter
scoprire; e colla guancia raccolta in una mano rimaneva in quell'atto
sin che facesse notte, e la città e i colli che soggiogano il Po,
cominciassero a brillare d'innumerevoli lumi. Fantasticava su questi,
quali rischiarassero le quiete cene delle famiglie; quali il piacere,
lo studio, il dolore, e quali la morte. Allora lo coglieva un'onda di
pensieri lugubri; e se qualche rintocco di campana gli veniva di lungi
nell'orecchio, provava di quello un'amarezza soave, e pensava alla
religione della sua giovinezza come ad un bel sogno, che non gli era
dato rifare. Altrettanto gli accadeva, passando la sera dinnanzi a
questa o a quella chiesa. I suoni dell'organo gli avevano molte volte
rotto il passo, e si era fermato. L'ombra che piena di misteriosi
inviti, avvolgeva i divoti; la luce tremolante che diffusa dall'altare
si frangeva nel fumo degli incensi; la voglia dei ricordi infantili
serbati nel cuore; tutto gli faceva forza. Ma ecco il ricordo delle
sue vacanze di Pasqua; ecco l'immagine di don Apollinare affacciarsi
di nuovo alla sua mente; ecco quelle di tutti i preti a lui noti; e
sola tra tante la umile, mesta, quasi rifiutata figura di don Marco,
che gli paresse spirare qualcosa della religiosità predicata dal
clero. Allora egli tirava oltre, pensando se mai fosse venuto sulla
terra un sacerdozio veramente cristiano; e finiva ricoverandosi nello
spedale, cercando il letto dell'infermo che fosse più giù della vita;
e medico a un tempo e consolatore, vi stava la notte intera. E se su
quel letto discendeva la morte, le parole «parti o anima
cristiana....» suonavano all'orecchio del moribondo sentite, piene,
feconde; gli infermieri piangevano, e loro pareva di non averle mai
udite, nel modo che quel giovane, selvatico e fantasioso, sapeva
dirle. Egli credeva.

Quelle notti passate fuori di casa, avevano dato nell'occhio alla
vecchia che li appigionava la camera; la quale aveva notato, come
oltre a quelle, si ritirasse anche ogni altra assai al tardi.
Accostumata con giovani pigionali, che i più non si davano pensiero,
se non di far buon tempo; pensava che qualche intrigo di basso amore,
lo tenesse fuori fino a quelle ore insolite; ed era stata più volte a
un pelo di lagnarsi con lui, che non l'aveva posta di mezzo in tali
faccende. Se egli avesse indovinati i contacci, che colei faceva sui
fatti suoi; ne avrebbe preso sdegno, come fanciulla dabbene cui venga
usata villania disonesta; e messo in fascio roba, libri, ogni cosa,
sarebbe tornato di casa altrove. Ma in tutto il tempo che era stato là
dentro, non aveva barattato con essa quattro parole; non le aveva mai
dato appicco di dire più che il buon giorno, o la buona notte; augurio
sibilato tra i denti lerci da quella arpia, mentre gli porgeva la
lucerna, che egli pigliava camminando difilato in camera, senza
badarle. Così ignorava di che tempera essa fosse, e come non avesse
saputo porre gli occhi sopra di lui, giovane e bello, senza bruttarlo
coi suoi pensieri. Quella era una donna, che guardando il cielo
stellato; non vi avrebbe visto più di quello che vi vedono le
giovenche e gli altri animali: e Giuliano, casto come i veri forti, e
pieno di amore per fanciulla lontana, cui si avvicinava col pensiero,
ora per vie ridenti di fiori d'ogni generazione; ora per altre meste
come quelle dei cimiteri; non meritava d'essere giudicato da lei. Ma
questo era il minor male che gli potesse incontrare; perchè, guai a
lui, se essa avesse avuto naso più fino! Persona da saper fare d'ogni
lana un peso, sarebbe andata ad accusarlo al bargello; e una bella
notte avrebbe fatto lume ai birri, venuti a levarlo di quella
cameretta; che allora valeva quanto essere spacciato. Egli s'era
scritto ad una di quelle compagnie d'uomini amatori di cose nuove; e
usava trovarsi con essi ai notturni convegni. Quelle compagnie erano
già numerose, e da quartiere a quartiere, da città a città, si
cercavano, si davano l'intesa, si adunavano di segreto, crescevano
ogni giorno di speranza e d'ardire. In quelle fratellanze misteriose,
egli si vedeva accolto di gran cuore, come giovane di alti pensieri,
d'animo pronto e devoto; stimato dai compagni di studio come uno dei
loro capi. E della scolaresca, i buoni s'ingegnavano di somigliargli;
i chiassosi, diluviatori, sfaccendati, n'avevano soggezione; e nelle
ore pentite pensavano a lui, invidiandogli quella sua bella natura. La
parola di Giuliano suonava in quei convegni, ricca di immagini come
sogliono averla i marinai ed i montanari; si capiva che tutto quello
che egli diceva lo credeva, e sarebbe morto per confermarlo, se fosse
bisognato.

A lui si leggeva in viso qualche segno, come di una potenza che
dall'infuori gli governasse l'animo; ed era un occhio dolce di donna,
che egli si vedeva dinanzi, intento, amico, ispiratore. Quell'occhio
lo accompagnava per tutto, sotto quella vista cresceva nell'arte sua;
s'afforzava nei pensieri di ribellioni generose; s'avezzava sobrio ed
austero; studiava, sperava ed amava: la scienza, la rivoluzione, sua
madre e Bianca, erano i suoi amori. Di questa, in tutto il tempo che
mancava da D...., non aveva avuto nè chieste novelle; non volendo
risicare la ricca illusione, per sapere cose che, delle due l'una, o
erano conformi a quella, o tali da struggerla tutta. Pure gli
incontrava sovente di non si poter levare dal cuore una mestizia, che
gli recava in malaugurio ogni cosa. Il parentado con Bianca gli pareva
stornato da lunga pezza; immaginava che l'Alemanno l'avesse sposata in
quei mesi, o fosse lì per isposarla; voci misteriose lo ammonivano dal
fondo del cuore; di pensiero in pensiero, di dubbio in dubbio, andava
tant'oltre che vedeva il corteo nuziale, l'altare, il frate, i due
felici sorridentisi alla balaustrata della chiesa di C.... là dove fin
dai primi anni che aveva vista Bianca, egli s'era messo a sognare
d'inginocchiarsi con essa, a darle l'anello.

Se ne sentiva al cuore un dolor di morte; ma subito il dolersi, il
piangere, gli parevano uno sfogo dei dappochi, e gli balenava l'idea
del ritorno improvviso. Tornare, sì, a casa; correre a C..., scendere
dal signor Fedele, e sposa o no, portarsi via Bianca. Ma.... «se fosse
già di quell'altro» gli chiedevano quelle voci misteriose; «se la
fortuna ti pigliasse a gabbo, così che tu capitassi laggiù proprio a
vederli in chiesa, a udirli dire di sì...» Allora gli si levava dentro
un fiotto d'ira, e sin che non gli suonassero nella memoria le
promesse di Bianca, portategli da sua madre quando era stata a C... in
quelle vacanze di Pasqua, meditava cose lugubri. Tornata la calma,
ripigliava lena a studiare; affrettava coi voti il giorno in cui
sarebbe partito da Torino colla sua pergamena da dottore in saccoccia;
gli bisognavano poco più che due mesi, e poi il signor Fedele e il suo
Alemanno l'avrebbero visto.

Con questo frequente mutarsi di timori, di dubbi e di speranze, viveva
e scriveva a casa ogni quindici dì, quando la posta correva; e tra
bene e male veniva anche per lui la fine di quel maggio, nel quale
dalle sue parti era accaduta, la spedizione del popolo in armi al
Settepani; la conversione di Bianca; l'assunzione di Tecla a più
nobile vita: quel maggio in cui per amor suo, la signora Maddalena non
s'era manco accorta della bella stagione, nè aveva sentito quegli inni
che il cuore canta anco ai più miseri, e il labbro non sa ridire, nè
il poeta ha mai scritto.

Un di quei giorni, che la lettera di don Marco alla marchesa di G...
era capitata al suo destino, meglio che da una settimana, Giuliano
stava alla finestra di quella sua cameretta, coll'occhio rivolto alla
fortezza, dove era un insolito moto. Vedeva sugli spalti erbosi molti
soldati, e sui vasti piazzali un addensarsi di schiere, un andare e
venire di messaggeri; con quell'aspetto strano che avrebbe un
villaggio dove non fossero nè femmine, nè fanciulli; e gli abitanti
vestissero tutti ad una foggia, e non sapessero camminare se non
armati, allineati in molti, stecchiti ed arcigni. Turbe di popolo
traevano dalla città, e si fermavano a piè delle mura ferrigne; dal
ciglio delle quali sporgevano molti cannoni a guisa d'animali che
posassero, e luccicando al sole, parevano mandare biechi ammiccamenti.
A un tratto comparvero, dentro quelle mura due uomini, accompagnati da
un drappello di fanti sino a mezzo lo spazzo; e là sederono su due
scranne, ciascuno con una persona nera allato, prete o frate.
Giuliano, sentì, come se fosse stato al posto d'un di quei due, il
peso degli sguardi di tutte quelle schiere; capì che erano condannati
a morte, e sentì un rapimento dell'anima in alto; a guisa di aquila,
che turbata od offesa, va a nascondersi tra le nubi. La scena, rimasta
silenziosa un poco, fu mutata da un suon di tamburo; la folla fuori la
fortezza ondeggiò commossa da quel suono; i soldati fecero un gran
moto di braccia e d'armi; le sentinelle uscite dai casotti degli
spalti si atteggiarono a rispetto: qualche cavaliere corse su e giù,
dall'uno all'altro dei gruppi pomposi di pennacchi fluttuanti; poi il
silenzio tornò lugubre. Allora un ufficiale s'appressò ai due
condannati; si vide all'atto che strappava ad essi le assise, mentre
un altro a cavallo pareva leggere un foglio, forse una sentenza:
quindi s'allontanarono e rimasero i preti, i quali bendarono gli occhi
agli infelici, poi se ne staccarono anch'essi; e allora s'udì un
fragore di molti tamburi e uno squillar di trombe, un nembo di fumo
avvolse per un istante quei due; e subito dissipato dal vento, li
lasciò vedere a Giuliano distesi a terra...... Si levò dalla finestra
collo scompiglio nell'animo; e quasi senza avvedersene, sbattè le
imposte e gli scurini in faccia alla luce, che non gli entrasse in
camera; adesso che aveva rischiarato l'orribile scena. Poi si buttò
sul letto bocconi, e colla faccia contro il guanciale, stette
tribolandosi in abissi di fantasmi, di luci stranissime, di deformità
chimeriche. Indi a poco, irrequieto come per bevanda che lo turbasse,
si levò da giacere, riaperse la finestra, provò un altro desiderio;
uscire, andare a una lunga passeggiata, fuori la città: andare, andare
dove che fosse, anco lontano fin dove il vento arrivava a soffiare.

Uscì col fare d'un uomo che preso il broncio in famiglia, vada a
gironzare per isvagarsi; e discendendo trovò per le scale un tale, che
aveva rondinato sulla via, mentre egli era alla finestra a guardare la
scena descritta quassù. Costui soffermatosi a fargli largo, si
scoperse il capo rispettosamente, e domandollo del suo nome.

«Giuliano.... da D....» rispose il giovane che non badava ad andare
sconosciuto; e si fermò anch'egli a figurare quell'uomo, il quale
inchinatosi un'altra volta gli disse:

«S'è tanto mutata, da quando non l'ho più riveduta, che penava a
ravvisarla. Come vede dalla mia livrea, io servo la eccellentissima
marchesa di G...., la quale mi manda a cercare di lei da parecchi
giorni, e questa sera la vuole nel suo palazzo.

«Ditele in mio nome, che non dimenticherò di venire.»

Il servitore fece la sua terza riverenza e s'accommiatò. Giuliano gli
tenne dietro, strologando sull'avventura, e su quello che la marchesa
di G.... poteva volere da lui; non tornato più a rivederla dalla prima
volta ch'era venuto a Torino, due anni innanzi: e come fu sulla via,
si lasciò portare dalle gambe, senza por mente verso dove.

Per chi sa quali varchi, che a noi non importa conoscere, riuscì di là
del Po; dove i margini del fiume reale, le colline, il monte dei
Cappuccini, gli parlarono delle rive modeste ed amene della sua
Bormida, e del castello di D...., al quale il monte ed il convento
somigliavano un poco per le conformità e per la postura. Ma, non
sapendo neanch'egli qual fosse, desiderio suo, o invito che venisse
dall'aria; pigliò la via che saliva lassù, e pareva quella che a
D...., per l'erta del colle, menava al presbiterio di don Apollinare.
L'acciottolato, l'erba delle prode, l'ombra delle quercie, tutto v'era
come a D...; senonchè là si abbatteva in frati che discendevano, in
divote brigate che montavano; il colle pareva un luogo santo di
pellegrinaggio: al castello di D.... in cambio, salvo i dì di festa,
non si vedevano mai che le stesse persone, i signorotti della terra,
che menavano vita allegra e sconclusionata.

Giunto in cima, dove chi s'affaccia al muricciuolo che cinge il
sagrato, può secondo la natura sua accontentarsi di guardare la città
sottoposta; o per quanto gli vale l'occhio, ammirare la vista
sterminata di pianure, di colli, d'acque e d'Alpi, che fantasia umana
non saprebbe trovare più bella; si arrestò, crollò il capo, diede di
volta senza pur badare a quello spettacolo, in cui l'animo suo si
sarebbe ricreato altra volta lungamente. Tornò a valle, infilò la via
lungo la riva destra del fiume, verso Superga; andò su e giù un poco
come smemorato; poi trovato un navicellaio, scese nel burchio e si
fece traghettare all'altra sponda. Di là per campi e per vie traverse,
andò a porsi in un'osteria campestre, vi mangiò vi bevè; s'allontanò
quindi nè tristo nè lieto più di quello che fosse stato tutto il
giorno; e per altra porta da quella che aveva passato ad uscire, tornò
in città che il sole andava sotto.

Ridottosi in camera, si pose in gamba le meglio brache del suo
corredo; indossò un panciotto ed un giubboncello di seta, ornati assai
bene di sopragitti lungo le occhiellature, alle pettine, ai paramani;
calzò un paio di scarpini leggeri; e tornato fuori prese la via verso
il palazzo della Marchesa. Là trovo una turba di servi a terreno, una
turba su per le scale; e in cima a queste gli si fece incontro quel
domestico, che era stato il mattino ad invitarlo. Costui lo mise
dentro ad una vasta sala, illuminata che meglio non poteva essere se
vi fosse stato il sole; popolata come una chiesa in tempo d'uffici; e
lo accompagnò coll'annunzio del suo nome alto e sonoro.

Giuliano si fermò sulla soglia un poco, e le orecchie gli fischiarono
come ad uno che rompendo improvviso in una battaglia, capitasse nel
più fitto grandinare delle palle. Tutti quei crocchi, tutte quelle
teste bianche che non si lasciavano scernere le giovani dalle vecchie
quegli occhi di donne, che si socchiudevano per isbirciare lui; gli
fecero un senso tale, che per poco non diede di volta frettoloso. Ma
la gentildonna padrona di casa gli mosse incontro, lo prese per una
mano, lo trasse in mezzo a quelle beate amicizie; le quali tutte
accennarono garbatamente di non disgradirlo; poi se lo fece sedere
allato, e mentre i crocchi ripigliavano i loro parlari, essa si mise a
discorrere con lui.

Egli era preso in fra due: da una parte lo splendore dei doppieri, la
magnificenza delle arazzerie e delle supellettili, in cui era
sfoggiato lo stile di non so quale Luigi; dall'altra le parole della
gentildonna, che lo assaliva con una procella di domande, e di
rimproveri, sul non essersi egli fatto vivo, da quella prima volta di
due anni innanzi; sicchè essa aveva creduto ch'egli stancatosi di
stare a Torino, e tornato a D...., non fosse più rivenuto. Giuliano a
trovar scuse, a darle contezza di sè, de' propri studi, di D..., di
tutto quello che la marchesa menzionava; e intanto i discorsi dei
crocchi si facevano più caldi, più confusi, più alti, sul fatto
seguito quel giorno nella fortezza, e sulla morte meritata dal
cavaliere di Sant'Amore, e da Mesmer; i quali comandando l'uno la
fortezza di Saorgio nell'Alpi marittime, l'altro quella di Mirabocco
dalla banda di Savoia, le avevano date in mano ai Francesi.
Moschettati per traditori, tutta Torino aveva parlato di loro; ma
adesso in casa alla marchesa se ne parlava ancora, come tra persone
che nelle faccende dello Stato avevano molto a ridire.

Giuliano teneva un orecchio alla gentildonna, l'altro a quei discorsi:
e ad ogni poco il cuore gli si accapricciava. La disputa era venuta
innanzi così calda che già si cominciava a chiedere d'un arbitro, che
sentenziasse fra le due parti; delle quali chi s'accontentava della
morte data col piombo ai due sciagurati, pur che fossero stati
moschettati nelle schiere; chi avrebbe voluto che gli avessero
appiccati alle forche, a guisa di coloro che assassinavano alle
strade. Provò d'essere là dentro uno sgomento indicibile; tutto quello
splendore d'arredi, di vesti, di vezzi scintillanti dalle gole e dai
polsi delle dame, gli parve una cosa tetra; e quando una voce chiamò
giudice lui, quasi per fargli capire che egli solo non essendo nobile,
poteva mostrarsi imparziale; purchè parlasse col dovuto rispetto, e
guardando da sotto in su; egli rispose:

«Di quel che corra tra i diversi modi di morte io non so giudicare:
questo so che sino a quando la morte sarà data in pena a chi fa il
male, essa parrà agli uomini se non una cosa turpe, almeno il maggiore
dei mali. Così se ne oltraggia la santità, si allevano gli uomini
codardi; e si fa della morte quel che si è fatto di tante cose
santissime...! E poi uno sia reo quanto si vuole...; più della colpa
mi stupisce questo, che i più caldi a volerlo morto, sono coloro che
credono esservi un luogo nell'altra vita, dove lo spirito nostro si
purga: ora se là, perchè non si potrà diventare migliori anche
qui...?»

A queste parole si levò un bisbiglio, somigliante al ronzio che
farebbe uno sciame d'api, turbato improvvisamente nella sua pastura: e
fu uno scontento, un volgersi di teste, uno scuotersi di code, uno
scarpiccio irrequieto, da non potersi dire. Giuliano da qual parte
mirasse, vedeva nasi agricciati, menti sporti, sorrisetti schifiltosi;
ma non uno degnò di rimbeccare, come avrebbe meritato, quel plebeo; il
quale aveva osato entrare là con in capo certi pensieri; su per giù
come un villano, che vi fosse venuto colle scarpe inzaccherate.

Egli semplice nell'atto, sereno in viso, e nulla maravigliato, stette
un poco a quella sorta di temporale: poi rivoltosi alla marchesa le
disse, che se nulla avesse a comandargli, gli bisognava partire; e si
levò in piedi. La gentildonna accennò col capo, si levò anch'essa, gli
dette a toccare la punta delle sue dita sottili e fredde; lo guardò
bene, quasi per accertarsi se egli fosse davvero quel Giuliano, di cui
le parlava la lettera di don Marco; e avuto l'ultimo inchino, lo
lasciò che andasse.

I servi stupirono di vederlo partire così in fretta, ed egli quando fu
sulla via, diede una grande rifiatatona. La notte era molto innanzi;
la luce dei fanali pallida e poca; l'aria quieta. Si sentì allora,
come un pesce che sguisciato di mano al pescatore, dà due o tre
saltelloni sulla spiaggia e si rituffa nell'acqua: andò a zonzo una
pezza, e si ritirò che era la mezzanotte. A vedere le pareti della sua
camera, sciolte e senza ornamenti salvo che di alcuni quadri di santi,
effigiati per modo da parere più alla tortura che fra le gioie del
paradiso; fece paragone di quella sua abitazione con la sontuosissima
della marchesa; e coi soffittoni, dove il popolo della città, allora
come oggi, nasceva e moriva, sopra poca paglia, coll'orcio dell'acqua,
e il lumicino sepolcrale, in capo al giaciglio. Gli parve d'essere
agiato sin troppo, e pensando a D...., e alla propria casa, che si
poteva stimare una cosa di mezzo tra un palazzo e una catapecchia
plebea; più che ad abellirla, si sentì tirato a farla modesta.
Disegnando su questo a seconda dei pensieri che gli frullavano pel
capo, si coricò; per destarsi l'indomani a ripigliare la sua vita di
studio, di solitudine, di sogni d'amore: ma in casa la marchesa non
tornò più. Nè questa se ne dolse a lui per imbasciata, o in altra
guisa; solo volle tenerlo guardato per uno dei servi più fidi;
vogliosa di far servizio a quella buona signora Maddalena e a don
Marco. Seppe che nello studio, proseguiva ad essere riputato dei
migliori, sebbene menasse vita selvatica e da uomo di sua testa; ma le
dolse chiarire come nei libri della polizia, il nome di lui fosse
notato assai nero: di che stette tutta occhi, perchè da quella parte
non gli seguisse niun male. Egli poi, nulla sapendo delle cure che la
gentildonna pigliava di lui; diventava ogni dì più assiduo ai ritrovi
misteriosi, che ho rammentato; e cogli uomini, che di quel tempo erano
tenuti in sospetto, di voler un giorno dar dentro a rivoltare il
mondo, stringeva amicizia, ricambiava promesse; attirando sopra sè
stesso i tanti pericoli, da cui coloro erano minacciati.

Di questo andare entravano giugno e luglio, colle loro giornate noiose
e mai più finite; e Giuliano si vide di più di manco, alla vigilia di
fare i fardelli, per tornarsi medico a quel suo D.... sospirato. Di
sua madre ebbe in quel tempo due lettere, mute su Bianca, e però di
cattivo presagio. Se ne doleva, fantasticando su quel silenzio; ma ne
scusava la madre, come donna prudente, che non voleva mandar attorno
il nome della fanciulla, confidato alla carta: e gli erano di qualche
conforto le notizie che essa gli dava di sè, della vita che menava
rassegnata, dello spasso preso in quelle sue lezioni date a Tecla,
della quale diceva, come se la fosse tirata in casa, e quanto ne fosse
lieta, crescendo questa di gentilezza ogni giorno, sicchè egli nel
tornare non l'avrebbe più ravvisata. Queste cose piacevano al giovane,
perchè s'accordavano coi suoi pensieri; e perchè Tecla gli era sempre
paruta degna di vita men dura di quella, che pel suo stato, doveva
condurre: faceva conto di assecondare quel pietoso lavoro di sua
madre, una volta che avesse sposato Bianca; e godeva, al pensiero di
poterle dare questa villanella, che se la tenesse per compagna, e
proseguisse a tirarla su creanzata.

Venuto così in sugli ultimi di quel luglio, tornava una sera per
chiudersi a studiare e prepararsi all'esame; e sulla porta della casa
dove abitava, trovò uno staffiere che teneva pronto un cavallo
bellissimo, vigoroso, sellato, come in attesa di chi v'avesse a montar
su, per qualche viaggio non corto. Appena Giuliano gli fu accosto, lo
staffiere si scoperse, e gli diede un biglietto della marchesa di
G..., cui il giovane lesse in un baleno, facendosi in viso come un
panno lavato.

«Vostra madre è morente;--diceva la scrittura--partite su questo
cavallo, ma subito: alla mia villa di B.... troverete altri cavalli.
Servitevi, partite, chi sa se farete a tempo....

«Un momento! sclamò Giuliano col cuore alla gola; e volato in camera,
si pose in gamba un paio di stivali armati di sproni; poi così
com'era, senza badare a robe, a libri, a nulla di quel che lasciava;
discese e montò in sella.

«Badi--gli disse lo staffiere--appena fuori B.... a man destra, in
quella palazzina, troverà il gastaldo della signora marchesa....

«Mi rammenterò di voi--rispose egli mettendo in mano a colui qualche
moneta: dite alla signora marchesa che io terrò la vita per lei:
addio.»

E spronando dalla parte di mezzogiorno, trovò la via del suo destino,
e si mise su quella di trotto chiuso.

Lo staffiere pensando alle spalle riquadre, al corpo snello, alle
gambe di ferro del giovane; tornò a casa la marchesa, a dirle che
questi era partito come un razzo; e la gentildonna, ringraziò il
cielo, e pregò che Dio tenesse la sua santa mano sul capo a Giuliano,
per tutta la via.

E in verità il giovane ne aveva bisogno, perchè egli spronava di
maniera, che quanti s'imbattevano in lui, fossero a cavallo o a piedi,
penavano a scansarsi, e gli davano dietro di basilisco e di peggio. E
forse avrà trovato di tali, cui sarebbe piaciuto movergli contesa per
quella furia; ma la bellezza del cavallo, dava a pensare all'alto
stato del cavaliere; e di quei tempi si avevano in grande reverenza i
signori e le loro soperchierie. Fu soltanto in un piccolo borgo, che
si udì gridar dietro: «fermatelo! fermatelo!» ma una voce aveva
quetato la folla, dicendo che forse egli era una staffetta del Re, e
le grida erano cessate. Oh s'egli avesse potuto conoscere colui che
con quelle parole l'aveva salvato, se non da altro, dall'essere
fermato, indugiato, sì che forse non sarebbe più stato padrone di sè,
per correre dove lo chiamavano le ultime voci materne! L'avrebbe
ringraziato in ginocchio; avrebbe chiesto perdono a quel popolo
d'essere passato fendendo l'aria come una saetta, risicando
schiacciargli i bambini; ma con tutto questo non rimise dal correre, e
buon per lui, che fattasi notte, potè tirare innanzi senz'altri
incontri.

Giunse a B.... a mezza via tra Torino ed Alba, che rompeva l'aurora; e
ai coloni che già a quell'ora si avviavano ai campi, chiese del
gastaldo della marchesa per mutare il cavallo. Quello che aveva sotto
non poteva più reggere. Gli fu additato una sorta di maniero, lontano
pochi passi dalla via maestra, dove un uomo stava sulla soglia, quasi
avesse saputo di dovervi aspettare qualcuno. Costui era appunto il
gastaldo, il quale ravvisando il cavallo, si fece incontro al
cavaliero; e mentre guardava con occhio pietoso la povera bestia
com'era conciata; udiva da Giuliano che gli aveva a dare un'altra
cavalcatura. Smontare, togliere l'arnese di dosso al cavallo stanco, e
sellarne un altro, zaino, accapucciato, di collo scarico e all'aspetto
buon corridore; fu lavoro di poco tempo. I due animali barattarono tra
loro un nitrito, come se il nuovo chiedesse allo stanco, se il
cavaliero fosse forte in arcioni; Giuliano già in sella spronò, e
forse senza salutare il gastaldo, ripigliò la via.

E tornò a traversare borghi e castelli, non provando molestia di fame
o di stanchezza. Più camminava più gli pareva di diventar forte e
fresco; al sole non badava nè al polverio, nè ad altro: arrivare a
D.... ecco lo sprone che gli si era fitto nell'anima, più acuto, più
tormentoso di quello, con cui egli insanguinava i fianchi al cavallo;
il quale se gli fosse bastata la lena, quel giorno di certo non
avrebbe odorato biada nè fieno, prima d'essere a D.... Ma alla fine se
non la compassione del cavaliero, potè la stanchezza; e il povero
animale rallentò da sè la gran corsa. Allora Giuliano si trovò come
riscosso da un sogno, che stesse facendo; e alzato il capo si vide in
faccia e poco discoste le torri di Alba. La voce del Tanaro gli suonò
all'orecchio, come quella d'un amico che gli parlasse, con dialetto
somigliante a quello dei suoi monti; e guardando la propria ombra
sulla via, gli parve sì corta, che stimò il mezzogiorno molto vicino.
Passando il ponte di legno che metteva nella città, pensò come quelle
acque verdastre, spumanti, rumorose contro le barche; sarebbero scese
più basso, a mescolarsi con quelle della sua Bormida; sentì l'aria
della sua terra; diede un'ultima occhiata dietro di sè alla pianura,
all'Alpi lontane, in quell'ora non tinte come a sera, di colori che
paiono dell'altro mondo; poi messosi dentro, badò innanzi la via per
dove andava.

Sott'essi i porticati, che in Alba, come in quasi tutte le cittadette
di quelle parti, sembrano essere stati fatti apposta per i signori;
stavano i maggiorenti aspettando l'ora del desinare; altri in
brigatelle allegre passeggiando, altri gomitoni sugli sporti delle
officine a chiacchierarsela cogli artieri alla buona. L'aspetto della
città, era allora più severo, e le torri brune parevano stare là
ritte, quasi per ammonire i cittadini, che dove non avessero atteso a
procacciarsi ogni anno miglior ventura e vivere più civile; il passato
con tutto il diavolio di baroni, di bravi, e di foderi medioevali,
avrebbe rifatto capolino dalle loro balestriere, e dai loro merli, sto
per dire, imbronciati.

Giuliano attraversò la città, e andò a smontare all'altro capo di
essa, a quell'osteria chiamata una volta dello scudo di Francia,
adesso dei tre Re; quasi per far le cilecche ai francesi, che l'anno
prima n'avevano tolto uno dal mondo.

«Questo cavallo ha fatto più di venti miglia!» sclamò lo stalliere cui
Giuliano diede le briglie, smontando nel cortile dell'osteria.

«Potete dire anche trenta--rispose questi--abbiategli cura» e
lasciando a colui l'animale, passò dal cortile ad una sala terrena,
dove si dava da mangiare ai viaggiatori.

Di quei tempi era un bel vivere! dicono i vecchi; e in verità in
quelle cittadette mezze nascoste, e quasi dimenticate si stava in
apolline. Si desinava nelle osterie semplici e disadorne: e se il
viandante, seduto a mensa, levando il capo di sul piatto, non dava
dell'occhio in ampio specchio, a vedervi sè stesso sfigurato dai moti
plebei del biascicare; in cambio di queste magnificenze, gli era messo
in tavola gran bene di Dio, per poca moneta. I vigneti fruttavano a
dovizia; e se avesse usato lavare i piedi agli ospiti in
sull'arrivare, come ai tempi antichi; lo si avrebbe potuto fare col
vino, tanto ve n'era d'avanzo. I prati nudrivano le fienaie, per modo
che carne e pane, stavano tra loro a spesa poco diversa; epperò lo
osterie erano formicai di gente paesana e di viandanti, sui quali
l'occhio materno dell'ostessa seduta al focolare, spandeva il dolce
ricordo domestico; e l'ospite si stimava in casa sua.

Giuliano andò diritto all'oste, il quale era un ometto tondo della
persona, lucente nelle guance, e tenuto in sussiego da tre o quattro
giogaie, che dal mento gli si digradavano alla sommità del petto;
donde tra lo sparato della camicia, uscivano petulanti velli grigi, a
guisa di gale. Nelle sue pupille pareva vi fossero due birri
appiattati; a mirarne il naso vergolato di mille venuzze accovate
sulla punta, si sarebbe detto che da uomo di coscienza, ei non
lasciasse uscire dalle sue botti un bicchiero di vino, senza averlo
assaggiato. Del rimanente era uomo avvisato molto, ma da mettersi a
brani per fare servigio.

«Oste,--gli disse il giovane--la marchesa di G.... ha poderi qua in
Alba?

«Poderoni!--sclamò l'oste, maravigliando come altri avesse mestieri di
chiedere cosa, che doveva essere nota a mezzo il mondo.

«Ebbene--soggiunse Giuliano--ho un suo cavallo, che voi, se vi fa
comodo, manderete al suo gastaldo, appena sia riposato nelle vostre
stalle: poi se me ne troverete uno per un paio di giorni, saremo
d'accordo sul prezzo con pochi discorsi.

«L'oste dei tre Re serve chi lo comanda; e pel signorino ci ho un
cavallo morello, sfacciato, con quattro gambe da cervo...

«Appunto quello che mi occorre tra mezz'ora. Adesso vorrei
mangiare....

«Vuol salire di sopra...?

«No..., starò qui.»

L'oste s'inchinò, affilando l'uno contro l'altro due coltellacci da
affettare le carni; e Giuliano andò a sedersi ad un deschetto,
nell'angolo più solitario di quella sala.

La quale era vasta, e vi stavano mangiando a diversi tavolini, brigate
di mulattieri, dagli aspetti robusti; gente che soleva fare buon
tempo, quando le accadeva di trovarsi sicura dai gabellieri, coi
quali, su per gli alpestri confini tra il regno e la repubblica
genovese, faceva sovente a chi più ne toccasse; barattando anche
qualche schioppettata, per amor del danaro che guadagnava a manate.

Il giovane diede un'occhiata fra quei commensali, se ve ne fosse
qualcuno del suo borgo, o delle terre vicine, per chiedergli di sua
madre; ma non v'era faccia che gli tornasse nota. Stette gomitoni
aspettando il suo pasto, e pensava che se egli fosse stato in quel
luogo a mal fare, di cento volte novanta vi sarebbe stato un
testimonio delle sue parti; quando l'oste venne oltre, portando alto
un pollo lesso di tal fragranza, che avrebbe fatto gola ad uno,
tornato allora allora da un pranzo di nozze. Lo mise innanzi a
Giuliano, vicino ad una caraffa di vino paesano, e versatogli di
questo, additandogli il bicchiere gli disse:

«Questo le parrà sulla lingua il taglio di un rasoio. Se non fossi
importuno, vorrei chiederle una cosa. Ella è quel signore, smontato al
mio albergo questa pasqua, o giù di lì, con un suo servitore?

«Appunto.

«Ah! lo diceva pure io, che le fisionomie dei signori i quali mi fanno
onore, non le dimentico! Anzi, ricordo che il suo servitore mi disse,
che lei andava a Torino per farsi medico....

«Avete buona memoria:--disse Giuliano mangiucchiando; e l'oste
inchinatolo rispettoso, fece le viste di correre a un tintinnio di
bicchieri, che veniva dall'altra mensa.

Ma in cambio andò a parlare con un tale, vestito a modo; che subito
venuto a Giuliano lo salutò con certa dimestichezza, e facendo un
segno come per farsi conoscere. Il giovane si levò da sedere, rispose
cortese a quel saluto, e a quel segno; al quale ne seguirono due o tre
altri barattati rapidamente; poi si strinsero la mano, si riconobbero
per essersi visti altra volta, sedettero e cominciarono a parlare
basso tra loro.

Erano già molto innanzi coi loro discorsi, ma niuno ne avrebbe potuto
raccogliere parola, tanto badavano a non farsi udire: quando colui,
che ai portamenti sarebbe paruto a chicchessia un vecchio amico di
Giuliano, si mostrò stupito, e guardandolo negli occhi, gli disse:

«Come? Eppure da ieri in qua non si parla d'altro fra noi...! La
retata di scolari e dei nostri fu fatta, o la polizia di Torino, sta
per farla.--Via, pensate che io voglia rimproverarvi d'esservi posto
in salvo?

«Ma io--sclamò Giuliano balzando in piedi, avvampando nel viso, a
guisa d'uomo oltraggiato, per modo che tutti i mulattieri che
mangiavano là dentro si volsero a guardarlo:--io non so nulla! Io
partii ieri sera, e vado a D.... a vedere mia madre morente. Leggete.»

Così dicendo frugava per le tasche del giubboncello e cavato il
biglietto della marchesa di G.... lo dava a leggere a quello strano
amico,

«Saranno state false nuove!--disse costui, letto d'un'occhiata il
foglio, e stretta la mano al giovane nel ridarglielo:--andate diritto
al vostro destino; finchè uno ha la mamma non sospiri, dice il
proverbio... Ma... via..., poichè non sapete nulla, nulla deve essere
seguito; non vi lasciate cogliere dalla malinconia, e bevete alla
salute di vostra madre.»

E gli mescè che bevesse, come fosse stato un suo ospite.

Giuliano posto da quella novità, in gran pensiero, non bevve nè parlò.
La sua persona sedeva a quel desco, ma l'anima sua, lo si vedeva
chiaro dalla pupilla che pareva spenta, era altrove. Forse a Torino,
forse a D...; forse pensava a tornare addietro, chiarirsi se davvero
tanti giovani fossero stati carcerati come colui diceva; e poi rifar
la via una terza volta, per correre al suo borgo nativo. E la marchesa
di G..., e la brigata che le aveva visto in casa, e quel biglietto, e
sua madre morente e forse già morta; erano immagini accozzate nella
sua mente, a dargli un travaglio da non potersi patire. In somiglianti
scompigli dell'animo, l'uomo si lascia governare dal consiglio
dell'amicizia, docile come destriero generoso in mezzo alla mischia,
che risponde ad ogni cenno del cavaliero: e Giuliano si mostrò pronto
a dar retta al suo vicino, tosto che questi ripigliò, parlando basso
più di prima:

«Animo, amico, la sventura è madre dei forti; se vi è cara la libertà,
se vostra madre volete vederla ancora una volta, su a cavallo! e via
in buona ventura.

«Sì,--rispose il giovane levandosi con piglio risoluto--a cavallo!
Oste...»

L'oste accorse, ebbe lo scotto, e il nolo che volle del cavallo; e
Giuliano uscì, accompagnato nel cortile dall'amico. Dette con lui
altre poche parole di congedo, montò in sella; e mentre partiva udissi
dire, con voce impressa d'affetto:

«Tornando, rammentate che la casa di Ranza è casa vostra. Addio!»

Codesto Ranza, era della città d'Alba, caldo amatore di libertà e
delle cose di Francia, e molto addentro nelle cospirazioni, che si
formavano di quella stagione. Egli si scoprì di là ad un paio d'anni,
quando i repubblicani condotti da Buonaparte, furono nelle valli della
Bormida e del Tanaro, dopo aver vinto a Montenotte e a Cosseria; e
diede lena a molti di chiarirsi contro il re. Di lui fa cenno il Botta
nelle sue storie, e sebbene lo stimi cervello disordinato, e _capace
del pari di far perire la realtà per la ribellione, e la libertà per
l'anarchia_; è giusto alla sua memoria; lo chiama _uomo dabbene nè
senza lettere_; e di certo non disse troppo.

Giuliano l'aveva incontrato a Torino alcune volte, a quei convegni
notturni; ai quali di quando in quando, si recavano gli amici delle
città piemontesi, a fare accordi, a pigliar novelle, a conoscere nuovi
compagni. Ora cavalcando e divorando colla mente, quelle altre sei od
otto ore di cammino, che gli rimanevano a fare per giungere a D...;
sentendo in cuore la voce di Ranza suonare con qualcosa di paterno;
credeva che per tutta la vallata fossero uomini di quella sorta e di
quel pensare. Sicchè l'aria gli pareva piena di spiriti generosi;
tutto gli tornava più bello a vedersi in quei luoghi noti: e sin quel
dolore domestico, verso il quale correva, gli si faceva più mite.

Man mano che s'avvicinava a' suoi monti; l'aspetto della campagna, era
come se la mano dell'uomo avesse affrettato l'opera della natura. I
fieni erano stati falciati; la mietitura fatta anco nei luoghi, ove le
messi solevano venire più tardive; dovunque era un casolare, s'udiva
un rumore di correggiati, si vedeva un ventolar di biade, e nugoli di
pula che andavano all'aria lontani. Appariva, per tutto, la furia di
tirarsi in casa i raccolti, anco immaturi; dalla tema dei Francesi,
dei quali si diceva che usassero predare, incendiare, struggere ogni
cosa. Chiese novelle del paese, e di grosse come quelle che gli davano
i montanari, non ne aveva inteso mai. Seppe che di quei giorni erano
arrivati in Val di Bormida molti Alemanni, dicevano più di centomila,
ma che i Francesi erano molti più. Taluno osava chiedere a lui dove
andasse; e sentito che a D..., compiangeva il povero signorino, perchè
i repubblicani erano di là a poche miglia. Giuliano non badava a
quelle rustiche paure, e tirava innanzi bevendo a petto pieno l'aria
delle montagne native.




CAPITOLO XIII.


Sul vespro di quel giorno, mentre Giuliano cavalcando già vicino a
D..., scopriva tra il verde del castello il campanile, che pareva un
amico acquattato, per dar voce del suo ritorno; sul piazzale di casa
sua sedevano alcune donne del vicinato, intente a rammendare camicie,
a filare, a fare ognuna qualcosa, ascoltando i racconti di Marta. La
quale, pigliate le mosse dai molti Alemanni giunti di quei giorni;
parlava delle guerre degli Spagnuoli, venuti sul principio di quel
secolo, pochi anni prima che essa nascesse, a devastare le valli della
Bormida; dove erano passati come la maledizione di Dio. Dai racconti
di guerra, era caduta in quelli della fame e della peste; e ne aveva
sballate di quelle così grosse, che le povere contadine si pregavano
di morire, piuttosto che star al mondo a vedere altrettanto. Una delle
uditrici era Tecla, che alle parole della vecchia badava poco o punto.
Perchè i suoi pensieri erano lontani di là molto: e vi avesse anche
badato, la sua mente aveva fatto, in quei due mesi, così lungo
cammino; che le cose strane dette da Marta, non potevano più nulla
sull'anima sua. Si era in tutto mutata e tanto, da non si ravvisare a
prima giunta; e a poco a poco aveva pigliato nei portamenti e nel
viso, l'aspetto di fanciulla nata in istato migliore di quello, donde
era uscita. La signora l'aveva sin da principio vestita de' panni più
fini; e sebbene la villanella si fosse trovata in sulle prime un poco
impacciata, nelle foggie nuove di quelli; vi si era presto avvezzata,
con gran maraviglia di Marta; che ormai non sapeva più sgridarla nè
tenerle il broncio, e parlava di essa benignamente. Nessuno del borgo,
neanche lo stesso pievano, aveva più osato menzionare il fatto della
scappata notturna di lei; e sapendo che viveva raccolta, sempre alle
gonne della signora Maddalena, tutti la chiamavano fortunata; a tutti
pareva uno di quei fiori, che dopo una fiera ventata, da cui siano
stati quasi divelti, crescono di bellezza, più desiderati quanto più
s'ascondono nella siepe. Le donne del vicinato, che la vedevano
qualche volta alle finestre di quella casa, le si cominciavano a
mostrar rispettose; le fanciulle ne avevano invidia; suo padre e sua
madre si stimavano qualcosa da più di due o tre mesi prima, ma quasi
si peritavano a chiamarla loro figliuola. Essa, punto insuperbita,
diveniva ogni dì più dolce; e sebbene paresse che essendo giunta a
quella fortuna, dovesse stare allegra; una malinconia diffusa sul suo
viso, rivelava che il cuore piangeva dentro; e il pensiero del suo
destino, e la tema d'una caduta, che forse sarebbe stata più dolorosa,
quanto più essa saliva, cominciavano a nascere in lei; sicchè
l'avvicinarsi del giorno, in cui Giuliano sarebbe tornato da Torino,
le pareva una montagna che fosse lì per franarle addosso a
schiacciarla.

Quel giorno, seduta in quel crocchio di donne, all'ombra del
pergolato, da cui pendevano i grappoli di lugliatica, già matura, che
la signora voleva serbati intatti per Giuliano; badava poco o punto,
come ho detto, ai racconti di Marta; e questa che dal gran dire si
sentiva la gola di pomice, essendo in sul finire, sclamava:

«Oh! le mie care benedette, i flagelli di cui vi parlo li manda il
Signore; guerra, fame e peste, gli avremo tutti, uno dopo l'altro. E
ancora bisognerà ringraziare, se si morirà di due uno, come ho veduto
io nella mia gioventù. Ma se avvenisse come centocinquant'anni or
sono, quando da queste parti, i rimasti vivi erano come le mosche
bianche? Quella fu una morìa! Io ho conosciuti due signori di C...,
che venivano qualche volta a desinare qua, dal padrone buon'anima, ma
quello vecchio. Essi erano i figli dei figli d'uno dei soli quattro
uomini, che la peste d'allora lasciò vivi, in quel borgo di tremila
anime. Eh! se gli aveste intesi! raccontavano le cose udite dai loro
padri i quali le avevano avute dal nonno; e solo a rammentarle non mi
sta in capo il fazzoletto, tanto mi si rizzano i capelli! E anche
allora si era detto che la peste nascesse dai tanti soldati morti in
guerra... Baie! Io so che a C..., l'avevano formata tre scellerate
sorelle coi loro unti..., una notte di sabato, in un loro podere, dove
solevano trovarsi col diavolo... (qui Marta si segnò per l'ubbia che
menzionando il demonio, questi le facesse tre salti d'allegrezza
dinanzi). Ammanirono l'unto infernale, e tornate la domenica all'alba
nel borgo, unsero le porte delle case e le panche in chiesa, e sin da
quel giorno cominciò a morir gente per certi tumoracci tanto fatti...

«No, Marta, non fate segni colle mani!--sclamarono quelle donne, che
credevano di malaugurio il mostrare col gesto la grossezza di tumori,
di biscie, di piaghe e d'altre cose cattive.

«Le tre sorelle,--continuò Marta--allegre del fatto loro, partirono
per andarsi in casa a un loro parente del Genovesato; ma il podestà di
C..., fece dar loro dietro coi corni marini, e furono colte dalle
parti di Savona, là dove la Vergine Maria era comparsa al Beato
Antonio. Legate, battute, menate a C... furono bruciate vive al
cospetto del popolo, tutte e tre insieme, come anime dannate... e io
ho visto dove.»

A questo punto, dando un'occhiata intorno; Marta si avvide di Tecla,
che aveva sulle labbra un certo sorriso, come di compatimento a
qualche baggianeria, uscita di bocca a lei. Si sentì punta nel vivo,
da quel sorriso di incredulità, che in mezzo a tante credenzone pareva
il simbolo dei tempi nuovi, e «già!--sclamò--quei dai vent'anni in
giù, ridono delle streghe, del diavolo, di tutto! Chi non crede al
diavolo, non crede bene neanche a Dio, dice il signor pievano; me l'ho
appiccata all'orecchio, e penso anch'io come lui che se si va di
questa gamba, fra un altro po' d'anni, pioverà zolfo acceso. Per me
avvenga che può, e rida chi vuole, io sto col signor pievano, chi ha
da salvarmi è lui...»

Le donne non guardarono che viso facesse Tecla alle parole di Marta;
ma pensarono alla profezia del zolfo, udita lanciare di sul pulpito
dal pievano. E cominciarono a parlare di lui, e a dirne tante lodi;
che se davvero uno si sente fischiar le orecchie quando è menzionato
in qualche luogo, don Apollinare dovè sentirvisi dentro le centinaia
di grilli.

Ma la bisogna in cui egli era occupato in quel momento, non gli
concedeva di badare a queste minuzie; e aveva la testa intronata da
ben altri rumori; suon di stoviglie, tintinnio di bicchieri, voci
alte, un'allegrezza chiassosa. Sedeva a convito nel presbiterio, una
grossa brigata d'ufficiali delle genti Alemanne, venute a spalleggiare
l'altre della loro nazione, che in primavera ne avevano toccate dalle
bande di Nizza, in parecchi combattimenti. Quelle genti, sebbene non
fossero centomila, come Giuliano aveva inteso dire tra via, pure
ingombravano la valle da D... sino alle sorgenti della Bormida; e
villaggi e casali ne erano zeppi. I popoli di quelle terre ne avevano
gran disagio pei molti alloggi, pei viveri di che dovevano fornirle, e
più per quel che esse si pigliavano, a mò di predoni; e fra i guai che
pativano dagli Alemanni amici, e la paura dei Francesi, che calassero
a far battaglia con essi di qua dei monti; vivevano col cuore tra due
sassi. Nè quella paura poteva chiamarsi ubbía, perchè dalle cime
dell'Apennino, a San Giacomo, al Settepani, dove avevano poste le
grosse guardie, i Francesi parevano spiare l'ora acconcia a ferire
qualche gran colpo; e a sera si vedevano tanti dei loro fuochi, che su
quei monti pareva sempre la vigilia di San Giovanni. Don Apollinare si
sentiva scottare da tutti quei fuochi; e l'idea della calata dei
Francesi, tornava ad essere per lui come un ariete di bronzo, che gli
desse le gran capate nel petto. Sull'imbrunire, sempre chiudeva le
finestre del presbiterio, che guardava a mezzogiorno, non volendo
vedere quei monti d'amaro ricordo, coronati di quei fuochi maluriosi e
maledetti: nè solo o accompagnato s'era mai più fatto sino al
muricciolo, che chiudeva il sagrato da quella parte. Anzi, se gli
accadeva di dover discendere di castello pei suoi affari, pigliava un
sentiero a ridosso del colle, per non sentirsi in viso neanco l'aria
di quelle montagne; punto badando alla natura selvaggia di quel
sentiero, che pareva fatto per menare i cristiani a rovina.

Ma a mezzo luglio, venute quelle nuove schiere d'Alemanni, aveva
ricominciato a tornare in essere, come un lume che in sullo spegnersi
venga riempiuto d'olio. Si mise di nuovo a pigliare i suoi pasti, a
dormire un po' più tranquillo; e quando potè farlo, dopo quindici dì
d'apparecchi, si condusse in casa, a banchettare, gli officiali
rimasti a campo nella sua pieve.

Donna Placidia, la quale aveva così in uggia la gente d'arme, che solo
a vedere l'elsa d'una spada si segnava spaurita; s'era sfogata a
brontolare tutti quei giorni; e la vigilia del banchetto, pianse.
Perchè il fratello aveva tirato il collo a tanti capponi, che la stia
era rimasta vuota; quella stia consapevole, dove nelle sue noie essa
era certa di trovare un popolo devoto, al quale volgeva la parola
eloquente, quanto quella del pievano, quando parla dal pergamo ai suoi
parrocchiani. Ma da quella donna che penava poco a rassegnarsi,
perdonò al fratello lo strazio fatto; e badò che il desinare riuscisse
a modo. Essa in cucina, essa in cantina, essa a dar in tavola le
vivande, facendo da scalco, faticò per sette: paga di non essere
conosciuta per sorella del pievano; perchè (questo senso d'orgoglio
l'aveva), l'essere in letto ammalata a morte, le sarebbe riuscito men
duro che l'apparire agli occhi di tanti gentiluomini, in quel suo
stato di fantesca. Di tanti affanni patiti durante il banchetto, si
ricattò alfine, quando fu tempo di porre al fuoco la caffettiera; chè
messo il naso sopra quell'arnese, l'animo suo si rifaceva sereno. Il
fumo della preziosa bevanda, poteva su di lei, come la musica su certi
animi iracondi; e per dire a modo qual gusto vi ebbe anco quel giorno,
bisognerebbe averla veduta farsi oltre nella sala portando il bricco
lucente, in cui specchiandosi la sua e le faccie rubiconde dei
convitati, parevano, a misura che essa avanzava, fare una ridda.

Avevano mangiato gagliardamente, e bevuto da far raccapricciare le
viti della pievania; e chiacchieravano de' fatti loro fumando,
annuvolando la sala, scoppiando in risa ai motti di qualche compagno
che avrà canzonato l'ospite, perchè senza Tersite la compagnia non
sarebbe stata intera. Ma quando videro il caffè, uscirono tutti in uno
oh! lungo di maraviglia; e mentre donna Placidia deposto il bricco se
ne tornava in cucina, compensata d'ogni sua noia; plaudirono don
Apollinare che mescendo il caffè, procacciava ad essi, su quei monti,
di così fatte delicature. Egli mescè, zuccherò, si prese per sè una
chicchera; e rimenandovi dentro col cucchiarino, piantato sulle gambe,
la persona un po' curva, il viso sporto:

«Il caffè--sclamava--il caffè vuol essere bevuto dai signori, stando
in piedi e mormorando...!--E levata la tazza ad una sorta di brindisi,
cominciò a sorseggiare, movendo quelle sue pupille grigie, per forma
che pareva un volpone sotto una cesta.

L'allegra brigata fu tutta in piedi. I mustacchi dei bevitori
coprivano gli orli delle chicchere; e gli occhi scintillanti pei vini
tracannati in gran copia, barattavano sguardi ed amiccamenti, per
disopra a quelle. I corpi satolli, mandavano il fumo ai cervelli; chi
ne diceva una, chi ne sbottava un'altra; e per farla finita, bevute in
sul caffè parecchie altre bottiglie, uscirono fuori a prender aria.

Ad uno, a due, a quattro giù per la scala, uscivano dal presbiterio
come fosse da un'osteria. Donna Placidia, di sull'uscio della cucina,
contemplava quella strana processione, e al silenzio che regnava nella
sua stia, le pareva che i suoi polli cantassero in corpo a quella
gente contenta. La quale fu vista a gruppi scendere dal colle, col
pievano in mezzo, tronfio, acceso in volto, e, si sarebbe detto, beato
d'aver pasciuto quei messeri, che lo menavano a zonzo. Ammirati,
salutati, invidiati dalla poveraglia, che andava in giro limosinando
alle porte: come furono al piano pigliarono la via più amena, che era
quella in sulla riva del torrente; e sempre dell'istesso andare,
dissipando il fumo delle pipe e quello dei cervelli, s'allontanavano
dal borgo, a seconda dell'acqua.

Gli è quanto dire che movevano verso quella banda, per dove Giuliano
stava arrivando; e in verità non erano discosti gran tratto, che
questi capitava di faccia ad essi, ad uno svolto della via, cavalcando
di quell'andatura stanca, che la povera bestia dell'oste d'Alba
poteva, dopo sì lungo cammino.

La brigata si cansò sulle prode della via angusta; ed il giovane, che
oramai avendo il suo borgo dinanzi, ondeggiava tra il desiderio e la
paura di saper alfine la verità su sua madre; passò in mezzo senza
salutare, come non avesse veduto le splendide assise. Gli uffiziali
stettero a badare più che a lui al cavallo; ma don Apollinare
soffermatosi, colle mani appaiate sulle reni, la testa inclinata sulla
spalla, mirò di sbieco; e col calcagno destro battendo il suolo,
sicchè il ginocchio e il polpaccio agitavano le pieghe della talare,
sclamava: «pecora, pecora! se io volessi ci saresti capitata!»

Alle parole strane, tutta la baraonda gli si fece intorno curiosa; ma
il più vecchio e il più indorato di tutti quei soldati, se lo pigliò a
braccetto, si mise a parlar basso con lui; e la comitiva tenne dietro
ad essi, men gaia, meno ciarliera, quasi conscia dei discorsi che
correvano tra il pievano e quel vecchio ufficiale, che n'era il capo.

Frattanto Giuliano aveva guadagnato il ponte, e sebbene s'imbattesse
in gente nota che lo salutava; egli che in Alba avrebbe chiesto
novelle di sua madre a un nemico giurato; adesso non si sarebbe
rischiato per nulla a dimandarne ai suoi paesani, e tirando diritto
infilò il vico. Alla vista dell'arco che metteva nel suo piazzale, per
poco non si buttò di sella, per salutare le sue case, e star lì fuori,
in attesa di qualcuno, che venisse non chiesto a dirgli la verità.

«Oh!--sclamò Tecla, che era ancora sotto il pergolato col crocchio di
donne; e rimase, vedendo apparire Giuliano, colle braccia tese verso
l'arco, tinta nel viso di quel roseo, che si vede improvviso
diffondersi sulle guance a qualche giovane morente, e pare il
principio di un'aurora più bella. Le donne non ebbero tempo di levarsi
in piedi, e già le zampe del cavallo le avevano coperte di sabbia, e
Giuliano balzato di sella chiedeva ansando:

«E mia madre?

«Santa Vergine!--gridava Marta rimescolata--capitate come i morti la
notte dei Santi...

«Mia madre? Tornò a domandare Giuliano, e senza dar retta alla fante
nè all'altre donne, gittate le briglie mosse verso l'atrio; rapido
quanto lo fu il suo pensiero a ricorrere alla seconda sera di Pasqua,
quando era giunto da C..., con altre cure, con altre speranze, e aveva
trovato sua madre ad aspettarlo su quella gradinata. Ora non v'era che
Marta. Ma se sua madre fosse stata davvero in fin di vita, o morta; la
vecchia avrebbe potuto essere là a svagarsi, e Tecla con essa?

Questo pensiero non ebbe tempo di formarlo, chè la signora Maddalena
comparve ad incontrarlo quasi più affannata di lui; ed egli col piede
sul più basso gradino in atto di salire, essa sul più alto in atto di
scendere, si abbracciarono come persone, campate da un naufragio, e
incontratesi sulla riva.

La donne del crocchio peritandosi a star quivi, si allontanarono;
durò il silenzio un tratto, poi la signora sciogliendosi da
quell'abbracciamento, di cui Giuliano pareva non potersi saziare;
«ecco tua madre!» gli disse, e pigliatolo per la mano, lo trasse
dolcemente in sala. Là egli, sbalordito, e quasi la stanchezza lo
avesse colto improvvisa, si lasciò cadere di sfascio sulla prima
scranna che gli venne tra piedi; e fissando la madre, e cogli occhi
pieni di dubbio, d'allegrezza, di sbigottimento ad un tempo:

«Oh, mamma,--sclamò--credeva di non fare a tempo...! Ma che tempo? non
è vero nulla non è...? Mi dica, fu un gioco, un inganno... che fu?»

A che dissimulare? penso tra sè la signora mentre Giuliano diceva; a
che mentire, per dovergli poi dire domani quello che già sa? aperse le
braccia in atto di chi sta per dare un grande squasso al cuore altrui,
e insieme offre tutto sè stesso per confortarlo; e rispose:

«Ebbene? Tu, io, il mondo che ci possiamo? Leggi.»

E frugandosi in seno, cavò un foglio, spiegazzato forse in un momento
di fiero travaglio; e lo porse a Giuliano. Quel foglio era di don
Marco, il quale aveva scritto poche parole, per dire alla signora che
si rassegnasse, e che Bianca si sarebbe sposata di quella settimana.
Giuliano lesse agrottando le ciglia più e più ad ogni verso; e poi
quasi riavutosi dalla sua spossatezza:

«Si sposi!--urlò balzando in piedi, bello d'ira improvvisa;--si sposi
pure, e fosse già sposata! Ma che feci io di male al mondo, perchè da
ogni parte mi si debba tirare addosso come ad un malfattore? Ah!
marchesa di G... fu un gioco, un brutto gioco il vostro, e Ranza...
aveva indovinato...! A quest'ora sono in carcere tutti!

«Ma che è questo?--gridò sbigottita la signora che in quelle parole
non ci capiva nulla.

«Mamma, m'hanno mandato qua facendomi credere che ella fosse morente!
La marchesa di G.... m'ha ingannato!

«Ah capisco! Allora essa ti ha campato da qualche gran
guaio!--interruppe la signora, balenando di gioia e di gratitudine
alla gentildonna, e a don Marco, che a questa aveva scritto.

«Sì!--sclamò Giuliano--per farmi chiamare fuggiasco, vile, e peggio!
Eppure sia benedetta!»

E qui, ricadde a sedere dinanzi a sua madre; e le narrava del
viglietto avuto dalla marchesa, del viaggio fatto quasi senza sosta;
parlando con certa calma, di cui egli stesso stupiva; non sapendo come
l'anima sua si sarebbe ridestata al dolore, non appena dissipata
quella sorta di pace, in cui per aver trovata viva la madre, si
sentiva tirato. Narrò tristamente, e parlò sempre lui, quasi pauroso
di lasciare, tacendo, il posto ad altri pensieri; finchè Marta fatto
riporre il cavallo, venne dentro recando la lucerna accesa, perchè si
faceva notte.

«Il cavallo--disse essa per non istar lì a fare le accoglienze al
reduce peccatore;--il cavallo l'ho fatto legare in disparte, che
quelli degli Alemanni non gli possano tirare...»

«Che Alemanni--saltò su a dire Giuliano col sangue a
cavalloni;--dunque, nemmeno in casa mia, potrò stare senza costoro tra
piedi?...

«Per carità!--disse Marta--che essi non avessero a sentire, sono lì
sul piazzale....»

«Giuliano abbi pietà di me!--pregò la signora--ci han dato due
uffiziali ad alloggiare; soffri in pace, e se ti volessero salutare,
sii buono.

«Non voglio vederli, sono stanco, casco dalla fatica...!»

Così dicendo, Giuliano partì sdegnoso, e senza lume prese la scala che
menava alla sua stanza.

Marta sollecita accese una lucerna a mano, e gli tenne dietro; la
signora Maddalena rimase ritta un tantino in mezzo alla sala incerta
se dovesse seguirlo, o star lì a far buon viso agli Alemanni, se
venissero dentro. E siccome questo le parve il meglio, così
accostatasi alla porta, si mise ad ascoltare, tremando che essi
avessero intese le parole oltraggiose del figlio. I due, tornati mezzi
avvinazzati dal banchetto del pievano, erano proprio sul piazzale,
come Marta aveva detto; e davano ordini ai loro servitori, parlando
imperiosi la loro favella. Essa in quei loro parlari non ci capiva
nulla, ma spiegandoli a sè stessa alla sua maniera, già si figurava
che davvero toccassero il suo figliuolo. Senonchè coloro, riveduti i
loro cavalli, e detto ai servi quel che avevano a dire, se ne andarono
di nuovo; forse a godere la serata, per tornare tardi pieni di vino e
di gioia; gioia che in quella casa non doveva più brillare che su visi
stranieri.

Appena se ne furono andati, e sul piazzale non s'udì più che il passo
dei servitori, e il cigolare dei secchi, e della carrucola del pozzo;
la signora si provò a salire di sopra. Ma si fermò, perchè Marta,
lasciato il lume in camera a Giuliano, veniva giù tastoni e
strisciando il piede per trovare i gradini.

«S'è buttato sul letto vestito e stivalato, com'era, e rimase
addormentato morto.» Così la vecchia; e la signora:

«Oh dorma! dorma! e che non gli venga in mente nulla, nè C.... nè
Torino...!» e salendo in punta di piedi andò ad ascoltare e a vedere
da sè.

La stanchezza del corpo, aveva potuto più dello scompiglio dell'animo,
e Giuliano dormiva sì fisso, che tutti i tuoni del cielo non sarebbero
bastati a destarlo. Essa spinse l'uscio, entrò nella camera, appunto
come aveva fatto la notte prima della sua partenza, e al chiarore
della lucerna lasciata da Marta, stette a guardarlo. Giaceva supino;
il petto gli si gonfiava a lunghi respiri; le guance attenuate dalla
fatica erano pallide; le sopraciglia, i capelli, i panni aveva
polverosi; pareva un guerriero che riposasse dopo la battaglia. Oh! se
essa avesse potuto vedere il cuore di lui; se avesse potuto leggergli
traverso la fronte i pensieri! Eppure meglio averlo lì sotto gli
occhi, tribolato quanto si fosse, meglio lì che a Torino, nel carcere,
da cui la Marchesa di G.... l'aveva forse campato.... Oh! la
gentildonna pietosa, che sì che l'aveva trovato il modo di farlo
partire!.... E la ringraziava dal fondo del cuore, e le pareva che
oramai si sentiva forte da poterlo difendere contro ogni nemico; i
birri, gli Alemanni, il pievano, chiunque volesse fargli male, gli
avrebbe visti in viso! Rimasta un altro poco a guardarlo, baciò il
guanciale su cui posava il capo, non osando baciar lui in viso; poi si
tolse non sazia da quella vista.

Tornata in sala, trovò la fantesca gomitoni sul tavolino; e allora
soltanto, vedendola sola, si rammentò di Tecla.

«O Tecla?--chiese essa, rimescolata per l'assenza della giovinetta.

«Tecla?--rispose Marta con certa voce che pareva chiedesse
anch'essa--Tecla, questa volta ne sono certa, e non è più tempo che io
taccia. Mi scaccerà se vorrà, tanto in questa casa non ci sono quasi
più per nulla, ma voglio dire la verità. Ascolti, quando vedeva lei
usare tanti bei garbi a Tecla, e avezzarla a leggere a scrivere, a
parlar bene; ecco, diceva tra me, una signora che si apparecchia da sè
il miele amaro! Ma dalla tema di farle male, mi teneva in gola
tutto....

«Ma, o Marta,--sclamò la signora, battendo forte col piede il
pavimento:--e che strazio è questo che volete fare di me?

«Tecla la strazierà; non io...! Tecla, Tecla... vuol bene al
signorino!»

Fu come se nella sala non vi fosse rimasto più anima viva, dal tanto
silenzio che vi si fece a quelle parole. La signora si abbandonò sul
suo seggiolone, raccolse la fronte tra le mani, e non fiatò. Marta
ritta, immobile, sbigottita, stava come se avesse, senza volerlo,
ucciso qualcuno. E sentendosi rimordere forte d'avere dato quel tuffo
alla padrona, afferrò il primo pensiero che le balenò alla mente; e
senza stimare quanto valesse, fece come colui che lava la piaga colla
prima acqua che gli viene alla mano, non badando se sia immonda da
farla inciprignire. Chinandosi a lei, quasi a parlarle nell'orecchio
sommessa, disse con ingenuità maravigliosa.

«Ebbene? Che guaio c'è? E dacchè quell'altra di C... si marita...: se
il bene che Tecla gli vuole, servisse di sfogo a Giuliano.»

A queste parole, la signora Maddalena sollevò la fronte sdegnosa; ma
d'uno sdegno sì alto, sì generoso, che alla vecchia parve di non avere
visto mai nulla di più potente, a farle chinare gli occhi mortificati.

«E questo,--sclamò--questo, o Marta, è il più tristo pensiero che
abbiate concepito dacchè siete al mondo; voi, che come io, avete un
piè nella fossa!» E preso un partito, lasciando la fantesca a
ingollare le parole che aveva detto, s'avviò sola, al buio, in casa di
Rocco.

Là s'era rifugiata Tecla, sin dal primo apparire di Giuliano; senza
che la padrona, o Marta avessero badato a lei. E chiusa in quella
cameruccia, dove non aveva più posto piede da quella sera, in cui era
salita a pigliarsi i panni, per andare a Torino alla ventura: pensava
a Giuliano come ad una visione; pensava a Marta, che forse gli avrebbe
detto, come essa fosse vissuta quei due mesi alla mensa della signora
Maddalena; le veniva in mente quella fanciulla di C.... di cui aveva
inteso parlare da don Marco; provava uno sgomento profondo della
venuta del signorino, e insieme corruccio contro l'ingrata che non lo
voleva più sposare. Oh! se la grazia di essere amata da esso, il cielo
l'avesse fatta a lei! Qui arrossiva d'avere osato tanto pensiero; e in
questa guisa, ora cadendo d'animo, ora levandosi, se ne stava
rannicchiata là al buio; d'una cosa temendo su tutto, ed era che prima
o poi la si venisse a cercare.

I suoi l'avevano veduta venir in casa così di furia che n'erano
rimasti spauriti; ma già accostumati a menarle buona ogni cosa, dacchè
pareva portata in palma di mano dalla padrona; non s'erano manco
rischiati a chiederle che avesse. E tra quel fatto, e il ritorno
improvviso del signorino, ondeggiando turbati; non osavano coricarsi,
e stavano a quell'ora ancora in cucina.

Non è a dire se fu grande lo stupore di Rocco, quando vide apparire la
signora Maddalena, sola, al buio; essa che dopo l'avemaria, non aveva
posto piede fuori la soglia, forse da dieci anni. Temè che venisse a
comandargli di pigliarsi in ispalla i bimbi, le masserizie, e Tecla e
tutto, per andare in cerca d'altra casa e d'altri padroni; ma quando
la udì domandare della sua figliuola con voce dolce, sebbene commossa,
gli tornò il cuore a posto; e preso un lume la menò diritta nella
cameruccia di Tecla.

Alla vista della padrona, la fanciulla aperse le braccia, quasi per
dire: «sono qui, faccia di me quel che le pare!» E quella mandato via
Rocco:

«O Tecla--le disse--tu mi vuoi bene nevvero? Dimmi una cosa; se io ti
dicessi, bisogna che tu te ne vada per un po' di tempo da qui... mi
daresti retta...?

«Oh sì!--sclamò Tecla--anche subito... come piace a lei...!

«Io ti verrò a vedere qualche volta; ti farò condurre a Santa G.... in
casa ai parenti di tua madre. V'è lassù una bella chiesa, sopra una
vetta, tu vi andrai a pregare per me.... Non temere, di sulla porta di
quella chiesa vedrai D.... e la mia casa e la tua.... addio.»

E prese le mani della povera giovinetta, le strinse con pietà grande;
poi si tolse di quivi, perchè se vi fosse rimasta un altro poco, il
singhiozzo l'avrebbe vinta.

Discesa a basso, raccomandò a Rocco di menare la figliuola in casa ai
cognati ch'egli aveva a Santa G.... nè disse di più; che dallo
sgomento le morivano le parole in bocca. Il buon uomo promise
d'obbedire, senza chiedere il perchè, ma su per giù almanaccando, gli
pareva d'averlo indovinato: e volle accompagnare la padrona quei pochi
passi. Chi gli avesse visti a quell'ora, che era quasi di mezzanotte,
forse avrebbe pensato che in quella casa fosse qualcuno all'ultime
fiatate. Una quiete altissima regnava in quella parte del borgo,
mentre in castello si vedevano molte finestre illuminate, e veniva di
lassù un suono di strumenti; misto di quando in quando a un prorompere
di voci allegre, proprio come nei festini del carnovale. La signora
udiva e sospirava, pensando ai casi suoi dolorosi: e giunta sulla
porta, pose la sua mano ardente nella fredda e callosa di Rocco; il
quale avuta la buona notte, commosso da quell'atto, tornò a
promettere, che all'alba sarebbe stato colla figliuola in cammino per
Santa G.... Capiva che obbedendo pronto, faceva un gran bene alla
signora, a Tecla, a sè; e quasi dallo struggimento il pover'uomo
piangeva.

Tornata in casa, la signora Maddalena, si guardò bene dall'appiccar
discorso con Marta; la quale aveva detto poco prima quelle brutte
parole. E come dalla camera di Giuliano non si udiva nulla, disse alla
vecchia che andasse pure a dormire, e v'andò anch'essa. Quella fu una
notte, quasi peggiore dell'altra di tre mesi prima, che aveva
preceduto la partenza del suo figliuolo; e la povera donna ebbe un bel
rimettersi in Dio, ma non le riuscì di riposare. Manco male, che per
la stagione, il mattino stette poco ad apparire, a guisa d'un
visitatore sollecito, che viene e s'affaccia timidamente ad esplorare,
se è tempo da giungere gradito. Allora i tamburi batterono la diana
nel campo alemanno, rompendo la quiete soave della prima aurora;
quella quiete che non vorrebbe essere turbata da niuno, prima che
dagli uccelli dell'aria, ridestati al canto, all'amore, all'innocenza
della loro libera vita. Quei tamburi accompagnavano l'andata di Tecla
e di Rocco, su per la via che serpeggiando da D.... verso le alture
dei monti, i quali dividono le due valli della Bormida, mena al
villaggio di Santa G.... Salivano salivano, Rocco portando sulla
spalla il fardelletto di Tecla, infilato in un bastone; e Tecla
volgendosi addietro di tanto in tanto a guardare. A misura che la
veduta del borgo si faceva più bassa, e le case impicciolivano allo
sguardo, e il campanile del castello pareva assotigliarsi, Tecla si
sentiva crescere il cuore, e credeva di elevarsi a regioni piene
d'un'aura dolcissima di speranza.




CAPITOLO XIV.


Se in casa alla signora Maddalena s'era vegliato in quella notte assai
al tardi; a C... in casa al signor Fedele, non tutti avevano dormito:
e il sole spuntando bellissimo, visitava con uguale sorriso l'uno e
l'altro villaggio, salutando la madre di Giuliano tutta cordoglio, e
il padre di Bianca affaccendato, come un maggiordomo di famiglia
doviziosa, che abbia corte bandita.

Egli aveva ricondotte in C... le figlie e la cognata da sola una
settimana; perchè dal giorno in cui don Marco e il padre Anacleto,
s'erano bisticciati nella sua palazzina, e Bianca aveva detto
apertamente al primo, d'essere disposta a fare il volere del padre
suo; egli adagiato nelle dolcezze della campagna, s'era dilettato a
colorire i disegni che aveva nel capo. Di piàti e d'ogni altro negozio
dell'arte sua, non si era più dato pensiero, contento di quello che
teneva tra le mani grandissimo, il matrimonio di Bianca coll'Alemanno.

In verità questi due, guariti l'uno del corpo e l'altra dello spirito,
mostravano oramai d'aver fretta; ne sarebbe bisognato di sapere i
discorsi, o di badare alla rallegratura, che il viso della fanciulla
pigliava sempre più viva; per indovinare come ogni giorno fosse atto
ad essere vigilia di quella festa, che alle volte pone l'uomo dentro
al tempio della Felicità, e alle volte gli fa sbattacchiare in faccia
la porta di questa Dea.

A misura che la festa si appressava, damigella Maria pareva
restringersi con Margherita, tanto da fare con essa una sola persona
annuvolata e taciturna. Essa aveva fatto come colui, che vedendo pieno
di crepe il muro della propria casa, s'industria di tenerlo ritto con
puntelli d'ogni sorta; e tira innanzi dall'oggi al domani, finchè vi
rimane sotto schiacciato. Messa in disparte l'idea d'andarne di casa
al cognato; quetatasi nella promessa che l'Alemanno non avrebbe menata
Bianca lontana; s'era acconciata a vivere là dentro, dove tutto pareva
farsi a suo dispetto. Il signor Fedele, poneva ogni cura, a non darle
appicco di tornare a mezzo con quell'idea; badava bene a non capitarle
tra' piedi; e le lasciava volentieri il sollazzo della compagnia di
Margherita, in cui la poveretta aveva posto la vita. Così a poco a
poco, tra lo starsi e l'essere tenute in disparte, in quella faccenda
del matrimonio; esse erano divenute a Bianca quasi straniere. Questa
poi, dal dì che s'era chiarita ben disposta verso l'Alemanno, non
aveva riparlato dieci volte con esse. Occupata di sè, delle cose nuove
che si vedeva intorno, e delle tante che sapeva immaginare con quella
sua fantasia, riscaldatale dal padre e dal fidanzato in mille guise,
si reputava felice; e vedendo esse accorate faceva spallucce, e diceva
tra sè che nelle loro malinconie, non aveva a vedere nulla. Le cansava
con accortezza, e quando non era col fidanzato, col babbo
amorevolissimo, o col padre Anacleto che veniva nel borgo a visitarla;
se ne stava nella propria camera soletta; non come la primavera
addietro afflitta, taciturna, stanca di tutto; ma intenta ad aprire e
a rinchiudere, cento volte, i cassettoni del suo canterano. E pigliava
diletto a cavare e a riporre uno dopo dell'altro, vezzi d'oro, e
monili e collane; e poi sete, e trine, e vesti, e pettini, e
reticelle, e guanti di ogni colore e di molta spesa. Sovente aprendo
una scatola di lavoro sottile, che era da per sè una galanteria, ne
cavava certi fiocchi di piume di cigno, e accostandosi allo specchio,
s'impolverava peritosa un po' di capelli sulla fronte, e un po' di
gota; e rimaneva a guardarsi nella spera, come per vedere se
incipriata tutta la testa, sarebbe parsa più bella. Oh! se la mala
ventura, che poneva Giuliano a sì dure prove per amore di lei,
l'avesse portato a vederla solo una volta, in quelle opere solitarie;
che sì ch'egli avrebbe cacciato presto dal cuore l'affetto a quella
bellezza! E se le memorie prepotenti le riconducevano alla mente quel
giovane scolare del terrazzino, quella donna che tre mesi prima
l'aveva baciata in viso: se pensava al dolore in cui forse vivevano
per essa; faceva come pel cordoglio della zia, si stringeva nelle
spalle e pareva dire: «che colpa ci ho io?» Buon per lei che don Marco
non appariva più alle finestre rimpetto; perchè da parecchio tempo si
era andato a ricoverare in certa sua casuccia sui monti, dove lo
rivedremo; ma se egli fosse stato nel borgo, le avrebbe qualche volta
dato ad intendere con un solo sguardo, quanta era la colpa che essa
aveva nei dolori, sofferti dalla signora Maddalena e da Giuliano, per
cagion sua. Tuttavia, essa non se ne sarebbe doluta molto, assordata
come era dalle ciance degli adulatori; i quali sparsasi la voce del
matrimonio, erano corsi a congratularsi a lei; e gli ufficiali
Alemanni, amici del fidanzato erano stati i primi. Costoro usavano con
essa i portamenti più rispettosi; e quello stesso generale che aveva
rimbrottato il fidanzato, dandogli i fogli della licenza giunta da
Vienna; s'era rabbonito con lui per la bella maniera, con che aveva
toccata la sua ferita, e per la bellezza della fanciulla, che francava
la spesa del suo amore. La prima volta che l'aveva veduta, le era
entrato di Vienna, di Corte, dello stato che l'attendeva: e Bianca
d'allora in poi, s'era sentita crescere l'orgoglio e i desideri; e
l'animo non aveva più cessato di farle dentro come vi avesse un
pavone. E già non poteva più reggere a stare in quella casa, che le
pareva umile da averne vergogna; e pur d'andarsene si sarebbe
acconciata a partire di notte, senza dire addio a niuno, col suo
Alemanno; il quale non era più per lei, l'uomo a prima giunta tanto
spiaciuto. A farlo bello agli occhi di lei avevano anche giovato le
minute dicerie e i motti delle zitelle del borgo; motti e dicerie, che
raccolti con cura dal padre Anacleto, le venivano nell'orecchio come
prove dell'altrui invidia. Così tra i benevoli e i malevoli, la
preparazione di quel matrimonio fu un lungo epitalamio, che finì nelle
dolci parole con cui Bianca e il fidanzato, fissarono per le nozze il
primo giorno d'agosto; quello stesso in cui Giuliano si sarebbe
ridestato nel proprio letto di D.... chi sa con quali propositi
nell'anima offesa.

Il signor Fedele, aveva dormito poco la notte, e sin dall'alba si dava
attorno con un nugolo di fantesche e di servitori; tolti in casa lì
per lì, tanto che la faccenda della festa e del convito fosse mandata
innanzi per bene. Le signore del borgo, anco quelle che del matrimonio
avevano parlato più da maligne, andavano e venivano profferendo a
Bianca i loro servigi; l'una per essere stata l'amica di quella
buon'anima della signora Costanza; l'altra perchè in fatti di così
gran conto s'era sentito ribollire nel sangue la parentela; le più per
quello assillaccio della curiosità, in certe donne sì vivo, che tu le
trovi dovunque tu vada, a festa, a funerali; ora prefiche, ora
pronube; sempre colle labbra mosse in guisa, che tu non sai se siano
per dirti una parola d'augurio, una di compassione, oppure una
facezia.

Bianca stava in una stanzetta che le teneva luogo di spogliatoio. Non
aveva fatto altro in tutta la mattinata che aprire cofanetti e
cassettoni; sturar boccettine d'acque odorose e spruzzarsene; si
provava anella e pendenti di grandissimo costo, braccialetti e
collane; e già molto prima dell'ora fissata, essa era pronta per
andare in chiesa. Fattasi dinanzi ad uno specchio, che il fidanzato
aveva fatto portare sin dalla lontana Venezia, stette un tantino a
contemplarvisi piena di ammirazione per la grande bellezza che si
sentiva in tutta la persona; poi piegando il collo verso le signore
che l'avevano aiutata a vestirsi, disse altera come una regina:

«Ora possiamo andare.

«Ma lo sposo?»--chiese una di quelle dame.

«O che modo è questo di farsi aspettare?»--sclamò Bianca, battendo
dalla stizza l'ammattonato col piede, che fu visto in quell'atto,
chiuso in un scarperotto di raso bianco, stretto fin sopra la noce, da
un intreccio di cordelline di seta, le quali si scernevano sulla
calza, traforata e di sottilissima fattura. E così dicendo cavò dalla
cintura un oriolo tempestato di gemme, che mandavano dalle mille
faccette certi raggi, i quali somigliavano ai lampi onde brillavano
gli occhi di lei, per la collera cui s'era levata.

Le donne s'ingegnarono di quetarla; ed una di esse, a consumare
quell'altr'ora che rimaneva, prese a narrare, interrotta presto
dall'altre, i matrimoni illustri, che ai loro giorni avevano veduti
celebrarsi nel borgo. Bianca, messasi a sedere, ascoltava; e
proseguiva a vagheggiarsi nella spera, facendo paragone di sè colle
spose, delle quali sentiva dire.

Frattanto il signor Fedele aveva finito di far apparecchiare la mensa,
in quella sala istessa, dove alcuni mesi prima, la signora Maddalena
s'era intrattenuta con lui. I convitati dovevano essere molti, epperò
lo studio per far posto a tutti, era stato assai lungo. Il vasellame
di stagno forbitissimo, le bocce, le guastade, facevano un bel vedere
sulla tavola foggiata a ferro di cavallo, e coverta di tovaglie
tessute ad opera, candide che avrebbero rimessa la voglia in un
ammalato agli sgoccioli. Le dipinture della Samaritana al pozzo, e
della scala di Giacobbe, con tutte le altre anticaglie, erano state
tolte; e la sala parata a nuovo non pareva più quella d'una volta,
neanco per l'ampiezza, tanti erano gli arredi, e tale il bell'ordine
con cui ve gli avevano assettati. Arazzerie e festoni d'edera,
appiccati ai travicelli del soppalco ed alle pareti, formavano sopra
la tavola una sorta di padiglione, che accordandosi coi trofei
composti dall'organista del borgo, parevano insieme simboli delle
nozze tra il guerriero e la montanina.

La povera Margherita provava di tutto quello sfoggio uno sgomento che
non le lasciava aprir bocca; e dopo d'aver aiutato il babbo in quelle
opere, non le era parso vero che questi le comandasse di andarsene in
camera alla zia; perchè essendo zitella, gli usi del paese non le
concedevano di stare alla festa. Essa non se lo fece ridire, e passò
da damigella Maria; la quale s'era posta a letto per ammalata, tanto
da non essere costretta a sedere a mensa, quel giorno ch'essa stimava
più tristo d'un funerale. Raccolta là dentro con essa, Margherita le
raccontava le cose vedute in casa; e di quei racconti la cieca sentiva
una molestia, come fa la malaria a chi cammina per luoghi palustri.

«Vengono, vengono!» sclamò a un tratto la fanciulla rimescolata.

«Allora tu non ti muovere più di qui; e mentre andranno in chiesa, noi
ce ne staremo coll'anima di tua madre, che certo a quest'ora è con
noi. Pregheremo che campi almeno te da queste cose; inginocchiati e
metti la tua faccia qui sul guanciale, vicina alla mia.»

Così dicendo, damigella Maria, da seduta com'era, si distese, e
coll'imboccatura delle lenzuola si coperse il capo per non udire.

Su per le scale, venivano con allegri clamori, ufficiali alemanni,
signorelli e dame; e passavano con belle cerimonie nella stanza, dove
il signor Fedele soleva dare il suo ballonzolo in carnevale. Ivi i
parlari gai, le piacevolezze gentili, si mutarono in un bisbiglio
d'ammirazione all'aprirsi d'un uscio; d'onde tra le portiere verdi, fu
vista apparire candida e sfavillante come un fiocco di neve, di faccia
al sole; franca di passo, accompagnata dalle signore che l'avevano
vestita; quella Bianca felice, alla quale, pochi mesi prima, un
pittore avrebbe messa in mano una palma, e in capo una corona per
ritrarre una martire. Adesso un pèttine di gala raccoglieva quelle sue
treccie, altra volta annodate così modestamente; e da esse,
impolverate e acconciate, come se Lucifero vi avesse posta la mano, si
spiccava un velo bianco trinato, che le scendeva giù pel collo, ornato
d'una doppia filza di perle; e lambiva le spalle ignude e belle come
d'un torso di quelle statue, che si scoprono scavando le terre del
genio e del sole.

Per poco non fu uno scoppio d'applausi. Quei soldati stranieri, usi
alle corti, potevano aver veduto qualcosa di uguale; ma i convitati
del borgo non avevano visto nulla mai che somigliasse a quella
bellezza, la quale si spandeva da tutta la persona di Bianca; e
pareva, come una gran luce, ornare di qualche parte di sè fin la più
vecchia delle donne, che la circondavano silenziosa e sorridente.

Allora l'Alemanno si fece innanzi, tenuto per la mano dal suo
generale; che vecchio ed arzillo, somigliava ad uno sparviero un po'
spennacchiato, che si volesse divorare la colombella che aveva in
faccia. Il fidanzato, ricuperata intera la sanità, aveva ripigliata
quell'aria altezzosa e fiera, di cui la signora Maddalena s'era
sentita turbata, quel giorno che l'aveva incontrato per le scale del
signor Fedele. Ma la gioia donde era impresso ogni suo sguardo, ogni
suo moto, lo faceva parere men duro; e per Bianca, all'ora che
correva, non v'era uomo sulla terra più bello di lui.

Il generale, poichè ebbe detto alla donzella, che facesse stima di
vedere in lui il padre dello sposo; pose le loro mani, l'una in quella
dell'altro, e pronunziò queste parole, studiate parecchie ore, e
mandate a memoria:

«Questa è la prima volta che m'accade una ventura di questa sorta.
Signor Barone, se io avessi quarant'anni di meno, e fossimo ai tempi
dei tornei, vorrei chiedervi di rompere meco una lancia; adesso non
posso che applaudire, e narrare poi quando saremo tornati nel nostro
paese, che quassù delle ferite ne toccaste due; una nel braccio,
l'altra nel cuore. Che siano state toccate bellamente, diranno i
vostri commilitoni per quella del braccio; per quella del cuore, chi
vedrà la vostra Bianca, non avrà bisogno di testimoni. Ora, se vi pare
tempo, andiamo in chiesa.

«Prego, un momento!--sclamò il signor Fedele, fra il giocondo
bisbiglio, suscitato dalle parole del generale;--liberemo alla salute
degli sposi, ai quali siano propizi i destini, e le loro Maestà
l'imperatore d'Austria e il re di Sardegna nostri sovrani!»

Allora andò attorno un vassoio coverto di bicchieri colmi d'un liquore
sì limpido, che pareva fosse rimasto imprigionato in ognuno di essi un
raggio di sole. Tutti ne presero, salvo che Bianca e lo sposo, i quali
dovevano ancora comunicarsi; e fu un tintinnio che venne inteso dalla
via, e fece accapricciare il cuore di Margherita, che assettò meglio
il lenzuolo sul capo della cieca affinchè non sentisse.

Poi le dame si presero Bianca in mezzo; e gli uomini dietro di loro
discesero con esse le scale.

V'era alla porta una lettiga sontuosa, che l'Alemanno aveva fatto
pigliare a nolo nella vicina Savona; e quattro lettighieri in abito di
gala e a capo scoperto, attendevano ognuno al suo posto. Bianca che
non sapeva di quella pompa, ne provò a vederla tanta maraviglia, che
non s'avvide neanche delle centinaia d'occhi, dalle finestre, dalle
porte, dalla via affollata; intenti, come dardi incoccati, sopra di
lei. Un drappello di soldati Alemanni, faceva siepe alla lettiga,
perchè il popolo non la investisse; la sposa fu messa dentro di quella
con una delle dame, e subito si sentì levata da terra e portata. Un
suono di strumenti scoppiò improvviso ed allegro; le campane di tutti
i campanili del borgo, s'accoppiarono a quel suono martellate a festa;
e lo sposo e il corteo mossero in bell'ordine, dietro i lettighieri.

Quante fanciulle affacciate alle loro finestre, si saranno ritratte, a
quella vista, stizzite; prorompendo in accuse contro sè stesse, e
contro i parenti, che non avevano saputo procacciare anche ad esse sì
bella sorte! Quanti garzoni si saranno sentiti umiliati, pensando alle
loro fidanzate, cui non avrebbero potuto recare tanto fasto; e che
forse in quell'ora facevano nel secreto dell'animo, indiscreti
raffronti!

Dietro al corteo incalzava la folla popolare e quando la lettiga
s'arrestò a piè della scalinata della chiesa, questa fu stipata come
fosse la domenica dell'ulivo. L'organo riempiva le volte delle sue
armonie; ma per quanto la mano del suonatore si studiasse di trovarle
festose, non veniva a capo di cavarne una, che non fosse impressa di
malinconia. Perchè sebbene fosse un povero organista, le sue segrete
fantasie le aveva anch'egli: e forse non gli pareva giusto, che quella
giovinetta si sposasse, per andarsene chi sa in qual terra così
lontana, che non sarebbe più mai tornata a udirlo suonare, neanco
nella sagra del Santo patrono del borgo.

Al primo passo che mosse dentro la chiesa, Bianca rimase tocca da quei
suoni e impallidì per modo, che una delle dame a lei più vicine, le
chiese se per avventura la veste le stringesse troppo la vita, e se si
sentisse male. La giovane sorrise, senza rispondere; ma quando si vide
giunta al banco parato di damaschi rossi, dove s'aveva a
inginocchiare, le parve d'aver fatto un grandissimo acquisto, perchè
si sentiva venir meno. Si pose ginocchioni coll'Alemanno, che le venne
allato; appoggiò i gomiti sui cuscini gallonati, raccolse nelle mani
la fronte, e stette ad ascoltare quel suono d'organo, che sembrava
avesse a dirle qualcosa. Oh! le ne aveva a dir tante, che nè Giuliano,
nè la signora Maddalena, nè don Marco, avrebbero potuto di più. Quelle
armonie erano un linguaggio noto ed inatteso, che trovava le vie del
suo cuore, meglio d'ogni più dolce, o più acerba parola. Pareva che
gli angeli del cielo, ai quali nei primi tempi dell'amor suo per
Giuliano, aveva parlato colla fantasia tante volte, si librassero
tutti sotto le arcate della chiesa, e ognuno le ridicesse ad alta
voce, i pensieri mesti o lieti, che essa usava confidar loro che li
portassero allo scuolare di don Marco. Cadde a poco a poco, in
siffatto accoramento, che se l'Alemanno l'avesse potuta vedere in
viso, da quell'uomo leale che egli era, le avrebbe chiesto se fosse
pentita. Ma in quella il tintinnio di un campanello annunciò che
entrava la messa; e dall'uscio della sagrestia fu visto il sacerdote,
parato con gran fasto, andare all'altare con passi gravi, e cogli
occhi bassi: maestoso, che pareva portare in mano le sorti
dell'universo. Egli diede uno sguardo verso il banco degli sposi,
inchinò il crocifisso inalberato sopra l'altare, salì i gradini, e
incominciò il suo ufficio; mentre la moltitudine s'inginocchiava con
un rumore sommesso e diffuso.

Quel sacerdote era il padre Anacleto. Il quale, avendo condotto Bianca
a quel passo, si poteva dire, per le dande; per compiere l'opera s'era
procacciato l'onore di dire la messa dello sposalizio. E sebbene i
preti del borgo glie lo avessero conteso, riputato com'era ed esperto
ad uscir d'ogni passo, egli aveva ridotto il parroco a farlo pago di
quel suo desiderio.

Bianca sapeva come il celebrante avesse ad essere lui; ma assorta in
quelle voci misteriose della fantasia, non lo vide entrare. Però
quando la parola sonora e profonda del frate, si mescolò a quell'altre
che udiva essa sola; le parve un aiuto che capitasse valido ed
opportuno, si segnò e levò la fronte. Che valevano quelle note
dell'organo, e quegli angeli della sua immaginazione? Non era vicino a
lei il padre Anacleto, la cui voce, nell'orare si levava ora ai tuoni
più alti, ora scendeva ai più gravi; quasi di persona che parli un po'
al cielo un altro poco alla terra? Così man mano che s'appressava il
momento d'andare alla balaustrata, sentiva qualcosa che la staccava
per sempre dal passato; qualcosa come a dire la mano che tronca la
gomena, e scioglie la nave affinchè pigli l'alto a golfo lanciato.

Costumava anche su quei monti, che una zitella andando a farsi
chiedere dal prete se fosse contenta di sposarsi al suo fidanzato; vi
si facesse accompagnare da un cugino o da altro congiunto, il quale
era quasi un testimone del parentado, contento di dare una delle
proprie donne, ad un uomo d'altra gente, che la facesse sua. Bianca
aveva dietro di sè questa sorta di ministro del sacrificio; il quale
quando vide essere venuto il tempo della cerimonia, la prese per una
mano e la condusse alla balaustrata, mentre l'Alemanno vi si fece
condurre dal generale. Là s'inginocchiarono di bel nuovo, e tutto il
corteo fece corona intorno ad essi. Il frate spiccatosi dall'altare,
accompagnato da una moltitudine di preti che recavano torce accese,
venne verso di loro. E per la chiesa era un silenzio solenne; la
moltitudine si premeva e ondeggiava; si vedevano le teste degli uni
sporgere sulle spalle degli altri, e molti salire ritti sui banchi, e
i monelli arrampicarsi alle colonne; intenti tutti a raccogliere le
parole del frate e il sì che doveva uscire dalle labbra di quegli
sposi beati.

I quali furono comunicati dal frate, in quella cerchia d'amici, che li
nascondeva agli occhi del popolo; poi a un cenno di chi sa chi,
l'organo tornò a suonare a gloria; fu vista la mano del padre
Anacleto, alta sulle teste dell'Alemanno e di Bianca, in atto di
benedire; questi si levarono, baciarono quella mano, diedero di volta,
e scendendo da quei gradini, la sposa ebbe cuore di guardare la
moltitudine sino in fondo alla chiesa. Oh! se l'Alemanno non
prometteva invano, essa si sarebbe vista ammirata tutta la vita, come
in quel momento. Le scintillava in dito una gemma di tanto prezzo,
mèssale pur allora dallo sposo, che le pareva d'essere stata
inannellata con una stella; un'altra gemma le brillava in fronte a mo'
di diadema; ora la sua fantasia poteva spiegare i voli sicura; essa si
riputava davvero la castellana del suo borgo natale! Che più? Un coro
di fanciulle tutte di men che dieci anni, vestite di bianco, si fece
dinanzi agli sposi cantando un inno cavato dalla Cantica di Salomone;
e celebrando la beltà e l'amore di Bianca con quelle ardenti parole,
facevano far largo alla folla sino alla porta del tempio, perchè il
corteo potesse uscire. Quando questo fu sulla soglia, i suoni, le
grida, gli applausi proruppero altissimi: e l'Alemanno che si menava
al braccio Bianca ormai sua, aveva l'aspetto d'un eroe, che traesse
seco, dalla vittoria, il premio invidiato d'una regina prigioniera
volonterosa.

La lettiga non era più alla porta della chiesa, perchè gli amici e i
convitati del signor Fedele, volendo mostrare l'allegrezza che quel
matrimonio spandeva nel borgo, l'avevano fatta portar via;
costringendo in questa guisa gli sposi a lasciarsi ammirare. E durante
la messa, spacciati fanciulli nei prati e negli orti, e garzoni nei
boschi vicini a sfrondar alberi; avevano fatta la fiorita per la via,
e parati di fronde i muri delle case, come usava nella festa del
Signore. Di che l'aspetto del borgo, pigliava dalla chiesa alla casa
del signor Fedele, una sì bella e nuova allegrezza, che l'Alemanno ne
fu lietissimo, e all'anima sua parve di inoltrarsi in una primavera,
promettitrice di dolcezze infinite. Procedeva a piedi con Bianca
allato, calpestando quei fiori, che a lui potevano sembrare emblemi di
piaceri passati, a lei di affetti posti in oblio; ed ambedue
bisbigliavano parole d'amore, verecondi in vista, fra gli evviva del
popolo, e la grave andatura dell'accresciuto corteo: che lasciatosi
alle spalle il clamore festoso della turba, rifece alfine le scale del
signor Fedele. Ultimi tra i convitati capitarono i preti del borgo,
col padre Anacleto, inchinato, lodato, atteso a dare il cenno, pel
quale tutti pigliarono il loro posto alla solennità della gola; e se
il signor Fedele avesse avuto in mano un turibolo, avrebbe incensato
tre volte e quattro lui, che sedutosi in mezzo agli sposi, governò coi
cenni e coll'esempio l'olimpico pasto.

Mangino e bevano i bicchieri arrubinati; ma almeno le loro allegrezze,
non giungano nella stanza di damigella Maria. Essa e Margherita se ne
stavano come due meschine, senza parenti nè amici al mondo, relegate
dalla sventura in luogo solitario. Le voci e le risa dalla sala del
banchetto, le percotevano come ventate furiose; e a misura che
cessavano o tornavano a suonare, esse ripigliavano le loro querele.

«Ma tu, Margherita, non farai come Bianca no, nevvero?--diceva la
cieca cercando colla sua mano attenuata e scolorita il capo della
fanciulla. E questa non ebbe tempo di rispondere, perchè appunto uno
scoppio di applausi fragorosi, le fece morire la parola sulle labbra.
La cieca levò un istante il capo dal guanciale, porse orecchio quasi
spaurita, poi rimettendosi a giacere, parlò basso a Margherita.

«Mi pare che si debba essere vicini al tramonto...?

«Sì--disse la fanciulla--il sole batte appena nel comignolo della casa
di don Marco.

«Tua madre è morta a quest'ora.»

E i convitati a quell'ora erano ai brindisi del padre Anacleto; il
quale aveva provocato quegli applausi con un primo discorso; e tutti
avevano bevuto con lui alla salute degli sposi, cui pregò tante gioie
e tanti figli, quante erano stelle in cielo e arene nel mare, stile da
frate.

«Ora un secondo brindisi!--tuonava egli colla sua voce, fatta più
poderosa dal vino e dall'umore allegro:--un secondo brindisi, e sia
alla Francia immattita!

«Oh!--sclamarono i commensali interrompendo il frate con grandi risa:
ma egli guardato un poco in viso ai più arditi; con occhi
scintillanti, e reggendosi alla spalliera della sua scranna, proseguì
sullo stesso tono:

«Sissignori! un brindisi alla Francia matta e ai suoi giacobini! Mi
spiego. Se non fossero state le pazzie dei Francesi, questi gran
gentiluomini sarebbero venuti quassù? No? E allora la coppia felice,
in mezzo a cui seggo indegnamente, sarebbe? Giacobini alla vostra
salute; non in questo, ma nell'altro mondo, se Dio vi perdonerà...!»

E fra un nuovo urtarsi di bicchieri, e un nuovo erompere di voci,
bevve l'ultimo sorso che gli colmò la misura. Allora sentendosi la
testa lì per andare in volta; prese commiato da Bianca, dallo sposo, e
dalla comitiva, dando la mano a baciare a tutti, salvo che ai preti.

Lui partito, durarono i ricreamenti e gli allegri parlari, finchè
alcuni cominciarono a provar noia, altri desiderosi d'una boccata
d'aria s'affacciavano alle finestre, andando e tornando con uno
scarpiccio irrequieto. Gli ufficiali tastavano le loro pipe, bramosi
di farle fumare; Bianca aveva negli occhi l'agonia d'andar fuori; di
che non si stette guari a far parola d'uscire a diporto.

Lasciamo che si apparecchino, che si liscino, che partano a due, a
quattro, come loro verrà bene; e vadano a godersi il fresco della
bassa ora, o lungo i prati oltre il torrente, o sotto i filari d'olmi,
sui quali cantano più felici di loro, i passeri a migliaia. Salgano a
loro talento in castello, a rifare colla mente il vasto edificio; e
Bianca si pasca di sogni, e colla fantasia vegga sè stessa seduta al
balcone marmoreo, come le aveva insegnato a figurarsi il padre
Anacleto. Noi raggiungeremo questo, chè alla maniera in cui si è
veduto partire, qualcuno non se lo avesse a immaginare barcollante,
sulla via del suo convento.

Egli aveva veduto il fondo a molti bicchieri; ma la sua natura, era da
non lasciarlo correre oltre un'ebrezza discreta. E se dava il primo
alla sete, il secondo al piacere, il terzo all'allegria; avrebbe da
poi potuto dare altri venti bicchieri allo stomaco, senza che gli
accadesse di perdere la tramontana. Ma fosse anche stato a questo
segno, non gli sarebbe seguito alcun male. Perchè s'aveva procacciata
la compagnia di quattro giovani di buon casato, suoi penitenti; i
quali, sul vespro, andando a zonzo fuori del borgo, s'acconciarono di
buon grado a fargli servigio.

Tra la via da C.... al convento, non rifiniva di lodarsi della
maestria, con cui aveva condotto a termine quel parentado; del quale
si sarebbe parlato lunghissimi anni in tutta la vallata; e dicendo era
così lieto, che i quattro credevano ogni tratto, di vederlo buttarsi
in terra, a far capriole. I foresi che tornavano dai vespri, colle
bisacce ricolme di carni e di spezierie, pei desinari che solevano
imbandire l'indomani, (essendo quel giorno la vigilia della Madonna
degli Angeli, festa dei Minori Osservanti e di tutta la vallicella
dove sorgeva il convento); vedevano la brigata giuliva e ridevano,
allentando il passo o affrettandolo, per rispetto a quei personaggi,
nella gioia dei quali parevano avere anch'essi una particina. Padre
Anacleto salutava alla buona; e via così accompagnato e riverito
giunse al convento, se non sano, salvo.

Il cielo, a ponente, era colorato di quelle tinte, che i pittori
chiamano calde; e parlano all'anima di tante cose dolci; e fanno
parere che il sole, tramontato a malincuore, sia lì sempre per
riapparire. Al po' di luce riverberata dai tufi grigi dei colli che
sorgevano di faccia al convento, il campanile spiccava nella selva
scura che aveva a ridosso, e l'intiero edificio biancheggiando, faceva
così placido invito, da invogliare della sua quiete il più felice uomo
del mondo.

«Ed ora che mi avete accompagnato, ve ne vo' dare un bicchiere, che mi
direte come lasci l'ugola.»

Così disse il padre Anacleto, facendo atto di mettere i quattro
giovani nel chiostro. E come questi si schermivano e mostravano di non
voler entrare:

«No, no.... nessune cerimonie!--soggiungeva--qui comando io: e giacchè
i padri stanno cenando, ed io per questa sera non ho nulla a vedere
coi loro radicchi; così vogliamo fare tra noi un brindisi a questi
colli, che danno i vini deliziosi; e ai contadini che mi portano
quanto basta, per fare un po' d'onore ad amici quali siete voi....

«Ma padre,--usciva a dire uno della comitiva:--non per rifiutare no,
non vede? fa notte, e a C.... siamo aspettati....

«Al ballo degli sposi, nevvero?--sclamò ridendo il padre
Anacleto:--eh! via, peccatori, farete sempre a tempo a mescolarvi coi
diavoli; sì coi diavoli! Chi sta a vedere le danze n'ha in corpo
almeno un paio, chi danza, sette od otto. Pensate figliuoli a quel che
dei balli, dice San Giovanni Grisostomo; pensate che passare per
scortesi, selvatici, poco amanti della compagnia, non vuol dire: e
anche quando sarete violentati ad andare ai balli, pensate che San
Francesco di Sales consiglia di metterci sassolini nelle scarpe, acciò
quel dolore, che essi danno ci faccia ricordare dei tormenti
dell'inferno! Entrate, figliuoli, che se mi spazientizzo, vi tengo
prigionieri, e predico tutta la notte!»

Con questa piacevolezza, pigiati attraverso la porta, i quattro
giovani furono nel chiostro; e per una scala angusta, in un corridoio
di sopra, in capo al quale era la cella del padre Anacleto, dove
entrarono uno dopo l'altro. Ultimo, il frate chiuse l'uscio a due
mandate, e levata la chiave dalla toppa, se la cacciò sotto la tonica,
forse nella saccoccia delle brache, sclamando:

«Animo! Ora, tirate in mezzo quel tavolino, a modo... senza far
rumore. Un momento, badate a non mandarmi in confusione queste carte;
v'è scritto il panegirico che dirò domani...., v'aspetto ad udirlo.
Animo dunque, con garbo, così! Tra tutti si fa tutto...; dà una mano a
questa panca, tu; e tu, accendi la candela; tò acciarino, esca,
zolfino.... oh! ora sta bene!»

Con questa sorta di discorso, il frate alzò un lembo della coltre del
suo lettuccio, e disse: «vedete?»

Là sotto, in quella mezza oscurità, rotta da un po' di luce che vi
scendeva dalla candela, alcuni fiaschi brillavano, come occhi di belve
in una caverna.

«Oh! benedetti,--urlarono i giovani a quella vista, correndo a fare
intorno al letto una genuflessione: ma il frate lasciando ricadere la
coltre, zittì, rattenne il fiato, e fece segno ad essi di rattenerlo.
I padri venivano appunto allora fuori dal refettorio, e v'era pericolo
che udendo quell'urlare nascesse qualche gran chiasso.

La campana del convento suonava in quella l'avemaria a distesa;
annunciando la festività dell'indomani. Quella della parrocchia di
C...., entrava anch'essa a mandare il suo saluto alla notte: e a quei
suoni s'aggiunsero subito quelli delle campane dei borghi, poco
lontani dal convento. Fra l'altre si discerneva assai bene quella di
D... a certo squillo, che imprimeva nell'aria una malinconia da far
pensare all'eternità. Quella sera gli squilli parevano lamentosi più
dell'usato, al padre Anacleto; il quale, se fosse stato uomo d'altro
cuore, lasciati i fiaschi dov'erano, e accommiatati gli amici; avrebbe
piegate le ginocchia e giunte le mani, chiedendo perdono al cielo,
d'essersi immischiato in un matrimonio, che ad un giovane allevato al
suono di quella campana, aveva tolta la gioia forse per sempre.




CAPITOLO XV.


Difatti a D..., in casa alla signora Maddalena, la giornata era corsa
mesta, come quello squillo di campana che la chiudeva; udito così da
lungi.

Giuliano, avendo le membra tronche dal gran cavalcare, non s'era
potuto togliere il sonno di dosso, sino a mezzodì; e poi destatosi,
aveva covato il letto a guisa di persona che medita e si riposa. Fatti
e rifatti i conti, aveva veduto più chiaramente i casi suoi, dolorosi
per ogni verso. Oramai non vi cadeva più dubbio: la marchesa di G...
l'aveva ingannato, pietosamente ingannato, ma per farlo fuggire da
Torino. E forse a quell'ora, i suoi amici erano tutti in carcere,
d'onde non sarebbero usciti che per essere appiccati alle forche; e
chi sa? qualcuno morendo in quella guisa, avrebbe lanciato a lui
lontano, l'accusa di codardo e di traditore. Che gli rimaneva a fare?
Deluso dalla donna amata, non provò senso d'odio o desiderio di
vendetta; ma una sete di sventure, una voluttà di patimenti grandi,
lunghi, gli allagò il cuore; e colla fantasia vedendo sè stesso sui
gradini del patibolo, gli parve d'intuonare un inno, un inno che
avrebbe fatto piangere un mondo. Si levò col proposito di ripartire
per Torino prima di notte; e impresso di calma severa nel viso, negli
atti, in tutto il portamento, discese in sala.

Sua madre, vedendolo venire, s'affrettò a far viso allegro; e Marta
uscita di cucina gli passò dinanzi colla tazza di latte, e colla
focaccia, che odorava lungi a venti passi, cotta per lui.

«Sì--disse Giuliano--un sorso di latte, e il petto del montanaro è
ristorato!»

E andatosi a sedere a mensa mangiò, quasi non si avvedendo di sua
madre, la quale gli spezzava il pane, e gliene poneva nella tazza
timidamente; paurosa di rompere quella quiete dell'animo, che gli
vedeva nell'aspetto sereno.

Quand'ebbe finito egli si levò in piedi; e tesa la mano a lei
rispettosa, le disse che andava a dar due passi pei campi.

«Ben pensato;--sclamò la signora, credendo che a un tratto egli si
fosse messo il passato dietro le spalle, disposto a non più
pensarvi:--mi vuoi? vengo anch'io...»

«Il caldo è troppo:--rispose Giuliano--ed io sento una smania di
camminare, una smania di correre tutte le montagne che abbiamo
intorno!»

Queste parole dette con accento diverso da quel di prima, fecero dar
giù l'animo della signora; la quale quasi per iscoprir marina,
soggiunse interrogando sommessamente:

«E intanto non potrei far trovare qualcuno, da ricondurre in Alba il
cavallo che hai menato?

«Lo ricondurrò da me, perchè stasera sul fresco ripartirò per Torino.»

La signora chinò il capo un istante, e quando lo rialzò tendendo le
braccia verso di lui, egli era già fuori. Ma essa non vedeva più lume,
e:

«Tu non partirai!--proruppe--non partirai, o verrò anch'io a vedere
qual misera fine tu vorrai fare! Che tu credi che io non abbia capito;
e che per me non sia tutt'uno, mi scoppi il cuore in questa casa tua,
o in mezzo alla via come una mendica?»

Così esclamando si metteva una mano sul cuore, e a sentirne lo
scompiglio dei moti la ritraeva, recandosela alla fronte lavata di
sudore. E allora Marta che dal dolore di veder la padrona in quello
stato, si sentiva la lingua in fondo alla gola, le veniva accosto:

«E glielo chiegga una volta;--diceva--gli chiegga se vuole vederla
morta; chè già da pasqua in qua, mi pare che non cerchi altro!

«Egli... egli vuol morire! vuol tornare a Torino; e di là, me lo dice
il cuore, non uscirà più...!»

«Torino! Quanto a questo, noi faremo menare altrove il cavallo da
nolo, e la giumenta di casa. Se sarà viso da pigliarsela a piedi da
qui a là..., lo vedremo!»

E così com'era, colle maniche rimboccate, uscì, fu nella stalla, tolse
a cavezza le due bestie; e spigliata come un palafreniere, le condusse
a Rocco, tornato un'ora prima da Santa G..., comandandogli di menarle
alla cascina dei padroni, la più discosta dal borgo, di segreto quanto
potesse. Il colono obbedì, strologando su questi fatti alla sua
maniera.

Marta, si rifece in casa a reggere l'animo della signora, la quale da
quel partito della fantesca, pareva aver pigliato un poco di sicurtà.
E quando Giuliano, dato un lunghissimo giro, tornò; la trovò quieta,
intenta a mettere in tavola le tovaglie di bucato, il vasellame della
festa, le boccie, che a vederle appannate al di fuori, si sentiva la
freschezza dell'acqua cavata allora. Su per giù era l'ora del
desinare.

«Qui non si fa che sedersi a mensa!» diss'egli, che, tornategli le
forze, se non di voglia, si sentiva disposto a mangiare per bisogno. E
parlando delle biche, dell'aia, e dell'uve che aveva viste
copiosissime sui vigneti; faceva cuore a sua madre, che non si
lasciasse cogliere dalla malinconia e mangiasse.

Ma a un certo segno, il suo viso parve rannuvolarsi. Appoggiato un
gomito sulla mensa, e reggendosi colla mano la guancia, rimase fisso a
guardare la tovaglia dinanzi a sè, e moveva le labbra come chi parla
con qualche sua immaginazione. La povera madre non osava dirgli nulla;
ma alfine, vedendo come quel pensare durasse di troppo; lo toccò
lievemente nel braccio, chiamandolo a nome, come persona che volesse
destare.

«Ah!--sclamò egli riscosso--perdoni, mamma; pensava che il mondo è
tutto una commedia; e mi pareva d'essere a C..., ad una mensa
lautissima, e che il mio bicchiere urtasse in quello d'un'altra
persona.

«Ma falla finita con coteste tue fantasie! O che alla fine non v'hanno
più fanciulle al mondo? Dà retta: pensava qualche cosa anch'io. Di là
dai monti, nell'altra vallata, in M..., ci ho una figlioccia. Saranno
dieci anni che non l'ho riveduta; ma a quel che era, di certo a
quest'ora s'è fatta bella come un sole. Va a vederla..., odila... e se
ti parrà...

«Ah! non parliamo di matrimonio, mamma,--rispose il giovane--io non mi
sposerò mai!»

A queste parole la signora rimase muta. E intanto veniva Marta recando
un cacio della parti di Santa G..., dove le greggie pascendo erbe
odorose e timi alpestri, danno latte a dovizia e squisito. Mettendolo
in tavola, coperto d'alcune foglie di viti, disse:

«Quei parenti di Rocco, hanno accolto Tecla assai bene, e mandano
questo presente.

«Appunto,--uscì a dire Giuliano rischiarandosi un poco in viso--Tecla
non l'ho ancora veduta: mamma, non mi scriveva che se l'aveva tirata
in casa?»

Marta che era lì appena fuori della stanza, strizzò l'occhio
nell'udirlo, e ricordando che la sua pensata di dar Tecla per isvago
al signorino, aveva mosso a sdegno la padrona; si fece tutta orecchi
per sentir questa, che pronta rispose:

«Non hai inteso? Tecla è a Santa G..., in casa ai parenti di sua
madre...

«Già--disse Giuliano--ricchi o poveri son tutti compagni! Andate pure,
o fanciulle fuori degli occhi delle vostre madri; l'innocenza è una
cosa, che una volta uscita, può tornare a casa con voi sicura e
sempre...!»

La signora Maddalena provò una stretta dolorosa al cuore, pensando che
quelle parole toccavano in parte anche lei; e subito chiamò Marta. La
quale umiliata dall'onesto dire del giovine, stava così ristretta in
sè e confusa, che pareva frugasse chi sa in qual fondo della sua
coscienza, e non vi trovasse tanta sicurtà da farsi avanti. Ma la
signora la chiamò una seconda volta; e come allo scricchiolar della
scranna parve alla vecchia che si movesse per venirla a cercare,
presentandosi sulla soglia, balbettò; «comandi.»

«Dite a Rocco, che prima di sera torni a Santa G..., e rimeni qui la
figliuola.»

Giuliano pensava intanto a quell'ultima volta che aveva vista la
villanella sul prato a ricogliere la tela; e quel canto malinconico
alla rondinella, gli tornava nell'orecchio e nell'anima, come uno dei
più soavi ricordi della sua vita. Oh! quanto gli si erano mutati i
casi da quella volta! E l'immagine di Tecla, mescolata alle sue
rimembranze d'amore, gli riusciva cara, come a dire un fiore, un
nonnulla avuto dalla donna amata; che lo si serba, lo si contempla, lo
si porta sul cuore, e fin si pensa di farlo mettere nella bara, la
quale nelle mestizie della giovinezza, torna così spesso e così
desiderata alla mente. La signora Maddalena poi, pensava anch'essa a
Tecla, vi pensava con un desio strano; e se egli fosse uscito a dirle:
«madre, voglio sposare la figlia di Rocco» forse gli avrebbe risposto:
«se ti pare, domani.»

Marta apparve di nuovo sulla soglia, ad annunciare rimescolata, che
qualcuno voleva la padrona.

«Chi è?--sclamò questa levandosi sollecita e correndo in sala.»

La fantesca le additò in fondo; ed essa attraverso l'uscio socchiuso,
vide nell'atrio donna Placidia, turata nella sua guarnacca, a guisa di
persona che volesse andare sconosciuta.

«Oh...! ma venga, venga oltre...--disse alla sorella del pievano,
affrettandosi verso di lei per tirarla dentro.

Ma donna Placidia non si sarebbe risicata per nulla al mondo, a porre
il piede dove di certo avrebbe incontrato Giuliano. Chè anzi, se non
fosse stata la tema di offendere la signora, l'avrebbe pregata di
chiudere quell'uscio, da cui, le pareva venisse fuori un odore di
zolfo. Tante ne aveva intese pur allora sul conto dello scuolaro, che
essa, quasi non osava toccar le mani della signora. Ma vinta la
riluttanza, la trasse verso il piazzale, e in fretta in fretta
bisbigliò queste parole:

«Su nel presbiterio, ho lasciato il generale alemanno e il signor
pievano che si consigliano. Gli ho uditi parlare di molti
carceramenti, fatti non so se ieri o ieri l'altro a Torino; ho veduto
per la toppa certi fogli, che il generale diceva di aver ricevuti
caldi caldi di là. Oh! quel che devono aver fatto i giacobini! Delle
chiese bisogna che ne abbiano incendiate, e dei preti ammazzati
molti... Basta!... Il generale e il signor pievano parlavano di suo
figlio, fuggito alla giustizia di laggiù..., e questa notte
verranno... ad acchiapparlo. Io non so nulla, non dico nulla, lei è
avvisata...»

E detto appena, come fossero state d'accordo, diedero di volta, donna
Placidia per un verso a togliersi da quel luogo; la signora Maddalena
a rientrare in casa, mezza fuori di sè. E se non fosse stata la tema
di far parere il figliuol suo colpevole davvero, sarebbe corsa a
gettarsi a' piedi del pievano e a chiedere pace, baciando la polvere
dove egli metteva le piante. Ma da questo lato non v'era nulla a
sperare; di che fattasi innanzi risoluta:

«Giuliano,--disse a lui, spaurito di vederla così mutata--sii sincero,
che avete fatto a Torino, tu e i tuoi amici?

«Nulla!--rispose il giovane.

«Meglio! Ma se non vuoi vedermi morire prima che sia notte, parti... e
non parlar più di Torino... Tu sai la via della montagna, a due ore di
qui si varca il confine della repubblica di Genova...: là ti riposerai
a tuo agio... Non dirmi di no, perchè sono tua madre, e te ne
pentiresti tutta la vita... Rocco verrà con te, danari in casa ne
abbiamo...; o Giuliano, quella bella riviera vicino a Savona...! Io vi
passai con tuo padre una volta, e mi rimase negli occhi quel paradiso!
Dammi la consolazione di vivere alcuni mesi teco, in una di quelle
casette, sorridenti... affacciate tra quei cigli di rupi, tra gli
aranci e gli olivi, col mare in vista e il cielo! Sì, sì, Giuliano, tu
la cercherai una di quelle casette; non baderai a spese, e vedrai,
come vi staremo bene...: accontenta tua madre, perchè da un giorno
all'altro..., mi sento vicina a morire...!»

Non le sarebbe bisognato che quest'ultima parola, per avere da lui
tutto quello che bramava. Al pensiero di doverla veder morire un
qualche giorno; Giuliano si era sempre sentito come un navigante, che
rotta la nave in mare per fortuna, fosse sbattuto dall'onde sovra uno
scoglio; e là, solo, assiderato, di notte, sentisse una voce tuonar
dall'abisso: «tu aspetti il sole, e il sole non spunterà mai più!»
Questa immaginazione lo assaliva di quando in quando, e durava fatica
a torsela dalla mente; sicchè molte volte ne aveva pianto. Adesso
udire quelle parole dalle labbra di sua madre, e dire addio a Torino,
ai compagni, ad ogni disegno fatto, fu un punto solo, e rispose:

«Partirò.

«E che il Signore ti benedica!--aggiunse essa, e strettosi al seno
quel suo unico amore, lo baciò e ribaciò, come non aveva più fatto da
quando era bambino. Poi salì con esso nella sua stanza, dove gli diede
quant'oro aveva in serbo.

Marta, che s'era tenuta in disparte, e aveva inteso il discorso di
donna Placidia, e quello della signora; aveva fatto presto a correre
da Rocco, ma non per dirgli che andasse a Santa G..., a ripigliar
Tecla; bensì che venisse per accompagnare il signorino sul Genovesato.

Il pover'uomo, tornato da menar i cavalli, credè questa volta d'esser
pigliato di mira per canzonatura, e già perdeva la pazienza; senonchè
l'aspetto di Marta lo accertò che si faceva sul serio. Pensando che
s'usciva dal territorio, e che il domani era festa, salì di sopra, si
mise indosso i migliori suoi panni e in capo una sorta di
cappellaccio, che si poteva assomigliare a una filucca capovolta, e
sarebbe tuttavia paragone gentile. Così conciato, prese congedo dalla
moglie, e fu in casa alla padrona, dove sedette vicino all'uscio della
sala; aspettando che essa e il signorino discendessero dalle stanze,
dove Marta gli aveva seguiti.

«Oh la bella musica!--diceva egli tra sè--si direbbe che in questa
casa non si può vivere colla pace di Dio! Proprio, chi ha pane, si
cava da sè i denti per non mangiarlo...!»

E volgeva gli occhi in sù, come parlasse allo scarpiccìo che s'udiva
nelle stanze sopra il suo capo.

Intanto Marta discese, ed egli, levandosi, le chiese se il signorino
avesse roba a portare.

«Credo che no--rispose la vecchia--perchè portando roba si farebbe
scorgere...»

Rocco arricciò il naso, quasi a una ventata di cattivo odore, ma non
parlò; perchè giù delle scale venivano Giuliano e la signora, la quale
proseguendo il discorso fatto di sopra, diceva:

«Dunque siamo d'accordo: la casetta sia pur modesta quanto vorrai, ma
trovala in un bel sito; e la stanza dove mi metterai a dormire, guardi
il mare. Spaccerai qualcuno a dirmi quando dovrò venire a
raggiungerti...: ho proprio bisogno d'un'altr'aria... d'un altro
cielo...!»

Rocco intenerito a quelle parole, andò fuori ad aspettare; e già,
pensando alla casa della padrona disabitata, alle finestre, alla porta
sempre chiusa, immaginava le meste risposte, che avrebbe dovuto dare a
chi fosse per capitarvi.

Giuliano usciva colla madre e con Marta; e stringendo ad esse le mani,
come a persone che di certo avrebbe rivedute di là a pochi giorni;
lasciava che quella desse a Rocco gli ordini per quell'andata.

«Pigliate il sentiero lungo la gora--diceva essa--e fate come se
accompagnaste mio figlio a dare un'occhiata ai poderi; quando vi
sarete allontanati, trovate la via più corta, e state sempre con lui,
finchè abbiate varcato il confine. Questo è un po' di danaro per voi
se vi abbisognasse...

«Mio padre era contrabbandiere:--rispose Rocco, brancicando le monete
che la signora gli porgeva;--e le vie dei monti le so meglio del
lupo.»

Mentre la povera donna aggiungeva a queste, parecchie altre
raccomandazioni; Giuliano stava aspettando sul balzo tagliato a filo
sopra il torrente, in capo al piazzale. Faceva notte, e il rumore
delle acque cadenti dalla pescaia del mulino, ridestavano in lui
memorie lontane e soavi. Soleva da fanciullo addormentarsi a quel
suono d'acque monotono e dolce, talvolta assomigliandolo al canto
d'una processione udito da lungi; tal'altra al rumore del mare, di cui
aveva inteso dire da suo padre, come fosse maraviglioso. Avrebbe
voluto rimanere là a pensare; ma ecco Rocco a dirgli che bisognava
porsi in cammino. In quelle corte notti d'estate, si torna a rivedere
l'alba assai presto; e poteva incontrare di dover disviare chi sa
quante volte, per non dare nelle guardie alemanne, che guardavano
tutti i varchi. Di che giovava molto avere d'avanzo qualche ora di
buio; e a dirla schietta, avendo saputo dalla padrona che il signorino
sarebbe cercato dai birri, Rocco voleva fare ogni sua possa, per
menarlo in salvo; ma intanto bramava di uscire dal territorio prima di
giorno, per non essere visto a trafugarlo.

Mossero, e la notte era bella. Su pel cielo cominciava la pioggia di
stelle cadenti, copiosa, che pareva vi fosse lassù qualche gran festa.
I grilli trillavano nei prati, i rospi gracidavano; e nelle altissime
regioni dell'aria, si udivano le strida degli ultimi rondoni tardi a
migrare.

«Ode?--diceva Rocco a Giuliano,--i grilli cantano per farci maturare
le uve; e lassù tutte quelle stelle si staccano dal cielo, per
festeggiare la Madonna degli Angeli, che cade domani.»

Il giovane non volle togliere all'uomo semplice di cuore, quel tantino
di poesia che gli raggiava nell'anima; perchè sarebbe stato come
rubare ad un mendico il tozzo accattato per amor di Dio. Ma quell'udir
menzionare la Madonna degli Angeli fu per lui un gran che; e rammentò
come la prima volta ch'egli s'era aperto colla madre sull'amor suo,
questa avea detto d'aver visto Bianca appunto a quella sagra. Subito
l'immagine della fanciulla gli apparve bella e sdegnosa, a
rimproverarlo di averla creduta infida, senza essersi curato di
sincerarsi qual fosse più, o colpevole o sventurata.

«E tu,--gli diceva quell'immagine--tu te ne vai con codesto amaro
nell'anima, spregiando o maledicendo la donna che amasti! Ma, chi ti
disse che tu non faresti a tempo per avermi tua?»

Queste voci della fantasia, gli parvero dolci, come quelle d'un
usignolo, il quale già dal principio del viaggio, accompagnava i due
camminanti, avanzandoli di lunghi voli, e sempre fermandosi ad
aspettarli e salutarli col suo canto. Allora si pentì d'aver perduto
in casa quel giorno e la notte innanzi; sperò che Bianca non fosse
ancora sposata; e quel pensiero venutogli tante volte a Torino, di
correre a C... e sposa o rapita, portare, la fanciulla anco in capo al
mondo; rinacque in lui così urgente, che tutto quel ch'era stato sino
a quel punto, gli parve nulla.

Di questa guisa aveano varcato il torrente su d'una palancola, e sulla
destra di questo s'erano innoltrati per la strada maestra, sin dove si
spiccano da essa due sentieri; dei quali uno, piegando a mancina,
verso le montagne a levante, era quello per cui dovevano porsi. Rocco
passò innanzi al signorino, per andare primo, ora che la via diveniva
disagevole; ma quegli volgendo a destra, si mise nel sentiero opposto,
pel quale si scendeva di bel nuovo al torrente, o a dirla in una
parola era lo scorciatoio per andare a C...

«Che fa?--chiese Rocco soffermandosi a guardare--cotesta non è la
nostra via.

«Venite--rispose il giovane--venite dietro a me.»

Il colono capì all'accento che quello non era tempo da ridire al
signorino una cosa; e taciturno gli tenne dietro immaginando che la
signora Maddalena, gli avrebbe di certo seguiti col pensiero
sull'altra via; e provava di ciò una sorta di rimorso, come a saperla
a quell'ora, sola in una boscaglia.

«Eccoci al ponte di San Giovanni!--disse il giovane, arrivando sul
ponte antichissimo, che è in un lato di quella campagna, dove nessuno
dei vecchi o dei giovani ha mai capito a che vi fosse e per agio di
chi. I suoi archi e le sue pigne, sono uguali a quelle di tutti i
ponti, che per la vallata si specchiano nella Bormida; e pare sia
stato messo là in serbo, a godersi l'ombra d'un pioppeto che lo
nasconde, e a servire intanto alle foresi, che vi passano in autunno,
colle ceste in capo, colme d'uve deliziose, maturate sui colli
dell'altra riva. I quali subito s'innalzano, offrendo a chi vuol
guadagnarne la cima, una salita tutta a petto; che a Rocco ed a
Giuliano, sebbene gagliardi, diede quella notte tanto affanno, da
costringerli a sostare in sulla vetta per ricogliere fiato.

Di lassù se fosse stato giorno, s'avrebbero vista dinanzi la pianura
di C.... che fa di lontano un assai bello vedere; ma a quell'ora,
nulla invitava a star là, più di quanto bisognasse a ripigliar lena. E
i due ripresero la via, lungo una costiera, che ad un certo punto
metteva ai lembi più alti della selva del convento di San Francesco, a
quell'ameno sito, che noi sappiamo. Rasentando la selva, si trovarono,
di là a mezz'ora, ad essere discesi dove incominciano i prati, a piè
delle piaggie più basse. E l'edificio del convento biancheggiò, alla
loro destra, informe nell'ombra, come una nebbia che si levasse da una
fondura paurosa; e i pilastrini dei pergolati, somigliavano ad una
processione di morti, che usciti di quella nebbia andassero in volta
per penitenza.

Giuliano si fermò a guardare. E se in cambio di Rocco avesse avuto
seco un uomo da poter discorrergli assieme; avrebbe parlato delle alte
cose, che gli venivano in mente in quella quiete. Pensava con affetto,
con doloroso affetto, a Francesco d'Assisi; il quale dalla sua Umbria,
era venuto mendicando a trovare quel lembo di terra, a farvi sorgere
quelle mura; coll'opera volonterosa degli oppressi, colla promessa del
regno dei poveri e di Dio. Pensava a quella promessa mancata, ai
secoli venuti dopo il Santo, ai frati vissuti in quel convento, che
subito furono più amici dei castellani oppressori, che dei popoli
languenti all'ombre di quei castelli; e vedeva l'immagine di Francesco
andare afflitta, tra gli spiriti di coloro, che amarono gli uomini e
furono grandemente delusi. Quell'edificio che aveva dinanzi, al cui
nascimento avevano presieduto chi sa che alti pensieri; gli pareva
d'età in età venuto basso, quasi tempio che si muti in ricovero di
sfaccendati.

Rocco in piedi, dietro di lui, non osava disturbarlo, ma già gli
pareva, che un tratto qua un tratto là, si sarebbero indugiati tanto
da non poter passare, di notte, il confine: e cominciando a far segno
di spazientarsi, stava per dire aperto di voler tirare innanzi.
Senonchè s'udì rompere un gridìo confuso e discorde dal convento; e
lumi apparirono alle finestre, e lumi negli orti; indi subito un
rumore di pedate come di parecchie persone inseguite si fece sentire;
e risa represse, e parole rotte, che venivano per un sentiero del
bosco, appunto verso il signorino e lui.

«Chi va di notte?--gridò Rocco, piantandosi dinanzi a Giuliano, e
levando in alto il bastone.

«Chetati, villano, o t'ha a coglier male!---rispose una voce; e
quattro giovani sbucarono dalla macchia, pronti per l'abbrivo che
avevano, a buttar a terra Rocco, Giuliano ed anco un par d'altri, che
gli avessero voluti fermare. Ma riconosciuti da quest'ultimo e
chiamati a nome, gli si fecero attorno, molto stupiti di trovarlo a
quell'ora in quel sito; e interrogando, e rispondendo, e sempre
rompendo in risa che non volevano finire, stati un pezzo a vedere il
seguito della loro avventura, si unirono a lui, per guadagnare la via
di C....

Erano quattro suoi condiscepoli, dei bei tempi in cui era stato
scuolare di don Marco; e già s'ha bell'e capito che uscivano dalla
cella del padre Anacleto; nella quale gli avevamo lasciati a fare buon
tempo. Il frate aveva mesciuto, e tornato a mescere dei suoi fiaschi,
sino a che i loro umori s'erano scaldati; poi da smanioso giuocatore
di tarocchi gli aveva costretti a giocar seco una partita. Ed essi
dapprima di mala voglia, quindi con ardore, gioca e bevi, ribevi e
gioca, erano andati innanzi parecchie ore; in capo alle quali il frate
dormiva gomitoni sulla tavola, e due di loro non avevano più in tasca
il becco d'un quattrino, ed era vicina la mezzanotte. Allora si
ricordarono di C.... della sposa, e del ballo cui erano aspettati.

«Ah frate! Tu mi hai fatto perdere il ballo e i quattrini; stai pure
che t'ha a costar cara....!--disse tra denti uno dei due
perditori:--amici, spegniamo il lume, facciamo le viste di continuar
la giocata, e vorremo ridere!»

Così dicendo, spense la candela, e rimasero come in gola a un lupo. E
messisi a picchiare con garbo, a bisbigliare di semi e di figure, e
delle mille scioccherie di cui si parla giocando, fecero che alfine il
frate si riscosse. Alzò la testa.... udiva...., e non vedeva nessuno.
Si fregò gli occhi col dorso della mano, ma venne a dir niente...:
tornò a fregarseli.... buio. Sentì per la schiena un sudore
ghiacciato; stette a bocca aperta un tratto, sperando che si fosse in
sulla burla; poi colla voce e col cuore tremanti, osò dire:

«Figliuoli, accendete il lume.

«Abbia pazienza un tantino;--rispose uno dei quattro--si finisce la
partita e si va via.

«Che tu accenda il lume!--gridò allora arrangolato il padre Anacleto;
e colle sue agguantò tre o quattro mani sul tavolino, stringendole
come fosse stato con una morsa.

«Gesù Maria!--sclamò quello dei quattro, che era l'autore della
crudele pensata:--o vedete il padre!... che cosa ha padre, che i suoi
occhi paiono di cristallo?

«Ah!--urlò il frate dandosi due gran palmate nella fronte:--oh!
disgraziato a me! correte, chiamate il cerusico, il barbiere, venga
padre Anselmo, a cavarmi sangue...., l'ho tutto nel capo, me lo sento
come un'otre.... sono cieco!»

E rovesciando panca e scranne, e dalla rapina non accorgendosi dello
sbellicarsi che i quattro facevano; si trascinò fino all'uscio,
tempestando colpi colle mani e coi piedi, da parere un dannato.

Pei corritoi si sentirono i passi frettolosi dei padri che
accorrevano; e un aprirsi di celle, e un interrogarsi da un capo
all'altro che fosse; tutta la frateria fu in un baleno sossopra. Ai
quattro giovani, cominciarono a tremare le gambe, per lo sbarraglio
cui s'erano posti; ma fattisi animo, aprirono la finestra della cella,
un dopo l'altro saltarono nell'orto, e all'ultimo mise l'ali un grido
selvaggio, del padre Anacleto. Perchè un raggio di lume dal corritoio,
si era posato per la toppa sul ventre del frate; il quale capita a un
tratto la brutta canzonatura, si volse imbestialito per acciuffare il
primo dei ribaldi che gli fosse caduto tra l'ugne. Ma i birboni non
v'erano più.... Ahimè! E la frateria affollava l'uscio; la voce del
guardiano, chiedeva al padre Anacleto che aprisse; i guatteri, il
cellaio, i cuochi, andavano di su, di giù, bracaloni pel chiostro; e
si fu appena a tempo di fermare il sagrestano che già entrava in
chiesa, per dare nella campana gridando: ai ladri!

Intanto che il padre Anacleto, aperto l'uscio, s'ingegnava a dare ai
frati chi sa qual ragione del caso suo; i quattro amici camminavano
verso C..., narrandolo a Giuliano per filo e per segno. E Rocco
ascoltando, annuvolava fieramente, e provava nelle braccia tale un
prurito, che se non fosse stata la tema d'offendere il signorino,
agguantati volta a volta due dei quattro nequitosi, gli avrebbe
sbattuti l'uno contro l'altro, come ciabatte vecchie e polverose.
Canzonare a quel modo un frate, gli pareva cosa da essere punita con
un buon abisso spalancato improvviso sotto i piedi; e a tratti si
turava le orecchie per non udire quel racconto. Nè di questo pigliava
diletto Giuliano, troppo occupato dalle proprie cure; ma quando in
riga di commiato alla narrazione, uno dei quattro parlò della festa
nuziale, seguita quel giorno, e pel padre Anacleto finita con quella
burletta; egli si sentì arricciare la vita. E udì da essi, che il
frate aveva menato vanto d'essere stato lui a raddurre Bianca
nell'obbedienza del padre; a farle preferire l'Alemanno a un tale che
amava da morirne; e udendo, colla destra nello sparato della camicia
s'abbrancava le carni per modo, che maggior dolore non gli avrebbe
recato l'artiglio d'uno sparviero. Gli altri continuavano a dire della
cerimonia, dello sposo e della sposa; parevano gli amici di Giobbe
intenti a straziare l'amico; ed egli guardando in alto, quasi a
chiedere consiglio a qualcuno di lassù: più degli astri che
risplendevano silenziosi e tranquilli; più dell'inno che si levava
dalla natura verso il regno dell'anime; più dell'amore com'egli
l'aveva sempre inteso, gli parve bella la morte. Dunque, colui che gli
aveva tolta la donna sua, non era quel soldato straniero, ma un uomo
della sua terra, della sua lingua, un frate; quel frate che aveva
predicato a D.... la quaresima, e che sua madre aveva tanto lodato?
Oh! se non fosse stato il pensiero di lei cui aveva già dati troppi
scontenti; se non fossero state quelle sue parole di morte, che solo a
rammentarle gli toglievano ogni forza; che sì che sarebbe tornato al
convento, e aspettato tanto che quel frate venisse fuori, gli avrebbe
insegnato a leggere nel vangelo! Ma sua madre...., sua madre l'aveva
nella fantasia, nell'atto in cui era rimasta sulla soglia di casa sua,
ad accennargli colla mano di tirare innanzi; e ne udiva la voce
gridare: «pace, pace, perdono; va alla tua ventura» e volle obbedire.

«Vieni tu con noi, a vedere il ballo?--disse finalmente uno degli
amici a Giuliano, fermandosi a mezzo il borgo, in capo a un vicolo,
dal quale s'udiva venire un suono di strumenti festoso.

«O perchè no?--sclamò egli provocato da quel suono come da
un'ingiuriosa parola:--andiamo e vediamo la sposa!

«Signorino--disse Rocco, accostandosi a lui in guisa da non farsi
udire dagli altri:--sua madre mi raccomandò di accompagnarlo oltre il
confine, prima che sia giorno....

«Ho io ucciso qualcuno?--rispose il giovine--stai pure, mia madre a
quest'ora è tranquilla.»

Fosse stata a vederla; povera signora Maddalena! Una mano di soldati
Alemanni le mandavano in quell'ora la casa sossopra; chiedendole del
figlio, come se loro avesse avvelenato l'acqua e l'aria, e rubato la
corona al loro Imperatore. Ed essa, non badando allo strazio che le
facevano d'ogni cosa; camminava col pensiero dietro a Giuliano, e lo
stimava arrivato in terra della repubblica; e benediceva donna
Placidia, venuta a farle la carità d'avvisarla.

Marta, non potendo altro, fece le corna agli Alemanni tutto il tempo
che stettero a frugare; e per la prima volta trovò che Giuliano non
aveva avuto torto a maledirli, quella tal sera della pasqua passata. E
anche don Apollinare, le pareva scaduto di molto: ond'essa guardando a
squarciasacco dalla banda del castello, pregava di tanto in tanto
ch'ei fosse nei panni della signora, egli che sapeva dire dal pulpito
al popolo della pieve tante parole di carità.

In quell'istessa ora, il pievano seduto sul suo seggiolone, con una
gamba accavallata e dondollata sull'altra, se la faceva colla sorella,
raccontandole come Sua Eccellenza il generale Alemanno, avesse saputo
da Torino, che il figlio della signora Maddalena era fuggito alla
giustizia, la quale lo cercava per congiurato ai danni del re e della
religione; e che confidatosi a lui del carico datogli di farlo
acchiappare se mai si fosse rifugiato a D..., egli l'aveva supplicato
a far di notte, per minor vergogna, non del reo, ma di sua madre.

Queste cose, egli diceva a Donna Placidia; la quale ascoltando, un po'
accennava col capo come a dire che sapeva; un po' niegava: come per
dire: «Giuliano non l'acchiapperanno.»

Un tratto queste due parole le fuggirono dette a mezza voce, di tra le
labbra.

«Oh come non l'acchiapperanno, gridò don Apollinare levandosi in
piedi.

«Ma--rispose donna Placidia, vi fu chi ne fece avvisata la signora
Maddalena.

«E chi, se non voi, può avere ascoltato ciò che il generale non disse
ad altri che a me?

«E voi non dite sovente dal pulpito, che bisogna fare il bene al
prossimo? Ora la carità non si fa tutta di pane.»

Don Apollinare le diede un'occhiata bieca; e senza parlar oltre, tolto
il suo lume da mano, s'andò a chiudere in camera, per non farsi
trovare dal generale. Il quale rimasto a mani vuote, chi sa come
sarebbe venuto a tempestare nel presbiterio bell'e a quell'ora.

«Tanto e tanto,--diceva spogliandosi in fretta--mi sapeva male che uno
della mia pieve cascasse in mano a questi signori. Ma to! questa mia
sorella come me l'ha appioppata! Bella coppia essa e don Marco!
Proprio il dettato è giusto; «chi fa quel che noi preti si dice..., va
in paradiso diritto, come colomba al nido, e come io in questo mio
letto...»

Si coricò disteso; e contento come quella sera, non aveva più giaciuto
da parecchio tempo.




CAPITOLO XVI.


Quello in cui a C... si ballava, era stato palazzo dei feudatari; e
abitato ai dì nostri da una famiglia per bene, sorge a piè della
roccia, dalla cui vetta il castello in rovina pare lo guardi
imbroncito; quasi chiedendo se sia cosa giusta, ch'egli debba stare
lassù a disfarsi alla pioggia e al gelo, mentre il palazzo sta ritto
qual era nell'età fiera, in cui di ribalderie fatte dai loro padroni
ne videro entrambi d'ogni colore. Sullo scorcio del secolo passato, vi
alloggiavano le genti del Re di Sardegna, messe a guardia del confine
tra il regno e la repubblica di Genova; e però il borgo fioriva pel
molto spendere degli uffiziali di quelle milizie, dei quali alcuni
lasciarono le ossa e il nome alle sepolture della chiesa parocchiale;
altri le sembianze sull'insegna del caffè di Marocco, rimasta salda
sugli arpioni molti anni dopo che il povero caffettiere era morto, ed
ora buttata ai tarli in non so quale solaio.

Per accedere alle scale ampie ed agiate, che di certo furono fatte per
non affannare il petto alle baronesse; bisognava attraversare una
sorta d'atrio, che di costa aveva un cortile lungo quanta era la
facciata dell'edifizio. Da quel cortile parecchie viti, accompagnate
nei loro serpeggiamenti da mano amica, s'erano arrampicate così alte,
che tra balcone e balcone, formando bellissimi tralciati, toccavano
colle vette le gronde del palazzo, a recarvi chi sa se noia o diletto
alle rondini, che vi appiccavano i nidi. Bell'e in mezzo al cortile
v'era una cupoletta leggiadra, assiepata da gelsomini rigogliosi; ma i
fiori d'alcune aiuole ben disposte qua e là negli angoli, perchè il
sole vi poteva poco, erano pallidi come visi di monachelle, che se
anco belline hanno sempre sulle guance i segni dell'aria morta del
chiostro. Di là dall'atrio si pigliavano le scale, che mettevano ad un
ampio ambulacro, e più oltre ad un uscio, i cui stipiti e l'architrave
erano stati condotti con gran maestria in marmo persichino, cavato
dalle montagne di quelle parti. E l'uscio poneva in una di quelle sale
vaste, le quali, ad entrarvi da soli, danno un po' di sgomento; e
l'uomo vi si trova piccino e così leggero di panni, che per istarvi
bene avrebbe proprio mestieri d'essere vestito di ferro. L'altezza
della volta era molta sfogata, e aveva nel mezzo uno stemma recante
aquila bicipite, carro e cimiero, ad alto rilievo; e quando la sala
era illuminata scarsamente, e il venticello delle finestre faceva
ondeggiare le fiamme, alla luce ricevuta di sotto in su, quell'aquila
dai rostri e dagli artigli dorati, pareva muoversi come cosa viva e
pronta a spiccare il volo. Di là da questa v'erano due altre sale, ed
oltre e sopra per lunghi giri, stanze e corridoi d'ogni conformità; di
chè il volgo accostumato a vivere ammucchiato nelle sue catapecchie,
aveva mille ubbìe su quell'edificio così vasto, e lo guardava quasi
con paura. Le femminette compativano i poveri soldati, costretti ad
abitare in quel luogo malurioso; e quando fu accesa la guerra in su
quel di Nizza, e le milizie lo lasciarono vuoto; parve a quelle
semplicione, che l'andare ai patimenti dei campi, e forse a morire per
man dei Francesi feroci, fosse meno peggio dello stare là dentro, a
farsi guardare nei sonni dagli occhi ardenti dei fantasmi, uscenti la
notte dai trabocchetti.

Gli uffiziali Alemanni, volendo far onore alla sposa ed al loro
compagno d'armi; avevano stimato che il palazzo fosse il luogo più
acconcio ad una festa da ballo; perchè vi si poteva invitare quanta
gente per bene viveva nel borgo e nei dintorni. E già alla una di
notte ne erano piene le stanze. Chi giocava, chi conversava, chi si
confortava ad una copiosa credenza: mentre nella sala grande si
ballava così di voglia, che non pareva d'estate.

Le pareti di quella sala, quasi coverte di quadri antichissimi,
rappresentanti caccie e tornei; erano a tratti adorne di specchi
posati su certi arpioni, che reggevano doppieri formati di molte
torce. E la luce riverberata dalle spere, si diffondeva in ogni lato
sì vivida, che si sarebbe potuto raccattare di terra una spilla; e i
cavalieri e le dame vedute e moltiplicate in quelle, parevano
migliaia. Qual festa per gli spiriti folletti, abitatori di quel
palazzo! Che sì, che quella notte delle burlette ne avranno fatte di
belle, alle madri sedute a vedere le figlie ballare, o passeggiare di
su di giù con quegli Alemanni, vestiti di magnifiche assise! Le
donnicciole delle casette vicine, potevano quella notte dormire tra
due guanciali se gli avessero avuti, chè nessuno di questi spiritelli
si sarebbe tolto da tanta delizia d'acconciature, di gale, di code,
per venirle a fastidire; nè i mulattieri discesi all'alba ad arnesare,
avranno trovato i bardotti o le mule colle criniere intrecciate da
doverne ammattire. O che avranno detto i ritratti dei due Monarchi
Carlo VI d'Austria e Filippo V di Spagna, incorniciati sopra gli
architravi di due usci, l'uno di faccia all'altro, e posti in modo che
parevano sbirciare le donne e i cavalieri, quali fossero le più belle
ed i più cortesi? Quei due ritratti erano fattura d'un pittore del
borgo, che gli aveva dipinti dal vivo l'anno 1702; e si vedeva dalla
scritta che i due sovrani avevano dormito dai Marchesi Scarampi
proprio in quel palazzo. Un figlio del pittore, divenuto musico
riputato molto, sedeva quella sera sul palco a dirigere i suonatori: e
rammentando d'avere udito dal proprio padre le meraviglie dei due
monarchi; guardava, suonando, i loro ritratti, come se aspettasse di
vederli sorridere, cavar di sotto le corazze una pizzicata di monete
d'oro, e chiedere a lui notizie del babbo che gli aveva dipinti,
pover'uomo morto da lunga pezza.

Chi fosse stato a quella ed a qualunque festa da ballo di quei tempi;
e volesse farne paragone con quelle dei nostri, direbbe che gli avi si
accontentavano di cose, alle quali noi piglieremmo gusto, proprio come
a dormire su d'un monte a bocca aperta quando tira vento. Eppure
ballavano i nostri vecchi meglio di noi: ballavano gagliardamente, per
mantenere agile la persona e l'animo lieto; e passi di terza e di
sesta erano segni di buona gamba. Più era stimato chi sapeva meglio
trinciar cavriolette, fare riprese, roteare a battuta: si ballassero
monferrine, furlane, gagliarde o correnti, bisognava aver petto sano
per non trafelare; e smettere prima dell'ultima nota dei suonatori,
sarebbe stato farsi canzonare da donne e da fanciulle. Le quali a
vederle reggersi colla punta delle dita un po' di gonna, tanto che i
piedi ne uscissero scoperti fin sopra la noce; e col capo chino
vezzosamente, strisciarne uno innanzi e l'altro volgere di lato,
modeste, agili, rapidissime a fare da un lato all'altro le sale,
dovevano essere un desìo; e quello era ballare davvero.

Di balli a C... dopo la venuta degli Alemanni, se ne erano visti
molti; ma niuno si rammentava d'aver ballato con estro, come in quella
sera. La mezzanotte era passata da un pezzo; e a quest'ora Giuliano e
i quattro giovani, scampati all'ira del padre Anacleto, giunsero alla
porta del palazzo, e si misero dentro.

Giuliano combattuto da desideri e da paura, si fermò peritoso
nell'atrio; lasciando che i compagni salissero quelle scale,
echeggianti di festoso bisbiglio. E forse pentito, avrebbe dato di
volta, per ripigliare la via che aveva a fare; ma sul muricciolo del
cortile stavano cavalcioni alcuni giovani popolani: i discorsi dei
quali si mescolarono, come già tante altre cose strane, nei fatti
suoi. Essi godevano accidiosi quel po' di festa che potevano vedere
attraverso i balconi aperti; parevano anime del Limbo tormentate dalla
vista d'un lembo di cielo; e alla luce che loro pioveva addosso,
parlavano basso, quasi timorosi d'essere colti a godere di cosa non
fatta per loro. Ed uno diceva:

«E vedi la sposa, la sposa! Ci ho badato, e dei balli non ne ha
tralasciato neanco uno!

«Sfido io!--rispondeva un altro:--o che vuoi che si mostri di gamba
malata?

«E chi s'era mai accorto,--entrava a dire un terzo--chi s'era mai
accorto che fosse così bella! Quando noi si tornava da far legna, e la
si incontrava con la sua zia, mi pareva un digiuno comandato.

«Hai a dire, che ne' suoi panni d'allora, pareva una santa che
parlasse cogli occhi! Così rinfronzita somiglia una di quelle statue
che portiamo in processione, tutte trine, nastri, oro e che non dicono
nulla.»

A queste parole, dette da quel popolano, Giuliano si mosse e salì le
scale con passo sicuro. Rocco che nulla si curava di quegli
spettacoli, e forse voleva andare sconosciuto anche a C...; vedendo
che il padrone saliva di sopra, si sdraiò nell'atrio e si appisolò un
tantino.

«Dov'è questa sposa?--chiese Giuliano ai compagni, i quali s'erano
fermati sull'uscio della sala, aspettando che fosse finita una gavotta
gaia, spedita, vorticosa, che pareva un visibilio: e sfolgorante di
bellezza, di sdegno, di dolore, guardò. I suoi occhi videro, il suo
cuore provò uno squasso, e le mani gli si contrassero fieramente.

Vestita di raso candido, cangiante in un azzurro oltremarino
leggerissimo, che le rialzava la carnagione; Bianca ballava in mezzo a
quella folla d'ebbri felici, più ebbra di tutti. Una bustina color di
rosa le stringeva la vita, e le reggeva il seno tumido, voluttuoso,
appena coperto d'una modestina a trafori, che ne velava e non ne
velava la sommità. Le braccia ignude fino più in su del gomito,
agitavano le trine cadenti in moltissime pieghe dagli sgonfietti delle
ascelle; e le smaniglie ai polsi, e il monile di gemme, mostravano
come quella fanciulla sapesse d'essere bella, e quanto fosse venuta
innanzi nella via delle vanità. I geni della innocente e timida
adolescenza si erano tutti partiti da lei; e gli occhi e le labbra
avevano già appreso l'arte dei sorrisi vezzosi. Che cosa erano quei
capelli acconciati in falsi cirri, e impolverati come di donna
invecchiata nei festini? E quel diadema scintillante in cima della
fronte; e quella penna candida, che innestata alle trecce insieme al
velo aereo diffuso sulle spalle, le ondeggiava superbamente sul capo?
Colei dunque era Bianca?»

Giuliano arrossì; sentì dentro un rimescolamento, come se qualcosa vi
si struggesse, qualcosa vi si ricomponesse; ma gli parve di aver più
sciolto il respiro, e potè reggere a guardare quella donna a lungo.

Il signor Fedele, che aveva visto il giovane apparire sulla soglia
improvviso, mentre che egli era lungi cent'anni dal pensarvi; tremò
che fosse per accadere del torbido: e date di qua di là colla mente
parecchie capate, cercava modo di parare qualche gran colpo. Non trovò
nulla di meglio che avvicinarsi ai musici, e accennare che suonassero
con quella già incominciata l'ultima danza. Lo sposo di Bianca,
sebbene fosse coll'animo in luogo sì alto, da non poter badare a tutte
le cose che avvenivano; tuttavia vide il turbamento del suocero, e
fattoglisi vicino a chiedergli che avesse, potè indovinare che
l'apparizione del giovane forastiero gli metteva addosso la smania. Le
occhiate che colui dava alla sua sposa, gli fecero corrugare la
fronte, e fu lì per andargli a domandare che cosa avesse a vedere in
quella signora; ma appunto allora i musici mutarono la gavotta in una
monferrina rapida e clamorosa, che doveva metter fine alla festa.

La monferrina era stimata per quei tempi una danza forastiera e di
gala; ma qualunque si fosse all'ultima suonata, si soleva mutarla in
una ridda, nella quale tutti venivano travolti come foglie in un
vortice, anche coloro che stavano a vedere, giovani e vecchi. E quasi
a mostrare che non si smetteva dalla stanchezza, ognuno badava a
strepitare per sette; dond'avveniva uno scambiarsi di danzatori e di
danzatrici, un passar come razzi da un capo all'altro, un turbine, un
tramestio, da far tremare le volte, e da schiantar i pavimenti.

Giuliano non ebbe tempo d'accorgersi di quella bufera, che agguantato
coi quattro amici, fu trascinato nel ballo, spinto, rapito da catena a
catena; finchè, quasi lo si avesse voluto schernire, gli fu posta
nella sua la mano di Bianca.

Era la prima volta che quelle due mani si toccavano ma ohimè! in qual
guisa, e quanto diversa da quella vagheggiata dal giovane sventurato!
E Bianca come fosse invasa dal genio d'una baccante, non si avvedeva
di lui, se a sentirlo restio, non gli avesse dato uno sguardo. Parve
alla bella donna, di sentirsi una fiamma accesa tra ciglio e ciglio; e
un sorriso arido, amaro, spuntò sulle labra di Giuliano. Il quale non
mosse piede; si tenne ritto e severo: e come l'ultime note dei clarini
scompigliarono quella ridda finale; fuggì frettoloso, scese a
precipizio le scale; e passando vicino a Rocco che subito levandosi
gli tenne dietro, uscì in sul piazzale.

«Signorino--gli disse Rocco vedendolo uscir di là dentro come ne lo
avessero scacciato--se le hanno fatto qualche torto, sono qua io...

«O Rocco!»--rispose Giuliano, stringendosi al collo del contadino; e
forse avrebbe detto qualcosa, ma un bisbiglio, un rumore di passi
veniva giù dalle scale del palazzo; tutta quella gente lieta del
festino, a coppie, a brigate, si versava nel piazzale; e là auguri, e
risa, e promesse; cortesie infinite che accompagnarono gli sposi sino
alla casa del signor Fedele.

«Va--pensò il giovane guardando dietro al corteo:--va pure..., tu, le
tue nozze, le tue gioie, tutte cose funebri da scolpirsi sopra i
sepolcri bugiardi...! O madre, amor mio, tu hai detto il vero; questi
sono luoghi da fuggirli per sempre!»

Così dicendo si mosse; e Rocco dietro di lui, andava non più come un
servitore devoto, ma come uomo messo a guardia d'un infelice, cui
stesse per dar volta il cervello. Credeva che il signorino si avviasse
per uscire dal borgo, ma stupì vedendolo pigliare per un vicolo che
menava proprio nel mezzo di questo. E tuttavia non osò dirgli che
forse sbagliava la via. Giuliano non la sbagliava punto; ma camminava
diritto per andare in casa a Don Marco, dirgli addio, forse parlargli
di quel che aveva visto, e averne conforto di quelle parole di cui
soltanto il buon prete conosceva il segreto. Giunto a quella porta,
agguantò il martello e fu lì per battere; ma si sentì rimordere di
venire a destare un vecchio a quell'ora, e non lo fece. Intanto gli
fuggì un'occhiata in su alla casa del signor Fedele, ch'era di contro;
e vide illuminarsi la finestra di Bianca, quella finestra ch'egli non
aveva mai osato di varcare colla fantasia, dalla tema d'offendere la
fanciulla che vi dormiva dentro. Ed ora...? Ebbe uno schianto di cuore
non mai provato; mai neanche quando aveva inteso che Bianca s'era
sposata: lasciò il martello, e senza dir nulla, ripigliò la via per
allontanarsi. E a questa volta uscì davvero dal borgo, e sarebbe
andato innanzi chi sa quanto muto; se Rocco mosso da grande curiosità,
non gli fosse entrato della via che voleva tenere, e a poco a poco
anche del padrone di quella casa, cui aveva voluto battere poco prima.
A tutte le dimande del colono, Giuliano rispondeva breve come chi ha
altro da pensare; ma a quest'ultima il suo cuore si aperse, e quasi
provando un gran sollievo a pronunciare il nome di cui Rocco chiedeva,
rispose:

«Oh... quella è la casa d'un giusto... è la casa di Don Marco...!

«Don Marco! Lo conosco, è un santo che ha fatto tanto bene alla mia
Tecla.

«A Tecla?--disse Giuliano mostrandosi ora voglioso di udire i discorsi
di Rocco.

«Appunto,--rispose questi--una sera di questa state, quasi mi vergogno
a dirlo, essa ci era sparita di casa...: uno spavento! si figuri...! e
chi la voleva morta, chi rapita dagli Alemanni, chi annegata... ma
coll'aiuto di Dio la trovammo laggiù al passo del guai, proprio a piè
della croce, sa...?

«E dove voleva andare?

«Ma...! quel giorno il pievano era venuto a dire a sua mamma, che ella
era stata messa in prigione a Torino.

«E Tecla che c'entrava...?

«Ma... voleva venire a Torino a liberare lei: teste piccine di
donne...!

«Narratemi ogni cosa, Rocco;--disse Giuliano pigliando lena--perchè
non mi avete mai detto questi fatti...?

«Ma...»--rispose Rocco; e cominciò la storia di quella notte, che se
non era Don Marco poteva costare a Tecla assai più lacrime che essa
non aveva versate. Giuliano ascoltava camminando a capo chino, ora
tocco nel vivo del cuore dalla pietà; ora sdegnato, come quando udì
che Don Apollinare voleva che Tecla fosse stregata. E così pei
sentieri più foresti, un tratto in riva alla Bormida, un tratto in
mezzo ai campi, cansando le pattuglie Alemanne; s'affrettarono verso
il confine.

In un punto dove quattro mura mozze paiono ruine, e invece sono d'una
cappella rimasta costrutta a mezzo, forse perchè fu chiarito che la
Madonna, cui si voleva dedicare, e che si diceva comparsa in quel
sito, non era stata che qualche villanella vestita da festa; il
giovane si fermò, e voltosi a Rocco, parlò in guisa che a costui parve
di non aver più a fare col padrone, ma con un figliuolo.

«Rocco, fa giorno e potete tornare. Dite a mia madre che io sono
uscito dalla terra libero, tranquillo, e desideroso di trovar presto
quella casetta, nella quale vivremo con essa tutta la vita. Direte a
Marta che abbia cura di mia madre; e voi se mi volete bene, andate a
Santa G...: riconducete subito la vostra Tecla a casa; meglio che
sotto i vostri occhi, non istarà in niun luogo. Ve la raccomando... ma
tanto...»

E data una stretta di mano e alcune monete al pover'uomo, lo piantò
sulla via e tirò innanzi.

Rocco, strologando su quel pensiero che il signorino si pigliava di
Tecla, stette a guardarlo sin che gli uscì di vista, poi tornò
addietro. Di là ad un'ora ripassava per C..., dove la gente era già
fuori per le vie, con quella gaiezza mattutina che i giorni di festa
fa belli i villaggi. Le donne scopavano dinanzi alle case; gli uomini
s'affacciavano allacciandosi al collo la camicia di bucato, e
chiedendosi da finestra a finestra, a qual'ora fosse finito il ballo
degli sposi; su certi balconi le madri pettinavano i bimbi per
mandarli netti a messa; e su certi altri le fanciulle spiccavano
garofani dal vaso, per farne un mazzolino al damo.

Il buon uomo vide queste cose, traversando il borgo, e di là dal ponte
trovò che gli Alemanni in sull'armi, ascoltavano devotamente la messa;
celebrata sopra un poggiolino in mezzo ad un prato. Egli avrebbe
voluto fermarsi a sentirla; ma oltre che la era già innanzi di molto,
detta così all'aperto gli parve cosa troppo da soldati; e tirò diritto
col proposito di udirne una al Convento dei Minori Osservanti, dove
per andare a Santa G.... a pigliar la figliuola, aveva a passare.

Colà era giorno di grandi preghiere e di grande solazzo, in onore
della Madonna degli Angeli; e se dall'architrave della porta maggiore
della chiesa, pendeva la tabella dell'indulgenza plenaria; nella selva
e nei prati intorno v'erano ridotti e baracche da potervi mangiare,
cioncare, fare alle pugna, dopo aver data una ripulita all'anima, con
un po' di perdonanza e un po' d'elemosina fatta al convento.

La via che menava a quella volta, era tutta una processione; e più
s'avvicinava più uno stupiva delle numerose brigate, che facevano pei
campi e pei colli un pittoresco vedere. Rocco si lodò d'essere partito
da casa vestito da festa; perchè quanti incontrava avevano indosso i
meglio panni del loro vestiario. Le donne giovani o vecchie, se
maritate portavano la veste di sposa; che allora, bell'usanza,
serbavano per le festività di tutta la vita: le zitelle, quasi tutte,
costumavano gonne d'indiana azzurra carica, che davano un po' più
sotto della mezza gamba; e questa si vedeva chiusa in calzette grigie,
o il piede calzato di scarponcini, cui niuno badava se fossero o no
grossolani, perchè le fanciulle s'aveva a guardarle modestamente in
viso. Un casacchino di tela casereccia stretto alla vita, ornato alle
ascelle di crespe o sgonfietti; un fazzoletto in capo, rosso o giallo;
un grembialetto anch'esso d'uno di questi colori; era tutto il loro
vestire. Vezzi non usavano portarne, oltre un par di campanelline agli
orecchi; contente delle perle che avevano in bocca, e delle sincere e
copiose capigliature. Belle su tutte erano le boscaiuole della riva
destra della Bormida, che si vedevano qua e là guadare il torrente ai
varchi più agevoli, per andare alla sagra. Erano e sono tuttavia il
miglior sangue di quei monti; bianche come latte, e ben colorite,
spigliate di forme, e in tutto da non parere gente povera e mal
pasciuta. Ma le sono mattiniere, e visitando le selve a palmo a palmo,
e non per diletto; trovano forse il fiore misterioso di cui si
tingono, come nessun pittore saprebbe fare alle donne delle città.
Degli uomini poi, non accade dire quali fossero le fogge dei loro
panni; ma si vuol lodare chi fu primo a smettere quei codini, quei
giubboncelli, quelle brache corte: sebbene queste sarebbero da
ritornarsi un tratto in onore, tanto che la gioventù badasse a
crescere a modo e men molle, per non andare derisa di troppo povere
polpe.

Tanta adunque era quel giorno la folla, che la sagra pareva un
giubileo; e sott'essi i pergolati del convento, già sin dal mattino
era una briga di mercanti d'ogni generazione, i quali si davano
attorno a porre i loro banchi, bisticciandosi alla buona tra loro. Nel
piazzale della chiesa, giocolieri, storiai, vinai, contendevano per un
posticino; ed il cerretano che ogni anno soleva venirvi, già faceva
gente strombazzando di su un tavolino, avuto a presto dal frate
dentista del convento, il quale si mostrava pronto a fargli servizio
per non parere invidioso. Più in là, dietro l'edificio, nel prato che
sembrava fatto a posta, avevano formata una sorta di lizza, e ad un
palo pendevano guanti e palle di cuoio di parecchie grandezze, segni
di sfida tra i giuocatori dei contorni. Poco discosto, su
d'un'impalcatura, all'ombra d'una quercia, i suonatori d'un ballo
campestre cominciavano ad accordare gli strumenti. In fondo al prato
poi sorgevano le baracche, formate di lenzuola e di frasche; e gli
osti stavano a certi fornelletti cuocendo i polli, che le loro
fantesche sbuzzavano, pelavano, abbrustiavano, frettolose e tuttavia
bestemmiate per pigre. Fra tanta folla, che cresceva ognor più, i
frati andavano colle labbra e colle tabacchiere aperte a dar pizzicate
e sorrisi: per taluno avevano parolette d'invito a farsi vedere in
cucina o in refettorio, e il fortunato era di certo un benefattore
campagnuolo; o tale su cui la frateria, aveva messo gli occhi e le
speranze.

Rocco fattosi via fino alla porta della chiesa potè entrare e udir la
messa. E pagato così il suo debito al Signore, tornò fuori colle mani
nelle saccoccie delle brache, tastando le monete avute da Giuliano.
Accortosi d'aver fame, tirò il conto delle miglia che gli sarebbe
bisognato fare per giungere a Santa G.... e non gli tornando bene al
ventre nè alle gambe, s'avviò passo passo ad una baracca.

Ivi, si davano spasso bevendo e chiacchierando parecchi avventori; i
quali dopo aver mangiato non facevano segno nè di voler pagare nè
d'andarsene. L'oste non osava dir loro nulla, essendo essi miliziotti
e soldati. I primi (armati di lunghi schioppi, che alle canne e ai
fregi apparivano di fattura spagnuola, raccattati forse sui campi di
battaglia di quelle parti, meglio che mezzo secolo prima); erano stati
di quello stormo levatosi in armi il maggio di quell'anno. E avendo
pigliato diletto di vivere randagi, si soffriva dal magistrato che
andassero armati; perchè bisognando, facevano ufficio di guide agli
Alemanni, e campavano di questa professione e di picciole rapine. I
soldati poi erano gente dei vecchi reggimenti Sardi, pronti di maniere
e soverchiatori, ma rispettabili par ferite delle quali portavano i
segni ancor freschi, e stavano a guarirsi nel borgo. Essi avevano
combattuto contro i Francesi più d'una volta, sull'Alpi marittime;
adesso colle gomita sulla mensa bevevano alla salute dei vivi e alla
memoria dei morti; giurando clamorosamente sugli scapolari che avevano
di sotto i panni, molli di sudore e anneriti. E colle dita intrise di
vino, descrivevano sulla tovaglia i campi e le ordinanze in cui
avevano combattuto. A udirli, questo era il colle di Raus, quest'altro
quello di Milleforche; qui il capitano Zin co' suoi cannoni, aveva
mandati i sanculotti ruzzoloni giù pei dirupi come sacca di carbone;
là era caduto il capitano Maulandi, venerato da quei valorosi che
l'avevano veduto morire, e ne cantavano i versi scritti da lui sulle
montagne ove cadde, poeta e soldato. S'accendevano in viso parlando di
lui, come si sarà acceso il Botta scrivendone le lodi in una mesta
pagina della sua storia: rammentavano le rive del Tanarello e della
Saccarda, di Colle Ardente e di Saorgio, i vili e i traditori: e qui
uno di que' soldati trovandosi ritto nella foga del dire, data una
vigorosa palmata sulla mensa, e guardando a cera prepotente quanti
erano nella baracca; giurava che il Re era tradito, e che se i
Francesi trovavano la via men aspra dell'anno prima, sebbene le valli
fossero zeppe d'Alemanni; accadeva perchè da Torino insino all'ultimo
villaggio del regno, v'era in ogni casa un traditore.

«Lo giuro!--sclamava egli invelenito su quell'idea, e si rimboccava,
dicendo, la manica fino all'ascella, scoprendo un viluppo di muscoli
poderosi:--questo braccio fu ferito, ma è forte ancora, e se mi
capitasse innanzi un Giacobino lo spaccerei con questo, fosse mio
padre. Chi è quà dentro che non vuol gridare viva il Re?

«Evviva il Re!--urlarono quaranta o cinquanta gole mezzo ingozzate di
lasagne: e all'urlo tenne dietro un rompere di tossi, di sternuti, di
singhiozzi per contrazione; mentre il soldato sorridendo a tutti,
chiamando tutti amici, andava attorno toccando col suo gli altrui
boccali. Giunto a Rocco, che mangiava rincantucciato in fondo alla
baracca, e si sentiva tremare il cuore; il soldato gli si piantò
dinanzi: «E voi--gli disse--che fate costì solo, che mi parete un
volpone sotto una cesta? venite qua in buona compagnia!»--E pigliato
il piatto, i pani, il boccale del poveretto; lo tirò a quella mensa
dov'egli e i suoi facevano quel tanto baccano. Là Rocco dovè
rimettersi in loro; mangiò e bevve come essi vollero; chiese licenza
d'andarsene parecchie volte, ma gli tocco fare più di mezzogiorno; ora
in cui potè uscire libero, pagando lo scotto di quei soldati, e ancora
gli parve una grazia.

Quando fu fuori di quel passo, trovò che la folla era divenuta così
fitta, da non potersi muovere, uno che avesse fretta, a suo agio. Il
ballo campestre ferveva sotto la sferza del sole, e le foresi danzando
coi loro dami gighe e gavotte, si struggevano in sudore. Ma al caldo
ci badavano punto. E bisognava vedere quei garzoni, come finita una
danza, facevano a chi fosse più spedito a ripigliar il posto sullo
spazzo, affollando il festaiuolo, empiendogli di spiccioli le mani. Ed
egli pigliava e ringraziava per sè e pel convento, cui doveva pagare
la decima; poi diceva ai musici che tornassero a suonare, e
significava ammiccando che egli voleva suonate corte e frequenti.

La vista di quel ballo era la cosa più ghiotta della sagra, e i
signori vi si disfacevano dalle risa. Essi vi adocchiavano le belle
campagnuole, imparando a conoscere i loro amori. Onde accadeva
sovente, che dopo quella e altre feste compagne, qualcuno di essi si
mettesse di mezzo a far parentadi, tra giovani veduti appassionarsi in
quegli strani convegni: e allora il più delle volte, virtù addio!

Mosso da curiosità, Rocco volle avvicinarsi a quello spettacolo; e a
forza di gomiti fattosi un po' di passo, ecco a quale incontro
inatteso egli riusciva.

Il zio di Tecla, che non era giunto a cavare a questa quattro parole,
in ventiquatt'ore dacchè l'aveva in casa; messosi in testa di darle un
po' di svago, s'era accompagnato con essa ad alcuni vicini, uomini e
donne; capitando al convento, forse un po' prima, forse un po' dopo di
Rocco. Fatte le divozioni e pigliati anch'essi i ristori, in una delle
tante baracche; i montanini avevano finito per mescolarsi alla folla
che faceva corona al ballo; e alcune giovinette della comitiva presero
a danzare, mentre alcune altre, modeste e quasi mortificate, stavano a
vedere; e tra queste Tecla.

Essa si teneva in mezzo alla calca, colle mani alla vita, una
sull'altra, guardando co' suoi grandi occhi l'agitarsi delle
danzatrici; e si sarebbe detto che ne provasse compassione. Ed era là
forse da mezz'ora, stretta, pigiata; ma non si avvedeva di non aver
più allato nè le compagne, nè il zio col quale era venuta in quel
luogo. E neppure aveva badato al mutar di piedi che le era bisognato
fare, spinta lentamente ora indietro, ora di lato; sicchè discostata a
poco a poco anche dai danzatori, non ne scopriva più che le teste. Ma
badavano bene ad essa due giovani signori del borgo di C..., i quali,
avendole posti gli occhi addosso sin da principio, s'ingegnavano a
quel modo, per trarla fuori della sua compagnia; di certo coi disegni
che sanno fare i vili fortunati, che un tempo della loro vita spendono
a svergognar donne; un altro tempo a rifare gli averi ponendo le mani
nella roba altrui; e vecchi finiscono in chiesa a biascicare i salmi
penitenziali. I due avevano la fanciulla in mezzo, e sebbene giovani,
un pittore avrebbe potuto fare dei loro visi i due vecchioni cotticci
di Susanna. Già si rallegravano colle occhiate del buon termine cui
speravano condurre chi sa che ribalderia; quando s'udì un grido tra la
folla, un grido come d'uomo che tastandosi sotto i panni si trovi
rubato.

«Tecla! Tecla!--e un volgere di teste, un mareggiare della gente, un
moto di braccia tenne dietro a quel grido; percossa dal quale, Tecla
si riscosse, e vedendosi allato i due sconosciuti, pieni gli occhi di
non sapeva qual fuoco, si sentì al viso le vampe, e potè appena
rispondere; «Son qui!»

Colui che l'aveva chiamata era lo zio, accortosi improvvisamente di
non averla più vicina; ma primo a romperle attorno la calca fu Rocco,
il quale capitando appunto, aveva riconosciuta la voce del cognato e
quella della figliuola.

«Largo! largo!--gridava egli lavorando di braccia;--cognato, Tecla son
qua io!--E si mostrava di subito così indraghito che guai a chi si
fosse avvisato di rattenerlo; guai a chi aveva fatto male alla
fanciulla; guai a quei due, che non la stringevano più, ma che non si
poterono cansare, quando egli per disopra le loro spalle potè porle la
sua larga mano sul capo, gridando: «è mia!»

«O chi ve la vuol mangiare?--sclamò uno dei giovani dalle male voglie,
vedendosi guardato da Rocco a squarciasacco.

«So dir che sì!--rispose Rocco, cui l'istinto paterno ammoniva del
vero; ma ravvisando colui per uno dei quattro, che la notte innanzi,
fuggendo dalla cella del padre Anacleto, s'erano imbattuti in lui e
nel signorino: «lei,--soggiunse--lei, lo so che cosa è buona a fare...
ma...!--e si morse la lingua, perchè il giovane era di casato da
fargli sudar le tempia. Baciò come si suol dire il bastone; e gli
parve un bel che, poter uscire di quel passo colla figliuola.

La tirava così per mano fuori della folla, pallida che metteva
compassione; e il cognato veniva dietro trovando scuse, ed egli a
rimproverarlo con aspre parole.

Bisticciandosi, andavano verso il convento; quando a stornarli nella
loro lite, videro la gente sul piazzale della chiesa far largo, e
udirono sussurrare; «gli sposi! gli sposi!» Era Bianca, era
l'Alemanno, con parte dell'allegra accompagnatura del giorno innanzi;
che avendo desinato nella palazzina del signor Fedele, venivano adesso
strascicando in quel luogo, la festa nuziale.

Tecla vide, e intelletto d'amore le fece indovinare chi fosse quella
donna felice. Osò guardarla in viso, e le parve bella, ma non più
della bellezza di cui aveva inteso parlare, tra la signora Maddalena e
don Marco. Ne gioiva la povera giovinetta, e in quella un frate
fattosi dal portichetto del convento ad incontrare la comitiva, salutò
la sposa con dimestichezza, e fu da tutti salutato reverentemente:
«padre Anacleto!»

Padre Anacleto! Rocco si tastò se era vivo, vedendo gaio quel frate,
udito a predicare in D..., e che di certo doveva essere l'istesso, di
cui aveva inteso la storia dai quattro capi scarichi la notte
innanzi... Ma più fu turbato quando vide sopraggiungere di quei
quattro, i due che poco prima s'erano messi ai panni della sua
figliuola; e tutti inchini e rispetti a quella dama, avere da essa e
dal frate strette di mano e sorrisi; come gente dabbene. A quei
portamenti non potendo più reggere fu a un pelo di correre dal padre
Anacleto, gridando:

«Oh che razza di frate è ella mai, che tutti i cattivi cristiani che
sono al mondo gli ha per amici?»

Senonchè in un uomo del popolo com'egli era, gli sdegni generosi
nascevano sì, ma subito si rincacciavano in cuore; e Rocco
rattenendosi anche questa volta, tirò via con Tecla, accommiatandosi
dal cognato, dolente di vedersela tolta in quella dispettosa maniera.

La fanciulla camminava dietro del padre, paurosa d'essere ricondotta a
casa, di spiacere alla signora Maddalena, e d'incontrarvi Giuliano; di
cui non sapeva che era partito; e Rocco, pensando a quei giovani, alla
propria collera della notte innanzi, al fatto del padre Anacleto;
combatteva con un dubbio che sulla santità dei sacerdoti, gli voleva
entrare nel cuore; nè per quanto fu lunga la via gli venne detta
parola.

Così giunsero a D..., nell'ora in cui la signora Maddalena aveva
costume di sedere in sala, al balcone che guardava dalla banda
ond'essi arrivavano; perchè vi si godeva una bella vista, e il sole
non vi poteva, e un venticello che pareva mosso dall'acqua del
torrente, vi recava una deliziosa freschezza.

Essa stava là appunto, donde non si era mossa in tutto il giorno,
piena ancora dello sgomento, cagionatole dagli Alemanni la notte
innanzi. E vedendo i due apparire, si levò coll'anima tutta negli
occhi.

«Ha passato il confine che appena era l'alba--disse Rocco arrivando
sul piazzale.

«Iddio lodato!--sclamò la signora; e togliendosi dal balcone venne
nell'atrio a incontrare il colono, che si fece passare la figliuola
dinanzi.

«E per via non aveste incontri?--chiese essa, tirandosi Tecla in casa
col padre.

Egli, avvicinando nella sua mente la fanciulla e Giuliano, per le
raccomandazioni avute dal giovane, proseguiva: «Passò franco come una
doppia di Spagna; e mi disse che fra pochi giorni avrà trovata la
casetta: e prega lei di andarlo a raggiungere subito.....»

La signora ruppe la parola in bocca al pover'uomo con un sorriso;
perchè a udir rammentato quel suo desiderio d'una casetta in riva al
mare, fece come l'uccello che migra, se giunto a scoprire la terra del
suo riposo, misuri le forze, e non le trovi da poterla arrivare. Ma
non aggiunse parola a quel mesto sorriso, da mostrare la speranza così
languita: bensì voltasi a Tecla:

«O Tecla,--diceva--dunque tu sei tornata...? Noi ripiglieremo le
nostre usanze, le nostre letture, le nostre penne... nevvero?
Perdonami sai, se t'ho fatta andare a Santa G...; hai fatto bene a
tornare, Marta ci darà da cena, tu rimani qua.... Rocco, voi e vostra
moglie verrete a mangiare con me un boccone, e mi racconterete
tutto....»

Tecla sempre colla mano nelle mani di lei si sentiva tremare il cuore,
e ringraziava il cielo che Giuliano non fosse a casa.




CAPITOLO XVII.


Giuliano detto addio a Rocco, s'era trovato solo, in parte dove niuno
faceva guardia al rigagnolo, che partiva le terre del Re di Sardegna,
da quelle della repubblica Genovese. Non gli rimanevano a fare che
pochi passi, e poi avesse avuto dietro di sè tutta la cavalleria, che
lungo la vallata della Bormida, pasceva i cavalli ungheresi coll'erbe
di quei poveri montanari; egli si sarebbe potuto volgere dall'altra
sponda, a riderle in faccia; sicuro come a essere a Genova in casa al
Doge. Sino a quell'ora, la neutralità della repubblica, era stata
rispettata dagli Alemanni.

Ma nell'atto di sconfinare, l'aveva preso un nodo al cuore, e si era
fermato come uomo che non può reggersi ritto a tirare innanzi. Forse i
proscritti dei tempi di mezzo, si fermavano in quella mesta guisa al
confine del loro comune; volgendo gli occhi alle torri, alle cupole
della città dond'erano sbanditi: e l'immagine di Guido Cavalcanti
sulla via di Sarzana, collo sgomento dell'esilio in viso, e colla
malinconia che gli ispirò la ballatetta afflitta e famosa; si forma
nella mia mente pensando qual fu Giuliano, in quell'ora.

Quante volte il giovane avrà voluto tornare, e quante avrà ritratto il
piede, già mosso a valicare quella poca acqua, che gorgogliava tra i
macigni e le radici sterrate dei salici e dei pioppi; egli che aveva
corso da Torino a D... tante miglia, quasi senza abbadarvi! Ma in quel
viaggio egli era venuto per terre, nelle quali era come essere in
patria: adesso, di là da quel rigagnolo, donde pur si potevano
scoprire le cime dei monti a' cui piedi era il suo borgo, avrebbe
messo il piede sopra terra straniera. Straniera secondo i conti
d'allora, sebbene la gente vi parlasse su per giù un dialetto uguale a
quello di D...: ma là si viveva sotto altre leggi; il popolo
v'obbediva altri magistrati; il rifugiarvisi dalla parte di qua ogni
sorta di perseguitati, dava a quella terra cattiva fama tra il volgo:
e pur non credendo di capitare in mezzo a gente sbattezzata, gli
sapeva male di doversi gettare fuori del regno come un malfattore. La
casa materna non gli era mai parsa lontana come in quel punto; e di
pensiero in pensiero si ridusse a pregarsi di potervi stare, non da
padrone, non da figliuolo della padrona, ma sconosciuto, da servitore;
pur di poter vedere la madre, Marta, e Tecla ogni giorno; Tecla che
gli si affacciava da lungi, e pareva venirgli incontro sorridente,
amica, sicura: e massime dopo il discorso avuto poco prima con Rocco,
gli si figgeva in mente come una cosa cui un giorno o l'altro avrebbe
dovuto pensare.

Sarebbe rimasto su quella sponda chi sa quanto, se non badava al sole
che intanto s'era fatto alto. Ond'egli, dato, sto per dire, uno
strappo a sè stesso, era disceso giù dalla ripa e aveva varcato le tue
acque, o ruscelletto modesto; le tue acque, che di quei tempi furono
di salvezza a tanti fuggitivi, come se san Giorgio il valente fosse
stato a galoppare, colla lancia in resta, lungo la tua sponda. E tu,
allora, non sorgevi vicino a quel ruscelletto, o modesto cimitero di
Carcare; nè tu che vi scendesti a riposare colla fede d'andare in
terra de' vivi, eri peranco nato, o maestro della mia giovinezza,
Atanasio Canata, povero Scolopio, cristiano antico. Ma le campane del
collegio, che suonavano a doppio la messa, nell'istante in cui il mio
profugo toccò il suolo della libertà, erano le istesse che dovevano
poi governare la tua vita tanti anni, o dolce maestro mio; quelle
istesse di cui mi rimase negli orecchi la romba, cara come la voce
tua, e come la vostra, o amici dall'adolescenza; che, se mai vi
capitasse tra le mani questo racconto, prego vi rammentiate di me,
come io mi ricordo di voi con amore; e vi veggo sempre sulle memori
panche della scuola, coi visi di vent'anni or sono.

Nessuno mi si faccia severo per questo viluppo d'apostrofi, le quali
non sono poi troppe, per chi novellando si trova con uno de' suoi
personaggi, in luogo di memorie dolcissime. E tiri pur oltre, che io
baderò a non farlo uscire spedato per le vie dirotte, che Giuliano
ebbe a fare su d'un muletto, pigliato a nolo nella terra di Carcare;
piena allora di contrabbandieri, che facevano servizio con pronto
animo, a chi avesse viso di perseguitato e di largo spenditore.

L'Apennino, salito al passo lento della cavalcatura, era sembrato
interminabile al giovane, che per tutta la via non aveva aperto bocca
a parlare colla sua scorta. Ma giunti in cima al giogo, il mulattiere
vedendo il viaggiatore nulla maravigliato della bella vista che si
parava dinanzi, quasi per consigliarlo che alzasse il capo a vedere,
sclamò:--il mare!

Quando io ripenso a quel mattino d'autunno, in cui giovinetto vidi la
prima volta il mare, di su quel colle; sempre si rinnova in me ciò che
allora provai nell'anima e nella persona, che non seppi mai dire. E
però non mi rischierei per nulla ad esprimere quello che provò
Giuliano; il quale essendo di tempera da sapersi prostrare collo
spirito, alle grandi bellezze della natura; accolta nel petto
largamente l'aria di quell'altezza, rimase a contemplare a lungo e
muto; poi prese la china come voglioso di correre a tuffarsi, a
smarrirsi, in quella lontananza sterminata.

A' nostri giorni la strada agevole e bella, menzionata sin dal
principio di questo racconto, scende da quella vetta, passando a piè
della torre di Cadibona; la quale mi ritorna nella mente colla croce
rossa di Genova dipinta sulla sua faccia, appunto come quella che io
vidi sul muro di non so qual edificio antico, che dà sul porto di
Bastia in Corsica; e che mi parve lasciata là, come promessa di
tornare, fatta dagli Italiani di Genova, nel vendere quella gemma dei
nostri mari. Passando vicino a quella torre, Giuliano levò gli occhi
in su, a mirarne l'altezza; e ad una delle finestre vide una donna
soave, bionda, mestissima, che gli sembrò una sorella, affacciata
lassù per dargli la buona andata. Tirò innanzi senza chiedere al
mulattiere chi fosse quella donna; ma si compiacque nell'immaginarla
figlia o sposa di qualche vecchio cannoniere della Repubblica, messo
là a riposare e a custodire la torre. Mesta la era, egli la stimò
anche infelice; e cominciò a fantasticare sulle sventure di quella
sconosciuta. Senonchè le fantasticherie si mutarono in maraviglia,
quando si vide innanzi il gruppo di colli anfrattuosi soggiogati dalla
torre. Su quei colli splendeva la virtù della forte razza ligure, che
assale le rocce, le spètra, le costringe a diventare feconde ed amene.
Giuliano ammirò i vigneti, prosperosi e fitti sulle macìe, murate con
interminabili fatiche a reggere la poca terra, donde quei montanari
cavano il pane. La vendemmia essendo vicina, pei lunghi filari,
sovraposti gli uni agli altri nei ripidi fianchi dei colli; si
vedevano i rossi berretti dei vignaioli, e i corpetti bianchi delle
loro donne, intente com'essi a legar alti i tralciati, affinchè i
grappoli cogliessero meglio i raggi del sole. E lavorando cantavano,
con mirabili accordi, lo loro vecchie canzoni; dalle quali spirava
qualcosa che somigliava alla tristezza magnanima che ci viene dal
canto della servitù di Babilonia; e quella mestizia di toni che non
pareva da gente così gagliarda, si mescolò nei sentimenti di Giuliano,
a farlo tornare col pensiero alla donna veduta poco prima e compianta.

Se fosse stato un giovane dei nostri tempi, egli avrebbe pregato tra
sè, che venissero i popoli d'ogni parte d'Italia a visitare quei
colli, e a impararvi come si muoia meritamente d'inopia e di viltà,
sui pingui campi lasciati mutarsi in paludi; mentre che le rocce
dell'Apennino paiono per man dell'uomo, la terra promessa. Ma egli
tirò oltre senza pensare a questo; e per boschi selvaggi, continuò la
sua via verso Savona; dove (tra il fermarsi a riposare, e a
rinfrescarsi, avendo fatto quasi notte) giunse colla sua guida,
all'ora in cui Tecla e Rocco erano comparsi a D..., a levar di pena
sua madre, come si è visto nel capitolo precedente.

Le vie della città, anguste e tetre per l'altezza delle case, erano
affollate di gente; e alle cantonate turbe di donnicciuole e di
marinai cantavano le litanie, ginocchioni dinanzi a madonne sorridenti
da belle nicchie, d'ardesia e di conchiglie di mille generazioni;
inghirlandate di fiori, con attorno le centinaia di lumicini. Le
botteghe dei mercanti, dalla più ricca dell'orafo, a quella dal
cenciaiolo, erano tutte chiuse; ma sovra le porte, avevano ognuna la
propria Madonnina, col beato Antonio Botta inginocchiato a' piedi;
uomo fortunato cui anticamente era apparita la Vergine, come i
Savonesi sapevano tutti. Le padrone delle botteghe, grasse e
sfolgoranti di vezzi d'oro agli orecchi, al collo, ai polsi, a
somiglianza di statue cariche di voti, cinguettavano dalle finestre
colle comari di faccia; preti, frati, monache d'ogni colore, andavano
e venivano, inchinati dalla gente devota: in mezzo alla quale Giuliano
ebbe molto a penare per farsi far largo, coll'aiuto del mulattiere,
che alfine lo fece scendere ad un'osteria, che dava sul porto. Di là
si vedeva un poggio, su cui sorgeva un edificio, che al sito ameno ed
al campanile donde era sormontato si conosceva per un convento; ed era
dei Capuccini, che appunto come a C.., festeggiavano la loro Madonna
degli Angeli anch'essi. La luminaria di lassù, riverberata dall'acqua
del mare sottoposto, dava all'altura un aspetto meraviglioso; e la
cittadinanza vogliosa di piacere ai frati, menava per le vie la festa
che Giuliano aveva veduto arrivando.

Fosse la tristezza dell'animo, le memorie di casa sua, o il suono di
cento campane, che facevano parere la città tutta una basilica; egli
provò un senso di scontento, e quasi gli dolse d'essere arrivato. E
ancora si aggiunse che dall'osteria d'Alba, a quella lì dov'era, ci
correva di molto; perchè subito si sentì fra gente che negli atti, nei
visi, nei detti, mostrava di non badare che a sè e ai propri negozi; e
sino le voci gli rendevano un suono come di monete che fossero contate
in fretta. Cenò di mala voglia col mulattiere, che volle alla propria
mensa; poi pagatolo largamente, s'andò a coricare.

All'alba del giorno appresso, egli era già in cammino, uscito dalla
città per la via che menava a Nizza; e potè, andando a piedi e a suo
agio, confortare la vista in quel teatro di spiagge e d'alture. Là i
borghi, a vederli di lontano, pajono navigli posati colle vele sciolte
in attesa di vento; o greggi calati dall'Apennino per abbeverarsi, e
rimasti sul greppo spauriti dalle troppe acque. Non erano tutti lieti
quei borghi; e passandovi, (alla vista che fanno le casette nane dei
pescatori, e certi fortini mezzi diroccati) il viaggiatore dà anche
adesso un'occhiata a questi, un'altra al mare; donde si direbbe che
stiano per scendere dalle loro barche, stuoli di Barbareschi, a far
scempio della povera gente. Ma quelli avevano a essere senza fallo i
luoghi piaciuti alla signora Maddalena, l'unica volta che era uscita
dalla terra di D... per così lontano paese; quelli i luoghi di cui
essa aveva parlato, pregando Giuliano di trovarvi una casetta, di
quelle, che tanto la erano rimaste nella memoria. Egli si mise
all'opera sin da quel giorno, sperando di dar del capo in una delle
palazzine, sulla quale si fosse posato il desiderio antico di sua
madre; e quasi giunge a credere che non avrebbe sbagliato, e che essa
venendovi ad abitare, l'avrebbe a prima giunta riconosciuta.

Girò quel giorno e quattro ed otto appresso, dando due passi innanzi
ed uno indietro; e fece quella vita sinchè si fu innoltrato quasi a
Finale, senza aver concluso nulla, nè stretta dimestichezza con
alcuno; essendo gli abitanti di quelle marine gente così allevata alle
proprie faccende, da parere coi forastieri la più disamorata che fosse
al mondo. Delle case ne aveva visitate parecchie e bellissime, ma ora
per una causa ora per un'altra, non gli erano parse da poter
accontentare la madre; e soltanto al decimo giorno, gira e torna, ne
trovò una, che stimò facesse benissimo al caso suo. Era una casetta
pitturata a liste scure e gialle, nascosta in una macchia d'olivi, in
fondo ad un valloncello deserto, a bacìo; alla quale si giungeva per
una viuzza torta, fuori mano, chiusa tra due macìe mezze diroccate; e
si vedeva chiaro, all'erba ond'era ingombra questa e ingombro il
piazzale dinanzi alla casetta, non visitata che assai di rado. L'aveva
murata un fantasioso, mortovi dentro per passione paturniosa molti
anni prima; nè di là in poi era più venuto in capo ad alcuno di
tornarvi a stare. E in verità pareva più da rinchiudervi uno cui si
volesse far morire di malinconia; che luogo da menarvi una donna
bisognosa di svaghi e di allegrezze; ma al figlio della signora
Maddalena, le cose seguitegli i giorni addietro, avevano formato un
umore sì tetro; che egli trovò tutto di suo genio. E gli tardò d'avere
seco la madre, cui già udiva fare le grandi lodi della casa, del sito,
e del mare, del quale non si vedeva che un lembo traverso una gola
angusta; un lembo come di cosa vietata.

S'affrettò allora a chiedere del padrone di quel podere; e trovatolo
nel vicino borgo di N... s'accomodarono per il fitto. Due giorni
appresso la palazzina era arredata, Giuliano vi dormiva dentro la
prima notte, contento della profonda solitudine che vi si godeva: e il
mattino alzatosi per tempo, scritta una lettera, uscì per trovare uno
che la portasse a sua madre. Non ebbe bisogno di scostarsi molto dal
suo romitaggio, che trovò un ortolano o vignaiolo che fosse; uno di
quei liguri robusti che da una certa età in su non ricevono più niuna
impronta degli anni; lavorano gai ed arzilli tutta la vita; e il
giorno in cui muoiono fanno stupire tutta la parrocchia, a udire
quanto hanno vissuto. Lo guardò un istante piantar la vanga, gli
piacque all'atto pronto e alla niuna cura, che si prese di lui; di che
avvicinandosi gli disse:

«Quell'uomo, sapreste dirmi dove potrei trovare uno da mandarlo alcune
ore lontano? Gli darei una bella moneta.

«Per una bella moneta son qua io?--rispose il vignaiolo rimanendo con
un piè sul vangile.

«Sta bene!--disse Giuliano... E la via di D... di là del giogo, in Val
di Bormida, la sapete?

«Chi lingua ha, a Roma va...

«Eccovi un colonnato per beveraggio. Ma avete a partire subito, e
giunto a D... chiedere della signora Maddalena, che tutti vi
insegneranno dove sta di casa. Le darete questa lettera; e tornando mi
cercherete a quella palazzina qui oltre...»

L'ortolano prese la moneta e la lettera, chiese licenza di andare sino
al suo tugurio, discosto di là un trar di pietra: e Giuliano
lasciatolo con molte altre raccomandazioni, tornò alla palazzina. Indi
a poco, di sulla porta, vide il suo messo con in capo la berretta
rossa, colle scarpe legate alla coreggia delle brache in sulle reni, e
colla giacchetta in sulle spalle, inerpicarsi a piedi ignudi per gli
scorciatoi, dilungarsi e sparire: ma non vide la donna di costui
appena ch'ei fu partito, andare al borgo a vuotare il gozzo. E sin da
quel giorno le femminette di N... cominciarono a mandare attorno le
novelle sul conto del giovano forastiero, che avea tolto a pigione la
casa del malaugurio; e chi lo diceva un uomo fastidito del mondo; chi
un peccatore confinato là a far penitenza; chi un soggetto da
badarsene come dalla peste. Egli intanto, volendo ingannare il tempo
finchè il messo tornasse, disegnò di fare una gita di là dal Finale a
vedervi i Francesi: i quali stavano a campo da quelle parti, e su pei
monti avevano le guardie fino alla vetta del Settepani.

Camminò parecchie ore sulla riva del mare, e s'abbattè alfine, quasi
stanco, in un posto di cavalieri, male in arnese, d'aspetto squallido
e misero, ma di sembiante magnanimo, come a vincitori si conveniva.
Tali li descrive il Botta, perchè pativano di grandi penurie: ma i
loro portamenti avevano quasi cancellate le brutte memorie, lasciate
due anni prima per l'eccidio d'Oneglia; di che i popoli di quelle
marine, cominciavano a mostrarsi con essi meno selvatichi, sebbene li
reputassero sempre nemici. Piacque a Giuliano la vista di quei soldati
sciolti, operosi, niente burberi; dissimili tanto dagli Alemanni, che
camminavano come gente curva sotto un gran peso. E negli anni che era
stato a Torino, avendo imparato un po' della lingua Francese, appiccò
discorso con un giovane uffiziale, che badava ad un drappello di
lancieri intenti a governare i cavalli; mentre alcuni fanti cuocevano
il mangiare, o ruzzavano coi monelli della terra vicina; ai quali
insegnavano giuochi e forze e tratti d'armi, con un'amorevolezza quasi
infantile. Quell'uffiziale aveva veduto la presa della Bastiglia, il
turbine popolare rovesciatosi sulla reggia, re Luigi prigioniero e
poscia morto; e tra l'uno e l'altro di questi fatti aveva combattuto
sul Reno, in Vandea, sull'Alpi; adesso innamorato del cielo d'Italia,
pareva lietissimo di poter barattare qualche parola con un giovane
italiano, che parlava la lingua della rivoluzione.

Giuliano tornò da quella gita collo scompiglio nel cuore. Oh! quelle
assise, quelle lance conficcate nelle arene, quelle lunghe spade!
Averne a fianco una, e una lancia nel pugno, e un cavallo tra le
ginocchia; e in ischiera con quei valorosi, accozzarsi quando che
fosse coi soldati Alemanni, di là dei monti, forse nei proprii campi!
E tra i nemici intoppare forse colui... no! questo pensiero non gli si
formava intero nella mente, e si mutava nell'immagine di Bianca che
guizzando come lampo che illumina e passa, gli lasciava negli occhi
scolpito, vivo, il viso di Tecla! L'indomani tornò al campo, rivide
l'uffiziale Francese, che pareva essere stato là ad aspettarlo per
fargli accoglienza, e con esso conobbe parecchi altri di quella
nazione. Gagliardi erano, d'onesta baldanza, e di maniere pronte e
così cortesi, che a parlare con essi uno si credeva cresciuto di
qualche spanna. Ed egli, di primo acchito, piacque tanto alla
compagnia, che lo vollero trattenere tutto il giorno: nè lo lasciarono
senza la promessa che sarebbe tornato, nè senza averlo menato su d'un
poggio, donde gli additarono i campi di loro gente, distesi lontano
per quella fuga di grotte, di greppi, di promontori; i primi scuri,
gli altri azzurri, gli ultimi vaporosi, nelle lontananze che formavano
col mare una bellissima scena. Egli poi, come potè, tornò col
visibilio del giorno innanzi, cresciutoli in capo di tre doppi: e
giunse alla sua casetta che era vicina la notte. Si sentiva rimordere
d'essersi tanto indugiato, mentre là vi era forse il messo colla
risposta di sua madre ad aspettarlo; ed in fatti il brav'uomo,
rivenuto da D... parecchie ore prima, giaceva sull'erba del piazzale,
non sapendo neanch'egli che si pensare.

Appena costui ebbe visto il signorino, spuntare da una svolta della
via; si levò in piedi e si frugò sotto i panni sclamando:

«Per questa volta è fatta; ma laggiù non tornerei per tutto l'olio che
butteranno questi oliveti! O che dalle sue parti, a un povero diavolo
che va per la sua via, perchè porta una berretta rossa in capo gli
danno dietro coi sassi gridando, al genovese? E non siamo tutti
cristiani?...»

Mentre l'omicciattolo diceva, Giuliano affrettato il passo arrivava, e
pigliando il foglio dalle mani di lui, senza badare a quei discorsi
chiedeva:

«Dunque che mi manda a dire?

«Ecco,--rispondeva l'ortolano, componendosi come uno che deve badare a
non essere colto bugiardo:--sua madre dice che non potrà venire in qua
prima di quest'altra settimana, perchè vuole lasciare le cose di
laggiù avviate in modo, da poter poi star qui quanto le piacerà, senza
pensieri della casa nè della campagna. Essa prega vostra signoria a
starsi tranquilla, e a non farsi venire in mente d'andare là,
perchè... perchè..., il perchè non me lo disse, ma ne deve parlare
codesta lettera, che mi ha molto raccomandata, coi saluti d'una
vecchia e d'una giovinetta che aveva seco....»

Giuliano aveva fissato il messo tra ciglio e ciglio, tutto il tempo
che costui aveva parlato; e allora aperse con gran furia la lettera,
sperando di trovarvi chi sa che cosa. Ma non vi erano scritti che
pochi versi. I caratteri erano della signora Maddalena, ed apparivano
rotti, intricati, sto per dire arruffati, come di mano che avesse
scritto tremando e a disagio. Dicevano come la casa fosse stata
cercata dagli Alemanni per ogni verso, proprio la notte della partenza
di lui, e come molte pattuglie erano state mosse a cercarlo per la
campagna: che non tornasse, non tornasse per l'amor di Dio, se non
voleva vedere sua madre morir di dolore.

Finito di leggere Giuliano tornò guardare in viso il messo, e colla
voce tronca dal batticuore: «ditemi il vero--sclamò:--ditemelo, se no
mal per voi...; mia madre è ammalata..., l'avete veduta?

«Malata no, che io non tocchi altra carne battezzata in mia vita!» E
così rispondendo il pover'uomo metteva peritoso la mano sul braccio
del giovane, e trangugiava qualcosa, come avesse avuto in gola il nodo
d'una bugia.

«Dio voglia... ma voi non rispondete franco!--soggiunse Giuliano
annuvolato molto.

«Gli è che lei mi... pare un giovane fiero... e poi non ho più
mangiato da D...

«Vedremo!» sussurrò il giovane, e porse due colonnati al messo, che se
li lasciò porre in mano, senza mostrare d'essere contento, come
anch'oggi usa dalle sue parti, dove i manciaioli non sono mai paghi,
nè ringraziano mai di nulla. Tuttavia profferì i suoi servigi per ogni
caso, e accommiatatosi se n'andò accarezzando fra il pollice e
l'indice le belle monete che aveva in tasca.

Rimasto solo, Giuliano rilesse due o tre volte la lettera di sua
madre; e sebbene gli si destasse in mente una guerra di dubbi
fortissima, a poco a poco si quetò nella promessa, che di là ad una
settimana sarebbe venuta. Così gli aveva detto il messo, ed egli quasi
per sincerarsi della verità, volò col pensiero a sedersi vicino a lei.
Se la immaginò in tutte le guise, sana, inferma, malinconica, lieta;
parlò con essa e con Marta di mille cose, e la presenza di quella
giovinetta che l'ortolano aveva menzionata, e che di certo era Tecla,
finì di metterlo in pace. Perchè gli parve che se qualcosa di guasto
fosse stato laggiù, Tecla non era cuore da tenerglielo celato; e
gliene avrebbe mandato a dire per via dell'ortolano stesso, o
spacciando il proprio padre. Con questi pensieri gli veniva soave
nella fantasia la vista di sè stesso e della famiglia in tempo non
lontano; in cui quella fanciulla teneva luogo di sposa a lui e di
figlia alla signora Maddalena: una visione su per giù come quella
avuta a D... il dì che sua madre era andata a chiedere per lui la mano
di Bianca. Vedeva Marta affaccendata correre di qua e di là per la
casa, col viso lieto mostrato in quel giorno, poichè egli le aveva
detto che stava per isposarsi: e sua madre gli pareva contentissima di
Tecla, tirata su da lui, e già colta e gentile come donna allevata nel
miglior casato, che si potesse pensare. Soffermatosi a lungo in queste
immaginazioni sorrideva come chi accarezza un disegno; e tornava a
pensare alla degna opera che sarebbe stata quella di menare per donna
una contadina; alla dolcezza di istruirla, di educarla, di vederla
crescere come fiore selvatico trapiantato in un orto a prosperare; si
compiaceva a figurarsi le dicerie del volgo, le maraviglie dei suoi
pari, e fin la stizza di don Apollinare; al quale un matrimonio di
quella fatta, sarebbe parso di certo una nuova scelleratezza, foggiata
su qualche modello venuto di Francia.

Durò questa sorta di visione tutto il tempo che egli stette a
coricarsi, e fu lunga ed anco lieta; se nonchè ogni tratto, senza
volerlo, rompeva in un sospiro, e gli usciva sclamato: «povera madre
mia!» come se vi fosse stato qualcosa in lui, che dalle illusioni non
potesse essere sviato. E non è a dire se egli penò a pigliare il
sonno; e se il dimani fosse uscito a farsi vedere nel borgo, anco i
bimbi avrebbero indovinato che egli non era felice. Ma alzatosi tardi,
non mosse se non per andare sino al tugurio dell'ortolano, cui mandò
pel cibo; poi rimase chiuso in casa, colle proprie malinconie, ad
aspettare che quella settimana benedetta volesse passare.

Pel borgo poi tornarono a correre le dicerie, sui fatti del giovane
abitatore della villetta maluriosa: e si disse che egli era d'un ricco
casato di là dal giogo, medico novizio, e che la sua signora madre,
donna di gran conto, non istava bene della salute. Ma di questa voce,
Giuliano non seppe nulla; come non aveva saputo delle chiacchiere già
mosse attorno sull'essere suo.

Quando fu finita la settimana, tanto gli si allargò il cuore, che gli
parve d'essere uscito di sepoltura. Tutte le cime dei monti,
sovrastanti alla villetta, egli le salì per iscoprire le vie, se
qualche comitiva si vedesse venire; almanaccò, girò, sperò fino a
sera; vegliò tutta la notte; corse ad ogni rumore, che sorgesse di
fuori o nella sua fantasia; ma non fu nulla. Allora egli buttò da
parte l'obbedienza dovuta ai voleri della madre, e pensò di porsi in
cammino per lungo giro di montagne; facendo conto di poter capitare a
casa di notte, a vedere quell'indugio che fosse. Era in sul partire,
quando per un procaccio di quelle parti, gli venne un'altra lettera,
spedita da parecchi giorni, e passata per molte mani, come appariva al
modo in cui era gualcita. Scritta in nome della signora Maddalena da
persona poco esperta, non recava di lei altri segni che il nome a piè
della scrittura, nella quale lo si confortava di nuovo a stare di buon
animo, nè a darsi pensiero di quello che avveniva a casa sua. Perchè,
diceva la signora, non le pareva di potersi muovere, se la caldura
della stagione non avesse dato giù un poco; onde il viaggio non avesse
a tornare molesto a Marta, caduta di quei giorni ammalata, però non da
impensierirne. Quanto a sè, aggiungeva di star bene, e che si svagava
ogni giorno, continuando a insegnare a Tecla un po' di leggere e
scrivere, con quel frutto che egli avrebbe visto dalla lettera,
vergata dalla fanciulla. Aspettasse in pace, e sovratutto badasse a
non porsi allo sbaraglio di tornare, che, guai a tutti; aspettasse, ed
essa e Marta sarebbero giunte, facendosi precedere da Rocco e da un
po' di roba: non dubitasse, cercasse svagarsi, insomma stesse dov'era.

«Pazienza!--sclamò Giuliano, fermandosi coll'occhio a lungo su quella
scrittura:--aspetterò... aspetterò sin che sarò stanco!» Ma allora la
sua tristezza si accrebbe; solitudine, noie, disegni fatti e disfatti
lì per lì; furono la sua vita; e quella esclamazione: «povera madre
mia!» gli uscì più frequente a qualunque cosa ei pensasse.
Procacciatisi alcuni libri leggeva, meditava, scriveva, per sollievo
dell'animo: e spesso era veduto dai terrazzani, intenti ai vigneti ed
agli orti, arrocciarsi pei greppi men destri; discendere al mare,
tuffarsi, durar sommerso tanto, che taluno stimando che petto d'uomo
non potesse quello sforzo, accorreva per aiutarlo; ma egli tornava a
galla un istante, poi si rituffava; quasi in tale sorta di gioco
studiasse di qual cosa fosse fatta la morte, di spasimo o di piacere.
Per questi suoi portamenti, già quei della terra lo chiamavano pazzo,
pur avendolo in grande rispetto, perchè lo sapevano medico; e poteva
loro accadere di aver bisogno dell'opera di quel signor magnifico;
come di quelle parti usano anche adesso salutare i medici dei loro
villaggi.

L'ortolano, che a poco a poco era entrato con lui in qualche
dimestichezza, e lo serviva di quel che gli bisognava dal borgo; un
giorno che Giuliano aveva la noia sino alla gola, gli recò la novità
di certe voci che correvano, secondo le quali, a Torino, molti giovani
carcerati poco tempo innanzi, erano stati messi a morte per mano del
carnefice. Il pover'uomo aveva inteso la cosa nella spezieria del
borgo, dove il parroco e i signori ne avevano parlato con diverso
giudizio; ma egli che a quello del parroco si accostava più
volentieri, diceva che quei giovani, essendo stati appiccati alle
forche, dovevano aver vissuto da cattivi soggetti. Giuliano a quella
novella si sentì schiantare il cuore. Coloro cui quella trista sorte
era toccata, egli sapeva chi erano; e dal raccapriccio non gli stava
il cappello in capo. Non istette a correggere l'opinione
dell'omicciattolo, che tanto sarebbe valso come dire al muro; ma quel
giorno decise di tornare al campo Francese, dove qualcosa avrebbe
potuto sapere di più certo. E siccome la venuta di sua madre non gli
pareva che dovesse accadere sì presto; chiuse la villetta, diede le
chiavi all'ortolano, rimase d'accordo, che se qualcuno fosse capitato
a cercarlo, egli corresse subito al campo dei Francesi, che in qualche
modo l'avrebbe trovato; poi per la via più corta s'incamminò verso
Loano.

Era il settembre già molto innanzi, e di Francia giungevano ai campi
della Liguria nuove armi, e nuovi armati. Di su di giù per quei
borghi, era un moto confuso, un andare e tornare di messi, un
ridestarsi come di gente che riposatasi un tratto, stesse per mettersi
ad altre imprese. E i soldati della Repubblica cominciando a fiutare
imminenti battaglie; cantavano a cori quella Marsigliese maravigliosa,
che nelle guerre d'allora, dovè toccare profondamente i cuori, tanto
di chi voleva la libertà, quanto di chi la contrastava con egual
furia. Giuliano non aveva udito mai nulla di più alto; e in quei
canti, gli pareva suonassero insieme le note dell'organo che l'avevano
fatto piangere bambino; la voce di don Marco quando traduceva alla
scolaresca il _coeli enarrant_, cogli occhi levati e gonfi di lagrime
e di desìo; il grido di tutte la generazioni passate nella sventura,
udito da lui nello studio della storia; e la bufera, e il sereno, e
l'odio, e l'amore, tutto vi trovava ascoltando da lungi: mentre il
mare col suo flottare a tratti, parea rispondere a ciascuna pausa
dell'inno una voce, voce dell'infinito che dicesse: «è vero!» Allora
provava una smania di correre, e il primo generale Francese che gli
venisse fatto d'incontrare, pregarlo d'un'arme, d'un'assisa, d'un
posto in quelle schiere: senonchè l'immagine della madre gli si
mostrava in quei furori generosi; mesta, timorosa, cogli occhi bassi,
come un'amante offesa, e gli sussurrava dolcemente: «tu in battaglia
potresti sfogarti e morire; ma io a saperti armato per queste nostre
contrade come un nemico, io che farei?» Subito egli sentiva dar giù
l'animo, e sclamava: «ahimè! fummo pur allevati dappoco; ed ecco
perchè un prete come don Apollinare, ha potuto mettermi in fuga,
soltanto coll'aggrottare le ciglia!» Non aveva mai osato dire cose di
questa sorta, che potevano anche toccare la madre sua; e forse si
sarebbe pentito di averle dette, ma non ebbe il tempo da farlo, perchè
appunto allora arrivava in mezzo ai Francesi. Chiesto degli uffiziali
che l'avevano trattenuto l'altre volte, fu menato a trovarli: e le
belle accoglienze furono molte, ma le maraviglie perchè egli non s'era
fatto vivo da tanto tempo, furono anche più. Egli si scusò come potè
meglio; e quegli uffiziali, che come i soldati usano verso chi va loro
a genio, gli si erano legati di sentimento, lo vollero a mensa con
loro, sebbene ei si schermisse. Nei parlari amichevoli di quella
brigata, venne a conoscere la verità sul fatto dei giovani messi a
morte in Torino; e le gazzette che capitavano di Francia a quei campi,
n'erano piene. Giuliano lesse i nomi degli sventurati, e alcuni erano
di amici, altri d'uomini noti per odio ai governi d'allora, per amore
alle cose nuove. Il suo cuore pianse; arrossì d'essere scampato alla
loro sorte; ripensò con rammarico al beneficio che la marchesa di G...
aveva voluto fargli, traendolo con pietoso inganno a partir da Torino;
e più di tutto si sentì umiliato all'idea che forse quei generosi
morti, avevano dubitato di lui, della sua fede, o del suo coraggio,
nel momento in cui la corda del carnefice gli aveva strozzati. Da quel
punto si fece in lui un gran mutamento; disse ai Francesi che se il
loro generale l'avesse concesso, esso si sarebbe scritto soldato con
loro; e che pregava qualcuno a volergli procacciare quella licenza.
Non uno, ma due, ma sei di quei giovani, si profferirono pronti a
scriverlo: con certezza repubblicana, promettendo che l'indimani il
generale l'avrebbe accolto.

E l'indomani fece presto a venire, perchè mutatasi la cena in festino
per onorare l'ospite, la notte se ne andò, che non parve manco fosse
venuta. Ma non se n'era andato con essa il proposito di Giuliano, il
quale al primo che s'intoppò tra quegli uffiziali che glielo avevano
promesso, chiese d'essere condotto dal generale. Era questi il vecchio
Dumorbion, che aveva il quartiere in un convento di frati, rimasto
vuoto sin dal primo apparire dei Francesi, la primavera innanzi.
All'ora in cui Giuliano arrivava da lui, n'uscivano tutti i colonnelli
e i generali dell'esercito repubblicano. L'uffiziale che
l'accompagnava lo trattenne sul piazzale della chiesa a vederli
passare, e glie ne diceva, così di volo, i nomi e le gesta. Quello era
il Laharpe, svizzero di nazione, giovanissimo come si vedeva
all'aspetto, prode, sapiente e giusto; quell'altro Massena, a udir
l'uffiziale, venuto su da piffero in un reggimento, a quell'altezza di
onori e di fama. Cervoni ed Arena gli tenevano dietro parlando tra
loro; quei due che ai panni si conoscevano per gente non di spada,
erano Albit e Salicetti rappresentanti del popolo; e via via. Ne
nominò molti, dolente di non potergli additare quello che era il più
illustre di tutti. «Ma lo troveremo forse dal generale»: disse
l'uffiziale, e pigliato Giuliano a bracetto lo mise dentro al
convento. Questi si lasciava fare come un fanciullo; perchè a vedere
quei personaggi gli pareva di non aver mai vissuto. Essi non avevano
aspettato d'avere le rughe sul viso per essere uomini; e già, poco
meno giovani di lui, empievano l'Europa dei loro nomi!

Entrati dal generale Dumorbion, lo trovarono che stava ritto dinanzi
ad un ampio tavolo, sul quale un colonnello d'artiglieria, gli segnava
col dito teso certe sue diavolerie, scritte su d'una carta geografica
o itineraria che fosse. Era costui quel personaggio, che l'uffiziale
aveva sperato di vedere là dentro: giovane, a giudicarlo, di forse
ventiquattro anni, magro, malazzato, che non pareva vivere che cogli
occhi, ma di volto bellissimo e maestoso. Egli non levò gli occhi
dalla carta, e parve attendere ad un tempo a questa, ai due
sopravenuti e a Dumorbion; il quale cominciando senza cerimonia,
chiese all'uffiziale chi fosse il giovinotto che aveva seco.

«Generale--rispose Giuliano in lingua francese, senza dar tempo al
compagno di parlare per lui:--io sono il tale dei tali, medico di
D.... in Val di Bormida, e vengo....

«Val di Bormida?--interruppe Dumorbion, che appunto allora aveva
levati gli occhi di sulla carta, su cui era segnata quella vallata:--e
che cosa si fa laggiù?

«Laggiù?--rispose Giuliano--il popolo soffre, i ricchi godono, gli
Alemanni spadroneggiano....

«O perchè non gli avete scacciati a quest'ora?--sclamò il
generale:--vedete la Francia? L'anno passato ebbe addosso gli eserciti
di mezzo il mondo, che venivano da tutte le parti come lupi affamati!
Ed ora dove sono? Ingrassano i nostri campi, o sono tornati alle loro
case, a dire che in Francia non ci si entra per Dio, o vi si lasciano
l'ossa!

«Generale, da noi non si hanno armi; e quand'anche se ne avesse, i
preti che possono tanto sul nostro popolo, non lo menerebbero di certo
a combattere contro gli Alemanni!

«Lo so! Lo menerebbero piuttosto contro i Francesi, a dar di volta
solo a vederli ballare la carmagnola, come hanno fatto in maggio
costassù, dalle parti di Garessio.

«Spero generale, che per questo voi non vorrete avere i miei
compaesani in conto di vili!--disse Giuliano con calma mirabile e con
gran sicurezza:--e voi sapendo la storia, m'insegnate che essi sono i
discendenti di quei Liguri, che i Romani vincitori da pertutto, non
hanno mai potuto domare per bene!

«Lo sappiamo!--entrò a dire il colonnello, parlando la lingua
italiana, con accento italiano, e levando allora soltanto il capo
dalla carta, su cui era venuto studiando tutt'occhi con Dumorbion:--ma
se invece di declamare le pagine vecchie della vostra storia, voi
italiani badaste a farne scrivere di nuove e gloriose, meglio per voi,
per noi, per tutti!....--E qui mutando il linguaggio in francese, e
voltandosi al vecchio Dumorbion, proseguiva:--Cittadino generale,
questo giovane viene a parlarvi in nome de' suoi compatrioti....?

«No--rispose Giuliano, non aspettando d'essere interrogato, e
parendogli d'aver trovato a dar di cozzo in un uomo a modo suo:--io
vengo da per me, a chiedere uno schioppo....!

«La repubblica francese--disse il generale--porta ai popoli libertà e
pace, e ve lo darà.

«Ma se ho bene inteso,--tornava a dire il colonnello--questo giovane è
medico: cittadino generale, non lo potremmo adoperare più utilmente
colla sua professione?»

E Dumorbion a Giuliano, facendo suo questo pensiero: «benissimo!
Giovinotto un posto di chirurgo vi garberebbe?

«In quanto a me,--rispose Giuliano--quello in cui vi sembrerò più
utile, ed io lo farò.

«Sta bene! Voi sarete scritto tra i nostri chirurghi, e darò ordine
che vi si provegga di un foglio di libero passo, in mezzo a noi.
Cittadino capitano, fategli gli onori del nostro campo; domani potrà
girare da sè. Andate pure.»

Così Dumorbion all'uffiziale che aveva accompagnato Giuliano. Il quale
non era peranco uscito del tutto da quella stanza, che fattosi ai
panni del compagno, disse colla voce tronca dall'ansia: «E chi è colui
che mi ha parlato così bene la mia lingua?

«Quello--rispose l'uffiziale--è il Côrso che ha fatto cadere Tolone.
Qui dove Dumorbion comanda su tutti, egli, non pare, ma comanda su
Dumorbion.

«E come si chiama?

«Si chiama Bonaparte....

«Bonaparte!--mormorò Giuliano;--mi piace anche il nome.»

E da quel giorno non si tolse più da quei luoghi. Oggi dall'uno,
domani dall'altro, in poco tempo fu conosciuto ed amato da tutti gli
uomini di spada e di lancetta di qualche conto: e lieto come allora
non si sentiva d'esserlo stato mai. Gli pareva d'aver vissuto sino a
quel punto da ottuagenario, e di essersi rinvigorito ad un tratto: e
tirava innanzi, tastando il polso ai repubblicani ammalati, e passando
mattana coi sani; finchè si cominciò ad avvertire quel moto d'uomini e
di cose, quello sfogo di struggere, quella smania di nulla lasciare
addietro, che precede le mosse d'un esercito, vicino a volersene
andare. Allora gli entrò un'angoscia nuova, quella di vedere forse sua
madre capitare a mezza via, nell'accozzarsi dei Francesi cogli
Alemanni; dove mai la sventura che pareva essersi allogata in casa
sua, l'avesse fatta movere appunto in quei momenti. La coscienza sorse
ad accusarlo, l'amore a spingerlo, l'onore a rattenerlo; ed egli non
sapeva più dove dar del capo, per avere un consiglio in quelle sue
tribolazioni.

Un di quei giorni, andando solo a gironi per gli accampamenti, da una
voce non nuova, ma che pareva d'uomo, non certo d'azzeccarla, udì
chiamare: «Signor Giuliano!» Egli si volse, e si vide guardato da un
acquavitaio, che là vicino, colle maniche rimboccate fin sopra il
gomito, cinto i fianchi di un grembiale di tela azzurrognola, mesceva
a destra e a manca la sua zozza ai soldati, che gli affollavano il
negozio.

«Mattia!--sclamò Giuliano rallegrandosi come avesse veduto uno del
proprio sangue: e facendosi oltre verso il banco dell'acquavitaio, il
quale si ripuliva le mani nel lembo del grembiale, per stringere la
destra che gli veniva sporta, soggiunse: «Come qui?

«Eh!--rispondeva l'altro--il mondo gira a tondo, e di qua e di là, una
volta ci si ritrova!--E preso la mano del giovane con quella sua,
nocchiosa come una mazza da portare in battaglia, rinnovò con lui le
accoglienze due o tre volte.

I monti stanno, gli uomini vanno; e costui era proprio Mattia, grasso,
fresco che a petto di quello d'alcuni mesi addietro, pareva un sole di
maggio. Egli in quella notte terribile, della primavera antecedente,
aveva dato del ceffo nella fossa, e in mano degli Alemanni e in mano
dei Francesi; ma questi ultimi, o fosse compassione, o l'avessero
stimato tutt'altro che spia; passati i primi furori se l'erano tenuto
caro, forse per giovarsi quando che fosse della pratica che egli aveva
di là dai gioghi, nelle loro imprese future. Pur non perdendolo
d'occhio mai, l'avevano lasciato sciolto pei campi; ed egli da uomo
che sapeva navigare a tutti i venti, aveva fiutato quello della buona
fortuna. E trovato che soffiava dalla parte dei Francesi, non si
sarebbe più allontanato da loro, manco a esserne cacciato a nerbate.
«Servi e non badare a chi», aveva detto fra sè: e con quel po' di
doppie scroccate al suo paesano, nella notte che per poco non gli era
costata la vita; accozzato quel suo negozietto, all'ora in cui
Giuliano s'intoppò in lui, era con un avviamento da farsi ricco. Egli
non diede tempo al giovane d'insospettire, ma gli narrò alla lesta i
casi che l'avevano condotto a quella vita, e gli mostrò un gruzzolo di
luigi d'oro guadagnati con sudore e giustamente. Parlò d'un suo
disegno di comperarsi con quelli un poderetto, non volendo più
battersi il petto a quel mestiere di campanaro e di seppellitore: e
qui per non so quali accoppiamenti d'idee, rammentandosi del pievano,
chiese sorridendo:

«E don Apollinare, che cosa dice di me?

«Non so--rispose Giuliano--io a D.... vi passai alla sfuggita; e poi
tra me e lui, lo sapete, non si era troppo d'accordo.

«Se lo so! Ma io, vede, il torto l'ho sempre dato a lui. Sicuro che
non l'andava a dire in piazza: ma so che cosa vale il pievano, e
quanto pesano quei di D...... uno per uno..... Oh! se i tempi si
mutano! Se questi signori Francesi san fare davvero quello che dicono!
Allora sì che ci torno laggiù, e vedranno Mattia.....

«Appunto, vorreste farmi un servizio?

«Tengo la vita per lei, io.....

«Ebbene, voi dovete andare infino a D.... senza aspettare nè Francesi
nè altro....

«E il negozio qui, chi me lo tira innanzi?

«In due giorni potete andare e tornare....

«Gesummaria, tornare! Allora sì che me le pianterebbero sei palle in
petto!

«Oppure potete rimanere là. L'importante si è che andiate da mia madre
a dirle, che quella sua idea di venire a stare da queste parti la
smetta, perchè la guerra rincomincia, e potrebbe trovarvisi in mezzo.
Pensi a stare di buon animo e tranquilla sul conto mio; ditele che
tornerò in tempi migliori e vicini; ma badate a non dirle che io sono
qui al campo dei Francesi.

«Ma, e se io do un calcio alla baracca, e parto fin da questa sera?

«Il denaro paga, e il poderetto a D.... lo troveremo vicino ai miei.

«Lasci fare a me.... se domani non mi vedrà più qui a vendere
acquavite, s'immagini che io sono a D....

«E dite ancora a mia madre che le raccomando Tecla....

«Tecla.... ah....! sta bene.

«E che se le occorre qualcosa, spacci Rocco. A questo poi in ogni caso
insegnerete come avrà a trovarmi...... Siamo d'accordo?

«D'accordissimo...! stanotte parto; ma per carità.... zitto!...

«Buon'andata, Mattia, e non dubitate.

«E lei si tenga riguardato dalle disgrazie, e a rivederlo a D.....»

Con questo si lasciarono; Giuliano per andarsene in riva al mare, col
cuore alleggerito e tranquillo come la faccia delle acque che si
stendevano azzurre al sorriso del firmamento: Mattia per tornare al
banco, che non aveva mai perso d'occhio. Là affaccendandosi a servire
la folla dei soldati, pensava quanta ragione aveva don Apollinare, il
quale da tanti anni dava di Giacobino al figliuolo della signora
Maddalena; e faceva i suoi conti sul modo di sgabellarsi della sua
merce, senza dar nell'occhio, e su quello di partire, non visto, da
quei luoghi per servire Giuliano. Del quale aveva capito il latino,
quando aveva detto che il podere l'avrebbero trovato a D..... vicino
a' suoi. Intanto veniva la notte chetamente, come suole in sul cader
della state; la notte che sola poteva aiutarlo a compiere destramente
i fatti disegni.




CAPITOLO XVIII.


Quel gran pregare Giuliano di starsi lungi da D..., fatto dalla
signora Maddalena, nelle due lettere che gli aveva mandate; non veniva
soltanto dai pericoli che gli potevano incontrare per via degli
Alemanni, sempre occhiuti a cercarlo; ma ancora da cosa, che essa non
gli avrebbe menzionata per nulla al mondo.

Poteva essere una settimana che egli era partito, e gli Alemanni che
accampavano a C..., venuti gli aiuti grossi di Lombardia, erano stati
tirati indietro alla retroguardia; perchè avevano avuto sulle braccia
tutti i travagli di guerra dei mesi innanzi. E la meglio parte
alloggiavano in D..., dove lo sposo di Bianca aveva menata questa sua
dolcezza; alla quale i giorni passati nella casa paterna, dopo le
nozze, erano parsi mille anni; e i commiati presi da quelle due
piagnucolone della zia e di Margherita, una noia da finirsi alla
lesta, per non arrossirne. Tanto era stato il suo desiderio di
allontanarsi, che non aveva manco pensato che D... era la patria di
Giuliano; e giunta in quel luogo, s'era messa a tutt'agio, in casa ad
una delle famiglie più riputate del castello. Riverita, ossequiata,
invidiata, credeva ogni giorno di salire più in alto: e il signor
Fedele che veniva a visitarla sovente, si mostrava rispettoso verso di
lei, da non parere più suo padre. Lo sposo si serbava beato come il
primo dì delle nozze; ma a poco a poco, le usanze del vivere diverso,
e quel non avere un linguaggio da poter barattare gli affetti e i
pensieri chiaramente nella dimestichezza coniugale, nocquero a Bianca;
e i silenzi dolcissimi ed eloquenti da fidanzati; da marito e moglie
cominciarono a parerle freddezze. S'aggiungeva che egli, per sue
bisogne di soldato, era costretto a star fuori molte ore della
giornata; e Bianca rimanendo sola, s'infastidiva di quella sorta di
libertà; s'annoiava talvolta, talvolta piangeva, e pigliava un amaro
diletto ad accusare il marito di quelle assenze, che per lui erano
doveri compiuti tra due amori; quello della donna sua, e quello della
sua spada onorata. Essa allora pensava alle tante promesse avute da
lui prima del matrimonio; e rompeva sovente in querele, chiamava lo
sposo mancator di parola, persino disegnando di fuggire a C... per
fargli dispetto. Tuttavia quelle sue collere, quei suoi disegni
finivano in nulla; ed il marito non s'era ancora accorto del mutamento
cominciato a farsi nel suo umore.

Una sera, che quel mutamento era già innanzi, essa sedeva al balcone
ricreando la vista nelle montagne azzurre dell'orizzonte, le quali a
vederle dal castello di D... parevano lì per dileguarsi nell'aria. Al
venticello che veniva soave su dalla valle, quel torrente che si
vedeva immiserito nel suo letto arido e biancheggiante; quei pioppeti
delle rive, e i campi, e le case dei due vichi giacenti al basso; a
poco a poco pigliarono agli occhi suoi un aspetto così domestico, che
sembravano volerle dire qualcosa: e come avessero vaghezza di
tentarla, le rammentavano un viso d'uomo, che essa sapeva qual fosse.
Si schermiva alla meglio contro i pensieri che l'assalivano; ma questi
come i malanni, uno sull'altro nascevano nella sua mente; ed essa dopo
molto lottare, si lasciò alfine occupare dai ricordi del suo primo
amore. In quella era entrata la fante della casa per qualche servigio:
e da donna fatta alla buona, aveva chiesto a Bianca come le piacesse
il paese.

«Molto!--rispose Bianca, e quasi senza badare alle parole che le
cascavano dalle labbra, domandò a colei--la casa di quella che voi
chiamate la signora Maddalena, dov'è?

«Costaggiù,--s'affrettò a rispondere la fante, additando il vico sulla
riva sinistra del torrente--costaggiù, quella bellina e più alta delle
altre, che ha quei comignoli murati con garbo, e quell'arco che mette
su un piazzale. Il bello è vederla dentro! sale, arredi, specchi, è
una ricchezza!»

Bianca non aggiunse parole, non ringraziò colei neppure cogli occhi,
nè le pose mente quando se n'andò: ma guardando verso quella casa,
sentì nel cuore qualcosa che si ridestava come da un lungo
assopimento, e sciolse del tutto il freno alla memoria e alla
fantasia. Rammentando quel che era stata, e immaginando quel che
avrebbe potuto essere; le pareva di vedere una donna bellissima uscire
di quella casa, venire nel borgo a braccetto di quello scuolare di don
Marco, che aveva chiesto lei in isposa: e tutti coloro che
passeggiavano sul ponte a godere il fresco, sembravano lieti di poter
salutare la coppia avventurata, che essa coll'immaginazione
accompagnava attorno, e riconduceva in quella casa, della cui vista
non si saziava. Che amore, che pace, dovevano avere quei due sposi,
sotto la tutela dolcissima della signora che viveva là dentro, e
ch'essa aveva conosciuta a C... in tempi sì poco lontani! E vedeva la
casa come era fatta, e le sale e gli appartamenti; e le massaie venir
la domenica a riverire la padrona; e gli amici raccolti a veglie e a
banchetti; e il vicinato consolarsi d'una persona nuova così bella,
cortese e felice. Felice! Gli era verissimo che essa non la era meno
di quella immaginata e di ogni altra donna; l'orgoglio glielo faceva
pensare: ma quel potersi dire tante cose soavi nel linguaggio nativo
collo sposo; e avere per tale un uomo cui nessuno potesse tenere
lontano da casa, nè comandarlo! E poi il suo aveva certi modi
soldateschi anco in casa! Glieli avrebbe fatti smettere sì, ma
intanto... quel Giuliano... oh quel Giuliano! E sospirava seguitando a
fantasticare; e chiedeva a sè stessa se questi era in D..., che cosa
avrebbe fatto, se passeggiando si fosse abbattuta in lui; ondeggiando
tra il desiderio e la tema, che questo incontro, un giorno o l'altro,
accadesse davvero. Quella sera il marito stette più dell'altre volte a
tornare, ma essa non se ne accorse, nè pensò a lagnarsi d'essere
rimasta sola troppe ore; e quando egli se ne scusò con parole
affettuose, fu facile a perdonare. Ma indi in poi, o sola o con lui,
bastava che fosse in parte donde si potesse scoprire la casa della
signora Maddalena, sempre il suo sguardo posava sopra quella; e i suoi
pensieri v'entravano tra confidenti e guardinghi. Il marito, pur non
sembrando, aveva avvertita tra sè la cosa: ma si peritava a chiederle
che vedesse di così bello da quella parte. Anzi voglioso
d'accontentarla in tutto, o forse di scoprire da sè l'animo della
donna; un giorno, disceso con essa dal colle per andare a diporto,
l'accompagnava verso quell'arco, di cui pareva tanto invaghita. Bianca
si lasciava menare, con un batticuore crescente, man mano che
s'accostava all'arco; e camminava leggera come temesse che qualcuno
udisse i suoi passi, dolendosi seco di quelli del marito troppo gravi
e sgarbati. A un tratto giunti a scoprire l'atrio in fondo al
piazzale, essa diede volta quasi spaurita, ed egli rimase a guardarla,
impensierito: poi le tenne dietro, la raggiunse, le chiese che cosa
avesse visto, ed essa rispose, che nulla. Mentiva la giovane donna, e
s'egli in cambio di crederle, accagionando di quella sua
fanciullaggine cose lontane dal vero le mille miglia, si fosse
pigliata la libertà d'entrare in casa alla signora Maddalena; forse
avrebbe colto il filo di quella storia. La madre di Giuliano stava
appunto nell'atrio mentre che gli sposi erano comparsi vicino
all'arco; e subito ravvisata Bianca, s'era rimescolata come persona
cui venga fatto un oltraggio improvviso. Senza badare se i due
venissero innanzi; entrata in casa aveva detto a Marta s'andasse a
porre nell'atrio, e se qualcuno chiedesse di lei, rispondesse che non
si sentiva il caso di far accoglienze. Marta uscì, e trovando il
piazzale deserto, corse insino all'arco, donde vide gli sposi che
s'allontanavano pel vicolo lentamente. Si mise in capo di sapere chi
fosse la giovane compagna di quel soldato: e fattasi oltre finchè
trovò le comari del vicinato, raccolte a chiaccherare, intese da esse
che quella era la figliuola d'un signore di C..., sposata a
quell'Alemanno; il quale a lor parere sarebbe stato un bellissimo
uomo, se avesse avuto sulle spalle una testa un po' meno da far paura.
Marta tornò in casa studiandosi di far viso allegro, e in verità molto
afflitta, avendo capito che quella doveva essere la donna stata
carissima a Giuliano: l'accusò tra sè per trista e sfacciata; disse
che in sul piazzale non v'era nessuno; sentì l'amarezza delle lagrime
che la padrona aveva negli occhi; ma non cercò d'appiccare discorso,
nè di consolarla. La signora non si lagnò, ma anche quest'altro
dolore, di vedersi colei ronzare attorno alla casa, l'offerse in cuor
suo a chi ha in mano le bilance d'una giustizia più alta di quella
degli uomini. E allora, benedì la persecuzione degli Alemanni, che
avea costretto Giuliano a partire; perchè s'ei fosse stato in D...
essendovi anche Bianca, non sapeva qual guaio sarebbe potuto seguire.

Appunto in quel giorno capitò l'ortolano genovese colla lettera di
Giuliano. La signora Maddalena fattosi raccontare dal messo, quanto ei
sapeva del suo figliuolo; molto lo pregò di non dirgli come l'avesse
vista sofferente; lo pagò da donna larga del suo; lo chiamò amico di
sentimento; e gli confidò la risposta che abbiamo visto, certa che
Giuliano l'avrebbe obbedita. Così contando i giorni, e tribolandosi la
vita coi pensieri mesti e tremando sempre; la povera donna finiva
l'estate senza più avere novelle di lui; e non osando manco
affacciarsi a guardare il cielo dalla parte dove egli era, dalla tema
di rivedere quella Bianca, che in verità non comparve più, ma che le
pareva venuta là per ischerno. Le donnicciuole del vicinato, non
vedendola più da tanto tempo, chiedevano a Marta se la signora fosse a
letto ammalata: e la vecchia non rispondendo nè si nè no, faceva
spallucce e alzava gli occhi al cielo, quasi volesse dir loro che ne
chiedessero a quello. Esse sospiravano, badando a tenere lontani i
fanciulli, che non facessero chiasso intorno alla casa; e se a
qualcuna bisognava qualcosa da Marta, s'accostava alla porta, e
batteva riguardosa, per non dare molestia.

Ma una volta tra l'altre fu battuto da una mano che, s'udì al suono,
non aveva tanti rispetti. Era l'indomani di quel giorno, in cui
Giuliano e Mattia, incontratisi nel campo dei Francesi, il sagrestano
aveva pigliato l'incarico di venire a D... piantando il negozio e ogni
cosa, per far servigio al giovane fuggitivo. E per monti e per borri,
cansata la via lungo la vallata, in riva alla Bormida, ingombra di
soldati, che per allora o Francesi o Alemanni gli tornavano pericolosi
all'istessa maniera; costui giungeva alle ventidue, a scoprire il
borgo, dalla parte più aspra a venirvi. Non è da credere che alla
vista di quel suo luogo quasi nativo, egli cadesse ginocchioni
sclamando: o patria, o dolce paese! perchè a questa sorta di affetti
non ci aveva fatto il cuore; e per lui la casa e la patria, erano dove
si stentava meno il boccone. Ma un tratto che parve stesse
contemplando, lo spese invece a risolvere cui avesse a presentarsi
prima, o al signor pievano, il quale chi sa di qual occhio l'avrebbe
riveduto; o alla signora Maddalena, che di certo gli sarebbe stata
gratissima delle novelle che ei le portava. Gli uomini hanno sempre
caro di essere tenuti dabbene e generosi; e Mattia messo da parte il
pievano, deliberò di visitare la signora. Di che, passo passo, per
certi orti, tra siepi e fossati, giunse non visto sino al torrente, in
quella stagione quasi secco; lo varcò, fu sul piazzale a noi noto, e
appressatosi battè alla porta, in guisa, che ne rimbombò la sala, le
stanze, e la cucina nell'angolo più lontano della casa. Qual fu la sua
maraviglia quando gli si aperse, e si trovò dinanzi una persona, che
per poco non gli fece recare le mani agli occhi, dalla tema d'avere
sbagliato! Colei che l'invitava ad entrare con tanta cortesia era
proprio la figlia di Rocco? Proprio la figlia di Rocco, che a lui
apparito a quel modo, mentre lo si credeva morto da tutto il borgo,
sapeva domandare donde venisse con parole che parevano dette da una
signora? E quella veste, che egli rammentava d'aver veduta molti anni
prima, foggiata altrimenti, indosso alla signora Maddalena; come stava
bene a quella fanciulla! E l'acconciatura com'era di garbo; e le mani
come le si erano fatte bianche! Un forastiero l'avrebbe creduta figlia
della padrona; ma Mattia aveva buona la memoria, e nel suo stupore
tempestò le domande: «o tu, tuo padre e i tuoi, che cambiamenti vedo?

«E voi chi vi ha insegnato a battere alla porta come su un tamburo, e
a dar del tu alle zitelle?» disse Marta sopravvenendo a troncare le
parole del sagrestano: ma visto costui, mutò la cera e tacque,
maravigliata di quell'apparizione d'un uomo creduto morto.

«Meritereste,--disse Mattia altezzoso--che mi voltassi addietro, e le
novelle che porto me le tenessi per me...

«No... no! Mattia!--pregò Tecla, cui il cuore aveva già promesso assai
cose solo a vedere il vecchio,--venite, venite... se sapeste come la
signora è ammalata...!

«Malata!--sclamò Mattia quasi parlando seco stesso:--allora gli è
inutile che egli le mandi a dire che la aspetta là....»

Tecla si fece di fuoco in faccia, poi come un panno lavato; capì che
Mattia non poteva recare altre novelle che di Giuliano; e corse
volando di sopra, a dirne alla signora Maddalena.

«Dunque portate notizie di Giuliano?--sclamò Marta rimasta lì sulle
brage:--O Santa Vergine! e perchè non lo avete detto subito? Levatemi
di quest'agonia; dove l'avete visto?»

Qui Mattia cominciava a sballarne di grosse; e chi sa quante lune nel
pozzo avrebbe fatto vedere a Marta; ma buon per questa che Tecla,
scendendo la scala da non toccarne i gradini per la gran fretta,
chiamava lui dalla signora. E vi salirono tutti e tre, Marta
raccomandando pianamente a Mattia di parlar basso, per non dare
molestia alla povera donna, la quale di nulla si sentiva far male.

La signora Maddalena non discendeva più dalla scala da parecchi
giorni; perchè non era più il caso a salirla, senza pigliarne un
affanno, da durare oppressa delle ore. E però usava stare nella sua
camera, dove poteva coricarsi in certi languimenti che la coglievano
di quando in quando; e nelle ore men tribolate sedeva sul divano, di
contro al ritratto del marito, di cui parlava con Tecla a lungo ogni
giorno, narrando la dolce vita avuta con esso.

A vedersi dinanzi Mattia seppellitore di morti, e creduto morto egli
stesso da lunga pezza; la povera donna sebbene non fosse ubbiosa,
provò un senso, come se la morte glielo mandasse, chiedendo per esso
se fosse pronta. Tuttavia fece segno di volerglisi fare incontro, ma
rimase seduta, perchè alle forze non le riuscì.

«Mettetevi a sedere:--gli disse dolcemente--non vi chiedo nulla di
voi, che dovete essere abbastanza felice di rivedere i vostri...; ma
il mio Giuliano? che dice? che vita mena....? Mi aspetta sempre?»

Mattia sedutosi timidamente, la guardava; e tanto era il mutamento che
la vedeva aver fatto, che quasi gli pareva di udire la voce di
persona, la quale avesse sperimentata la morte e l'eternità. E stette
così senza rispondere; finchè la signora sclamò spasimata:

«Ma dunque voi mi portate qualche trista nuova?

«No signora--rispose Mattia al quale era rimasto nell'orecchio il
suono dell'altra domanda:--egli non la aspetta più...; anzi mi manda a
dirle, che ella si levi il pensiero di andarlo a raggiungere; perchè
il disagio della via è grande; la guerra sta per ricominciare;
potrebbe capitarvi in mezzo...

«E come sa egli che la guerra sta per ricominciare...?

«Eh!... chi l'ha a sapere se non lui...?

«Dunque s'è fatto soldato?--gridò la signora levandosi a mezzo
esterrefatta.

«Soldato no!--rispose Mattia dolendosi d'aver detto troppo:--ma al
campo dei Francesi è ben veduto, e tutti lo vogliono, persino i
generali... Insomma... io debbo andarmene.... non tema, egli spera di
vederla qui e presto...»

E si levava in piedi per andarsene davvero; perchè gli pareva che di
quel passo sarebbe uscito col dire alla signora, quello appunto che
Giuliano gli aveva imposto di tacere. Ma lo rattenne Marta, perchè la
signora diceva:

«Mattia, una cosa; di qua ai luoghi dov'è mio figlio, qual'è la via
più corta, e come si può fare a trovarlo?

«Si va a Savona;--rispose Mattia--di là si tira oltre verso Finale,
finchè si trovano i campi dei Francesi: si chiede del signor Giuliano,
e tutti sanno dire dov'è... Ma se manda qualcuno da quelle parti, non
gli dica che io ho detto...

«Non temete, Mattia; mio figlio non saprà che voi m'avete detto più
ch'egli non volesse. Marta, cercate nel cantarano... datemi
quell'involtino che sapete...»

E Marta avendo obbedito, la signora cavò una moneta d'oro e porgendola
a Mattia gli disse:

«Non per pagarvi, ma perchè vi ricordiate di me...

«Grazie--rispose Mattia pigliando la moneta:--e se posso servirla mi
comandi...

«Eh!... forse presto--rispose la signora sorridendo mestamente; e
tolti gli occhi da lui che usciva accompagnato da Tecla, nascose il
viso nelle mani e disse a Marta: «io non so che stanchezza mi venga
indosso: fate un po' più scuro, mi par di morire...»

Marta corse alla finestra, guardò nel cielo splendido laggiù
all'occidente che pareva tutto una gloria; e tentennando leggermente
il capo, alzò il pensiero dolendosi a Dio con un confuso timore. Poi
accostati gli _scurini_, tornò a sedere; e rimase zitta accanto alla
padrona, pensando a quest'altro mal passo di Giuliano.

Tecla intanto, accompagnato Mattia fino all'atrio, gli poneva
anch'essa in mano alcune monete, avute già in dono dalla signora; e
fissandolo con occhio che sarebbe stato impossibile mentirle, chiese
al vecchione:

«Dunque è proprio vero che egli verrà?

«Verissimo. Ma poveretto, a vederlo come è accorato c'è da compatirlo.
Oh! ora che mi ricordo, mi ha detto di raccomandarvi tanto a sua
madre...

«Addio, Mattia,»--disse la giovinetta arrossendo; e piantandolo
confusa e piena di fantasie, tornò su dalla padrona. In punta di piedi
s'accostò a Marta; questa le accennò di sedere e di tacere, ed
entrambe stettero mute, che si sarebbe inteso un moscerino a volare.

Mattia dato il primo passo fuori del piazzale, fu scoperto da alcuni
monelli che ruzzavano al piè d'un muricciolo, giocando alle palle di
piombo. Avessero visto ciascuno il suo nonno tornare dalla fiera colle
chicche, coloro si sarebbero mostrati meno allegri, che vedendo
Mattia; e subito gli furono quali addosso, quali dinanzi; correndo e
facendo capriole; dando voce pei vicoli di quell'arrivo improvviso.

«Il malanno ai ragazzi!» tempestò tra sè il sagrestano; e non potè
andar oltre a suo modo, perchè di qua, di là, due, quattro, dieci
paesani gli si fecero attorno sclamando, chiedendo, stringendo: in
pochi istanti si vide affollato di maniera, che a dare una risposta a
tutti, non sarebbe arrivato in castello insino a sera.

Lassù don Apollinare avea in casa l'Alemanno e Bianca; i quali,
tornando dalla loro passeggiata, solevano andarsi a posare da lui,
quasi ogni giorno. E Bianca conversava con donna Placidia, alla quale
pareva persona di poco cervello, tanto era sempre assorta e tarda alle
risposte: lo sposo se ne stava in un altro lato del salotto con don
Apollinare, ascoltando i racconti che questi gli faceva, sulla caduta
dei feudatari di quelle parti. Accertava il prete, che gli uomini non
erano vissuti mai tanto felici, quanto ai tempi di quei buoni signori;
e affermava che delle anime ne andavano salve in una di quelle
generazioni, più che in dieci dei tempi di poi. Intanto per rallegrare
l'ospite, gli narrava dell'ultimo signorotto di certo castello, che si
vedeva diroccato su di un poggio poco discosto. Diceva raccontando che
colui aveva saputo essere uomo pio e insieme buontempone; e che era
arrivato cogli anni vicino agli ottanta, senza un dolor di capo. Ma,
quasi agli ultimi mesi di sua vita, gli si era innestato il capriccio
di non volere certe grinze in sulla faccia, che sapeva lui di che
danno gli fossero, e quanto avrebbe dato per potersele levare. E si
lagnava di questo guaio in guisa così noiosa; che alfine un suo
servitore si mise in capo di uccellarlo e beccarsi i quattrini. Un
giorno, mentre che il messere era nel buono del lamentarsi, gli disse
in gran segreto, che egli sapeva d'un certo unto, che gli poteva
rifare le guance fresche come a vent'anni; ma che per averlo occorreva
sciogliere i legacci alla borsa. Pigliati la borsa intera! rispose il
messere, fuori di sè dalla gioia; e dato al servitore quello che gli
parve, n'ebbe l'unto. La sera del sabbato se ne fece spalmare la
faccia per bene, proprio da lui, prima di coricarsi. Il ribaldo lo
lasciò colla buona notte, e col divieto di specchiarsi per quattro
giorni, pena di perdere il frutto del filtro: e il messere dormì
sognando il bel viso che avrebbe avuto l'indomani, giorno appunto di
festa. Uscito di buon mattino, fu grato in cuor suo al servitore, che
aveva preso cura di portar via gli specchi; e subito andò in chiesa, a
farsi ammirare dal contadiname raccolto alla messa. Gongolava
vedendosi guardato con meraviglia, e pensava che quasi non lo
ravvisassero dal tanto che era mutato: ma il cappellano quando si
volse la prima volta a dire il _dominus vobiscum_, e vide il
feudatario nero in faccia come la pece; diede in una risata così
pronta e sonora, che uomini e donne stati fino a quel punto colle
labbra tra denti, dalla tema di ridere e buscarsi dal padrone chi sa
che pena, fecero coro al sacerdote; e, salvo il rispetto dovuto al
luogo, fu una vera scenata. Il feudatario strabiliò, imbestialì, seppe
com'era concio; e quando intese che il servitore se n'era fuggito sin
dalla notte alle proprie montagne, dove egli non avrebbe potuto nulla
contro di lui, per poco non iscoppiò dalla rabbia. Ma quasi più del
mal gioco, gli spiacquero le risa del cappellano; e passata la
collera, studiò giorno e notte per trovar modo di ricattarsene con
usura. Non venendone a capo, pensò nulla essere meglio del promettere
e giurare perdono al servo gabbatore; patteggiando per via di messi
che l'avrebbe ripigliato in castello, se egli riuscisse ad uccellare
il cappellano, ma in guisa da ridere un anno. Il servitore, avuto il
giuramento, rivenne; e stette poco a macchinare una ribalderia
peggiore della prima. Abitava il cappellano in una casetta, accanto
alla chiesa a pie' del palazzo; e soleva andare a veglia dal
signorotto, donde usciva ad ora tarda, dopo aver giocato e bevuto
molto. Però prima di ritirarsi, non mancava mai di passare in chiesa a
dire l'orazione, e ad aggiungere olio nella lampada se bisognava. La
sera fissata tra il servitore e il feudatario ai danni del cappellano;
fu fatto alzare il gomito al poveretto, il quale uscito da veglia
vicino alla mezzanotte, volle tuttavia andare in chiesa; dove, fosse o
paresse, vedeva pei finestrelli i ceri tutti accesi. Appena ebbe
aperto, e messo il piede sulla soglia, fu colto da un religioso
terrore, e corso a pie' dell'altare, cadde ginocchioni adorando. I
ceri erano proprio tutti accesi; e sopra il tabernacolo, vestito di
bianco, stava coll'ali aperte un angelo, che al cappellano parve
disceso dal paradiso. «O Santo uomo--disse colui dopo essere stato un
tantino a vedere:--tu hai abbastanza pregato, ed in premio hai da
venire con me»--«Sia fatto il vostro volere!» rispose il prete, con un
filo di voce, sebbene pensasse d'andarsene in paradiso. «Ma prima, tu
lo sai, bisogna morire;--soggiunse l'altro dall'altare--però non
temere di nulla, che vedrai come la morte sia dolce.»--Il prete
s'inchinò; un'ondata di sudore gli colò dal dorso in sulle reni; diede
una capata sui gradini dell'altare e svenne. Allora il servitore del
signorotto, buttò via le ali e i panni bianchi; e fattosi adosso al
cappellano, lo ficcò in un sacco, ve lo legò dentro per bene, e se lo
recò sulle spalle; poi lesto lesto lo portò nel pollaio. Entrato là
appunto, tornava la vita al poveraccio; il quale udendo il gran
svolazzare dei polli, turbati nel bello dei loro sonni, credette
d'essere a traversare i regni dei dannati; perchè le chicchiriate, il
fetore, il buio ch'erano là dentro, gli parevano cose proprio
d'inferno. Ma qual fu il suo terrore, quando si sentì deposto in quel
luogo, e udì un passo allontanarsi, poi farsi silenzio! Un tratto
credè di morire: ma subito ricordandosi d'essere già morto una volta
poc'anzi; fu preso da tale spasimo, che menando calci e spingendo le
pugna dentro il sacco, creduto a prima giunta una nuvola in cui
l'angelo l'avesse avvolto, urlò disperato: «San Pietro, San Pietro,
aprite le porte!» Allora una gavotta suonata da strumenti noti;
un'apparire di lumi, che egli vedeva, attraverso il tessuto del sacco;
risa sgangherate e voci di gioia sguaiate, tra le quali si discerneva
alta, piena, soddisfatta quella del feudatario; fecero accorto il
cappellano ch'egli era più vicino al castello che all'inferno.
Ammutolì, prese il broncio; sciolto e cavato dal sacco, al cospetto di
mezzi gli abitanti del castello, se n'andò difilato in casa, dove si
chiuse, rodendosi dal dolore. Ma pochi giorni di poi ebbe anch'egli a
perdonare, perchè il castellano morì, forse per la gran satolla di
risa che s'era fatta.

Qui don Apollinare scoppiò in una risata; ma la novella che sebbene
grossolana d'ordito, era stata detta assai giocondamente, non potè far
muovere le labbra dell'Alemanno manco a un sorriso. Egli dal giorno in
cui Bianca aveva fatta quella misteriosa voltata, alla porta di quella
casa, guardata con tanto desiderio; s'era sentito calare sull'animo un
velo di malinconia mai più provata. Aveva stimato cosa men degna di sè
e della sposa, il tornarle a chiedere il perchè di quell'atto; ma alla
ciera, ai silenzi, allo spesso aggrottare delle ciglia, mostrava
d'avere dentro qualche rodimento segreto. Si doleva il pievano, e
quasi era mortificato di non essere riuscito a ricrearlo; e forse
stava per cavarne qualcun'altra delle tante che si udivano da quelle
parti, stando d'inverno vicino al fuoco, col bicchiere in mano: ma a
un tratto s'intese un gridìo venir su dal colle, e una folla invadere
il piazzale dinanzi al presbiterio: e «Mattia, Mattia, è tornato
Mattia!» erano le parole che suonavano più alte, urlate a squarciagola
da mezza la ragazzaglia della pieve.

«Mattia!» sclamò balzando ritto il pievano; e affacciatosi d'un salto
alla finestra, vide, rimase colle braccia aperte, stralunato;
coll'alito mozzo; poi dato un grido, corse in cima alla scala,
affollato da donna Placidia, da Bianca, dall'Alemanno. E vedendo che
il campanaro stentava a farsi far largo, urlò: «Via di costì i
monelli, via! e voi Mattia chiudete l'uscio!»

La voce del pievano fu come lo scoppio d'un'archibugiata, vicino ad un
passeraio. Tutta la baraonda spulezzò ammutolita; e Mattia potè salire
la scala accolto da don Apollinare, benedetto da donna Placidia, e
guardato da capo a piedi dall'Alemanno, cui non tornava nuovo quel
viso sgherro.

«Signor pievano,--sclamò Mattia come fu in cima, facendo segno di
volerlo abbracciare:--io non mi credeva mai più rivederlo...!

«Nè io voi,--rispose il pievano tenendolo discosto colla mano, tanto
che in faccia all'Alemanno, non avesse a vedersi usata quella
confidenza.

«Nè noi voi--ripeteva donna Placidia facendo eco al fratello; e
soggiungeva di suo:--che Dio vi benedica, quante volte vi sognai morto
nella spedizione del maggio passato!»

Don Apollinare avrebbe voluto far tornare in gola alla sorella queste
parole; perchè potevano dare appicco a Mattia per qualche discorso da
rimanerne svergognato; ma in quel mezzo l'Alemanno, riconosciuto il
campanaro per quello sciagurato tratto come spione dinanzi al suo
generale, la notte prima del fatto d'arme in cui egli aveva toccata la
sua ferita, gli chiese parlando aspro:

«Voi, da quella volta che foste preso per spia, dove siete stato?»

A quella voce, a quelle parole che gli fecero tremare le vene, Mattia
credette d'essere tornato in mano dei crudeli che l'avevano
maltrattato, e l'avrebbero moschettato quattro mesi prima, se non
sopravvenivano i Francesi, a salvarlo per caso. E dato un tuffo colla
mente per cercare qualcosa da rispondere, si trovò a dire la verità,
rispondendo:

«Oh, eccellenza! lo dica il signor pievano, se io era una spia; mandi
a chiedere alla signora Maddalena, se non le ho portate notizie del
suo Giuliano, se non sono stato fino a ieri prigioniero dei Francesi!

«Birbante!--urlò il pievano, a cui quelle parole fecero cigolare gli
orecchi, come per un tizzo ardente messovi dentro;--scommetto che voi
siete di balla con quel giacobino, vergogna della mia pieve...! Guai a
lui, e guai a voi, Mattia! se mai avreste fatto meglio a non venirmi
tra piedi...»

E così dicendo era lì per dire all'Alemanno, che quel Giuliano di cui
si parlava era stato tanto audace da innamorarsi di quell'angelica
Bianca; ma vedendo il modo con cui egli la guardava, abbuiato nel
viso, non ebbe cuore di farlo. La povera donna, al nome della signora
Maddalena e poi a quello di Giuliano, s'era fatta pallida come una
morta; e cogli occhi bassi, tremando come colomba che sente il nembo
addensarsi, stava così che, vorrei dire, le pareva d'essere un libro
aperto in cui il marito leggesse, vicino a trovarvi la parola, che
l'avrebbe fatto rompere in una sfuriata improvvisa e tremenda.
Ricordava egli colla mente i mesi passati; le lunghe riluttanze di
Bianca a concedergli la sua mano; e all'idea che si formava di quel
Giuliano a lui sconosciuto, s'univa la memoria di quel giovane
capitato a C... in sul finire delle danze la sera delle sue nozze; e
il senso fatto allora da colui su Bianca, gli pareva ora una stessa
cosa col turbamento da essa provato a udire quel nome. Combattuto in
guisa dolorosa dai ricordi, dai sospetti, dalla certezza che i
sospetti non erano mal fondati, egli non badava più ai discorsi del
pievano nè a quei di Mattia.

Il quale continuando a raccontare la vita fatta in mezzo ai Francesi e
il suo incontro con Giuliano, diceva gesticolando:

«E non conto storie, no; di là dai monti pare la valle di Giosafat! I
Francesi vi sono come le formiche; un andare e tornare da far paura.
Se ne veggono di tutti i colori; hanno cannoni, cavalli e generali,
che, io non me ne intendo, ma ho udito dire che sono terribili: e
quando comincieranno da capo a menar le mani, fanno conto d'essere qua
in quattro e quattr'otto! Allora sarà una grande tragedia; perchè
dovunque arrivano, i primi a toccarne sono i preti.

«Ode, signor barone?--diceva don Apollinare collo spasimo in faccia,
agguantando il braccio dell'Alemanno:--i Francesi verranno, e i primi
a toccarne saranno i preti!

«E vengano!--proruppe l'Alemanno con voce, che parve d'uomo cui
l'annunzio di grandi pericoli torni lo spirito; e presa la donna sua
per la mano e stringendogliela forte, soggiunse tra ironico e
addolorato, ma più basso:--vengano pure i Francesi, signor pievano, e
stia di buon animo, chè al mondo ci siamo a posta per morire, per
ammazzare, per far posto ad altri! Bianca, andiamo ad aspettare i
Francesi.»

E senza dir altro si mosse tirandosi dietro la sposa; in fondo alla
scala si volse a salutare senza cerimonie il pievano e donna Placidia,
rimasti in cima stupefatti; ed uscì. Poi condusse Bianca verso il
muricciolo che faceva riparo al sagrato, dond'essi potevano vedere la
borgata giù a piè del colle, e le chiese:

«Dove abita quella signora Maddalena?

«Laggiù--rispose Bianca timidamente, additando la casa vicino alla
quale egli l'aveva una volta menata.

«E voi--diss'egli sfolgorando collo sguardo di sotto le ciglia
agrottate:--voi in questo borgo non ci eravate venuta mai, nevvero?

«Mai!--sclamò Bianca imprimendo questa volta la voce, di tutta
l'offesa sentita dall'anima sua.

«Ritiriamoci,--mormorò il marito;--stassera dovrò montare a cavallo, e
star fuori forse tutta la notte.

«Ma che volete farmi morire?--disse la donna angosciosa.

«E che--rispose egli severo--non ho io una spada cui debbo qualche
parte di me? È una gran lama che io stimai di buona tempera la prima
volta che la vidi in Vienna dal mio spadaio; e quando l'ebbi in mano
provai che non m'era ingannato all'aspetto. Ma io vi parlo d'armi e di
tempere e vi faccio ridere...»

Bianca capì, ma non disse nulla: e lasciandosi condurre silenziosa, si
ritirò con lui nella casa dove alloggiavano. Il vecchio servitore, che
dal giorno in cui l'Alemanno s'era allogato nella palazzina del signor
Fedele, s'era tenuto in disparte; per non mettere di suo manco un
pensiero, in quel matrimonio; vedendoli entrare annuvolati a quel
modo, si ritirò nella stalla, dove, quasi parlando ai cavalli
brontolò: «siamo finalmente a' guai!»

Intanto Mattia, rimasto nel presbiterio a sbrigarsela col pievano,
detto e ridetto dei Francesi e di Giuliano da averne secca la gola;
finì promettendo che non si sarebbe più scostato dal presbiterio, e se
ne andò diffilato verso la sua catapecchia. Ponendo il piede sulla
soglia si volse addietro, allo scalpito d'un cavallo; e vide
l'Alemanno partire spronando per una via dietro la chiesa, senza dare
uno sguardo a Bianca che si era affacciata al balcone, forse per
supplicarlo con un ultimo atto. A lui quell'andata non faceva nè caldo
nè freddo, ma non potè stare senza consolarsi per questo, che grandi o
piccini, tra marito e moglie tutti avevano i loro guai. E pensava alla
gran briccona che era la sua, la quale di certo aveva saputo del suo
ritorno, e non si era mossa ad incontrarlo, anzi teneva l'uscio
accostato contro il costume. Stava essa al fuoco cuocendo un po' di
polenta, e appena Mattia ebbe aperta la porta e messo il piede sulla
soglia, la megera si volse strillando:

«Chiudete codest'uscio, che il vento mi porta via la fiamma di sotto
la pentola...!

«O moglie--diss'egli sempre ritto in sulla soglia--e non sai dirmi
altro?

«Io dico che potevate stare dove siete stato sinora!

«E un po' di polenta non me la darai?

«Mangereste il bene di sette chiese voi!

«Ah!--urlò Mattia alzando le mani, e correndo per darle le pugna nel
capo: ma si rattenne, non per paura del materello che la moglie gli
misurò fumante sulla gota; bensì pel ricordo che gli venne in quel
punto di aver visto un soldato Francese, vituperato più che alla
berlina, per uno schiaffo dato a una donna. Si rattenne, e cavando di
saccoccia le monete d'oro messe in serbo quei mesi:

«Vedi--le disse--vedi il bene delle mie sette chiese quant'è? E ne
avrei di più molto, ma il meglio l'ho perduto nell'ottava chiesa, che
è quella dove il diavolo mi ti ha condotta sposa!

«Oh il mio Mattia!--sclamò la donna a quella vista--come vi piace più
la polenta? con su un po' di cacio un po' di pepe, d'agliata, dite?

«Polli! hanno a essere bestiaccia!--gridò egli, e fatta la pace mangiò
come piacque alla donna, stupita di non aver avuto in faccia, un paio
almeno degli antichi ceffoni.

Quella sera l'avemaria suonò all'istess'ora dell'altre volte: ma
sebbene non fosse vigilia di qualche gran festa, le campane suonarono
un doppio così bello, che sin dove giunse la loro voce, si capì che
niuna mano, se non quella di Mattia, poteva concertarlo. Il campanaro
mandava in quella guisa la novella del suo ritorno pel contado. E chi
sa in quante case della campagna dove si era parlato di lui colla
pietà dovuta ai morti; si pensò, dicendo l'_ave_, alle preghiere
sciupate per l'anima sua!

Chi dimandasse qual fu il rimprovero o il castigo inflitto da don
Apollinare a Mattia, per quel disordine; mostrerebbe d'aver
dimenticato, che il prete solo a udire parlar di Francesi, perdeva
l'appetito, l'amore alla carica, la forza di farsi temere. Avessero
appiccato fuoco al presbiterio, sarebbe stato grato all'incendiario,
che gli avrebbe così porto il pretesto a cercare un asilo lungi da
quei monti, dove ogni tratto si era lì col coltello dei repubblicani
alla gola. Ma quanto al doppio delle campane, neppure lo intese.
Placidia glie ne volle parlare, ed egli le fece tremare il cuore in
corpo con un boato, come a dire «silenzio!» La poveretta tacque e si
ritirò nella sua camera, dove spese mezz'ora a chiedere perdono a Dio
pel sagrestano, pel fratello, per sè, di quello scampanìo, che a suo
sentire doveva aver fatto su in cielo cattivo senso.




CAPITOLO XIX.


Lo sposo di Bianca, veduto da Mattia partire a quel modo cruccioso sul
suo cavallo; aveva pigliato la via, che sulla cresta dei monti, a
ridosso del castello, menava a Montenotte; e che si vede anche ai dì
nostri, angusta ma piana e ombrata di bei castagni. Egli ne aveva
corso un tratto, poi giù per un traghetto era disceso a valle, non
ruzzolando più per le buone gambe della bestia, che per l'avvedutezza
propria; e s'era messo in sull'altra, alla volta di C.... in riva al
torrente. Cavalcava così raccolto e pensoso, che più non l'era stato
Giuliano tornando da quel borgo, occupato la testa e il cuore
dell'amor suo, quella prima sera descritta in sul principio di questo
racconto. Passando vicino agli alloggiamenti delle soldatesche, non
rispondeva al saluto delle guardie, nè a quello dei compagni; e
tirando diritto, ora di trotto ora di galoppo, attraversava il
villaggio di R..., che il sole era andato sotto del tutto. Allora
spinse un po' più la corsa, per giungere a C.... prima che fosse
suonato il _deprofundis_; sapendo per pratica, che a quell'ora ognuno
di quelle parti soleva chiudere la porta di casa sua. Il borgo, dove
non era più tornato da quasi un mese, gli apparve dinanzi nell'ombra
dell'antico castello, sul quale un quarto di luna posava la sua luce
di striscio e poca, come la guardatura d'un occhio socchiuso e bieco.

«Non t'avessi mai visto--sclamò egli più coll'anima che colla
voce,--non t'avessi mai visto, villaggio malaugurato!»

E trapassato il ponte, che suonò cupo come per rispondere a quelle
afflitte parole; fu sotto l'androne che metteva dentro al borgo; poi
di là per la via più destra alla porta del signor Fedele.

I tempi erano tornati a correre grossi; e il capo supremo
dell'esercito Alemanno, che alloggiava in C.... aveva bandito di quei
giorni, che all'avemaria della sera gli abitanti del borgo si fossero
ritirati, e badasse a non andar fuori senza recarsi in mano un lume,
chè guai! Di che non è a dire se le vie dopo le ventiquattro
rimanessero deserte; e fu proprio sorte, se il cavaliere, appunto
fermandosi, vide venire un tale che portava una lanterna affumicata
per modo, che si vedeva appena; quasi egli avesse voluto obbedire e
insieme far dispetto a sua Eccellenza il generale dell'Impero.

«Fatti in qua» disse a colui il cavaliere smontando; e dategli in mano
le briglie del cavallo, piantando lui e la bestia a spaurirsi a
vicenda, salì dallo suocero, franco di passo.

Gli speroni e la guaina della sciabola battuta contro i gradini,
stridevano come voci di malaugurio. Il signor Fedele, che sedeva in
sala facendo certi suoi conti colla memoria, al lume d'una lucernetta,
la cui fiamma per essere nudrita d'olio di noce, s'agitava fumicosa
spandendo intorno un odore molesto; balzò in piedi a quel suono, corse
sul pianerottolo, e levandosi alta la lucerna sopra la spalla, si
chinò per vedere meglio chi fosse colui che saliva.

«Oh! siamo noi!--sclamò ravvisando l'Alemanno, al quale non voleva più
dare del lei, e non sapeva per anco dare del tu:--chi desse retta al
cuore non isbaglierebbe mai! ci pensava or ora.... Ma siamo soli?

«Solo!--rispose l'Alemanno arrivando in cima alla scala e fissando in
viso tra ciglio e ciglio il signor Fedele. Il quale vedendosi guardato
a quel modo, mostrando grande ansietà nella voce e nell'atto, gli
chiese:

«O che abbiamo, genero, che siamo così annuvolati?

«Nulla!--rispose l'altro; e mettendosi da sè dentro la sala,
soggiunse:

«Vorrei parlare colla zia.

«Ma che è avvenuto qualche malanno a Bianca?--gridò il signor Fedele,
rimanendo colla lucerna in mano, curvo e colla faccia illuminata di
sotto in su malamente:--se è diciamolo a dirittura; che sebbene padre,
so accettare dal Signore il bene e il male, e benedire la sua
santissima mano!

«Vorrei parlare da solo a sola colla zia:» pregò l'Alemanno.

«Allora passiamo da lei, che è sull'altana con Margherita, a pigliare
le infreddature:» disse il signor Fedele un po' insospettito; e
accompagnò il genero attraverso l'andito che metteva in sull'altana.
Là, chiamata Margherita, le fece salutare il cognato rispettosamente.
Poi lasciò che questi se n'andasse da sè dov'era la zia Maria, e
deposta la lucerna in un lato dell'andito, se ne tornò in sala colla
figliuola, tutta rimescolata di quel mistero.

Damigella Maria sedeva al suo posto usato, sotto la cupoletta dei
luppoli, mesta per certo fruscio di foglie secche, che il vento le
faceva sentire intorno. Quel fruscio le parlava dell'inverno; il
quale, sebbene non fosse che mezzo settembre, già su quei monti
s'annunziava vicino. Oh il tristo inverno che sarebbe stato
quell'anno! Non potersi più sedere in quel posto, a udire la gente
passare allegra pel vicolo; chiudersi in una stanza a canto al fuoco;
udire l'ore scoccate con suono spento, dalla campana coperta di neve;
vivere come sepolta viva, e non avere più Bianca! Pensava a queste
cose, e già le pareva di patirle tutte; quando udito il passo
dell'Alemanno, che veniva a lei, e la voce del cognato che chiamava
Margherita, provò non seppe neanch'essa qual contentezza. Questa volta
si sentiva il caso di dirgli tutto l'animo suo; egli capitava proprio
in buon punto! Se non si risolveva a tenere la promessa, lasciando che
Bianca tornasse a vivere vicina a lei; se non la rimenava a C..., se
non veniva a starvi anch'egli per sempre, poveretto lui!

Egli le si fermò dinanzi, e alla poca luce che la coglieva traverso le
foglie della cupoletta, vedendola starsi col viso sporto, come per
chiedergli che volesse, cominciò a dire rispettoso:

«Signora zia..., se qui niuno ci può ascoltare, io vorrei dirle una
cosa....

«Parli,--rispose subito commossa damigella Maria, esperta a conoscere
ogni più secreto moto dell'animo altrui, solo a udirne la
parola:--niuno qui può ascoltarla, parli, comandi....» E così dicendo,
cercava colla sua la mano di lui.

Tanta cortesia della cieca, riusciva nuova e dolcissima all'Alemanno;
perchè dal giorno in cui essa s'era chiarita, che egli ospite ed
infermo nella palazzina, coll'aiuto del padre Anacleto, aveva vinto
l'animo di Bianca, e stabilito il parentado; più che parole aspre non
s'era inteso mai dire. Ora forse la donna mite, indovinava
nell'accento di lui, più assai dolore che ei non volesse mostrare: e
in cambio di sorgere superba e rimprocciosa, vedendo avverati i suoi
tristi presagi; s'addolcì tutta e provò per lo sposo di Bianca, misto
a compassione, il primo senso d'affetto.

Egli sedè, vinto dai modi di lei, che gli tornava in quel momento
cara, quanto gli era parsa uggiosa e molesta altra volta; e parlando
più basso che potè, le disse:

«Io comincio col chiederle perdono d'averle tolta la sua nipote, e so
quanta consolazione fosse per lei l'averla vicina. Mi accordi questo
perdono, chè se no non oserei più parlare, svergognato d'una colpa,
che forse è la più nera della mia vita....

«Che dice mai?--interruppe la cieca--che dice mai, colpa! Ella ha
cercato la felicità, e al mondo ve n'è così poca, che per averne noi
dobbiamo toglierne agli altri. Mi spiacque che Bianca abbia sposato
uno non dei nostri luoghi, sì...! ma poi..., più di lei ci ha colpa il
Padre Anacleto.... che gli ha ingannati ambedue!

«O zia,--sclamò sospirando l'Alemanno--proprio non le spiaceva che io
sposassi Bianca per altro pensiero?

«Pensiero...!--rispose la cieca, che alla maniera con cui veniva
interrogata da lui, non avrebbe nè mentito nè taciuto per nulla al
mondo:--V'era anche questo, che Bianca si voleva bene con un
giovinetto quaggiù della nostra vallata; e mi pareva che sposando uno,
quando il suo cuore era già d'un altro, potesse andare incontro a
qualche mal passo....

«Oh! no.... no....--proruppe l'Alemanno--mal passo per cagion mia mai!
Ma quel giovane era degno di lei?

«Se degno!... Era del primo casato di D....

«Proprio di D....?»

Queste parole furono dette in guisa, che damigella Maria ne rimase
tutta rimescolata; e presa la mano dello sposo di Bianca, parve che
non potendo leggergli negli occhi, volesse sentire al tatto,
indovinare al respiro, che cosa ei pensasse.

«E lei--disse poi tremando--lei perchè m'ha colta alla sprovveduta...?
Appunto...! quel giovane era di D.... e Bianca è a D...; che fu, mio
Dio, che fu? Per carità badi, essi non s'avevano mai parlato, glie lo
dico io....

«Le credo....

«Mai.... non saprei mentirle, non faccia a Bianca niun male!

«Un soldato non fa male a una donna mai...!--rispose
l'Alemanno;--eppoi il torto fu mio... e basta!»

Ciò detto si levò e partì, lasciando la povera donna che non sapendo
che farsi per rattenerlo, o piangere o pregare; sperò che si sarebbe
fermato in sala dal signor Fedele. Ma egli attraversato l'andito, vi
si fermò tanto da stringere la mano a Margherita, dandole uno sguardo
con cui pareva volersela portar via; strinse anche quella dello
suocero ma un po' lentamente, e senza dir nulla si mise giù per le
scale. Trovò alla porta il cavallo abbandonato dal borghigiano, che
non parendogli vero di potersi levare la briga di quel focoso animale,
l'aveva legato a una campanella lì fuori; montò in sella e partì
frettoloso.

Il signor Fedele rivenne dallo stupore in cui l'avevano messo i
portamenti del genero, udendo lo scalpitare del cavallo
sull'acciottolato della via. Ma mentre si lanciava alla finestra per
chiamarlo chi sa con qual grido, si vide dinanzi damigella Maria,
venuta in sala a gran fatica; avendo pel turbamento quasi perduta la
pratica della casa.

«Ed ecco--sclamò essa, poichè si sentì vicina al cognato;--ecco a che
ne siamo colla vostra ambizione!

«Sì--gridò il signor Fedele, guardando a squarciasacco la cieca, e
spaurendo Margherita che tremava a verga a verga:--Fatemi le tragedie
anche voi, che mi stanno bene! A che ne siamo via, dite?...

«Ne siamo a questo--proseguì damigella Maria--che quella povera
sventurata della vostra figliuola, se l'aveste lasciata sposare chi
voleva essa, non finirebbe come finirà....

«Tisica; ammazzata o peggio!--urlò il signor Fedele;--capisco! Vi sarà
a D..., quel suo giacobino sciagurato, cui Dio mandi tutti i malanni!
Ebbene..., se essa avesse osato disonorarmi....

«Cognato!--interruppe la cieca, troncandogli la parola colla maestà
dell'atto; e poi dolcemente disse alla nipote:--Margherita, vattene in
camera....»

La giovinetta obbedì lagrimosa, e i due stettero zitti finchè i passi
di lei furono uditi lontani. Allora damigella Maria ripigliò severa:

«Cognato, io non avrei creduto mai che voi foste tal padre da pensare
brutte cose del sangue vostro!

«Io?--rispose il signor Fedele, inarcando le ciglia quasi
maravigliato, e tenendosi l'indice della destra appuntato al petto,
proprio come avrebbe fatto dinanzi al giudice dei fatti suoi, che
avesse potuto leggergli in faccia.

«Voi, sì! e se io non v'interrompeva, non avreste avuto rispetto,
neanco per quella innocente, che era qui ad udirvi...

«O voi--disse egli risolvendo l'atteggiamento in cui era rimasto, in
una crollata di spalle stizzosa,--voi dunque che sospetti mi siete
venuta a ficcare in capo...?

«Io dissi onestamente; e giusto!--sclamò la cieca; e narrò in breve il
colloquio avuto coll'Alemanno, nulla aggiungendo, nulla tacendo. Il
signor Fedele ascoltava, rischiarandosi in faccia man mano ch'essa
diceva.

Come gli parve che avesse finito, proruppe:

«Donne! E voi volevate perdere il conoscimento per simili freddure?
Via, datevi pace, cognata; andate a dormire quieta, che domattina di
buon'ora io me ne andrò a D...»

E presa la lucerna, se n'andò a chiudere l'uscio da via, piantando
(stava per dire al buio) la povera cieca; la quale avrebbe data la
vita per poter essere a D..., per potervi andare anche camminando
sopra le spine. Ma debole, infermiccia, con quella sua disgrazia degli
occhi, che avrebbe fatto giù per quelle strade, di notte, se anco si
fosse preso in compagnia qualcuno del vicinato? Si ritirò nella camera
dove soleva dormire con Margherita, pensando che quella sarebbe stata
una notte pur lunga.

L'Alemanno frattanto cavalcava di buon passo, già vicino a D... e per
dire il vero aveva molto combattuto seco stesso per tenersi dal
passare al convento, chiamare il padre Anacleto, e giù, senza tanti
discorsi, pagargli con una sciabolata sul cranio, il servigio fatto a
lui ed a Bianca. Ma quella sua smania s'era risolta in un pensare
doloroso alla scoperta del primo amore di Bianca; scoperta che per lui
nasceva come una nube levatasi in un bel giorno di primavera, ad
offuscare il sole, quando si ha tanto desiderio di calore e di luce. E
rifacendo colla memoria la vita dei mesi passati, rivide sè stesso,
quale doveva essere stato da principio, allora quando preso d'amore e
non essendogli dato d'avere uno sguardo dalla donna amata; s'era
sentito venire addosso tanta malinconia, da non essere più quello
d'una volta agli occhi dei commilitoni maravigliati. Rammentò come
avesse tribolato molto per cavarsi dal cuore quella montanina, la
quale aveva fatto a lui un senso, che da nessuna donna gli era stato
mai fatto; e la ostinatezza in cui s'era messo per ottenerne l'amore,
mentre essa non badava a lui, gli pareva adesso la maggior colpa che
avesse commesso in sua vita, proprio come aveva detto alla zia Maria.

«Folle che io fui--sclamava--a non pensare che in Italia le fanciulle
a diciott'anni, hanno il cuore preso da un pezzo! L'ho voluta e mi sta
bene. E qual dritto ho io di rimproverare una donna perchè serba
memoria d'un uomo che amò, quando i luoghi dove nacque l'amor suo, le
stanno sempre dinanzi...!» In questi pensieri l'animo gli ribolliva, e
penava a non lasciarsi pigliare dall'ira; ma gli tornavano
nell'orecchio le parole della cieca, la quale gli avea accertato che
Bianca e quell'altro non si erano parlati mai. Così gli si abbelliva a
poco a poco l'immagine della donna sua; e l'amore puro da essa
custodito finchè egli non era venuto a turbarla, cominciò a parergli
la dote più nobile che Bianca gli avesse portato. Si sentiva quasi
disacerbato; si lodava di essere andato dalla zia Maria a sincerarsi
l'animo; e col capo pieno di disegni e di pentimenti, non vedeva l'ora
di essere a D... per baciare la mano alla sposa e chiederle perdono.

Vi giunse che mancavano poche ore all'alba; e trovò Bianca seduta a
piè del letto, in atto che pareva inconsolabile. Al vederla così
mesta, egli si fermò sulla soglia un tratto; ma non potè tenersi che
non corresse colle braccia tese verso di lei; e levandola dolcemente
in piedi, e guardandola nel volto pallida e segnata di pianto recente,
colla voce che seppe fare più dolce, le disse:

«Bianca, e non parli?

«E chi oserebbe parlarvi? Un'altra volta, prima di partire in quella
guisa crudele, cacciatemi di casa che sarà meno spregio!

«Odi--rispose il marito--se ho provato il bisogno di correre a C...;
se ho voluto parlare alla zia; se torno chiedendoti perdono, io che
non lo chiederei a nessuno offeso da me, e piuttosto morirei per
punirmi colle mie mani; vorrai che m'inginocchi davanti alla donna
mia? Bianca, abbandoniamo e presto queste montagne; soltanto lungi di
qui potremo vivere pienamente felici...!

«Questi non furono i nostri discorsi!--sclamò Bianca:--già me ne sono
accorta; prima il paese dove io sono nata, poi vi verrò a noia io
stessa...!

«Mi verrà a noia la vita!--proruppe egli allora rifatto severo: e fu
l'ultima parola, perchè Bianca non osò più aprir bocca; nè a lui parve
di poter più dire senza cadere col discorso sopra l'antico amore di
lei; amore che non avrebbe mostrato di conoscere a nessun prezzo, più
apertamente di quel che aveva già fatto.

Mentre essa tornava a rannicchiarsi timidamente, egli si affacciò al
balcone; e il suo sguardo per quella oscurità andò a posarsi sul
vicolo della riva sinistra del torrente, dove a quell'ora si vegliava
in una sola casa, come si vedeva alle finestre or l'una or l'altra
illuminate. «Pare fatto per dispetto!» pensò tra sè; e toltosi dal
balcone chiudendone le imposte con mal garbo, si ritirò nella sua
camera senza più dir nulla alla sposa.

Quella ove aveva visto i lumi era la casa della signora Maddalena, la
quale stava in quell'ora aspettando Anselmo, che venisse a pigliare
col calesse Marta e lei; per portarle verso i luoghi della marina,
dov'era Giuliano. Perchè dopo le novelle recate da Mattia, la signora
si era sentita entrare una smania, che le pareva di non poter più
vivere senza andar a raggiungere il suo figliuolo. La partenza era
stata fissata per l'alba; ed intanto che Marta preparava un po' di
roba da portar via, Tecla la aiutava, sentendosi crescere lo sgomento
di rimanere sola.

Così le poche ore che mancavano all'alba, passavano volando per la
giovinetta, e facendosi secoli per la signora già pronta; la quale
guardando Marta affaccendata e rinfronzita, aspettava e sorrideva.

La vecchia vestiva certa sua vesta d'indiana scura, tempestata di
fiorellini rossi e minuti, ornata alle ascelle di rigonfi, ai quali si
innestavano molti svolazzetti somiglianti ad ale di pipistrelli. Le
maniche della veste erano così strette, che le braccia sebbene aduste
vi capivano a fatica; un grembiale ampio, d'altra indiana meno scura,
le cingeva i fianchi fin sulle reni; e due fazzoletti stampati di
frutta e di fiori a colori, assai vivi, le coprivano l'uno il capo,
l'altro le spalle, facendo una strana cornice alla sua faccia, massime
alla fronte, sulla quale si vedeva un pensiero, piccino ma sempre
desto, ma sempre in moto come uno sgricciolo, dare il guizzo tra le
grinze che facevano mazzo lì verso le ciglia, in cima a quel suo
nasetto, curvo come un rostro, e di espressione diversa da quella sì
dolce de' suoi occhi.

Alfine il calesse arrivò sul piazzale. La signora udendolo si levò in
piedi; e voltasi a Tecla le disse: «Mi sento così forte che proprio
sarebbe peccato se io non andassi:.. Tu Tecla sta da buona
figliuola... tu rimarrai al mio posto. La farai da padrona, e
accoglierai i forastieri, se qualcuno ne capiterà, mentre io sarò
lungi. Ecco, queste sono le chiavi..., tu le conosci tutte. Dormirai
nella camera che ti piacerà meglio, e tuo padre e tua madre ti
terranno compagnia. Userai d'ogni cosa come fosse tua; ritirerai la
roba dai coloni, ne terrai conto sul libro di casa, darai gli ordini
per la vendemmia..., impara a diventar massaia, che quanto a noi chi
sa quando ritorneremo. Se colà si sta nulla nulla bene, non ci verrà
in mente di rivenire quassù, no. Allora scriverò che tu mi mandi
quello che mi bisognerà, e potrai venire con tuo padre a portarlo.
Vedrai i bei paesi! Là, quando noi si muore dal freddo, dalla noia,
chiusi in casa dalla neve, là sempre un sole, sempre un'aria dolce, e
il mare... Addio Tecla.» E presa tra le mani la testa della
giovinetta, che pareva non aver più senso di nulla, la baciò in
fronte, e s'avviò verso il piazzale.

Marta rispettosa più che non fosse mai stata tutta quel tempo, in cui
i suoi riguardi verso Tecla erano cresciuti ogni giorno, le disse:
«Avete inteso? il Signore vi vuol proprio bene! Pregate per la padrona
e per me. Addio.»--E datole anch'essa un bacio, andò a raggiungere la
signora, recando una sporticella, nella quale aveva raccolto cacio
paesano, pane, frutta, tanto da potersi rifocillare tra via, come se
fuori di casa fosse stato il deserto.

Tecla sin dalle prime parole della signora s'era sentita uno
sbalordimento, e si reggeva al tavolo, perchè le gambe non volevano
tenerla ritta. Ma quando lei e Marta furono scomparse dall'uscio, quel
vedersi sola la scosse, e a passi concitati andò fuori per raggiungere
la signora. Il calesse partiva in quel punto, portando le due
viaggiatrici, le quali si volsero addietro, videro la giovinetta colle
braccia tese; la salutarono colla mano, e subito trapassarono l'arco
che loro la tolse di vista.

Allora Tecla diede uno sguardo a suo padre, che tutte quell'ore era
stato ad aiutare Anselmo ad arnesare; un altro ne diede alle chiavi
avute dalla signora, e lasciandole cadere: «no, no!--sclamò--io non
voglio, non voglio... O signora Maddalena, o padre mio, rimenatemi a
casa vostra!

«Via--diceva Rocco raccattando le chiavi, e non sapendo capire come
tanto onore tornasse sgradito alla figlia,--via, che tu sei pazza e
tiri i calci al pan bianco... andiamo.»

E la menava dentro, lieto di quella ventura, parendogli di essere da
colono diventato gastaldo copioso d'averi per i belli occhi di lei; e
già pensava alle cento cose che avrebbe fatto mentre che la signora
sarebbe rimasta lontana; ed in cuor suo tornava ad augurarle la buona
andata.

Questa in verità non poteva da principio essere migliore, e il sole
s'era alzato di poco, che già il calesse aveva oltrepassata la terra
di R... intorno alla quale giostrava una grossa banda d'Alemanni, che
sciupavano i prati altrui, immollandosi nella guazza a procacciarsi
doglie per la vecchiaia. A un certo punto dove l'aspetto della via era
più selvaggio, sorgeva su d'una roccia un pilastrone, nel quale era
cavata una nicchia, e un pennello onesto vi aveva dipinto una Madonna
Addolorata, che sovrastava ad un viluppo di fiamme e di teste, messe
là dal pittore a spasimare nel purgatorio. Quella dipintura sta anco
ai dì nostri, che par fatta ieri; e gli abitanti della terra non vi
passano dinanzi senza inchinarsele, pensando che in età più tristi
toccò chi sa quanti cuori di ribaldi, che facevano guerra alle strade.

Là le viaggiatrici si abbatterono in due personaggi che venivano
cavalcando dalla parte di C..., ma non erano due ribaldi; bensì uno
frate francescano su d'un'asina lenta, l'altro gentiluomo su d'un
muletto, che pareva stizzito d'essere tenuto a paro e sì tardo con
quella.

Costoro si scansarono per lasciar largo il passo al calesse, e il
gentiluomo alla vista di chi vi era dentro, diede un guizzo, arrossì,
nè potè stare che passando oltre non si recasse la mano al cappello.
Il frate salutò chinando la testa reverente.

«Oh! oh!--sclamò Anselmo--son mattinieri il signor Fedele di C..., e
il predicatore che avevamo a D..., la quaresima passata!»--E girata un
tantino la gota sulla spalla, e tenendo un occhio al cavallo e l'altro
alla signora Maddalena, soggiunse:--«Forse il signor Fedele va a
visitare quella sua figliuola maritata ad uno di quei generali
Alemanni, che abita in castello...»

La signora Maddalena, cui la vista del padre di Bianca aveva tornato a
mente l'apparizione di costei all'arco del suo piazzale, s'era sentita
correre un gelo per la persona. Ora le parole d'Anselmo le fecero
pensare quanto più lieto di lei, doveva essere quel padre che andava a
visitare la sua figliuola felice; e non potè frenare un sospiro,
Anselmo temendo di darle noia, schioccò la frusta, e tirò diritto al
fatto suo: ma ahimè! quella donna che partendo di casa aveva trovato
così bello il cielo, i campi, la compagnia; parve ad un tratto
condotta a forza e rassegnata a qualche mala ventura. Già tutta
l'allegrezza di mezz'ora prima, si mutava nello struggimento degli
altri giorni.

Marta, pur non osando dir nulla, vedendo in faccia alla padrona i
segni dell'animo scompigliato, stava tutta occhi, temendo che le
pigliasse male. E per questo non badava a un rumore come di tuono
lontano, che veniva non si poteva dir bene da qual parte; e quasi non
udiva certe esclamazioni, in cui usciva Anselmo, come parlasse a sè
stesso.

«O che adesso siamo al temporale?--diceva egli--eppure non veggo una
nuvola larga come un luigi d'oro, chi la volesse pagare!» E alzava gli
occhi a guardare il cielo, terso da un capo all'altro come uno
specchio. Ma quel rumore, quel mugolìo, cresceva cresceva; il
pover'uomo stupiva sempre più; e ad ogni svolta donde si potesse
scoprire più lontano, avrebbe giurato di vedere spuntare all'orizzonte
le nuvole malvagie piene di tempesta.

Mentre egli pensava all'uve, alla grandine e al ricolto pericolante;
la signora toccando Marta leggermente col gomito, le additò di là del
torrente una viuzza aspra, che menava ad un casale, accovacciato in
fondo a una valletta squallida e brulla. Marta guardò, e vide una
compagnia di contadini, i quali facevano corteo ad un feretro coperto
d'un lenzuolo bianco, e portato da quattro disciplinanti.

«Là c'è un morto; disse segnandosi Anselmo, che forse udendo qualche
verso delle litanie dette dietro quel feretro, aveva posti gli occhi
addosso alla comitiva: «il Signore abbracci l'anima sua.» E si mise a
bisbigliare qualche preghiera.

L'ora, la vista che facevano quei camminanti, le pietose parole
d'Anselmo, rozzo uomo, e buontempone, aggiunsero tanto allo stato
della signora Maddalena, che il suo pensiero si arrestò lì. In cambio
del morto vide colla fantasia sè stessa al gran passo, e una voce
interna le disse: «colui se non altro ebbe il conforto di spirare tra
i suoi; ma tu quando sarà la tua ora, dove morirai e come; e in man di
chi?» Morire per essere sepolta nella chiesa del suo villaggio, là
dove erano stati chiusi suo marito, il suocero, la suocera, tutti i
parenti ch'essa non aveva conosciuti, e che avrebbe trovati nel
sepolcro e nell'eternità, era cosa cui pensava talvolta anche con
certa gioia; ma andare a giacere in altre tombe, quale sgomento!

Essa si sprofondava in questi pensieri; e il calesse giungeva là dove
la valle s'allarga improvvisa nella pianura di C..., ampia e
deliziosa, com'è descritta in sul principio di questa istoria; e nel
lato opposto a quello donde il calesse arrivava, chiusa dai monti di
San Giacomo, del Settepani, da tutta la giogaia; sui fianchi della
quale, gli uni di là, gli altri di qua, si fronteggiavano da mesi, e
assai da vicino, gli imperiali e i repubblicani.

Le selve di quei luoghi aspri, parevano in quel momento incendiate; e
al fumo che sorgeva a viluppi in parecchie parti, s'indovinava una
battaglia, della quale non si udiva che quel mugolio, parso ad Anselmo
di tempesta vicina.

«Oh! oh!--sclamò egli, fermando il calesse così d'un tratto, che le
viaggiatrici n'ebbero scossa la persona--altro che temporale! Vegga,
vegga, signora Maddalena, non vede che guerra su quei monti lassù?»

La signora Maddalena strappata a' suoi pensieri lugubri dalla scossa e
da queste parole, sporse il capo guardando da quella parte, verso la
quale Anselmo teneva tesa la frusta: e Marta balzata in piedi sul
calesse, si faceva colla mano solecchio per vedere meglio quello
scompiglio lontano.

«Oh poveretti noi! di lassù a qua non vi sono sette ore di cammino...»
cominciava a gridare Anselmo.

«Correte, frustate, chiedetemi il sangue, purchè s'arrivi!--interruppe
la signora--mio figlio è lassù... lo sento... lo so... me
l'uccideranno! correte..., o Anselmo, non mi volete portare? Oh la
guerra! la guerra! anderò da me...!»

E fece atto di discendere dal calesse, ma non le riuscendo ricadde sul
sederino, cogli occhi fuori di punto, colle labbra aperte, come se
volendo gridare non lo potesse.

Marta, che in quell'abbandono le aveva cinta la vita colle braccia
tremanti, la guardava e non sapeva trovare una parola da dirle. E la
signora alzando gli occhi in lei si lamentava con un filo di voce; «ah
veramente, io fui sempre una donna malvagia, nevvero Marta? Io ho
afflitto mio padre, mia madre, mio marito, non ho santificato le
feste, uccisi, rubai..., perchè se no, il Signore non mi tormenterebbe
in questa maniera!» E fissando il cielo colla rampogna nello sguardo,
abbandonava la gota sulla spalla della fantesca sbigottita, e le
sussurrava acconciandovisi come una bambina! «oh! come mi sento male!»

Marta accennò ad Anselmo che desse di volta pian piano; dubitando
forte di portarla viva a D... tanto era il martellamento che le
sentiva dal cuore: e Anselmo obbedì. Coll'anima tutta negli occhi, e
nelle mani, reggeva le briglie del cavallo, facendolo cansare ogni
ciottolo, ogni fondo, che fosse per dare al calesse qualche scossone:
e fu tanta la sua gentilezza di cuore in quel ritorno doloroso, che in
un punto della via, in cui la persona della signora rimase tutta
irraggiata dal sole già alto e cocente; discese, strappò da certi
castagni della ripa molte fronde, e di queste si mise a fare sul capo
dell'infelice un poco di rezzo. La signora capiva, e stando sempre col
capo appoggiato in sulla spalla di Marta, cogli occhi chiusi, tendeva
la mano per ringraziarlo, non si sentendo di potergli parlare.
S'adoprava egli in questo fatto con gran cura, quando vide comparire
il padre Anacleto: solo, mogio, curvo sull'asina; non gli sarebbe
bisognato altro che cavalcare colla coda di questa fra le mani, per
parere invece che da D..., tornato dalla berlina.

«Oh! il Signore ci manda quel buon frate» bisbigliò Marta cui
s'allargava il cuore, e affrettava col desiderio il passo dell'asina
che era assai lento; ma il frate venuto innanzi, passò senza badare al
calesse, e forse anche senza rammentarsi della storia del Samaritano.

«Sorte che il Signore ci ha fatto un buon par di braccia anche a
noi!--disse Anselmo--che se no costui non ci darebbe una mano, manco a
pagarlo...!» e avendo finito di intrecciare le frasche, tornò a
sedersi al suo posto e il calesse ripigliò la via.

Di là ad un'ora, Anselmo fermava il cavallo sul piazzale della signora
Maddalena, che sarebbe stato affollato da quanti vedevano quel ritorno
e offrivano servizio; se Marta non avesse pregato la gente di starsi,
perchè non era nulla. E la gente si ratteneva rispettosa, ma andava
pel borgo a spargere la mesta novella della signora.

Tecla che se ne stava in sala dove s'era seduta il mattino nè si era
più mossa, sbigottita della propria solitudine; udito il rumore delle
ruote, corse verso l'atrio, di che animo si può immaginarlo. Il suo
primo pensiero fu che la signora avendo incontrato tra via Giuliano,
se ne rivenisse con lui; ma ohimè! la vide come era abbandonata sulla
spalla di Marta, e le parve morente. Se non proruppe in un grido, fu
perchè la fantesca glielo spense coll'atto della mano; e la povera
signora fu portata da loro, da Rocco, dalle persone amiche arrivate
affannose, nel proprio letto. Vedeva, udiva, avrebbe potuto parlare,
ma provava una dolcezza ineffabile, a lasciarsi vincere da certa
stanchezza accidiosa, che le si diffondeva per la persona, e sentiva
come una nebbia che l'avvolgesse. Sorrise a tutti..., accomiatò tutti
collo sguardo; e rimasta sola con Marta e con Tecla, fissò il ritratto
del marito che pendeva alla parete di faccia all'alcova, e parve
cominciare con lui un discorso, e dirgli che era venuta indietro, per
morire nel letto su cui anch'egli era morto.




CAPITOLO XX.


Il padre Anacleto era parso assai disumano ad Anselmo; ma nei suoi
panni, avrebbero avuto il capo alle opere di misericordia ben pochi.

Quel mattino egli aveva appena finito di cingersi il cordone, e già il
laico portinaio gli aveva battuto all'uscio della cella, dicendo che
il signor Fedele lo voleva giù sul piazzale. Disceso in fretta, aveva
trovato costui venuto a cavallo per menarselo a D...; ed egli pensando
che s'andasse a fare un po' di buon tempo dagli sposi, fatta mettere
la bardella all'asina della comunità, vi s'era accomodato sopra alla
meglio: ma nè partendo, nè tra via quando incontrarono il calesse, nè
dopo, il signor Fedele gli aveva detto la cagione vera di quella gita.

Chiacchierando della signora Maddalena, e compiangendola d'essere
madre di quel Giuliano, sui fatti del quale tiravano giù a distesa;
giungevano a piè del castello, che già l'Alemanno aveva accompagnata
in chiesa la povera Bianca, come ogni mattina, a udire la messa. E
venutosi a sedere colle gambe spenzolate dal muricciolo del sagrato,
stava osservando certe nuvolette, che parevano proprio nascere sulle
lontane cime dei monti verso il mare. Erano le stesse nuvolette, che
avevano fatto fare ad Anselmo l'improvvisa fermata, che abbiamo
veduto. Capiva l'Alemanno che quello era il fumo d'una battaglia, e
guardando pensava: «ieri il sagrestano ha pur detto il vero; lassù i
miei amici combattono, ed io sto qui inoperoso! Ma questi sono tutti
luoghi fatti a posta perchè gli uomini vi si ammazzino tra loro; e un
palmo di terra per esservi sepolto, ve lo posso trovare anch'io da
oggi a domani. Così resta finita ogni cosa.» Assorto in questi
pensieri, egli non aveva badato ai due strani cavalieri, che venivano
su per la via torta del castello; e non li vide se non quando furono
lì, per arrivare sulla spianata. All'agitarsi delle loro mani levatesi
a salutarlo; alla vista del padre Anacleto, che gli sorrideva con aria
paterna; il sangue gli andò da capo a piedi come un fuoco; dovè fare
uno sforzo per rattenersi dal maltrattarlo; e toltosi dal muricciolo,
aiutò lo suocero a smontare, ma al frate non disse nulla, nè lo guardò
punto.

«O che non mi conosce più?--sclamò questi stendendogli la mano. Allora
l'Alemanno si fece più torvo, e rispose asciutto: No!

«Come!--disse il signor Fedele, guardando il genero ma dal naso in giù
soltanto, perchè fissarlo negli occhi non avrebbe potuto:--che non
conosciamo più il padre Anacleto?

«Che siamo già sulle baie così di buon'ora?--aggiunse il frate, sul
medesimo tono del signor Fedele.

«Io,--gli rispose l'Alemanno severo--non credeva mai di trovare in
Italia un frate della sua sorta. La prego di lasciarmi in pace.»

E preso il suocero pel braccio, lo trasse con sè. Questi teneva la
testa bassa più che non la tenesse il muletto che si menava dietro a
cavezza; e quando osò alzarla un tantino, fu per dare alla sfuggita
un'occhiata al frate, quasi per dirgli che per carità se n'andasse.
Non gli pareva manco vero di non sentirsi anch'esso scacciato; e gli
si accaponì la pelle, quando il genero di su la soglia della chiesa,
additandogli Bianca inginocchiata dentro gli disse: «Essa è là, ma in
questo momento non prega per me!»

Non sapendo che rispondere a questo lamento, il signor Fedele si volse
a guardare indietro, ma il padre Anacleto non v'era più. Costui aveva
capito che proprio l'Alemanno non faceva per celia; e indovinando così
alla grossa la cagione del suo cruccio, s'era ingegnato a voltare
l'asina, la quale dopo molte strappate, riuscita a porsi cogli orecchi
a quella volta dove aveva la coda; discese di castello con molto
travaglio; trapassò il borgo a pie' di questo; e infilò la via che non
credeva dover rifare così presto, con quel po' di peso sopra la
groppa.

«Ah! l'ingrato scortese!--borbottava il frate fuggendo--se questa è la
creanza che t'hanno insegnata dalle tue parti, tu devi essere uno di
quei baroni, che in dodici non ne fanno uno dei nostri! Io mi sono
stillato il cervello per darti una moglie, mi metto a questi passi col
po' di sole che c'è, con questo po' di marrani paesani tuoi che
farebbero ingiuria al paradiso; tutto per venirti a vedere...: e tu mi
fai l'accoglienza del lupo? Scacci come uno straccione un frate, che
ha dette per te tante bugie...? vai, che ho lavato la testa all'asino;
ma nulla nulla che la palla mi balzi destra, se io non le do mio
danno, vedrai!»

Facendo queste ed altre querele, il frate s'allontanava da D...,
invelenito per quell'accoglienza inattesa. Tirava anche i suoi conti
sul bel guadagno avuto in quel negozio; e oltre l'ingratitudine
dell'Alemanno, gli sommavano l'inimicizia di quel Giuliano, il quale
avrebbe potuto trarlo chi sa in che guai, massime se le cose dei
giacobini finivano a bene... Questo pensiero gli faceva sudare le
tempia; e Marta che lo credette occupato d'alte cose, quando lo vide
la seconda volta passare vicino al calesse, senza dire nè ai nè bai;
forse gli fu più giusta di Anselmo, che gli tirò dietro a campane
doppie, come abbiamo visto! Al primo guado che trovò varcò il
torrente; e maledicendo la propria ventura, e macchinando di
ricattarsi sul signor Fedele, si ridusse mortificato al convento.

Intanto il padre di Bianca, rimasto sulla porta della chiesa di D...
se la discorreva col genero, che gli aveva fatto riporre il muletto da
quel suo servitore, il quale diveniva sempre più afflitto e taciturno,
a misura che gli pareva di vedersi dar ragione dal tempo, su quel
matrimonio riuscito male. Aspettavano essi che la sposa uscisse di là
dentro, dove non erano che due altre donne, inginocchiate lontane tra
loro, quasi fossero state gelose di non far indovinare l'una
all'altra, la grazia che chiedevano al cielo. L'Alemanno non aveva
detto parola sul fatto della sera innanzi, e il signor Fedele non era
stato sì matto da entrargliene; anzi temendo d'esservi alfine tirato,
finse di spazientirsi del vedere la figliuola star tanto in chiesa; e
chiese licenza di salire dal pievano, per una ambasciata che disse
d'avergli a fare. Dando gli ultimi tocchi ad un suo disegno, fatto lì
per lì, s'avviò frettoloso al presbiterio.

Don Apollinare aveva finito allora la colazione, facendosi dire da
Mattia, la terza o la quarta volta, quel che gli era seguito in tanti
mesi; e parlando di Giuliano, tanto gli tirava su le calze colle
dimande, che il sagrestano per ricattarsi di quella noia, pigliava un
diletto crudele a narrargli quanto il giovane fosse ben voluto dai
Francesi. Accertava che egli non era buono a far male a un pulcino, ma
mostrava di conoscere certi suoi sdegni, certi nemici che l'avrebbero
visto all'opera, se mai gli riusciva di tornare a D..., con una mano
di quei Sanculotti, i quali parevano pronti a servirlo in ogni suo
volere. Il pievano avrebbe voluto mentir per la gola Mattia, delle
lodi che dava al giovane; ma sentendosi il cuore appeso a un filo, si
ratteneva; e si sarebbe acconciato a barattare i panni con lui, se coi
panni avesse potuto pigliarne la sicurtà, e la buona grazia che egli
mostrava d'avere da Giuliano.

Donna Placidia ascoltando anch'essa quei racconti, se ne stava colle
mani appaiate fra le ginocchia, cogli occhi nel fratello tra pietosa e
annoiata: e pensando che i Francesi potevano capitare dall'oggi al
domani; lasciava sul tavolino la chicchera, il bricco, tutte le cose
di cui il pievano s'era servito; perchè le pareva tempo perduto
rigovernarle, avendo forse ad essere uccisa fra un par di giorni, e
sentendosi dentro un'anima da salvare.

Mattia era in sul bello delle sue spacconate; quando s'intese su per
la scala un passo domestico, e subito apparì sull'uscio del salotto il
signor Fedele.

«Ohe!--esclamò balzando ritto il pievano--che sono già a C...?

«Chi?

«I Francesi!

«Manco per sogno!

«Dio lodato!--sospirò il pievano dando un'occhiata di traverso a donna
Placidia, la quale nè s'era turbata prima, nè rassicurata poi; e
ripigliato animo, tirò l'amico a sedere, in sulla sua poltrona,
soggiungendo:--allora segga qui, dove siede sempre la sua figliuola...

«Appunto sono venuto a vederla per essa, e mi abbisogna un servizio...

«Ma due, se posso!--rispose don Apollinare; e allo sguardo dato
intorno dal signor Fedele, avendo capito che costui voleva non essere
ascoltato da altri, fece un cenno a donna Placidia e a Mattia, i quali
se ne andarono di là in cucina.

«Ecco!--prese a dire il signor Fedele, tenendo la persona sporta un
tantino verso il pievano, come soleva tenerla verso i clienti, che
sempre si faceva sedere di faccia:--jeri sera al tardi capitò a C...
mio genero, a farmi una mezza scenata; e ripartì piantandomi come un
matto. Io voleva venire qua subito, ma ho aspettato fino a stamane,
perchè mi sarebbe parso di dargli appicco a credere che io credessi,
quel che egli crede... cioè... che la mia figliuola... basta!
Brevemente... questa mia figliuola voleva bene ad uno quaggiù di D...

«Lo so! lo so! lo so! Il figlio della signora Maddalena!--disse il
pievano facendo una brutta smorfia, in cui compendiò tutto quel male,
che per prudenza non aveva detto, parlando del giovane con Mattia.

«Appunto! Ma io l'aveva promessa, e sebbene essa in sulle prime si
mostrasse restìa, si mise di mezzo il padre Anacleto...

«Ma se so tutto!...» tornò a dire il pievano.

«Tanto meglio! Si fecero le nozze... le feste parevano voler durare un
anno e un giorno, come quelle dei principi...: ma to! il diavolo se ne
immischia, lo sposo porta qui mia figlia... e chi sa? Qualche
occhiata, qualche rossore... siamo deboli..., e tra persone che
s'abbiano voluto bene... Insomma... signor pievano, ella può rimediare
a tutto... quel suo parrocchiano, me lo disse il padre Anacleto, è un
giacobino...: se ella lo chiamasse... se lo ammonisse... e sin che mia
figlia sta in D... gli vietasse d'uscir di casa...

«E temo che egli chiuderà noi in casa nostra:... e ci brucierà corpo,
beni, e ogni cosa...!» sclamò il pievano levandosi in piedi.

«Corpo, beni, ogni cosa!--proruppe il signor Fedele, levandosi
anch'esso, cogli occhi strabuzzati e col fiato grosso.

«Egli verrà coi Francesi che se l'han pigliato per guida! Ah! amico,
lo vuole un consiglio da fratello? stia pronto a fuggire..... o si
tenga l'olio santo in tasca..... chè s'egli viene quaggiù e ci
acchiappa, guai!

«Grazie, signor pievano,--disse tremando il signor Fedele, e uscito a
furia dal presbiterio, per poco non montò sul muletto tenuto là pronto
dal vecchio servitore, senza risovvenirsi di Bianca nè dello sposo. Ma
questi discendeva appunto, ed appariva sulla porta del suo quartiere,
respingendo dolcemente la giovane donna, la quale si teneva stretta a
lui, e pareva non lo voler lasciare. Egli si spazientiva, e chiamò il
suocero, vergognando d'essere veduto in quell'imbarazzo dai
commilitoni, che cominciavano a passare frettolosi e affaccendati, e
si raccoglievano intorno a una casa, sulla quale sventolava un'ampia
bandiera imperiale.

«E adesso che c'è?--sclamò il signor Fedele, correndo verso il genero.

«I Francesi hanno assalito i nostri sui monti del Finale....

«O Dio!--soggiunse il signor Fedele--e farò a tempo a correre insino a
C...?

«Purchè si spicci...» disse l'Alemanno scioltosi alfine da Bianca; la
quale s'avvinghiò al padre, per non cadere di sfascio: e «deh! gridava
dietro lui, non andare, non andare!» ma il marito disparve.

Allora essa si volse a pregare il signor Fedele, ed egli invece
facendo ogni sforzo per levarsela dai panni, rispondeva:

«O tua sorella, tua zia, ti pare che le possa lasciar sole...? Non sai
chi viene coi Francesi? quel giacobino rabbioso che tu stimavi un
santo...! E ci vuole tutti morti, ci scannerà tutti...! m'hanno
avvisato...»

Bianca udendo rammentare Giuliano, rimase spossata. Ond'egli riuscito
a sciogliersi dalle braccia di lei, corse al muletto, vi fu sopra
aiutato alla meglio dai soldati che arnesavano in fretta pei loro
ufficiali; e giù pel colle senza badare a pericoli, fu al piano
appunto in quella che il calesse della signora Maddalena tornava nel
borgo. Non si fermò coi curiosi, ma lavorando di garetto contro i
fianchi della povera bestia, prese la via di C... così di buon passo,
che se al generale Alemanno fosse bisognato spacciare un messo a
quella volta, in gran diligenza; niuno l'avrebbe potuto servire meglio
di lui. A mezza via abbattutosi in un ulano che veniva da C... a
briglia sciolta; egli ebbe tanta paura del rumor della spada, del
lucicar della lancia nel nembo di polvere che si levava attorno a quel
cavaliero, che fu a un pelo dal ribaltare; e se il muletto avesse
assentito alla strappata che gli diede per cansarsi, sarebbe andato a
fiaccarsi il collo giù dalla ripa. Ma come Dio volle, giunse a C...
sano e salvo, a vi trovò un bolli bolli mai più veduto. Già n'erano
partiti il parroco, il clero, i maggiorenti, e per le vie la folla era
stupefatta, come tribù di selvaggi che stesse guardando un eclisse.

Smontato alla porta di casa sua, legò il muletto al martello
dell'uscio, e salì tempestando la scala. Appena fu dentro, e vide ogni
cosa a suo posto, egli che aveva temuto di trovar la casa già
saccheggiata dai birboni del borgo; diede una grande rifiatatona, e
chiamò damigella Maria con tal voce, che i vetri delle finestre
n'ebbero a stridere come per uno squillo di tromba. La cieca e
Margherita comparvero, ed egli affannato: «animo, mettete insieme un
po' di roba, e si parte... son qua i Francesi.

«E Bianca?--chiese damigella Maria.

«Sta meglio di noi! animo! la roba e si parte!--e così dicendo passò
difilato nello studiolo; ivi aperse un armadio, ne cavò l'oro, i
fogli, le cose di prezzo, e messo ogni cosa in un sacchetto, se lo
nascose sotto l'abito, stringendolo al petto come un bambino.

«Eccole qui!--sclamò tornando in sala, e vedendo che la cognata e la
figliuola non s'erano mosse--eccole qui, che stanno a fare le
scimunite...! animo, a chi dico? chi comanda qui? Partiamo senza roba!

«Cognato--rispose la cieca dolcemente--io e Margherita si resta in
casa.

«Ma non sapete che coi Francesi, viene pure quello scellerato di D...»

In quel momento s'udì un suono di tamburi che schiantò le viscere del
signor Fedele, e fece impallidire Margherita e la zia.

«O Dio!--disse egli affacciandosi alla finestra--ed io sto qui
predicando ai porri...! Se vorrete seguirmi fino a stassera, sarò al
Convento.... più in là non so....

E infilata la scala, in un lampo fu al fondo, a cavallo, in cammino; e
il passo del muletto, si perse lontano negli altri rumori. Margherita
s'affacciò per vederlo, e ruppe in pianto.

Passavano per la via maestra i fanti di Türkeim e di Colloredo, bella
e grossa schiera che da quasi un mese alloggiava nel borgo. Usciti in
armi all'alba di quel giorno, avevano corsa per tutti i versi la
campagna; adesso coperti di polvere, mezzi morti dalla fame,
attraversavano il borgo colle bagaglie, coi carri, colle vivandiere,
strascico infinito e molesto.

«Se tu piangi--disse la cieca alla nipote--vai pure con tuo padre: ti
farò accompagnare da qualcuno...

«Ma non si poteva andare con esso anche noi?

«L'ho obbedito una volta, e mi basta... Così non l'avessi fatto, e
Bianca sarebbe forse felice. Io di qui non mi muovo, fossi certa di
dovervi morire.

«O zia, io morirò con lei! sclamò Margherita, stringendosi alla cieca.

«Eh via che non moriremo...! I Francesi non saranno peggiori degli
Alemanni. Andiamo a chiudere la porta, e niuno ci darà noia.»

I fanti continuavano a passare, facendo rimbombar le volte della scala
in guisa lugubre; ma il loro aspetto non aveva ancora nessun segno di
rotta patita. Soltanto gli uffiziali, vedendo chiudersi le case, e le
genti del borgo fuggire, parevano addolorati di non poterle difendere.
Poi fu silenzio sin verso l'ora di desinare; silenzio, dico, d'armi e
d'armati, perchè i borghigiani rimasti tirarono innanzi a fare per le
vie, i capannelli, i lamenti, i sinistri presagi. Ma più sul tardi
furono viste altre schiere, venire innanzi spingendo sui muli, sulle
barelle, una moltitudine di feriti; e a mirare come erano scomposte, e
come correvano ora alla sfilata, ora affollandosi, si capiva che
tornavano dalla battaglia seguita il mattino verso Settepani.
Affrontate dai Francesi furiosamente, avevano abbandonato le difese
dei monti; e rotte, perseguitate, afflitte di molte morti, si
rivolgevano anch'esse a D..., dove il generale Alemanno, chiamava
tutto l'esercito per messi a cavallo, che venivano come razzi; avendo
egli disegnato di far la massa in quel luogo.

Così dalle creste più alte dell'Apennino al piano di C.., la via
rimaneva aperta ai Francesi, i quali parevano risoluti di ferire
qualche gran colpo in val di Bormida; e calavano con ardire
inestimabile, rapidi, improvvisi, nuovi nei modi di guerra, come se il
fulmine li guidasse.

Finito lo strascico degli infermi, dei malconci, degli spedati, le vie
di C... rimasero mute davvero e deserte. Le famiglie rimaste, si
turarono in casa, aspettando ogni minuto di udire i Francesi sfondar
le porte. Ma passa un'ora, passane un'altra, questi non arrivavano; nè
i più animosi affacciatisi all'abbaino dei proprii tetti, videro gente
venire giù per la valle, o polverio o altro segno che l'annunziasse. A
poco a poco qualche finestra s'aprì, qualche porta stridè sui cardini,
qualche domanda fu scambiata da casa a casa; poi alcuni monelli furono
visti farsi cenni da via a via, correre, raccogliersi camminando in
punta di piedi, e parlar basso tra loro, come temessero di turbare il
sonno a qualcuno. Si consigliavano, s'animavano, facevano alle
pagliuzze chi dovesse andare fuori le mura, fino ad un certo punto, a
scoprir paese: e uno, due, tre partivano, sparivano, tornavano,
recando nulla. Allora presero a lagnarsi ad alta voce degli Alemanni
partiti, e dei Francesi non venuti; e fatto gruppo intorno al pozzo
della piazza, parevano essi i padri del villaggio, deputati a far le
accoglienze alla soldatesca nemica.

Di questo andare il giorno volgeva alla bassa ora; e già nelle case si
pensava con più spasimo, al gran tafferuglio che sarebbe stato, se i
Francesi fossero capitati di notte: quando tra quei fanciulli del
pozzo, qualcuno con viso maravigliato, additò il castello; e tutti si
volsero a guardare da quella parte, con tanto d'occhi, silenziosi, gli
uni accostandosi agli altri, come i pulcini all'apparire del nibbio.

Tra i ruderi di lassù, si vedevano uomini strani, sporgere il capo,
mostrarsi dal petto in su, arrampicarsi fin sugli alti comignoli,
agitando armi e fogli che spiegavano al vento, chiamando coi cenni i
monelli. Questi consigliatisi tra loro un poco; parte spulezzarono
paurosi, parte confortati da qualche adulto, che parlava dalle
finestre socchiuse, mossero verso il colle, dapprima alla sfilata,
quindi pigliando sicurtà; da ultimo facendo a chi arrivasse primo.
Pareva che andassero non a vedere quegli stranieri, creduti mangiatori
di bimbi, ma a far galloria; come i dì della settimana santa, che dopo
gli uffizi, solevano salire in castello a frotte, suonando un
diavoleto di nicchi, di tabelle, di raganelle, per imitare i Giudei
andati dietro Gesù in sul Calvario.

Accozzatisi con quei soldati, che erano scorridori Francesi, venuti
lassù a spiare la terra; alcuni rimasero sul ciglio del colle a
chiaccherare e a ricevere carezze; altri tornarono al basso a portare
certi fogli, che, letti dai sapienti, dicevano ai popoli delle Langhe
stessero di buon animo, accogliessero i repubblicani per fratelli,
perchè tali essi volevano essere a tutte le genti, cui portavano
libertà e pace.

Rinfrancatisi alle belle parole del generale Francese, alcuni
borghigiani si fecero cuore e salirono in castello. Chi l'avrebbe mai
pensato? Di lassù guardando verso mezzogiorno, le colline popolate qua
di vigneti baldanzosi, là di castagni antichissimi, scintillavano
d'armi percosse dal sole che andava sotto. Il bagliore di quelle armi
atterriva; ma se quei Francesi che le portavano, erano come quelli
venuti sino al castello, gente più cortese e alla buona, non si poteva
immaginarla mai più. Le accuse che loro si facevano da parecchi anni,
erano adunque fatte a torto; e così pensando, quei borghigiani si
lasciavano menare verso le alture, dove le bande appena arrivate, già
lavoravano a far terrati, abbattute, ripari; allegre, pronte,
maravigliose a vedersi tanto erano industri.

Su d'una collina, alla quale alcune case leggiadre davano aspetto più
domestico; i Francesi avevano fatto sosta in gran numero, e ponevano
il campo. Una di quelle casette, ornata la porta e le finestre d'un
bugnato di pietra verdastra, e cinta di mortelle che facevano siepe
alla spianata; era la villa di don Marco. Il poderetto che le si
stendeva a piè giù pel colle, formava il patrimonio ecclesiastico del
povero prete; il quale lo coltivava a sue mani, coll'aiuto di qualche
giovane dei dintorni, chiamato a far giornata. Egli soleva ritirarsi
in quella casetta alla stagione dell'uve; ma quest'anno vi si era
confinato già da due mesi, proprio quel giorno, in cui era tornato da
D.... dopo aver data alla signora Maddalena la trista nuova del
mutamento di Bianca. Quei mesi erano passati; della signora e di
Giuliano, non aveva più risaputo nulla; del matrimonio di Bianca
gliene avevano parlato i villici, ma egli non ci badò; e siccome
quell'anno i vicini non erano venuti a villeggiare lassù, perchè coi
tempi che correvano si stava più sicuri nel borgo, pareva al buon
vecchio d'essere in una solitudine, proprio come l'aveva sempre
desiderata.

Quel giorno della venuta dei Francesi, egli se ne stava, sul vespro,
leggendo nel breviario, e pascendo il cuore nella mestizia dei salmi,
coll'animo più nell'altro mondo che in questo.... A un tratto udì un
vocìo intorno alla casa, e affaciatosi vide sulla spianata una mano di
soldati, nuovi all'assise, all'armi, al portamento leggiadro e
guerriero.

«Chi siete?--chiese don Marco un po' turbato.

«Viva la repubblica! viva la Francia!--urlarono quei soldati agitando
le armi, e levando in alto i loro cappelli a due punte.

«Viva l'umanità!--rispose don Marco, alzando le mani e gli occhi al
cielo; e i soldati a coro--«viva l'umanità!»

Allora il prete discese, portando le chiavi di certo ripostiglio dove
teneva in serbo un po' di vino. Ed ebbe da fare un bel che, cogli
abbracciamenti, colle strette, coi baci di quei soldati; i quali,
sebbene l'avessero riconosciuto ai panni per un prete, l'acclamavano
di gran cuore, e qualcuno forse per canzonatura. Frattanto i più
ghiotti invasero la casetta; tra quattro o cinque tirarono fuori un
caratello dal ripostiglio, e postolo sulla tavola di pietra in mezzo
alla spianata, vi furono attorno avidi, come uno sciame d'api ad un
alveare.

Don Marco guardava sorridendo, quando fu visto aprirsi un varco fra i
mirti della siepe, un giovane che gli si strinse al collo dicendo:
«Buon dì, maestro, mi dia nuove di mia madre!

«Tu?--sclamò don Marco rivenendo dalla sorpresa, e ravvisando a fatica
Giuliano che s'era lasciata crescere la barba, e si aveva tagliata la
coda;--Tu? Meno male che non entri nel tuo paese coll'armi alla mano!
Ma donde vieni.... dove sei stato sino ad ora, che cosa sei?

«Servo da chirurgo la repubblica francese. Mi dica per carità, di mia
madre sa nulla?

«Nulla, ma ne sapremo, e come ci stai con costoro? e quelli là chi
sono?»

«Sono uffiziali che accompagnano un generale.....

«Andiamo da loro.....»

E tirando Giuliano, s'avviò con lui verso una vetta, alla quale saliva
una brigata di cavalieri, alcuni con sì bei pennacchi sui cappelli,
che dal tempo dei feudatari i boschi di lassù non avevano più veduto
nulla di sì leggiadro.

Quei cavalieri andavano a porsi su d'un poggio, donde si scopriva
tutta la valle sino a D....., di cui si vedevano biancheggiare
nell'ultima luce del giorno i tre vichi. E guardando verso quelli con
grossi cannocchiali, gesticolavano parlando tra loro, forse del
brulichìo d'Alemanni, che coll'aiuto di quegli strumenti, vedevano
farsi in quel luogo.

Giuliano giunto sul poggio con don Marco, subito pose l'occhio su quei
lembo di terra. Ah! lo scoprire da lontano la casa paterna, e colla
fantasia e colla memoria figurarsi quello che vi si fa dentro, è pure
la dolce cosa! Ed egli volò laggiù coll'anima, e quasi s'inginocchiava
colle mani giunte; ma in quella don Marco mettendogli la mano sul
braccio, gli accennò di porgere l'orecchio a quel che si diceva da
quei cavalieri.

Esplorando coi cannocchiali la valle, essi avevano visto alcuni uomini
armati di schioppi, entrare ed uscire dal convento dei Minori
Osservanti, lontano di lassù meno che un miglio; e accompagnati da
frati che spiccavano bruni sul tufo biancheggiante dei colli, quegli
uomini andavano e tornavano con portamenti sospettosi.

«Spacciate una compagnia a quel covo di ladri laggiù!--diceva il capo
della brigata, levandosi il cannocchiale dall'occhio e segnando con
quello il convento:--fucilino quanti coglieranno armati, monaci o
villani. Le donne, i vecchi, i fanciulli, se ve ne saranno, guai a chi
torce loro un capello!»

Un cavaliere partì come un razzo, a far l'ambasciata.

Quel fiero comando, quel pronto obbedire, posero don Marco in gran
turbamento.

«Faranno davvero?--chiese egli a Giuliano spasimando la risposta.....

--Sicuro!--rispose Giuliano--ma non dubiti, correrò io al
convento......

«Bravo!--proruppe don Marco--io t'accompagnerò.....

«Che! bisogna andar cauti, chè costoro non sono gente da pigliar a
gabbo. Piuttosto ella se ne vada giù nel borgo, persuada gli anziani a
mostrarsi amici ai Francesi. Fra poco arriverà il grosso dell'esercito
che lasciammo a due miglia di qui.....: vada, ma cauto, le ripeto; al
convento ci penso io.»

Mentre essi parlavano, la cavalcata s'era tolta dal poggio; i colli si
coprivano di fuochi; e i repubblicani cominciavano a cantare la
Marsigliese, salutando la sera e la vigilia d'una battaglia odorata
nell'aria.

Don Marco pareva ringiovanito, e separandosi da Giuliano, si fece
promettere che si sarebbero riveduti nel borgo. Il giovane partì;
pigliando cautamente la via dei boschi, e ora giù per una ripa, ora su
per una costa, giunse vicino al convento, certo d'avere fatto assai
presto. Ma udendo, nell'arrivare, a un trar di schioppo, un rumore di
lamenti, di guai, di voci irate e minacciose, s'arrestò ad ascoltare.
Che vi fossero gli Alemanni? Tutt'altro! Lo colse un brivido, gli
rimorse d'essere venuto per un giro troppo lungo, si slanciò innanzi
risoluto, seguisse quel che poteva seguire. Infilando i pergolati,
s'udì spianare in faccia uno schioppo, e una scolta francese gridargli
chi fosse.

«Viva la repubblica!--rispose Giuliano cogliendo a fatica fiato
bastante, e passò. Giunto in cima di corsa, per la porta allato alla
chiesa entrò nell'orto, donde il rumor delle voci veniva più alto;
scantonò dietro il coro, e là come un baleno che gli desse negli
occhi, vide tre uomini legati in fascio da una grossa fune, un
drappello di soldati spianar gli schioppi, una vampa, una nube, e col
tuonar di quell'armi udì un grido alto: «oh signor Giuliano!»
Dall'orlo d'un calcinaio dov'erano stati posti, i tre caddero sugli
avanzi della calce spenta, e la tinsero di sangue: il lume delle torce
prese in sagrestia e portate da' soldati, rischiarava in funebre guisa
quei corpi, le mura del refettorio, della chiesa, del campanile che
dal mezzo in su torreggiava nel bujo; e sulla cima, allo scoppio delle
moschettate, un gufo s'era taciuto, senza osare, povera bestia,
pigliare il volo.

Giuliano si arrestò, si asciugò la fronte, e gli parve di sentirsela
fra uno strettoio. Di chi era quel grido che più doloroso non lo
avrebbe potuto gettare un'anima, voltasi addietro dalla soglia
dell'inferno, a chiedergli aiuto? Passò dinanzi ai soldati che
ricaricavano l'armi severi, balzò nella fossa, e guardò i morti. Un
d'essi era Mattia.

«Che fate?--gridò l'ufficiale francese, correndo verso il calcinaio
colla spada sguainata.--Ah! chirurgo, siete voi? Vi paiono morti per
bene?

«Sì.....--ma..... e quello lì che cosa aveva fatto?--chiese Giuliano
additando Mattia.

«Costui? Era uno spione cui abbiamo già perdonata la vita una volta.
Fuggì dal nostro campo due giorni or sono; fu colto qui, i nostri
l'hanno riconosciuto..... e si capisce.....»

Questo era un fatto da perderci la mente. Ma come mai Mattia s'era
fatto cogliere in quel convento? Era o non era ancora stato a D.....?
O forse non poteva essere venuto di là mandato dalla signora
Maddalena? Oh! avesse potuto dare metà degli anni che gli rimanevano,
per averlo vivo un'altr'ora, Giuliano l'avrebbe fatto, e di che cuore!

Con questi pensieri che gli si azzuffavano nella mente, e col cuore
trambasciato, Giuliano si volse per chiedere all'uffiziale ancora
qualcosa. Ma questi se n'era andato, e i soldati con lui, nel
convento; dove scale e corridoi suonavano di passi e di colpi menati
co' calci degli schioppi, a sfondare gli usci alle celle. Allora egli
si avviò da quella parte, e affacciandosi ad una porticina che
dall'orto, per un andito, metteva nel chiostro; vide come il terrore
della morte scolorava i volti d'una moltitudine di frati, di villani,
di donne e di gentiluomini, che parevano cadaveri, tenuti ritti l'uno
dall'altro tant'erano stipati. Costoro erano la più parte persone che
s'erano venute a rifugiare nel convento; e sebbene sapessero dei
Francesi arrivati in C..., credendo che anche per costoro la notte
fosse fatta per dormire, s'erano lasciati cogliere, come uno stormo
d'allocchi presi alle paretelle. E non avevano avuto tempo
d'accorgersi che i repubblicani venivano a quella volta, che già gli
schioppi dei villani erano stati strappati dalle loro mani e rotti ai
pilastrini dei pergolati; le schiene rimbombarono percosse dalle
pugna; le bocche cessarono i guai, per le grandi palmate che vi
calarono sopra. A urti, a spintoni erano stati chiusi tutti nel
chiostro, dove il rumor delle schiopettate che avevano morto Mattia e
i due compagni; loro era parso il segno della fine imminente.

Giuliano guardò quella folla dolorosa, e (non per profanare una
credenza) gli pareva d'essere giunto al Limbo, tanti furono gli occhi
che si volsero a lui pieni di speranza, forse per qualche segno di
somma dolcezza e di mestizia che aveva nel viso. A un certo moto che
egli vide farsi in un punto fra quei miseri, ne scoprì due che si
stringevano e si turavano nei panni, quasi per nascondersi a lui.
Erano il padre Anacleto ed il signor Fedele, i quali avrebbero dato la
loro parte di paradiso, pur di non vedere là in mezzo quel giovine,
terribile a loro più d'ogni francese. L'aveva pur detto il pievano di
D...! Colui veniva a pigliarsi una vendetta, che niuno, salvo uno
scellerato par suo, avrebbe saputo pensare! Così sussurrava il signor
Fedele al frate; il quale osando allora fissare un tantino Giuliano,
credette di vederlo fare il viso d'un beccaio, che affilando i suoi
coltellacci, cercasse nel branco un par di pecore, da scannare le
prime. Tremavano come foglie di pioppo; fiato non ne avrebbero avuto
tanto da levarsi un bruscolo dalle labbra; e il cuore faceva loro tali
schianti nel petto, che sarebbe stata crudeltà non ucciderli d'un
tratto, o non mandarli liberi a dirittura.

Un senso, che non seppe mai dire di poi se fosse più di pietà o di
spregio, si dipinse sul viso a Giuliano; perchè occhi più umiliati non
s'erano mai chinati dinanzi a lui. Se gli archi del chiostro,
squallidi come oggi sono, serbassero alcun segno delle occhiate di chi
in quella notte credè vederli l'ultima volta, certo sarebbe dei
quattro occhi del frate e del signor Fedele. Il giovane si rivolse
all'uffiziale francese che stava anch'egli in mezzo alla folla, e gli
disse: «Capitano, se me li date, questi due gli acconcio io.»

«Ah! ah!--rispose il Francese--avete le vostre vendette da fare? Già
siamo nei vostri paesi! Accomodatevi; due più, due meno non fanno
caso.»

Giuliano, in mezzo a un gran bisbiglio, prese quei due, li trasse
fuori, attraversò la cucina saccheggiata; e uscendo per la postierla
di questa, si mise con essi sulla via che menava alla palazzina del
signor Fedele. Camminavano muti, essi dinanzi, egli di dietro; e i
disgraziati credevano ad ogni passo di sentirsi dar nelle spalle
qualche arma, veduta con certo occhio che loro pareva d'aver nella
nuca. A un tratto Giuliano si fermò e disse:

«Chi sa dirmi che cosa fosse venuto a far qui quel Mattia che fu
fucilato?

«Era venuto per me...,--cominciò il signor Fedele.

«Anzi per me;--interruppe il padre Anacleto--mi portò una lettera...

«Una lettera che parlava di me--» protestò il signor Fedele, subito
mordendosi la lingua per l'imprudenza che stava per commettere.

«E per avventura, disse nulla di mia madre...?--incalzò Giuliano,
troncando quella brutta gara.

«Oh..... sua madre la vedemmo noi stamane, che veniva a fare una
scarrozzata verso C...--rispose il frate facendo la voce rispettosa.

«Grazie!--disse Giuliano; e con quelle due consolazioni di sapere che
sua madre stava bene, e che Mattia non era venuto a morire al convento
mandato da lei; dava di volta per piantare quei due. Ma allora avvenne
cosa che gli fece alzare gli orecchi subitamente.

I colpi di moschetto da cui erano stati uccisi Mattia e gli altri due
miseri, avevano messo in sospetto una grossa avvisaglia d'Alemanni,
che velettavano i monti di là del convento verso D..., ed erano corsi
a quel tetro richiamo. Buon pei Francesi, che avevano posto assai
innanzi le loro scolte, le quali diedero voce del nemico vicino:
perchè appunto in quella che Giuliano era lì per allontanarsi dal
frate e dal signor Fedele, che quasi gli erano cascati ai piedi dallo
stupore; le schioppettate incominciarono, le fiamme si levarono alte
sopra il convento cui i Francesi avevano appiccato il fuoco, e non si
udirono più che grida d'Alemanni accorrenti, grida di Francesi che si
ritiravano; voci di poveracci che si chiamavano tra loro fuggendo dal
chiostro; e dai monti vicini, urli di villani, e persino qualche suono
di nicchio marino, ma rado e restio. Parte degli Alemanni si
arrestarono a spegnere l'incendio, parte inseguirono i Francesi, i
quali facendo testa quando potevano, rispondevano di grandi
schioppettate; e ai lampi di queste si capiva dov'erano gli uni e gli
altri; e per l'aria scura solcata da tante palle era un sibilio, che
pareva una zuffa di serpenti foiosi.

Giuliano non avendo più nulla a fare in quel tafferuglio, pigliò la
via di C... Il signor Fedele e il padre Anacleto, sebbene non
invitati, gli tenevano dietro come due bambini timorosi di essere
abbandonati in un bosco; e per vigneti e per campi inciampando,
ruzzolando, ma sempre alle sue calcagna, in capo a un'ora videro le
porte del borgo.

Il grosso dell'esercito Francese vi era giunto sul far della sera, ed
aveva posto il campo sul greto del torrente, sotto gli olmi intorno
alle mura, come per stringere d'assedio la terra. E riposava sicuro,
essendosi buon nerbo di cavalli spinto innanzi sulla via di D..., a
fronteggiare gli Alemanni, se qualcosa avessero voluto tentare.

Per certi chiassi a lui noti, Giuliano mise nel borgo quei due
paurosi; poi se ne scompagnò per cercare don Marco, col quale erano
d'accordo di rivedersi la notte.

Essi non osarono ringraziarlo; ma muro muro il signor Fedele condusse
il frate alla porta di casa sua. Salendo le scale, udirono damigella
Maria, Margherita e don Marco che parlavano del cognato, del convento,
dei Francesi che erano andati a farvi chi sa che tragedia. Esse
parevano disperarsi; e il prete si studiava di confortarle, dicendo
che anche Giuliano era andato laggiù, ma con animo generoso.

«Margherita, Maria, son qui! son qui!--entrò gridando il signor
Fedele; e la fanciulla e la cieca si lanciarono verso di lui; e
abbracciamenti e baci e lagrime mescolarono a parole d'affetto, mai
più dette là dentro.

«E sono qui per lui!--proseguiva il signor Fedele:--son vivo per quel
bravo giovane di D... che mi ha salvata la vita tre o quattro
volte!...»

«Oh!... alla fine delle fini,--interruppe il padre Anacleto, stizzito
da certe occhiate di trionfo dategli da don Marco:--lodare è bene, ma
se non fosse stato colui, tanto ci salvavano gli Alemanni...

«Ingrato!--urlò il signor Fedele; e per la collera non potè manco
accorgersi di don Marco, che se n'andava di quella casa, per non dire
al frate le amare parole che meritava.--«Dio perdona tutti, ma agli
ingrati no!»

E qui cominciò tra loro una contesa, in cui si dissero a vicende
parole acerbe, risentite, ingiuriose; rifacendo la storia, dal
rabbuffo toccato al frate quel mattino dallo sposo di Bianca, sino
alle prime cure poste da lui, a stornar l'animo della fanciulla
dall'amare Giuliano.

Intanto don Marco coll'anima piena di gioia per il bel fatto del suo
scolaro; giungeva in piazza, dove alla luce di lanternoni e di
schiappe di pino accese, vide alcuni cavalieri splendenti d'oro,
semplici negli atti e fieri nei volti, i cui lineamenti risaltavano
illuminati vivamente da quelle torce strane. Uno di essi discorreva
imperioso con qualcuno, che doveva stargli dinanzi, ma che non si
vedeva, per essere di certo a piedi e corto della persona.

«Voi non siete venuto ad incontrarci;--rimproverava il Francese,
continuando un discorso cominciato prima che Giuliano arrivasse--voi
vi ho dovuto scovare come un lupo; voi avete lasciato fuggire la gente
dal borgo come se noi si venisse a divorarvi; e forse i paesani vostri
che corrono la campagna, gli avete armati voi. Ma ho già fatti punire
i frati del vostro convento di laggiù, che invece di Cristi maneggiano
tromboni: e se ne ricordino bene, la repubblica Francese vuol bene a
tutti, ma guai a chi le contrasta! Voi intanto sarete custodito,
finchè mi abbiate fatto trovare cinquanta bovi, cento botti di vino,
ventimila pani...

«E in grazia,--rispose ardito colui che non si poteva vedere, ma che
don Marco riconobbe alla voce pel Sindaco; un omicciattolo che a
pagarlo un quattrino, sarebbe parso buttar via la moneta;--in grazia,
signor generale, tutta questa roba dove la piglio?

«Ingegnatevi!

«Ma il buono e il migliore, se l'han portato via gli Alemanni!

«Dovevate opporvi...

«Già... per farmi accoppare da loro, perchè tutt'una mi accopperete
voi...!

«Arrestatelo! domani la roba, o faccio appiccar il fuoco al villaggio!

«Ed io vi porterò il tizzo![1]

    [1] È storia.

«Bravo!--fu lì per esclamare don Marco, ammirando il Sindaco che se la
sbrigava così da valent'uomo; ma buon per costui che Giuliano capitava
a porsi di mezzo, che se no il Francese l'avrebbe conciato come si
poteva immaginare alla rabbia, che gli sbuzzava dagli occhi. Il
Sindaco e il Francese che si lasciò chetare da Giuliano, rimasero, che
uno avrebbe dato, l'altro si sarebbe accontentato, di quel che si
poteva trovare; e quando quella adunanza si sciolse, il giovane si
sentì pigliare per la mano, e dire: «ora poi, mi pare che tu abbia
fatto anche troppo. Andiamo a casa mia, che tu caschi della
stanchezza.».

Chi gli parlava a quel modo era don Marco, che di maraviglia in
maraviglia, cominciava a provare per lui un po' di venerazione.... E
Giuliano si lasciava menare non badando dove; ma quando fu nel vicolo
del prete, come fumea di bevande acri e stupefacenti, sentì levarsi le
immagini delle cose vedute di fresco, mescolate alle memorie
rinascenti alla vista di quella casa. Entrando da don Marco
s'abbandonò spossato sul vecchio divano; e il prete si diede attorno
per ammanirgli un po' di cena, con pane ed uva, che s'era procacciato
a fatica. Ma quando ebbe apparecchiato e chiamò l'ospite, per
offrirgli quella grazia di Dio, e farsi raccontar meglio le cose
avvenute al convento; lo trovò addormentato di sonno così profondo,
che manco una cannonata l'avrebbe svegliato. Egli allora s'ingegnò ad
assettare i cuscini del divano, in guisa che non dormisse a disagio;
poi fatto coll'indice un cenno, come per fare star zitto qualcuno,
tolse di là il lume, e in punta di piedi andò a porsi nella stanza
vicina. Ivi chiuse gli occhi anch'esso, e come li riaperse, credè di
avere dormicchiato forse un'ora. Ma se gli fosse venuto in mente
d'affacciarsi a guardare il tempo, avrebbe udito un rumore venir di
lontano, somigliante a quello di mare che si franga tranquillo alla
riva. Era l'esercito della repubblica, che ripigliate le armi, si
riponeva in via alle sue grandi venture.




CAPITOLO XXI.


Al primo rompere dell'alba, Giuliano e don Marco, erano già sul ponte;
non essendovi stato verso pel giovane, di persuadere il prete a
rimanersi dal seguire lui e i Francesi.

Quello era il primo giorno d'autunno. Una nebbia densa occupava
l'aria; e la Bormida faceva quei fumacchi, che quando io era
fanciullo, mi parevano d'acque scaldate di sotto dal demonio. Pochi
borghigiani usciti a pigliar lingua dei Francesi, andavano di su di
giù; ma niuno osava allontanarsi dal borgo due tratti di pietra.
Vedendo i due passar frettolosi, e don Marco ingegnarsi per istare a
paro con Giuliano, diedero loro di matti; perchè a mettersi giù di
quella via con quel po' di soldati innanzi, non vi si poteva rischiare
se non chi cercasse pan migliore che di frumento. Ma don Marco non
udì, nè Giuliano era il caso di badare a quei bisbigli, per la gran
furia d'arrivare i Francesi. Dei quali discosti dal borgo un trar di
schioppo, cominciarono a trovarne alcuni riversi nei fossati; o
intenti a rialacciarsi le uose e le scarpe; o che pur reggendosi assai
bene, facevano le viste d'essere spedati, e d'avere addosso qualche
malanno. «Avanti cittadini--gridavano costoro, baldanzosi--diamo
addosso al nemico, avanti animo!»--«Non dia retta, maestro:--diceva
Giuliano a don Marco, che già era lì per rispondere a quei
soldati:--costoro sono poltroni, primi sempre ad annunciare le
sconfitte, ultimi a sapere le vittorie: non combattono mai, e frugano
i morti.»

Don Marco non fiatò più; e così tirarono oltre silenziosi sino a
quella cappelletta, dove il signor Fedele e il padre Anacleto, s'erano
incontrati colla signora Maddalena il giorno innanzi; non sognando che
l'indomani fosse per passarvi tanta briga d'armati. Là trovarono la
gola, per cui varcava la via, assiepata di grossa compagnia di
Francesi, i quali davano loro le spalle; e viste biancheggiar nella
nebbia, le bandoliere delle daghe e delle patrone, che si incrociavano
sulle loro schiene, ponevano in cuore un po' di sgomento. Don Marco e
Giuliano si arrestarono a pochi passi da quella schiera, piantata là
in silenzio solenne: e spinsero lo sguardo, se nulla si potesse
scoprire più oltre. Ma la vista era impedita dalla nebbia che
incominciava appena a risolversi; nè di lontano nè da vicino veniva
nessun rumore, salvo che quello dei goccioloni di guazza, cadenti da
foglia a foglia di sui castagni. Giuliano si sentì pungere dal gran
desiderio di andare innanzi; ma non gli reggendo il cuore di tirar
seco don Marco a chi sa quali sbarragli; voltosi a un tratto a lui,
gli disse:

«Maestro, dia retta a me....»

«Io faccio tutto quel che ti pare.

«Si lasci accompagnare indietro.

«Ora poi mi offendi--disse dolcemente don Marco, ti ho detto sin da
C..... l'animo mio; e se tu non puoi stare con me, mi raccomanderò a
quest'uffiziale che ci viene incontro.

«Allora tiriamo innanzi.»

Con questo discorso s'avvicinarono ai Francesi, e tra le faccie di
quei soldati volte di sopra le spalle a guardare chi venisse; il prete
ne vide di così dolci, tranquille e giovanili, che gli parve d'essere
in mezzo alla sua scolaresca. Altre erano fiere come di centauri;
altre segnate di certi sberleffi, che egli non le poteva guardare
senza stupore.

«Oh! ancora qui, voi signor chirurgo?--sclamava, con clamorosa
piacevolezza, l'uffiziale visto da don Marco venire incontro a lui a
al suo scolaro:--ieri sera mi coglieste a quel convento del diavolo,
che non ho potuto bruciare del tutto; adesso mi trovate qui alla
retroguardia: pazienza! Costì il vostro compagno, che all'abito mi
pare un prete, m'insegna che gli ultimi saranno i primi, e i primi gli
ultimi, anco in paradiso.

«E che novità abbiamo?--chiese Giuliano, per finirla colle freddure
del Francese.

«Ve le saprò dire stassera, se avrò ballato di gamba sana. Oh! a
proposito, noi dobbiamo essere poco discosti dal vostro paese?

«Men che tre miglia.

«Buona cosa a sapersi: stassera vi invito a cenare in casa vostra,
che? i suonatori accordano i clarini....... signor chirurgo,
buonaventura.»--E così dicendo il capitano tornò al suo posto.

Appunto alcune schiopettate, come d'una caccia mattutina, s'udirono in
quell'istante, giù giù nella valle; e il sole levandosi, illuminava le
vette dell'ampio semicerchio d'alture, che chiudono il pian di D...
dalla parte di tramontana. Allora nei vigneti e nelle macchie, si vide
uno scintillar d'armi; e basso nei prati e nei campi, diradata la
nebbia, apparvero le colonne Francesi, intente ad attelarsi, nel
silenzio altissimo che regnava sulla campagna. Quel silenzio pareva
stupore degli uomini e della natura: e lo rompeva a tratti qualche
squillo di tromba, come voce mandata da qualche genio guerriero a
significare al più destro dei due capitani, quali fossero i luoghi più
acconci all'offendere, alle difese, a guadagnar la giornata.

«Era imminente una battaglia, nella quale da una parte dovevano
combattere un ardire inestimabile, e l'incentivo di vittorie fresche:
dall'altra una grande costanza, una stabilità provata negli ordini, i
luoghi forti ed affortificati, ed un'artiglieria elettissima.» E per
poco, questa battaglia io non la ricopio di netto dalla storia del
Botta; il quale ne parla come di cosa veduta, e il campo descrive a
puntino, come fosse stato un podere suo. Chi legge è messo da lui così
nella mischia, che gli pare d'assalire i colli, guadagnare le vette,
correre tutto un giorno il piano da un capo all'altro; a portare gli
ordini dei capitani, a raccogliere i feriti, a chiudere gli occhi ai
morti; ognuno secondo la propria natura. E chi parteggia pei Francesi,
vede con dolore la vittoria inclinare da principio sulle due ali, a
favore degli imperiali; e il passo in cui consiste l'importanza del
fatto, assaltato e difeso con ammirabile costanza. Torna umiliato
colle fanterie, che non hanno potuto superare quel passo, munito di
due cannoni, tra il fumo dei quali una grossa squadra d'ulani guata
ghignando: ma finalmente gli si snoda il cuore, applaude alla
cavalleria Francese che si fa avanti, s'accende, spera; e si lancia
con essa, contro la cavalleria Alemanna, a investirla, a fugarla, a
farla finita.

Fra i nostri personaggi, quella che meglio degli altri vide le cose
descritte dal Botta, e il gran cozzo dei cavalieri, fu Bianca; la
quale non aveva pensato a quella sorta di tornei, quando il padre
Anacleto, dirizzandola al matrimonio, le empieva la mente di oblìo, di
castelli e di fole. La povera donna, lasciata il giorno innanzi dal
babbo e dallo sposo, nel modo che il lettore ricorda; era caduta in
tale scoramento, che al vecchio servitore, e a donna Placidia corsa ad
aiutarla, era parso di poter far Gesù con tre mani, essendo in capo a
parecchie ore riusciti a tirarla un po' su, e a capacitarla, che colle
querele non rimediava a nulla. Poi il pievano l'aveva servita,
scrivendo al nome di lei, la lettera portata da Mattia al padre
Anacleto; e siccome in quella essa aveva pregato il frate a far sì che
il babbo, la zia, Margherita, si rifugiassero a D..., per campare dai
giacobini; s'era rassegnata ad aspettare, e a dar retta alle
consolazioni di donna Placidia. Ma passato il giorno, passata la
notte, aspetta e sospira, Mattia non fu più visto tornare: spuntò il
sole di quel mattino, e lo sposo anch'esso non si facendo rivedere;
Bianca si lanciò al balcone come per buttarsi giù disperata; e vide i
due eserciti occupar la campagna, ponendosi lenti di fronte. Capì....
accusò il padre, il frate, sè stessa tutti, salvo che l'Alemanno; e
dal sentirsi sola, pigliò la forza di tenersi ritta, finchè la sua
sciagura fosse compiuta. Rimasta a quel balcone, non tolse più
l'occhio dalla cavalleria Alemanna, che tutto il giorno volteggiò di
su di giù, di qua di là, per i campi; e verso sera la vide salire un
dolce pendìo, e porsi sul lembo della pianura, che s'allargava dalla
parte donde venivano i Francesi. Le migliaia d'uomini azzuffatti in
ogni parte, erano nulla per lei: sapeva che il marito conduceva quella
cavalleria, e non cercava che lui in mezzo a quel nugolo di cavalli,
avvolti a tratti nel fumo della battaglia, che il vento soffiava loro
addosso. I pennoncelli delle lance tremolavano come fossero
drappellati a festa sul capo dei cavalieri, e parevano esprimere i
moti dei loro cuori, spazientiti del troppo indugio a rompere nella
mischia.

«Eccolo--pensava--egli è laggiù.... e si direbbe che non aspetti altro
che il segno, per correre a farsi uccidere, come se io non fossi più
viva.... Io...! ma che gli importa di me? Non m'ha più cercata da
ieri...! La gloria.... la gloria egli vuole; e che io triboli
pure!.... Ahimè!... padre Anacleto, dove m'ha condotta! E se
quell'altro fosse davvero nel campo di là...? se s'incontrassero? Oh
venisse notte; benedetto sole va sotto, va sotto...! ave Maria...!»

A un tratto, e mentre appunto cadeva il sole, essa vide partirsi di
lontano, e come turbine venir cacciandosi innanzi la polvere, una
squadra di cavalieri Francesi; e quelli condotti da suo marito, calar
le lance, curvarsi sul collo ai cavalli, spiccarsi ad incontrarla; e
urtarsi, confondersi, fare un viluppo, su cui si levò un polverìo
denso e diffuso. Allora parve alla povera Bianca d'essere afferrata
pei capelli, levata in alto, e precipitata di lassù; le mancò il
cuore, diede un grido, cadde riversa sul pavimento; e forse colla
fantasia delirante, continuò a vedere quello che avvenne nella zuffa
tremenda.

Al primo urtarsi delle due cavallerie, era stato un tempestar di
spade; un rombar di lance rotate in molinelli abbaglianti; un
mescolarsi di valentuomini che mai il più fiero. E ognuno dei
cavalieri faceva per sè molto bene la bisogna di menare e parare colpi
terribili; ma tutti avevano visto alla sfuggita, i due comandanti
azzuffarsi tra loro, calar fendenti non più veduti, dacchè le armadure
della vecchia cavalleria erano state smesse; e vibrare di punta,
proprio colla voluttà feroce, ognuno di sparar l'avversario, e
passarlo fuor fuori, spingendogli fino all'elsa nel petto. I cavalli
assentivano ai moti dei due capitani, come avessero intelletto d'odio
quanto essi; e inveleniti lavoravano di morsi, e nitrivano
selvaggiamente, quasi a spaurire i vicini che facessero largo ai due
prodi. Già le lame intaccate avevano mandato schegge e faville; e
molte lance spezzate cadevano di mano agli ulani; già tra le due parti
si scambiavano parole ingiuriose di resa, e molti erano caduti. Ma se
fosse bisognato una parola o una goccia di sangue dell'uno o
dell'altro di quei due, a cessare la zuffa; pareva che avrebbero
potuto sterminarsi a loro agio tutti, tanta era la loro maestria nel
pararsi e lo sdegno del darsi vinti. Senonchè in quel volteggiare
l'Alemanno si trovò un istante colla fronte volta al borgo, e
un'occhiata al castello non potè non darla, forse a cercare se la sua
sposa sventolasse di lassù qualche segno di saluto o di plauso. Fu
come se egli avesse detto: «guai a me!» perchè appunto un fendente del
Francese gli ruppe il berrettone, gli spaccò il cranio, gli empiè gli
occhi di sangue. Egli aperse le braccia, diede del petto sul collo del
cavallo, il quale alla corsa in cui ruppe, parve lo volesse portare in
salvo; ma non ebbe fatti due lanci che il misero stramazzò di sella,
piombando morto.... E gli passò sul petto la furia dei suoi, fuggenti
ai ripari del borgo; e l'onda dei Francesi fatti sì arditi ad
inseguirli, che la terra pareva già presa. Ma trentasei cannoni,
cominciarono a trarre da quella contro di loro, e a farne tale
strazio; che furono costretti a tirarsi in parte, dove quelle
artiglierie non gli potessero arrivare.

In un momento fu notte, e nella terricciuola di R.... sott'essi i
porticati, dove i coloni sogliono tenere i loro arnesi, nelle stalle,
nella chiesa, per tutto: cessato il fragore della battaglia, i guai,
il pianto, le voci dolorose dei feriti, volte nel delirio alle patrie,
alle persone care e lontane; empievano a quell'ora l'aria di
malinconia. Don Marco e Giuliano nell'adoperarsi intorno a quella
miseria, s'erano scompagnati sin dal mattino: e verso la mezzanotte,
insanguinato e stanco, Giuliano finiva di fasciare un ultimo ferito,
proprio alle più avanzate guardie, là dove le due cavallerie s'erano
azzuffate. Il suolo era ingombro di morti; e forse i suoi piedi
calpestarono le zolle, che avevano bevuto il sangue dello sposo di
Bianca; forse tra i cadaveri inciampò in quello ch'era stato il suo
rivale felice. Ma egli non vi pose mente, perchè l'anima gli si era
raccolta tutta negli occhi. Il borgo di D.... si vedeva lì rimpetto;
veniva da quello un rumore sordo di carra; forse erano le artiglierie
che facevano rimbombare gli archi del ponte, passandovi sopra; forse
l'esercito Alemanno che si moveva. Le scolte francesi stavano tutte
orecchi; un gruppo d'ufficiali avvolti nei mantelli e raccolti su d'un
poggiuolo, parlavano basso tra loro; alcuni cavalieri andando e
tornando cauti, e traditi soltanto da qualche nitrito, esploravano la
campagna tra le scolte francesi e il borgo.

All'idea che in sull'alba sarebbe ricominciata la zuffa, Giuliano si
sentì al cuore uno schianto. Si pose colla fantasia vicino a sua
madre; e si vergognò d'aver tanto aspettato, che altri gli aprisse le
porte di casa sua. Risoluto si mise in un ruscello coperto di grossi
cespugli: camminò cauto in guisa, che potè cavarsi dalla corona di
sentinelle francesi; e dopo molto stentare, giunse a guadagnar
l'argine della gora, che sappiamo come lungh'esso il piè d'una roccia
quasi tagliata a filo, corresse ad un molino, così poco discosto dal
suo piazzale, che talora la spruzzaglia cacciata in aria dalle ruote
andava a innaffiarlo. Là poteva essere per lui il malpasso, però che
gli Alemanni gli stessero sopra poche braccia, sul ciglio di quella
roccia; e ne udiva il gran darsi attorno, il bisbigliare concitato, e
le parole imperiose. Ma la casa materna non era più che a quaranta
passi, e nelle tenebre pareva pigliar forme vive e fargli cenni per
incuorarlo. Tirò innanzi colla buona ventura quegli altri passi
rischiosi; ma quando si sentì sotto i piedi il suolo del suo piazzale,
e provò quel che forse prova un naufrago uscito nuotando alla riva; il
cuore gli batteva sì forte; che gli bisognò fermarsi a ricogliere il
fiato. E fu per lui gran ventura, perchè se tirava innanzi, s'andava a
porre da sè in mano di quegli Alemanni, che un mese prima, l'avevano
fatto cercare, come un malfattore. Due, quattro, dieci, ne vide una
processione venir fuori dall'atrio, trascinando le sciabole; e a
badare come camminavano, come parlavano concitati, di certo frullava
loro in capo qualcosa di grosso. Al raggio di lume, che dalla porta
della sala, li coglieva nelle schiene, man mano che scantonavano
dall'atrio in sul piazzale, Giuliano li conobbe per uffiziali; e lesto
si rannicchiò all'ombra del muricciuolo, dove stette finchè furono
tutti passati. Udiva il martellamento del proprio cuore: udiva i
discorsi concitati di quegli uffiziali; e da mano manca dove erano i
suoi poderi, veniva un rumore cupo di calpestìo. Pensò che l'esercito
Alemanno, si apparecchiasse ad un attacco notturno, ma di questo non
si curò punto; e come potè farlo non visto, si lanciò nell'atrio, e di
qui nella sala, illuminata da quante lucerne erano in casa. Sul
tavolino, vide carta, penna e calamai alla rinfusa; capì che i
generali Alemanni vi si erano raccolti a consiglio; e la gatta balzata
là sopra pur allora, si stirava le membra, dimenando la coda e
fiutando, come se gli uomini usciti poco prima, vi avessero lasciato
odore di sangue. Il giovane stette ad ascoltare un istante: dalla
cucina nulla, dalle altre stanze terrene nulla, silenzio per tutto.
«Saranno di sopra» disse tra sè, e non badando manco a pigliarsi un
lume, salì. Si fermò nel corridoio, dubbioso.... gli si affacciò
l'orribile idea che sua madre e Marta fossero state uccise.... ma
subito vide un barlume dall'uscio della camera materna, e udì la voce
cara più d'ogni cosa al mondo. Ma ohimè! come fioca, come ridotta ad
un filo!

«Dunque--diceva quella voce--Marta, il saio, il cordone, il crocefisso
da pormi fra le mani, vi è tutto?

«Che è questo!--sclamò Giuliano, ad alta voce senza avvedersene; e
l'affanno gli crebbe.

«Oh! non l'avete udito?--seguitò al suo grido la voce di dentro:--Dio
della misericordia, egli viene il mio figlio, aprite; oh mio figlio!»

La signora Maddalena ebbe appena parlato, che Giuliano era già nella
camera, ginocchioni a piè del letto: e tiratosi sul capo la mano di
lei, la vi si teneva colla sua, come a non lasciarsi sfuggire quella
benedizione. Marta stretta da Giuliano contro l'inginocchiatoio, stava
là sbigottita; Tecla, all'apparire di lui fattasi come una morta di
tre dì, s'era ritratta sino alla tenda dell'alcova, e mezza avvolta in
quella, pareva una statua posta ivi per divozione.

Peritandosi a volgere la parola a Giuliano, quasi temesse di rompere
una visione; la signora guardava Tecla e diceva:

«Proprio come te nevvero? Tu pure, oggi hai tenuto qui il tuo capo,
sotto la mia mano.... qui.... ma questo... oh! questo è il suo!
Giuliano, Giuliano, se tu stavi un'altr'ora, io non poteva più
aspettarti!»

Il giovane le copriva di baci la mano; e al lume che di
sull'inginocchiatoio le rischiarava di traverso la faccia, la fissò
avidamente. Essa mezzo seduta ed appoggiata ad un mucchio di
guanciali, gli sorrideva. Le guance smunte, le labbra aride, gli occhi
scintillanti, il collo oramai ridotto da non parere più che un viluppo
di nervi; non fecero sospettare a lui, quello che a segni men chiari
avrebbe indovinato in ogni altra persona: e Marta e Tecla, che stavano
lì come a un mortorio, gli parevano due disamorate che volessero
fargli paura.

Certo la signora Maddalena si avvide del pensiero del figlio; perchè
dolcemente gli disse:

«Me ne voleva andare davvero, sai. Tu sapessi che orribili cose
abbiamo sentite oggi! I soldati vennero sin quassù.... Tu non
v'eri.... ma ora, ora non voglio più morire. O Marta, datemi la mia
veste.... voglio levarmi.... voglio partire.... Giuliano andiamo....
la casetta è quella laggiù? Come è bella! Che fai? E perchè non mi
lasci andare?»

Vinta dall'affanno, la povera donna cadde col capo rovesciato sul
guanciale, in atto di così stanco abbandono, che allora Giuliano capì
a quale estremo si trovasse. Si chinò sopra di lei per dirle qualcosa;
ma la parola gli si annodò nella strozza: alzò le mani come per
chiedere aiuto a qualcuno di lassù; e toltosi dal letto andò di qua di
là per la camera, coll'animo d'uomo offeso da' suoi simili, dalla
natura, da Dio. Lo assalì, misero, la smania di rivolgersi contro sè
stesso; e si rampognò di non essersi dato in mano agli Alemanni, un
momento prima, che l'avrebbero fucilato sulla soglia di casa sua. Ma
lo addolcì la vista di Tecla; la quale fattasi a reggere il capo della
signora, gli parve una cosa celeste. Allora egli tornò al letto, e
parendogli che sua madre, passato quello smarrimento, mormorasse
qualche parola: «o madre--diceva--madre, mi guardi: e perchè non mi ha
mandato a dire il suo stato? Che cosa dice, mamma; mi parli, mi dica.

«Vorrei--bisbigliò essa che appena potè udirsi--vorrei.... dormire un
sonno.... dolce....; ma tu veglia, e se mai....

«Che cosa?--chiese egli con ansietà grande, vedendo che essa si
peritava, a dire; ma non gli riuscì di raccogliere altra parola.

Allora Marta fattasi animo, gli si accostò, e asciugandosi gli occhi
col dosso della mano, gli disse:

«Giuliano, essa vuol forse pensare alle cose della chiesa.»

Il giovane, scosso alle parole della vecchia, le sbarrò gli occhi in
viso; ondeggiò un istante; poi si avvicinò all'orecchio della madre e
sommessamente le disse: «mamma, mi dica, forse.... se fosse qui il
signor pievano....»

Fu come se in quel punto la signora avesse visto il più bel sole del
mondo, innondare la camera di luce. «E sì--disse, facendo segno di
volersi rassettare sul guanciale:--il pievano, il viatico, il Signore
che ti benedica!»

Giuliano, manco pensando che il pievano avrebbe ghignato, a vederlo
capitare da lui; si mise giù pel buio della scala, e fu nell'atrio in
un lampo. Là si abbattè in don Marco, il quale partitosi dalla
terricciuola di R.... appena finita la battaglia; in quattr'ore di
cammino, per largo giro di monti, era riuscito alle spalle degli
Alemanni; e veniva a preparare il cuore della signora Maddalena,
all'improvviso ritorno del suo figliuolo.

«Come tu qui?--diss'egli, fermando Giuliano--dunque tu sapevi che gli
Alemanni se ne fuggono, e che la guerra è finita?

«O maestro, mia madre muore! vada... la assista.... io corro pel
viatico....» E ripigliò la corsa.

«Don Apollinare, Dio t'empia il cuore d'umiltà!» sclamò don Marco,
dando a queste parole l'espressione dolorosa dell'animo suo, colpito
dalla triste nuova; ed entrando in quella casa del lutto, trovò Marta
discesa a torre i candelieri di sul camino della sala, per portarli
disopra e porvi i torcetti della Candelara.

La vecchia vedendo il prete, fu lì per salutare in lui il pievano; ma
ravvisato don Marco, fece le maraviglie e il saluto, più cogli occhi
che colle parole; e diè di volta coi candelieri in mano, per portare
alla padrona la consolazione di quella notizia.

«Dunque sta proprio male?--chiedeva don Marco tenendole dietro.

«Oh!--rispondeva la vecchia--tanto male! Si fermi qui un momento....»

Essa entrò, e aveva appena detto alla signora il nome di lui, ch'egli
s'accostò al letto, dolce come venisse recando novelle dal paradiso.

«Sono venuto a pregare con lei:--disse all'inferma, che gli parve
qualcosa di santo, cui bisognasse rivolgersi per averne la
benedizione.

«Oh, don Marco--sospirava la povera donna:--ella e mio figlio, in
questa notte! Che due consolazioni mi manda Iddio! Si avvicini, mi
senta, io voglio confessarmi a lei.

Don Marco sin dai primi tempi del suo sacerdozio aveva smesso di
confessare; ma al letto dei moribondi, sapeva porgere ascolto ai
racconti del peccatore che parte, coll'umiltà del peccatore che
rimane: e trovava parole, che davano al morente la certezza dell'altra
vita. Egli si inginocchiò, prese una mano della signora tra la sue, e
appoggiandovi sopra la fronte, disse con dolcezza: «parliamo
dell'infinita bontà di Dio!»

Tecla e Marta s'allontanarono, e l'inferma cominciò a parlare del suo
passato.

Frattanto Giuliano, giungeva in castello. Aveva messo a salirvi assai
più tempo che non bisognasse; essendo il ponte e la via ingombri
dell'ultime schiere di Alemanni; i quali premendosi gli uni dopo gli
altri, e volgendosi addietro come avessero i Francesi alle reni, si
arrampicavano anch'essi su pel colle. A lui poco importava a
quell'ora, l'aspetto confuso di quella moltitudine; e quando potè
sboccare per un rotto del muricciuolo, sul sagrato della chiesa, gli
parve d'aver toccato il cielo. Lassù era un formicare da non potersi
descrivere. Gli Alemanni sfilavano, tenuti un po' in ordine dalle
piattonate degli uffiziali; e le bestemmie dette tra i denti,
rispondevano agli spintoni, che nelle strette si davano gli uni cogli
altri. Una donna ritta, sola, colle braccia spenzolate, più lì per
cadere di sfinimento che viva, stava a vedere quel passaggio. Giuliano
nello scantonare verso il presbiterio, quasi la toccò, senza badarle;
e fermandosi ansante in fondo alla scala di don Apollinare, gridò:
«signor pievano!»

«Chi lo vuole?» rispose di dentro la voce dolce di donna Placidia.

«Mia madre! Lo mandi a casa mia, mia madre muore.

«Chi siete, che madre dite?

«La signora Maddalena...! Lo mandi col viatico...! C'è laggiù don
Marco....

«Oh che caso, Maria Santissima, che caso!--esclamò donna Placidia; e
si levò frettolosa dalla finestra, mentre Giuliano senza attendere
risposta, diede di volta correndo, a rifare la sua via.

Di certo egli non intese un altissimo grido, che in quel momento mandò
la donna, vista e non ravvisata da lui arrivando; perchè, anche
occupato com'era di sua madre, per la pietà si sarebbe fermato a
offrire aiuto. E allora avrebbe trovato Bianca, la povera Bianca, che
finita la sfilata degli Alemanni, senza che suo marito comparisse;
appunto mentre Giuliano aveva detto a donna Placidia che la signora
Maddalena era morente; essa vedeva passare il cavallo del barone,
menato a mano da uno degli ultimi ulani, che chiudevano quella fuga
notturna. Indovinò da sè che l'Alemanno era morto; provò spavento di
non sentirsi uccidere dal dolore; le rimorse di provare un senso, come
di chi apre la braccia alla libertà; le parve di destarsi da un sogno,
d'essere tornata la fanciulla di pochi mesi innanzi; ma la chiamata di
Giuliano a donna Placidia, fu come un urto ricevuto nel petto, che la
ricacciò nell'abisso, da cui le sembrava di uscire. Rifinita,
strozzata dall'angoscia, sola, si trascinò sotto il portico della
chiesa, e là cadde, gettando quel grido, da diacciare il sangue
addosso a chi l'avesse udito.

Ma in castello non v'era più anima viva, salvo che, donna Placidia; la
quale non potè udire quel grido, perchè alla chiamata di Giuliano, si
era messa in volta pel presbiterio, come persona che non sa dove dar
del capo. Si sarebbe detto che cercasse il pievano, ma non era vero;
sapendo essa che dopo aver cantato tutto il giorno in coro il _Te
Deum_ per le armi vincitrici; avuto sentore della ritirata degli
Alemanni, egli era montato sulla giumenta, e senza dire a lei nè ai nè
bai, aveva preso la via del Monferrato. Essa l'aveva visto andare,
senza dolersi di essere piantata a quel modo: e forse mentre Giuliano
la chiamava, si preparava pregando a ricevere la morte dai Francesi.
Ma ora che sventura era la sua! La signora Maddalena aveva bisogno di
suo fratello, ed egli non v'era! Stata così un tratto a pensare il da
farsi, rammentò che il giovane le aveva detto, che a casa sua v'era
già don Marco; le parve d'uscir d'imbarazzo, e preso un lume, discese
in sagrestia. Là aperto un armadio, ne cavò il libro delle preghiere,
una stola, un amitto; s'avvolse con questo la destra, corse
all'altare, s'inginocchiò; e parlando proprio di sentimento al Cristo
inalberato là sopra, gli disse: «lo faccio a fin di bene.... laggiù vi
è don Marco, e la povera signora Maddalena vi aspetta.» Si segnò,
aperse il ciborio, vi spinse la mano avvolta nel pannolino....
tastò.... non v'era più nulla. «Oh Dio!--esclamò essa--eppure soldati
qui non ce ne sono venuti! Oh il Signore non vuole che io commetta
sacrilegio?» Spalancò gli occhi, un sudore freddo le lavò la faccia, e
avendo pronunziate ad alta voce le ultime parole, udì rispondere dalle
volte della chiesa: «sacrilegio.» Allora la sua mente fu per
ismarrirsi; non vide più che fuoco: il ciborio, l'altare, il Cristo,
tutto fuoco, anche l'amitto da cui le parve di sentirsi scottare; lo
gettò, guardandosi attorno; e via, colla stola e col libro delle
preghiere, fuggì per la chiesa, paurosa del rimbombo che i suoi passi
facevano sulle sepolture... Non le parendo vero di toccar viva la
porta, agguantò la grossa chiave; il terrore le diede forza di girarla
nella serratura, e aperto un battente, si lanciò fuori come un
fantasma.

Bianca che era là sotto il portico, si levò ginocchioni a quella
vista, e giungendo le mani: «o Madonna--disse--vi ho tanto pregata!»

«O signora Bianca!--gridò donna Placidia, riconoscendo la giovane alla
voce;--taccia per carità, che io non sono la Madonna! Sono io, e ho
già troppo peccato.... m'aspetti qui un tantino, vado dalla signora
Maddalena.

«Lasci venire anche me.... che io possa morire sulla sua
porta...!--pregò Bianca, tendendo le mani dietro a donna Placidia,
passata oltre: e levatasi, la seguì come una pazzarella, giù per la
stessa china fatta da Giuliano.

Pareva che le due donne s'affrettassero per raggiungere il giovane; ma
egli rientrava in quel punto nella camera della morente.

«Giuliano,--diceva don Marco vedendolo tornare:--tua madre ha qualche
cosa da dirti.

«Dica, dica, mamma!--esclamò Giuliano; e correndo vicino al guanciale,
si chinò quasi a toccar colla sua, la testa della povera donna.

«Oh, figlio mio,--diceva essa stentando;--non lasciarmi morire, senza
avermi detto che cosa sarà della povera Tecla. Tu glie lo darai un
poderetto dei nostri? Tu ne piglierai cura come fosse tua sorella?

«Sorella, figlia, donna; Tecla sarà per me quello che lei, madre,
vorrà!

«Donna....? Tu la piglieresti per donna? Oh! ne sentirei la gioia fin
nel sepolcro!»

Giuliano corse all'uscio, chiamò Marta e Tecla, e tornò a
inginocchiarsi al guanciale della madre. Le due donne, che stavano
nella stanza là presso, vennero e s'inginocchiarono anch'esse a piè
del letto. Tra la signora Maddalena e il suo figliuolo, correvano
occhiate lunghe; e in quel silenzio pareva che la madre facesse ancora
al figlio qualche secreta raccomandazione. Alfine essa accennando alla
fanciulla d'avvicinarsi, dalla banda del letto di contro a Giuliano,
pigliò la destra di lei e le disse:

«Tecla, se un giorno sposerai un uomo di cui tu sei degna, ricordati
delle cose che io diceva.... e pensa che io sarò sempre con te....
sempre. Giuliano ti benedico.... Marta amate, servite questa
fanciulla: noi due saremo le prime a rivederci in cielo. Ma e il
pievano non viene?

«Si dia pace!--entrò a rispondere, umile e quasi vergognosa donna
Placidia, che arrivata in quel punto, era venuta da sè nella camera,
colla confidenza che usano i preti in casa ai moribondi.

«O donna Placidia...,--disse la morente--guardi mio figlio come si
affligge...! Giuliano, non vedi i nostri amici che vengono a
trovarci?... E a momenti, sarà qui anche il pievano, nevvero?

«Signora Maddalena,--disse don Marco, che in quel mezzo aveva saputo
da donna Placidia la fuga del pievano:--pensi ai mille morti che
giacciono per i campi in faccia a questa casa: nessun prete gli ha
visti, eppure essi sono già tutti nel seno di Dio!

«Oh sì! sì! li veggo!--mormorò la signora, cui l'immagine di tanti
morti fece uscire di conoscimento:--quante palme, quante corone! Li
veggo salire, salire, fin sopra le stelle; o benedetti, attendetemi;
siete morti per ricondurmi mio figlio! Tecla, Giuliano.... li
seguo.... li seguo! Oh...! che dolce morire!»

Cessò la voce, sorrise, rimase cogli occhi fissi; e ai bagliori di
essi, don Marco indovinava gli spazi infiniti, in cui si sprofondavano
quegli ultimi sguardi.

Allora donna Placidia pose la stola sul petto della moribonda, e porse
il libro delle preghiere a don Marco, il quale dolcemente le accennò
di star zitta.

La signora era entrata nell'agonia. Essa che aveva pensato sempre, con
mesta dolcezza, al giorno in cui, udendo i rintocchi della sua agonia,
tutta la gente del borgo, si sarebbe inginocchiata a pregare per lei;
e in quel pensiero aveva goduto di non avere mai fatto male a nessuno:
essa doveva partirsi dal mondo, mentre il villaggio era deserto! Ebbe
pochi istanti d'affanno, pochi sospiri: disse ancora alcune parole
rotte; poi le sue mani s'allentarono del tutto; la sua persona fece un
moto, come per adagiarsi meglio; e finì quasi addormentandosi in un
sonno tranquillo.

Don Marco s'avvide pel primo che essa era morta. Allora andò alla
finestra, la spalancò e guardando il cielo, che già faceva l'aurora,
disse: «o Maddalena, te beata, che ora almeno tu sali!»

A quelle sue parole, venne su dal piazzale un singhiozzo. Egli si
curvò per vedere che fosse, chiedendo: «chi piange costaggiù?»

«Dunque anch'essa è morta?» rispose Bianca venuta dietro donna
Placidia, e rimasta a piè dei gradini dell'atrio, tremante come si
sentisse rea di quella morte.

«Essa vive!--proruppe don Marco, non riconoscendo quella voce:--ecco
la sua glorificazione! Udite?» Così dicendo, volse la faccia verso
l'alcova, tenendo le braccia tese fuori della finestra, la testa alta,
la persona ritta che pareva ringiovanito. Un suono di strumenti
guerrieri, un concento di migliaia di voci che cantavano l'inno dei
Marsigliesi, si levava in quel punto dai campi Francesi così alto,
così di sentimento, che la valle n'era commossa, come da qualche cosa
di sovrumano.

Giuliano, caduto in tale stupore che pareva coll'anima nell'eternità;
udendo i canti e i suoni Francesi avvicinarsi a invadere il borgo;
provò uno spasimo grande, si levò ritto, baciò in fronte la madre, e
uscì di casa a furia. Marta, che appena spirata la signora, presa da
chi sa quale pensiero, era corsa mezzo soffocata dai singhiozzi, a
nascondere gli schioppi del giovane in cucina; incontrandolo nella
sala terrena così stravolto, ebbe nel suo dolore tanta forza di
lodarsi della sua pensata. E provandosi a rattenerlo, corse dietro lui
sin nell'atrio; ma là si fermò, per un'altra scena dolorosa, in cui a
prima giunta non capì nulla. Vide donna Placidia che s'affaticava a
trascinar una giovane, lontano da quella casa: e la giovane si
difendeva, pregando per carità di essere lasciata lì, che essa non
faceva male a nessuno. Ma appena spuntò Giuliano dall'atrio, parve che
a colei fossero stati troncati i nervi; e cadde, poveretta, di sfascio
gridando:

«Giuliano, Giuliano, per la morte di vostra madre, non mi maledite!»

Egli stette un istante, come colto da vertigine; si cacciò le mani nei
capelli; fu per prorompere in un fiero lamento; ma fattosi forza,
quasi avesse a rompere una catena che gli si stringesse ai polsi, tirò
diritto senza dire parola. Gli pareva d'aver uno alle spalle, che gli
gridasse: «cammina, va, piglia la via dei monti--le selve, le
solitudini, il cielo.... là troverai tua madre!» E così senza
scegliere, tirando innanzi come uno che si rimetta in una guida che
non può fallire; traversò il torrente, guadagnò una vetta dell'opposta
sponda, poi un'altra ed un'altra; salì, salì non sentendo fatica, non
affanno di petto; e giunse in cima al più erto dei gioghi di
Montenotte. Oh se avesse potuto struggersi, dileguarsi, svanire come
ombra, lassù! Vi regnava una pace! Il mare splendeva poco lontano,
azzurro, liscio, solitario; e gli parve che nulla di più bello
dell'esser sepolto nel silenzio eterno di quei fondi. Ma spuntava
dall'orizzonte una vela bianca, sottile, che procedeva come cosa
impavida; il mare era bello, ma quella era la vita! Le foreste lì
sotto a lui stormivano incurvate dal vento, mandando suoni di voci
misteriose. Quelle foreste verdeggiavano, prosperavano da secoli,
godevano forse; ma che lutto se pei loro folti non si fossero intesi i
colpi delle scuri, i canti dei boscaiuoli, i tintinaboli delle mandre
alla pastura! Giuliano ascoltava, contemplava sentiva il pregio
infinito del poter vivere per onorare in sè stesso la madre morta; e
nel cuore gli veniva la calma che i dolori dello spirito danno al
sapiente.




CAPITOLO XXII.


Marta, da noi lasciata sbalordita nell'atrio, non ebbe bisogno di
farsi dire chi fosse la giovine donna, gittatasi ai piedi del
signorino. Essa l'indovinò alle parole di lei, all'atto di Giuliano; e
lanciatasi nel piazzale coi pugni stretti, le si sfogò contro con
voglia crudele.

«Coraccio di tigre! E ancora osa di venire a piangere qui? Dio, Dio di
misericordia, sviatemi la mente da queste tristizie; ma non so chi mi
tenga ch'io non la sbrani! Vada, vada a piangere altrove, che qui per
lei non v'è posto..! vada, che del male che ci ha fatto, le ne
chiederà conto Dio al suo tribunale!»

E così dicendo, dava sdegnosa le spalle alla giovane e a donna
Placidia, trasecolata a quello scoppio d'ira della fantesca. Bianca
presa dall'affanno, teneva gli occhi nella vecchia, che volgendosi
bieca a guardarla ancora, tornava in casa. L'infelice si pregava di
potersi umiliare tanto, che il disprezzo di quella donnicciola, le
cadesse sul capo come dall'altezza d'un trono. Ma in quella usciva
dall'atrio don Marco, dicendo a Marta: «Non così.. Marta... un po' di
carità... la signora Maddalena non avrebbe detto tante brutte parole!»
Egli, dalla camera della morta, aveva inteso Marta sclamare a quel
modo; aveva capito che le parole di lei non potevano esser volte che a
Bianca; e indovinato alla grossa il fatto, veniva a mescolarsi a
quest'altro dolore.

Lo vide appena, e Bianca si levò in piedi, come le fosse rinata la
speranza: ma la prima parola del prete, le tornò a stringere il nodo
che le faceva l'angoscia.

«Bianca... come?--diceva egli--e tuo marito?

«È morto--rispose per essa donna Placidia:--lo hanno ucciso i
Francesi.»

Don Marco giunse le mani: stette pensoso un istante, forse dubitando
che tanti guai non fossero possibili così a un tempo; forse avvisando
a quel che poteva fare per la sventurata: poi disse a donna Placidia:
«allora l'accompagneremo a suo padre.»

«Ah no...! no!--esclamò Bianca; ma il prete interruppe:

«E vorresti rimanere qui, dove gli infelici sono già tanti?»

Bianca chinò gli occhi, assentendo coll'animo al volere di don Marco:
il quale rientrò in casa, a dire a Marta e a Tecla che non si
movessero, che avrebbe raccomandata la casa ai Francesi amici di
Giuliano; che sarebbe presto tornato; poi rivenuto a Bianca, se la
prese in mezzo con donna Placidia, e mossero verso il vicolo, che
metteva al ponte.

Arrivavano in quella i Francesi, sempre con quei suoni e con quei
canti, scoppiati nell'istante che la signora Maddalena era spirata. Un
corteo di cavalieri, raccolti a piè del colle su cui sorge il
castello, parevano star a vedere i soldati, che andando a porsi a
campo oltre il borgo, passavano dinanzi a loro, col trionfo negli
occhi. Ma in verità, da quel posto, miravano la campagna e i colli, su
cui avevano combattuto il giorno prima; maravigliati del come gli
Alemanni avessero abbandonate le inespugnabili strette del borgo, e
facendo i conti al sangue, che sarebbero loro costate per
conquistarle.

Don Marco si accostò senza tema a quei cavalieri; e da uno di essi si
fece dire qual fosse il capo.

«Siete il curato di questo borgo?--chiese questi con brusca maniera,
vedendosi il prete dinanzi colle due donne.

«Io no--rispose don Marco--sono un prete di C... e venni ieri con quel
giovane medico che serve i vostri feriti.

«Oh! appunto... egli è di questo borgo,--soggiunse il generale fatto
umanissimo:--e la sua casa qual'è?

«Quella là:--rispose don Marco additandola--ma la madre del povero
giovane, è morta che sarà mezz'ora.

«Capitano,--disse il generale, volgendosi ad uno dei cavalieri, che
aveva di dietro:--pigliate quella compagnia là che viene, e ponetela a
far la guardia alla casa di quel valentuomo.» Il cavaliero si spiccò
al galoppo, a eseguire l'ordine del generale, il quale non dando tempo
a don Marco di ringraziare, proseguì: «signor curato, quella casa sarà
sacra per noi: e codeste donne sono forse parenti del vostro amico?

«No--rispose don Marco--questa è la sposa d'un uffiziale di cavalleria
Alemanno, che deve essere morto ieri.»

I Francesi si scopersero tutti il capo, guardando or Bianca
pietosamente; ora uno dei loro compagni, che a quella novità si fece
mestissimo. Egli era quel desso che aveva ucciso il barone. Ma di
questo non si avvide don Marco, il quale stava paragonando tra sè con
altrettanta mestizia, quei segni di rispetto dei Francesi, con quelli
usati a Bianca dai compagni di suo marito: nè se n'avvide donna
Placidia, che si tastava se era viva, non parendole vero d'essere
dinanzi a quei mangiatori di carne umana, che non la facevano neanche
calpestare dai loro cavalli: Bianca poi non era più il caso di badare
a nulla, nè a vita nè a morte.

Intanto il generale, lasciato ad un altro uffiziale che servisse il
prete e le due donne, in quel che loro potesse bisognare; mosse con
tutta la brigata e salì in castello. Allora don Marco disse al
cavaliero che egli aveva da ricondurre la giovane donna a suo padre,
in C...: e subito colui gli trovò un carro da bovi, di quelli tolti
nei villaggi della vallata, per le bagaglie; ed egli stesso si offerse
d'accompagnarlo, con altri due soldati a cavallo. Così montati su quel
carro, Don Marco, donna Placidia e Bianca; si misero in via alla volta
di C.... muti, pensosi, tanto diversi dal gaio aspetto dei tre
Francesi, da parere persone condotte a prigionia.

Attraversarono le case dell'altro vico lentamente, per la gran briga
di soldati, che ingombravano la via; e appena usciti da quelle,
cominciarono a vedere i primi morti, bocconi, supini, atteggiati nella
guisa in cui la morte gli aveva colti. Ve n'erano che parevano
addormentati dalla stanchezza, vicino ad altri attrappiti, travolti
nelle sembianze ancora impresse dell'ira, che gli aveva agitati
nell'ultima loro corsa. Quelli erano quasi tutti Francesi, caduti
sulle soglie del borgo, dove avevano osato inseguir gli Alemanni; ma
quando il carro, tirando innanzi fu nel bel mezzo dei campi dov'era
stato il forte della battaglia; i morti delle due nazioni, giacevano
quasi in ugual numero confusi tra loro. A un tratto il Francese
accennò a donna Placidia di coprire il viso di Bianca. La quale le si
era abbandonata col capo in grembo, e a misura che si allontanava da
quei luoghi, le pareva di rinascere al suo antico amore; di poter
ancora sperare. La sorella del pievano, capì il desiderio
dell'uffiziale; e con una sua pezzuola coperse la faccia di Bianca,
accusando il sole, che spuntava in quel momento. Giungevano appunto
allora nel sito dove s'erano azzuffati i cavalli Alemanni e i cavalli
Francesi; e già i due soldati cominciavano a parlare del fatto; ma
l'uffiziale li fece star zitti, dalla tema che la giovane donna,
capisse i loro discorsi. Il carro passò discosto pochi passi dal
cadavere del barone; il quale giaceva ancora dove era caduto. I suoi
grandi occhi erano aperti, e parevano fissi in chi passava; ma con uno
sguardo pieno di pace e di noncuranza.

Don Marco guardò quel morto, e sentì dentro tanta pietà; che se
Giuliano gli fosse stato vicino, avrebbe pensato d'essere compianto da
lui meno che il barone. Donna Placidia lo vide anch'essa, e diè
un'occhiata a Bianca, pensando alla propria gran ventura di non aver
mai avuto il capo all'amore; e tornò a guardare piena di stupore pel
campo. Qua e là costretti dai soldati Francesi, gruppi di contadini
lavoravano a scavar fosse o a seppellire i morti; facendo così alla
stracca che, anco da lungi, si capiva di che animo obbedissero. Del
rimanente non v'era più nulla sulla terra o nell'aria, che portasse
traccia degli ardimenti, delle ostinatezze, dell'ire della battaglia;
un silenzio lugubre regnava per tutto, turbato soltanto dallo
schiamazzo, che veniva a ventate dal borgo di D...; dove i
repubblicani cominciavano a darsi spasso, e a far le satolle di roba
alemanna.

Verso le quindici ore d'Italia, il carro che portava Bianca, vedova ed
umiliata, alla casa paterna, giungeva sul ponte di C..; e alla vista
dei Francesi che l'accompagnavano, i tre o quattro borghigiani curiosi
che andavano a zonzo, cercando le notizie, si allontanarono paurosi.
Don Marco ne provò la contentezza, di cui poteva essere capace il suo
cuore trambasciato; e quando fu alla porta del signor Fedele, gli
parve di aver finito la via crucis. Fatta discendere Bianca, aiutato
da donna Placidia, la menò su per quelle scale, che essa aveva
discese, l'ultima volta, felice. Ora la povera donna si lasciava tirar
su da quei due, che parevano più afflitti di lei; ma quando furono
all'uscio, e il prete tirò il cordoncino del campanello, e s'udì di
dentro un rumor di passi, e sulla soglia comparvero il signor Fedele,
la cieca, Margherita e il frate Anacleto, che s'era piantato in quella
casa come fosse sua; si gettò nelle braccia del padre, quasi egli già
sapesse tutta la sventura in cui era caduta, per cagion sua, e avesse
bisogno d'essere perdonato.

«Che è stato? ahimè! Bianca, don Marco, come torni così? tuo marito
dov'è?»--tempestò il signor Fedele, ingegnandosi di sciogliersi da
Bianca.

«Il barone è morto!» disse don Marco.

«Morto!» proruppe il signor Fedele, e stese le mani come per afferrare
qualcosa; diede il capo addietro, cogli occhi socchiusi; tremò: poi
senz'altro che con un ruggito, cadde nelle braccia del padre Anacleto.

Allora fu uno scompiglio compassionevole. Il frate e don Marco,
aiutati da qualcuno del vicinato corso alle grida, portarono il signor
Fedele nel proprio letto. La cieca, Margherita e donna Placidia,
trascinarono Bianca, nella camera più appartata della casa. Credevano
esse che il signor Fedele si fosse soltanto smarrito, per l'improvviso
dolore di vedersi la figliuola tornata a casa, in quel modo pietoso: e
s'affaccendavano intorno a questa che pareva instupidita. Ma egli
giaceva sul suo letto, uscito del tutto di conoscimento; il suo volto
si era fatto pavonazzo, i suoi occhi erano aperti, ma nuotavano nel
buio; le sue mani si facevano diacce; e del rantolo durato alcuni
istanti, non gli avanzava che un filo di fiato. Don Marco, e il padre
Anacleto, stavano in capo a quel letto, uno per parte; e di tanto in
tanto levando gli occhi dal signor Fedele si guardavano tra loro. Ma
il primo a riabassarli era sempre il frate, nel quale cominciava a
entrare una gran confusione. A un tratto don Marco non perchè avesse
perso ogni speranza di vedere l'infermo riaversi; ma pensando a quello
che l'aspettava a D...., accennato al frate di seguirlo, si trasse con
esso in disparte, sulla soglia della camera. E «padre,--gli disse
dolcemente;--io vengo da D.... dove ho due morti da seppellire, il
barone e la madre di quel Giuliano che ella conobbe; e torno laggiù.
Mi pare che questa storia di guai non sia per finire così presto.... e
se mai, le raccomando questo nostro amico. Prenda cura di questa
famiglia.... lei ed io siamo oggi al nostro posto. Badiamo a non
stancarci....»

Il frate chinò il capo, promettendo coi cenni di non allontanarsi da
quella casa; e don Marco passò nella stanza dove erano le donne, colla
sorella del pievano di D.... fattasi domestica con loro, in quel
momento d'afflizione, quanto non la sarebbe divenuta in un anno.
S'ingegnava di confortarle con una meravigliosa trovata, che le pareva
d'aver fatto; dicendo che forse il barone era in quell'ora coi suoi
commilitoni sano e salvo, e soltanto addolorato d'aver la sposa
addietro, in man dei Francesi.

«No.... no.... non c'inganniamo,--disse don Marco, entrando appunto
mentre donna Placidia diceva queste cose;--non ci inganniamo col
rifiutare i dolori.... essi vengono un dopo l'altro, e non dobbiamo
essere crudeli a noi stessi, cercando di allontanare un calice, che
bevuto a poco a poco sarà più amaro. Maria, Margherita, coraggio...,
alzate i cuori.... Bianca, tu sei vedova da ieri, e forse fra qualche
ora sarai orfana anche del padre....»

Un urlo come di naufraghi che si veggano le acque alla gola, e sentano
sotto le piante mancar la barca che affonda; potrebbe somigliarsi a
quello che alle parole del prete, si levò in quella stanza. Egli non
tentò neppure una parola di conforto; donna Placidia si sentì
rimordere di non più trovare neanch'essa qualcosa da dire: e poichè
dall'altre stanze furono corsi alcuni dei pochi venuti al soccorso; i
due abbandonarono senza commiati quella casa dolorosa, per andare a
quell'altra, dove sapevano da quali afflitti erano attesi.

«Bisogna farsi animo,--diceva il prete a donna Placidia
discendendo:--noi due dobbiamo fare il viso fiero ai dolori, come
questi bravi soldati, che non si sono mossi di qui.»

A don Marco veniva giusto il paragone, perchè i tre Francesi erano
ancora col carro a quella porta; e da gente accostumata per mestiere
alla dura obbedienza; pur lamentando l'indugio e il doversi stare a
udire il piagnisteo che empieva quella casa; non s'erano scostati un
passo. Sulle loro faccie, impresse dei segni vigorosi, stampativi
dalla vita travagliata dei campi, non si vedeva punto curiosità di
sapere quel che fosse avvenuto: ma dopochè il prete e donna Placidia
furono rimontati sul carro, partirono mostrandosi lieti d'essere tolti
da quella noia.

Affrettando col desiderio, il passo lento e rassegnato dei bovi; la
piccola brigata giungeva a rivedere D... avendo tra l'andare e tornare
fatte le venti e un'ora. Pel campo non si vedeva più anima viva;
l'opera del seppellire era compiuta; e il corpo del barone era
nascosto sotto uno di quei cumuli indistinti di terra, che qua e là
rendevano il suolo ineguale. Ma entrando nel borgo, pareva di capitare
in un altro mondo. I Francesi avevano cavato dalle canove le grasce,
le farine, i vini, tutto il ben di Dio lasciatovi dagli abbondanzieri
Alemanni; e dopo aver diluviato tutto quel giorno, e fattesi ognuno le
provviste per altri due o tre da venire; sperdevano la roba, che a
vedere metteva raccapriccio. Torme di avvinazzati andavano ciondoloni
per le vie cantando; in castello suonavano le musiche intorno
all'albero della libertà, piantato dinanzi la chiesa: e i pochi
abitanti, che per vecchiaia o per non aver fatto a tempo a fuggire,
erano rimasti; se ne stavano turati in casa, col cuore tra due sassi.

Don Marco pensò arrivando, che le ore dovevano essere parse assai
lunghe a Marta ed a Tecla; e disceso dal carro con donna Placidia,
corse difilato alla casa di Giuliano, quasi senza ringraziare i
Francesi della buona compagnia avuta. Appena fu sul piazzale diede
un'occhiata all'atrio, e vide l'uffiziale messosi a guardia sulla
cassapanca sin dal mattino, fermo a quel posto. Gli si allargò il
cuore per la certezza, che niuno poteva aver turbato la pace
religiosa, che si conveniva a quella casa; e diede una stretta di mano
riconoscente al Francese, che entrò con lui e con donna Placidia,
nella sala terrena. Là Marta, aiutata da parecchi altri uffiziali
amici di Giuliano, finiva d'ornare la morta, già bella e vestita del
saio, e adagiata dentro la bara. Tecla accompagnava collo sguardo
l'opera della vecchia, come persona che non sa perchè sia lasciata al
mondo. Don Marco stupì di vedere a quel segno la mesta bisogna; ed uno
dei Francesi, che riconobbe appunto per quello da lui inteso il dì
innanzi, con piacevolezza domestica parlar a Giuliano; gli si fece
incontro e gli disse:

«Spero che l'amico nostro, mi scuserà d'aver fatto fare questa bara,
da due dei miei soldati....

«Ma, e di Giuliano sa nulla?---venne interrompendo Marta--Poveri noi,
va a finire che da un'ora all'altra sentiamo che anch'egli è morto...!

«Oh! no.... Marta;--rispose don Marco--i forti addolorati cercano la
solitudine....

«Come i leoni del deserto:--aggiunse il Francese. A cui don Marco:

«E il vostro Generale, ci concederà di fare i funerali?

«Anche a questo ho pensato:--rispose il Francese;--e il generale mi ha
detto che farà onorare dall'esercito, la madre di quel valente
giovane, che io gli presentai pel primo; e il trasporto sarà fatto da
quattro soldati dei nostri.

«Che Dio lo benedica!--esclamò don Marco; e poi volgendosi a donna
Placidia:--allora, troveremo qualcuno, che ci aiuti in chiesa a far
quel poco che potremo.

«Oh! per codesto basto io:--rispose donna Placidia:--solo che mi si
accompagni lassù, lasci fare a me.

«La accompagnerò io stesso;--disse il Francese: e rimasti d'accordo
con don Marco, che il corteo funebre si sarebbe mosso di là a
mezz'ora; si avviò al castello con donna Placidia, che andava innanzi
confidente e sicura, come fosse stata con suo fratello. Giunta lassù,
fece le meraviglie di vedere la chiesa non rubata, il presbiterio non
saccheggiato. Non poteva capacitarsi, che quei soldati diavoli in
carne, che pur avevano lanciato qualche motto a veder la sua gonna
passare in mezzo a loro, fossero così rispettosi; e accomodandosi con
alcuni di essi assai bene, mise a segno meglio che potè le cose del
funerale; fece scoperchiare la tomba della famiglia di Giuliano; poi
ne mandò due a dare nelle campane a morto.

Allora, giù nella casa di Giuliano, si fece folla di soldati, e di
borghigiani, tornati alla notizia dolorosa, quasi fosse stata pegno di
pace tra loro e i Francesi: e la bara partì, portata sulle spalle
poderose di quattro soldati. Seguita da don Marco, da Marta, da Tecla,
e da una processione che la più lunga non si era mai veduta; la morta,
col capo scoperto su d'un guanciale, pareva salire al trionfo verso il
castello. Al suo passaggio tacevano le clamorose brigate, si
scoprivano, e si mettevano nel corteo: e intanto le campane,
proseguivano a mandar lontani nei monti, i loro suoni lugubri, a
turbare, a commovere, a mettere in pensieri i borghigiani fuggiti, che
ignoravano per qual morto suonassero i funerali.

Ma non l'ignorava Giuliano, il quale andato errando di montagna in
montagna, riveniva per selve e burroni al mesto richiamo; e
dirigendosi a corsa verso la chiesa, giungeva che le benedizioni erano
state fatte da don Marco, la bara già calata nel sepolcro, e udiva
ancora la pietra di questo ricadere, sonando cupa, nella
incastonatura.

«Per carità, un momento!» gridò egli, fendendo colle braccia la folla;
ma arrivato a fatica dove don Marco, donna Placidia, Marta e Tecla, si
erano inginocchiati a dire l'ultime preghiere; cadde vicino al prete,
baciò la lapide e rimase con essi a pensare in silenzio.

Marta provò vedendolo un gran sollievo, il cuore di Tecla si turbò, e
don Marco e donna Placidia scambiavano tra loro sguardi pietosi.

Intanto l'uffiziale Francese che si adoperava in quei fatti, come
fosse uno della famiglia di Giuliano; faceva sgomberare la chiesa dal
popolo e dai soldati, parendogli che il raccoglimento di quelle
persone, fosse cosa da non essere vista da tanti. Indi venuto a lato
del giovane, lo toccò leggermente nella spalla e gli disse: «ora vi
prego di venir via; il vostro dolore sarà grande altrove quanto qui, e
eterno; però non deve essere noto che a chi l'intende...

«Sì--rispose Giuliano--andiamo a nasconderlo altrove.»

E a braccietto dell'uffiziale, seguito da don Marco, che accompagnava
Tecla e Marta, uscì di chiesa avviandosi giù dal colle. Donna
Placidia, non volle più staccarsi da quel suo posto, dove le pareva
che qualcuno, o lei o il pievano, avesse il dovere di stare; e li
salutò, per tornare nel presbiterio, a farvi gli onori di casa ai
Francesi, che già vi si erano posti a lor agio, senza la licenza di
lei.

Come la comitiva fu al piano, ed ebbe passato il ponte, l'uffiziale
fece segno di voler tirare innanzi verso la casa di Giuliano. Ma
questi gli disse: «amico, ho pensato.... ho deciso: accompagnatemi
ancora un tratto con queste donne, e lei don Marco, mi perdoni, ma ho
bisogno di lei sin lassù, alla cappella di San Giovanni.

«Per me ti seguo sin dove ti pare:--rispose il prete, cui parve di
indovinare il pensiero che il giovane volgeva in mente; e senz'altre
parole, si misero per una viuzza, attraverso ai vigneti dei poggi, che
sorgono baldanzosi a sinistra del borgo.

La cappelletta cui accennava Giuliano, si vede tuttavia su d'una
vetta, ombrata ora da una quercia, che per farsi gigantesca com'è in
suolo arido e magro, deve essersi nudrita dei molti Francesi e
Alemanni, caduti là intorno, la vigilia di quel dì. Perchè sin là
appunto si era stesa l'ala destra dell'esercito imperiale; là era
stato uno dei più stretti gruppi della battaglia; ma a quell'ora anche
là era scomparsa ogni traccia di lotta; e soltanto ne rimanevano i
segni nella porta della chiesuola sfondata, e negli arredi sconvolti.

«Io vi ho fatto venir qui,--disse Giuliano al Francese, che a quelle
parole parve riscotersi da un sogno, essendo venuto su pel colle,
pensando alle cose del giorno innanzi:--io vi ho fatto venir qui,
perchè mi siate testimonio, che io dinanzi a Dio e a questo mio
maestro, offro la mia vita a questa fanciulla, se essa si contenta
d'essere donna del figlio di quella santa, che l'ha tanto amata....

«Tecla, vuoi essere sposa di Giuliano?--chiese don Marco, brillando
nelle pupille d'una gioia divina, alla giovinetta rimasta lì quasi
trasfigurata. Essa chinò gli occhi e all'atto della persona e al
rossore di cui si tinse, parve rispondere: «ecco, o Giuliano, la
vostra ancella.»

Don Marco prese le mani dei due giovani, se le strinse al cuore e
disse: «Figliuoli, Gesù è morto da diciotto secoli promettendo vicino
il regno de' poveri. Se il regno de' poveri è cosa di questo mondo;
tu, o Giuliano, che hai capita la parola di Gesù, e tu Tecla che hai
visto adempiersi in te la sua promessa; ricordatevi che al mondo vi
sono molti afflitti, che ne aspettano dai felici il compimento per
tutti.

«Ed ora addio Tecla,--disse Giuliano stringendo tra le sue le mani
della giovinetta:--tu starai nella casa di nostra madre, finchè io
tornerò. Marta, voi servirete la mia sposa, come serviste mia madre:
lei don Marco, se vuol farmi un gran bene, stia con queste due
creature, finchè i tempi sieno più quieti.

«Ma e tu?--chiese don Marco con ansia.

«Io vado alla casetta, dove mia madre sperò di vivere con me qualche
tempo. Tornerò di laggiù, quando lo spirito di lei mi consiglierà a
farlo. No... no... maestro, Marta... nessuno mi contrasti con
preghiere... io debbo andare. E voi--soggiunse volgendosi al
Francese:--proteggete la mia casa, e pregate per me il generale a
proteggere il mio povero borgo.»

L'ufficiale non potè rispondere se non con uno sforzo, per far il viso
fiero; tanto per non mostrare la tenerezza, che si sentiva dentro a
quello spettacolo.

Ancora pochi detti, poche raccomandazioni, pochi sguardi
d'intelligenza tra quelle anime; poi don Marco si pigliò Tecla e Marta
una per lato; il Francese gli tenne dietro e si misero a discendere il
colle.

Giuliano li accompagnò collo sguardo giù per la china, fin che furono
giunti nell'atrio della sua casa che si vedeva di lassù assai bene.
Quando essi si volsero a cercare cogli occhi, s'egli fosse ancora
sopra quella vetta, lo videro sparire scendendo dall'altra china. Il
suo ultimo sguardo si era posato su due tetti di D...; quello di Tecla
fatta sua, e quello della chiesa parocchiale, sotto le cui volte
posava sua madre.




COMMIATO.


Queste cose io le ebbi da un vecchio ottuagenario, morto da parecchi
anni, il quale me le dava stando al fuoco colle molle in mano. Egli mi
diceva che erano tutte vere verissime: ma rammentando ora certo
sorriso che gli veniva sulle labbra, ogni volta che io notava in un
mio libercolo qualche fatto: temo forte, che con alcune sue
immaginazioni sia riuscito a infinocchiarmi. E voleva il buon vecchio
piantarmi senza più dir nulla, alla morte della signora Maddalena;
protestando di non voler venire col suo racconto più in quà della fine
del secolo, per non far conoscere i personaggi sopravvissuti. Pose
anzi cura nel togliermi di mano le fila, tanto che nel cercare da me
non mi raccapezzassi: aggiungendo che sarebbe stata opera vana, perchè
nulla mi avrebbe aiutato, neanco l'aspetto dei luoghi, mutati del
tutto dai nuovi abitatori. A stento aggiunse le poche cose che ho
scritte: e avendogli io chiesto qual fine avessero fatto don Marco,
padre Anacleto, Bianca e gli altri personaggi; mi rispose che se io
voleva vedere a spegnere i ceri l'un dopo l'altro, andassi in chiesa
la settimana santa. Io tacqui: ma se quel che raccolsi da altri, si
accorda con quello che ebbi da lui; don Marco deve essere vissuto sino
all'anno in cui capitarono la seconda volta i Francesi condotti da
Buonaparte. Quella volta don Apollinare, tornato col suo comodo alla
sua Pieve, non fuggì più. Stette invece saldo al suo posto, aiutando i
buoni a tener la pace tra paesani e Francesi; con molte lodi di
Giuliano, tornato anch'egli, dopo un anno di lontananza a casa sua.
Però non si parlarono tra loro che quella sola volta; sebbene paia che
il giovane medico e Tecla e la famiglia che venne su, non siano stati
infelici. Marta morì l'istess'anno in cui donna Placidia cessò di
parer viva; consolata, povera vecchia, d'aver visto nascere in quella
casa un bambino della terza generazione. Ma fino alla morte, non cessò
di dolersi d'essere venuta al mondo, in tempi in cui di matrimoni tra
una villanella come Tecla, e un giovane signore come Giuliano, non
usava vederne. In quanto al signor Fedele durò ancora parecchi anni,
senza vivere nè campare; assistito da quell'angelo di bontà che era la
cieca Maria; ma nè l'uno nè l'altra videro il loro secolo finito. Di
Margherita non seppi mai che cosa avvenisse nè di Bianca; se pure
questa non fu una signora, morta prima del venti, vissuta tutta chiesa
e casa, consigliata sino all'ultimo da un prete che era stato frate
nel convento dei Minori Osservanti di C... spiantato dai Francesi,
otto o dieci anni dopo le cose narrate. Chi sa che quel frate non
fosse il padre Anacleto secolarizzato? Se fu, povera Bianca!
Comechessia, io finisco, sazio del nome di quel frate, come non vorrei
che fosse del mio racconto, chi chiude ora il libro con una grande
rifiatata.


FINE.



  INDICE

  DEDICA                        Pag. 3
  CAPITOLO PRIMO                     7
     »        II                    25
     »       III                    45
     »        IV                    61
     »         V                    85
     »        VI                   102
     »       VII                   121
     »      VIII                   144
     »        IX                   164
     »         X                   182
     »        XI                   201
     »       XII                   219
     »      XIII                   242
     »       XIV                   257
     »        XV                   274
     »       XVI                   291
     »      XVII                   310
     »     XVIII                   333
     »       XIX                   352
     »        XX                   369
     »       XXI                   394
     »      XXII                   410
  COMMIATO                         423




NOTE DI TRASCRIZIONE:

Sono stati corretti i seguenti refusi:


    d'avventori paesani, che l'avrebbero tenuto sobrio obrio.

    pareva un matone, glielo pose aperto tra le

    grondante sudore, e colla giumenta ridotta che sei

    avesse avuto a fare un altro quarto di miglio gla

    sarebbe cascata sotto. Smontò a fatica, tanto avevo

    indolenzite le gambe; e lasciata la bestia che andi

    tiriamo in disparte: dunqne il santo non vi sarà stato.

    quello, che era lì per prorompere chi sà in quali esclamazioni;

    la marchesa menzionava; e intando i discorsi dei crocchi

    ogni giorno, sicchè egli nel tortare non l'avrebbe più

    quella furia; ma la bellezza dal  cavallo, dava a pensare

    del castello pareva assotigliarsi, Tecla si sentiva crescera

    vigilia della Madonna degli Angeli, festa dei Minori Orservanti

    Mentre l'omicciatolo diceva, Giuliano affrettato il passo

    lagnava di questa guaio in guisa così noiosa; che alfine

    da averne secca la gola; finì promettendo che non si sasarebbe

    Quella sera l'avemaria suonò all'intess'ora dell'altre

    la corea, per giungere a C.... prima che fosse suonato il

    del borgo si fossero ritirati, e badasse a non anandar

    alla finestra per chiamarlo chi son con qual grido, si vide

    del Settapani, da tutta la giogaia; sui fianchi della

    gli uomini; vi si ammazzino tra loro; e un palmo di

    alzarle un tantino, fu per dare alla sfuggita un'occhiata

    sè in mano di quegli Alemanni, che un mese prima, l'avano

    oh! questo è il suo! Giuliano, Giuliano, se tu stavi un altr'ora,

    all'orecchio della madre e sommessamente le disse?






End of the Project Gutenberg EBook of Le rive della Bormida nel 1794, by 
Giuseppe Cesare Abba

*** END OF THIS PROJECT GUTENBERG EBOOK LE RIVE DELLA BORMIDA NEL 1794 ***

***** This file should be named 21425-8.txt or 21425-8.zip *****
This and all associated files of various formats will be found in:
        http://www.gutenberg.org/2/1/4/2/21425/

Produced by Carlo Traverso, Claudio Paganelli and the
Online Distributed Proofreading Team at http://www.pgdp.net
(This file was produced from images generously made
available by Biblioteca Nazionale Braidense - Milano)


Updated editions will replace the previous one--the old editions
will be renamed.

Creating the works from public domain print editions means that no
one owns a United States copyright in these works, so the Foundation
(and you!) can copy and distribute it in the United States without
permission and without paying copyright royalties.  Special rules,
set forth in the General Terms of Use part of this license, apply to
copying and distributing Project Gutenberg-tm electronic works to
protect the PROJECT GUTENBERG-tm concept and trademark.  Project
Gutenberg is a registered trademark, and may not be used if you
charge for the eBooks, unless you receive specific permission.  If you
do not charge anything for copies of this eBook, complying with the
rules is very easy.  You may use this eBook for nearly any purpose
such as creation of derivative works, reports, performances and
research.  They may be modified and printed and given away--you may do
practically ANYTHING with public domain eBooks.  Redistribution is
subject to the trademark license, especially commercial
redistribution.



*** START: FULL LICENSE ***

THE FULL PROJECT GUTENBERG LICENSE
PLEASE READ THIS BEFORE YOU DISTRIBUTE OR USE THIS WORK

To protect the Project Gutenberg-tm mission of promoting the free
distribution of electronic works, by using or distributing this work
(or any other work associated in any way with the phrase "Project
Gutenberg"), you agree to comply with all the terms of the Full Project
Gutenberg-tm License (available with this file or online at
http://gutenberg.org/license).


Section 1.  General Terms of Use and Redistributing Project Gutenberg-tm
electronic works

1.A.  By reading or using any part of this Project Gutenberg-tm
electronic work, you indicate that you have read, understand, agree to
and accept all the terms of this license and intellectual property
(trademark/copyright) agreement.  If you do not agree to abide by all
the terms of this agreement, you must cease using and return or destroy
all copies of Project Gutenberg-tm electronic works in your possession.
If you paid a fee for obtaining a copy of or access to a Project
Gutenberg-tm electronic work and you do not agree to be bound by the
terms of this agreement, you may obtain a refund from the person or
entity to whom you paid the fee as set forth in paragraph 1.E.8.

1.B.  "Project Gutenberg" is a registered trademark.  It may only be
used on or associated in any way with an electronic work by people who
agree to be bound by the terms of this agreement.  There are a few
things that you can do with most Project Gutenberg-tm electronic works
even without complying with the full terms of this agreement.  See
paragraph 1.C below.  There are a lot of things you can do with Project
Gutenberg-tm electronic works if you follow the terms of this agreement
and help preserve free future access to Project Gutenberg-tm electronic
works.  See paragraph 1.E below.

1.C.  The Project Gutenberg Literary Archive Foundation ("the Foundation"
or PGLAF), owns a compilation copyright in the collection of Project
Gutenberg-tm electronic works.  Nearly all the individual works in the
collection are in the public domain in the United States.  If an
individual work is in the public domain in the United States and you are
located in the United States, we do not claim a right to prevent you from
copying, distributing, performing, displaying or creating derivative
works based on the work as long as all references to Project Gutenberg
are removed.  Of course, we hope that you will support the Project
Gutenberg-tm mission of promoting free access to electronic works by
freely sharing Project Gutenberg-tm works in compliance with the terms of
this agreement for keeping the Project Gutenberg-tm name associated with
the work.  You can easily comply with the terms of this agreement by
keeping this work in the same format with its attached full Project
Gutenberg-tm License when you share it without charge with others.

1.D.  The copyright laws of the place where you are located also govern
what you can do with this work.  Copyright laws in most countries are in
a constant state of change.  If you are outside the United States, check
the laws of your country in addition to the terms of this agreement
before downloading, copying, displaying, performing, distributing or
creating derivative works based on this work or any other Project
Gutenberg-tm work.  The Foundation makes no representations concerning
the copyright status of any work in any country outside the United
States.

1.E.  Unless you have removed all references to Project Gutenberg:

1.E.1.  The following sentence, with active links to, or other immediate
access to, the full Project Gutenberg-tm License must appear prominently
whenever any copy of a Project Gutenberg-tm work (any work on which the
phrase "Project Gutenberg" appears, or with which the phrase "Project
Gutenberg" is associated) is accessed, displayed, performed, viewed,
copied or distributed:

This eBook is for the use of anyone anywhere at no cost and with
almost no restrictions whatsoever.  You may copy it, give it away or
re-use it under the terms of the Project Gutenberg License included
with this eBook or online at www.gutenberg.org

1.E.2.  If an individual Project Gutenberg-tm electronic work is derived
from the public domain (does not contain a notice indicating that it is
posted with permission of the copyright holder), the work can be copied
and distributed to anyone in the United States without paying any fees
or charges.  If you are redistributing or providing access to a work
with the phrase "Project Gutenberg" associated with or appearing on the
work, you must comply either with the requirements of paragraphs 1.E.1
through 1.E.7 or obtain permission for the use of the work and the
Project Gutenberg-tm trademark as set forth in paragraphs 1.E.8 or
1.E.9.

1.E.3.  If an individual Project Gutenberg-tm electronic work is posted
with the permission of the copyright holder, your use and distribution
must comply with both paragraphs 1.E.1 through 1.E.7 and any additional
terms imposed by the copyright holder.  Additional terms will be linked
to the Project Gutenberg-tm License for all works posted with the
permission of the copyright holder found at the beginning of this work.

1.E.4.  Do not unlink or detach or remove the full Project Gutenberg-tm
License terms from this work, or any files containing a part of this
work or any other work associated with Project Gutenberg-tm.

1.E.5.  Do not copy, display, perform, distribute or redistribute this
electronic work, or any part of this electronic work, without
prominently displaying the sentence set forth in paragraph 1.E.1 with
active links or immediate access to the full terms of the Project
Gutenberg-tm License.

1.E.6.  You may convert to and distribute this work in any binary,
compressed, marked up, nonproprietary or proprietary form, including any
word processing or hypertext form.  However, if you provide access to or
distribute copies of a Project Gutenberg-tm work in a format other than
"Plain Vanilla ASCII" or other format used in the official version
posted on the official Project Gutenberg-tm web site (www.gutenberg.org),
you must, at no additional cost, fee or expense to the user, provide a
copy, a means of exporting a copy, or a means of obtaining a copy upon
request, of the work in its original "Plain Vanilla ASCII" or other
form.  Any alternate format must include the full Project Gutenberg-tm
License as specified in paragraph 1.E.1.

1.E.7.  Do not charge a fee for access to, viewing, displaying,
performing, copying or distributing any Project Gutenberg-tm works
unless you comply with paragraph 1.E.8 or 1.E.9.

1.E.8.  You may charge a reasonable fee for copies of or providing
access to or distributing Project Gutenberg-tm electronic works provided
that

- You pay a royalty fee of 20% of the gross profits you derive from
     the use of Project Gutenberg-tm works calculated using the method
     you already use to calculate your applicable taxes.  The fee is
     owed to the owner of the Project Gutenberg-tm trademark, but he
     has agreed to donate royalties under this paragraph to the
     Project Gutenberg Literary Archive Foundation.  Royalty payments
     must be paid within 60 days following each date on which you
     prepare (or are legally required to prepare) your periodic tax
     returns.  Royalty payments should be clearly marked as such and
     sent to the Project Gutenberg Literary Archive Foundation at the
     address specified in Section 4, "Information about donations to
     the Project Gutenberg Literary Archive Foundation."

- You provide a full refund of any money paid by a user who notifies
     you in writing (or by e-mail) within 30 days of receipt that s/he
     does not agree to the terms of the full Project Gutenberg-tm
     License.  You must require such a user to return or
     destroy all copies of the works possessed in a physical medium
     and discontinue all use of and all access to other copies of
     Project Gutenberg-tm works.

- You provide, in accordance with paragraph 1.F.3, a full refund of any
     money paid for a work or a replacement copy, if a defect in the
     electronic work is discovered and reported to you within 90 days
     of receipt of the work.

- You comply with all other terms of this agreement for free
     distribution of Project Gutenberg-tm works.

1.E.9.  If you wish to charge a fee or distribute a Project Gutenberg-tm
electronic work or group of works on different terms than are set
forth in this agreement, you must obtain permission in writing from
both the Project Gutenberg Literary Archive Foundation and Michael
Hart, the owner of the Project Gutenberg-tm trademark.  Contact the
Foundation as set forth in Section 3 below.

1.F.

1.F.1.  Project Gutenberg volunteers and employees expend considerable
effort to identify, do copyright research on, transcribe and proofread
public domain works in creating the Project Gutenberg-tm
collection.  Despite these efforts, Project Gutenberg-tm electronic
works, and the medium on which they may be stored, may contain
"Defects," such as, but not limited to, incomplete, inaccurate or
corrupt data, transcription errors, a copyright or other intellectual
property infringement, a defective or damaged disk or other medium, a
computer virus, or computer codes that damage or cannot be read by
your equipment.

1.F.2.  LIMITED WARRANTY, DISCLAIMER OF DAMAGES - Except for the "Right
of Replacement or Refund" described in paragraph 1.F.3, the Project
Gutenberg Literary Archive Foundation, the owner of the Project
Gutenberg-tm trademark, and any other party distributing a Project
Gutenberg-tm electronic work under this agreement, disclaim all
liability to you for damages, costs and expenses, including legal
fees.  YOU AGREE THAT YOU HAVE NO REMEDIES FOR NEGLIGENCE, STRICT
LIABILITY, BREACH OF WARRANTY OR BREACH OF CONTRACT EXCEPT THOSE
PROVIDED IN PARAGRAPH F3.  YOU AGREE THAT THE FOUNDATION, THE
TRADEMARK OWNER, AND ANY DISTRIBUTOR UNDER THIS AGREEMENT WILL NOT BE
LIABLE TO YOU FOR ACTUAL, DIRECT, INDIRECT, CONSEQUENTIAL, PUNITIVE OR
INCIDENTAL DAMAGES EVEN IF YOU GIVE NOTICE OF THE POSSIBILITY OF SUCH
DAMAGE.

1.F.3.  LIMITED RIGHT OF REPLACEMENT OR REFUND - If you discover a
defect in this electronic work within 90 days of receiving it, you can
receive a refund of the money (if any) you paid for it by sending a
written explanation to the person you received the work from.  If you
received the work on a physical medium, you must return the medium with
your written explanation.  The person or entity that provided you with
the defective work may elect to provide a replacement copy in lieu of a
refund.  If you received the work electronically, the person or entity
providing it to you may choose to give you a second opportunity to
receive the work electronically in lieu of a refund.  If the second copy
is also defective, you may demand a refund in writing without further
opportunities to fix the problem.

1.F.4.  Except for the limited right of replacement or refund set forth
in paragraph 1.F.3, this work is provided to you 'AS-IS' WITH NO OTHER
WARRANTIES OF ANY KIND, EXPRESS OR IMPLIED, INCLUDING BUT NOT LIMITED TO
WARRANTIES OF MERCHANTIBILITY OR FITNESS FOR ANY PURPOSE.

1.F.5.  Some states do not allow disclaimers of certain implied
warranties or the exclusion or limitation of certain types of damages.
If any disclaimer or limitation set forth in this agreement violates the
law of the state applicable to this agreement, the agreement shall be
interpreted to make the maximum disclaimer or limitation permitted by
the applicable state law.  The invalidity or unenforceability of any
provision of this agreement shall not void the remaining provisions.

1.F.6.  INDEMNITY - You agree to indemnify and hold the Foundation, the
trademark owner, any agent or employee of the Foundation, anyone
providing copies of Project Gutenberg-tm electronic works in accordance
with this agreement, and any volunteers associated with the production,
promotion and distribution of Project Gutenberg-tm electronic works,
harmless from all liability, costs and expenses, including legal fees,
that arise directly or indirectly from any of the following which you do
or cause to occur: (a) distribution of this or any Project Gutenberg-tm
work, (b) alteration, modification, or additions or deletions to any
Project Gutenberg-tm work, and (c) any Defect you cause.


Section  2.  Information about the Mission of Project Gutenberg-tm

Project Gutenberg-tm is synonymous with the free distribution of
electronic works in formats readable by the widest variety of computers
including obsolete, old, middle-aged and new computers.  It exists
because of the efforts of hundreds of volunteers and donations from
people in all walks of life.

Volunteers and financial support to provide volunteers with the
assistance they need, is critical to reaching Project Gutenberg-tm's
goals and ensuring that the Project Gutenberg-tm collection will
remain freely available for generations to come.  In 2001, the Project
Gutenberg Literary Archive Foundation was created to provide a secure
and permanent future for Project Gutenberg-tm and future generations.
To learn more about the Project Gutenberg Literary Archive Foundation
and how your efforts and donations can help, see Sections 3 and 4
and the Foundation web page at http://www.pglaf.org.


Section 3.  Information about the Project Gutenberg Literary Archive
Foundation

The Project Gutenberg Literary Archive Foundation is a non profit
501(c)(3) educational corporation organized under the laws of the
state of Mississippi and granted tax exempt status by the Internal
Revenue Service.  The Foundation's EIN or federal tax identification
number is 64-6221541.  Its 501(c)(3) letter is posted at
http://pglaf.org/fundraising.  Contributions to the Project Gutenberg
Literary Archive Foundation are tax deductible to the full extent
permitted by U.S. federal laws and your state's laws.

The Foundation's principal office is located at 4557 Melan Dr. S.
Fairbanks, AK, 99712., but its volunteers and employees are scattered
throughout numerous locations.  Its business office is located at
809 North 1500 West, Salt Lake City, UT 84116, (801) 596-1887, email
[email protected].  Email contact links and up to date contact
information can be found at the Foundation's web site and official
page at http://pglaf.org

For additional contact information:
     Dr. Gregory B. Newby
     Chief Executive and Director
     [email protected]


Section 4.  Information about Donations to the Project Gutenberg
Literary Archive Foundation

Project Gutenberg-tm depends upon and cannot survive without wide
spread public support and donations to carry out its mission of
increasing the number of public domain and licensed works that can be
freely distributed in machine readable form accessible by the widest
array of equipment including outdated equipment.  Many small donations
($1 to $5,000) are particularly important to maintaining tax exempt
status with the IRS.

The Foundation is committed to complying with the laws regulating
charities and charitable donations in all 50 states of the United
States.  Compliance requirements are not uniform and it takes a
considerable effort, much paperwork and many fees to meet and keep up
with these requirements.  We do not solicit donations in locations
where we have not received written confirmation of compliance.  To
SEND DONATIONS or determine the status of compliance for any
particular state visit http://pglaf.org

While we cannot and do not solicit contributions from states where we
have not met the solicitation requirements, we know of no prohibition
against accepting unsolicited donations from donors in such states who
approach us with offers to donate.

International donations are gratefully accepted, but we cannot make
any statements concerning tax treatment of donations received from
outside the United States.  U.S. laws alone swamp our small staff.

Please check the Project Gutenberg Web pages for current donation
methods and addresses.  Donations are accepted in a number of other
ways including checks, online payments and credit card donations.
To donate, please visit: http://pglaf.org/donate


Section 5.  General Information About Project Gutenberg-tm electronic
works.

Professor Michael S. Hart is the originator of the Project Gutenberg-tm
concept of a library of electronic works that could be freely shared
with anyone.  For thirty years, he produced and distributed Project
Gutenberg-tm eBooks with only a loose network of volunteer support.


Project Gutenberg-tm eBooks are often created from several printed
editions, all of which are confirmed as Public Domain in the U.S.
unless a copyright notice is included.  Thus, we do not necessarily
keep eBooks in compliance with any particular paper edition.


Most people start at our Web site which has the main PG search facility:

     http://www.gutenberg.org

This Web site includes information about Project Gutenberg-tm,
including how to make donations to the Project Gutenberg Literary
Archive Foundation, how to help produce our new eBooks, and how to
subscribe to our email newsletter to hear about new eBooks.